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NESSUNO LASCI SOLO CAINO

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NESSUNO LASCI SOLO CAINO
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVIII - NUMERO 7 - WWW.CARITASITALIANA.IT
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
settembre 2005
Italia Caritas
CARCERI SOVRAFFOLLATE. E SE NON CI FOSSERO I VOLONTARI?
NESSUNO LASCI SOLO CAINO
METROPOLI LE “NUOVE PERIFERIE” NELLA CITTÀ SOTTO PRESSIONE
SUDAN LA PACE IN SALITA, VIAGGIO NEL SUD DEL PAESE
CASTE IN INDIA MAI PIÙ “OPPRESSI”, I DALIT CHIEDONO RISPETTO
sommario
ANNO XXXVIII NUMERO 7
Mensile della Caritas Italiana
Organismo Pastorale della Cei
viale F. Baldelli, 41
00146 Roma
www.caritasitaliana.it
email:
[email protected]
IN COPERTINA
Detenuti in un carcere
sovraffollato, come lo sono
molti degli istituti
di pena italiani,
che ormai “ospitano”
circa 60 mila persone
foto Associated Press / Ap Pool
Italia Caritas
direttore
Don Vittorio Nozza
direttore responsabile
Ferruccio Ferrante
coordinatore di redazione
editoriale
di Vittorio Nozza
IN DIALOGO CON IL DIVERSO,
LA SOCIALITÀ GENERA SICUREZZA
Paolo Brivio
in redazione
editoriale di Vittorio Nozza
IN DIALOGO CON IL DIVERSO, LA SOCIALITÀ GENERA SICUREZZA
paese caritas di Pierluigi Dovis
LE DOMANDE DI FRANCO, LE RESPONSABILITÀ DELLA CHIESA
parola e parole di Giovanni Nicolini
NELLA VIGNA DEL SIGNORE UN COMPITO PER OGNI UOMO
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato,
Giuseppe Dardes, Marco lazzolino,
Renato Marinaro, Francesco Marsico,
Francesco Meloni, Giancarlo Perego,
Domenico Rosati
3
5
progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
6
stampa
nazionale
VOLONTARI “DENTRO”, ASCOLTO E CAMBIAMENTO
di Daniela De Robert
database di Walter Nanni
LE CITTÀ SOTTO PRESSIONE E LE “NUOVE PERIFERIE”
di Monica Martinelli
NEL PAESE DEL RIGORE PIANGONO I SOLITI NOTI?
di Paolo Pezzana
dall’altro mondo di Delfina Licata
IMMIGRATI ED ELETTORI, CITTADINANZA DA RIPENSARE
di Ginevra Demaio
contrappunto di Domenico Rosati
progetti ISTRUZIONE
Omnimedia
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (RM)
Tel. 06/7989111 - Fax 06/798911408
8
sede legale
viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma
tel. 06 541921 (centralino)
06 54192226-7-77 (redazione)
14
15
offerte
Paola Bandini ([email protected])
tel. 06 54192205
18
inserimenti e modifiche nominativi
richiesta copie arretrate
19
20
Marina Olimpieri ([email protected])
tel. 06 54192202
spedizione
in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
art.1 comma 2 DCB - Roma
Autorizzazione numero 12478
dell’8/2/1969 Tribunale di Roma
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internazionale
SUDAN, LA PACE IN SALITA TRA SPERANZE E PAURE
«LE DONNE, SEGNO DI RICONCILIAZIONE»
servizi di Giovanni Sartor
conflitti dimenticati di Paolo Beccegato
INDIA: MAI PIÙ “INTOCCABILI”, I DALIT CHIEDONO RISPETTO
testi e foto di Paolo Aranha
casa comune di Gianni Borsa
BESLAN: «LE LACRIME SCORRONO, MA IL TERRORE NON HA VINTO»
di Generoso Simeone
contrappunto di Alberto Bobbio
agenda territori
villaggio globale
Chiuso in redazione il 26/8/2005
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AVVISO AI LETTORI
Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.
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32
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37
La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può
trattenere fino al massimo del 5% sulle offerte per
coprire i costi di organizzazione, funzionamento e
sensibilizzazione.
Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:
●
Versamento su c/c postale n. 347013
●
Bonifico una tantum o permanente a:
- Banca Popolare Etica,
piazzetta Forzaté 2, Padova
Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100
conto corrente 11113
Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113
Bic: CCRTIT2T84A
- Banca Intesa,
piazzale Gregorio VII, Roma
Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032
conto corrente 10080707
Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707
Bic: BCITITMM700
●
Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 541921
(orario d’ufficio)
Cartasì anche on-line, sui siti:
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)
www.cartasi.it (Solidarietà)
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ritratto d’autore di Fabio Zavattaro
I GELATI DI PADRE GIOVANNI PER IL POPOLO DELLA DISCARICA
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immagine della città-fortezza, vigilata da torri e mura,
è una fantasia arcaica. Nel mondo globalizzato, lo stesso concetto di territorio ha oggi un carattere identitario
minore di quanto non dicano la vita vissuta insieme, la cultura, il lavoro, la relazione sociale, il rispetto della comune legge,
l’intuito di un comune destino. È la città aperta e pacificata
l’immagine della vita. Il terrorismo è un crimine letteralmente
diabolico, perché la divide, la squassa, la incatena alla paura,
L’
non è retorica credulona, ma è dar
corpo alla propria vocazione in un
luogo e in un tempo determinati, accanto a fratelli che non ci siamo scelti, di fronte a problemi che ci interpellano e ci chiedono responsabilità,
discernimento e azione. È accompagnamento dei piccoli e dei poveri del
mondo perché possano recuperare
dignità; è impegno nelle zone devastate dalla guerra e dall’odio; è costruzione di pace nel quotidiano; è
lotta alla criminalità e allo sfruttamento. È una carità non di corto respiro, ma incarnata nella storia e legata all’impegno per la giustizia e il
bene comune, alla passione per la
cooperazione e per lo sviluppo, alla
valutazione critica e alla denuncia di
ingiustizie che si perpetuano nel
tempo a scapito di sempre più numerose persone.
al sospetto, all’ostilità, al rancore, come in un’implacabile insonnia. Le
Il terrorismo è crimine
bombe non hanno dunque soltanto
diabolico, perché divide
straziato corpi, stanno già spargendo
la società, incatenandola
veleni negli animi. È impressionante
al rancore.Ma le leggi
vedere come le grandi speranze sulla
speciali imposte
convivenza multietnica e multicultudall’emergenza
rale vengano ora denunciate come ilnon
bastano.Il futuro
lusioni fallite, e i loro modelli cedano
della città aperta
ai fantasmi di un futuro scontro epoè garantito da una rete di
cale cruento fra culture inconciliabili.
relazioni sociali amiche
Siamo tentati di mettere in corto circuito, mentalmente, terrorismo-imPersuasione e rispetto
migrazione-islam, e di avere la ricetta
Accoglienza non può dunque signifiper sconfiggere il primo con il rigetto e l’espulsione dei care soltanto procurarsi un prestatore d’opera a basso comigranti, il rifiuto e lo scontro culturale, la blindatura. Ma sto, in fabbrica, a casa o nei campi. Significa invece inseil terrorismo ha cause diverse e complesse, ha focolai ali- rire quel lavoratore nel tessuto sociale, con le sue abitudimentati da vicende mondiali irrisolte, e forse non risolvi- ni e i suoi abiti mentali, iscrivere i suoi figli a scuola, farlo
bili mediante pure strategie di guerra.
parte della nostra comunità. L’accoglienza potrebbe alloNel caos e nell’incertezza di questo nostro tempo feri- ra essere forse condizionata a una formale dichiarazione,
to e minacciato dall’incubo del terrorismo e dallo spau- da parte di chi la chiede, di accettazione dei principi che
racchio dello scontro di civiltà, affermando la necessità di sono alla base del nostro contratto sociale.
un dialogo che non si fermi alla facciata o agli abbracci
Questi principi, fatti di persuasione e di pieno rimediatici un autorevole commentatore ha messo sullo spetto, non mutano per l’aggravarsi della minaccia terstesso piatto retorica credulona alla volemose bene e ca- roristica: anche in un’emergenza, persuasione e dovuto
rità cristiana. Parole che chiamano in causa le molteplici rispetto restano i due fondamenti della convivenza
espressioni in cui si manifesta l’azione della carità di cui umana. Alla fine, le nostre società multiculturali diverle Caritas sono promotrici, animatrici e strumenti di ser- ranno sicure solo se la persuasione avrà fatto il suo camvizio. La carità cristiana e l’essere figli dello stesso Dio mino, solo se la verità e l’eterogeneità delle culture che
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SETTEMBRE 2005
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editoriale
paese caritas
di Pierluigi Dovis
direttore Caritas diocesana Torino
vi s’incontrano non avranno distrutto il pluralismo. L’emergenza ci impone leggi speciali, e va bene. Ma la vita
ci chiede anche altro. Il futuro della città aperta ha la sua
difesa negli uomini che la abitano, casa comune dove le
diversità si integrano in dialogo anziché cementarsi nei
ghetti; dove le culture accettano tutte un’identica legge
civile sulla libertà e sui diritti umani; dove la rete delle
relazioni sociali amiche, in luogo dell’indifferenza, assolve la funzione preziosa del controllo reciproco. È la
socialità che bandisce i nemici.
Le prospettive pastorali espresse dalla Chiesa italiana
dopo il convegno di Palermo (Con il dono della carità
dentro la storia, 1996) e gli orientamenti pastorali del decennio in corso (Comunicare il Vangelo in un mondo che
cambia) hanno inaugurato un processo di educazione e
di testimonianza della carità come espressione di una
nuova relazione amica tra Chiesa e mondo. Una relazione che parte e si alimenta dalla consapevolezza che “…in
Cristo coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità
si fondono”. La scoperta della presenza reale di Gesù dentro la nostra vita e dentro la storia chiede fede e matura
nella fede: una fede intelligente, che si confronta sempre
con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini d’oggi. La presenza di Gesù e la relazione con Lui
scoperta e alimentata nello Spirito ci rendono fraternità,
generano relazioni nuove con gli altri.
Il volto delle relazioni umane diventa pertanto un volto di famiglia. Da ciò non scaturisce retorica, ma impariamo a distinguere quello che nasce solo dal nostro cuore e quello che nasce dal cuore della comunità cristiana;
quello che è frutto di un buonismo di moda da quello che
è maturato nella fede; quello che va ancora a nostro vantaggio da quello che libera e promuove i più poveri; quello che ci cambia di dentro da quello che ci mostra solo al
di fuori; quello che crea fraternità da quello che crea solo
nuovi steccati tra chi è più bravo (il figlio fedele) e chi ha
sbagliato (il figlio prodigo).
Tolleranza contro intransigenza
In quest’ottica l’impegno di carità diviene responsabilità
verso la comunità, cioè verso una relazione e una comunione in divenire, non sempre compiuta, non compiutamente visibile, spesso addirittura lacerata o controversa.
La testimonianza della carità diventa così ricerca del dialogo, fondato su una consapevolezza antropologica cruciale: il diverso è sorgente insopprimibile del progresso
umano, pertanto una società non solo non può sottrarsi
alla responsabilità di spalancargli le porte, ma deve pure
preoccuparsi di salvare la sua diversità.
Tutto questo per fedeltà al Vangelo e dando luogo a significative convergenze con gli uomini e le donne che
credono nel valore della vita, nella dignità di ogni persona, nell’incontro e nella solidarietà tra diversi. Senza far
finta che non esistano problemi, che non possano sorgere incomprensioni, ma certi che non esiste altra strada
che quella dell’incontro, del dialogo, della consapevolezza dei diritti e doveri di ciascuno. E riguardo ai fedeli dell’Islam, perché non scommettere che la reciproca conoscenza, le ripetute occasioni d’incontro e la tolleranza abbiano un effetto positivo anche sulle componenti più intransigenti dell’una e dell’altra parte?
‘‘
Il diverso è sorgente insopprimibile del progresso umano:
una società non può non spalancargli le porte,
e deve pure preoccuparsi di salvare la sua diversità
’’
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SETTEMBRE 2005
LE DOMANDE DI FRANCO,
LE RESPONSABILITÀ DELLA CHIESA
ranco era un ragazzone di 25 anni che da sempre riteneva il discorso della montagna un’opera giovanile di Tolkien e le beatitudini un gruppo pop dei primi anni Sessanta idolatrato dai
suoi vecchi. Per ovviare alla scocciatura del servizio militare aveva fatto domanda come obiettore di coscienza in Caritas. Era stato assegnato a un centro di ascolto parrocchiale, dove aveva iniziato a supportare il servizio dei volontari. Più passava il tempo, più si sentiva scosso
dalle storie che ascoltava. E gli sorgeva la domanda: perché?
F
attraverso l’accorgersi dell’altro. Ma
non solo. Le nostre stesse comunità
possono proporre la speranza del
Vangelo a partire dall’approccio diretto che consiste nell’attenzione,
nell’accoglienza, nel dialogo, nella relazione significativa. In una parola:
nella carità. Anche per questo è ormai indispensabile che in ogni comunità cristiana ci sia uno strumento di animazione pastorale alla carità.
Uno strumento capace di far scoprire
nel volto del più povero i tratti del volto del Dio crocifisso e risorto. Uno
strumento che abbia la capacità di
diventare gancio per tante persone
distratte da molti messaggi.
Il diacono gli parlava sempre più
spesso di una ragione alla sofferenza
Un giovane riscopre
delle persone, di un progetto di giuil senso del suo
stizia ben diverso da quello attuato
battesimo
operando,
dalle varie politiche, di un senso. Parcome
obiettore,
lava di una persona che aveva guaral centro d’ascolto.
dato negli occhi i poveri e i sofferenti,
Così la comunità
li aveva sollevati, aveva donato loro
Il motivo ispiratore
cristiana può
un perché con il quale affrontare le
Gente che se la cava, ma che ha ne“agganciare”molte
difficoltà, semplicemente facendosi
cessità di incontrare Gesù. Li si può
persone:non a partire
loro compagno di viaggio. Insomma,
agganciare non a partire da un’idea,
da un’idea, ma con la
esattamente quello che i volontari
ma da un modo di essere e da una
testimonianza della carità
stavano cercando di fare con gli ospipersona. La carità – o meglio la testiti. Franco aveva iniziato a scorgere
monianza di carità, volto umananel volto del povero quello di Cristo. Oggi quella Persona mente possibile dell’agape – è traduzione della natura
la incontra quotidianamente e il battesimo che aveva ri- stessa di Dio e, quindi, è capace di rimandare a Lui. Ma per
cevuto da piccolo ha finalmente un senso.
arrivare a tanto deve essere di qualità. Va ancorata al motiIl Concilio ci ha consegnato che gioie e dolori, soffe- vo ispiratore, al Vangelo che non è anzitutto dottrina, ma
renze e angosce dell’uomo devono suscitare l’attenzione Persona. Va coltivata nel solco dell’andare, ovvero come
della Chiesa. Non perché essa sia la pietosa infermiera del- strumento di missione. Va vissuta come atteggiamento di
la storia, ma perché sappia consegnare speranza e fiducia. dialogo, servizio, dedizione, perdono, umiltà, sincerità.
