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NESSUNO LASCI SOLO CAINO
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVIII - NUMERO 7 - WWW.CARITASITALIANA.IT POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA settembre 2005 Italia Caritas CARCERI SOVRAFFOLLATE. E SE NON CI FOSSERO I VOLONTARI? NESSUNO LASCI SOLO CAINO METROPOLI LE “NUOVE PERIFERIE” NELLA CITTÀ SOTTO PRESSIONE SUDAN LA PACE IN SALITA, VIAGGIO NEL SUD DEL PAESE CASTE IN INDIA MAI PIÙ “OPPRESSI”, I DALIT CHIEDONO RISPETTO sommario ANNO XXXVIII NUMERO 7 Mensile della Caritas Italiana Organismo Pastorale della Cei viale F. Baldelli, 41 00146 Roma www.caritasitaliana.it email: [email protected] IN COPERTINA Detenuti in un carcere sovraffollato, come lo sono molti degli istituti di pena italiani, che ormai “ospitano” circa 60 mila persone foto Associated Press / Ap Pool Italia Caritas direttore Don Vittorio Nozza direttore responsabile Ferruccio Ferrante coordinatore di redazione editoriale di Vittorio Nozza IN DIALOGO CON IL DIVERSO, LA SOCIALITÀ GENERA SICUREZZA Paolo Brivio in redazione editoriale di Vittorio Nozza IN DIALOGO CON IL DIVERSO, LA SOCIALITÀ GENERA SICUREZZA paese caritas di Pierluigi Dovis LE DOMANDE DI FRANCO, LE RESPONSABILITÀ DELLA CHIESA parola e parole di Giovanni Nicolini NELLA VIGNA DEL SIGNORE UN COMPITO PER OGNI UOMO Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Giuseppe Dardes, Marco lazzolino, Renato Marinaro, Francesco Marsico, Francesco Meloni, Giancarlo Perego, Domenico Rosati 3 5 progetto grafico e impaginazione Francesco Camagna ([email protected]) Simona Corvaia ([email protected]) 6 stampa nazionale VOLONTARI “DENTRO”, ASCOLTO E CAMBIAMENTO di Daniela De Robert database di Walter Nanni LE CITTÀ SOTTO PRESSIONE E LE “NUOVE PERIFERIE” di Monica Martinelli NEL PAESE DEL RIGORE PIANGONO I SOLITI NOTI? di Paolo Pezzana dall’altro mondo di Delfina Licata IMMIGRATI ED ELETTORI, CITTADINANZA DA RIPENSARE di Ginevra Demaio contrappunto di Domenico Rosati progetti ISTRUZIONE Omnimedia via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (RM) Tel. 06/7989111 - Fax 06/798911408 8 sede legale viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma tel. 06 541921 (centralino) 06 54192226-7-77 (redazione) 14 15 offerte Paola Bandini ([email protected]) tel. 06 54192205 18 inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie arretrate 19 20 Marina Olimpieri ([email protected]) tel. 06 54192202 spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) art.1 comma 2 DCB - Roma Autorizzazione numero 12478 dell’8/2/1969 Tribunale di Roma 23 24 internazionale SUDAN, LA PACE IN SALITA TRA SPERANZE E PAURE «LE DONNE, SEGNO DI RICONCILIAZIONE» servizi di Giovanni Sartor conflitti dimenticati di Paolo Beccegato INDIA: MAI PIÙ “INTOCCABILI”, I DALIT CHIEDONO RISPETTO testi e foto di Paolo Aranha casa comune di Gianni Borsa BESLAN: «LE LACRIME SCORRONO, MA IL TERRORE NON HA VINTO» di Generoso Simeone contrappunto di Alberto Bobbio agenda territori villaggio globale Chiuso in redazione il 26/8/2005 26 28 AVVISO AI LETTORI Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas. 31 32 36 37 La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può trattenere fino al massimo del 5% sulle offerte per coprire i costi di organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione. Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite: ● Versamento su c/c postale n. 347013 ● Bonifico una tantum o permanente a: - Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100 conto corrente 11113 Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 Bic: CCRTIT2T84A - Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032 conto corrente 10080707 Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 Bic: BCITITMM700 ● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 541921 (orario d’ufficio) Cartasì anche on-line, sui siti: www.caritasitaliana.it (Come contribuire) www.cartasi.it (Solidarietà) 39 40 44 ritratto d’autore di Fabio Zavattaro I GELATI DI PADRE GIOVANNI PER IL POPOLO DELLA DISCARICA 47 immagine della città-fortezza, vigilata da torri e mura, è una fantasia arcaica. Nel mondo globalizzato, lo stesso concetto di territorio ha oggi un carattere identitario minore di quanto non dicano la vita vissuta insieme, la cultura, il lavoro, la relazione sociale, il rispetto della comune legge, l’intuito di un comune destino. È la città aperta e pacificata l’immagine della vita. Il terrorismo è un crimine letteralmente diabolico, perché la divide, la squassa, la incatena alla paura, L’ non è retorica credulona, ma è dar corpo alla propria vocazione in un luogo e in un tempo determinati, accanto a fratelli che non ci siamo scelti, di fronte a problemi che ci interpellano e ci chiedono responsabilità, discernimento e azione. È accompagnamento dei piccoli e dei poveri del mondo perché possano recuperare dignità; è impegno nelle zone devastate dalla guerra e dall’odio; è costruzione di pace nel quotidiano; è lotta alla criminalità e allo sfruttamento. È una carità non di corto respiro, ma incarnata nella storia e legata all’impegno per la giustizia e il bene comune, alla passione per la cooperazione e per lo sviluppo, alla valutazione critica e alla denuncia di ingiustizie che si perpetuano nel tempo a scapito di sempre più numerose persone. al sospetto, all’ostilità, al rancore, come in un’implacabile insonnia. Le Il terrorismo è crimine bombe non hanno dunque soltanto diabolico, perché divide straziato corpi, stanno già spargendo la società, incatenandola veleni negli animi. È impressionante al rancore.Ma le leggi vedere come le grandi speranze sulla speciali imposte convivenza multietnica e multicultudall’emergenza rale vengano ora denunciate come ilnon bastano.Il futuro lusioni fallite, e i loro modelli cedano della città aperta ai fantasmi di un futuro scontro epoè garantito da una rete di cale cruento fra culture inconciliabili. relazioni sociali amiche Siamo tentati di mettere in corto circuito, mentalmente, terrorismo-imPersuasione e rispetto migrazione-islam, e di avere la ricetta Accoglienza non può dunque signifiper sconfiggere il primo con il rigetto e l’espulsione dei care soltanto procurarsi un prestatore d’opera a basso comigranti, il rifiuto e lo scontro culturale, la blindatura. Ma sto, in fabbrica, a casa o nei campi. Significa invece inseil terrorismo ha cause diverse e complesse, ha focolai ali- rire quel lavoratore nel tessuto sociale, con le sue abitudimentati da vicende mondiali irrisolte, e forse non risolvi- ni e i suoi abiti mentali, iscrivere i suoi figli a scuola, farlo bili mediante pure strategie di guerra. parte della nostra comunità. L’accoglienza potrebbe alloNel caos e nell’incertezza di questo nostro tempo feri- ra essere forse condizionata a una formale dichiarazione, to e minacciato dall’incubo del terrorismo e dallo spau- da parte di chi la chiede, di accettazione dei principi che racchio dello scontro di civiltà, affermando la necessità di sono alla base del nostro contratto sociale. un dialogo che non si fermi alla facciata o agli abbracci Questi principi, fatti di persuasione e di pieno rimediatici un autorevole commentatore ha messo sullo spetto, non mutano per l’aggravarsi della minaccia terstesso piatto retorica credulona alla volemose bene e ca- roristica: anche in un’emergenza, persuasione e dovuto rità cristiana. Parole che chiamano in causa le molteplici rispetto restano i due fondamenti della convivenza espressioni in cui si manifesta l’azione della carità di cui umana. Alla fine, le nostre società multiculturali diverle Caritas sono promotrici, animatrici e strumenti di ser- ranno sicure solo se la persuasione avrà fatto il suo camvizio. La carità cristiana e l’essere figli dello stesso Dio mino, solo se la verità e l’eterogeneità delle culture che I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 3 editoriale paese caritas di Pierluigi Dovis direttore Caritas diocesana Torino vi s’incontrano non avranno distrutto il pluralismo. L’emergenza ci impone leggi speciali, e va bene. Ma la vita ci chiede anche altro. Il futuro della città aperta ha la sua difesa negli uomini che la abitano, casa comune dove le diversità si integrano in dialogo anziché cementarsi nei ghetti; dove le culture accettano tutte un’identica legge civile sulla libertà e sui diritti umani; dove la rete delle relazioni sociali amiche, in luogo dell’indifferenza, assolve la funzione preziosa del controllo reciproco. È la socialità che bandisce i nemici. Le prospettive pastorali espresse dalla Chiesa italiana dopo il convegno di Palermo (Con il dono della carità dentro la storia, 1996) e gli orientamenti pastorali del decennio in corso (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia) hanno inaugurato un processo di educazione e di testimonianza della carità come espressione di una nuova relazione amica tra Chiesa e mondo. Una relazione che parte e si alimenta dalla consapevolezza che “…in Cristo coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono”. La scoperta della presenza reale di Gesù dentro la nostra vita e dentro la storia chiede fede e matura nella fede: una fede intelligente, che si confronta sempre con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi. La presenza di Gesù e la relazione con Lui scoperta e alimentata nello Spirito ci rendono fraternità, generano relazioni nuove con gli altri. Il volto delle relazioni umane diventa pertanto un volto di famiglia. Da ciò non scaturisce retorica, ma impariamo a distinguere quello che nasce solo dal nostro cuore e quello che nasce dal cuore della comunità cristiana; quello che è frutto di un buonismo di moda da quello che è maturato nella fede; quello che va ancora a nostro vantaggio da quello che libera e promuove i più poveri; quello che ci cambia di dentro da quello che ci mostra solo al di fuori; quello che crea fraternità da quello che crea solo nuovi steccati tra chi è più bravo (il figlio fedele) e chi ha sbagliato (il figlio prodigo). Tolleranza contro intransigenza In quest’ottica l’impegno di carità diviene responsabilità verso la comunità, cioè verso una relazione e una comunione in divenire, non sempre compiuta, non compiutamente visibile, spesso addirittura lacerata o controversa. La testimonianza della carità diventa così ricerca del dialogo, fondato su una consapevolezza antropologica cruciale: il diverso è sorgente insopprimibile del progresso umano, pertanto una società non solo non può sottrarsi alla responsabilità di spalancargli le porte, ma deve pure preoccuparsi di salvare la sua diversità. Tutto questo per fedeltà al Vangelo e dando luogo a significative convergenze con gli uomini e le donne che credono nel valore della vita, nella dignità di ogni persona, nell’incontro e nella solidarietà tra diversi. Senza far finta che non esistano problemi, che non possano sorgere incomprensioni, ma certi che non esiste altra strada che quella dell’incontro, del dialogo, della consapevolezza dei diritti e doveri di ciascuno. E riguardo ai fedeli dell’Islam, perché non scommettere che la reciproca conoscenza, le ripetute occasioni d’incontro e la tolleranza abbiano un effetto positivo anche sulle componenti più intransigenti dell’una e dell’altra parte? ‘‘ Il diverso è sorgente insopprimibile del progresso umano: una società non può non spalancargli le porte, e deve pure preoccuparsi di salvare la sua diversità ’’ 4 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 LE DOMANDE DI FRANCO, LE RESPONSABILITÀ DELLA CHIESA ranco era un ragazzone di 25 anni che da sempre riteneva il discorso della montagna un’opera giovanile di Tolkien e le beatitudini un gruppo pop dei primi anni Sessanta idolatrato dai suoi vecchi. Per ovviare alla scocciatura del servizio militare aveva fatto domanda come obiettore di coscienza in Caritas. Era stato assegnato a un centro di ascolto parrocchiale, dove aveva iniziato a supportare il servizio dei volontari. Più passava il tempo, più si sentiva scosso dalle storie che ascoltava. E gli sorgeva la domanda: perché? F attraverso l’accorgersi dell’altro. Ma non solo. Le nostre stesse comunità possono proporre la speranza del Vangelo a partire dall’approccio diretto che consiste nell’attenzione, nell’accoglienza, nel dialogo, nella relazione significativa. In una parola: nella carità. Anche per questo è ormai indispensabile che in ogni comunità cristiana ci sia uno strumento di animazione pastorale alla carità. Uno strumento capace di far scoprire nel volto del più povero i tratti del volto del Dio crocifisso e risorto. Uno strumento che abbia la capacità di diventare gancio per tante persone distratte da molti messaggi. Il diacono gli parlava sempre più spesso di una ragione alla sofferenza Un giovane riscopre delle persone, di un progetto di giuil senso del suo stizia ben diverso da quello attuato battesimo operando, dalle varie politiche, di un senso. Parcome obiettore, lava di una persona che aveva guaral centro d’ascolto. dato negli occhi i poveri e i sofferenti, Così la comunità li aveva sollevati, aveva donato loro Il motivo ispiratore cristiana può un perché con il quale affrontare le Gente che se la cava, ma che ha ne“agganciare”molte difficoltà, semplicemente facendosi cessità di incontrare Gesù. Li si può persone:non a partire loro compagno di viaggio. Insomma, agganciare non a partire da un’idea, da un’idea, ma con la esattamente quello che i volontari ma da un modo di essere e da una testimonianza della carità stavano cercando di fare con gli ospipersona. La carità – o meglio la testiti. Franco aveva iniziato a scorgere monianza di carità, volto umananel volto del povero quello di Cristo. Oggi quella Persona mente possibile dell’agape – è traduzione della natura la incontra quotidianamente e il battesimo che aveva ri- stessa di Dio e, quindi, è capace di rimandare a Lui. Ma per cevuto da piccolo ha finalmente un senso. arrivare a tanto deve essere di qualità. Va ancorata al motiIl Concilio ci ha consegnato che gioie e dolori, soffe- vo ispiratore, al Vangelo che non è anzitutto dottrina, ma renze e angosce dell’uomo devono suscitare l’attenzione Persona. Va coltivata nel solco dell’andare, ovvero come della Chiesa. Non perché essa sia la pietosa infermiera del- strumento di missione. Va vissuta come atteggiamento di la storia, ma perché sappia consegnare speranza e fiducia. dialogo, servizio, dedizione, perdono, umiltà, sincerità. Esperta in umanità, la comunità cristiana condivide, conEsiste una grave responsabilità per la comunità critinuando il mistero dell’Incarnazione, le domande spesso stiana di oggi: essere annunciatrice del Signore in tutte inespresse di un contesto sociale e culturale ormai etero- le espressioni della vita pastorale. La parrocchia è davgeneo e occupato da molti sistemi di valore, o da grossi vero missionaria se sa puntare sulla sinergia delle “buchi neri” spacciati per certezze. Ancora di più, essa as- espressioni pastorali. E se saprà fare della testimoniansume quelle domande e le può avviare a una risposta. za della carità annuncio di Vangelo. Perché il linguaggio Come Franco, anche molte persone possono incam- dell’amore è facilmente comprensibile e apre il cuore minarsi verso la speranza attraverso incontri significativi, ad accogliere. Franco docet. I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 5 parola e parole di Giovanni Nicolini NELLA VIGNA DEL SIGNORE UN COMPITO PER OGNI UOMO Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. (…) Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? (…) Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi (Mt. 20, 1-16) l 18 settembre la liturgia domenicale celebra la “parabola degli operai nella vigna”, che solo il Vangelo secondo Matteo annota e che mi sembra di grande spessore per le attenzioni privilegiate richieste alla Caritas nella comunità eccclesiale. Come abbiamo più volte ascoltato nelle letture delle domeniche d’estate, l’esordio della parabola è ancora riferito al Regno dei cieli, che il Signore Gesù è venuto ad annunciare e a donare all’umanità. L’immagine utilizzata nel capitolo 20 è quella di una vigna, dalla quale più volte il padrone esce I ha presi a giornata”, è la risposta. Mansioni e reciprocità La fede cristiana è tutta una grande esaltazione dell’opera, dell’azione. Solo una spiritualità tardiva e extrabiblica fa distinzione tra vita attiva e vita contemplativa. La vita secondo lo Spirito è tutta attiva. È tutta l’opera di Dio in noi. È l'opera di chi si consuma nella cura dei piccoli, per chiamare al lavoro gli operai. ed è l’opera di chi si consuma nella Fin da principio è chiaro che supplica e nella lode di Dio. Operare per il Regno: poter lavorare in questa vigna è il In questa meravigliosa vigna ci è questo, non vero privilegio. Lo svantaggio, la sono molte mansioni. L’importante il compenso che ne disgrazia, è rimanere fuori senza è che ognuno possa avere la sua può derivare, lavoro. Dunque, la chiamata del opera da compiere. Abbiamo conoil privilegio prospettato sciuto l’amore di Dio quando Gesù padrone a lavorare nella sua vigna alla nostra vita. ci ha lavato i piedi e ci ha chiesto di si rivela progressivamente come il Un insegnamento per la lavarci i piedi gli uni gli altri. La cadono più importante che si può riCaritas: occorre aiutare rità è reciprocità. Non c’è chi dà e cevere. La carità divina qui si rivetutti non a sopravvivere, chi riceve. Ognuno riceve e dà. La la come il dono di poter operare. ma a valorizzare carità non è aiutare a sopravvivere, Tutta la polemica che gli operai il proprio talento ma incoraggiare a vivere. della prima ora instaurano con il Quello che la Caritas cerca di signore della vigna, riguardo al problema del salario, dice in certo modo il degrado di mettere al centro è il tentativo di consegnare a ogni una sensibilità che non sa apprezzare l’opera che ci è persona un talento grazie al quale operare, un’opera concesso di compiere, concentrandosi invece sulla da svolgere. Si ama ascoltare ogni persona per promuovere in ciascuno la possibilità di una nuova via di paga che da questa possibilità proviene. Invece, il vero compenso è lavorare nella vigna, e operosità e di responsabilità. In nome del Signore si per questo la paga è uguale per tutti, anche per quelli esce dalla vigna, per cercare e chiamare chi dalla fatiche il padrone ha trovato all’ultima ora e che ha rim- ca e dalla ferita dell’esistenza fosse stato privato di proverato, ricevendone una risposta altrattanto severa: ogni possibilità di operare. Trovare anche per lui un “Perchè ve ne state qui tutto il giorno oziosi?” (il termi- posto nella splendida vigna di Dio, è la finalità ne letterale dice “senza opera”, ndr). “Perchè nessuno ci profonda di ogni nostra impresa. 6 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 Italia Caritas le notizie che contano Per ricevere il nuovo Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione, che ammonti ad almeno 15 euro. A partire dalla data di ricevimento del contributo (causale ITALIA CARITAS) sarà inviata un’annualità del mensile. un anno con Italia Caritas Nel 2004 abbiamo cambiato veste. Nel 2005 stiamo migliorando ancora. Contenuti incisivi. Opinioni qualificate. Dati capaci di sondare i fenomeni sociali. Storie che raccontano l’Italia e il mondo. Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas” L E G G I L A S O L I DA R I E T À , S C E G L I I TA L I A CA R I TA S Per contribuire • Versamento su c/c postale n. 347013 • Bonifico una tantum o permanente a: - Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100 conto corrente 11113 - Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 Bic: CCRTIT2T84A - Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032 conto corrente 10080707 - Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 Bic: BCITITMM700 • Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06.54.19.21 (orario d’ufficio) Cartasì anche on-line, sui siti www.caritasitaliana.it (Come contribuire) www.cartasi.it (Solidarietà) Per informazioni Caritas Italiana viale F. Baldelli 41, 00146 Roma tel 06.54.19.22.02 - fax 06.54.10.300 e-mail [email protected] nazionale pianeta carcere di Daniela De Robert ultimo dato sul carcere è spaventoso: gli uomini e le donne che nel nostro paese vivono dietro le sbarre sono oltre 59 mila. Una cifra mai raggiunta, dietro alla quale si nasconde una realtà di sofferenza, disagio e violenza difficilmente immaginabile. Una realtà in cui manca lo spazio minimo vitale, le cure sanitarie sono spesso un optional, gli operatori istituzionali sono in numero assolutamente insufficiente, la presenza di poveri e persone fragili è in costante aumento e i fondi in costante calo. E tutto questo, in un clima generale in cui le parole tolleranza e reinserimento trovano ben poco spazio. In questo contesto agiscono i 7.800 volontari e operatori “della comunità esterna”, censiti dalla quarta rilevazione nazionale della Fondazione italiana per il volontariato. E se ancora i volontari non riescono a coprire tutti i 200 istituti penitenziari, lo storico svantaggio del sud rispetto al centro-nord si è notevolmente ridotto, passando dal 19,4% della precedente rilevazione al 32,7% del 2004. Restano ancora profonde disomogeneità regionali: in testa Toscana (1.294 operatori per 3.975 detenuti) e Basilicata (223 operatori per 444 detenuti), in coda Campania e Molise (rispettivamente con 157 operatori per 7.191 detenuti e 11 operatori per 427 detenuti). In prevalenza donne, con un’equa ripartizione tra giovani-adulti e ultraquarantacinquenni, volontari e operaSono molte le attività di animazione socio-culturale tori che accedono alle carceri italiane agiscono in manie- realizzate: si va dalla gestione della biblioteca alla redara molto differenziata tra loro, ma sempre garantendo un zione di un giornale, dagli spettacoli teatrali ai tornei intervento a favore del processo di risocializzazione e sportivi, che magari coinvolgono squadre esterne. E anreinserimento, che – secondo la Costituzione e la legge cora gare di cucina, feste della musica, feste con i famiitaliana – sono il perno della vita carceraria. liari, pranzi di Natale, persino gare di presepi tra le sezioni. Sono attività che aiutano a riempire la giornata, a Il ruolo degli “articoli 17” impegnarsi nel raggiungimento di un obiettivo, a reimIntanto, va chiarita la differenza tra “operatori della comu- parare a lavorare insieme, e che elevano il clima relazionità esterna” e “volontari”. Questi ultimi sono coloro che nale del carcere, rendendolo più vivibile. prestano un servizio gratuito all’interno degli istituti peniMa ci sono anche gli incontri personalizzati, i colloqui, tenziari. Gli altri sono persone esterne all’amministrazio- l’ascolto delle persone più fragili, più sole, più provate dalne penitenziaria che, pur agendo con una forte motiva- la vita carceraria, ma spesso anche dalla vita libera. Semzione e finalità sociale, percepiscono una retribuzione: pre più il carcere infatti si sta trasformando in un contenioperatori delle cooperative sociali o che lavorano nell’am- tore degli scarti umani della società: tossicodipendenti, bito del non profit, oppure soggetti che portano avanti malati, immigrati più o meno regolari, poveri, senza tetto, progetti culturali, ricreativi, di formazione professionale. malati di mente. Sono queste le persone che più facilPer il carcere sono genericamente tutti “volontari”, per i mente finiscono in carcere, che più difficilmente ne escodetenuti sono tutti “articoli 17”, in riferimento all’ordina- no e che spesso ne diventano ospiti cronici. Per loro c’è mento penitenziario del 1975 che prevede, appunto, la ben poco. Non bastano certo gli assistenti sociali del cen“partecipazione di privati e istituzioni o associazioni pub- tro di servizio sociale per adulti, in numero del tutto inbliche o private all’azione rieducativa”. sufficiente per portare avanti anche la normale amminiDal 1975 a oggi la presenza nelle carceri della società strazione delle relazioni socio-familiari dei detenuti che civile è andata crescendo per quantità e qualità, in ma- chiedono di accedere ai benefici di legge (permesso preniera sempre più coordinata con gli operatori istituzio- mio, semilibertà, affidamento in prova al servizio sociale o nali, che considerano questa presenza una risorsa. In ef- presso una comunità terapeutica). Né bastano gli educafetti, secondo la rilevazione il 72% delle attività di volon- tori, che non hanno strumenti di sostegno per i detenuti. tari e operatori della comunità esterna è stata valutata E neppure gli agenti di polizia penitenziaria, che nella midagli operatori penitenziari come eccellente e realmen- gliore delle ipotesi segnalano la situazione di difficoltà al te in grado di interessare e coinvolgere i detenuti. cappellano o ai volontari. All’ascolto dunque spesso si af- L’ VOLONTARI “DENTRO”, ASCOLTO E CAMBIAMENTO Le carceri italiane scoppiano. E non favoriscono il reinserimento sociale. La presenza di “operatori della comunità esterna” è uno dei pochi elementi di umanizzazione. A favore dei detenuti più fragili, sovente lasciati a se stessi I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 9 nazionale pianeta carcere Bergamo punta sulla mediazione penale, prove di dialogo tra vittime e colpevoli Avvicinare i carnefici alle vittime e farli dialogare. Poi portare gli uni a chiedere il perdono e gli altri a concederlo. È il senso della cosiddetta “mediazione penale”, attuata per conciliare un detenuto con chi ha subito gli effetti negativi del reato da lui commesso. Don Virgilio Balducchi è il cappellano del carcere di Bergamo e il delegato dei cappellani della Lombardia. Coordina un progetto, chiamato “Poveri, ma cittadini”, finalizzato alla formazione di dodici volontari per la mediazione penale, che opereranno nell’istituto penitenziario di Bergamo. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con Caritas Italiana nell’ambito dei finanziamenti otto per mille, ha visto chiudere i corsi di formazione a giugno: i volontari opereranno a partire da settembre. «La mediazione penale – attacca don Balducchi – è prevista dalla legge per i reati di competenza del giudice di pace e per quelli commessi da minorenni. In Italia è poco diffusa: stiamo iniziando ora, altri paesi sono molto più avanti di noi. La mediazione è contemplata nei reati adulti solo quando il giudice stabilisce che il detenuto possa accedere a misure alternative di pena. In questo caso, colui che ha commesso il reato può beneficiare di una forma di detenzione alleggerita, solo se chiede e ottiene il perdono dalla propria vittima o dai famigliari di quest’ultima». La lettera dei figli dell’ucciso Una situazione del genere è capitata realmente a don Balducchi: «Un uomo, in carcere da dieci anni per aver commesso un omicidio, ha ottenuto dal tribunale la possibilità di accedere a una misura di pena alternativa e meno dura di quella che aveva 10 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 scontato fino a quel momento. La condizione era chiedere perdono ai figli della persona uccisa, riconoscendo di aver commesso un atto assolutamente sbagliato e di cui si dichiarava pentito. Io e un altro volontario abbiamo avvicinato i famigliari della vittima e abbiamo intrapreso con loro un dialogo finalizzato a un cammino di mediazione. Queste persone sono state molto comprensive e hanno scritto una lettera al giudice, nella quale si dichiaravano disponibili a perdonare. In questa vicenda ha contato molto la fede. I figli della persona uccisa sono molto credenti e il loro gesto è stato un atto da cristiani. Non hanno chiesto garanzie particolari, hanno solo voluto che il detenuto continuasse a fare bene il suo percorso di reinserimento sociale. Hanno detto molto chiaramente che per loro si riaprivano delle ferite, ma hanno ritenuto che il perdono fosse la cosa più giusta che potessero fare. Non è stata una mediazione in senso stretto, essa avviene in un’altra maniera: detenuto e vittima si incontrano effettivamente alla presenza di una terza persona che fa da mediatore e ha il compito di far dialogare le due parti, far esprimere loro i propri vissuti affinché trovino una soluzione al proprio conflitto». I dodici volontari bergamaschi che opereranno come mediatori hanno un’età compresa tra 25 e 65 anni, sono metà uomini e metà donne, hanno lavori diversi. «Abbiamo cercato di rappresentare varie tipologie di persone – spiega il cappellano –. La mediazione penale è più efficace quando il detenuto ha elementi in comune con il mediatore». Don Balducchi racconta che, in quanto cappellano, spesso è chiamato in causa dai detenuti o dalle vittime che cercano di riconciliarsi. «Una volta – conclude – l’avvocato di una signora a cui avevano svaligiato il negozio mi ha contattato perché la sua assistita voleva ritirare la denuncia al rapinatore, a patto che egli si facesse curare in una comunità per tossicodipendenti. Questo dimostra che, a fronte di tante persone che chiedono maggiori condanne, c’è anche gente che ammette che ci possono essere strumenti migliori del carcere per risolvere i problemi di giustizia. È proprio quello che ci prefiggiamo di fare [Generoso Simeone] con la mediazione penale». fianca anche il sostegno materiale, con la distribuzione di vestiti e di generi per l’igiene personale. Difficile l’accesso al lavoro Poi ci sono le attività religiose cristiane e delle altre religioni, e soprattutto oggi, a causa della fortissima presenza di detenuti stranieri, gli interventi di mediazione culturale (non previsti dall’istituzione penitenziaria). E ancora l’accompagnamento e l’accoglienza in permesso premio delle persone sole e prive di un domicilio. Inoltre, nonostante negli istituti penitenziari siano funzionanti attività scolastiche, diverse iniziative formative e di studio sono condotte dai volontari, attraverso corsi e attività di tutoraggio per il recupero di competenze o titoli di studio. Meno praticate risultano, secondo la rilevazione nazionale, le attività collegate con il lavoro, sia dentro che fuori, anche se negli ultimi anni sono nate diverse cooperative sociali fi- nalizzate al reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti. Ma chiunque frequenti il carcere sa quanto sia difficile trovare un posto di lavoro per chi sta o è stato “dentro”. Ed è anche per rispondere in maniera più sistematica a questo genere di esigenze che si sono andate rafforzando le attività di segretariato sociale e patronato, oggi presenti in un terzo dei carceri italiani. Dunque è una presenza forte, quella del volontariato in carcere. Per certi versi indispensabile. Una presenza che cerca di dare risposte alle necessità dell’istituzione e dei detenuti, ma anche una presenza critica, di cambiamento, capace di sensibilizzare la società libera nei confronti del duro mondo che si consuma dietro le sbarre. Capace di lavorare per un cambiamento radicale della cultura della vendetta, a favore di una cultura della riconciliazione e della convivenza. Per una società più sicura e più libera. La nuova cultura della giustizia che nasce dai “segni” di tutela Servizi multiformi per i detenuti da molte Caritas diocesane. Ma la sfida è alimentare una convinzione: la “ragionevolezza del perdono” di Giancarlo Perego l carcere è uno dei luoghi significativi del lavoro pastorale in Italia, dove coniugare promozione della giustizia e del perdono, della pace e della preferenza per i più deboli. Oggi come ieri è un luogo dove la Chiesa pone un “segno” a difesa, a tutela del colpevole che diventa vittima, perché solo, rinnegato, disperato, malato. Gli oltre 200 istituti penitenziari italiani sono sovraffollati: ospitano quasi 60 mila detenuti, numero più che raddoppiato in dieci anni, con conseguenti problemi di sovraffollamento (la capienza degli istituti supera di poco i 40 mila posti). Il carcere è abitato da colpevoli reali, il 50%, e da presunti tali. Altre 60 mila persone colpevoli di reati scontano la propria pena fuori, grazie a misure alternative. Tra i carcerati ci sono i “primi” e gli “ultimi”, i continuamente ricordati e i dimenticati. Ci sono uomini (96%) e donne (4%), adulti e minori (oltre 3.500, di cui 2 mila stranieri). Ci sono i tossicodipendenti (15.558, secondo gli ul- I timi dati Istat), i sieropositivi (15 mila circa) e i malati di Aids, che non ricevono un’adeguata assistenza sanitaria e sono in attesa di una casa di accoglienza. Metà dei detenuti ha l’epatite C, anticamera di cirrosi e cancro. Tra i carcerati c’è chi è sposato, ha figli a carico, e vive con difficoltà il legame familiare; l’età media è tra i 20 e i 39 anni. Molti sono stranieri: rappresentano almeno 80 nazionalità, sono più di 18 mila (quasi il 30% dei detenuti), la maggior parte scontano pene per reati minori (73%) e contro il patrimonio (pena fino a 2 anni) e sono certamente tra i più dimenticati. Tra i carcerati ci sono persone in attesa di espulsione: sono i reclusi nei Centri di permanenza temporanea (Cpt). In carcere le persone malate di mente o con problemi psicologici e psichiatrici sono almeno 15 mila, a cui si aggiungono gli oltre 1.200 detenuti negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani. Tra i detenuti il 30% al momento dell’ingresso in carcere era senza una dimora: I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 11 nazionale LUCIO MARIA CAVICCHIONI pianeta carcere LA CLEMENZA E IL REINSERIMENTO Papa Giovanni Paolo II in visita al carcere romano di Rebibbia: per il Giubileo del 2000 chiese con forza un gesto di clemenza. A destra, detenuti al lavoro nei laboratori di un carcere milanese non aveva casa né residenza. Ma vicino ai detenuti, nelle carceri italiane operano solo 1.000 educatori; in compenso ci sono 40 mila agenti di custodia. Oltre l’ansia di repressione Chi vive in carcere attende un “segno” che dica “Dio non si dimentica di te”, attraverso l’opera delle persone e delle istituzioni che amano l’uomo e la sua vita nonostante la colpa, come Dio ha fatto per Caino. Infatti è solo un carcerato su quattro a lavorare, i rapporti con la famiglia sono difficili se non impossibili, la salute s’indebolisce anche sul piano psichico, il carcere è “fuori” dalla città, dai circuiti vitali del territorio, che permettano una cittadinanza attiva. Da qui devono ripartire i nuovi “segni”, le “alternative”, il lavoro di Caritas Italiana e delle Caritas diocesane. Esse in questi anni hanno sviluppato multiformi servizi per le persone detenute e i loro familiari; tali servizi, secondo una recente indagine interna, manifestano una maggiore capacità di “visitare” i detenuti, più che uno sforzo di liberarli dalla necessità del carcere. Il 95% delle Caritas coinvolte svolge attività all’interno del carcere, solo il 40% anche all’esterno; tra le attività più citate rientrano il “colloquio, ascolto e sostegno personale” (50%) e le attività di “segretariato sociale” (20%). Il lavoro in carcere non può disattendere un lavoro intenso per una nuova cultura della giustizia. La ragionevo12 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 lezza del perdono non è facile da far comprendere, come anche la ragionevolezza della pace: soprattutto quando l’uno e l’altro sembrano andare contro la giustizia e la sicurezza. Nell’attuale contesto sociale, ogni discorso sulla remissione della pena dei detenuti è sempre legato alla necessità di sicurezza dei cittadini e alla considerazione sociale delle vittime dei delitti. L’opinione pubblica rimane sempre più turbata da fatti di violenza nei confronti di anziani, bambini, commercianti, che partendo dall’intenzione di un furto arrivano facilmente all’omicidio. Nei sondaggi è forte il favore verso misure repressive, in un gioco al rialzo tra repressione e sofisticazione delle tecniche dei delitti che non sembra avere limiti. Scarsa è invece l’attenzione alla prevenzione dei delitti, soprattutto di microcriminalità, che richiederebbe di rafforzare i legami sociali in quartieri, paesi e campagne, dove sempre più spesso si vive come in fortini assediati. Le comunità cristiane, per loro definizione, dovrebbero essere tra le prime a promuovere una solidarietà di base e luoghi di socialità che “controllano” socialmente il territorio. Ha scritto Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata della pace 2002: “Nella misura in cui affermiamo un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una politica del perdono, espressa in atteggiamenti sociali e in istituti giuridici nei quali la giustizia assuma un volto più umano”. Accoglienza e rispetto dell’ambiente, nell’azienda agricola si lavora a un futuro “pulito” «Una reale alternativa di vita, non solo una misura alternativa al carcere»: Gianluca Zappacosta sintetizza così il senso del progetto “La convivialità delle differenze”, che prevede percorsi di reinserimento socio-lavorativo con detenuti, in prevalenza immigrati. Il progetto, finanziato da Caritas Italiana, prevede il coinvolgimento delle quattro Caritas diocesane del Molise, di alcune associazioni di volontariato, dell’azienda agricola “Di Vaira – Terra di solidarietà” e degli istituti di pena di Larino (Cb) e Vasto (Ch). «La nostra – prosegue Gianluca, responsabile della cooperativa “Il Noce” di Termoli, uno dei referenti del progetto – vuole essere una proposta chiara per i detenuti: affrontare le ragioni del disagio che li ha portati in carcere, così come in comunità terapeutica i tossicodipendenti affrontano il malessere che li ha portati a scegliere alcool e droga per cambiare strada». È un metodo del tutto diverso delle leggi che vigono in carcere, «dove la regola è l’omertà e il nascondere quanto più possibile se stessi e ciò che si porta dentro. Per questo le autorità penitenziarie ci incoraggiano e nel carcere di Vasto è stata costituita un’équipe congiunta di educatori penitenziari e operatori volontari, che a partire da agosto lavora in gruppo con i detenuti disponibili ad aderire al progetto». Per cominciare, spiega Gianluca, occorre «capire che da soli non si riesce a superare alcuni problemi e imparare a chiedere aiuto. Per affrontare un percorso che obbliga a convivere con altre persone, ad accettare regole e a mettersi in discussione, occorre coraggio e non bisogna mai perdere di vista i passi già compiuti». Accoglienza e rispetto ambientale L’inserimento lavorativo dei detenuti che usufruiranno di questa misura alternativa al carcere avverrà nell’azienda agricola Di Vaira di Petacciato (Cb). Costituita nel 1950 come ente di beneficenza, ha a capo del consiglio di amministrazione il vescovo della diocesi di Termoli-Larino. La Di Vaira è al centro di diversi progetti di solidarietà sociale indirizzati al reinserimento di persone che hanno perduto il lavoro in età matura e all’inserimento lavorativo di persone con disagio mentale, disabili e rifugiati, oltre che alla formazione di giovani studenti interessati a un’esperienza di agricoltura secondo sistemi ecocompatibili ed ecosostenibili. La scelta della solidarietà si coniuga con quella del rispetto del territorio, della sua cultura e delle peculiarità paesaggistiche e ambientali: nell’azienda Di Vaira non ci sono coltivazioni con semi ogm e larga parte dei terreni è destinata a pratiche colturali biologiche. «Il lavoro in un’azienda agricola – spiega Gianluca – consente di proporre i valori di una vita sana sotto molti profili. Inoltre, nell’esperienza già svolta con i ragazzi della comunità terapeutica abbiamo constatato che il lavoro agricolo forma alla pazienza dei tempi lunghi: veder crescere e poi raccogliere prodotti curati a lungo dà molta soddisfazione». La nuova sfida, però, non è priva di resistenze. «Il progetto di accoglienza di persone che vengono dal carcere – riconosce Gianluca – crea più di un allarme nella comunità civile. Però occorre conoscere bene i termini di quello che viene attuato: le persone prescelte sono responsabili di reati minori e in genere segnate da una condizione di tossicodipendenza. Abbiamo rivolto il progetto in particolare agli immigrati, che in mancanza di parenti vicini non possono usufruire dei brevi permessi premio concessi ai detenuti. Sono davvero la categoria più emarginata. Vogliamo evitare che la loro situazione venga peggiorata dalla detenzione: devono avere la possibilità, con la vita comunitaria e il lavoro, di riappropriarsi di un destino diverso. Perché magari un giorno, tornati ai paesi d’origine, possano farsi portatori di modalità analoghe [Chiara Santomiero] di reinserimento sociale». I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 13 nazionale nazionale esclusione politiche database sociale sociali PIÙ CANNABIS E COCAINA, COSÌ CAMBIA IL PIANETA DROGA di Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana l 30 giugno 2005 è stata presentata dal ministro Carlo Giovanardi la “Relazione al Parlamento 2004 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia”, realizzata dall’Ufficio per il monitoraggio del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga (Dnpa). I rilievi sulla popolazione generale e studentesca suggeriscono un incremento del consumo di sostanze illegali, in particolare di cannabis e cocaina. Continua inoltre a diffondersi, nel nostro paese, il consumo di psicostimolanti rispetto a quello dei depressori del sistema nervoso centrale. Il 26% della popolazione studiata, tra i 15 e i 44 anni di età, ha fatto uso di cannabis I accoglienza) per un intervento terapeutico e di reinserimento sociale. Tra il 2001 e il 2004, si è assistito a una costante diminuzione dei trattamenti di disassuefazione mediante farmaci non stupefacenti, che oggi rappresentano circa il 3% degli interventi farmacologici. L’82% dei trattamenti farmacologici è attuato con metadone (a dosi decrescenti, medio e lungo termine). Dal 2001 al 2004 si è assistito a un aumento della quota di terapie a lungo termine, a fronte di una leggera diminuzione di quelle a medio termine e a dosi decrescenti. almeno una volta nella vita. Il 5,4% La relazione 2004 dei soggetti intervistati riferisce inveal Parlamento evidenzia ce di aver fatto uso di cocaina almeche l’uso di sostanze no una volta nella vita. Tra gli stuillegali è in aumento. denti, il 32,1% ha fatto uso di cannaUn quarto dei detenuti Ma si è stabilizzato, bis e il 4,8% di cocaina almeno una o Tra il 2001 e il 2003 in Italia si sono dopo anni di calo, più volte nella vita. L’esposizione alle registrati complessivamente 84.024 il ricorso all’eroina. sostanze illegali appare già consiricoveri, sia ordinari che in day hoForte e preoccupante stente tra gli studenti di 15 anni e laspital, con diagnosi principale o è la correlazione scia intuire che il primo contatto con concomitante relativa all’utilizzo di con disturbi psichiatrici le droghe possa avvenire, per una sostanze psicotrope. Un numero e carcerazioni porzione di giovanissimi, già qualconsistente di pazienti tossicodiche anno prima di questa età. pendenti si è rivelato affetto da diNel 2004 si sono ridotte, rispetto sturbi psichiatrici maggiori (30%) o al 2001, le percentuali di coloro che si espongono all’eroi- da disturbi della personalità (59%). na tra i più giovani. I decessi per overdose rilevati nel 2004 In Italia, al 31 dicembre 2004, i detenuti tossicodipensi sono attestati a 441 casi, senza differenze di rilievo ri- denti erano 15.558, di cui 14.884 uomini e 674 donne. I tosspetto al biennio precedente; tale stabilità fa seguito a sicodipendenti costituiscono il 27,7% della popolazione una progressiva diminuzione, incominciata nella secon- carceraria complessiva (56.068 unità). La regione d’Italia da metà degli anni ’90. con il numero più elevato di tossicodipendenti in carcere In Italia, la rete delle risposte al problema è costitui- è la Lombardia: 2.364 presenze. L’incidenza percentuale ta da oltre 500 servizi per le tossicodipendenze e da cir- più elevata si riscontra invece in Sardegna, dove il 38,8% ca un migliaio di realtà terapeutico-riabilitative del priva- dei detenuti è tossicodipendente. to-sociale. Nel 2004 le persone che sono state trattate I detenuti stranieri tossicodipendenti a fine 2004 erano dai servizi territoriali per le tossicodipendenze (Sert) so- 3.346, pari al 18,7% del totale degli stranieri in carcere. La reno risultate pari a 171.724. Sono stati invece 17.143 i gione d’Italia con l’incidenza più elevata di tossicodipensoggetti inviati nelle strutture socio-riabilitative del pri- denti stranieri è l’Umbria, dove tale categoria di soggetti è vato sociale (residenziali, semi-residenziali o di prima pari al 39,6% del totale degli stranieri in carcere. 