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L`ambito portuale ed i piani regolatori portuali

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L`ambito portuale ed i piani regolatori portuali
GIURETA
Vol. VI
Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente
2008
L’AMBITO PORTUALE ED I PIANI REGOLATORI PORTUALI*
Francesco Pellegrino **
SOMMARIO: 1. Porto e ambito portuale. – 2. Competenza in materia di pianificazione e iter di adozione del piano regolatore portuale. – 3. Natura giuridica
del piano regolatore portuale. – 4. I rapporti tra piano regolatore del porto
(PRP) e piano regolatore generale (PRG). – 5. Conclusioni.
1. – Nell’impianto codicistico prevale la concezione del porto come infrastruttura, come bene pubblico soggetto alla particolare disciplina dei beni
demaniali. L’art. 28 c.n., infatti, include i porti tra i beni del demanio marittimo (art. 822 c.c.) e l’art. 35 c.n. ne individua l’elemento di qualificazione nella “utilizzabilità” per i “pubblici usi del mare” 1 (difesa nazionale, navigazione, traffico marittimo, pesca e altre attività connesse).
Dal combinato disposto di tali disposizioni discende che è la stessa soggezione ad un pubblico uso che giustifica l’inclusione dei porti nella categoria dei beni demaniali.
Di fronte all’assenza di una definizione giuridica di porto, si è tentato di
ricostruirne la nozione ora facendo riferimento al profilo squisitamente fisico (tratto di mare chiuso, atto al rifugio, all’ancoraggio, all’attracco delle imbarcazioni, caratterizzato dalla presenza di elementi naturali e artificiali), ora
ponendo sempre più l’accento sull’aspetto funzionale e quindi sulle attività
*
Relazione al convegno “Le infrastrutture marittime ed aeronautiche. Evoluzione concettuale e problematiche di gestione”, Palermo, 2-3 maggio 2008.
**
Università degli Studi di Messina.
1
Ai beni del demanio marittimo si applica la presunzione di “necessarietà” nel senso che
conservano tale natura giuridica fino all’emanazione di un provvedimento di “sdemanializza zione”, con la conseguenza che non si applica la “sdemanializzazione" tacita. Sull’argomento
v. MORANDI F., La tutela del mare come bene pubblico, Milano, 1998; MALTESE D., Demanio portuale e pubblici usi del mare, in Dir. mar., 2002, 1506 ss.
Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, vol. VI – 2008
ISSN 1724-7322
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economiche che si svolgono al suo interno, volte alla prestazione di servizi 2.
In seguito ai profondi mutamenti che si sono verificati nel settore, si pensi in particolare all’evoluzione dei pubblici usi del mare e alla crisi della con cezione tradizionale del demanio marittimo 3, il porto non è stato più considerato un terminale locale, un luogo di transito, ma ha assunto – com’è noto
– il ruolo di “mercato”, centro di servizi, elemento dell’offerta logistica di un
territorio, tassello integrato di un “sistema”4.
Questo mutato scenario è stato recepito dalla legge di riordino della legislazione in materia portuale (l. 28 gennaio 1994, n. 84)5, che ha superato la
visione naturalistica del porto-infrastruttura, privilegiando un criterio basato
sulla “funzionalizzazione” dei beni immobili, naturali o artificiali, delle attrezzature e dei mezzi al servizio della nave, della merce trasportata e delle
molteplici attività che si svolgono in quell’area. Nella nuova prospettiva, è
stata ritenuta essenziale l’esistenza di un quid pluris: il coordinamento funzionale tra i diversi elementi costitutivi, al fine di rendere più organizzati, efficienti e competitivi i porti italiani.
2
Come è noto, negli ultimi anni le attività portuali si sono notevolmente incrementate, ed
alcuni tipi di traffico hanno assunto particolari specializzazioni, si pensi al fenomeno del trasporto containers, sviluppatosi in maniera significativa in alcuni porti del Mediterraneo. Di qui
la necessità di modificare le attuali configurazioni portuali, al fine di dare risposte adeguate
alle pressanti esigenze di spazi, di banchine, di moderne attrezzature, nonché di idonee infra strutture di trasporto per un razionale e veloce collegamento dello scalo con il suo retroterra.
3
La configurazione dei beni demaniali passa da una concezione “statica”, ancorata al per seguimento di interessi statali, ad una concezione “dinamica”, basata sull’ampliamento
dell’interesse pubblico marittimo e sulla conseguente dilatazione dei poteri discrezionali della
P.A., finalizzati a selezionare, tra varie attività, quelle che meglio soddisfano i bisogni della
collettività.
4
Si pensi, ad es., all’area compresa tra i Comuni di Milazzo e Messina o alla c.d. “area del lo Stretto”, alla cui area di sicurezza è stata preposta l’Autorità marittima della navigazione
nello Stretto, istituita dall’art. 8, comma 7, della recente legge 29 novembre 2007, n. 222 (G.U.
n. 279 del 30 novembre 2007).
5
Per un commento v. tra gli altri Carbone S.- Munari F., La legge italiana di riforma dei porti e
il diritto comunitario, in Foro it., 1994, 367 ss.; Id., Gli effetti del diritto comunitario sulla riforma portuale in Italia. Risultati e prospettive, in Dir. mar., 1994, 3 ss.; Id., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2006, 133 ss.; Casanova M. – Brignardello M., Diritto dei Trasporti
(infrastrutture e accesso al mercato), Milano, 2004, 69 ss.; Carbone S., Verso una nuova disciplina
dell’ordinamento portuale, in I porti dell’area dello Stretto di Messina nelle reti transeuropee (a cura di Vermiglio G. – Moschella G. – Pellegrino F.), n. 25 della collana ricerche Cust Euromed, Villa S.
Giovanni, 2007, 101 ss.
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Alla luce di questa evoluzione, non v’è da meravigliarsi se il recente
D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 203 6 ha introdotto una precisa definizione di
porto (traducendo quasi ad litteram quella contenuta nella Direttiva del
2005/65/CE) come “specifica area terrestre e marittima, comprendente impianti7 ed attrezzature intesi ad agevolare le operazioni commerciali di trasporto marittimo”. Si tratta quindi di un complesso di beni naturali e artificiali destinati alla prestazione di un insieme di servizi e allo svolgimento di
attività portuali.