Esperta in umanità, la comunità cristiana condivide, conEsiste una grave responsabilità per la comunità critinuando il mistero dell’Incarnazione, le domande spesso stiana di oggi: essere annunciatrice del Signore in tutte
inespresse di un contesto sociale e culturale ormai etero- le espressioni della vita pastorale. La parrocchia è davgeneo e occupato da molti sistemi di valore, o da grossi vero missionaria se sa puntare sulla sinergia delle
“buchi neri” spacciati per certezze. Ancora di più, essa as- espressioni pastorali. E se saprà fare della testimoniansume quelle domande e le può avviare a una risposta.
za della carità annuncio di Vangelo. Perché il linguaggio
Come Franco, anche molte persone possono incam- dell’amore è facilmente comprensibile e apre il cuore
minarsi verso la speranza attraverso incontri significativi, ad accogliere. Franco docet.
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SETTEMBRE 2005
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parola e parole
di Giovanni Nicolini
NELLA VIGNA DEL SIGNORE
UN COMPITO PER OGNI UOMO
Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata
lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò
nella sua vigna. (…) Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me
per un denaro? (…) Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso
perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi (Mt. 20, 1-16)
l 18 settembre la liturgia domenicale celebra la “parabola degli
operai nella vigna”, che solo il Vangelo secondo Matteo annota e
che mi sembra di grande spessore per le attenzioni privilegiate
richieste alla Caritas nella comunità eccclesiale. Come abbiamo più
volte ascoltato nelle letture delle domeniche d’estate, l’esordio della
parabola è ancora riferito al Regno dei cieli, che il Signore Gesù è venuto ad annunciare e a donare all’umanità. L’immagine utilizzata nel
capitolo 20 è quella di una vigna, dalla quale più volte il padrone esce
I
ha presi a giornata”, è la risposta.
Mansioni e reciprocità
La fede cristiana è tutta una grande
esaltazione dell’opera, dell’azione.
Solo una spiritualità tardiva e extrabiblica fa distinzione tra vita attiva
e vita contemplativa. La vita secondo lo Spirito è tutta attiva. È tutta
l’opera di Dio in noi. È l'opera di chi
si consuma nella cura dei piccoli,
per chiamare al lavoro gli operai.
ed è l’opera di chi si consuma nella
Fin da principio è chiaro che
supplica e nella lode di Dio.
Operare per il Regno:
poter lavorare in questa vigna è il
In questa meravigliosa vigna ci
è questo, non
vero privilegio. Lo svantaggio, la
sono molte mansioni. L’importante
il compenso che ne
disgrazia, è rimanere fuori senza
è che ognuno possa avere la sua
può derivare,
lavoro. Dunque, la chiamata del
opera da compiere. Abbiamo conoil privilegio prospettato
sciuto l’amore di Dio quando Gesù
padrone a lavorare nella sua vigna
alla nostra vita.
ci ha lavato i piedi e ci ha chiesto di
si rivela progressivamente come il
Un insegnamento per la
lavarci i piedi gli uni gli altri. La cadono più importante che si può riCaritas: occorre aiutare
rità è reciprocità. Non c’è chi dà e
cevere. La carità divina qui si rivetutti non a sopravvivere,
chi riceve. Ognuno riceve e dà. La
la come il dono di poter operare.
ma a valorizzare
carità non è aiutare a sopravvivere,
Tutta la polemica che gli operai
il proprio talento
ma incoraggiare a vivere.
della prima ora instaurano con il
Quello che la Caritas cerca di
signore della vigna, riguardo al
problema del salario, dice in certo modo il degrado di mettere al centro è il tentativo di consegnare a ogni
una sensibilità che non sa apprezzare l’opera che ci è persona un talento grazie al quale operare, un’opera
concesso di compiere, concentrandosi invece sulla da svolgere. Si ama ascoltare ogni persona per promuovere in ciascuno la possibilità di una nuova via di
paga che da questa possibilità proviene.
Invece, il vero compenso è lavorare nella vigna, e operosità e di responsabilità. In nome del Signore si
per questo la paga è uguale per tutti, anche per quelli esce dalla vigna, per cercare e chiamare chi dalla fatiche il padrone ha trovato all’ultima ora e che ha rim- ca e dalla ferita dell’esistenza fosse stato privato di
proverato, ricevendone una risposta altrattanto severa: ogni possibilità di operare. Trovare anche per lui un
“Perchè ve ne state qui tutto il giorno oziosi?” (il termi- posto nella splendida vigna di Dio, è la finalità
ne letterale dice “senza opera”, ndr). “Perchè nessuno ci profonda di ogni nostra impresa.
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I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
Italia Caritas
le notizie che contano
Per ricevere il nuovo Italia Caritas per un anno
occorre versare un contributo alle spese
di realizzazione, che ammonti ad almeno
15 euro. A partire dalla data di ricevimento
del contributo (causale ITALIA CARITAS)
sarà inviata un’annualità del mensile.
un anno con Italia Caritas
Nel 2004 abbiamo cambiato veste.
Nel 2005 stiamo migliorando ancora.
Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.
Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.
Storie che raccontano l’Italia e il mondo.
Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”
L E G G I L A S O L I DA R I E T À , S C E G L I I TA L I A CA R I TA S
Per contribuire
• Versamento su c/c postale n. 347013
• Bonifico una tantum o permanente a:
- Banca Popolare Etica,
piazzetta Forzaté 2, Padova
Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100
conto corrente 11113 - Iban: IT23 S050
1812 1000 0000 0011 113
Bic: CCRTIT2T84A
- Banca Intesa,
piazzale Gregorio VII, Roma
Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032
conto corrente 10080707 - Iban: IT20
D030 6905 0320 0001 0080 707
Bic: BCITITMM700
• Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06.54.19.21
(orario d’ufficio)
Cartasì anche on-line, sui siti
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)
www.cartasi.it (Solidarietà)
Per informazioni
Caritas Italiana
viale F. Baldelli 41, 00146 Roma
tel 06.54.19.22.02 - fax 06.54.10.300
e-mail [email protected]
nazionale
pianeta carcere
di Daniela De Robert
ultimo dato sul carcere è spaventoso: gli uomini e le donne che nel nostro
paese vivono dietro le sbarre sono oltre 59 mila. Una cifra mai raggiunta, dietro alla quale si nasconde una realtà di sofferenza, disagio e violenza difficilmente immaginabile. Una realtà in cui manca lo spazio minimo vitale, le cure sanitarie sono spesso un optional, gli operatori istituzionali sono in numero assolutamente insufficiente, la presenza di poveri e persone fragili è in costante aumento e i fondi in costante calo. E tutto questo, in un clima generale
in cui le parole tolleranza e reinserimento trovano ben poco spazio.
In questo contesto agiscono i 7.800 volontari e operatori “della comunità esterna”, censiti
dalla quarta rilevazione nazionale della Fondazione italiana per il volontariato. E se ancora i volontari non riescono a coprire tutti i 200 istituti penitenziari, lo storico svantaggio del sud rispetto al centro-nord si è notevolmente ridotto, passando dal 19,4% della precedente rilevazione al 32,7% del 2004. Restano ancora profonde disomogeneità regionali: in testa Toscana (1.294
operatori per 3.975 detenuti) e Basilicata (223 operatori per 444 detenuti), in coda Campania e
Molise (rispettivamente con 157 operatori per 7.191 detenuti e 11 operatori per 427 detenuti).
In prevalenza donne, con un’equa ripartizione tra giovani-adulti e ultraquarantacinquenni, volontari e operaSono molte le attività di animazione socio-culturale
tori che accedono alle carceri italiane agiscono in manie- realizzate: si va dalla gestione della biblioteca alla redara molto differenziata tra loro, ma sempre garantendo un zione di un giornale, dagli spettacoli teatrali ai tornei
intervento a favore del processo di risocializzazione e sportivi, che magari coinvolgono squadre esterne. E anreinserimento, che – secondo la Costituzione e la legge cora gare di cucina, feste della musica, feste con i famiitaliana – sono il perno della vita carceraria.
liari, pranzi di Natale, persino gare di presepi tra le sezioni. Sono attività che aiutano a riempire la giornata, a
Il ruolo degli “articoli 17”
impegnarsi nel raggiungimento di un obiettivo, a reimIntanto, va chiarita la differenza tra “operatori della comu- parare a lavorare insieme, e che elevano il clima relazionità esterna” e “volontari”. Questi ultimi sono coloro che nale del carcere, rendendolo più vivibile.
prestano un servizio gratuito all’interno degli istituti peniMa ci sono anche gli incontri personalizzati, i colloqui,
tenziari. Gli altri sono persone esterne all’amministrazio- l’ascolto delle persone più fragili, più sole, più provate dalne penitenziaria che, pur agendo con una forte motiva- la vita carceraria, ma spesso anche dalla vita libera. Semzione e finalità sociale, percepiscono una retribuzione: pre più il carcere infatti si sta trasformando in un contenioperatori delle cooperative sociali o che lavorano nell’am- tore degli scarti umani della società: tossicodipendenti,
bito del non profit, oppure soggetti che portano avanti malati, immigrati più o meno regolari, poveri, senza tetto,
progetti culturali, ricreativi, di formazione professionale. malati di mente. Sono queste le persone che più facilPer il carcere sono genericamente tutti “volontari”, per i mente finiscono in carcere, che più difficilmente ne escodetenuti sono tutti “articoli 17”, in riferimento all’ordina- no e che spesso ne diventano ospiti cronici. Per loro c’è
mento penitenziario del 1975 che prevede, appunto, la ben poco. Non bastano certo gli assistenti sociali del cen“partecipazione di privati e istituzioni o associazioni pub- tro di servizio sociale per adulti, in numero del tutto inbliche o private all’azione rieducativa”.
sufficiente per portare avanti anche la normale amminiDal 1975 a oggi la presenza nelle carceri della società strazione delle relazioni socio-familiari dei detenuti che
civile è andata crescendo per quantità e qualità, in ma- chiedono di accedere ai benefici di legge (permesso preniera sempre più coordinata con gli operatori istituzio- mio, semilibertà, affidamento in prova al servizio sociale o
nali, che considerano questa presenza una risorsa. In ef- presso una comunità terapeutica). Né bastano gli educafetti, secondo la rilevazione il 72% delle attività di volon- tori, che non hanno strumenti di sostegno per i detenuti.
tari e operatori della comunità esterna è stata valutata E neppure gli agenti di polizia penitenziaria, che nella midagli operatori penitenziari come eccellente e realmen- gliore delle ipotesi segnalano la situazione di difficoltà al
te in grado di interessare e coinvolgere i detenuti.
cappellano o ai volontari. All’ascolto dunque spesso si af-
L’
VOLONTARI “DENTRO”,
ASCOLTO
E CAMBIAMENTO
Le carceri italiane scoppiano.
E non favoriscono il reinserimento sociale.
La presenza di “operatori della comunità
esterna” è uno dei pochi elementi
di umanizzazione. A favore dei detenuti
più fragili, sovente lasciati a se stessi
I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
9
nazionale
pianeta carcere
Bergamo punta sulla mediazione penale,
prove di dialogo tra vittime e colpevoli
Avvicinare i carnefici alle vittime e farli dialogare.
Poi portare gli uni a chiedere il perdono e gli altri
a concederlo. È il senso della cosiddetta “mediazione
penale”, attuata per conciliare un detenuto con chi
ha subito gli effetti negativi del reato da lui commesso.
Don Virgilio Balducchi è il cappellano del carcere
di Bergamo e il delegato dei cappellani della Lombardia.
Coordina un progetto, chiamato “Poveri, ma cittadini”,
finalizzato alla formazione di dodici volontari
per la mediazione penale, che opereranno nell’istituto
penitenziario di Bergamo. L’iniziativa, realizzata
in collaborazione con Caritas Italiana nell’ambito
dei finanziamenti
otto per mille, ha
visto chiudere i corsi
di formazione
a giugno: i volontari
opereranno a partire
da settembre.
«La mediazione
penale – attacca
don Balducchi –
è prevista dalla
legge per i reati
di competenza
del giudice di pace
e per quelli
commessi da minorenni. In Italia è poco diffusa: stiamo
iniziando ora, altri paesi sono molto più avanti di noi.
La mediazione è contemplata nei reati adulti
solo quando il giudice stabilisce che il detenuto
possa accedere a misure alternative di pena.
In questo caso, colui che ha commesso il reato
può beneficiare di una forma di detenzione alleggerita,
solo se chiede e ottiene il perdono dalla propria vittima
o dai famigliari di quest’ultima».
La lettera dei figli dell’ucciso
Una situazione del genere è capitata realmente
a don Balducchi: «Un uomo, in carcere da dieci anni
per aver commesso un omicidio, ha ottenuto
dal tribunale la possibilità di accedere a una misura
di pena alternativa e meno dura di quella che aveva
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scontato fino a quel momento. La condizione
era chiedere perdono ai figli della persona uccisa,
riconoscendo di aver commesso un atto assolutamente
sbagliato e di cui si dichiarava pentito. Io e un altro
volontario abbiamo avvicinato i famigliari della vittima
e abbiamo intrapreso con loro un dialogo finalizzato
a un cammino di mediazione. Queste persone sono
state molto comprensive e hanno scritto una lettera
al giudice, nella quale si dichiaravano disponibili
a perdonare. In questa vicenda ha contato molto la fede.
I figli della persona uccisa sono molto credenti e il loro
gesto è stato un atto da cristiani. Non hanno chiesto
garanzie particolari, hanno solo voluto che il detenuto
continuasse a fare bene il suo percorso di reinserimento
sociale. Hanno detto molto chiaramente che per loro
si riaprivano delle ferite, ma hanno ritenuto che
il perdono fosse la cosa più giusta che potessero fare.
Non è stata una mediazione in senso stretto, essa
avviene in un’altra maniera: detenuto e vittima
si incontrano effettivamente alla presenza di una terza
persona che fa da mediatore e ha il compito di far
dialogare le due parti, far esprimere loro i propri vissuti
affinché trovino una soluzione al proprio conflitto».
I dodici volontari bergamaschi che opereranno
come mediatori hanno un’età compresa tra 25 e 65
anni, sono metà uomini e metà donne, hanno lavori
diversi. «Abbiamo cercato di rappresentare varie
tipologie di persone – spiega il cappellano –.
La mediazione penale è più efficace quando
il detenuto ha elementi in comune con il mediatore».
Don Balducchi racconta che, in quanto cappellano,
spesso è chiamato in causa dai detenuti o dalle vittime
che cercano di riconciliarsi. «Una volta – conclude –
l’avvocato di una signora a cui avevano svaligiato
il negozio mi ha contattato perché la sua assistita
voleva ritirare la denuncia al rapinatore, a patto
che egli si facesse curare in una comunità
per tossicodipendenti. Questo dimostra che, a fronte
di tante persone che chiedono maggiori condanne,
c’è anche gente che ammette che ci possono essere
strumenti migliori del carcere per risolvere i problemi
di giustizia. È proprio quello che ci prefiggiamo di fare
[Generoso Simeone]
con la mediazione penale».
fianca anche il sostegno materiale, con la distribuzione di
vestiti e di generi per l’igiene personale.