14 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 aree metropolitane LE CITTÀ SOTTO PRESSIONE E LE “NUOVE PERIFERIE” di Monica Martinelli sociologa, Università Cattolica Milano recenti Rapporti 2005 delle Caritas diocesane di Roma e Milano su povertà, esclusione e disagio, pur nella differenza dei dati e delle metodologie utilizzate, mostrano molteplici elementi comuni. E suggeriscono alcune sfide in termini di costruzione della città e della convivenza sociale. Dai due studi emergono tendenze che ridisegnano il volto delle realtà metropolitane, mettendo a nudo come queste ultime divengano sempre più i luoghi in cui si concentrano – e talvolta esplodono – gli effetti delle trasformazioni globali. In primo luogo, sia Roma che Milano sono metropoli sottoposte a complesse dinamiche di riconfigurazione dello spazio, che vedono emergere nuove geografie definite da flussi finanziari, commerciali, mediatici, umani. Ciò implica profondi mutamenti delle funzioni e dei confini delle città e, soprattutto, dei vincoli e delle forme di dipendenza intrattenuti dalle popolazioni con il territorio, da cui derivano nuovi tipi di stratificazione sociale. Per alcuni – i powerfull (potenti) delle nuove élite cosmopolite, in transito all’interno di corridoi economici e finanziari che collegano i sistemi urbani con luoghi lontani nel globo – tale situazione significa possibilità di non permanenza, nonché di assenza di responsabilità ri- Le metropoli italiane vivono spetto a un luogo. Per altri – coloro che sono powerless processi di riconfigurazione (senza potere) –, il radicamento forzato in uno spazio implica nuove forme di dipendenza, che originano si- di spazi urbani, relazioni, forme tuazioni di rischio e rafforzano l’emarginazione. di esclusione. Lo confermano I Condizioni di squilibrio globale Ai gruppi di powerless dedicano ampio spazio i due Rapporti diocesani. Tra tali gruppi emergono famiglie monogenitoriali, anziani soli, disoccupati o sottoccupati. Una delle radici ricorrenti del disagio è la precarizzazione lavorativa (in Lombardia e Lazio si concentra oltre la metà dei contratti atipici siglati in Italia). La flessibilità, soprattutto nel caso di soggetti deboli o scarsamente dotati di risorse e reti famigliari o sociali, oltrepassa la sfera lavorativa per investire la sfera esistenziale, accrescendo l’incertezza materiale e indebolendo la capacità progettuale. Un ulteriore gruppo sociale annoverato tra i powerless è quello degli stranieri. A Milano, in particolare, la condizione femminile e quella di straniero costituiscono le due costanti del volto della povertà. Si tratta di immigrati in cerca di lavoro e casa, ma non va sottaciuta la situazione di rifugiati e nomadi. Anche questi casi riflettono trasfor- i recenti Rapporti sulle povertà a Roma e Milano. Caritas studia le periferie di dieci città italiane I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 15 nazionale aree metropolitane aggravare la disuguaglianza sociale e territoriale, acNelle metropoli crescendo la forbice tra i contemporanee, gruppi sociali. anche in Italia, In terzo luogo la città è si delinea il luogo ove, in maniera una nuova evidente, si mostra la soli“geografia tudine del “cittadino glodell’abitare”: bale” in cerca di “cittadisi acuisce nanza”. Entrambi i Rapil problema porti individuano nella sodelle periferie e delle aree litudine una delle radici centrali in stato delle nuove forme di disadi degrado gio. Le istituzioni, sempre meno in grado di porsi come fattore di stabilità e intermediazione tra i soggetti e le perturbazioni esterne, faticano a costruire le condizioni della fiducia, indispensabile per la vita urbana. Il cittadino globale si viene così a trovare più solo, esposto a eventi che lo sovrastano e rispetto ai quali non ha la capacità di intervenire. Se a ciò si aggiunge la conseguente instabilità di legami sociali e relazioni – come dimostra la crescita, tra chi si rivolge ai servizi Caritas, di nuclei famigliari indeboliti, donne sole con figli a carico, giovani in fuga da situazioni di crisi famigliare e psicologicamente scossi – si può meglio comprendere quali siano i volti delle nuove povertà. Accanto alle vecchie, che spesso divengono strutturali, emergono in entrambi i Rapporti forme di povertà sempre più connesse a difficoltà relazionali, solitudine e indebolimento dei legami, malattie, differenze culturali, insicurezze materiali e psicologiche, non accessibilità agli stili di vita e consumo diffusi. Si tratta di fenomeni non facilmente studiabili, e i Rapporti opportunamente si sottraggono alla tentazione di utilizzare un unico denominatore concettuale e di ridurre l’eterogeneità delle disuguaglianze e delle condizioni di bisogno. Oltre a proporre un’accurata descrizione della morfologia dei nuovi poveri, il Rapporto sulla città di Roma si sofferma così su condizioni abitualmente trascurate: indebitamento delle famiglie, usura, malattia fisica e mentale, dispersione scolastica. A Milano, oltre a indebitamento e malattia, vengono messe in luce relazioni problematiche nelle realtà famigliari, origine di un processo sociale discendente che può condurre a forme di marginalità gravi. BASSA QUALITÀ ABITATIVA mazioni più ampie, ossia condizioni di squilibrio globale – divari economici, guerre, violenze e torture, problemi ambientali – che si ripercuotono nello spazio locale e lo ridisegnano profondamente. Frammentazione e solitudine In secondo luogo, le città sono divenute terreno strategico di una serie di conflitti e problemi che interessano una quota sempre maggiore di individui. Oltre che delle polarizzazioni sociali, sono teatro di nuove polarizzazioni territoriali. In molti contesti urbani emerge una nuova geografia dell’abitare, caratterizzata da una frammentazione dello spazio urbano che spinge alcune aree verso l’alto e altre verso il basso. In queste ultime tendono a concentrarsi i gruppi svantaggiati. Anche Roma e Milano sono interessate da questi processi. L’assenza di affitti a costi contenuti e l’aumento degli sfratti impediscono a molti di trovare sbocchi se non in segmenti molto bassi del mercato immobiliare o addirittura, in alcuni casi, sulla strada. Tali dinamiche contribuiscono ad acuire il problema delle periferie, nonché delle aree del centro storico in stato di abbandono o dei quartieri di edilizia pubblica, favorendo la concentrazione di fasce deboli in ambiti molto circoscritti o in aree sottoposte a rischi anche ambientali (è il caso degli insediamenti industriali dismessi), segnati da carenza di verde e servizi. Questi indici di scarsa qualità della vita possono avere ripercussioni significative sulla salute e, ancora una volta, 16 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 “Le” povertà e le risorse Da questi elementi discendono tre ulteriori considerazioni. Anzitutto, i Rapporti evidenziano la tendenziale individualizzazione della povertà: essa si presenta molto più frammentata che in passato. Non esiste, in un certo senso, “la” povertà, bensì tante povertà. Inoltre, il quadro emergente mostra il sorgere di “nuove periferie”, all’interno delle quali si riflettono, come in uno specchio, trasformazioni sociali che vanno al di là dei confini della città. Su questo processo di “periferizzazione” Caritas Italiana, insieme alle Caritas diocesane, intende svolgere ulteriori approfondimenti. Per tale motivo ha avviato, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, una ricerca sullo stato delle periferie italiane in dieci grandi città: essa intende mettere a fuoco le forme di segmentazione urbana che, in aree geograficamente distanti dal centro o in aree centrali sottoposte a profondi mutamenti, danno conto dei bruschi aumenti di disuguaglianze ed emarginazioni, della concentrazione di attività marginali, dello sviluppo di conflitti, dell’emergere di nuovi fattori di rischio. Riflettendo sulle “periferie” è peraltro possibile discutere più ampiamente i problemi delle città, nonché indagare i presupposti della convivenza, rafforzando le risorse presenti a livello locale. Infine, a questo proposito, i Rapporti mostrano l’esistenza di una consolidata rete di iniziative locali. Si tratta di esperienze in alcuni casi molto recenti, in altri strutturate: centri di ascolto, sportelli, servizi legali, ambulatori medici, progetti ad hoc per particolari fasce deboli, strutture protette. Tali iniziative, con la loro capillarità, sono in grado di rivolgersi alle varie categorie di persone in difficoltà e si prendono cura, in modo non generico, delle domande espresse e dei bisogni. Si tratta di potenzialità enormi, sia come interventi di prossimità concreti, sia in termini di sensibilizzazione pubblica. L’impegno, non un fatto privato I Rapporti, infatti, non sono la semplice rendicontazione delle situazioni di marginalità metropolitane, ma offrono un prezioso contributo per superare il confine del disimpegno e rivestire l’agire dei soggetti della responsabilità che contrassegna ciò che è umano, nonché per collegare l’intervento diretto con l’agire politico proprio delle istituzioni. Lo stesso operato delle Caritas viene sottoposto a un’operazione di autoriflessività, che mira a rifocalizzare motivazioni e modalità di intervento. Si tratta di optare per una carità che non alimenti forme di assi- RAPPORTI SULLE POVERTÀ URBANE I testi pubblicati in estate dalle Caritas diocesane di Roma e Milano. Facendo leva su queste e altre esperienze di indagine, Caritas Italiana ha avviato uno studio sulle periferie di dieci grandi città italiane stenzialismo, o si riduca al gesto esteriore che accresce le distanze. Legata alla concretezza di relazioni e volti, oltre i confini del gruppo e le appartenenze culturali, la carità costituisce una via preziosa per riumanizzare i rapporti sociali e riaffermare la dignità dell’individuo come basi per la convivenza sociale. L’impegno accanto a coloro che stanno ai margini di una città, insomma, non costituisce un fatto privato, ma tocca più ampiamente la richiesta di giustizia. E può avere effetti di ripensamento delle politiche sociali pubbliche: ciò che davanti a uno sportello dell’assistenza sociale generalmente rientra in un “caso” tipizzato, necessita sempre più di approcci personalizzati. I Rapporti su Milano e Roma mostrano come la metropoli, oggi più di ieri, sia sotto pressione, in quanto è il coacervo dei problemi del nostro tempo. E, di conseguenza, anche il luogo dove è necessario investire per cercare di contrastare le polarizzazioni che accrescono le distanze. La città può tuttavia assumere diverse configurazioni: diventare “non-luogo”, in cui vivono accostati gli uni agli altri individui isolati; oppure luogo in cui prevalgono paura e chiusura tra gruppi sociali, etnici e religiosi. O ancora luogo in cui si tenta di ricucire – a vari livelli, con il concorso di attori sociali individuali e collettivi – il tessuto strappato delle relazioni tra gli individui, i gruppi e tra questi e il contesto sociale, oltre la tentazione di governare tenendo separate le parti che convivono nel medesimo spazio. I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 17 nazionale nazionale finanza pubblica « 18 dall’altro mondo NEL PAESE DEL RIGORE PIANGONO I SOLITI NOTI? ITALIANI ALL’ESTERO, FINORA HANNO VOTATO IN POCHI Le previsioni finanziarie del governo appaiono lievemente più oneste che in passato. Ma le scelte di riassetto lasciano poco spazio al welfare opo anni di dibattito, nel dicembre 2001 è stata approvata la legge 459 sull’esercizio del diritto di voto all’estero per corrispondenza, che permette agli italiani residenti all’estero di eleggere, tramite il sistema proporzionale, 12 deputati e 6 senatori che li rappresentino in parlamento e di esprimere il proprio voto sui referendum. Gli italiani all’estero votano qualche giorno prima rispetto alla data fissata in Italia. Ogni elettore riceve dal consolato un plico elettorale contenente le istruzioni, le liste dei candidati, il certificato elettorale, la scheda di voto e una busta affrancata per inviare meglio indicare cifre vagamente esatte che offrire stime precise totalmente erradi Paolo Pezzana te», diceva Keynes. Il famoso economista doveva aver ben presente, nella sua ironia, quali rischi si annidano nella programmazione economica, specie degli stati. Può essere saggio ricordarsene leggendo il Dpef 2006-2009, il documento di programmazione economico-finanziaria predisposto annualmente dal governo per delineare le proprie scelte di politica economica nel triennio successivo. Per chi ha a cuore il welfare e vorrebbe più consistenti politiche sociali, il Dpef costituisce l’ennesima frustrante delusione. Il documento si apre stimando il deficit per il 2005 al 4,7%, onesta ma poco confortante ammissione di un dato di realtà ostinatamente negato fino a qualche mese prima. In tale contesto, pur essendo le decisioni di merito rimandate alla finanziaria d’autunno, sembrano esserci poche speranze che la spesa sociale non subisca ulteriori contrazioni. Pe- zione degli sprechi, tetto del 2% alla spesa pubblica (che sano tre ineludibili fattori, dettati prevalentemente dall’U- da indifferenziato diventerebbe “selettivo”), e poi, probanione europea e orientati al massimo contenimento della bilmente, tagli ai settori “improduttivi”, per l’economia spesa: la necessità di sostituire l’Irap, giudicata illegittima ma anche in termini di consenso, dato l’approssimarsi dall’Ue, con altre forme di imposizione, meno penalizzan- delle elezioni politiche. Davvero pochino, per poter parlati per le imprese; la procedura di infrazione per deficit ec- re effettivamente di rigore, anche se il quadro sembra liecessivo aperta dall’Ue contro l’Italia e conclusasi con un vemente più onesto che in passato. Ma che posto occupa il welfare? In campo sociale ci si accordo di rientro nei parametri (3% del rapporto deficit/Pil) entro il 2007; la questione della crescita e della com- pone gli obiettivi di contenere caro-affitti e tariffe pubblipetitività, attestate in Italia da tempo su dinamiche negati- che e dei servizi, proteggere il potere d’acquisto dei salari, potenziare l’offerta di servizi sanitari. Tutto ciò agendo esve, contrariamente ai dettami della Strategia di Lisbona. senzialmente sulla leva fiscale. Le regioni, cui spettano le maggiori competenze in materia, incontrando il governo Politicamente invisibili Alle pressanti richieste di rigore, il ministro per l’economia hanno ricordato che non possono essere sole a sostenerSiniscalco ha risposto con un documento breve, centrato ne il peso. Il welfare, per essere tale, richiede non solo agesul concetto di crescita, fondato su cinque pilastri: mag- volazioni fiscali, ma anche misure di protezione significagiori investimenti nelle infrastrutture; liberalizzazione dei tive per chi un potere d’acquisto non lo ha, è escluso dalmercati e semplificazione burocratica; alleggerimento del la possibilità di accedere ai servizi del mercato, ha bisogni carico tributario; tutela del potere d’acquisto delle fami- sociali e relazionali ancor prima che sanitari. Ma costoro glie; maggiore “qualità” dei conti pubblici. Quello che il non muovono consensi elettorali significativi, e così molgoverno prospetta è un paese tutto sommato ottimista, to spesso divengono politicamente invisibili. La sensaziochiamato a fare sacrifici ma, per dirla col ministro, senza ne è che lo siano anche tra le cifre e gli enunciati del Dpef. mettersi ulteriormente «a dieta» perché «già ammalato». Se il futuro economico-finanziario deve essere lacrime e Per recuperare le risorse economiche necessarie le ricette sangue, lo sia davvero, per tutti, proporzionalmente alle sono quelle note da tempo: lotta all’evasione fiscale, ridu- capacità. Altrimenti a piangere saranno i soliti noti. È I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 di Delfina Licata La seconda esperienza di voto è avvenuta il 26 marzo 2004 per l’elezione dei Comites (Comitati degli italiani all’estero, che operano per soddisfare i bisogni culturali, civili e sociali dei connazionali espatriati) in tutte le circoscrizioni consolari in cui risiedevano più di 3 mila cittadini italiani. Il 28 marzo 2004 l’agenzia di stampa Inform titolava l’articolo di apertura “Elezioni Comites, affluenla scheda su cui si è votato. I consoza record del 35%”: su 2.260.057 plilati, ricevuti per posta i voti, li inviachi inviati, le buste pervenute ai conDa quasi quattro anni no in Italia in valigia diplomatica e solati sono state 770.833, il 34,11%. i nostri concittadini per aereo. Lo spoglio delle schede è L’affluenza al voto nelle diverse “cirespatriati possono contestuale a quello nazionale, vencoscrizioni estero” è stata così caratpartecipare alle elezioni. gono predisposti appositi seggi ogni terizzata: Europa, 29,44%; America Finora l’hanno fatto 5 mila elettori presso la Corte d’apdel Nord, 24,88%; America del Sud, in quattro occasioni. pello di Roma. 48,65%; Asia e Oceania, 31,18%; AfriMa le operazioni Il governo, mediante unificaca 36,02%. di voto avrebbero zione dei dati dell’anagrafe degli Ultimo appuntamento, il tanto bisogno di un costante italiani residenti all’estero e degli discusso referendum sulla procreaaggiornamento schedari consolari, è tenuto ad agzione assistita dello scorso giugno. degli elenchi giornare l’elenco dei cittadini itaAlcuni giorni prima, il ministro degli liani residenti all’estero, con il fine interni, Giuseppe Pisanu, aveva uffidi predisporre le liste elettorali. Lo prevede l’articolo 5 cialmente affermato che i cittadini italiani residenti all’edella legge, ma dopo quattro tornate elettorali (giugno stero e con diritto di voto sono 2.815.570, di cui 2.210.185 2003, marzo e giugno 2004, giugno 2005) la situazione registrati in modo perfettamente uguale tra Aire (Anagranon è ancora del tutto definita. fe italiani residenti estero) e