È evidente l’influsso esercitato su questa definizione dalla proposta di direttiva sui servizi portuali che – sia nel testo originario (c.d. Palacio 1)8 che in
quello modificato (c.d. Palacio 2)9 – fa riferimento alla “zona di terra e di
mare, appositamente predisposta e dotata di attrezzatura che le consente, in
via principale, di accogliere naviglio, effettuare operazioni di carico, scarico,
trasbordo e deposito di merci, di presa in consegna e riconsegna di tali merci
per il trasporto terrestre, l’imbarco e lo sbarco di passeggeri”. E’ evidente
che anche in questa nozione la l’aspetto naturalistico si fonde e si confonde
con quello funzionale, volto alla valorizzazione delle attività economiche localizzate nel porto.
La legge n. 84/94 ha introdotto, accanto al concetto di porto, altre
espressioni affini: “area portuale” (art. 5, comma 1 e art. 4, comma 3), “ambito portuale”, “assetto complessivo” del porto (art. 5, comma 1) e “circoscrizione territoriale” (art. 6, comma 7).
Il primo comma dell’art. 5, infatti, così recita: “Nei porti di cui alla categoria II, classi I, Il e III10, con esclusione di quelli aventi le funzioni di cui
all’articolo 4, comma 3, lettera e) (id est, turistici e da diporto), l’ambito e
l’assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferrovia6
“Attuazione della Direttiva 2005/65/CE relativa al miglioramento della sicurezza nei
porti” (G.U. n. 261 del 9 novembre 2007).
7
Definiti, nella citata Direttiva, come luogo in cui avviene l’interfaccia nave/porto, comprendente aree quali le zone di ancoraggio, di ormeggio, le aree di accosto dal mare, ecc..
8
Cfr. la prima proposta del 2001: COM(2001)35 def. 2001/047(COD).
9
La seconda proposta, ripresentata dopo il fallimento della prima, e anch’essa bocciata
dal Parlamento europeo, è del 13 ottobre 2004: COM(2004)654 def. 2004/0240(COD). L’art.
3 ricomprende nella nozione di “servizi portuali” i servizi tecnico-nautici (pilotaggio, rimor chio, ormeggio) insieme alle operazioni portuali.
10
A rilevanza, rispettivamente, internazionale, nazionale, regionale/interregionale.
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rie, sono rispettivamente delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale,
che individua altresì le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree
interessate”.
Questa disposizione richiama diversi concetti, quello di “ambito”, quello
di “assetto complessivo” del porto e quello di “aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie”, delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale.
La distinzione tra queste espressioni, lungi dal costituire una mera disquisizione teorica, assume ai nostri fini una portata fondamentale per comprendere quale “spazio” possa formare oggetto del piano regolatore portuale.
Quanto alle “aree portuali”, la disposizione inesame fa riferimento alle
“aree destinate alla produzione industriale, alla cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie”, richiamando così una nozione funzionale. Ciò è
confermato dall’art. 4, comma 3, della stessa legge, laddove si precisa –
come se si trattasse di concetti diversi – che i “porti” (di cui alla categoria II,
classi I, II, III) e le “specifiche aree portuali” svolgono molteplici funzioni
(commerciali, industriali e petrolifere, di servizio passeggeri, pescherecci, turistici e diporto)11, anche congiuntamente.
Le “aree portuali” in senso tecnico allora rappresentano, nel loro insieme, il contesto territoriale nel quale si inseriscono tutte le infrastrutture destinate a svolgere una funzione portuale.
Alla luce della su richiamata disposizione, i “porti” sono stati assimilati
alle “aree portuali” per quanto riguarda la possibilità di una loro catalogazione sotto il profilo funzionale, ma – considerate nel loro insieme – si differenzierebbero (rectius, potrebbero differenziarsi) sotto il profilo dimensionale, nel senso che potrebbero estendersi anche al di fuori dei limiti del porto
propriamente detto (c.d. porto operativo), inteso come spazio morfologicamente limitato.
Più ampia delle singole aree sembra essere l’“area portuale” di cui al successivo D.Lgs. 4 febbraio 2000, n. 45 12 . L’art. 1, primo comma, lett. r), infat11
Le caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali e la classificazione di tali porti
sono determinate con decreto ministeriali, sentite le Autorità portuali o marittime (art. 4,
comma 4, l. n. 84/94).
12
Emanato in attuazione della Direttiva 98/18/CE del Consiglio del 17 marzo 1998
(G.U.C.E. L 144 del 15 maggio 1998), relativa alle disposizioni e alle norme di sicurezza per le
navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali.
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ti, intende con tale espressione “quell’area che si estende fino alle strutture
portuali permanenti più periferiche che costituiscono parte integrante del sistema portuale o fino ai limiti definiti da elementi geografici naturali che
proteggono un estuario o un’area protetta affine”.
L’area portuale viene quindi ricollegata al concetto di “sistema
portuale”13. Ricordiamo che già il Piano Generale Trasporti (PGT) del
198614 si ispirava ad una pianificazione per sistemi portuali, per distretti portuali specializzati15. Questa concezione, che verrà poi ripresa dal Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL) del 2001 16, è stata peraltro recepito dall’art. 1 della legge n. 84/94, laddove precisa che l’ordinamento e le
attività portuali devono adeguarsi agli obiettivi del Piano Generale dei Trasporti.
Alla luce di questa nuova “visione sistemica”, il disegno di legge n. 1044,
presentato il 27 settembre 200617, all’art. 11, ha previsto una organizzazione
in “sistemi portuali”18 dei porti vicini, appartenenti al medesimo “mercato
geograficamente rilevante”, pacificamente inteso dalla giurisprudenza amministrativa19 come “quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un
prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese
che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza”.