Difficile l’accesso al lavoro
Poi ci sono le attività religiose cristiane e delle altre religioni, e soprattutto oggi, a causa della fortissima presenza di
detenuti stranieri, gli interventi di mediazione culturale
(non previsti dall’istituzione penitenziaria). E ancora l’accompagnamento e l’accoglienza in permesso premio delle persone sole e prive di un domicilio. Inoltre, nonostante negli istituti penitenziari siano funzionanti attività scolastiche, diverse iniziative formative e di studio sono condotte dai volontari, attraverso corsi e attività di tutoraggio
per il recupero di competenze o titoli di studio. Meno praticate risultano, secondo la rilevazione nazionale, le attività collegate con il lavoro, sia dentro che fuori, anche se
negli ultimi anni sono nate diverse cooperative sociali fi-
nalizzate al reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti. Ma chiunque frequenti il carcere sa quanto sia difficile trovare un posto di lavoro per chi sta o è stato “dentro”. Ed è anche per rispondere in maniera più sistematica
a questo genere di esigenze che si sono andate rafforzando le attività di segretariato sociale e patronato, oggi presenti in un terzo dei carceri italiani.
Dunque è una presenza forte, quella del volontariato in carcere. Per certi versi indispensabile. Una
presenza che cerca di dare risposte alle necessità dell’istituzione e dei detenuti, ma anche una presenza
critica, di cambiamento, capace di sensibilizzare la
società libera nei confronti del duro mondo che si
consuma dietro le sbarre. Capace di lavorare per un
cambiamento radicale della cultura della vendetta, a
favore di una cultura della riconciliazione e della convivenza. Per una società più sicura e più libera.
La nuova cultura della giustizia
che nasce dai “segni” di tutela
Servizi multiformi per i detenuti da molte Caritas diocesane. Ma la sfida
è alimentare una convinzione: la “ragionevolezza del perdono”
di Giancarlo Perego
l carcere è uno dei luoghi significativi del lavoro pastorale in Italia, dove coniugare promozione della giustizia e del perdono, della pace e
della preferenza per i più deboli. Oggi come ieri è un luogo dove la Chiesa pone un “segno” a
difesa, a tutela del colpevole che diventa vittima, perché solo, rinnegato, disperato, malato.
Gli oltre 200 istituti penitenziari italiani sono sovraffollati: ospitano quasi 60 mila detenuti, numero più che raddoppiato in dieci anni, con conseguenti problemi di sovraffollamento (la capienza degli istituti supera di poco i
40 mila posti). Il carcere è abitato da colpevoli reali, il 50%,
e da presunti tali. Altre 60 mila persone colpevoli di reati
scontano la propria pena fuori, grazie a misure alternative.
Tra i carcerati ci sono i “primi” e gli “ultimi”, i continuamente ricordati e i dimenticati. Ci sono uomini (96%) e
donne (4%), adulti e minori (oltre 3.500, di cui 2 mila stranieri). Ci sono i tossicodipendenti (15.558, secondo gli ul-
I
timi dati Istat), i sieropositivi (15 mila circa) e i malati di
Aids, che non ricevono un’adeguata assistenza sanitaria e
sono in attesa di una casa di accoglienza. Metà dei detenuti ha l’epatite C, anticamera di cirrosi e cancro.
Tra i carcerati c’è chi è sposato, ha figli a carico, e vive con difficoltà il legame familiare; l’età media è tra i 20
e i 39 anni. Molti sono stranieri: rappresentano almeno
80 nazionalità, sono più di 18 mila (quasi il 30% dei detenuti), la maggior parte scontano pene per reati minori (73%) e contro il patrimonio (pena fino a 2 anni) e sono certamente tra i più dimenticati. Tra i carcerati ci sono persone in attesa di espulsione: sono i reclusi nei
Centri di permanenza temporanea (Cpt).
In carcere le persone malate di mente o con problemi psicologici e psichiatrici sono almeno 15 mila, a cui
si aggiungono gli oltre 1.200 detenuti negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani. Tra i detenuti il 30% al momento dell’ingresso in carcere era senza una dimora:
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nazionale
LUCIO MARIA CAVICCHIONI
pianeta carcere
LA CLEMENZA E IL REINSERIMENTO
Papa Giovanni Paolo II in visita al carcere romano di Rebibbia:
per il Giubileo del 2000 chiese con forza un gesto di clemenza.
A destra, detenuti al lavoro nei laboratori di un carcere milanese
non aveva casa né residenza. Ma vicino ai detenuti, nelle carceri italiane operano solo 1.000 educatori; in compenso ci sono 40 mila agenti di custodia.
Oltre l’ansia di repressione
Chi vive in carcere attende un “segno” che dica “Dio non si
dimentica di te”, attraverso l’opera delle persone e delle
istituzioni che amano l’uomo e la sua vita nonostante la
colpa, come Dio ha fatto per Caino. Infatti è solo un carcerato su quattro a lavorare, i rapporti con la famiglia sono
difficili se non impossibili, la salute s’indebolisce anche sul
piano psichico, il carcere è “fuori” dalla città, dai circuiti vitali del territorio, che permettano una cittadinanza attiva.
Da qui devono ripartire i nuovi “segni”, le “alternative”,
il lavoro di Caritas Italiana e delle Caritas diocesane. Esse
in questi anni hanno sviluppato multiformi servizi per le
persone detenute e i loro familiari; tali servizi, secondo
una recente indagine interna, manifestano una maggiore
capacità di “visitare” i detenuti, più che uno sforzo di liberarli dalla necessità del carcere. Il 95% delle Caritas coinvolte svolge attività all’interno del carcere, solo il 40% anche all’esterno; tra le attività più citate rientrano il “colloquio, ascolto e sostegno personale” (50%) e le attività di
“segretariato sociale” (20%).
Il lavoro in carcere non può disattendere un lavoro intenso per una nuova cultura della giustizia. La ragionevo12
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lezza del perdono non è facile da far comprendere, come
anche la ragionevolezza della pace: soprattutto quando
l’uno e l’altro sembrano andare contro la giustizia e la sicurezza. Nell’attuale contesto sociale, ogni discorso sulla
remissione della pena dei detenuti è sempre legato alla necessità di sicurezza dei cittadini e alla considerazione sociale delle vittime dei delitti. L’opinione pubblica rimane
sempre più turbata da fatti di violenza nei confronti di anziani, bambini, commercianti, che partendo dall’intenzione di un furto arrivano facilmente all’omicidio. Nei sondaggi è forte il favore verso misure repressive, in un gioco
al rialzo tra repressione e sofisticazione delle tecniche dei
delitti che non sembra avere limiti.
Scarsa è invece l’attenzione alla prevenzione dei delitti, soprattutto di microcriminalità, che richiederebbe di
rafforzare i legami sociali in quartieri, paesi e campagne,
dove sempre più spesso si vive come in fortini assediati. Le
comunità cristiane, per loro definizione, dovrebbero essere tra le prime a promuovere una solidarietà di base e luoghi di socialità che “controllano” socialmente il territorio.
Ha scritto Giovanni Paolo II nel messaggio per la
Giornata della pace 2002: “Nella misura in cui affermiamo un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una politica del perdono, espressa in
atteggiamenti sociali e in istituti giuridici nei quali la
giustizia assuma un volto più umano”.
Accoglienza e rispetto dell’ambiente,
nell’azienda agricola si lavora a un futuro “pulito”
«Una reale alternativa di vita, non solo una misura
alternativa al carcere»: Gianluca Zappacosta
sintetizza così il senso del progetto
“La convivialità delle differenze”, che prevede
percorsi di reinserimento socio-lavorativo
con detenuti, in prevalenza immigrati.
Il progetto, finanziato da Caritas Italiana, prevede
il coinvolgimento delle quattro Caritas diocesane
del Molise, di alcune associazioni di volontariato,
dell’azienda agricola “Di Vaira – Terra
di solidarietà” e degli istituti di pena di Larino
(Cb) e Vasto (Ch).
«La nostra – prosegue Gianluca, responsabile
della cooperativa “Il Noce” di Termoli,
uno dei referenti del progetto – vuole essere
una proposta chiara per i detenuti: affrontare
le ragioni del disagio che li ha portati in carcere,
così come in comunità terapeutica
i tossicodipendenti affrontano il malessere
che li ha portati a scegliere alcool e droga
per cambiare strada». È un metodo del tutto
diverso delle leggi che vigono in carcere,
«dove la regola è l’omertà e il nascondere quanto
più possibile se stessi e ciò che si porta dentro.
Per questo le autorità penitenziarie
ci incoraggiano e nel carcere di Vasto è stata
costituita un’équipe congiunta di educatori
penitenziari e operatori volontari, che a partire
da agosto lavora in gruppo con i detenuti
disponibili ad aderire al progetto». Per cominciare,
spiega Gianluca, occorre «capire che da soli non
si riesce a superare alcuni problemi e imparare
a chiedere aiuto. Per affrontare un percorso
che obbliga a convivere con altre persone,
ad accettare regole e a mettersi in discussione,
occorre coraggio e non bisogna mai perdere
di vista i passi già compiuti».
Accoglienza e rispetto ambientale
L’inserimento lavorativo dei detenuti
che usufruiranno di questa misura alternativa
al carcere avverrà nell’azienda agricola Di Vaira
di Petacciato (Cb). Costituita nel 1950 come ente
di beneficenza, ha a capo del consiglio
di amministrazione il vescovo della diocesi
di Termoli-Larino. La Di Vaira è al centro di diversi
progetti di solidarietà sociale indirizzati
al reinserimento di persone che hanno perduto
il lavoro in età matura e all’inserimento lavorativo
di persone con disagio mentale, disabili
e rifugiati, oltre che alla formazione di giovani
studenti interessati a un’esperienza di agricoltura
secondo sistemi ecocompatibili ed ecosostenibili.
La scelta della solidarietà si coniuga con quella
del rispetto del territorio, della sua cultura
e delle peculiarità paesaggistiche e ambientali:
nell’azienda Di Vaira non ci sono coltivazioni
con semi ogm e larga parte dei terreni è destinata
a pratiche colturali biologiche. «Il lavoro
in un’azienda agricola – spiega Gianluca –
consente di proporre i valori di una vita sana
sotto molti profili. Inoltre, nell’esperienza
già svolta con i ragazzi della comunità terapeutica
abbiamo constatato che il lavoro agricolo forma
alla pazienza dei tempi lunghi: veder crescere
e poi raccogliere prodotti curati a lungo dà molta
soddisfazione».
La nuova sfida, però, non è priva di resistenze.
«Il progetto di accoglienza di persone che vengono
dal carcere – riconosce Gianluca – crea più
di un allarme nella comunità civile. Però occorre
conoscere bene i termini di quello che viene
attuato: le persone prescelte sono responsabili
di reati minori e in genere segnate
da una condizione di tossicodipendenza.
Abbiamo rivolto il progetto in particolare
agli immigrati, che in mancanza di parenti vicini
non possono usufruire dei brevi permessi premio
concessi ai detenuti. Sono davvero la categoria
più emarginata. Vogliamo evitare che la loro
situazione venga peggiorata dalla detenzione:
devono avere la possibilità, con la vita comunitaria
e il lavoro, di riappropriarsi di un destino diverso.
Perché magari un giorno, tornati ai paesi d’origine,
possano farsi portatori di modalità analoghe
[Chiara Santomiero]
di reinserimento sociale».
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nazionale
nazionale
esclusione
politiche
database
sociale
sociali
PIÙ CANNABIS E COCAINA,
COSÌ CAMBIA IL PIANETA DROGA
di Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana
l 30 giugno 2005 è stata presentata dal ministro Carlo Giovanardi la
“Relazione al Parlamento 2004 sullo stato delle tossicodipendenze
in Italia”, realizzata dall’Ufficio per il monitoraggio del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga (Dnpa). I rilievi sulla popolazione generale e studentesca suggeriscono un incremento del consumo di
sostanze illegali, in particolare di cannabis e cocaina. Continua inoltre
a diffondersi, nel nostro paese, il consumo di psicostimolanti rispetto a
quello dei depressori del sistema nervoso centrale. Il 26% della popolazione studiata, tra i 15 e i 44 anni di età, ha fatto uso di cannabis
I
accoglienza) per un intervento terapeutico e di reinserimento sociale.
Tra il 2001 e il 2004, si è assistito a
una costante diminuzione dei trattamenti di disassuefazione mediante
farmaci non stupefacenti, che oggi
rappresentano circa il 3% degli interventi farmacologici. L’82% dei trattamenti farmacologici è attuato con
metadone (a dosi decrescenti, medio
e lungo termine). Dal 2001 al 2004 si è
assistito a un aumento della quota di
terapie a lungo termine, a fronte di
una leggera diminuzione di quelle a
medio termine e a dosi decrescenti.
almeno una volta nella vita. Il 5,4%
La relazione 2004
dei soggetti intervistati riferisce inveal Parlamento evidenzia
ce di aver fatto uso di cocaina almeche l’uso di sostanze
no una volta nella vita. Tra gli stuillegali è in aumento.
denti, il 32,1% ha fatto uso di cannaUn quarto dei detenuti
Ma si è stabilizzato,
bis e il 4,8% di cocaina almeno una o
Tra il 2001 e il 2003 in Italia si sono
dopo anni di calo,
più volte nella vita. L’esposizione alle
registrati complessivamente 84.024
il ricorso all’eroina.
sostanze illegali appare già consiricoveri, sia ordinari che in day hoForte e preoccupante
stente tra gli studenti di 15 anni e laspital, con diagnosi principale o
è la correlazione
scia intuire che il primo contatto con
concomitante relativa all’utilizzo di
con disturbi psichiatrici
le droghe possa avvenire, per una
sostanze psicotrope. Un numero
e carcerazioni
porzione di giovanissimi, già qualconsistente di pazienti tossicodiche anno prima di questa età.
pendenti si è rivelato affetto da diNel 2004 si sono ridotte, rispetto
sturbi psichiatrici maggiori (30%) o
al 2001, le percentuali di coloro che si espongono all’eroi- da disturbi della personalità (59%).
na tra i più giovani. I decessi per overdose rilevati nel 2004
In Italia, al 31 dicembre 2004, i detenuti tossicodipensi sono attestati a 441 casi, senza differenze di rilievo ri- denti erano 15.558, di cui 14.884 uomini e 674 donne. I tosspetto al biennio precedente; tale stabilità fa seguito a sicodipendenti costituiscono il 27,7% della popolazione
una progressiva diminuzione, incominciata nella secon- carceraria complessiva (56.068 unità). La regione d’Italia
da metà degli anni ’90.
con il numero più elevato di tossicodipendenti in carcere
In Italia, la rete delle risposte al problema è costitui- è la Lombardia: 2.364 presenze. L’incidenza percentuale
ta da oltre 500 servizi per le tossicodipendenze e da cir- più elevata si riscontra invece in Sardegna, dove il 38,8%
ca un migliaio di realtà terapeutico-riabilitative del priva- dei detenuti è tossicodipendente.
to-sociale. Nel 2004 le persone che sono state trattate
I detenuti stranieri tossicodipendenti a fine 2004 erano
dai servizi territoriali per le tossicodipendenze (Sert) so- 3.346, pari al 18,7% del totale degli stranieri in carcere. La reno risultate pari a 171.724. Sono stati invece 17.143 i gione d’Italia con l’incidenza più elevata di tossicodipensoggetti inviati nelle strutture socio-riabilitative del pri- denti stranieri è l’Umbria, dove tale categoria di soggetti è
vato sociale (residenziali, semi-residenziali o di prima pari al 39,6% del totale degli stranieri in carcere.