anagrafi consolari. Gli elettori sono così divisi: 1.5197.751 in Europa; 686.453 in AmeLontani dal quorum rica latina; 366.805 in America centro-settentrionale; Gli italiani all’estero sono stati chiamati per la prima vol- 164.561 in Africa, Asia, Oceania. In 202 sedi consolari su ta alle urne in occasione dei referendum di giugno 2003, 203 (manca il Salvador) sono pervenute 547.666 buste sullo Statuto dei lavoratori e la servitù coattiva di elettro- chiuse contenenti le schede referendarie, pari al 20,3% del dotto. L’affluenza registrata fu del 25% degli elettori. Il totale dei plichi inviati: anche all’estero, dunque, vittoria ministero degli esteri, nonostante la percentuale lonta- schiacciante degli astensionisti. Ma non sono mancate na dal quorum, espresse entusiasmo non solo perché il denunce, dovute alla comunicazione di indirizzi errati o a dato era vicino a quello nazionale, ma anche perché ma- disfunzioni del servizio postale. Vi sono stati anche casi di nifestava l’interesse e la volontà dei connazionali all’e- persone decedute conteggiate come vive. Il sistema, evistero di partecipare alla vita sociale e politica dell’Italia. dentemente, deve ancora essere messo a punto. D I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 19 nazionale stranieri e integrazione IL IMMIGRATI ED ELETTORI, CITTADINANZA DA RIPENSARE Immigrati e partecipazione. Dalle consulte e dai consiglieri aggiunti al diritto di voto, Edizioni Idos, Roma, 2005. Al testo hanno contribuito studiosi delle migrazioni (Franco Pittau, Oliviero Forti, Paolo Attanasio, Andrea Facchini, Ginevra Demaio) e l’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas. Per informazioni e prenotazioni, ufficio immigrazione Caritas Italiana, tel. 06.54192251/41. I 20 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 ROMANO SICILIANI di Ginevra Demaio redazione Dossier statistico immigrazione Caritas l tema è di quelli scottanti. Infiamma periodicamente il dibattito politico. E ha raggiunto, URNA E TURBANTE nei mesi scorsi, anche le prime pagine di giornali e telegiornali nazionali. Ma le esperienUn indiano sikh ze, dietro il diluvio di parole e opinioni in libertà, sono ancora sparute: poche, poco diffual voto se, poco strutturate, poco studiate. Garantire forme di espressione agli immigrati che viin occasione vono stabilmente in Italia, anche attraverso l’accesso al voto, inteso come strumento di dell’elezione dei partecipazione alle decisioni politiche e di visibilità sociale: sulla materia, le posizioni poconsiglieri litiche e culturali divergono. Spesso, a prescindere dai dati di realtà. comunali aggiunti Per colmare questo vuoto di conoscenze, Caritas Italiana ha dedicato all’argomento un linel comune bro, Immigrati e partecipazione. Dalle consulte e dai consiglieri aggiunti al diritto di voto, predi Roma sentato a luglio. La ricerca muove dall’idea che sia urgente riconoscere gli immigrati come nuovi cittadini, attori a pieno titolo della società italiana, non solo in quanto lavoratori, ma in quanto soggetti della produzione sociale e impulso per nuove forme di cittadinanza, non più delineate dalla sola appartenenza nazionale. Le migrazioni, infatti, creano società segnate dalla Nella società globale delle convivenza di persone provenienti da più paesi; di conmigrazioni, diritti sociali e di seguenza mettono in discussione l’organizzazione del sistema-mondo in singoli stati nazionali. La stessa co- partecipazione non possono essere struzione di una politica comune all’interno dell’Uniolegati solo a nascita e nazionalità. ne europea cerca di superare le divisioni tra i singoli stati per costruire una “cittadinanza europea”. Il diritto di Come ammettere al voto gli voto dei cittadini immigrati, tuttavia, non rientra tra i stranieri stabilizzatisi in un paese? nuovi diritti europei, perché relativo a persone di cittadinanza non comunitaria. Il dibattito in un libro Caritas L’idea che attraversa il libro è che i concetti di nazionalità e di cittadinanza vadano attualizzati e distin- delle due ipotesi che attraversano il dibattito politico e la ti, di modo da garantire diritti sociali (casa, lavoro, red- dottrina giuridica: l’ipotesi che riconosce il diritto di voto dito, formazione, unità familiare, sanità) e possibilità ai soli cittadini italiani o agli italiani acquisiti, sulla base di di partecipazione locale sganciati dalla nazionalità di un’interpretazione tecnica del dettato costituzionale; nascita. L’invito è a ripensare la cittadinanza, a ricono- quella che, interpretando lo stesso dettato in termini più scerla come categoria storicamente situata e in conti- ampi, non ritiene che con “cittadini” debbano intendersi nua evoluzione. In quest’ottica si colloca la proposta solo le persone di cittadinanza italiana. avanzata da più parti, e condivisa da Caritas Italiana, Al censimento 2001 i cittadini italiani per acquisiziodi una “cittadinanza di residenza”. ne erano 286 mila, circa uno ogni 200 residenti. Lo stesso censimento ha rilevato che 6 stranieri su 10 (59%) riChiusure e innovazioni siedono in Italia da più di cinque anni e ben il 31,6% da La ricerca traccia l’evoluzione e lo stato attuale dell’im- più di dieci, a conferma del processo di radicamento migrazione in Italia, con un taglio che cerca di approfon- degli immigrati e dell’attualità della proposta di riconodire, anche attraverso dati, la fondatezza e l’applicabilità scere loro diritti più ampi. LIBRO Su scala europea, nonostante il progetto di una cittadinanza continentale l’Ue non entra in una questione che resta di competenza degli stati. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, infatti, limita il diritto di voto amministrativo ai soli cittadini comunitari. Alcuni stati hanno però previsto il diritto di voto dei cittadini di paesi terzi già negli anni Ottanta. Più recente è il concetto di “cittadinanza civica” introdotto dal parlamento europeo che, sulla base della comunità di residenza, riconosce ai cittadini dei paesi terzi residenti nell’Unione diritti e doveri economici, sociali e politici, tra cui il diritto di voto alle elezioni municipali ed europee. L’unico documento sovranazionale che riconosce il diritto di voto degli stranieri residenti è la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, adottata dal Consiglio d’Europa nel 1992. Gli stati che l’hanno ratificata si impegnano a concedere il diritto di voto e di eleggibilità a ogni residente straniero legalmente presente nel territorio nei cinque anni precedenti le elezioni. L’Italia, però, non applica la norma in quanto, pur avendo ratificato la Convenzione, ha posto una riserva sulla parte relativa al diritto di voto. In Italia quindi (ma anche in Austria, Germania, Grecia, Lussemburgo e Francia) non è previsto l’elettorato at- tivo e passivo per gli stranieri non comunitari: emerge una chiusura rispetto alla disciplina sovranazionale della materia e una preferenza per la naturalizzazione come via di accesso al voto. Non mancano, però, soluzioni innovative. Un esempio è la Carta europea dei diritti dell’uomo nella città, approvata a Saint-Denis (Francia) nel 2000, alla quale hanno aderito decine di città europee. La Carta si basa su una logica universalista, lega i diritti alla residenza invece che alla nazionalità, riconosce agli stranieri residenti da almeno due anni nel territorio il diritto di voto e di eleggibilità a livello comunale. Le città emergono, quindi, come spazio politico e sociale di contrattazione di nuovi diritti. Oltre la consultazione L’Italia non è estranea all’idea di riconoscere la partecipazione degli stranieri alla politica locale. Il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267) contempla per gli stranieri forme di partecipazione popolare a livello comunale. E molti comuni stanno valutando la modifica degli statuti per ammettere al voto amministrativo, per le consultazioni di circoscrizione, ma anche per l’elezione di sindaco e consiglio comunale, gli immigrati residenti. Spesso le iniziative derivano da una riflessione I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 21 nazionale nazionale contrappunto stranieri e integrazione «È la politica che decide, dobbiamo misurarci con essa» Testimonianze ed esperienze di rappresentanti nelle consulte per stranieri di quattro città italiane, tratte dal libro Caritas. DIRITTO DI VOTO. «Io mi auguro che si arrivi a un diritto al voto agli immigrati, attivo e passivo, a pieno titolo, una voce in capitolo anche per dare la possibilità di offrire un contributo a una società multietnica. Il diritto di voto è uno dei passi più importanti per una vera integrazione, sennò rimaniamo emarginati da parte della politica che è quella che decide». Albeetar Fadl, Giordania, consigliere aggiunto di Lecce IMMIGRATI E POLITICA. «Io anche in Italia faccio politica, sono conosciuto in Campania politicamente (…) Il problema è che gran parte degli immigrati non fanno politica in Italia, sono magari coinvolti nei movimenti ma sono inconsapevoli del ruolo che svolgono. Ci sono alcuni soggetti che comunque si muovono e cercano di imparare. Noi pensiamo che la figura del consigliere straniero possa aiutare gli immigrati a integrarsi politicamente e a imparare a confrontarsi con la politica (…). Ci occupiamo di rappresentare gli immigrati attraverso i responsabili delle comunità, ma non è facile perché non c’è molto impegno politico, anche perché le condizioni di vita degli immigrati sono molto difficili, non lasciano spazio per la politica, soprattutto al sud dove prima di tutto c’è il problema del lavoro». Malk Diaw, Senegal, consigliere aggiunto di Caserta ESPRIMERSI SUI PROBLEMI DELLA VITA. «Però noi ci sentiamo parte di questa società, per cui vogliamo un regolamento che permetta all’immigrato di esprimersi su tutto, non solo sull’immigrazione, ma su tutti i problemi della vita comunale e di avere spazio a livello di consiglio comunale. Abbiamo costituito un comitato provvisorio che possa costruire il regolamento che ci porti verso il diritto di voto amministrativo». Tourè Belco, Mali, consigliere aggiunto di Padova RAPPRESENTANTI DI CHI? «Io cerco di avere contatti con tutti, perché la Consulta non è individuale, è generale, non puoi rappresentare solo quelli del tuo paese, bisogna rappresentare anche gli altri, e soprattutto tramite le associazioni e i contatti riesci a sapere i problemi di tutti. Se poi riesci ad aiutare qualcuno va anche bene, però non è quello l’obiettivo della Consulta». Cisse Lancine, Costa d’Avorio, consigliere aggiunto di Forlì 22 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 CITTADINI DA LONTANO Immigrati in fila per una sanatoria: integrazione significa anche partecipazione alla vita democratica sull’inadeguatezza del modello di rappresentanza consultiva costituito da consigli degli stranieri, consulte degli immigrati e consiglieri stranieri aggiunti, la cui funzione è di semplice “consultazione”. Il libro Caritas analizza numerose esperienze nazionali e dedica due approfondimenti all’Emilia Romagna (prima regione in cui si è sperimentata la figura del consigliere aggiunto) e all’elezione dei consiglieri aggiunti nella città di Roma. L’ultima parte del volume approfondisce il tema della rappresentanza migrante attraverso la voce dei rappresentanti stranieri: consiglieri aggiunti, presidenti di consulte, presidenti di consigli di stranieri. Associazionismo e politica Dalle interviste emerge il nesso tra l’impegno nell’associazionismo e nel sociale e l’approccio alla politica, quasi che l’assenza di un reale accesso al piano decisionale abbia trovato un canale alternativo di espressione nelle associazioni e in forme comunitarie di autorappresentazione. Lo stesso impegno politico è scelto e vissuto per il suo portato sociale: dare visibilità e piena cittadinanza alla popolazione immigrata. I diritti cui i testimoni aspirano sono legati a un bisogno di stabilità (documenti, casa, scuola, formazione, salute), di superamento della condizione di incertezza e di precarietà che il migrante sperimenta. Non divergono cioè dalle domande della popolazione italiana, esprimono anzi un sentirsi cittadini del nostro paese. Anche se il diritto di voto risulta essere per la gran parte degli intervistati l’obiettivo ultimo da conseguire. Si tratta, insomma, di percorsi nuovi e ancora aperti, ma che offrono alla società e alla cultura politica italiane un’opportunità rilevante: quella di “risignificare”, attraverso la riflessione sul diritto di voto agli stranieri, i concetti di cittadinanza e democrazia e la concezione dei diritti soggettivi. ITALIA IN DEPRESSIONE, TORNIAMO A PROGRAMMARE di Domenico Rosati manuali di economia spiegano che si ha “depressione” quando rallenta l’attività economica, diminuiscono i prezzi, si contrae la produzione di beni e servizi e aumenta la disoccupazione. Da mesi gli analisti concordano sul fatto che in Italia (a parte i prezzi che salgono) i sintomi della depressione ci sono tutti. Si tratterebbe allora di capire quali fattori internazionali, interni e sociali determinano il quadro depressionario. Negli ultimi mesi la polemica si è concentrata sulla condotta del governo in carica, al quale si è rimproverato di aver trattato il caso come un malessere occasionale. Di avere cioè ritenuto che, somministrando un qualche farmaco sintomatico I (spesa)? Chi si cimenterà nell’impresa dovrà affrontare contrasti di interessi, contraddizioni e conflitti, per costruire una sintesi che risulti attendibile e ottenga consenso. Titoli non quotati,ma decisivi Il prontuario della scienza economica è prodigo di consigli ma lascia sempre campo a più di una soluzione: consumi da espandere per far crescere la domanda interna o (un condono, o una riduzione della costi da ridurre per migliorare l’ofpressione fiscale sui più abbienti), si ferta? Anche questa volta tocca alla Il nostro paese sarebbero trovate le risorse per politica bilanciare l’azione delle vive una fase economica mantenere la “grande promessa” due leve. Ed è qui che il tecnicismo negativa, con pesanti elettorale. Fino alla bizzarria di sodelle formule rinvia a un orizzonte implicazioni sociali. stenere, come ha fatto più volte il più ampio, nel quale, inaspettataIl governo attuale presidente del consiglio, l’ipotesi di mente, ritrova cittadinanza un ha affrontato una suggestione collettiva: a forza di concetto – “programmazione” – la questione sentir parlare di crisi, la gente crede che la moda economica degli ulticome un malessere mi vent’anni aveva cancellato dalla che la crisi ci sia davvero e si comoccasionale. È tempo lavagna. Sono molti, infatti, a riteporta di conseguenza. di uscire dalla logica nere che non si va da nessuna parSul governo ci sarebbe molto da del “giorno per giorno” te, se si continua con le opzioni del aggiungere, a partire dall’illusione giorno per giorno. iniziale per cui tagliando le tasse ai Diverso è (o può essere) lo scenario, se la politica si più ricchi si sarebbero rilanciati gli investimenti (e non, ad esempio, la speculazione, come in parte è avvenuto). mette in condizione di spiegare ai cittadini che ogni Quanto all’attuale opposizione, se dovesse prendere il azione quotidiana è correlata a un fine meno immediagoverno non le sarebbe consentito di spendere più di un to, ma ben visibile anche oggi. Occorre sapere da dove si giorno a recriminare sull’opera dei predecessori. Le sarà parte e sapere dove si vuole arrivare, richiamando in servizio (e ne varrebbe la pena) la prima parte della Coinvece richiesto di riuscire dove gli altri hanno fallito. Le scelte sono tutt’altro che facili. Rimettere ordine stituzione repubblicana, con tutte le implicazioni internei conti pubblici per stare nei parametri europei, che ne, europee e internazionali. Non si pensi al rilancio di restano rigidi anche dopo la conquista di una dilazione un “sol dell’avvenire” di socialistica memoria, ma a una sui tempi di “rientro”, e nel contempo adottare misure linea guida che indichi la direzione di marcia e renda che riattivino il sistema facendo crescere davvero la tor- trasparenti per tutti diritti e doveri, prima ancora che ta, in modo da finanziare più vaste ed eque misure redi- costi e ricavi. Non è questione di potere e autorità, ma di stributive: come conciliare interventi di contenimento autorevolezza e credibilità: titoli non quotati in borsa, (risparmio) con l’esigenza di politiche di espansione ma sempre decisivi nelle vicende umane. I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 23 internazionale progetti > istruzione a cura dell’Area internazionale L’8 settembre si celebra la Giornata mondiale dell’alfabetizzazione, ricorrenza significativa nell’ambito del Decennio dell’alfabetizzazione, proclamato dall’Onu a partire dal 2003. L’istruzione è un diritto per gli individui, ma anche un fattore di rinnovamento e sviluppo delle società. Caritas Italiana dedica particolare attenzione a scolarizzazione e formazione, con progetti in molti paesi del mondo. Fabbricare i banchi… e tornarci dopo la guerra “Hand in Hand”, educazione alla pace per una convivenza possibile Le conseguenze della guerra combattuta nella Repubblica democratica del Congo dal 1998 al 2003 sono state terribili. La diocesi di Kindu, nell’est del paese, è stata fra quelle più colpite. Le strutture scolastiche sono state danneggiate e per anni le scuole al di fuori di Kindu sono rimaste chiuse. Nella maggior parte delle classi in cui vi erano i banchi, questi sono stati bruciati dai militari o dagli altri combattenti. La fine del conflitto consente ai bambini di tornare a scuola, ma le condizioni per l’insegnamento sono estremamente precarie. Caritas Italiana sta cercando di sostenere la Caritas di Kindu per la fabbricazione di 600 banchi e 30 lavagne per 5 scuole elementari e per la fornitura di materiale scolastico (penne, matite, quaderni, registri, gessi) per gli alunni di 82 scuole. > Durata 2005-06 > Costo 36 mila euro > Causale Grandi Laghi - Kindu Hand in Hand (“Mano nella mano”) è una ong che attua un originale programma di educazione alla pace fra ebrei e arabi di Israele. Fulcro di questo impegno sono le scuole – in tre diverse località – frequentate da bambini dei due gruppi fino alle soglie della maturità. Lo scopo del progetto è aiutare i ragazzi a crescere in un clima di non violenza, riconoscere le diversità culturali e accettarle, anche quando non le si condivide. Non si tratta, insomma, della proposta di un clima di convivenza “neutro”, ma di uno spazio dove le tre culture (ebraismo, islam e cristianesimo) hanno pari dignità. Si studiano le due lingue, arabo ed ebraico, con maestri delle due comunità, si impara a conoscere feste e abitudini degli “altri”, si studia la storia dai due punti di vista (“non c’è una sola verità per capire gli stessi fatti”). Si impara a discutere su tutto, mettendo gli argomenti sul tavolo (“put on the table and discuss everything”). Un lavoro altrettanto delicato viene fatto con le famiglie che accettano di inviare i loro figli alla scuola. Le strutture sono di buon livello, semplici e senza lussi; quella di Gerusalemme ha 250 allievi ed è finanziata al 60% con fondi locali. I responsabili hanno proposto a Caritas Italiana di finanziare alcune attività di riconciliazione: un lavoro in coraggiosa controtendenza. > Costo 12.500 euro > Causale Hand in Hand – Terra Santa Interventi per bambini e donne desplazados [ ] PER LE MODALITÀ DELLE OFFERTE, SI VEDA A PAGINA 2 PER LISTA COMPLETA MICROREALIZZAZIONI, TEL. 06.54.19.22.28 24 I TA L I A C A R I TA S | La Caritas della diocesi di San Cristobal, in Venezuela, vicina alla frontiera con la Colombia, e il ministero dell’educazione venezuelano collaborano nella regione di Tachira per l’alfabetizzazione dei figli dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei profughi colombiani. I programmi governativi prevedono la creazione di uno spazio educativo per bambini non scolarizzati, sradicati dalla loro terra di origine e trasferiti con i loro nuclei familiari oltre frontiera, in cerca di protezione e sicurezza. Le spese per assicurare l’insegnante sono sostenute dal governo, mentre la Caritas interviene per fornire il materiale didattico, l’infrastruttura, attrezzature (sedie, lavagne, giochi didattici, ecc). Un programma di alfabetizzazione di donne adulte profughe, vittime del desplazamiento interno che il conflitto armato provoca in Colombia, è invece svolto dalla Caritas locale nella capitale Bogotà, nella difficile zona di El Cartucho. Molte donne provengono da esperienze di sfruttamento e abuso. Attraverso l’alfabetizzazione informale, queste donne apprendono a leggere e a scrivere, autentica esperienza di restituzione della dignità e di scoperta del mondo. > Contributo per ciascuna iniziativa 8 mila euro > Causale Venezuela - Colombia SETTEMBRE 2005 La scuola