Chiarito ciò, occorre chiedersi cosa debba allora intendersi per “ambito
13
Sul tema, v. in particolare Camarda G., Enti portuali, demanialità dei porti e sistema portuale,
in Studi mar., 1985, 67 ss.; Id., Il disegno di legge sui sistemi portuali, in Porti, mare, terr., 1989, 41 ss.
e in Autonomie e dir., 1989, 265 ss.
14
Per un approfondimento in materia di PGT v. FOIS P., Il PGT nel processo di integrazione
europea, in Il Piano Generale dei Trasporti. Prospettive di attuazione in Sardegna, Atti del Convegno di
Cagliari 18-19 maggio 1990, Napoli, 1991, 7 ss.
15
Ad esempio, Genova-Savona-La Spezia, Napoli-Salerno, Brindisi-Bari-Taranto, Trieste-
Venezia-Monfalcone.
16
Approvato con D.P.R. 14 marzo 2001 (G.U. n. 163 del 16 luglio 2001).
17
Annunciato nella seduta n. 41 del 28 settembre 2006, di iniziativa dei senatori Mazzarello, Adragna, Amati e altri, in corso di esame in VIII commissione il 28 novembre 2007.
18
Per ogni sistema portuale deve essere nominato dal Ministro dei trasporti un coordinatore tra i presidenti delle Autorità portuali.
19
Cfr. sentenza Consiglio di Stato n. 5733 dell’8 novembre 2001, Istituti Vigilanza Sardegna;
n. 150 del 14 gennaio 2002, RAI-RTI-CGC; n. 1305 del 5 marzo 2002, RAI-RTI; nonché TAR
del Lazio n. 7451 del 13 settembre 2001, Latte artificiale per neonati e n. 368 del 16 gennaio
2002, Mezzi di contrasto.
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portuale”, se si tratti di un concetto diverso da quello di “area portuale”.
Ebbene, da quanto sopra detto, l’“ambito portuale” 20 di cui alla legge di
riforma dei porti sembrerebbe più ampio, sotto il profilo spaziale, non solo
del “porto” stricto sensu, ma talvolta anche delle singole “aree portuali” propriamente dette, comprendendo al suo interno sia l’uno che le altre, ma potendo racchiudere anche altre zone più periferiche. L’ambito portuale, in altri termini, a nostro avviso coinciderebbe con l’area portuale di cui al D.Lgs.
n. 45/2000.
Che il concetto di “ambito portuale” sia molto ampio e onnicomprensivo, peraltro, si evince dallo stesso tenore dell’art. 18 della legge del 1994, laddove prevede che siano soggette a concessione non solo le “aree demaniali”
(id est, del demanio portuale) e le banchine 21 ricadenti all’interno dell’“ambito
portuale” per lo svolgimento di “operazioni portuali” 22, ma anche le “opere
attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell’ambito degli
specchi acquei esterni alle difese foranee” in quanto “anch’esse da considerarsi a tal fine ambito portuale”, purché interessate dal traffico portuale e
dalla prestazione dei servizi portuali. Perché l’ambito portuale possa ricomprendere anche queste aree esterne, è stata quindi posta questa limitazione di
natura funzionale.
Il legislatore del 1994 ha però fatto riferimento anche all’“assetto complessivo” quale concetto diverso dall’“ambito”.
Ebbene, l’avere appena accolto una nozione estremamente ampia di
“ambito” non ci permette di attribuire all’espressione “assetto complessivo”
una portata ancor più lata. Evidentemente, allora, la differenza tra le due locuzioni – a nostro avviso – non attiene tanto all’ampiezza spaziale, quanto al
contenuto, nel senso che, mentre l’ambito fa riferimento alla delimitazione
dello spazio complessivo di riferimento, l’assetto attiene, invece, alla sistemazione interna dell’area, alla sua configurazione, alla sua struttura, alla posizio20
Su tale concetto v. TAR Sicilia, Sez. Catania, 13 settembre 2005, n. 1346, con nota di
CELLERINO C., Spazi di attività operativa dell’Autorità portuale e autonomia finanziaria, in Dir. mar.,
2007, 894 ss.
21
Sulla concessione delle banchine v. da ultimo INGRATOCI C., La concessione di aree e banchine, in Riv. dir. econ. trasp. amb., rivista giuridica on-line,V/2007, e in Dir. mar., 2007, 984 ss.
22
Sul punto v. TAR Sicilia, Sez. Catania, III, n. 2111 dell’11 agosto 2004, in Diritto&Diritti, rivista giuridica on-line, ottobre 2004. La concessione dell’area demaniale in ambito portuale
per lo svolgimento delle operazioni portuali compete solo alle imprese portuali autorizzate,
iscritte in appositi registri.
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ne e alle caratteristiche dei singoli elementi che la compongono.
In altri termini, il legislatore avrebbe accolto una nozione tecnico-ingegneristica di assetto, e ciò sembra confermato dalla stessa formulazione
dell’art. 5, laddove si precisa che “l’ambito e l’assetto complessivo del porto”
sono “rispettivamente delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale”,
in cui l’avverbio “rispettivamente” sembrerebbe voler operare una distinzione netta tra l’ambito, che viene “delimitato”, l’assetto, che viene
“disegnato”23.
Ne discende che il piano regolatore portuale ha la funzione di delimitare
e disegnare “l’ambito” e “l’assetto complessivo del porto” 24 inteso in senso
territoriale (e quindi individua anche moli, banchine, opere foranee 25, specchi
acquei e, in genere opere portuali, edilizie o impiantistiche) comprese le
“aree” destinate ad attività industriali e cantieristiche, nonché le infrastrutture stradali e ferroviarie al servizio dell’attività portuale.