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aree metropolitane
LE CITTÀ SOTTO PRESSIONE
E LE “NUOVE PERIFERIE”
di Monica Martinelli sociologa, Università Cattolica Milano
recenti Rapporti 2005 delle Caritas diocesane di Roma e Milano su povertà,
esclusione e disagio, pur nella differenza dei dati e delle metodologie utilizzate,
mostrano molteplici elementi comuni. E suggeriscono alcune sfide in termini
di costruzione della città e della convivenza sociale. Dai due studi emergono
tendenze che ridisegnano il volto delle realtà metropolitane, mettendo a nudo
come queste ultime divengano sempre più i luoghi in cui si concentrano – e talvolta esplodono – gli effetti delle trasformazioni globali.
In primo luogo, sia Roma che Milano sono metropoli sottoposte a complesse dinamiche di riconfigurazione dello spazio, che vedono emergere nuove geografie definite da
flussi finanziari, commerciali, mediatici, umani. Ciò implica profondi mutamenti delle
funzioni e dei confini delle città e, soprattutto, dei vincoli e delle forme di dipendenza intrattenuti dalle popolazioni con il territorio, da cui derivano nuovi tipi di stratificazione
sociale. Per alcuni – i powerfull (potenti) delle nuove élite cosmopolite, in transito all’interno di corridoi economici e finanziari che collegano i sistemi urbani con luoghi lontani nel globo – tale situazione significa possibilità di non
permanenza, nonché di assenza di responsabilità ri- Le metropoli italiane vivono
spetto a un luogo. Per altri – coloro che sono powerless
processi di riconfigurazione
(senza potere) –, il radicamento forzato in uno spazio
implica nuove forme di dipendenza, che originano si- di spazi urbani, relazioni, forme
tuazioni di rischio e rafforzano l’emarginazione.
di esclusione. Lo confermano
I
Condizioni di squilibrio globale
Ai gruppi di powerless dedicano ampio spazio i due Rapporti diocesani. Tra tali gruppi emergono famiglie monogenitoriali, anziani soli, disoccupati o sottoccupati. Una
delle radici ricorrenti del disagio è la precarizzazione lavorativa (in Lombardia e Lazio si concentra oltre la metà dei
contratti atipici siglati in Italia). La flessibilità, soprattutto
nel caso di soggetti deboli o scarsamente dotati di risorse
e reti famigliari o sociali, oltrepassa la sfera lavorativa per
investire la sfera esistenziale, accrescendo l’incertezza
materiale e indebolendo la capacità progettuale.
Un ulteriore gruppo sociale annoverato tra i powerless
è quello degli stranieri. A Milano, in particolare, la condizione femminile e quella di straniero costituiscono le due
costanti del volto della povertà. Si tratta di immigrati in
cerca di lavoro e casa, ma non va sottaciuta la situazione
di rifugiati e nomadi. Anche questi casi riflettono trasfor-
i recenti Rapporti sulle povertà
a Roma e Milano. Caritas studia
le periferie di dieci città italiane
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nazionale
aree metropolitane
aggravare la disuguaglianza sociale e territoriale, acNelle metropoli
crescendo la forbice tra i
contemporanee,
gruppi sociali.
anche in Italia,
In terzo luogo la città è
si delinea
il luogo ove, in maniera
una nuova
evidente, si mostra la soli“geografia
tudine del “cittadino glodell’abitare”:
bale” in cerca di “cittadisi acuisce
nanza”. Entrambi i Rapil problema
porti individuano nella sodelle periferie
e delle aree
litudine una delle radici
centrali in stato
delle nuove forme di disadi degrado
gio. Le istituzioni, sempre
meno in grado di porsi come fattore di stabilità e intermediazione tra i soggetti e le perturbazioni esterne, faticano a costruire le
condizioni della fiducia,
indispensabile per la vita urbana. Il cittadino globale si
viene così a trovare più solo, esposto a eventi che lo sovrastano e rispetto ai quali non ha la capacità di intervenire. Se a ciò si aggiunge la conseguente instabilità di legami sociali e relazioni – come dimostra la crescita, tra chi
si rivolge ai servizi Caritas, di nuclei famigliari indeboliti,
donne sole con figli a carico, giovani in fuga da situazioni
di crisi famigliare e psicologicamente scossi – si può meglio comprendere quali siano i volti delle nuove povertà.
Accanto alle vecchie, che spesso divengono strutturali, emergono in entrambi i Rapporti forme di povertà
sempre più connesse a difficoltà relazionali, solitudine e
indebolimento dei legami, malattie, differenze culturali,
insicurezze materiali e psicologiche, non accessibilità
agli stili di vita e consumo diffusi. Si tratta di fenomeni
non facilmente studiabili, e i Rapporti opportunamente
si sottraggono alla tentazione di utilizzare un unico denominatore concettuale e di ridurre l’eterogeneità delle
disuguaglianze e delle condizioni di bisogno.
Oltre a proporre un’accurata descrizione della
morfologia dei nuovi poveri, il Rapporto sulla città di
Roma si sofferma così su condizioni abitualmente trascurate: indebitamento delle famiglie, usura, malattia
fisica e mentale, dispersione scolastica. A Milano, oltre
a indebitamento e malattia, vengono messe in luce relazioni problematiche nelle realtà famigliari, origine di
un processo sociale discendente che può condurre a
forme di marginalità gravi.
BASSA QUALITÀ
ABITATIVA
mazioni più ampie, ossia condizioni di squilibrio globale
– divari economici, guerre, violenze e torture, problemi
ambientali – che si ripercuotono nello spazio locale e lo
ridisegnano profondamente.
Frammentazione e solitudine
In secondo luogo, le città sono divenute terreno strategico di una serie di conflitti e problemi che interessano
una quota sempre maggiore di individui. Oltre che delle
polarizzazioni sociali, sono teatro di nuove polarizzazioni territoriali. In molti contesti urbani emerge una nuova
geografia dell’abitare, caratterizzata da una frammentazione dello spazio urbano che spinge alcune aree verso
l’alto e altre verso il basso. In queste ultime tendono a
concentrarsi i gruppi svantaggiati.
Anche Roma e Milano sono interessate da questi processi. L’assenza di affitti a costi contenuti e l’aumento degli sfratti impediscono a molti di trovare sbocchi se non in
segmenti molto bassi del mercato immobiliare o addirittura, in alcuni casi, sulla strada. Tali dinamiche contribuiscono ad acuire il problema delle periferie, nonché delle
aree del centro storico in stato di abbandono o dei quartieri di edilizia pubblica, favorendo la concentrazione di
fasce deboli in ambiti molto circoscritti o in aree sottoposte a rischi anche ambientali (è il caso degli insediamenti
industriali dismessi), segnati da carenza di verde e servizi. Questi indici di scarsa qualità della vita possono avere
ripercussioni significative sulla salute e, ancora una volta,
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“Le” povertà e le risorse
Da questi elementi discendono tre ulteriori considerazioni. Anzitutto, i Rapporti evidenziano la tendenziale
individualizzazione della povertà: essa si presenta molto
più frammentata che in passato. Non esiste, in un certo
senso, “la” povertà, bensì tante povertà.
Inoltre, il quadro emergente mostra il sorgere di
“nuove periferie”, all’interno delle quali si riflettono, come in uno specchio, trasformazioni sociali che vanno al
di là dei confini della città. Su questo processo di “periferizzazione” Caritas Italiana, insieme alle Caritas diocesane, intende svolgere ulteriori approfondimenti. Per tale
motivo ha avviato, in collaborazione con l’Università
Cattolica di Milano, una ricerca sullo stato delle periferie
italiane in dieci grandi città: essa intende mettere a fuoco le forme di segmentazione urbana che, in aree geograficamente distanti dal centro o in aree centrali sottoposte a profondi mutamenti, danno conto dei bruschi
aumenti di disuguaglianze ed emarginazioni, della concentrazione di attività marginali, dello sviluppo di conflitti, dell’emergere di nuovi fattori di rischio. Riflettendo
sulle “periferie” è peraltro possibile discutere più ampiamente i problemi delle città, nonché indagare i presupposti della convivenza, rafforzando le risorse presenti a
livello locale.
Infine, a questo proposito, i Rapporti mostrano l’esistenza di una consolidata rete di iniziative locali. Si tratta
di esperienze in alcuni casi molto recenti, in altri strutturate: centri di ascolto, sportelli, servizi legali, ambulatori
medici, progetti ad hoc per particolari fasce deboli, strutture protette. Tali iniziative, con la loro capillarità, sono
in grado di rivolgersi alle varie categorie di persone in difficoltà e si prendono cura, in modo non generico, delle
domande espresse e dei bisogni. Si tratta di potenzialità
enormi, sia come interventi di prossimità concreti, sia in
termini di sensibilizzazione pubblica.
L’impegno, non un fatto privato
I Rapporti, infatti, non sono la semplice rendicontazione
delle situazioni di marginalità metropolitane, ma offrono un prezioso contributo per superare il confine del disimpegno e rivestire l’agire dei soggetti della responsabilità che contrassegna ciò che è umano, nonché per collegare l’intervento diretto con l’agire politico proprio delle
istituzioni. Lo stesso operato delle Caritas viene sottoposto a un’operazione di autoriflessività, che mira a rifocalizzare motivazioni e modalità di intervento. Si tratta di
optare per una carità che non alimenti forme di assi-
RAPPORTI SULLE POVERTÀ URBANE
I testi pubblicati in estate dalle Caritas diocesane
di Roma e Milano. Facendo leva su queste e altre
esperienze di indagine, Caritas Italiana ha avviato
uno studio sulle periferie di dieci grandi città italiane
stenzialismo, o si riduca al gesto esteriore che accresce le
distanze. Legata alla concretezza di relazioni e volti, oltre
i confini del gruppo e le appartenenze culturali, la carità
costituisce una via preziosa per riumanizzare i rapporti
sociali e riaffermare la dignità dell’individuo come basi
per la convivenza sociale. L’impegno accanto a coloro
che stanno ai margini di una città, insomma, non costituisce un fatto privato, ma tocca più ampiamente la richiesta di giustizia. E può avere effetti di ripensamento
delle politiche sociali pubbliche: ciò che davanti a uno
sportello dell’assistenza sociale generalmente rientra in
un “caso” tipizzato, necessita sempre più di approcci
personalizzati.
I Rapporti su Milano e Roma mostrano come la metropoli, oggi più di ieri, sia sotto pressione, in quanto è
il coacervo dei problemi del nostro tempo. E, di conseguenza, anche il luogo dove è necessario investire per
cercare di contrastare le polarizzazioni che accrescono
le distanze. La città può tuttavia assumere diverse configurazioni: diventare “non-luogo”, in cui vivono accostati gli uni agli altri individui isolati; oppure luogo in
cui prevalgono paura e chiusura tra gruppi sociali, etnici e religiosi. O ancora luogo in cui si tenta di ricucire –
a vari livelli, con il concorso di attori sociali individuali
e collettivi – il tessuto strappato delle relazioni tra gli individui, i gruppi e tra questi e il contesto sociale, oltre la
tentazione di governare tenendo separate le parti che
convivono nel medesimo spazio.
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nazionale
nazionale
finanza pubblica
«
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dall’altro mondo
NEL PAESE DEL RIGORE
PIANGONO I SOLITI NOTI?
ITALIANI ALL’ESTERO,
FINORA HANNO VOTATO IN POCHI
Le previsioni finanziarie del governo appaiono lievemente più oneste che
in passato. Ma le scelte di riassetto lasciano poco spazio al welfare
opo anni di dibattito, nel dicembre 2001 è stata approvata la
legge 459 sull’esercizio del diritto di voto all’estero per corrispondenza, che permette agli italiani residenti all’estero di
eleggere, tramite il sistema proporzionale, 12 deputati e 6 senatori
che li rappresentino in parlamento e di esprimere il proprio voto sui
referendum. Gli italiani all’estero votano qualche giorno prima rispetto alla data fissata in Italia. Ogni elettore riceve dal consolato un
plico elettorale contenente le istruzioni, le liste dei candidati, il certificato elettorale, la scheda di voto e una busta affrancata per inviare
meglio indicare cifre vagamente esatte che offrire stime precise totalmente erradi Paolo Pezzana
te», diceva Keynes. Il famoso economista doveva aver ben presente, nella sua ironia, quali rischi si annidano nella programmazione economica, specie degli stati. Può essere saggio ricordarsene leggendo il Dpef 2006-2009, il documento di
programmazione economico-finanziaria predisposto annualmente dal governo
per delineare le proprie scelte di politica economica nel triennio successivo.
Per chi ha a cuore il welfare e vorrebbe più consistenti politiche sociali, il Dpef costituisce
l’ennesima frustrante delusione. Il documento si apre stimando il deficit per il 2005 al 4,7%,
onesta ma poco confortante ammissione di un dato di realtà ostinatamente negato fino a
qualche mese prima. In tale contesto, pur essendo le decisioni di merito rimandate alla finanziaria d’autunno, sembrano esserci poche speranze
che la spesa sociale non subisca ulteriori contrazioni. Pe- zione degli sprechi, tetto del 2% alla spesa pubblica (che
sano tre ineludibili fattori, dettati prevalentemente dall’U- da indifferenziato diventerebbe “selettivo”), e poi, probanione europea e orientati al massimo contenimento della bilmente, tagli ai settori “improduttivi”, per l’economia
spesa: la necessità di sostituire l’Irap, giudicata illegittima ma anche in termini di consenso, dato l’approssimarsi
dall’Ue, con altre forme di imposizione, meno penalizzan- delle elezioni politiche. Davvero pochino, per poter parlati per le imprese; la procedura di infrazione per deficit ec- re effettivamente di rigore, anche se il quadro sembra liecessivo aperta dall’Ue contro l’Italia e conclusasi con un vemente più onesto che in passato.
Ma che posto occupa il welfare? In campo sociale ci si
accordo di rientro nei parametri (3% del rapporto deficit/Pil) entro il 2007; la questione della crescita e della com- pone gli obiettivi di contenere caro-affitti e tariffe pubblipetitività, attestate in Italia da tempo su dinamiche negati- che e dei servizi, proteggere il potere d’acquisto dei salari,
potenziare l’offerta di servizi sanitari. Tutto ciò agendo esve, contrariamente ai dettami della Strategia di Lisbona.
senzialmente sulla leva fiscale. Le regioni, cui spettano le
maggiori competenze in materia, incontrando il governo
Politicamente invisibili
Alle pressanti richieste di rigore, il ministro per l’economia hanno ricordato che non possono essere sole a sostenerSiniscalco ha risposto con un documento breve, centrato ne il peso. Il welfare, per essere tale, richiede non solo agesul concetto di crescita, fondato su cinque pilastri: mag- volazioni fiscali, ma anche misure di protezione significagiori investimenti nelle infrastrutture; liberalizzazione dei tive per chi un potere d’acquisto non lo ha, è escluso dalmercati e semplificazione burocratica; alleggerimento del la possibilità di accedere ai servizi del mercato, ha bisogni
carico tributario; tutela del potere d’acquisto delle fami- sociali e relazionali ancor prima che sanitari. Ma costoro
glie; maggiore “qualità” dei conti pubblici. Quello che il non muovono consensi elettorali significativi, e così molgoverno prospetta è un paese tutto sommato ottimista, to spesso divengono politicamente invisibili. La sensaziochiamato a fare sacrifici ma, per dirla col ministro, senza ne è che lo siano anche tra le cifre e gli enunciati del Dpef.
mettersi ulteriormente «a dieta» perché «già ammalato». Se il futuro economico-finanziario deve essere lacrime e
Per recuperare le risorse economiche necessarie le ricette sangue, lo sia davvero, per tutti, proporzionalmente alle
sono quelle note da tempo: lotta all’evasione fiscale, ridu- capacità. Altrimenti a piangere saranno i soliti noti.