degli Yi è storica, ma va ricostruita I bambini del villaggio di Leike quando vanno a scuola devono sperare che non piova. Infatti l’edificio (che era stato dichiarato pericolante già nel 1890, quando fu costruito in legno e terra battuta) è assai poco accogliente nel periodo delle piogge, quando l’acqua penetra dal tetto… Leike è un povero villaggio di montagna della minoranza etnica Yi, abitato da 168 famiglie e situato nella fredda zona della contea di Mi Le, provincia dello Yunnan, sud ovest della Cina. La scuola elementare da ricostruire ospita attualmente 68 bambini e due insegnanti, distribuiti in quattro aule. Il governo locale ha messo la scuola in lista di attesa per la ricostruzione di un nuovo locale a due piani, di 420 metri quadri di superficie, comprendente sei aule, due uffici per insegnanti, servizi sanitari, vasca per l’acqua potabile e cortile esterno. Inoltre si intende riunire in questo fabbricato due altre piccole scuole di villaggi vicini per servire un numero iniziale di 120 studenti, fino ad arrivare a 180-200 studenti nel settembre 2006. Il costo preventivo di tale progetto è di circa 32 mila euro. La Hong Kong Don Bosco Charitable Foundation (Dbf), che aiuta le popolazioni della zona dal 1987, contribuirà alla ricostruzione della scuola, sostenuta da Caritas Italiana. Anche la contea e il municipio locali daranno un contributo economico. > Beneficiari circa 200 bambini di tre villaggi e le loro famiglie > Contributo Caritas Italiana 13.736 euro > Causale Asia - Cina I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 25 internazionale crisi africane SUDAN, LA PACE IN SALITA TRA SPERANZE E PAURE servizi di Giovanni Sartor a speranza della pace e della rinascita, dopo due decenni di una devastante guerra civile. GIOIA E FATICA Ma una speranza fragile, esposta ai venti mai domi della morte e del sospetto. Il Sudan sta DI VIVERE A destra, vivendo un periodo significativo e nello stesso tempo incerto della propria storia. Il 9 lu- la vitalità glio era stato un giorno storico, che aveva visto concretizzare gli accordi di pace siglati il 9 dei bambini gennaio 2005 in Kenya, a Nairobi: nella capitale Khartoum era stata approvata la nuova del Sud Sudan. Sotto, precarietà Costituzione (che garantisce, tra le altre cose, la non applicazione della sharia nel Sud del della vita paese) e si era celebrata la nomina di John Garang, capo del movimento di liberazione del quotidiana Sud (Splm), alla carica di primo vicepresidente. Ma sono bastate tre settimane per ricacciare il Sudan nel dopo vent’anni di guerra civile tunnel della paura: Garang, leader incontrastato del Splm dalla sua fondazione e per i 21 anni di guerra, è morto il 30 luglio a causa della caduta dell’elicottero con cui stava tornando a New Site, Sud Sudan, sua base militare durante gli anni di guerra, dopo un incontro Il più grande paese africano vive mesi con il presidente ugandese Yoveri Museveni. L’elicottero si è schiantato su un territorio montagno- non sembra aver pregiudicato la svolta so al confine tra Uganda, Kenya e Sudan. Governo del Sudan e Splm hanno dichiarato entrambi, nei giorni successivi all’accaduto, che l’elicottero è precipitato a causa “delle avverse condizioni climatiche” che interessavano la zona nella quale è avvenuto lo schianto. Ma fin dall’inizio sui media africani, in particolare ugandesi, sono rimbalzate voci inquietanti, secondo cui non si sarebbe trattato di una fatalità. In agosto non sono state raccolte prove che giustificassero un’interpretazione dell’accaduto diversa da quella delle fonti sudanesi ufficiali. È stata comunque istituita dal governo ugandese – Garang viaggiava sull’elicottero del presidente Museveni – una commissione mista che comprende tecnici provenienti da Stati Uniti, Russia, Kenya, Sudan e Uganda per far luce sull’accaduto. Anche il governo del Sudan, insieme al Splm, ha istituito una commissione d’inchiesta, integrata da esponenti della missione Onu in Sudan (Unmis), commissione alla quale l’Uganda ha assicurato la sua collaborazione. Petrolio e ritorno a casa La morte di Garang ha sconvolto tutti, in particolare i sudanesi, che hanno visto nell’avvenimento una forte minaccia alla pace raggiunta a fatica dopo tanti anni di violenze e patimenti. Se non si può dire che abbia spezzato il processo di pace, sicuramente l’accaduto sta comunque 26 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 portando a un rallentamento della tabella di marcia prevista per la realizzazione degli accordi di Nairobi. Gli avvenimenti seguiti alla morte di Garang, in particolare l’unanime decisone dello stato maggiore del Splm di affidare a Salva Kiir Mayardiit, da molti anni vice di Garang, il ruolo di nuovo leader del movimento di liberazione, nonché di NILS CARSTENSEN - DAN CHURCH AID L CARITAS INTERNATIONALIS di attesa e incertezza. La morte del nuovo vicepresidente Garang storica, dopo vent’anni di guerra civile. Ma restano molti interrogativi presidente del Sud Sudan, hanno lanciato un forte segnale di unità del Splm, percorso negli ultimi anni da forti tensioni interne, sempre represse da Garang in maniera autoritaria. Salva Kiir è stato successivamente insediato come primo vicepresidente del Sudan; la cerimonia svoltasi a Khartoum è stata alquanto sobria, in contrasto con quella svoltasi un mese prima per la nomina di Garang alla stessa carica, che aveva richiamato a Khartoum milioni di persone in festa, soprattutto gli sfollati del Sud che vivono nelle periferie della capitale sudanese. È comunque molto difficile dire oggi quale sarà il peso della morte di Garang sul futuro del paese e degli accordi di pace. Due dei temi che ricorrono più frequentemente nei commenti degli osservatori sono il ruolo politico che Garang avrebbe potuto giocare nel Nord del paese, in particolare nella soluzione del conflitto del Darfur e nella pacificazione delle relazioni tra Khartoum e la popolazione di etnia Beja, che nei mesi scorsi ha accusato il governo centrale di scarsa attenzione e addirittura di oppressione. In secondo luogo, andrà valutata la capacità di Kiir di tenere unite le diverse anime del movimento di liberazione nel Sud. Restano validi, inoltre, tutti gli interrogativi che prima della morte di Garang aleggiavano sul futuro degli accordi di pace, e in particolare sulla genuina volontà del partito islamista che fino a oggi ha governato il Sudan di dividere il potere con il movimento di liberazione del Sud e le altre forze politiche, e di consentire libere lezioni, previste tra quattro anni. Da accertare è anche la capacità del Splm di trasformare la propria struttura militare in struttura civile, trasparente I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 27 internazionale crisi africane servizi, permangono aree minate. Una recente ricerca condotta dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) tra gli sfollati che vivono nel Nord del paese sulle possibilità di ritorno volontario ha registrato che il 68% degli intervistati, per la maggioranza provenienti dal Sud e dalle montagne Nuba, vuole ritornare a casa, l’11% non ha ancora deciso e il 22% non tornerà. Sarà una lunga marcia, da indirizzare anzitutto sulla strada della sicurezza e della concordia. «Donne, segno di riconciliazione adesso chiedono formazione» La guerra ha ulteriormente negato i loro diritti. Ma le ragazze della diocesi di Rumbek immaginano un futuro diverso. E favoriscono il dialogo tra clan a guerra è stata affare degli uomini. Adesso la pace non può essere delegata solo a loro. Le donne, nella società del Sud Sudan, devono ancora compiere un lungo tragitto sulla strada dell’emancipazione. Ma possono già prendere le redini del cammino di rinascita e riconciliazione che si gioca nella quotidianità. Ne è convinta suor Mary Mumu, missionaria kenyana delle Suore di Nostra Signora della carità, operatrice del progetto di promozione della donna avviato dalla diocesi di Rumbek, che raccoglie donne di diverse etnie e clan, le organizza in gruppi e offre loro formazione, dall’alfabetizzazione all’avvio di attività generatrici di reddito (taglio e cucito, cucina, agricoltura, produzione di cesti e sapone ricavato dal frutto dell’albero di Lulu), vitali per le sorti di figli e famiglie. Suor Mary, come è stato il suo incontro con le donne di Rumbek? Vivo in quella che oggi è la capitale provvisoria del Sud Sudan dal 2000. Subito ho cercato di organizzare un piccolo gruppo di donne, ma ben presto mi sono accorta che quasi tutte erano analfabete. Abbiamo così iniziato con semplici lezioni di lettura e scrittura in inglese, una scusa per entrare in contatto con loro. Ho cominciato ad andare a trovarle nelle case, lentamente si sono aperte al confronto. La condivisione dei problemi quotidiani è un momento cruciale nelle attività di gruppo. Quali problemi emergono durante gli incontri? La stessa partecipazione al gruppo era un problema! I L 28 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 membri della famiglia non la vedevano di buon occhio; inoltre le donne non erano abituate a prendere decisioni per conto loro e tanto meno ad avere fiducia in sé stesse. Molte di loro sono vedove a causa della guerra e seguendo la tradizione sono sposate a un parente del primo marito, ma ciò non le libera dal peso di dover mantenere l’intera famiglia. Con la prima gravidanza, in età molto giovane, anche chi aveva cominciato la scuola deve abbandonarla e sposare il padre del bambino o un anziano della comunità. Non hanno praticamente diritti, neanche quello di scegliersi il marito. Se trasgrediscono, a farne le spese è la loro madre, picchiata a sangue dagli altri membri del clan. Le attività del gruppo hanno modificato questa situazione? Direi timidamente di sì. Oggi queste donne sono un gruppo e ciò crea un senso di fratellanza in un contesto prima di divisione. Rumbek e dintorni sono abitati dalla tribù Dinka, divisa in clan tra cui esistono profonde ostilità. All’inizio abbiamo lavorato molto sulla riconciliazione e l’accettazione reciproca. Ora sono loro stesse le fautrici del dialogo tra clan. E sul versante della vita quotidiana? L’accordo di pace ha effetti concreti? Un risultato importante è l’avvio della costruzione di un centro di formazione e produzione, che ospiterà i macchinari che acquistiamo per migliorare la qualità della produzione. Quanto alla pace, qualcosa è cambiato. Ma non tutto in positivo. È certamente più facile viaggiare, E le sue donne, cosa pensano della pace? al mercato si trovano più prodotti e molti uomini trova- Sono molto confuse, molte di loro non hanno mai visno lavoro nella costruzione di strade e come muratori. suto in pace e spesso mi chiedono come si fa… La paStanno ingrandendo l’aeroporto e arrivano molti stra- rola “pace” è sempre stata estranea al loro vocabolario. nieri: organizzazioni internazionali, ong e uomini d’af- In verità non si rendono conto di come loro stesse siano fari passano per Rumbek per incontrare i dirigenti del un importante segno di pace e di futuro nella comunità. Movimento di liberazione Anche se questo non badel Sud e valutare attività sta: la Chiesa cattolica deda sviluppare. Ma non si ve impegnarsi di più per capisce se questi ultimi far riflettere sulla condivengono a fare gli intereszione delle donne, orgasi propri o quelli della ponizzando incontri con uopolazione. Poi ci sono mini, giovani e leader. E problemi legati ai miglioallo stesso tempo offrire ramenti. Un esempio, le più opportunità formatistrade asfaltate: le macve e di confronto alle donchine corrono veloci, la ne stesse. “Non hanno gente non è abituata e ci una preparazione scolasono già stati parecchi instica sufficiente”, si dice cidenti mortali. Chi penquando vengono escluse sava che la pace risolvesse dalle iniziative. La diocesi i problemi in maniera intende aprire a Rumbek magica, senza doversi SENZA DIRITTI, FAUTRICI DI DIALOGO una scuola secondaria per rimboccare le maniche, Donne sudanesi: vivono in condizione di assoggettamento, le ragazze: non c’è progetma a Rumbek si sperimentano percorsi di riscatto rimane deluso. to più necessario. CARITAS INTERNATIONALIS e democratica, nonché la promozione di un reale dialogo sud-sud, tra movimento di liberazione e gruppi di opposizione armata ancora presenti sul terreno. Infine è necessario che i rappresentanti politici di Nord e Sud assicurino, seguendo l’accordo di pace, reale trasparenza nella gestione delle ingenti risorse petrolifere del paese. Sul versante sociale, la grossa sfida è garantire il ritorno dei circa quattro milioni di sfollati alle loro terre, dove mancano strade asfaltate, latitano infrastrutture e In Darfur il flagello delle piogge, l’emergenza diventa cronica Preoccupazione per il futuro di due milioni di persone, sfollate in seguito ai disordini che non cessano. Le violente precipitazioni rendono difficili gli aiuti er il secondo anno consecutivo circa due milioni di persone devono affrontare nei campi per sfollati, all’interno della regione o nel vicino Ciad, la stagione delle piogge, mentre permane l’insicurezza in vaste zone dello stato del Darfur. E ancora non si intravede una positiva soluzione del conflitto. La rete internazionale Caritas offre aggiornamenti costanti sulla situazione umanitaria. Caritas opera nell’area insieme al network delle chiese ortodosse e protestanti Action by Churches Together (Act), con la collaborazione di tre partner locali: Sudo (Sudan Social Development Organisation), Scc (Sudan Council of Churches) e Sudan P Aid (Caritas Sudan), che in molti casi realizzano le attività. Negli ultimi mesi il problema maggiore è stato causato dalle violente piogge. Act/Caritas fin da maggio ha cominciato a inviare, nei campi ai quali già si prevedeva un difficile accesso durante le piogge, cibo e medicine per le cliniche, oltre a distribuire teli di plastica, coperte, sapone, taniche per l’acqua, zanzariere e utensili per la cucina. Lo stesso hanno cercato di fare le organizzazioni internazionali e le ong presenti ormai in maniera massiccia in tutto il Darfur, ma le piogge creano spesso ostacoli insuperabili. Per raggiungere via terra da Nyala il cosiddetto corridoio di Kubum, una delle località dove più siI TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 29 internazionale internazionale conflitti dimenticati crisi africane Progetti Caritas in molti settori insieme alla Chiesa sudanese gnificativo è l’intervento di Act/Caritas, ci vuole più di un giorno, mentre durante la stagione secca bastano non più di quattro ore. «Non siamo in grado di fornire assistenza alla popolazione come durante il resto dell’anno – afferma il direttore di Act/Caritas in Darfur, la norvegese Bjorg Mide – e siamo preoccupati per le persone che non riusciamo a raggiungere, la cui capacità di resistenza è ridotta poiché da più di un anno vivono nei campi, in condizioni molto difficili». Così si registra un aumento di casi di malnutrizione e di richieste di cura presso le cliniche, soprattutto a causa della malaria e delle infezioni intesti30 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 BAMBINI-SOLDATO, UNA PIAGA ANCORA APERTA CARITAS INTERNATIONALIS Caritas Italiana, in collaborazione con la Chiesa sudanese, promuove molti progetti nel paese, in vari settori. Emergenza. Partecipazione agli interventi di Caritas Internationalis in Darfur Sud e Ovest, in Ciad per i rifugiati del Darfur e in Sud Sudan per gli sfollati che tornano a casa. Promozione della donna. Con la diocesi di Rumbek, sostegno all’avvio di un centro di produzione e formazione per donne. Con la regione pastorale di Kosti, sostegno alle attività di formazione e avvio di attività economiche per le donne. Istruzione. Sostegno al progetto “Save the saveable” dell’arcidiocesi di Khartoum, per garantire accesso alla scuola primaria agli sfollati che vivono nei campi alla periferia della capitale. Sanità. Sostegno al progetto della diocesi di Rumbek di riabilitazione della clinica a Nyamlell e alle attività di sradicamento della lebbra e assistenza agli invalidi a Kwelkwac e Bar-Urud. Microcredito. Collaborazione con i padri Salesiani nel campo profughi di Kakuma (nord Kenya), per garantire accesso al credito a gruppi di rifugiati per l’avvio di piccole attività economiche. Supporto alla Chiesa locale. Collaborazioni con l’ufficio regionale per il Sud della Conferenza episcopale sudanese, con sede a Nairobi, attraverso la presenza di un operatore italiano espatriato; in programmazione un progetto per formare operatori socio-pastorali nella diocesi di Tambura-Yambio. Sensibilizzazione in Italia. Caritas Italiana è tra i membri della “Campagna per la pace e i diritti umani in Sudan”. DIPENDERE DAGLI AIUTI Molti sfollati dal Darfur non si sentono ancora protetti dal governo sudanese, il ritorno ai villaggi resta problematico nali, favorite dalla presenza di acqua stagnante. Cruciale il ritorno ai villaggi Ma non ci sono solo problemi di salute e approvvigionamento. Gli sfollati non possono tornare ai villaggi per coltivare i campi e vivere del proprio raccolto. Così due milioni di persone, ancora per un anno, dovranno dipendere dagli aiuti internazionali: si rischia che l’emergenza diventi cronica. Le autorità governative, già in aprile, invitavano gli sfollati a fare ritorno ai villaggi e in alcuni casi hanno condotto sopralluoghi per verificare le condizioni di sicurezza, alla presenza di membri delle agenzie Onu; gli sfollati però non si sentono sicuri e sufficientemente protetti dal governo. Le cose potrebbero cambiare se nei prossimi mesi, con il sostegno logistico e finanziario di Nato e Unione europea, avverrà un dispiegamento più intenso (in soldati e mezzi) della forza di interposizione dell’Unione africana (Amis, African Mission in Sudan), oggi presente in Darfur con tremila uomini, e le sarà assegnato un mandato chiaro per proteggere la popolazione. Il tema del ritorno ai villaggi è cruciale. Non si tratta solo di arrivare a un cessate il fuoco (ancora lontano: continuano a giungere notizie di scontri e di civili attaccati e uccisi); bisogna ridisegnare le vie che i pastori nomadi possono percorrere con le mandrie e verificare che chi occuperà villaggi e terre siano gli abitanti originari. Quello che sarà deciso ad Abuja, capitale della Nigeria, dove si svolgono i colloqui di pace tra governo e ribelli, dovrà essere realizzato sul terreno, sia sostenendo la ricostruzione di villaggi e infrastrutture, sia avviando percorsi di riconciliazione e accordi per una gestione equa e sostenibile del territorio. di Paolo Beccegato l 12 febbraio 2002 è entrato in vigore il trattato internazionale che vieta l’utilizzo dei bambini soldato. È stato ratificato da ben 111 paesi; solo 46 però si sono impegnati legalmente per dare corso pratico al documento. Le cifre continuano a essere allarmanti: oggi sono oltre 300 mila i minori di 18 anni impiegati in conflitti in diverse aree del mondo. La maggior parte di loro ha fra i 15 e i 18 anni. Tuttavia, anche minori di 10 anni vengono costretti all’arruolamento forzato e a combattere. Rapporti recenti indicano come la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni sia diffusa in ben 25 paesi, I 28.500 bambini, oltre 12 mila a partire da giugno 2002, quando la situazione interna del paese è andata significativamente deteriorandosi. Vivere senza sopraffare Ogni bambino, prima di affrontare la guerra, viene costretto a un addestramento durissimo: i soldati insegnano a uccidere e torturare, ogni resistenza è vinta con punila maggior parte in Africa e Asia. zioni brutali. Negli ultimi anni le Oggi 70 mila bambini sono impratiche di reclutamento forzato Nonostante i documenti piegati negli eserciti regolari di hanno coinvolto sempre più le internazionali, resta Myanmar, arruolati a forza dopo bambine. Per i minori che sopravelevatissimo il numero essere stati sequestrati dalle loro vivono agli orrori della guerra, si dei minori arruolati abitazioni. In Colombia si conta aprono percorsi di reinserimento a forza nei conflitti che che siano 14 mila i bambini giovasociale. I sopravvissuti risultano fiinsanguinano il pianeta. nissimi (a volte non superano i 10 sicamente provati dall’esperienza anni) impegnati nella guerra civile, bellica (ferite o mutilazioni, patoSi calcola siano 300 mila reclutati nei villaggi delle aree ruralogie respiratorie, malattie sessualin 25 paesi: lunghi li del paese, nelle file della guerrimente trasmissibili, denutrizioe difficili i percorsi ne…). Nella quasi totalità dei casi, glia o dei paramilitari. In Nepal il di reinserimento oltre alle ferite visibili rimangono 30% dei combattenti del Partito coquelle invisibili, ovvero le indelebimunista è rappresentato da bambini. Indagini hanno dimostrato come in Repubblica de- li conseguenze psicologiche che l’esperienza della mocratica del Congo, Liberia