Per completare questo complesso apparato concettuale, l’art. 6, comma
7, della legge n. 84 richiama un ulteriore concetto, quello di “circoscrizione
portuale”, da intendersi come spazio geografico, individuato e delimitato
con decreto del Ministro dei trasporti, entro il quale si esercita la giurisdizione portuale. Ci si riferisce, in altri termini, a quel tratto di costa compresa tra
confini (o punti) ben precisi del territorio, costituita dalle aree demaniali marittime, dalle opere portuali e dagli antistanti spazi acquei, entro i quali la sin23
Così TAR Venezia Giulia 18 marzo 1998, in Urbanistica e appalti, 1998, 858 ss., laddove
si legge che il piano regolatore portuale costituisce “un’estrinsecazione del potere spettante
all’autorità pubblica che ne ha la disponibilità esclusiva di determinare l’assetto viario, la siste mazione degli edifici e la distribuzione degli impianti in detto ambito” (confermata da sent,
Cons. St., sez. IV, 24 marzo 2006, n. 1538, in Riv. dir. pubbl. it. com. comp., Federalismi.it, rivista
telematica).
24
Per un approfondimento v. CERVETTI D’AMICO A., Demanio marittimo e assetto del territorio, Milano, 1983, 82 ss.; CORBINO M.L., Il demanio marittimo. Nuovi profili sostanziali, Milano,
1990, 184 ss.; ID., Demanio costiero e demanio portuale: attuale regime concessorio e prospettive di riforma,
in Studi in onore di Gustavo Romanelli, Milano, 1997, 377 ss.
25
Quando possibile, il porto viene costruito in zone protette da un riparo naturale, ma
spesso occorre completare o ampliare la protezione naturale, o crearne una artificiale con
opere di difesa foranee, o esterne; queste vengono realizzate in relazione alle caratteristiche
geografiche del luogo, nonché al suo regime idraulico, quale è determinato, per esempio, da
correnti, maree, moto ondoso, ecc. Le opere foranee costituiscono la cintura esterna del por to e comprendono antemurali, dighe, frangiflutti, moli, disposti in genere secondo determina ti schemi.
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gola Autorità portuale26 esercita le funzioni (amministrativo-pubblicistiche)
di “indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo”.
Dal momento che – come si è visto – numerosi ma generici sono i riferimenti normativi che riguardano l’ambito portuale, v’è da chiedersi se tale
spazio coincida con la circoscrizione, con la conseguenza che il piano incontrerebbe il vincolo di cui all’art. 6, comma 7, e che i poteri dell’Autorità por tuale sarebbero confinati entro tale spazio.
Ebbene, dal momento che l’art. 5 della legge n. 84/94 prevede che sia
oggetto di pianificazione l’“ambito portuale”, mentre l’art. 6, comma 7, si riferisce alla “circoscrizione” quale spazio nella quale si esercita la giurisdizione dell’Autorità Portuale, non è detto che il primo coincida sempre con la
seconda, potendo l’ambito comprendere porzioni del territorio esterne alla
circoscrizione, sempreché – si intende – circostanti e funzionali all’operatività delle strutture portuali: si pensi ai magazzini, ai siti di stoccaggio, al retroporto, alle aree anche non appartenenti strettamente al demanio, ma funzionalmente connesse col porto in quanto costituenti un unico terminale
con le attività rese entro la circoscrizione.
D’altra parte, sono le stesse “Linee guida per la redazione dei piani regolatori portuali” del 200427, elaborate allo scopo di stabilire criteri omogenei,
che hanno espressamente previsto la possibilità che l’ambito portuale non
coincida pienamente con la circoscrizione territoriale, ma comprenda aree
anche non strettamente appartenenti al demanio, purché funzionalmente
connesse col porto, ovviamente previa “intesa” con il comune 28, che accetta
che esse siano disciplinate dallo strumento di pianificazione portuale.
L’ambito oggetto del PRP, pertanto, da un lato, può escludere alcune aree
demaniali marittime, in quanto ritenute non strategiche ai fini portuali, e di
converso può includere anche aree non demaniali, sempreché interconnesse
26
V. amplius VERMIGLIO G., Autorità portuale, in Enc. dir., Agg., VI/2002, 194 ss.; ID., La
disciplina dell’ordinamento e delle attività portuali tra diritto della navigazione e diritto pubblico dell’economia, in Riv. dir. pubbl. econ. trasp. amb., rivista giuridica on-line, III/2005; CITRIGNO A.M., Autorità portuale, profili organizzativi e gestionali, Milano, 2003, 137 ss.
27
Elaborate da una Commissione ministeriale, nominata con D.M. 19 maggio 2003, ed
emanate con la circolare. 15 ottobre 2004, prot. 17778 MM del Ministero delle Infrastrutture
e dei Trasporti.
28
Per un approfondimento v. RAIMONDI S., Modelli organizzativi e procedimentali per una pianificazione integrata interregionale, in I porti dell’area dello Stretto di Messina nelle reti transeuropee, cit.,
41 ss.
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funzionalmente e/o strutturalmente al porto.
Ciò significa che se si tratta di beni del demanio marittimo, allora nulla
quaestio, mentre se si tratta di spazi a terra esterni alla circoscrizione, e non
assoggettati al regime giuridico demaniale, il piano è sottoposto ad una limitazione di ordine funzionale.
Pertanto, se è possibile adottare un piano regolatore che si riferisca anche
ad aree poste al di fuori del territorio circoscrizionale, quest’ultimo invece
costituisce il limite per l’esercizio, da parte dell’Autorità Portuale, delle funzioni di “indirizzo, programmazione, promozione e controllo” delle attività
portuali. Conseguentemente, con riferimento alle aree esterne alla circoscrizione sarebbero riconosciute all’Autorità Portuale le funzioni di pianificazione, ma non quelle di programmazione, promozione e controllo.
Onde evitare dubbi interpretativi dovuti alla mancata coincidenza tra ambito e circoscrizione, il citato disegno di legge n. 1044 aveva proposto di
modificare il comma 7 dell’art. 6 della legge n. 84 precisando che nei limiti
della “circoscrizione portuale” sono compresi “gli specchi acquei esterni alle
difese foranee, purché interessati dal traffico portuale, dalla prestazione di
servizi portuali e dalla realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco”29.
Ma posto che, allo stato, non vi è necessariamente coincidenza tra la circoscrizione e l’ambito, ci si chiede a quale nozione bisogna riferirsi ai fini
dell’applicazione della legge n. 84, se a quella restrittiva o a quella estensiva.