È
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SETTEMBRE 2005
di Delfina Licata
La seconda esperienza di voto è
avvenuta il 26 marzo 2004 per l’elezione dei Comites (Comitati degli
italiani all’estero, che operano per
soddisfare i bisogni culturali, civili e
sociali dei connazionali espatriati) in
tutte le circoscrizioni consolari in cui
risiedevano più di 3 mila cittadini
italiani. Il 28 marzo 2004 l’agenzia di
stampa Inform titolava l’articolo di
apertura “Elezioni Comites, affluenla scheda su cui si è votato. I consoza record del 35%”: su 2.260.057 plilati, ricevuti per posta i voti, li inviachi
inviati, le buste pervenute ai conDa quasi quattro anni
no in Italia in valigia diplomatica e
solati
sono state 770.833, il 34,11%.
i nostri concittadini
per aereo. Lo spoglio delle schede è
L’affluenza
al voto nelle diverse “cirespatriati possono
contestuale a quello nazionale, vencoscrizioni
estero” è stata così caratpartecipare alle elezioni.
gono predisposti appositi seggi ogni
terizzata:
Europa,
29,44%; America
Finora l’hanno fatto
5 mila elettori presso la Corte d’apdel
Nord,
24,88%;
America
del Sud,
in quattro occasioni.
pello di Roma.
48,65%;
Asia
e
Oceania,
31,18%;
AfriMa le operazioni
Il governo, mediante unificaca
36,02%.
di voto avrebbero
zione dei dati dell’anagrafe degli
Ultimo appuntamento, il tanto
bisogno di un costante
italiani residenti all’estero e degli
discusso
referendum sulla procreaaggiornamento
schedari consolari, è tenuto ad agzione
assistita
dello scorso giugno.
degli elenchi
giornare l’elenco dei cittadini itaAlcuni giorni prima, il ministro degli
liani residenti all’estero, con il fine
interni, Giuseppe Pisanu, aveva uffidi predisporre le liste elettorali. Lo prevede l’articolo 5 cialmente affermato che i cittadini italiani residenti all’edella legge, ma dopo quattro tornate elettorali (giugno stero e con diritto di voto sono 2.815.570, di cui 2.210.185
2003, marzo e giugno 2004, giugno 2005) la situazione registrati in modo perfettamente uguale tra Aire (Anagranon è ancora del tutto definita.
fe italiani residenti estero) e anagrafi consolari. Gli elettori sono così divisi: 1.5197.751 in Europa; 686.453 in AmeLontani dal quorum
rica latina; 366.805 in America centro-settentrionale;
Gli italiani all’estero sono stati chiamati per la prima vol- 164.561 in Africa, Asia, Oceania. In 202 sedi consolari su
ta alle urne in occasione dei referendum di giugno 2003, 203 (manca il Salvador) sono pervenute 547.666 buste
sullo Statuto dei lavoratori e la servitù coattiva di elettro- chiuse contenenti le schede referendarie, pari al 20,3% del
dotto. L’affluenza registrata fu del 25% degli elettori. Il totale dei plichi inviati: anche all’estero, dunque, vittoria
ministero degli esteri, nonostante la percentuale lonta- schiacciante degli astensionisti. Ma non sono mancate
na dal quorum, espresse entusiasmo non solo perché il denunce, dovute alla comunicazione di indirizzi errati o a
dato era vicino a quello nazionale, ma anche perché ma- disfunzioni del servizio postale. Vi sono stati anche casi di
nifestava l’interesse e la volontà dei connazionali all’e- persone decedute conteggiate come vive. Il sistema, evistero di partecipare alla vita sociale e politica dell’Italia.
dentemente, deve ancora essere messo a punto.
D
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SETTEMBRE 2005
19
nazionale
stranieri e integrazione
IL
IMMIGRATI ED ELETTORI,
CITTADINANZA DA RIPENSARE
Immigrati
e partecipazione.
Dalle consulte
e dai consiglieri
aggiunti al diritto
di voto,
Edizioni Idos,
Roma, 2005.
Al testo hanno
contribuito studiosi
delle migrazioni (Franco Pittau, Oliviero
Forti, Paolo Attanasio, Andrea Facchini,
Ginevra Demaio) e l’équipe
del Dossier statistico immigrazione
Caritas. Per informazioni
e prenotazioni, ufficio
immigrazione Caritas Italiana,
tel. 06.54192251/41.
I
20
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SETTEMBRE 2005
ROMANO SICILIANI
di Ginevra Demaio redazione Dossier statistico immigrazione Caritas
l tema è di quelli scottanti. Infiamma periodicamente il dibattito politico. E ha raggiunto,
URNA
E TURBANTE
nei mesi scorsi, anche le prime pagine di giornali e telegiornali nazionali. Ma le esperienUn indiano sikh
ze, dietro il diluvio di parole e opinioni in libertà, sono ancora sparute: poche, poco diffual voto
se, poco strutturate, poco studiate. Garantire forme di espressione agli immigrati che viin occasione
vono stabilmente in Italia, anche attraverso l’accesso al voto, inteso come strumento di
dell’elezione dei
partecipazione alle decisioni politiche e di visibilità sociale: sulla materia, le posizioni poconsiglieri
litiche e culturali divergono. Spesso, a prescindere dai dati di realtà.
comunali
aggiunti
Per colmare questo vuoto di conoscenze, Caritas Italiana ha dedicato all’argomento un linel comune
bro, Immigrati e partecipazione. Dalle consulte e dai consiglieri aggiunti al diritto di voto, predi Roma
sentato a luglio. La ricerca muove dall’idea che sia urgente riconoscere gli immigrati come
nuovi cittadini, attori a pieno titolo della società italiana, non solo in quanto lavoratori, ma in
quanto soggetti della produzione sociale e impulso per nuove forme di cittadinanza, non più
delineate dalla sola appartenenza nazionale.
Le migrazioni, infatti, creano società segnate dalla Nella società globale delle
convivenza di persone provenienti da più paesi; di conmigrazioni, diritti sociali e di
seguenza mettono in discussione l’organizzazione del
sistema-mondo in singoli stati nazionali. La stessa co- partecipazione non possono essere
struzione di una politica comune all’interno dell’Uniolegati solo a nascita e nazionalità.
ne europea cerca di superare le divisioni tra i singoli stati per costruire una “cittadinanza europea”. Il diritto di Come ammettere al voto gli
voto dei cittadini immigrati, tuttavia, non rientra tra i
stranieri stabilizzatisi in un paese?
nuovi diritti europei, perché relativo a persone di cittadinanza non comunitaria.
Il dibattito in un libro Caritas
L’idea che attraversa il libro è che i concetti di nazionalità e di cittadinanza vadano attualizzati e distin- delle due ipotesi che attraversano il dibattito politico e la
ti, di modo da garantire diritti sociali (casa, lavoro, red- dottrina giuridica: l’ipotesi che riconosce il diritto di voto
dito, formazione, unità familiare, sanità) e possibilità ai soli cittadini italiani o agli italiani acquisiti, sulla base di
di partecipazione locale sganciati dalla nazionalità di un’interpretazione tecnica del dettato costituzionale;
nascita. L’invito è a ripensare la cittadinanza, a ricono- quella che, interpretando lo stesso dettato in termini più
scerla come categoria storicamente situata e in conti- ampi, non ritiene che con “cittadini” debbano intendersi
nua evoluzione. In quest’ottica si colloca la proposta solo le persone di cittadinanza italiana.
avanzata da più parti, e condivisa da Caritas Italiana,
Al censimento 2001 i cittadini italiani per acquisiziodi una “cittadinanza di residenza”.
ne erano 286 mila, circa uno ogni 200 residenti. Lo stesso censimento ha rilevato che 6 stranieri su 10 (59%) riChiusure e innovazioni
siedono in Italia da più di cinque anni e ben il 31,6% da
La ricerca traccia l’evoluzione e lo stato attuale dell’im- più di dieci, a conferma del processo di radicamento
migrazione in Italia, con un taglio che cerca di approfon- degli immigrati e dell’attualità della proposta di riconodire, anche attraverso dati, la fondatezza e l’applicabilità scere loro diritti più ampi.
LIBRO
Su scala europea, nonostante il progetto di una cittadinanza continentale l’Ue non entra in una questione che
resta di competenza degli stati. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, infatti, limita il diritto di voto amministrativo ai soli cittadini comunitari. Alcuni stati hanno
però previsto il diritto di voto dei cittadini di paesi terzi già
negli anni Ottanta.
Più recente è il concetto di “cittadinanza civica” introdotto dal parlamento europeo che, sulla base della
comunità di residenza, riconosce ai cittadini dei paesi
terzi residenti nell’Unione diritti e doveri economici, sociali e politici, tra cui il diritto di voto alle elezioni municipali ed europee. L’unico documento sovranazionale
che riconosce il diritto di voto degli stranieri residenti è
la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla
vita pubblica a livello locale, adottata dal Consiglio
d’Europa nel 1992. Gli stati che l’hanno ratificata si impegnano a concedere il diritto di voto e di eleggibilità a
ogni residente straniero legalmente presente nel territorio nei cinque anni precedenti le elezioni. L’Italia, però,
non applica la norma in quanto, pur avendo ratificato la
Convenzione, ha posto una riserva sulla parte relativa al
diritto di voto.
In Italia quindi (ma anche in Austria, Germania, Grecia, Lussemburgo e Francia) non è previsto l’elettorato at-
tivo e passivo per gli stranieri non comunitari: emerge una
chiusura rispetto alla disciplina sovranazionale della materia e una preferenza per la naturalizzazione come via di
accesso al voto.
Non mancano, però, soluzioni innovative. Un esempio è la Carta europea dei diritti dell’uomo nella città, approvata a Saint-Denis (Francia) nel 2000, alla quale hanno
aderito decine di città europee. La Carta si basa su una logica universalista, lega i diritti alla residenza invece che alla nazionalità, riconosce agli stranieri residenti da almeno
due anni nel territorio il diritto di voto e di eleggibilità a livello comunale. Le città emergono, quindi, come spazio
politico e sociale di contrattazione di nuovi diritti.
Oltre la consultazione
L’Italia non è estranea all’idea di riconoscere la partecipazione degli stranieri alla politica locale. Il testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (decreto
legislativo 18 agosto 2000 n. 267) contempla per gli
stranieri forme di partecipazione popolare a livello comunale. E molti comuni stanno valutando la modifica
degli statuti per ammettere al voto amministrativo, per
le consultazioni di circoscrizione, ma anche per l’elezione di sindaco e consiglio comunale, gli immigrati residenti. Spesso le iniziative derivano da una riflessione
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21
nazionale
nazionale
contrappunto
stranieri e integrazione
«È la politica che decide,
dobbiamo misurarci con essa»
Testimonianze ed esperienze di rappresentanti nelle consulte
per stranieri di quattro città italiane, tratte dal libro Caritas.
DIRITTO DI VOTO. «Io mi auguro che si arrivi a un diritto al voto
agli immigrati, attivo e passivo, a pieno titolo, una voce
in capitolo anche per dare la possibilità di offrire un contributo
a una società multietnica. Il diritto di voto è uno dei passi
più importanti per una vera integrazione, sennò rimaniamo
emarginati da parte della politica che è quella che decide».
Albeetar Fadl, Giordania, consigliere aggiunto di Lecce
IMMIGRATI E POLITICA. «Io anche in Italia faccio politica,
sono conosciuto in Campania politicamente (…) Il problema
è che gran parte degli immigrati non fanno politica in Italia,
sono magari coinvolti nei movimenti ma sono inconsapevoli
del ruolo che svolgono. Ci sono alcuni soggetti che comunque
si muovono e cercano di imparare. Noi pensiamo che
la figura del consigliere straniero possa aiutare gli immigrati
a integrarsi politicamente e a imparare a confrontarsi con
la politica (…). Ci occupiamo di rappresentare gli immigrati
attraverso i responsabili delle comunità, ma non è facile
perché non c’è molto impegno politico, anche perché
le condizioni di vita degli immigrati sono molto difficili,
non lasciano spazio per la politica, soprattutto al sud
dove prima di tutto c’è il problema del lavoro».
Malk Diaw, Senegal, consigliere aggiunto di Caserta
ESPRIMERSI SUI PROBLEMI DELLA VITA. «Però noi ci sentiamo
parte di questa società, per cui vogliamo un regolamento
che permetta all’immigrato di esprimersi su tutto, non solo
sull’immigrazione, ma su tutti i problemi della vita comunale
e di avere spazio a livello di consiglio comunale.
Abbiamo costituito un comitato provvisorio che possa
costruire il regolamento che ci porti verso il diritto
di voto amministrativo».
Tourè Belco, Mali, consigliere aggiunto di Padova
RAPPRESENTANTI DI CHI? «Io cerco di avere contatti con tutti,
perché la Consulta non è individuale, è generale,
non puoi rappresentare solo quelli del tuo paese,
bisogna rappresentare anche gli altri, e soprattutto tramite
le associazioni e i contatti riesci a sapere i problemi di tutti.
Se poi riesci ad aiutare qualcuno va anche bene,
però non è quello l’obiettivo della Consulta».
Cisse Lancine, Costa d’Avorio, consigliere aggiunto di Forlì
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SETTEMBRE 2005
CITTADINI
DA LONTANO
Immigrati in fila
per una sanatoria:
integrazione
significa anche
partecipazione
alla vita
democratica
sull’inadeguatezza del modello di rappresentanza consultiva costituito da consigli degli stranieri, consulte
degli immigrati e consiglieri stranieri aggiunti, la cui
funzione è di semplice “consultazione”.
Il libro Caritas analizza numerose esperienze nazionali e dedica due approfondimenti all’Emilia Romagna (prima regione in cui si è sperimentata la figura del consigliere aggiunto) e all’elezione dei consiglieri aggiunti nella
città di Roma. L’ultima parte del volume approfondisce il
tema della rappresentanza migrante attraverso la voce dei
rappresentanti stranieri: consiglieri aggiunti, presidenti di
consulte, presidenti di consigli di stranieri.
Associazionismo e politica
Dalle interviste emerge il nesso tra l’impegno nell’associazionismo e nel sociale e l’approccio alla politica,
quasi che l’assenza di un reale accesso al piano decisionale abbia trovato un canale alternativo di espressione
nelle associazioni e in forme comunitarie di autorappresentazione. Lo stesso impegno politico è scelto e vissuto per il suo portato sociale: dare visibilità e piena cittadinanza alla popolazione immigrata.