e Burundi siano stati im- guerra produce sulla mente dei giovanissimi: il percorpiegati bambini soldato anche negli eserciti regolari. In so di reinserimento in una dimensione normale riUganda da alcuni anni si registra il fenomeno dei co- chiede un supporto psicologico complesso. siddetti night commuters, “pendolari notturni”. Si tratSpesso i bambini vittima della guerra non hanno più ta di oltre 12 mila bambini che ogni notte lasciano i vil- famiglia o non sono più in grado di riadattarsi a un conlaggi dove vivono per trovare riparo nel distretto citta- testo di vita familiare, scolastico o sociale. Programmi dino di Golu, nel nord del paese: fuggono per evitare di specifici sono stati avviati dalla Caritas e da altre orgaessere rapiti dai soldati del Lord’s Resistance Army nizzazioni non governative in molte aree di crisi del pia(Lra), gruppo ribelle che combatte da oltre dieci anni neta: sono volti a fornire un valido supporto psicologicontro il governo centrale di Kampala. Trascorrono la co, ma anche percorsi di disintossicazione da sostanze notte nelle scuole e negli ospedali della città, sui mar- stupefacenti (molti bambini soldato ne fanno uso, inciapiedi o nei parcheggi degli autobus, terrorizzati all’i- dotti dai propri capi) e dalla violenza stessa (a volte gli dea di essere rapiti. All’alba ripercorrono la strada ver- ex bambini soldato faticano a riadattarsi a contesti dove so casa. Dall’inizio del conflitto il Lra ha già rapito circa le regole della sopraffazione non valgono più). I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 31 internazionale india vive Arokiamary Francis, esponente di spicco del movimento dalit nello stato del Tamil Nadu. Donna minuta e forte, spiega così l’ammirazione che nutre per il Dr. Ambedkar: «Rifiutò l’induismo in cui era cresciuto, fondato sull’abominevole sistema delle caste, e si convertì al buddismo. Buddha fu davvero un grande maestro, che negò ogni valore alle discriminazioni sociali e predicò compassione e umanità. Noi però restiamo cristiani, perché Gesù era certamente un dalit, uno di noi». Negli ultimi due secoli molti dalit hanno trovato nel Vangelo una promessa di liberazione. In India i cristiani sono il 2,3% della popolazione, circa la metà cattolici. Mancano cifre attendibili sulla ripartizione per caste, ma padre Yesumarian ritiene che nel Tamil Nadu sia dalit almeno il 65% dei cattolici. «È perciò davvero strano – considera – che solo tre vescovi su 17 provengano dalla nostra comunità!». Il più noto è monsignor Malayappan Chinnappan, nuovo arcivescovo di MadrasMylapore, nominato da Giovanni Paolo II poco prima di morire. Fino a pochi anni fa tra i cristiani, in particolare fra i cattolici, era tabù parlare di ciò che è a tutti evidente: le caste continuano a persistere anche all’interno della Chiesa. Un loro carattere distintivo è l’endogamia: ci si può sposare solo all’interno OPPRESSI E ATTIVISTI della propria casta. Per questo nello stato Tabù anche fra i cristiani fianco, manifestazione del Kerala, dove i cattolici sono divisi in tre Al censimento 2001 i dalit, quasi 167 milio- A dalit. Sopra, padre ni, costituivano il 16,2% dei 1.028 milioni di Yesumarian Lourdunathan riti (latino, siro-malabarese e siro-malankarese), tanto rari sono ancora oggi i indiani. La costituzione e i successivi emendamenti assicurano a loro e alle popolazioni aborigene matrimoni fra persone di tradizione liturgica diversa. dell’India (l’8,2% della popolazione, ancora definite “tri- Molti lo negano, ma di fatto quei riti sono caste. Tali pebali” con un offensivo epiteto di stampo coloniale) il dirit- raltro appaiono agli indù, che ad esempio considerano i to alla “azione affermativa”: quote riservate nell’ammini- siriaci pari alla casta dei guerrieri. strazione pubblica e nelle università. Era questa una delle principali richieste di Bhimarao Ramji Ambedkar (1891- All’altezza di ogni sfida 1956), da tutti i dalit chiamato con orgoglio “Dr. Am- Assai più preoccupante dell’endogamia è l’apartheid che bedkar”. La sua lotta per i diritti dalit e il ruolo fondamen- in alcune zone rurali, specie del Tamil Nadu, i dalit subitale che ebbe nell’Assemblea costituente autorizzano a ri- scono da parte di cristiani appartenenti a caste sedicenti cordarlo come uno dei fondatori dell’India moderna, a “superiori”. Padre Lucas Raj è il parroco del villaggio di fianco di Gandhi e Nehru. Le sue parole d’ordine erano Oragadam, diocesi di Chingleput, nel Tamil Nadu. «È educare, organizzare, agitare. I dalit dovevano prendere scandaloso che esistano caste anche all’interno della coscienza dei propri diritti, senza sperare che qualche ani- Chiesa cattolica! A Thachoor, il villaggio dove sono nato, i ma pia li concedesse. Dovevano associarsi, superando le cristiani di casta reddiar impediscono ai loro correligionadivisioni, e far sentire la propria voce con tutti gli stru- ri dalit di partecipare alla processione che ogni 31 maggio menti della lotta democratica. si celebra in onore di Nostra Signora della Salute». A Kovalam, cittadina costiera nei pressi di Chennai, Padre Lucas è nato nel 1975. «Quand’ero bambino il tura indiana considera impuri: lavandai, spazzini, becchini, calzolai. Il contatto con la sporcizia e con le spoglie di uomini e animali in India determina una contaminazione anche dello spirito. Solo con l’abluzione rituale in un fiume sacro o nella piscina di un tempio gli indù pensano di potersi purificare. Nel 1949 l’intoccabilità è stata messa al bando dall’articolo 17 della costituzione dell’India indipendente. Ma a più di mezzo secolo non cessano le discriminazioni. «A noi dalit – osserva padre Yesumarian – è proibito attingere acqua ai pozzi scavati da persone di altre caste. Ricordo ancora l’umiliazione che subivo da bambino, lungo il percorso per la scuola, quando chiedevo un goccio per dissetarmi: non potevo toccare il bicchiere, mi versavano l’acqua nel cavo delle mani. Dovevo bere come un animale». La discriminazione è radicata nelle coscienze, ma anche nella distribuzione degli insediamenti. In India i monsoni spirano da nord a sud in inverno e da ovest a est in estate: i dalit sono costretti a vivere sul lato orientale o meridionale dei villaggi. Coerente conseguenza del principio di intoccabilità: solo con una simile collocazione le caste superiori possono evitare di essere contaminate dalle impurità che il vento porterebbe con sé. MAI PIÙ “INTOCCABILI”, I DALIT CHIEDONO RISPETTO testi e foto di Paolo Aranha N « Il sistema di caste che vige in India continua a produrre discriminazione. In passato li definivano paria, ma oggi gli “oppressi” provano, tra mille ostacoli, ad affermare la propria dignità. Anche dentro la Chiesa cattolica 32 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 el Rgveda, testo fra i più sacri dell’induismo, è scritto che dalla testa di Dio nacquero i bramini, dalle sue braccia i guerrieri, i mercanti dai fianchi, dai piedi i contadini. E i dalit? Solo loro non nacquero da Dio». Così padre Yesumarian Lourdunathan, gesuita e attivista per la difesa dei diritti umani, spiega perché per millenni la sua gente sia stata discriminata e sfruttata. Un tempo erano chiamati paria o “intoccabili”. Mahatma Gandhi li ribattezzò harijans, “figli di Dio”, ma loro scelsero il nome di dalit, “oppressi”, rifiutando delle caste “superiori” tanto lo spietato sfruttamento quanto il paternalismo ipocrita. Per secoli ai dalit sono stati imposti mestieri che la cul- I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 33 internazionale india Il gesuita avvocato che lotta per restituire le terre agli ultimi Gesuita e avvocato, padre Yesumarian Lourdunathan ha fondato nel 1990 l’International Dr. Ambedkar Centenary Movement, alla vigilia del centenario dalla nascita del grande leader dalit. Dedica la sua azione legale ai contadini spossessati delle terre panchami, gli appezzamenti concessi nel 1892 dai britannici ai dalit: la loro ignoranza circa i propri diritti fece sì che le caste superiori si impossessassero di quei beni. Padre Yesumarian cerca – con notevole successo – di ottenere il riconoscimento della titolarità dei fondi a favore dei propri assistiti. Egli è anche leader di un movimento sociale che crede nell’efficacia dell’azione collettiva: organizza manifestazioni e – nel rispetto del principio di non violenza – azioni dimostrative ispirate alla legalità sostanziale. Frequenti sono ad esempio gli abbattimenti delle siepi con cui i proprietari di casta “superiore” tentano di inglobare terre dalit; sugli appezzamenti “liberati” viene collocata una statua del Dr. Ambedkar. Il suo Dalit Human Rights Center di Chingleput pubblica un mensile di denuncia e informazione. La lotta instancabile per i diritti dalit ha guadagnato a padre Yesumarian nemici numerosi e potenti. Per quattro volte è stato incarcerato, in un’occasione fu tenuto nudo una notte e picchiato selvaggiamente. «Sempre più – spiega – mi convinco che il celibato è per il sacerdote un dono prezioso. Se avessi famiglia, non potrei permettermi di lottare sino a rischiare la vita». catechista, un reddiar, mi diceva che non potevo fare il chierichetto, leggere le letture a messa o entrare in sagrestia. E mi costringeva a sedermi in fondo alla chiesa». Per realizzare la sua vocazione padre Lucas ha dovuto affrontare ostacoli d’ogni genere e anche in seminario si sentiva un osservato speciale: «Ciò che a un cristiano di casta superiore è imputato come errore insignificante, commesso da un dalit è prova di radicale inadeguatezza». Non meno contrastata è stata la vocazione di padre Yesumarian. «Nel 1968, al termine della scuola media – racconta il gesuita –, il mio parroco, di casta vanniar, mi disse che non dovevo continuare a studiare perché ero dalit. Dovevo togliermi dalla testa l’idea di diventare prete!». Il giovane non si scoraggiò e – vistosi rifiutare l’ammissione in una scuola cattolica – continuò gli studi in una scuola 34 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 VOLTI DI RISCATTO Bimbi dalit danzano a Oragadam in onore del grande leader dalit Ambedkar (sotto). A lato, Arokiamary Francis pubblica. «Ero attratto dall’eroismo di Francesco Saverio e Luigi Gonzaga, così nel 1971 chiesi di entrare nella Compagnia di Gesù». I gesuiti della provincia di Madurai (corrispondente al territorio del Tamil Nadu) sono all’avanguardia nella promozione dei dalit. Il provinciale uscente, padre Francis Xavier, proviene da quella comunità: l’alta reputazione scientifica delle sue ricerche di fisica, ma soprattutto l’ottima amministrazione che ha garantito alla provincia, hanno dimostrato che i dalit sono ormai all’altezza di ogni sfida. Il monito di Giovanni Paolo II Fra gli ordini religiosi e a livello della Conferenza episcopale indiana si è affermata una chiara opzione preferenziale per i dalit, traduzione indiana dell’opzione preferenziale per i poveri. Strumento essenziale di tale scelta evangelica è Caritas India, ma essa non deve ridursi al solo sviluppo socio-economico. Occorre che le scuole cattoliche riservino un congruo numero di posti agli studenti dalit e che vengano incoraggiate vocazioni, sacerdotali e religiose, provenienti da tale comunità. E poi restano molti problemi. «Nell’arcidiocesi di Pondichéry-Cuddalore, dalla quale provengo – spiega padre Yesumarian –, le discriminazioni di casta sono molto presenti. Nella parrocchia di Eraiyur, la più importante dell’arcidiocesi, il 16 febbraio 1999 i cattolici di casta vanniar impedirono che passasse lungo la strada principale del villaggio il corteo funebre per la madre di un sacerdote dalit. I facinorosi cominciarono a tirare pietre e a minacciare i dalit con armi da fuoco. La polizia intervenne, non disarmando i vanniar, bensì imponendo ai dalit di seguire il percorso tradizionale loro riservato, fra le misere capanne ai margini del villaggio. La mediazione tentata dall’arcivescovo, monsignor Michael Augustine, non produsse risultati; i vanniar ancora oggi non desistono dalle loro pretese di discriminazione». Episodi così gravi spiegano il severo richiamo che il 17 novembre 2003 Giovanni Paolo II rivolse ai vescovi del Tamil Nadu, in visita ad limina a Roma. Il papa li invitò a prestare un’attenzione particolare ai dalit: «Ogni parvenza di pregiudizio di casta nei rapporti fra cristiani contrasta un’autentica solidarietà umana, è una minaccia a una genuina spiritualità ed è serio ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Devono perciò essere riformati i costumi e le tradizioni che perpetuano o rafforzano la divisione in caste, così che essi diventino piuttosto espressione della solidarietà dell’intera comunità cristiana». Dinamica teologia dalit I dalit sempre più prendono coscienza della propria dignità e ormai dichiarano la propria identità con orgoglio. Esiste anche una vitale e dinamica teologia dalit, protagonista nell’ambito delle teologie asiatiche, che coniuga le istanze di liberazione con un’autentica inculturazione. E frutto di mobilitazioni a livello nazionale è il pronunciamento con cui la Corte suprema potrebbe estendere il regime delle quote riservate anche ai dalit cristiani, prima esclusi in base alla teoria secondo la quale nella Chiesa non sarebbero ammesse discriminazioni di casta. Molto possono fare anche ong e organismi pastorali come le Caritas dei paesi più sviluppati. Nei villaggi occorre garantire ai dalit accesso all’acqua: il controllo su questa risorsa è una delle discriminazioni più inaccetta- La capanna di Arokiamary e le violenze subite dalle donne Colpisce sin dal primo incontro la singolare forza d’animo di Arokiamary Francis. Lei ha scelto di non sposarsi per dedicarsi anima e corpo alla lotta per i diritti della sua gente. Il suo stipendio da catechista, pari a 10 euro mensili, non le permette – tiene a spiegare, scusandosene – di restaurare la capanna in cui vive, costruita con blocchi di fango e foglie di palma intrecciate. L’impegno che profonde nell’International Dr. Ambedkar Centenary Movement le è valso tre volte il carcere preventivo, in condizioni di rara disumanità. «Le donne dalit – spiega – soffrono più di tutti. Nelle loro famiglie scarseggiano sempre i soldi per il cibo, e allora i mariti sfogano la frustrazione su di loro. Il problema più grande però sono però le violenze subite dagli uomini “di casta”. Ci definiscono intoccabili, ma sfruttano ogni occasione per molestare e stuprare le donne dalit». Lavorando per il movimento spesso le capita di assistere donne traumatizzate da violenze inenarrabili. La collusione delle istituzioni con gli interessi delle caste superiori la induce a riporre una fiducia molto condizionata nella democrazia rappresentativa: «Noi votiamo solo alle elezioni amministrative, per appoggiare i candidati dalit nei panchayat (consigli di villaggio). Ci asteniamo dal votare alle politiche: nessun partito ci rappresenta davvero a livello nazionale». bili. Cruciale è poi rivitalizzare le antiche professioni dei dalit. Le abilità dei calzolai, trasmesse per generazioni, potrebbero innescare un circuito virtuoso di sviluppo, se fosse agevolato l’approvvigionamento di cuoio e pelli e favorito l’accesso al mercato. Investimenti nell’istruzione di base avrebbero grande impatto; adeguate borse di studio permetterebbero agli studenti meritevoli di accedere ai più alti livelli dell’istruzione, per servire la propria gente con più competenza e in posizioni di responsabilità. La promozione dei gruppi di auto-aiuto e di altre forme di associazionismo femminile emanciperebbe le donne e rafforzerebbe le famiglie. Attraverso lo sviluppo economico e sociale i dalit possono diventare protagonisti della propria storia. La Chiesa non può contraddire questa istanza. I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 35 internazionale internazionale casa comune LIBERTÀ RELIGIOSA, L’EUROPA NON È UN PARADISO di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles n’eredità del passato, dura a scomparire. Il Rapporto 2005 sulla libertà religiosa nel mondo, realizzato da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), racconta una faccia ancora attuale del mondo, fra episodi di intolleranza etnico-religiosa, carenze di diritti, rapporti tesi fra governi nazionali e chiese (si pensi, in Europa, ai casi francese, spagnolo, turco, bielorusso…). La libertà di professare la propria fede oggi spesso è messa a dura prova. Fortunatamente non mancano i casi positivi, laddove si fanno largo forme di convivenza tra fedi differenti e nuove U Partito socialista”. L’esecutivo di Madrid “ha iniziato a realizzare le promesse elettorali concernenti la famiglia, il diritto alla vita e le unioni omosessuali”. Secondo Acs, “l’atteggiamento dei vescovi è reattivo, ma, anche nella nuova situazione, rimane improntato alla ricerca del dialogo”. Attentati, sette, riforme I mass media hanno segnalato negli leggi a tutela della libertà di culto. ultimi mesi numerosi episodi di inLa vasta ricerca dell’opera di ditolleranza etnico-religiosa, sopratIl Rapporto di “Aiuto ritto pontificio segnala, per il contitutto di matrice antisemita, ma rivolalla Chiesa che soffre” nente europeo, numerose situazioti anche contro cristiani o musulmasegnala situazioni ni problematiche. Secondo gli ni. Vasta eco ha avuto l’impressiodi tensione nel vecchio esperti di Acs, “una nuova ondata nante serie di attentati in Olanda: “A continente. In alcuni laicista si è scatenata in Francia, con far esplodere le tensioni è stata la paesi il confronto l’approvazione e l’attuazione di una morte del regista Theo Van Gogh, ucè con la mentalità legge che impedisce di indossare ciso ad Amsterdam da un fondalaicista, in altri simboli religiosi nelle scuole”, menmentalista islamico. Fenomeni mesi registrano violenze tre in Germania, con varie disposino appariscenti, ma indicativi delle e mancato rispetto zioni locali o regionali, “si persegue medesime tensioni, si sono verificati di minoranze lo stesso fine”. in Polonia, Gran Bretagna, UngheNel corso del 2004 Parigi ha vararia”. Gravi problemi socio-religiosi to la legge sull’utilizzo pubblico dei simboli religiosi nelle permangono nei Balcani, segnati da anni di guerre e vioscuole: “Reazioni negative sono venute un po’ da tutte le lenze, mentre sulla scena europea si affaccia una Bielocomunità – si legge nel Rapporto Acs –: dai cattolici, dai russia con pesanti rigurgiti anti-religiosi, ai danni, fra gli musulmani (la religione maggiormente nel mirino della altri, della minoranza dei Testimoni di Geova. legge) e dai sikh indiani, in virtù del loro obbligo d’indosSe in Lituania è emerso con prepotenza il problema sare sempre il turbante”. Stando al Rapporto, tali provve- delle sette, in altri paesi sono in corso trattative per la redimenti, “concepiti per contrastare l’emergere del fonda- stituzione di beni ecclesiastici confiscati da governi prementalismo islamico, non sembrano dimostrarsi efficaci, cedenti (Georgia, Romania, Ucraina, Turchia). come non lo sono nemmeno altri modelli di convivenza Altrettanto delicate, anche perché intersecano i rapfondati sul multiculturalismo, in Olanda e nel Regno Uni- porti tra politica e religione, le questioni segnalate per la to”, dove si registrano periodiche esplosioni di violenza, Turchia. Il paese eurasiatico è “sotto osservazione” in viche coinvolgono soprattutto le comunità musulmane. sta della prossima apertura dei negoziati per l’adesione Un caso a sé rappresenta la Spagna, dove “il quadro di alla Ue, prevista per il 3 ottobre. Nel Rapporto si legge di rapporti armonici fra Chiesa cattolica e governo ha subito recenti e positive riforme, ma resta “del tutto insoddisfaun drastico cambiamento dopo la vittoria elettorale del cente il livello di rispetto delle minoranze religiose”. 