A questo proposito è appena il caso di richiamare una sentenza del TAR Catania dell’11 agosto 2004 (peraltro riformata) 30 la quale ha stabilito che in tal
caso non deve farsi riferimento al vecchio piano portuale, ma agli atti normativi successivi e più recenti, quali il Decreto del Ministro dei Trasporti e
29
L’attività di imbarco-sbarco di automezzi costituisce operazione portuale, riservata alle
imprese portuali autorizzate ai sensi dell’art. 16, comma 3, della legge n. 84/94; non si tratta
invece di servizi di interesse generale ai sensi dell’art. 6, comma 1, della stessa legge (per l’affi damento in concessione dei quali è necessaria invece la gara pubblica), né di servizi tec nico-nautici per i quali l’art. 14 della legge n. 84/94 conferma la disciplina del codice naviga zione e la cui regolamentazione è affidata all’Autorità marittima. Contra, il Consiglio Giustizia
Amm. (sent. 11 aprile 2008, n. 328) ha ritenuto che le operazioni di imbarco-sbarco di automezzi non costituiscono operazioni portuali, né servizi portuali specialistici, complementari o
accessori al ciclo delle attività portuali (art. 16 l. n. 84/94), né servizi di interesse generale (art.
6 legge n. 84/94), ma delle attività libere, cui sarebbe applicabile l’art. 36 c.n.
30
Cfr. sent. TAR Sicilia, Sez. Catania, 13 settembre 2005, n. 1346, cit., 894 ss.
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della navigazione del 6 aprile 1994 31, che definiscono la “circoscrizione territoriale” in senso evolutivo, prendendo atto della realtà fattuale evolutasi nel
tempo e che l’Amministrazione non può ignorare.
2. – Quanto alla competenza in materia di pianificazione 32, le leggi istitutive dei vecchi enti portuali ad essi attribuivano la potestà a redigere piani re golatori, che venivano definiti “piani di opere” in quanto si limitavano ad individuare i lavori che si intendevano realizzare nel porto. Si trattava di meri
progetti, la cui mancata esecuzione non comportava conseguenze sul piano
giuridico.
La più risalente fonte normativa era rappresentata dalla legge 20 agosto
1921, n. 117733 che, all’art. 2234, trattava di “spese per opere portuali”, di
competenza dell’ente portuale locale, che dovevano obbligatoriamente rientrare tra quelle previste dai “piani regolatori” approvati nei modi di legge,
sebbene di questi piani non venissero definiti né contenuti, né funzioni, né
tanto meno procedure di approvazione. I piani regolatori erano quindi configurati dal legislatore come “documenti di programmazione della spesa
pubblica”, e non come strumenti di pianificazione del territorio portuale.
A completamento di questo primo (frammentario) intervento legislativo
era poi intervenuta la legge 3 novembre 1961, n. 1246 35, la quale aveva stabilito che i piani regolatori dei porti di categoria II, classi I (a rilevanza internazionale) e III (a rilevanza regionale o interregionale) 36 dovessero essere “approvati” con decreto del Ministero LL.PP., di concerto con quello della Marina mercantile, previo parere tecnico del Consiglio Superiore LL.PP. 37.
31
32
E successiva ordinanza ministeriale n. 1/1996.
Sul tema v. BATOLI A.M. - PREDIERI A., Piano regolatore, in Enc. dir., XXXIII/1983, 674
ss.
33
“Provvedimenti per combattere la disoccupazione” (G.U. n. 212 del 7 settembre 1921). Per un
commento v. TELLARINI G., I porti e le classificazioni, in Rivista dir. econ. trasp. amb., rivista giuridica on-line, 28 giugno 2008.
34
L’articolo unico della legge 3 novembre 1951, n. 1246 così recita: “I piani regolatori di
porti iscritti nella 2a e 3 a classe della 2 a categoria previsti dall’art. 22 della legge 20 agosto
1921, n. 1177 sono approvati con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici di concerto col
Ministeri per la Marina Mercantile, sentito il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici”.
35
“Norme relative ai piani regolatori dei porti di 2 a e 3 a classe della seconda categoria”.
36
Questa vecchia classificazione dei porti era contenuta nel R.D. 28 aprile 1885, n. 3095
(e relativo regolamento di esecuzione, R.D. 26 novembre 1904, n. 713).
37
Competenze successivamente trasferite alle Regioni in forza del D.P.R. 24 luglio 1977,
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L’art. 5, comma 3, della legge n. 84/94 ha, com’è noto, attribuito
all’Autorità Portuale, laddove istituita, la competenza in materia di pianificazione dei porti della categoria II, classi I, II e III (rispettivamente, a rilevanza
internazionale, nazionale o regionale/interregionale), ad eccezione di quelli
aventi “funzione turistica e da diporto”. Non formano oggetto di pianificazione, a contrario, neppure i porti della categoria I, finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato.
Il piano regolatore portuale viene adottato dal Comitato portuale, previa
intesa del comune o dei comuni interessati. Nei porti nei quali non è istituita
l’Autorità portuale, la competenza spetta invece all’Autorità marittima.
Questa potestà residuale in materia deve, tuttavia, ritenersi oggi superata
alla luce della legge 15 marzo 1997, n. 59 38, che – ferma restando la titolarità
dominicale delle aree demaniali marittime in capo allo Stato – ha conferito
alle regioni e ai comuni tutte le funzioni relative al rilascio di concessioni di
beni del demanio marittimo, ma anche sulla base del D.Lgs. 31 marzo 1998,
n. 11239, che all’art. 105, comma 2, lettera e) ha attribuito alle Regioni la competenza in materia di pianificazione relativamente ai porti a rilevanza regionale o interregionale.
Una volta adottato il piano, di concerto con il comune, viene sottoposto
al “parere tecnico” del Consiglio dei LL.PP., che deve essere espresso entro
45 gg., trascorsi inutilmente i quali, si intende reso in senso favorevole, secondo il meccanismo del silenzio-assenso.