I diritti cui i testimoni aspirano sono legati a un bisogno di stabilità (documenti, casa, scuola, formazione, salute), di superamento della condizione di incertezza e di
precarietà che il migrante sperimenta. Non divergono
cioè dalle domande della popolazione italiana, esprimono anzi un sentirsi cittadini del nostro paese. Anche se il
diritto di voto risulta essere per la gran parte degli intervistati l’obiettivo ultimo da conseguire.
Si tratta, insomma, di percorsi nuovi e ancora
aperti, ma che offrono alla società e alla cultura politica italiane un’opportunità rilevante: quella di “risignificare”, attraverso la riflessione sul diritto di voto
agli stranieri, i concetti di cittadinanza e democrazia e
la concezione dei diritti soggettivi.
ITALIA IN DEPRESSIONE,
TORNIAMO A PROGRAMMARE
di Domenico Rosati
manuali di economia spiegano che si ha “depressione” quando
rallenta l’attività economica, diminuiscono i prezzi, si contrae la
produzione di beni e servizi e aumenta la disoccupazione. Da
mesi gli analisti concordano sul fatto che in Italia (a parte i prezzi che
salgono) i sintomi della depressione ci sono tutti. Si tratterebbe allora
di capire quali fattori internazionali, interni e sociali determinano il
quadro depressionario. Negli ultimi mesi la polemica si è concentrata sulla condotta del governo in carica, al quale si è rimproverato di
aver trattato il caso come un malessere occasionale. Di avere cioè ritenuto che, somministrando un qualche farmaco sintomatico
I
(spesa)? Chi si cimenterà nell’impresa dovrà affrontare contrasti di
interessi, contraddizioni e conflitti,
per costruire una sintesi che risulti
attendibile e ottenga consenso.
Titoli non quotati,ma decisivi
Il prontuario della scienza economica è prodigo di consigli ma lascia sempre campo a più di una soluzione: consumi da espandere per
far crescere la domanda interna o
(un condono, o una riduzione della
costi da ridurre per migliorare l’ofpressione fiscale sui più abbienti), si
ferta? Anche questa volta tocca alla
Il nostro paese
sarebbero trovate le risorse per
politica bilanciare l’azione delle
vive una fase economica
mantenere la “grande promessa”
due leve. Ed è qui che il tecnicismo
negativa, con pesanti
elettorale. Fino alla bizzarria di sodelle formule rinvia a un orizzonte
implicazioni sociali.
stenere, come ha fatto più volte il
più ampio, nel quale, inaspettataIl governo attuale
presidente del consiglio, l’ipotesi di
mente, ritrova cittadinanza un
ha affrontato
una suggestione collettiva: a forza di
concetto – “programmazione” –
la questione
sentir parlare di crisi, la gente crede
che la moda economica degli ulticome un malessere
mi vent’anni aveva cancellato dalla
che la crisi ci sia davvero e si comoccasionale. È tempo
lavagna. Sono molti, infatti, a riteporta di conseguenza.
di uscire dalla logica
nere che non si va da nessuna parSul governo ci sarebbe molto da
del “giorno per giorno”
te, se si continua con le opzioni del
aggiungere, a partire dall’illusione
giorno per giorno.
iniziale per cui tagliando le tasse ai
Diverso è (o può essere) lo scenario, se la politica si
più ricchi si sarebbero rilanciati gli investimenti (e non,
ad esempio, la speculazione, come in parte è avvenuto). mette in condizione di spiegare ai cittadini che ogni
Quanto all’attuale opposizione, se dovesse prendere il azione quotidiana è correlata a un fine meno immediagoverno non le sarebbe consentito di spendere più di un to, ma ben visibile anche oggi. Occorre sapere da dove si
giorno a recriminare sull’opera dei predecessori. Le sarà parte e sapere dove si vuole arrivare, richiamando in
servizio (e ne varrebbe la pena) la prima parte della Coinvece richiesto di riuscire dove gli altri hanno fallito.
Le scelte sono tutt’altro che facili. Rimettere ordine stituzione repubblicana, con tutte le implicazioni internei conti pubblici per stare nei parametri europei, che ne, europee e internazionali. Non si pensi al rilancio di
restano rigidi anche dopo la conquista di una dilazione un “sol dell’avvenire” di socialistica memoria, ma a una
sui tempi di “rientro”, e nel contempo adottare misure linea guida che indichi la direzione di marcia e renda
che riattivino il sistema facendo crescere davvero la tor- trasparenti per tutti diritti e doveri, prima ancora che
ta, in modo da finanziare più vaste ed eque misure redi- costi e ricavi. Non è questione di potere e autorità, ma di
stributive: come conciliare interventi di contenimento autorevolezza e credibilità: titoli non quotati in borsa,
(risparmio) con l’esigenza di politiche di espansione ma sempre decisivi nelle vicende umane.
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23
internazionale
progetti > istruzione
a cura dell’Area internazionale
L’8 settembre si celebra
la Giornata mondiale
dell’alfabetizzazione,
ricorrenza significativa
nell’ambito del Decennio
dell’alfabetizzazione,
proclamato dall’Onu
a partire dal 2003.
L’istruzione è un diritto
per gli individui,
ma anche un fattore
di rinnovamento e sviluppo
delle società.
Caritas Italiana dedica
particolare attenzione
a scolarizzazione
e formazione,
con progetti in molti
paesi del mondo.
Fabbricare i banchi… e tornarci dopo la guerra
“Hand in Hand”, educazione alla pace per una convivenza possibile
Le conseguenze della guerra combattuta nella Repubblica
democratica del Congo dal 1998 al 2003 sono state terribili.
La diocesi di Kindu, nell’est del paese, è stata fra quelle più colpite.
Le strutture scolastiche sono state danneggiate e per anni le scuole
al di fuori di Kindu sono rimaste chiuse. Nella maggior parte delle
classi in cui vi erano i banchi, questi sono stati bruciati dai militari
o dagli altri combattenti. La fine del conflitto consente ai bambini
di tornare a scuola, ma le condizioni per l’insegnamento sono
estremamente precarie. Caritas Italiana sta cercando di sostenere
la Caritas di Kindu per la fabbricazione di 600 banchi e 30 lavagne
per 5 scuole elementari e per la fornitura di materiale scolastico
(penne, matite, quaderni, registri, gessi) per gli alunni di 82 scuole.
> Durata 2005-06 > Costo 36 mila euro
> Causale Grandi Laghi - Kindu
Hand in Hand (“Mano nella mano”) è una ong che attua un originale programma di educazione alla pace fra ebrei e arabi
di Israele. Fulcro di questo impegno sono le scuole – in tre diverse località – frequentate da bambini dei due gruppi fino
alle soglie della maturità. Lo scopo del progetto è aiutare i ragazzi a crescere in un clima di non violenza, riconoscere
le diversità culturali e accettarle, anche quando non le si condivide. Non si tratta, insomma, della proposta di un clima
di convivenza “neutro”, ma di uno spazio dove le tre culture (ebraismo, islam e cristianesimo) hanno pari dignità.
Si studiano le due lingue, arabo ed ebraico, con maestri delle due comunità, si impara a conoscere feste e abitudini
degli “altri”, si studia la storia dai due punti di vista (“non c’è una sola verità per capire gli stessi fatti”). Si impara
a discutere su tutto, mettendo gli argomenti sul tavolo (“put on the table and discuss everything”). Un lavoro altrettanto
delicato viene fatto con le famiglie che accettano di inviare i loro figli alla scuola. Le strutture sono di buon livello,
semplici e senza lussi; quella di Gerusalemme ha 250 allievi ed è finanziata al 60% con fondi locali. I responsabili
hanno proposto a Caritas Italiana di finanziare alcune attività di riconciliazione: un lavoro in coraggiosa controtendenza.
> Costo 12.500 euro > Causale Hand in Hand – Terra Santa
Interventi per bambini e donne desplazados
[ ]
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TEL. 06.54.19.22.28
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I TA L I A C A R I TA S
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La Caritas della diocesi di San Cristobal, in Venezuela, vicina alla frontiera con
la Colombia, e il ministero dell’educazione venezuelano collaborano nella regione
di Tachira per l’alfabetizzazione dei figli dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei profughi
colombiani. I programmi governativi prevedono la creazione di uno spazio educativo
per bambini non scolarizzati, sradicati dalla loro terra di origine e trasferiti con
i loro nuclei familiari oltre frontiera, in cerca di protezione e sicurezza. Le spese
per assicurare l’insegnante sono sostenute dal governo, mentre la Caritas interviene
per fornire il materiale didattico, l’infrastruttura, attrezzature (sedie, lavagne, giochi
didattici, ecc). Un programma di alfabetizzazione di donne adulte profughe, vittime
del desplazamiento interno che il conflitto armato provoca in Colombia, è invece
svolto dalla Caritas locale nella capitale Bogotà, nella difficile zona di El Cartucho.
Molte donne provengono da esperienze di sfruttamento e abuso. Attraverso
l’alfabetizzazione informale, queste donne apprendono a leggere e a scrivere,
autentica esperienza di restituzione della dignità e di scoperta del mondo.
> Contributo per ciascuna iniziativa 8 mila euro > Causale Venezuela - Colombia
SETTEMBRE 2005
La scuola degli Yi è storica, ma va ricostruita
I bambini del villaggio di Leike quando vanno a scuola devono sperare che non
piova. Infatti l’edificio (che era stato dichiarato pericolante già nel 1890, quando
fu costruito in legno e terra battuta) è assai poco accogliente nel periodo
delle piogge, quando l’acqua penetra dal tetto… Leike è un povero villaggio
di montagna della minoranza etnica Yi, abitato da 168 famiglie e situato nella
fredda zona della contea di Mi Le, provincia dello Yunnan, sud ovest della Cina.
La scuola elementare da ricostruire ospita attualmente 68 bambini e due
insegnanti, distribuiti in quattro aule. Il governo locale ha messo la scuola
in lista di attesa per la ricostruzione di un nuovo locale a due piani, di 420 metri
quadri di superficie, comprendente sei aule, due uffici per insegnanti, servizi
sanitari, vasca per l’acqua potabile e cortile esterno. Inoltre si intende riunire in
questo fabbricato due altre piccole scuole di villaggi vicini per servire un numero
iniziale di 120 studenti, fino ad arrivare a 180-200 studenti nel settembre 2006.
Il costo preventivo di tale progetto è di circa 32 mila euro. La Hong Kong Don
Bosco Charitable Foundation (Dbf), che aiuta le popolazioni della zona dal 1987,
contribuirà alla ricostruzione della scuola, sostenuta da Caritas Italiana.
Anche la contea e il municipio locali daranno un contributo economico.
> Beneficiari circa 200 bambini di tre villaggi e le loro famiglie
> Contributo Caritas Italiana 13.736 euro > Causale Asia - Cina
I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
25
internazionale
crisi africane
SUDAN, LA PACE IN SALITA
TRA SPERANZE E PAURE
servizi di Giovanni Sartor
a speranza della pace e della rinascita, dopo due decenni di una devastante guerra civile. GIOIA E FATICA
Ma una speranza fragile, esposta ai venti mai domi della morte e del sospetto. Il Sudan sta DI VIVERE
A destra,
vivendo un periodo significativo e nello stesso tempo incerto della propria storia. Il 9 lu- la vitalità
glio era stato un giorno storico, che aveva visto concretizzare gli accordi di pace siglati il 9 dei bambini
gennaio 2005 in Kenya, a Nairobi: nella capitale Khartoum era stata approvata la nuova del Sud Sudan.
Sotto, precarietà
Costituzione (che garantisce, tra le altre cose, la non applicazione della sharia nel Sud del della vita
paese) e si era celebrata la nomina di John Garang, capo del movimento di liberazione del quotidiana
Sud (Splm), alla carica di primo vicepresidente. Ma sono bastate tre settimane per ricacciare il Sudan nel dopo vent’anni
di guerra civile
tunnel della paura: Garang, leader incontrastato del Splm dalla sua fondazione e per i 21 anni di guerra,
è morto il 30 luglio a causa della caduta dell’elicottero con cui stava tornando a New Site, Sud Sudan, sua
base militare durante gli anni di guerra, dopo un incontro
Il più grande paese africano vive mesi
con il presidente ugandese Yoveri Museveni.
L’elicottero si è schiantato su un territorio montagno- non sembra aver pregiudicato la svolta
so al confine tra Uganda, Kenya e Sudan. Governo del Sudan e Splm hanno dichiarato entrambi, nei giorni successivi all’accaduto, che l’elicottero è precipitato a causa “delle avverse condizioni climatiche” che interessavano la zona nella quale è avvenuto lo schianto. Ma fin dall’inizio sui
media africani, in particolare ugandesi, sono rimbalzate
voci inquietanti, secondo cui non si sarebbe trattato di
una fatalità. In agosto non sono state raccolte prove che
giustificassero un’interpretazione dell’accaduto diversa
da quella delle fonti sudanesi ufficiali. È stata comunque
istituita dal governo ugandese – Garang viaggiava sull’elicottero del presidente Museveni – una commissione mista che comprende tecnici provenienti da Stati Uniti, Russia, Kenya, Sudan e Uganda per far luce sull’accaduto. Anche il governo del Sudan, insieme al Splm, ha istituito una
commissione d’inchiesta, integrata da esponenti della
missione Onu in Sudan (Unmis), commissione alla quale
l’Uganda ha assicurato la sua collaborazione.
Petrolio e ritorno a casa
La morte di Garang ha sconvolto tutti, in particolare i sudanesi, che hanno visto nell’avvenimento una forte minaccia alla pace raggiunta a fatica dopo tanti anni di violenze e patimenti. Se non si può dire che abbia spezzato il
processo di pace, sicuramente l’accaduto sta comunque
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portando a un rallentamento della tabella di marcia prevista per la realizzazione degli accordi di Nairobi. Gli avvenimenti seguiti alla morte di Garang, in particolare l’unanime decisone dello stato maggiore del Splm di affidare a
Salva Kiir Mayardiit, da molti anni vice di Garang, il ruolo
di nuovo leader del movimento di liberazione, nonché di
NILS CARSTENSEN - DAN CHURCH AID
L
CARITAS INTERNATIONALIS
di attesa e incertezza. La morte del nuovo vicepresidente Garang
storica, dopo vent’anni di guerra civile. Ma restano molti interrogativi
presidente del Sud Sudan, hanno lanciato un forte segnale di unità del Splm, percorso negli ultimi anni da forti tensioni interne, sempre represse da Garang in maniera autoritaria. Salva Kiir è stato successivamente insediato come primo vicepresidente del Sudan; la cerimonia svoltasi
a Khartoum è stata alquanto sobria, in contrasto con
quella svoltasi un mese prima per la nomina di Garang alla stessa carica, che aveva richiamato a Khartoum milioni
di persone in festa, soprattutto gli sfollati del Sud che vivono nelle periferie della capitale sudanese.