36 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 beslan «LE LACRIME SCORRONO, MA IL TERRORE NON HA VINTO» di Generoso Simeone IL TRAUMA, I COLORI Bambini di Beslan in una delle scuole cittadine. La strage di un anno fa è un ricordo difficile da metabolizzare n anno fa l’attenzione del mondo fu risucchiata nel gorgo di una tragedia assurda. Il terrorismo internazionale (nella sua versione indipendentista cecena) toccò una vetta, forse ineguagliabile, di ferocia e inumanità. E la reazione sconsiderata delle forze militari russe contribuì alla carneficina (qualcuno dice: la innescò). Una ferocia immotivata recise centinaia di vite innocenti: dei 394 morti buona parte furono bambini, ostaggi e poi vittime di una follia che non rispetta nemmeno il simbolo di futuro rappresentato, a ogni latitudine, dal primo giorno di scuola. La tragedia consumatasi ai primi di settembre 2004 nella scuola di Beslan, cittadina dell’Ossezia settentrionale, in territorio russo, ha avuto come testimone diretto anche Feofan Azhurkov, eparca ortodosso di Stravropol e Vladikavkaz, vescovo molto vicino al Patriarca di Mosca, Alessio II. «Ricordo che giunsi alla scuola subito dopo l’assalto e immediatamente capii la necessità di parlare con le madri e i padri dei bambini. Era estremamente importante incontrarli e cercare di tranquillizzarli, per evitare che si trasformassero in una folla pericolosa. E che rendessero la tragedia ancora più grande. Ma oggi, a un anno dalla strage – ha dichiarato il vescovo nel corso di un viaggio estivo in Italia –, nulla è stato superato. Il dolore è ancora vivo e le lacrime continuano a scorrere. Tuttavia, non sono stati nemmeno dimenticati l’aiuto e la solidarietà dei paesi europei, in particolare quello dell’Italia. Il popolo italiano ha vissuto la tragedia come se fosse un proprio dolore». U Monito per l’intero pianeta Feofan, vescovo della Chiesa ortodossa russa, è stato in Italia su invito di Caritas. Ricorda la tragedia che un anno fa dilaniò Beslan: «Il dolore è ancora vivo, ma la solidarietà di tanti ci aiuta a riprendere la vita di ogni giorno» L’eparca Feofan (che ha viggiato insieme a padre Vladimir Samoylenko, parroco ortodosso di Vladikavkaz, e a Sergei Basiev, direttore della Caritas della parrocchia cattolica di Vladikavkaz) ha evidenziato il valore di monito che la tragedia di Beslan riveste per l’intero pianeta. «Non credo che il timore che una cosa simile si possa ripetere esista solo in Ossezia. In tutto il mondo il terrorismo è un pericolo senza confini. Nonostante il dolore, la vita nel nostro paese è continuata come sempre. La gente lavora, si sposa, fa figli e questa è la migliore risposta al terrorismo: la violenza non ha raggiunto il suo scopo finale». Chi ha vissuto quel trauma, però, non potrà non reI TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 37 internazionale internazionale contrappunto beslan Sanità, istruzione, aiuti sociali: si collabora con gli ortodossi Caritas Italiana ha avviato, all’indomani della strage nella scuola “numero 1”, alcuni interventi a sostegno delle vittime e della comunità di Beslan. Partner locali sono Caritas Russia e la Caritas parrocchiale di VladikavkazBeslan, che opera in collaborazione con la Chiesa ortodossa. In ambito sanitario, al Policlinico di Beslan è stato fornito uno strumento elettronico per la diagnosi delle carenze uditive, utile per curare chi ha patito gli effetti dello scoppio delle bombe nella palestra della scuola; ora si pensa alla fornitura di protesi auricolari. All’ospedale civile di Beslan, che coordina l’assistenza fisica, fisiologica e fisioterapica delle vittime, sono invece state donate attrezzature per incrementare la capacità di analisi del laboratorio. Anche il Centro epidemiologico di Beslan, preposto alla difesa ambientale del territorio, ha ricevuto attrezzature da laboratorio per il monitoraggio nutrizionale e di igiene pubblica. Nell’ambito dell’istruzione, sono stati forniti programmi e attrezzature elettroniche per gestire gli incontri di riabilitazione nella Scuola di musica di Beslan, dove centinaia di bambini sono in trattamento per il recupero dai traumi subiti. Tre computer sono invece stati assegnati ad altrettanti ragazzi che non possono frequentare la scuola perché l’attentato li ha resi disabili; gli insegnanti si sono impegnati a trasferire loro le lezioni per via telematica. Due aule della scuola sono state inoltre adibite a centro per gli interventi psicologici e terapeutici a favore dei minori in difficoltà. Una vacanza post-scuola a San Pietroburgo ha coinvolto 27 bambini. Infine viene supportata l’azione di Caritas Vladikavkaz a favore delle famiglie in difficoltà e povere, appartenenti a tutte le componenti etniche e religiose. Nel quadro della collaborazione con le realtà russe, la visita in Italia della delegazione comprendente il vescovo Feofan ha rappresentato un momento di particolare rilievo. Oltre agli approfondimenti sulle modalità di collaborazione inerenti i progetti (la Chiesa ortodossa sta portando a termine ad Alaghir, 25 chilometri da Vladikavkaz, la ristrutturazione di un antico monastero per farne un centro di attività di recupero sociale e di formazione per giovani, a cominciare dalle vittime dei fatti di Beslan), ha consentito incontri con autorità civili ed ecclesiali a Milano, Brescia, Assisi e Roma. Si stanno delineando ipotesi di lavoro comune, secondo «uno spirito ecumenico reale e pratico, affidato ai fatti e alle opere, in attesa che i teologi risolvano i loro problemi», come ha felicemente sintetizzato Feofan. 38 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 IL FONDO PER I VACCINI, E SE FOSSE UN ALTRO PASTICCIO? AIUTI ECUMENICI Aiuti per Beslan tramite la Caritas russa di Vladikavkaz, che collabora con la Chiesa ortodossa locale carne i segni per sempre. «Ciò di cui gli scampati hanno bisogno – ha chiarito il vescovo ortodosso – non sono solo gli aiuti economici, ma la condivisione del dolore e la voglia di ricominciare. L’iniziativa delle nostre chiese, che punta a costruire un centro di riabilitazione per i ragazzi che hanno sofferto, con l’intento di farlo diventare anche un luogo di ricreazione e socializzazione aperto a tutti i giovani, va in questa direzione». La bandiera dell’Islam La politica e la violenza, apparentemente inestricabili nell’aria caucasica, sembrano però voler scoraggiare ogni speranza fondata sulla convivenza. «I terroristi che hanno assaltato la scuola erano musulmani, ma non bisogna commettere l’errore di identificare l’islam con il terrorismo – ha scandito il vescovo –. Sono cose diverse, la religione islamica e anche la volontà di indipendenza di un popolo non hanno niente a che vedere, in sé, con la violenza e lo spargimento di sangue. Ho lavorato molto nei paesi arabi e ho conosciuto tanti islamici non violenti. È importante uscire da una contrapposizione tra i due mondi: in Russia cristiani e musulmani vivono da secoli ed è possibile dimostrare che le due religioni possono convivere. Chi compie atti violenti è solo un terrorista. E se un popolo vuole l’autonomia, avrà le sue ragioni, ma secondo me non si deve agire per dividere il mondo violentemente, bensì per unirlo». Restano i timori sul futuro di bambini che hanno già visto il peggio che l’uomo può esprimere. «Loro vivono e hanno una vita davanti. Ogni paese ha avuto guerre, tragedie e dolore, ma poi ciascuno è riuscito a riguadagnarsi un futuro. Il futuro c’è quando si ha fede in Dio e si crede nell’amore tra gli uomini. Dopo il lutto, non bisogna cedere alla disperazione». di Alberto Bobbio ascosta nelle pieghe dei comunicati, alla fine del vertice scozzese del G8 che ha promesso di azzerare una parte del debito dei paesi poveri, c’era anche la notizia che all’Italia è stata affidata la responsabilità di un nuovo fondo per le vaccinazioni, dove dovrebbero entrare 4 miliardi di dollari entro il 2015. Il ministro dell’economia italiano, Domenico Siniscalco, ha avuto l’incarico di redigere un rapporto sulla disponibilità delle case farmaceutiche a fornire medicine contro malattie che fanno milioni di morti. La faccenda è nebolusa: un conto è acquistare vaccini, un altro creare un mercato con regole diverse da quelle fin qui utilizzate dalle cosidette Big pharma, le grandi rio del terzo mondo non è solo un problema di vaccini. Sono il costo proibitivo dei servizi sanitari e la mancanza di politiche sanitarie popolari a fare la differenza. In Uganda, dove le tasse sanitarie sono state abolite nel 2001, il ricorso ai centri per le vaccinazioni è raddoppiato. Nei venti stati più poveri dell’Africa i ticket sanitari hanno costi altissimi, ma anche in Tanzania, paese che ha buoni numeri economici, la metà della popolazione non ricorre alle cure sanitarie nemmeno in caso di malattie cronimultinazionali delle medicine, proIl G8 ha incaricato che. La gente muore per morbillo, tagoniste di battaglie all’ultimo sanl’Italia di attivare uno diarrea, polmonite, malaria. Malattie gue sulla questione delle proprietà strumento per la lotta da poveracci, debellabili con poco. intellettuali. Inoltre per alcune macontro le malattie La malaria è l’esempio più eclalattie, tra cui Aids e malaria, ma andei paesi poveri. tante. Ogni anno si ammalano da 300 che quelle provocate dai batteri suMa non è chiaro a 500 milioni di persone nel mondo, per-resistenti, vaccini non ci sono. Il a che titolo saranno nove su dieci in Africa, il 90% bambipiano affidato a Siniscalco potrebbe coinvolte le grandi case ni. Si muore perché non ci sono farprefigurare l’acquisto di vaccini anfarmaceutiche. Un piano maci, analisi di laboratorio, strade e cora da scoprire. Anche in questo casimile, varato a Genova, mezzi per arrivare in tempi ragioneso si creerebbe un mercato, virtuale e è già fallito… voli all’ospedale. Di malaria muore reale, dai contorni poco definiti, ma un bambino ogni 30 secondi: è la mapotenzialmente pericoloso, che rischia di stornare risorse dall’acquisto e dalla diffusione lattia più diffusa della terra e si può curare benissimo, basta un dollaro a persona per le medicine. Ma gli africani di vaccini tradizionali e altri sistemi di prevenzione. L’impressione è che la decisione mascheri un altro pa- un dollaro non ce l’hanno. La campagna lanciata dall’Oms nel 1998 per dimezsticcio. Nel 2001, al G8 di Genova, si era deciso di creare un Global found internazionale per combattere Aids, tuberco- zare la malaria entro il 2010 è fallita. La malaria si annida losi e malaria. Erano stati promessi 16 miliardi di dollari. Ma dove ci sono povertà, guerra, fame. I paesi ricchi l’hanno nel 2004 in cassaforte c’erano poco meno di tre miliardi di debellata nei secoli con i farmaci, il ddt, le zanzariere. dollari. Ora la cosa viene riproposta con altro nome e affida- Una zanzariera impregnata di insetticida costa due dollata all’Italia, il paese meno virtuoso di tutti, quello che spen- ri. Il vaccino forse tra qualche anno arriverà. Ci sono in de meno in Europa per gli aiuti allo sviluppo in rapporto al corso sperimentazioni. Ma sarà un affare sempre per i ricchi. Come la ricerca, promessa dal nuovo fondo: fiPil, benché faccia largo uso di promesse e buoni propositi. nanzia le società farmaceutiche di cui i ricchi sono gli azionisti. Così la storia può andare avanti all’infinito. Ci Servizi con costi proibitivi Manca in realtà la consapevolezza che il problema sanita- pensi, ministro Siniscalco. N I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 39 agenda territori oltre il campanile MAZARA DEL VALLO VICENZA “Le donne del Mediterraneo”, mensile bilingue avvicina le culture L’Agenzia sociale: “Trovare casa è sempre più difficile” La Caritas diocesana ha deciso di dare vita a una nuova rivista socio-culturale in lingua italiana e in lingua araba. Le donne del Mediterraneo è un mensile (di cui per ora è stato realizzato il numero zero, ma che verrà distribuito da settembre) redatto in collaborazione con la rivista algerina Hayat, che ha per scopo la promozione delle donne, è diretta dall’italiana Umberta Fabris e sostenuta da Caritas Italiana. Il nuovo mensile affronterà vari argomenti, con alcune rubriche fisse e articoli che riguardano il mondo delle donne e i loro problemi, in particolare quelli delle donne arabe che vivono in Italia. Sarà diffuso nel nostro paese tramite la rete delle Caritas diocesane siciliane; il numero zero è stato inoltre distribuito a tutte le Caritas diocesane italiane con lo scopo, oltre che di presentare la nuova rivista, di cercare contatti con associazioni e centri di aggregazione culturale di donne arabe, al fine di espandere il progetto. All’estero (inizialmente in Tunisia e Algeria) sarà diffuso con la collaborazione della Chiesa tunisina, con cui la Caritas di Mazara del Vallo è gemellata. È stato contattato anche il ministero degli esteri, con la proposta di inviare la rivista nei centri culturali delle ambasciate e dei consolati italiani dei paesi arabi. PER INFORMAZIONI Tel. 0923.90.77.20 CUNEO Accordo con l’Inps per un Rapporto sull’immigrazione È stato firmato all’inizio di luglio tra le Caritas diocesane della provincia di Cuneo e la sezione provinciale dell’Inps un protocollo d’intesa per costituire un Osservatorio provinciale sul fenomeno migratorio. Scopo dell’intesa è agevolare coloro che sono quotidianamente impegnati sul fronte dell’immigrazione, offrendo uno strumento che possa orientare scelte sociali e politiche. L’osservatorio produrrà annualmente un Rapporto provinciale, che seguirà le linee guida 40 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 metodologiche del Dossier statistico iImmigrazione di Caritas Italiana, nonché del Monitoraggio dei flussi migratori gestito dall’Inps. Il nuovo strumento indagherà dunque ruolo e dinamiche della presenza straniera sul tessuto socio-demografico e nel mercato del lavoro, oltre che i livelli di inserimento socio-culturale della popolazione straniera nel territorio. L’Inps condurrà, in particolare, il monitoraggio delle dinamiche lavorative, mentre le cinque Caritas diocesane presenti nella “provincia granda” metteranno a disposizione l’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro sociale e di accoglienza a favore degli immigrati. Nell'ultimo anno si è faticato di più a comprare casa, per la maggiore fragilità dei rapporti di lavoro, la maggior prudenza delle banche nel concedere mutui, i prezzi che non diminuiscono. Lo hanno constatato gli operatori dell’Agenzia sociale per la casa, il servizio di accompagnamento sociale all’affitto e all’acquisto abitativo voluto dalla Caritas diocesana di Vicenza. Nata nel 2001, l’Agenzia opera in collaborazione con svariati attori sociali del territorio, gode del contributo della Camera di commercio di Vicenza e conta cinque sportelli. «Abbiamo rilevato – afferma Alberto Bordignon, che coordina il progetto – un aumento delle richieste di aiuto da parte di famiglie italiane, nonché una crescita dei casi di conflittualità fra vicini di diverse culture, segno di una maggiore difficoltà di convivenza». L’Agenzia sinora ha contato 1.156 utenti; i casi pilota risolti sono stati 61; in altri 210 l’aiuto è consistito in un intervento specifico e contenuto. Fa parte del progetto anche la ricerca “Tanti modi di abitare”, che tenta di far emergere il diverso significato che l’abitazione assume nelle diverse culture. LOMBARDIA Povertà in regione e Piani di zona, testi per conoscere La Delegazione regionale Caritas ha varato una iniziativa editoriale (la collana I quaderni della delegazione lombarda), inaugurata dal Primo dossier regionale sulla povertà in Lombardia di Monica Tola “Il Samaritan”, l’autonomia nasce dall’amicizia «Insieme ai disabili scopriamo di non essere isole» A Ragogna, tremila abitanti, diocesi e provincia di Udine, la parrocchia di San Giacomo Apostolo è guidata da don Antonio Cappellari. Don Tonino, come lo chiamano in paese, è anche uno dei soci fondatori e vicepresidente de Il Samaritan, l’associazione che ha dato vita a una comunità di giovani diversamente abili, con le loro famiglie, alcuni operatori e quasi quaranta volontari. «Negli anni ’80 – racconta – i giovani della parrocchia hanno partecipato a numerosi campi estivi con i disabili. Si sono uniti a loro altri ragazzi del paese, poi giovani dei paesi vicini. Sono nate molte amicizie, ma soprattutto una coscienza nuova rispetto alla diversità». Naturale, per molti di quei ragazzi, aderire all’associazione che il parroco e il padre di un bimbo disabile hanno avviato sette anni fa. Il Samaritan rappresenta soprattutto un punto di incontro per i disabili e le loro famiglie. Spiega Renato Topazzini, attuale presidente: «Stando insieme scoprono di non essere isole. Si conoscono e si sostengono a vicenda, anche nelle piccole cose di ogni giorno». Alle riunioni mensili con i genitori, si aggiunge un’intensa attività. Il sabato è dedicato al confronto, ai giochi, alle gite, al canto, al teatro. Nei giorni feriali, ogni pomeriggio, oltre alla fisioterapia si lavora nei laboratori manuali e in cucina. «Obiettivo principale – prosegue Renato – è l’autonomia». L’impegno maggiore è riservato al mantenimento scolastico. «I ragazzi rischiano di dimenticare in poco tempo quanto appreso. Con l’esercizio, invece, possono fare da soli i conti della spesa o comprendere cartelli e segnali stradali». Tanti amici e una casa madre CONOSCERSI E SOSTENERSI Ospiti e amici della comunità “Il Samaritan”, vitale punto di incontro tra disabili e famiglie, nata su iniziativa di un gruppo della parrocchia di Ragogna (Ud). Le storie della rubrica “Oltre il campanile” sono riproposte anche dal circuito radiofonico InBlu e sul sito internet www.caritasitaliana.it La relazione è l’aspetto dominate di tutte le attività. «A Il Samaritan – conferma don Tonino – la gente soprattutto si frequenta. E si conosce anche nelle piccole esigenze e preferenze di ogni giorno. Ciò ha un grande valore per i genitori, che vivevano l’angoscia di lasciare soli i propri figli, un giorno. Oggi sanno che c’è chi si prende davvero cura di loro». L’associazione ha costruito una fitta rete di rapporti sul territorio: un operatore visita sistematicamente le scuole per aiutare i bambini a superare la paura verso la diversità. Ma Il Samaritan collabora anche con altre associazioni, ha attivato convenzioni con la Asl locale, ha coinvolto l’assemblea dei sindaci. «Non vogliamo burocratizzarci – chiarisce Renato – ma crediamo sia importante responsabilizzare le istituzioni. Per garantire il meglio ai disabili non basta il privato». Il Samaritan, comunque, può contare su tanti amici. Per prima la comunità parrocchiale, che quattro anni fa ha concesso in comodato gratuito una casetta donata alla parrocchia per fini benefici. Un’altra piccola casa è stata data in dono all’associazione successivamente. Poi, dalla madre di una ragazza down non vedente, è arrivata “Cjase Balet”, un grande fabbricato rurale: ristrutturato, diventerà la casa madre della comunità. Centro delle attività diurne, potrà offrire ospitalità stabile o permanente ai disabili rimasti orfani. Nella casa avrà sede anche una biblioteca dedicata all’handicap: chiunque potrà accedervi gratuitamente. Le due casette ospiteranno invece piccoli gruppi di disabili che vorranno e potranno vivere con maggiore autonomia. «Oggi sembra una meta – osserva Renato –, ma domani sarà solo un nuovo punto di partenza». I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 41 agenda territori Il vertice A New York, dal 14 al 16 settembre, si tiene la 60ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Sarà una nuova, fondamentale tappa per valutare lo stato di attuazione della Dichiarazione del Millennio, dopo il G8 di luglio e nella prospettiva della Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio. Otto sono gli obiettivi di sviluppo, al cui raggiungimento i 191 stati membri dell’Onu hanno assicurato il loro contributo, per riuscire a dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015. I primi sette obiettivi definiscono le responsabilità soprattutto a carico (ma non solo) dei paesi più poveri. L’obiettivo 8 identifica gli impegni e le responsabilità dei paesi ricchi nella lotta alla povertà, in particolare in materia di cooperazione allo sviluppo, debito estero e commercio internazionale. La mobilitazione Accogliendo l’appello per la mobilitazione mondiale alla lotta contro la povertà, Caritas Italiana e Volontari nel mondo – Focsiv, insieme ad altre realtà del mondo cattolico, hanno lanciato la campagna internazionale “I poveri non possono aspettare”, con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di un’opinione pubblica informata. Strumento principale di adesione è stata la cartolina – spedita al primo ministro inglese, in quanto leader del paese ospitante del G8 di luglio, e al presidente del consiglio italiano – con la quale si chiedeva l’aumento in quantità e qualità degli aiuti pubblici allo sviluppo, la cancellazione totale del debito e l’eliminazione delle pratiche di dumping. Da gennaio a luglio ne sono state inviate più di 50 mila solo dall’Italia e 265 mila da tutti i paesi europei. La decisione assunta a Gleneagles di stanziare 50 miliardi di dollari entro il 2010 è un piccolo passo nella giusta direzione. In realtà, lo sradicamento della povertà richiederebbe che questa somma fosse stanziata già nel 2006, come dimostrano le stime delle Nazioni Unite che parlano di 50 miliardi all’anno in più, necessari da subito, per poter raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015. Il vertice mondiale di New York sarà la prossima importante occasione per sensibilizzare, coinvolgere e fare pressione su questi temi. PER INFORMAZIONI www.caritasitaliana.it oppure www.focsiv.it I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 e da un Manuale per i Piani di zona. Il primo strumento assembla (ma in futuro l’integrazione