Il piano viene quindi sottoposto alla procedure di valutazione di impatto
ambientale (VIA)40: un’apposita commissione paritetica (istituita con decreto
n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382). Nulla era invece disposto per i porti delle classi II (rilevanza nazionale) e IV (rilevanza locale: porti turistici) con
riferimento ai quali si seguiva la prassi di sottoporre la proposta di piano, formulata
dall’amministrazione portuale quale programma di opere, ad approvazione del Ministero
LL.PP. per i porti della II classe e della Regione per quelli di IV classe.
38
Recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la
riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa” (G.U. n. 63 del 17
marzo 1997).
39
“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in at tuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, in vigore dal 1° gennaio 2002. Sul tema v.
sent. Corte cost. 10 marzo 2006, n, 89, in Dir. mar., 2007, 127 ss., con nota di SALAMONE L.,
La gestione del demanio marittimo tra accentramento e decentramento amministrativo, ivi, 126 ss.
40
Ai sensi della legge n. 349/86, di istituzione del Ministero dell’ambiente, e sulla base
della Direttiva. 85/337 del Consiglio del 27 giugno 1985. Il successivo D.P.R. 12 marzo 2003,
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del Ministero dei trasporti, di concerto con quello dell’ambiente) accerta la
compatibilità degli interventi previsti nel piano portuale con la normativa di
tutela ambientale41 e degli ecosistemi42.
Per i porti aventi funzione industriale o petrolifera, l’art. 5, comma 5, ha,
altresì, previsto l’obbligo di allegare al piano un “rapporto sulla sicurezza
dell’ambito portuale”. In tal caso, la sicurezza viene intesa nel senso di safety,
ossia di prevenzione di incidenti tecnici, allo scopo di determinare, a fini
preventivi, il livello di rischio di tali porti.
Infine, il piano è soggetto ad approvazione della Regione interessata (art.
5, comma 3).
3. – Il piano regolatore portuale disciplinato dalla legge n. 84 riveste la
natura tecnica di strumento di pianificazione, volto alla delimitazione delle
aree (c.d. localizzazione territoriale)43. Una volta delineato lo spazio fisico del
porto44 (rectius, dell’ambito portuale), lo stesso deve però individuare anche le
“caratteristiche” e la specifica “destinazione funzionale” (turistica, petrolifera, industriale, commerciale, cantieristica, da diporto) delle aree.
L’elemento di novità rispetto al passato è rappresentato proprio dal fatto
che il piano provvede alla “funzionalizzazione” delle aree allo scopo di valon. 120 (G.U. n. 124 del 30 maggio 2003) ha espressamente sancito l’obbligo per tutti gli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale, compresi i piani regolatori portuali, di
aver riguardo all’impatto sull’ambiente.
41
Si pensi ai lavori di dragaggio, con riferimento ai quali le esigenze di sviluppo e compe titività dei porti si scontrano con esigenze di tutela ambientale, si pensi ai siti inquinati e bisognosi di interventi di bonifica. Sul tema v. GARZIA G., Il regime giuridico delle attività e dei materiali di dragaggio dei fondali in aree portuali, in Riv. giur. amb., 6/2004, 849 ss.; PICCOLO F.D. –
SQUILLANTE D., Le problematiche del dragaggio dei fondali portuali tra esigenze di sviluppo e vincoli giu ridici di compatibilità ambientale, in Innovazione e dir., rivista on-line, 4/2007.
42
Cfr. la “Direttiva Habitat” (92/43 del Consiglio del 21 maggio 1992), la “Direttiva Acque”(2000/60 del Parlamento e del Consiglio del 23 ottobre 2000) e la “Direttiva Severo III”
(2003/105 del Parlamento e del Consiglio del 16 dicembre 2000), attuata con D.Lgs. 21 settembre 2005, n. 238 (G.U. n. 189 del 21 novembre 2005, n. 271).
43
Cfr. CHIOFALO M., La composizione dei diversi interessi territoriali nel procedimento di adozione
del piano regolatore portuale, in I porti dell’area dello Stretto di Messina nelle reti transeuropee, cit., 92 ss.;
333; per i profili tecnici, GATTUSO D., Pianificazione di un sistema integrato dei trasporti nell’area dello Stretto, ivi, 25 ss.
44
Operazione non semplice, perché nonostante il decreto ministeriale di individuazione
della circoscrizione, sono tante le pretese di titolarità avanzate: si pensi ad aree di parcheggio,
rivendicate dal comune, nonostante siano state oggetto di concessione demaniale.
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rizzare le potenzialità turistiche e/o commerciali del porto, grazie alla regolamentazione delle attività umane e alla realizzazione di nuove opere che permettano una migliore e più idonea interconnessione con le infrastrutture già
esistenti.
Si tratta allora non solo di uno strumento di pianificazione, ma anche di
un atto generale di programmazione col quale la PA fissa le regole, i criteri e
le modalità di utilizzazione delle aree.
Viene quindi configurato come “piano strutturale” delle scelte strategiche
o come piano strategico di sviluppo (spaziale e funzionale) dell’area portuale, in termini anche di sostenibilità ambientale e di rispetto dell’identità culturale dei luoghi, in una visione unitaria, finalizzata allo svolgimento ottimale
delle attività portuali, alla valorizzazione dei contesti urbani e ambientali,
all’integrazione con le reti di comunicazione del territorio.
Ebbene, le previsioni relative alla utilizzazione funzionale delle aree hanno carattere di “zonizzazione urbanistica”45 e creano un vincolo di destinazione, con conseguente divieto di utilizzarle per finalità diverse rispetto a
quelle previste nel piano, salva – si intende – un espressa “variante” 46, trattandosi di modifiche sostanziali o addirittura di nuove previsioni 47.
Non tutte le modifiche ad opere previste o realizzate in ambito portuale
devono però seguire la complessa procedura di approvazione della variante:
si pensi, ad esempio, a quelle che non incidono sulle scelte e sugli indirizzi di
piano, costituendo semplici “adeguamenti tecnico-funzionali” delle opere
esistenti48.
Il piano, quindi, si articola ancora oggi in progetti di opere, che però si
inseriscono in un più vasto sistema di previsioni di sviluppo organico della
struttura portuale e delle aree ad essa asservite.