È comunque molto difficile dire oggi quale sarà il peso della morte di Garang sul futuro del paese e degli accordi di pace. Due dei temi che ricorrono più frequentemente nei commenti degli osservatori sono il ruolo politico che Garang avrebbe potuto giocare nel Nord del
paese, in particolare nella soluzione del conflitto del
Darfur e nella pacificazione delle relazioni tra Khartoum
e la popolazione di etnia Beja, che nei mesi scorsi ha accusato il governo centrale di scarsa attenzione e addirittura di oppressione. In secondo luogo, andrà valutata la
capacità di Kiir di tenere unite le diverse anime del movimento di liberazione nel Sud. Restano validi, inoltre,
tutti gli interrogativi che prima della morte di Garang
aleggiavano sul futuro degli accordi di pace, e in particolare sulla genuina volontà del partito islamista che fino a
oggi ha governato il Sudan di dividere il potere con il movimento di liberazione del Sud e le altre forze politiche, e
di consentire libere lezioni, previste tra quattro anni. Da
accertare è anche la capacità del Splm di trasformare la
propria struttura militare in struttura civile, trasparente
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internazionale
crisi africane
servizi, permangono aree minate. Una recente ricerca
condotta dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) tra gli sfollati che vivono nel Nord del
paese sulle possibilità di ritorno volontario ha registrato che il 68% degli intervistati, per la maggioranza provenienti dal Sud e dalle montagne Nuba, vuole ritornare a casa, l’11% non ha ancora deciso e il 22% non tornerà. Sarà una lunga marcia, da indirizzare anzitutto
sulla strada della sicurezza e della concordia.
«Donne, segno di riconciliazione
adesso chiedono formazione»
La guerra ha ulteriormente negato i loro diritti. Ma le ragazze della diocesi
di Rumbek immaginano un futuro diverso. E favoriscono il dialogo tra clan
a guerra è stata affare degli uomini. Adesso la pace non può essere delegata solo a loro. Le donne,
nella società del Sud Sudan, devono ancora compiere un lungo tragitto sulla strada dell’emancipazione. Ma possono già prendere le redini del cammino di rinascita e riconciliazione che si gioca nella quotidianità. Ne è convinta suor Mary Mumu, missionaria
kenyana delle Suore di Nostra Signora della carità, operatrice del progetto di promozione della donna avviato
dalla diocesi di Rumbek, che raccoglie donne di diverse
etnie e clan, le organizza in gruppi e offre loro formazione, dall’alfabetizzazione all’avvio di attività generatrici di
reddito (taglio e cucito, cucina, agricoltura, produzione
di cesti e sapone ricavato dal frutto dell’albero di Lulu),
vitali per le sorti di figli e famiglie.
Suor Mary, come è stato il suo incontro con le donne di Rumbek?
Vivo in quella che oggi è la capitale provvisoria del Sud
Sudan dal 2000. Subito ho cercato di organizzare un piccolo gruppo di donne, ma ben presto mi sono accorta
che quasi tutte erano analfabete. Abbiamo così iniziato
con semplici lezioni di lettura e scrittura in inglese, una
scusa per entrare in contatto con loro. Ho cominciato ad
andare a trovarle nelle case, lentamente si sono aperte al
confronto. La condivisione dei problemi quotidiani è un
momento cruciale nelle attività di gruppo.
Quali problemi emergono durante gli incontri?
La stessa partecipazione al gruppo era un problema! I
L
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membri della famiglia non la vedevano di buon occhio;
inoltre le donne non erano abituate a prendere decisioni per conto loro e tanto meno ad avere fiducia in sé
stesse. Molte di loro sono vedove a causa della guerra e
seguendo la tradizione sono sposate a un parente del
primo marito, ma ciò non le libera dal peso di dover
mantenere l’intera famiglia. Con la prima gravidanza, in
età molto giovane, anche chi aveva cominciato la scuola deve abbandonarla e sposare il padre del bambino o
un anziano della comunità. Non hanno praticamente
diritti, neanche quello di scegliersi il marito. Se trasgrediscono, a farne le spese è la loro madre, picchiata a
sangue dagli altri membri del clan.
Le attività del gruppo hanno modificato questa situazione?
Direi timidamente di sì. Oggi queste donne sono un
gruppo e ciò crea un senso di fratellanza in un contesto
prima di divisione. Rumbek e dintorni sono abitati dalla tribù Dinka, divisa in clan tra cui esistono profonde
ostilità. All’inizio abbiamo lavorato molto sulla riconciliazione e l’accettazione reciproca. Ora sono loro stesse
le fautrici del dialogo tra clan.
E sul versante della vita quotidiana? L’accordo di
pace ha effetti concreti?
Un risultato importante è l’avvio della costruzione di un
centro di formazione e produzione, che ospiterà i macchinari che acquistiamo per migliorare la qualità della
produzione. Quanto alla pace, qualcosa è cambiato. Ma
non tutto in positivo. È certamente più facile viaggiare,
E le sue donne, cosa pensano della pace?
al mercato si trovano più prodotti e molti uomini trova- Sono molto confuse, molte di loro non hanno mai visno lavoro nella costruzione di strade e come muratori. suto in pace e spesso mi chiedono come si fa… La paStanno ingrandendo l’aeroporto e arrivano molti stra- rola “pace” è sempre stata estranea al loro vocabolario.
nieri: organizzazioni internazionali, ong e uomini d’af- In verità non si rendono conto di come loro stesse siano
fari passano per Rumbek per incontrare i dirigenti del un importante segno di pace e di futuro nella comunità.
Movimento di liberazione
Anche se questo non badel Sud e valutare attività
sta: la Chiesa cattolica deda sviluppare. Ma non si
ve impegnarsi di più per
capisce se questi ultimi
far riflettere sulla condivengono a fare gli intereszione delle donne, orgasi propri o quelli della ponizzando incontri con uopolazione. Poi ci sono
mini, giovani e leader. E
problemi legati ai miglioallo stesso tempo offrire
ramenti. Un esempio, le
più opportunità formatistrade asfaltate: le macve e di confronto alle donchine corrono veloci, la
ne stesse. “Non hanno
gente non è abituata e ci
una preparazione scolasono già stati parecchi instica sufficiente”, si dice
cidenti mortali. Chi penquando vengono escluse
sava che la pace risolvesse
dalle iniziative. La diocesi
i problemi in maniera
intende aprire a Rumbek
magica, senza doversi SENZA DIRITTI, FAUTRICI DI DIALOGO
una scuola secondaria per
rimboccare le maniche, Donne sudanesi: vivono in condizione di assoggettamento,
le ragazze: non c’è progetma a Rumbek si sperimentano percorsi di riscatto
rimane deluso.
to più necessario.
CARITAS INTERNATIONALIS
e democratica, nonché la promozione di un reale dialogo sud-sud, tra movimento di liberazione e gruppi di
opposizione armata ancora presenti sul terreno. Infine è
necessario che i rappresentanti politici di Nord e Sud assicurino, seguendo l’accordo di pace, reale trasparenza
nella gestione delle ingenti risorse petrolifere del paese.
Sul versante sociale, la grossa sfida è garantire il ritorno dei circa quattro milioni di sfollati alle loro terre,
dove mancano strade asfaltate, latitano infrastrutture e
In Darfur il flagello delle piogge,
l’emergenza diventa cronica
Preoccupazione per il futuro di due milioni di persone, sfollate in seguito ai
disordini che non cessano. Le violente precipitazioni rendono difficili gli aiuti
er il secondo anno consecutivo circa due milioni
di persone devono affrontare nei campi per sfollati, all’interno della regione o nel vicino Ciad, la stagione delle piogge, mentre permane l’insicurezza
in vaste zone dello stato del Darfur. E ancora non si intravede una positiva soluzione del conflitto.
La rete internazionale Caritas offre aggiornamenti costanti sulla situazione umanitaria. Caritas opera nell’area
insieme al network delle chiese ortodosse e protestanti
Action by Churches Together (Act), con la collaborazione
di tre partner locali: Sudo (Sudan Social Development
Organisation), Scc (Sudan Council of Churches) e Sudan
P
Aid (Caritas Sudan), che in molti casi realizzano le attività. Negli ultimi mesi il problema maggiore è stato causato dalle violente piogge. Act/Caritas fin da maggio ha
cominciato a inviare, nei campi ai quali già si prevedeva
un difficile accesso durante le piogge, cibo e medicine
per le cliniche, oltre a distribuire teli di plastica, coperte,
sapone, taniche per l’acqua, zanzariere e utensili per la
cucina. Lo stesso hanno cercato di fare le organizzazioni
internazionali e le ong presenti ormai in maniera massiccia in tutto il Darfur, ma le piogge creano spesso ostacoli
insuperabili. Per raggiungere via terra da Nyala il cosiddetto corridoio di Kubum, una delle località dove più siI TA L I A C A R I TA S
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internazionale
internazionale
conflitti dimenticati
crisi africane
Progetti Caritas in molti settori
insieme alla Chiesa sudanese
gnificativo è l’intervento di Act/Caritas, ci vuole più di un
giorno, mentre durante la stagione secca bastano non
più di quattro ore. «Non siamo in grado di fornire assistenza alla popolazione come durante il resto dell’anno –
afferma il direttore di Act/Caritas in Darfur, la norvegese
Bjorg Mide – e siamo preoccupati per le persone che non
riusciamo a raggiungere, la cui capacità di resistenza è ridotta poiché da più di un anno vivono nei campi, in condizioni molto difficili». Così si registra un aumento di casi di malnutrizione e di richieste di cura presso le cliniche,
soprattutto a causa della malaria e delle infezioni intesti30
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BAMBINI-SOLDATO,
UNA PIAGA ANCORA APERTA
CARITAS INTERNATIONALIS
Caritas Italiana, in collaborazione con la Chiesa sudanese,
promuove molti progetti nel paese, in vari settori.
Emergenza. Partecipazione agli interventi di Caritas
Internationalis in Darfur Sud e Ovest, in Ciad
per i rifugiati del Darfur e in Sud Sudan per gli sfollati
che tornano a casa.
Promozione della donna. Con la diocesi di Rumbek,
sostegno all’avvio di un centro di produzione
e formazione per donne. Con la regione pastorale
di Kosti, sostegno alle attività di formazione e avvio
di attività economiche per le donne.
Istruzione. Sostegno al progetto “Save the saveable”
dell’arcidiocesi di Khartoum, per garantire accesso
alla scuola primaria agli sfollati che vivono nei campi
alla periferia della capitale.
Sanità. Sostegno al progetto della diocesi di Rumbek
di riabilitazione della clinica a Nyamlell e alle attività
di sradicamento della lebbra e assistenza agli invalidi
a Kwelkwac e Bar-Urud.
Microcredito. Collaborazione con i padri Salesiani
nel campo profughi di Kakuma (nord Kenya),
per garantire accesso al credito a gruppi di rifugiati
per l’avvio di piccole attività economiche.
Supporto alla Chiesa locale. Collaborazioni con l’ufficio
regionale per il Sud della Conferenza episcopale
sudanese, con sede a Nairobi, attraverso la presenza
di un operatore italiano espatriato; in programmazione
un progetto per formare operatori socio-pastorali
nella diocesi di Tambura-Yambio.
Sensibilizzazione in Italia. Caritas Italiana è tra i membri
della “Campagna per la pace e i diritti umani in Sudan”.
DIPENDERE DAGLI AIUTI
Molti sfollati dal Darfur non si sentono ancora protetti dal
governo sudanese, il ritorno ai villaggi resta problematico
nali, favorite dalla presenza di acqua stagnante.
Cruciale il ritorno ai villaggi
Ma non ci sono solo problemi di salute e approvvigionamento. Gli sfollati non possono tornare ai villaggi per coltivare i campi e vivere del proprio raccolto. Così due milioni di persone, ancora per un anno, dovranno dipendere dagli aiuti internazionali: si rischia che l’emergenza diventi cronica. Le autorità governative, già in aprile, invitavano gli sfollati a fare ritorno ai villaggi e in alcuni casi
hanno condotto sopralluoghi per verificare le condizioni
di sicurezza, alla presenza di membri delle agenzie Onu;
gli sfollati però non si sentono sicuri e sufficientemente
protetti dal governo. Le cose potrebbero cambiare se nei
prossimi mesi, con il sostegno logistico e finanziario di
Nato e Unione europea, avverrà un dispiegamento più intenso (in soldati e mezzi) della forza di interposizione dell’Unione africana (Amis, African Mission in Sudan), oggi
presente in Darfur con tremila uomini, e le sarà assegnato un mandato chiaro per proteggere la popolazione.
Il tema del ritorno ai villaggi è cruciale. Non si tratta solo di arrivare a un cessate il fuoco (ancora lontano: continuano a giungere notizie di scontri e di civili attaccati e uccisi); bisogna ridisegnare le vie che i pastori nomadi possono percorrere con le mandrie e verificare che chi occuperà
villaggi e terre siano gli abitanti originari. Quello che sarà
deciso ad Abuja, capitale della Nigeria, dove si svolgono i
colloqui di pace tra governo e ribelli, dovrà essere realizzato sul terreno, sia sostenendo la ricostruzione di villaggi e
infrastrutture, sia avviando percorsi di riconciliazione e accordi per una gestione equa e sostenibile del territorio.
di Paolo Beccegato
l 12 febbraio 2002 è entrato in vigore il trattato internazionale che
vieta l’utilizzo dei bambini soldato. È stato ratificato da ben 111
paesi; solo 46 però si sono impegnati legalmente per dare corso
pratico al documento. Le cifre continuano a essere allarmanti: oggi sono oltre 300 mila i minori di 18 anni impiegati in conflitti in diverse
aree del mondo. La maggior parte di loro ha fra i 15 e i 18 anni. Tuttavia, anche minori di 10 anni vengono costretti all’arruolamento forzato e a combattere. Rapporti recenti indicano come la partecipazione a
conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni sia diffusa in ben 25 paesi,
I
28.500 bambini, oltre 12 mila a partire da giugno 2002, quando la situazione interna del paese è andata
significativamente deteriorandosi.