sarà più organica) i dati provenienti dai centri d’ascolto diocesani delle dieci diocesi; per quella ambrosiana, molto più grande e popolosa delle altre, sono stati analizzati anche i dati delle sette zone pastorali. La pubblicazione contiene dati che gettano luce sulle situazioni di bisogno presenti nel contesto regionale, integrandoli con le riflessioni sul rapporto tra Europa, solidarietà e stato sociale, emerse in un recente seminario organizzato dalla Delegazione. Il secondo testo si concentra sui Piani di zona, strumento principe della programmazione sociale locale, introdotto dalla legge 328 di riforma dei servizi sociali: il volumetto ne analizza natura e prospettive e offre preziose indicazioni sulla relazione che soggetti pubblici e del privato sociale possono stabilire nella definizione e stesura dei piani. PER INFORMAZIONI Tel. 030.37.57.746 ROSSANO-CARIATI Mostra, libro e giornate di incontro emigrati-immigrati La Caritas di Rossano-Cariati ha realizzato il 9 agosto la seconda giornata sul tema “Abitare il mondo, incontrare l’uomo”. A maggio protagonisti di riflessione e festa erano stati gli immigrati presenti nel territorio; ad agosto a raccontarsi sono stati gli emigrati calabresi in Germania. Organizzato con le associazioni calabresi in terra tedesca, l’incontro ha dato spazio alle testimonianze, per favorire uno scambio di esperienze. Nell’occasione è stato presentato il libro Calabria Altrove, curato da Assunta Scorpiniti, che racconta l’emigrazione calabrese in diversi paesi. Infine è stata allestita una mostra di oggetti e fotografie dell’emigrazione calabrese nel mondo, con uno spazio dedicato all’opera delle Missioni Cattoliche e, oggi, delle parrocchie tedesche a favore degli emigrati, oltre a una mostra documentaria sull’opera di monsignor Scalabrini nelle Americhe. CALTANISSETTA Operatori di strada e la “Città dei ragazzi” nei quartieri periferici La Caritas diocesana ha organizzato in estate attività di socializzazione e integrazione rivolte ai bambini tra gli 8 e i 13 anni e alle loro famiglie nei quartieri di periferia Angeli e Stazzone. L’iniziativa è culminata nella realizzazione della prima “Città dei ragazzi” in un’ala di un istituto scolastico. L’iniziativa mira, in prospettiva, a formare veri e propri “operatori di strada” attivi nei due quartieri. Più in generale, il progetto intende permettere a famiglie e ragazzi di riappropriarsi dei propri spazi di vita, rendendo più vivibili i quartieri. Gli operatori di strada interagiscono con gli abitanti mediante attività ludiche e ricreative: iniziative sportive, artistiche, laboratori di pittura, di fotografia, teatrali... “La città dei ragazzi”, una volta avviata, offrirà ai suoi aderenti anche iniziative pedagogiche: doposcuola e corsi di informatica, recitazione, canto, musica. a cura dell’Ufficio comunicazione Cinquanta volontari a Colonia: «Dopo la Gmg? Il Servizio civile» DOMENICO LOCATELLI Lotta alla povertà: Assemblea Onu, prosegue l’iniziativa Caritas-Focsiv 42 bacheca di Ferruccio Ferrante CRISTIAN GENNARI sto in campagna A Colonia, con e per altre decine di migliaia di giovani italiani, insieme ai giovani di tutto il mondo. Con questo spirito 50 ragazzi e ragazze del Servizio civile nazionale, in servizio presso Caritas diocesane o altri enti accreditati di tutta Italia, hanno partecipato alla Giornata mondiale della gioventù, svoltasi alla presenza di papa Benedetto XVI nella decade centrale di agosto nella città tedesca. L’iniziativa è stata promossa dal Tavolo ecclesiale sul servizio civile, coordinato da Caritas Italiana, che intende promuovere il servizio civile e proporlo a tutti come importante esperienza formativa, di servizio agli ultimi, di testimonianza dei valori di pace, giustizia, cittadinanza attiva e solidarietà. L’obiettivo era incontrare i giovani italiani giunti a Colonia (nelle foto, due momenti delle iniziative), per trasmettere loro informazioni e motivazioni circa una scelta che, in ottica cristiana, può costituire una naturale prosecuzione dell’esperienza spirituale rappresentata dalla Gmg. Progetti in tutto il mondo I 50 volontari Caritas hanno dialogato con i loro connazionali nei 40 punti di incontro allestiti nella città di Colonia, allestendo “info point” e due stand per conto dell’Ufficio nazionale servizio civile, che distribuivano materiale informativo. Inoltre hanno reso testimonianze durante alcuni momenti pubblici, a cominciare dalla grande Festa degli Italiani di mercoledì 17 agosto. Infine hanno stilato un resoconto della loro esperienza sul sito www.esseciblog.it, di recente aperto dal Tavolo ecclesiale per far interagire i giovani con la realtà, i servizi e i protagonisti del Servizio civile volontario. Tra le informazioni comunicate ai coetanei, i volontari hanno insistito sulle prospettive di impegno all’estero, ricordando che dal 2001 Caritas Italiana ha fatto partire 72 “caschi bianchi” per Albania, Bosnia-Erzegovina, Guatemala, Honduras, Kenya, Kosovo, Macedonia, Mozambico e Ruanda, nell’ambito di progetti di microcredito, per i minori di strada, la tutela dei diritti delle popolazioni indigene, l’integrazione multietnica e l’educazione alla pace. Inoltre hanno ricordato i progetti di servizio civile all'estero di molte Caritas diocesane, che hanno visto partire, tra 2001 e 2005, 124 giovani. I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 43 villaggio globale a tu per tu CINEMA SUSSIDI I cento passi primeggia tra i film per il sociale Trent’anni di convegni Caritas, “segnaletica” per comunità solidali La classifica dei film più rappresentativi per il mondo del sociale è cosa fatta: si è concluso in estate il concorso 100 film per il sociale, promosso da Segretariato sociale Rai, Rai cinema e settimanale Vita. Attraverso il programma di Radio 3 Hollywood Party e le pagine del settimanale, ascoltatori e lettori potevano segnalare tre film capaci di sondare temi e raccontare storie di disagio e solidarietà. Al primo posto, con il 12% dei consensi, è finito il film I cento passi di Marco Tullio Giordana, che ricostruisce (una scena, nella foto) la vicenda del giornalista siciliano Peppino Impastato, ucciso dalla mafia. Altri titoli con segnalazioni significative: A spasso con Daisy, Apocalypse now, Philadelphia, Arancia meccanica, Le fate ignoranti e il recente Le chiavi di casa. Queste pellicole toccano temi scottanti e delicati: razzismo, guerra, drammi economici e personali, malattia, disabilità e fragilità. FOTOGRAFIA “Imago mundi”, archivio di scatti su Chiesa e società Un archivio lungo vent’anni. Che a opera compiuta potrà contare su almeno ventimila immagini. E che promette di essere costantemente aggiornato. Imago mundi. Archivio fotografico di popoli e religioni 44 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 Agile, ma documentato e ricchissimo di spunti. Caritas Italiana ha raccolto nel volumetto Convocati dall’amore di Cristo, pubblicato a luglio, trenta anni di convegni nazionali, che dal 1972 (Roma, Domus Mariae) al 2005 (Fiuggi, Teatro delle fonti) hanno convocato le Caritas diocesane in un percorso di riflessione indirizzato, come scrive nella presentazione monsignor Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana, «da un lato dalla “segnaletica verticale” della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa, dall’altro lato dalla “segnaletica orizzontale” vivente rappresentata dai poveri». La pubblicazione presenta trenta schede, che indicano ciascuna luogo, data e programma di un singolo convegno, oltre al numero di partecipanti e diocesi presenti; segue una selezione di brani tratti da relazioni, lavori di gruppo, eventuali mozioni e conclusioni; infine, ogni scheda è arricchita da due brevi cronologie, relative ai principali avvenimenti accaduti nella vita della Chiesa e alle attività promosse dalla Caritas nell’anno in questione. Insomma, una carrellata di agevole lettura, ma densa di sollecitazioni culturali e spirituali: ne emerge il quadro di un pensiero e di una prassi attenti a cogliere le sollecitazioni provenienti dai territori e dal contesto sociale, per orientare le scelte pastorali, nella prospettiva della costruzione di comunità solidali. PER INFORMAZIONI www.caritasitaliana.it è la sintesi, ormai consultabile in internet, del lavoro svolto dal fotografo Romano Siciliani e dai suoi amici e colleghi in due decenni. Tutto ebbe inizio, racconta la presentazione del sito, nell’aprile 1984, con l’incarico affidato a Siciliani di realizzare un libro fotografico per il Giubileo dei giovani. Nacque così una passione per la Chiesa cattolica, le persone e le realtà che ne fanno parte, ma anche per le usanze, le culture, i riti religiosi, i problemi sociali e le espressioni di solidarietà e volontariato che caratterizzano il nostro paese e molti altri del mondo, che ha generato un avvincente itinerario di documentazione fotografica. In via di completamento, il sito presenterà nella sezione “Reportage” lavori a tema monografici di fotografi che collaborano con l’agenzia, mentre la sezione “Photo news” verrà aggiornata costantemente con scatti su temi d’attualità. Interessante, per chi cerca scatti originali, espressivi, rispettosi della dignità delle persone, è soprattutto la sezione “Archivio”, gestito da un efficace sistema di ricerca di Danilo Angelelli Un media “caldo” per dare voce agli ultimi: «La radio va oltre la cronaca e non può mentire» Non è inseguita dall’assillo degli ascolti e ha una forte penetrazione. Non impegna tutti i sensi, dunque il messaggio arriva più facilmente, senza affaticare. È un mezzo “caldo”, con il quale stabiliamo un rapporto confidenziale e affettivo. Per questo la radio si presta particolarmente a trattare temi sociali e di solidarietà, a dar voce agli ultimi. Ecco cosa ne pensano alcuni responsabili delle principali emittenti radiofoniche italiane. Sergio Valzania, direttore di Radiodue e Radiotre. «La comunicazione sociale è elemento caratterizzante di un servizio pubblico radiotelevisivo. Non può essere considerata un genere; le tematiche del sociale non devono essere ghettizzate, perché sono nella società. Sbaglia chi cerca di frammentare la comunità. L’attenzione al sociale deve essere un’esperienza che tenta di ricomporre la comunità. L’obbligo del servizio pubblico non è limitarsi a dare voce, ma contribuire a dare una soluzione. Noi ci impegniamo a presentare il mondo comunicandone la complessità». Lionello Mancini, vicedirettore di Radio 24. «Siamo una talk radio, o radio di parole, e abbiamo più spazio a disposizione per approfondire certi temi, fino a dargli il “sapore” della quotidianità, per andare oltre il fatto di cronaca e capire e aiutare a capirne le cause. Non abbiamo bisogno di una tragedia come lo tsunami, per esempio, per portare l’attenzione sul bisogno di aiuti ai paesi del Sud. Crediamo in un’attenzione al sociale non relegata in spazi di nicchia, ma che attraversa la programmazione. Non può esserci una tv o una radio di nani e ballerine che improvvisamente apre finestre sul sociale». Federico Quaglini, membro del Consiglio direttivo di Radio Maria. «Radio Maria è connotata come “radio di preghiera”, ma questa costituisce un terzo della programmazione; gli altri due terzi sono divisi equamente tra catechesi e promozione umana. Ci si rivolge soprattutto a malati e detenuti. La radio è un mezzo che si presta a parlare dei più deboli. Può fare molto per loro e per sensibilizzare gli ascoltatori, poiché la parola arriva al cuore. La radio non può mentire; l’immagine, invece, distoglie». Paolo Martini, caporedattore di Radio Radicale. «La nostra non è una radio di propaganda, ma di informazione. Vogliamo far luce sui fenomeni, più che veicolare idee. Circa il 15% delle 24 ore di trasmissione quotidiana è dedicato ad argomenti relativi a soggetti a rischio di esclusione sociale. L’esperimento più bello è stato quando avevamo tre frequenze e in una di queste lasciavamo piena libertà alle comunità di filippini e senegalesi di gestire quattro ore al giorno di trasmissioni». Danny Stucchi, direttore di produzione di Radio Deejay. «Trasmettiamo anche 12 spot a contenuto sociale al giorno. Ma selezioniamo con attenzione, perché da ricerche di mercato sappiamo che gli ascoltatori percepiscono i prodotti che pubblicizziamo come fossero nostri. È difficile per noi trattare certi temi: siamo una radio votata all’intrattenimento e risultiamo poco credibili per l’informazione e gli argomenti seri ». Luigi Tornari, direttore responsabile della testata giornalistica di Rtl. «Il sabato alle 7.35, all’interno di “Non stop news”, c’è uno spazio di tre minuti circa dedicato al volontariato. È un caso isolato tra le emittenti nazionali a carattere prevalentemente musicale. Si potrebbe senz’altro fare di più, ma bisogna stare attenti: una radio generalista ha bisogno di equilibrio». I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 45 ritratto d’autore villaggio globale pagine altre pagine a cura di Francesco Meloni Idee per una cultura economica e una prassi politica rispettose dei diritti di ogni uomo Quando si parla di economia, economia politica o anche – oggi, nel circuito dell’impegno civile – di impegno del “terzo settore” e dei soggetti non profit, il confronto rischia di rimanere impigliato in approcci pregiudiziali, ideologizzati, stereotipati. Ma è necessario andare oltre le analisi di corto respiro. E nelle librerie fanno sempre più spesso capolino proposte editoriali e sfide culturali, orientate a una cultura economica e a una prassi politica più vicine ai cittadini. Ecco allora, di recente pubblicazione, Come fare politica senza entrare in un partito (Feltrinelli) di Giulio Marcon; Il tempo di cambiare. Politica e potere della vita quotidiana (Einaudi), di Paul Ginsborg; Ricchezza e democrazia. Il declino della classe media e la crisi della politica (Garzanti), di Phillips Kevin; La democrazia e il mercato (Feltrinelli), di Jean-Paul Fitoussi; Il bene comune (Piemme), di Noam Chomsky; L’impresa irresponsabile (Einaudi), di Luciano Gallino; Economia civile, efficienza, equità, felicità pubblica (Il Mulino), di Luigino Bruni e Stefano Zamagni; L’impresa con l’anima (Baldini-Castoldi-Dalai), di Pier Luigi Celli e Mario Grasso. Addentrarsi in ciascuno di questi libri non è facile. Si possono comunque individuare alcune direttrici comuni, che investono e interpellano gli ambiti della politica, dell’economia e dell’impegno civile: non bastano più né la carità-elemosina individuale, né l’interessato e inconcludente assistenzialismo elettorale-propagandistico di congreghe partitiche; non è più tollerabile la manipolazione delle istituzioni pubbliche a fini privati; popoli e nazioni reclamano giustizia e solidarietà, condivisione responsabile delle povertà ed equa distribuzione delle risorse. Si reclama cioè un cambiamento di cultura e di mentalità politica, economica e finanziaria, si auspica la semina di stili di vita ispirati a primato della persona e promozione dei diritti umani, responsabilità personale e solidarietà sociale condivisa, tutela dei soggetti più deboli, accompagnamento e sostegno ai paesi e ai popoli del sud del mondo. «In ogni epoca e sotto ogni regime – scriveva nel 1956 Ignazio Silone – il rinnovamento è sempre il risultato dell’unione di un’idea nuova e vera con la parte più sofferente della società». 46 I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 per arrivare all’eventuale acquisto delle immagini che interessano. Tra i media che si affidano all’obiettivo e attingono al lavoro di Romano Siciliani, oltre a Italia Caritas vanno segnalati Avvenire, l’agenzia Sir e i settimanali diocesani. PER CONTATTI www.romanosiciliani.it INTERNET Una piattaforma per l’integrazione degli immigrati Per i lavoratori immigrati c’è una nuova possibilità per imparare la lingua italiana e integrarsi più velocemente: Fòrema, associazione che si occupa di formazione per lo sviluppo dell’impresa, guida da ormai due anni un progetto europeo per lo sviluppo di Migratools, una piattaforma di e-learning riconosciuta dall’Unione europea come tra le migliori iniziative nel campo dell’integrazione. Il progetto è stato avviato in collaborazione con undici agenzie formative e università di Italia, Francia, Spagna e Romania. Sul sito www.migratools.net tutte le figure professionali che lavorano in servizi per immigrati possono recuperare informazioni, materiali di lavoro, e soprattutto trovano strumenti per un maggiore coordinamento. I cittadini immigrati hanno poi la possibilità di apprendere la lingua italiana ed esercitarsi con l’informatica di base, entrare in contatto con il mondo del lavoro, informarsi sulla legislazione, imparare a scrivere un curriculum vitae o un biglietto da visita. di Fabio Zavattaro “vaticanista” Tg1 I GELATI DI PADRE GIOVANNI PER IL POPOLO DELLA DISCARICA l primo incontro è un caso. In aereo, una persona racconta la storia di Tondo e del parroco della chiesa di San Paolo, un sacerdote italiano che ha scelto di vivere con gli abitanti del quartiere che sorge vicino a una delle due grandi discariche di Manila. Così, qualche giorno dopo il nostro arrivo nella capitale delle Filippine, io e il cameraman decidiamo di recarci a Tondo, da padre Giovanni Gentilin. La prima difficoltà, convincere un conducente di taxi a portarci nel quartiere: «È troppo pericoloso per i filippini, figurarsi per gli stranieri». Alla fine siamo fortunati e il nostro viaggio ha inizio. Il volto della città cambia rapidamente, a un certo punto arrivano le baracche, infine quelle costruite di sola lamiera. Davanti è tutto un lavoro di raccolta di ferro e materiali vari; un andirivieni di persone, soprattutto ragazzi, con un sacco in mano e dentro la “ricchezza”, quanto hanno potuto raccogliere nella smokey mountain, la fumante montagna dei rifiuti. Padre Giovanni si stupisce della nostra presenza. Ha un volto pulito, sincero. Un sorriso che trascina: «Accompagnatemi a Happyland». Sale sul motorino – dono degli amici italiani, lui lo chiama «il mio sagrestano» – e via per le strade di Tondo, fino alle palafitte. La “città della felicità” è una grande baraccopoli sopra il canale, a cielo aperto, della fogna di Manila. Le strade sono tavole di legno appoggiate tra le case e sospese per evitare il contatto con i liquami. «Quando sono arrivato, fine anni ’80, celebravo messa con gli stivaloni, e spesso non erano sufficienti. Qui però ho constatato che il Padreterno aiuta a superare tutto. La gente è semplice, accogliente. La violenza è conseguenza della miseria, della povertà». L’unica economia deriva dalla raccolta che ragazzi e adulti fanno Le prime messe con gli tra i rifiuti. È un continuo via vai di camion, chi prima sale prima sceglie. stivaloni. Un motorino Il parroco, un po’ strano, va in giro in motorino, apre una gelateria – macchine per sagrestano. Per i e prodotti italiani, del vicentino, sua terra di origine – per dare calorie ragazzi sorbetti e scuola. ai bambini. Realizza un dispensario. Lavora con i ragazzi, aiutandoli Nelle baraccopoli ad andare a scuola (grazie alle adozioni a distanza) o a trovare di Manila, fra la un’occupazione. «Ho scelto una frase di san Paolo come programma: “montagna fumante” il sacerdote è tolto dal popolo per essere immesso nel popolo, a servizio e la “città della felicità”, del popolo. Quando sono arrivato qui e ho visto tanta miseria, ho capito perché certi preti in America Latina si sono buttati nella guerriglia si aggira uno strano, per risolvere i problemi. Il divario che esiste, sproporzionato, tra ricchi straordinario e poveri offende la nostra coscienza di cristiani. Ma non è con il mitra che missionario si mette ordine, piuttosto cercando di creare una mentalità, offrendo idee e valori, insegnando le strade della fede, della verità, della giustizia». Nella chiesa ci sono una ventina di ragazzi che si preparano per la prima comunione; in una sala vicina altri giovani organizzano la festa della parrocchia. Per tutti padre Giovanni ha un sorriso, un gesto affettuoso. Quando ci accompagna alla macchina, è circondato dai ragazzi. Qualcuno chiede: «Quando mi porti con il tuo sacrestano?». «Se fosse per loro, starei sempre in giro con il motorino…». Ci sono tornato più volte, da padre Giovanni. Per lavoro. Perché, come dire, non ne posso fare a meno: si respira serenità e felicità, nel quartiere fatto di baracche, sopra i rifiuti, vicino alla smokey mountain. Ci sono tornato, soprattutto, per amicizia. I I TA L I A C A R I TA S | SETTEMBRE 2005 47 Sezione manifesti - annuncio stampa PRIMI CLASSIFICATI PRIMO PREMIO ASSOLUTO Pietro Giovanni Pellegrini, Daniele Pancetti, Valentina Amenta Accademia di Comunicazione - Milano www.creativisinasce.it Quarta edizione Premiazione a Salerno 2 giugno 2005 I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it