La legge di riforma n. 84/94, quindi, non solo è andata a colmare una lacuna, dovuta all’assenza di una disciplina organica dei piani regolatori por45
V. GISONDI R., La Cassazione boccia il concetto di zonizzazione basato sugli standards, in Urbanistica e appalti, 2004, 1049 ss.
46
Attraverso gli stessi meccanismi procedurali previsti per l’adozione.
47
Si pensi alle opere di grande infrastrutturazione (art. 5, comma 9, legge n. 86/96), co struzione di canali, nuove banchine, dragaggi. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con
decisione del 2 luglio 1997, n. 242, in Foro amm., 1997, 3145 ss., ha però stabilito che anche
opere amovibili o a carattere precario comportano un uso del porto in maniera non conforme al piano portuale, e necessitano di una variante.
48
Ad es., modifiche più o meno rilevanti della forma e della lunghezza di moli e banchine.
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tuali, modificando l’impianto normativo preesistente, ma ha inciso sulla stessa filosofia di pianificazione portuale, intesa ora non più in senso “statico”,
ma in senso “dinamico”, quale strumento fondamentale per definire l’assetto organizzativo del porto-infrastruttura, per una corretta programmazione
e promozione delle attività, in funzione dello sviluppo dello scalo e quindi
dell’incremento dei traffici marittimi, anche nell’ottica (altro profilo innovativo) di un rinnovato rapporto con la città.
4. – La previsione della “previa intesa con il comune o i comuni interessati”49, permette una fattiva partecipazione dell’ente locale all’iter di adozione del piano50, con la conseguenza che la mancanza di assenso, che può essere accordato anche mediante un semplice nulla osta, deve considerarsi un
ostacolo alla conclusione del procedimento51.
Ancora, in merito al contenuto del piano, l’art. 5, comma 2, stabilisce che
in ogni caso “le previsioni del piano non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti” e quindi devono integrarsi con il piano regolatore
generale (PRG)52, in termini di compatibilità ed equilibrio tra le funzioni
portuali e quelle urbanistiche. Ciò comporta che il piano regolatore urbano e
quello portuale devono essere tra loro coerenti nelle rispettive linee e devono condividere lo stesso modello di sviluppo 53. La coerenza è richiesta anche
per quanto riguarda le aree che non hanno funzioni strettamente portuali,
ma connesse.
Dalla formulazione della norma sembra doversi ricavare una certa supremazia del piano comunale rispetto a quello portuale, atteso che il porto co49
Sul tema cfr. CHIOFALO M., La composizione dei diversi interessi territoriali, cit., 87 ss.
Sul tema, cfr. Cons. St., Sez. IV, 24 marzo 2006, n. 1538, in Dir. mar., 2007, 438, con nota
di ANGELONE C., Piani regolatori portuali e strumenti urbanistici: coesistenza di funzioni, ivi, 438 ss.
51
Così Corte cost. 7 ottobre 2005, n. 378, in Dir. mar., 2006, 480.
52
D’altra parte, la legge urbanistica 17 agosto 194, n. 1150 ha enunciato il principio secondo il quale il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale,
compresa la fascia costiera e la zona di mare ad essa adiacente. Così ANGELONE C., op. supra
cit., 445. Conseguentemente, le costruzioni eseguite dai privati nell’ambito dei porti e degli
adiacenti specchi acquei non sono sottratte alla disciplina urbanistica che compete al comune.
53
Non va dimenticato però che fanno parte dei Comitati portuali che adottano i piani anche i sindaci dei comuni interessati, e trovano rappresentanza tutti gli interessi rilevanti, sia
quelli pubblici, istituzionali, affidati alle istituzioni nazionali, regionali e locali, sia quelli degli
utenti portuali, imprese e lavoratori.
50
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stituisce parte integrante del territorio comunale 54.
Anche le citate “Linee guida” ministeriali suggeriscono un approccio integrato in cui, pur mantenendo il porto la sua autonomia, non viene trascurata la confinante realtà urbana e vengono considerate le aree di interazione
porto-città.
Nel caso in cui il piano contrasti con gli strumenti urbanistici vigenti,
l’intesa eventualmente accordata impegna formalmente il comune ad adottare la variante al PRG al fine di rendere tra loro coerenti i due strumenti di
pianificazione. In tal caso, la Regione approva prima l’eventuale variante al
piano urbanistico e successivamente quella al piano portuale.
Qualora la verifica della compatibilità da parte del comune sortisca esito
negativo, l’Ente locale potrà legittimamente negare l’intesa per mancata coerenza col piano regolatore generale, opportunamente motivando la decisione, cosa che non può fare, ad esempio, in caso di mancato accoglimento di
sue indicazioni di gradimento circa la destinazione di determinate aree.
Allorché si incontrino difficoltà nel trovare un’intesa, può risultare utile il
ricorso alla “conferenza dei servizi”55 – convocata dalla Regione, su proposta
dell’Autorità Portuale – ai sensi della nota legge 7 agosto 1990, n. 241 56 (art.
14, 14 bis e ter).
Il piano regolatore portuale è anche strumento di destinazione delle diverse aree a specifiche attività portuali, e quindi, oltre a coordinarsi col piano regolatore generale, deve raccordarsi con il “Piano Operativo Triennale”57
(POT), ulteriore strumento di programmazione del porto, nonché di pianifica54
Se questa è l’interpretazione più elastica dell’art. 5, e rispettosa delle competenze sia del
comune che delle Autorità portuali, non sono mancate posizioni più restrittive che hanno ri conosciuto al Comune una legittimazione in materia di pianificazione urbanistica, anche di carattere esecutivo, all’interno delle aree portuali.
55
Strumento espressamente previsto dal citato disegno di legge n. 1044. V. SANTINI M.,
Analisi della recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di conferenza di servizi , in Urbanistica e
appalti, 2004, 512 ss.
56
Recante: “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai docu menti amministrativi” (in G.U. n. 192 del 18 agosto 1990), modificata dalla legge 11 febbraio
2005, n. 15 (G.U. n. 42 del 21 febbraio 2005). Per un commento v., tra gli altri, ITALIA V. BASSANI M., Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti (legge 7 agosto 1990 n. 241 e
regolamenti d’attuazione), Milano, 1995, 2 ss.
57
Approvato, entro 90 gg. dal suo insediamento, dal Comitato, su proposta del presidente, e soggetto a revisione annuale. Cfr. GAROFALO V., Pianificazione e programmazione dello sviluppo dei porti, cit., 133 ss.
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zione attuativa, previsto dall’art. 9, comma 3, lett. a) della legge n. 84 col compito di individuare le “attività economiche imprenditoriali” che si svolgono in
ambito portuale e definire le “strategie di sviluppo” delle attività portuali e degli interventi necessari al perseguimento degli obiettivi prefissati.
5. – Dopo aver esaminato il contenuto e le attuali caratteristiche del piano regolatore del porto, ci preme esprimere qualche considerazione finale.
In una fase storica in cui la “regolazione del mercato” è affidata ad enti
pubblici di regolazione58 e promozione, quali sono le Autorità portuali, dovrebbe essere ormai superato il rigido, tradizionale modello di ripartizione
delle competenze per “circoscrizioni territoriali”.
Questa prospettiva dovrebbe ormai lasciare il posto a forme di competenza per sistema, che perseguano logiche di sviluppo in cui l’ambito portuale vada considerato come area di sviluppo e promozione del sistema portuale integrato sotto il profilo funzionale, amministrativo, logistico.
In questa nuova ottica, la regolazione e gestione dei porti deve essere
ispirata a criteri di sussidiarietà orizzontale 59, di multilevel governance60 e di leale
collaborazione interistituzionale in funzione della promozione del sistema
portuale, avuto riguardo ad un “mercato (comune) rilevante” e ai “nodi” 61
strategici di traffico, che costituiscono la base dei corridoi e delle reti transeuropee di trasporto62. Oggi le autorità (anche amministrative) nazionali –
58
V. CELLERINO C., Spazi di attività operativa dell’Autorità portuale e autonomia finanziaria, cit.,
895 ss.
59
Cfr. in particolare MUNARI F., La trasformazione dei porti da aree demaniali portuali a mercati:
amministrazione e gestione delle aree portuali tra sussidiarietà e privatizzazione, in Dir. mar., 2004, 374398.
60
Così CASSESE S., Le trasformazioni del diritto amministrativo dal XIX al XXI secolo, in Riv.
trim. dir. pubbl., 2002, 27 ss.; ID., Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, ivi, 2003,
35 ss.; CHITI E. – FRANCHINI C., L’integrazione amministrativa europea, Bologna, 2003, in particolare cap. III e IV.
61
Così disegno di legge n. 1044, cit., art. 3.
62
Il Libro Verde della Commissione dell’Unione Europea sui porti e sulle infrastrutture
portuali del 10 dicembre 1997 COM(97)678, pubblicato all’inizio del 1998, ha manifestato
l’orientamento dell’UE di assegnare ai porti una centralità nella politica dei trasporti europei.
Sulle reti transeuropee v. PARUOLO S., Le grandi vie europee di trasporto, in Trasp., 1995, 67;
PREDIERI A., Le reti transeuropee nei Trattati di Maastricht e di Amsterdam, in Dir. U.E., 3/1997,
304; ID., Gli orientamenti sulle reti transeuropee, ivi 4/1997, 569 ss.; GIACCARDI G. – MARESCA
M., La politica europea in materia di infrastrutture nel settore dei trasporti: la sua attuazione in Italia, in
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come ha sottolineato la Corte di Giustizia 63 – sono vincolate dall’obbligo di
interpretare il diritto nazionale conformemente al diritto comunitario,
quest’ultimo costituito non solo dalle norme contenute negli atti vincolanti,
ma anche nelle raccomandazioni, negli indirizzi di politica comunitaria, e
nelle mere indicazioni64.
La nuova logica competitiva è perseguibile solo se si riesce a costruire un
modello operativo-gestionale di “sistema portuale integrato”, fondato sulla
specializzazione e sull’integrazione con il territorio circostante, capace di inserire la singola realtà portuale nel tessuto economico complessivo, su scala
nazionale, comunitaria ed internazionale.
Riv. it. dir. pubbl. com., I/1998, 267 ss.; CANNIZZARO E., Regole di concorrenza e reti transeuropee: riflessioni sul problema della coerenza tra politiche comunitarie, in Dir. U.E., 2-3/2001, 392 ss. Si rinvia
altresì al nostro studio PELLEGRINO F., L’evoluzione della politica delle reti transeuropee di trasporto,
in I porti dell’area dello Stretto di Messina nelle reti transeuropee, cit., 123 ss.; AFFINITA T., L’area dello
Stretto: nodo dei corridoi tirreno e ionico-adriatico, ivi, 53 ss.; GALLANTI G., Pianificazione dei porti e dei
sistemi infrastrutturali in Europa, ivi, 61 ss.
63
Sentenze Corte Giustizia CE 22 giugno 1989, causa C-103/88, Fratelli Costanzo, in Racc.,
1989, 1839; sent. 13 dicembre 1989, causa C-322/88, Grimaldi, in Racc., 1989, 4407 e sent. 13
novembre 1990, Marleasing, causa C-106/89, in Racc, 1990, 1-4135.
64
Sulla base di una lettura aperta dell’art. 117 Cost. Cfr. VERMIGLIO G., Porti e reti di trasporto e di navigazione tra Stato e Regioni (dopo la modifica del Titolo V della Costituzione), in Dir. trasp.,
2003, 449 ss.: ID., La portualità tra Stato e Regioni, in Mare Porti e reti infrastrutturali: per una nuova
politica dei trasporti (a cura di Fanara E.), n. 20 della collana ricerche Cust, Villa S. Giovanni,
2002, 167 ss.; DE VERGOTTINI G., Le competenze in materia di porti alla luce della riforma della Costituzione, in Dir. amm., 2001, 4, 593 ss.
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