Vivere senza sopraffare
Ogni bambino, prima di affrontare
la guerra, viene costretto a un addestramento durissimo: i soldati
insegnano a uccidere e torturare,
ogni resistenza è vinta con punila maggior parte in Africa e Asia.
zioni brutali. Negli ultimi anni le
Oggi 70 mila bambini sono impratiche di reclutamento forzato
Nonostante i documenti
piegati negli eserciti regolari di
hanno coinvolto sempre più le
internazionali, resta
Myanmar, arruolati a forza dopo
bambine. Per i minori che sopravelevatissimo il numero
essere stati sequestrati dalle loro
vivono agli orrori della guerra, si
dei minori arruolati
abitazioni. In Colombia si conta
aprono percorsi di reinserimento
a forza nei conflitti che
che siano 14 mila i bambini giovasociale. I sopravvissuti risultano fiinsanguinano il pianeta.
nissimi (a volte non superano i 10
sicamente provati dall’esperienza
anni) impegnati nella guerra civile,
bellica (ferite o mutilazioni, patoSi calcola siano 300 mila
reclutati nei villaggi delle aree ruralogie respiratorie, malattie sessualin 25 paesi: lunghi
li del paese, nelle file della guerrimente trasmissibili, denutrizioe difficili i percorsi
ne…). Nella quasi totalità dei casi,
glia o dei paramilitari. In Nepal il
di reinserimento
oltre alle ferite visibili rimangono
30% dei combattenti del Partito coquelle invisibili, ovvero le indelebimunista è rappresentato da bambini. Indagini hanno dimostrato come in Repubblica de- li conseguenze psicologiche che l’esperienza della
mocratica del Congo, Liberia e Burundi siano stati im- guerra produce sulla mente dei giovanissimi: il percorpiegati bambini soldato anche negli eserciti regolari. In so di reinserimento in una dimensione normale riUganda da alcuni anni si registra il fenomeno dei co- chiede un supporto psicologico complesso.
siddetti night commuters, “pendolari notturni”. Si tratSpesso i bambini vittima della guerra non hanno più
ta di oltre 12 mila bambini che ogni notte lasciano i vil- famiglia o non sono più in grado di riadattarsi a un conlaggi dove vivono per trovare riparo nel distretto citta- testo di vita familiare, scolastico o sociale. Programmi
dino di Golu, nel nord del paese: fuggono per evitare di specifici sono stati avviati dalla Caritas e da altre orgaessere rapiti dai soldati del Lord’s Resistance Army nizzazioni non governative in molte aree di crisi del pia(Lra), gruppo ribelle che combatte da oltre dieci anni neta: sono volti a fornire un valido supporto psicologicontro il governo centrale di Kampala. Trascorrono la co, ma anche percorsi di disintossicazione da sostanze
notte nelle scuole e negli ospedali della città, sui mar- stupefacenti (molti bambini soldato ne fanno uso, inciapiedi o nei parcheggi degli autobus, terrorizzati all’i- dotti dai propri capi) e dalla violenza stessa (a volte gli
dea di essere rapiti. All’alba ripercorrono la strada ver- ex bambini soldato faticano a riadattarsi a contesti dove
so casa. Dall’inizio del conflitto il Lra ha già rapito circa le regole della sopraffazione non valgono più).
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internazionale
india
vive Arokiamary Francis, esponente di spicco del movimento dalit nello stato del Tamil Nadu. Donna minuta e
forte, spiega così l’ammirazione che nutre per il Dr. Ambedkar: «Rifiutò l’induismo in cui era cresciuto, fondato
sull’abominevole sistema delle caste, e si convertì al buddismo. Buddha fu davvero un grande maestro, che negò
ogni valore alle discriminazioni sociali e predicò compassione e umanità. Noi però restiamo cristiani, perché Gesù era certamente un dalit, uno di noi».
Negli ultimi due secoli molti dalit hanno trovato nel
Vangelo una promessa di liberazione. In India i cristiani sono il 2,3% della popolazione, circa la metà cattolici. Mancano cifre attendibili sulla ripartizione per caste, ma padre Yesumarian ritiene che nel Tamil Nadu
sia dalit almeno il 65% dei cattolici. «È perciò davvero
strano – considera – che solo tre vescovi su
17 provengano dalla nostra comunità!». Il
più noto è monsignor Malayappan Chinnappan, nuovo arcivescovo di MadrasMylapore, nominato da Giovanni Paolo II
poco prima di morire.
Fino a pochi anni fa tra i cristiani, in
particolare fra i cattolici, era tabù parlare di
ciò che è a tutti evidente: le caste continuano a persistere anche all’interno della
Chiesa. Un loro carattere distintivo è l’endogamia: ci si può sposare solo all’interno
OPPRESSI E ATTIVISTI
della propria casta. Per questo nello stato
Tabù anche fra i cristiani
fianco, manifestazione
del Kerala, dove i cattolici sono divisi in tre
Al censimento 2001 i dalit, quasi 167 milio- A
dalit. Sopra, padre
ni, costituivano il 16,2% dei 1.028 milioni di Yesumarian Lourdunathan riti (latino, siro-malabarese e siro-malankarese), tanto rari sono ancora oggi i
indiani. La costituzione e i successivi emendamenti assicurano a loro e alle popolazioni aborigene matrimoni fra persone di tradizione liturgica diversa.
dell’India (l’8,2% della popolazione, ancora definite “tri- Molti lo negano, ma di fatto quei riti sono caste. Tali pebali” con un offensivo epiteto di stampo coloniale) il dirit- raltro appaiono agli indù, che ad esempio considerano i
to alla “azione affermativa”: quote riservate nell’ammini- siriaci pari alla casta dei guerrieri.
strazione pubblica e nelle università. Era questa una delle
principali richieste di Bhimarao Ramji Ambedkar (1891- All’altezza di ogni sfida
1956), da tutti i dalit chiamato con orgoglio “Dr. Am- Assai più preoccupante dell’endogamia è l’apartheid che
bedkar”. La sua lotta per i diritti dalit e il ruolo fondamen- in alcune zone rurali, specie del Tamil Nadu, i dalit subitale che ebbe nell’Assemblea costituente autorizzano a ri- scono da parte di cristiani appartenenti a caste sedicenti
cordarlo come uno dei fondatori dell’India moderna, a “superiori”. Padre Lucas Raj è il parroco del villaggio di
fianco di Gandhi e Nehru. Le sue parole d’ordine erano Oragadam, diocesi di Chingleput, nel Tamil Nadu. «È
educare, organizzare, agitare. I dalit dovevano prendere scandaloso che esistano caste anche all’interno della
coscienza dei propri diritti, senza sperare che qualche ani- Chiesa cattolica! A Thachoor, il villaggio dove sono nato, i
ma pia li concedesse. Dovevano associarsi, superando le cristiani di casta reddiar impediscono ai loro correligionadivisioni, e far sentire la propria voce con tutti gli stru- ri dalit di partecipare alla processione che ogni 31 maggio
menti della lotta democratica.
si celebra in onore di Nostra Signora della Salute».
A Kovalam, cittadina costiera nei pressi di Chennai,
Padre Lucas è nato nel 1975. «Quand’ero bambino il
tura indiana considera impuri: lavandai, spazzini, becchini, calzolai. Il contatto con la sporcizia e con le spoglie di
uomini e animali in India determina una contaminazione
anche dello spirito. Solo con l’abluzione rituale in un fiume sacro o nella piscina di un tempio gli indù pensano di
potersi purificare. Nel 1949 l’intoccabilità è stata messa al
bando dall’articolo 17 della costituzione dell’India indipendente. Ma a più di mezzo secolo non cessano le discriminazioni. «A noi dalit – osserva padre Yesumarian – è
proibito attingere acqua ai pozzi scavati da persone di altre caste. Ricordo ancora l’umiliazione che subivo da
bambino, lungo il percorso per la scuola, quando chiedevo un goccio per dissetarmi: non potevo toccare il bicchiere, mi versavano l’acqua nel cavo delle mani. Dovevo
bere come un animale».
La discriminazione è radicata nelle coscienze, ma anche nella distribuzione degli insediamenti. In India i monsoni spirano da nord a sud in inverno e da ovest a est
in estate: i dalit sono costretti a vivere sul
lato orientale o meridionale dei villaggi.
Coerente conseguenza del principio di intoccabilità: solo con una simile collocazione le caste superiori possono evitare di essere contaminate dalle impurità che il
vento porterebbe con sé.
MAI PIÙ “INTOCCABILI”,
I DALIT CHIEDONO RISPETTO
testi e foto di Paolo Aranha
N
«
Il sistema di caste che vige
in India continua a produrre
discriminazione. In passato
li definivano paria, ma oggi gli
“oppressi” provano, tra mille ostacoli,
ad affermare la propria dignità.
Anche dentro la Chiesa cattolica
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el Rgveda, testo fra i più sacri dell’induismo, è
scritto che dalla testa di Dio nacquero i bramini,
dalle sue braccia i guerrieri, i mercanti dai fianchi, dai piedi i contadini. E i dalit? Solo loro non
nacquero da Dio». Così padre Yesumarian Lourdunathan, gesuita e attivista per la difesa dei diritti umani, spiega perché per millenni la sua gente sia stata discriminata e sfruttata. Un tempo erano chiamati paria o “intoccabili”. Mahatma Gandhi li ribattezzò harijans, “figli di
Dio”, ma loro scelsero il nome di dalit, “oppressi”, rifiutando delle caste “superiori” tanto lo spietato sfruttamento
quanto il paternalismo ipocrita.
Per secoli ai dalit sono stati imposti mestieri che la cul-
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internazionale
india
Il gesuita avvocato che lotta
per restituire le terre agli ultimi
Gesuita e avvocato, padre Yesumarian Lourdunathan
ha fondato nel 1990 l’International Dr. Ambedkar
Centenary Movement, alla vigilia del centenario dalla
nascita del grande leader dalit. Dedica la sua azione
legale ai contadini spossessati delle terre panchami,
gli appezzamenti concessi nel 1892 dai britannici ai dalit:
la loro ignoranza circa i propri diritti fece sì che le caste
superiori si impossessassero di quei beni. Padre
Yesumarian cerca – con notevole successo – di ottenere
il riconoscimento della titolarità dei fondi a favore
dei propri assistiti. Egli è anche leader di un movimento
sociale che crede nell’efficacia dell’azione collettiva:
organizza manifestazioni e – nel rispetto del principio
di non violenza – azioni dimostrative ispirate alla legalità
sostanziale. Frequenti sono ad esempio gli abbattimenti
delle siepi con cui i proprietari di casta “superiore”
tentano di inglobare terre dalit; sugli appezzamenti
“liberati” viene collocata una statua del Dr. Ambedkar.
Il suo Dalit Human Rights Center di Chingleput
pubblica un mensile di denuncia e informazione.
La lotta instancabile per i diritti dalit ha guadagnato
a padre Yesumarian nemici numerosi e potenti.
Per quattro volte è stato incarcerato, in un’occasione
fu tenuto nudo una notte e picchiato selvaggiamente.
«Sempre più – spiega – mi convinco che il celibato
è per il sacerdote un dono prezioso. Se avessi famiglia,
non potrei permettermi di lottare sino a rischiare la vita».
catechista, un reddiar, mi diceva che non potevo fare il
chierichetto, leggere le letture a messa o entrare in sagrestia. E mi costringeva a sedermi in fondo alla chiesa». Per
realizzare la sua vocazione padre Lucas ha dovuto affrontare ostacoli d’ogni genere e anche in seminario si sentiva
un osservato speciale: «Ciò che a un cristiano di casta superiore è imputato come errore insignificante, commesso
da un dalit è prova di radicale inadeguatezza».
Non meno contrastata è stata la vocazione di padre Yesumarian. «Nel 1968, al termine della scuola media – racconta il gesuita –, il mio parroco, di casta vanniar, mi disse che non dovevo continuare a studiare perché ero dalit.
Dovevo togliermi dalla testa l’idea di diventare prete!». Il
giovane non si scoraggiò e – vistosi rifiutare l’ammissione
in una scuola cattolica – continuò gli studi in una scuola
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VOLTI
DI RISCATTO
Bimbi dalit danzano
a Oragadam in onore
del grande leader
dalit Ambedkar
(sotto). A lato,
Arokiamary Francis
pubblica. «Ero attratto dall’eroismo di Francesco Saverio e
Luigi Gonzaga, così nel 1971 chiesi di entrare nella Compagnia di Gesù».
I gesuiti della provincia di Madurai (corrispondente al
territorio del Tamil Nadu) sono all’avanguardia nella promozione dei dalit. Il provinciale uscente, padre Francis Xavier, proviene da quella comunità: l’alta reputazione scientifica delle sue ricerche di fisica, ma soprattutto l’ottima
amministrazione che ha garantito alla provincia, hanno
dimostrato che i dalit sono ormai all’altezza di ogni sfida.
Il monito di Giovanni Paolo II
Fra gli ordini religiosi e a livello della Conferenza episcopale indiana si è affermata una chiara opzione preferenziale
per i dalit, traduzione indiana dell’opzione preferenziale
per i poveri. Strumento essenziale di tale scelta evangelica
è Caritas India, ma essa non deve ridursi al solo sviluppo
socio-economico. Occorre che le scuole cattoliche riservino un congruo numero di posti agli studenti dalit e che
vengano incoraggiate vocazioni, sacerdotali e religiose,
provenienti da tale comunità. E poi restano molti problemi. «Nell’arcidiocesi di Pondichéry-Cuddalore, dalla quale
provengo – spiega padre Yesumarian –, le discriminazioni
di casta sono molto presenti. Nella parrocchia di Eraiyur, la
più importante dell’arcidiocesi, il 16 febbraio 1999 i cattolici di casta vanniar impedirono che passasse lungo la strada principale del villaggio il corteo funebre per la madre di
un sacerdote dalit. I facinorosi cominciarono a tirare pietre e a minacciare i dalit con armi da fuoco. La polizia intervenne, non disarmando i vanniar, bensì imponendo ai
dalit di seguire il percorso tradizionale loro riservato, fra le
misere capanne ai margini del villaggio. La mediazione
tentata dall’arcivescovo, monsignor Michael Augustine,
non produsse risultati; i vanniar ancora oggi non desistono dalle loro pretese di discriminazione».
Episodi così gravi spiegano il severo richiamo che il
17 novembre 2003 Giovanni Paolo II rivolse ai vescovi
del Tamil Nadu, in visita ad limina a Roma. Il papa li invitò a prestare un’attenzione particolare ai dalit: «Ogni
parvenza di pregiudizio di casta nei rapporti fra cristiani contrasta un’autentica solidarietà umana, è una minaccia a una genuina spiritualità ed è serio ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Devono perciò essere riformati i costumi e le tradizioni che perpetuano o rafforzano la divisione in caste, così che essi diventino piuttosto espressione della solidarietà dell’intera comunità cristiana».
Dinamica teologia dalit
I dalit sempre più prendono coscienza della propria dignità e ormai dichiarano la propria identità con orgoglio.
Esiste anche una vitale e dinamica teologia dalit, protagonista nell’ambito delle teologie asiatiche, che coniuga le
istanze di liberazione con un’autentica inculturazione. E
frutto di mobilitazioni a livello nazionale è il pronunciamento con cui la Corte suprema potrebbe estendere il regime delle quote riservate anche ai dalit cristiani, prima
esclusi in base alla teoria secondo la quale nella Chiesa
non sarebbero ammesse discriminazioni di casta.
Molto possono fare anche ong e organismi pastorali
come le Caritas dei paesi più sviluppati. Nei villaggi occorre garantire ai dalit accesso all’acqua: il controllo su
questa risorsa è una delle discriminazioni più inaccetta-
La capanna di Arokiamary
e le violenze subite dalle donne
Colpisce sin dal primo incontro la singolare forza
d’animo di Arokiamary Francis. Lei ha scelto di non
sposarsi per dedicarsi anima e corpo alla lotta
per i diritti della sua gente. Il suo stipendio
da catechista, pari a 10 euro mensili, non le permette
– tiene a spiegare, scusandosene – di restaurare
la capanna in cui vive, costruita con blocchi di fango
e foglie di palma intrecciate. L’impegno che profonde
nell’International Dr. Ambedkar Centenary Movement
le è valso tre volte il carcere preventivo, in condizioni
di rara disumanità. «Le donne dalit – spiega – soffrono
più di tutti. Nelle loro famiglie scarseggiano sempre
i soldi per il cibo, e allora i mariti sfogano
la frustrazione su di loro. Il problema più grande
però sono però le violenze subite dagli uomini
“di casta”. Ci definiscono intoccabili, ma sfruttano ogni
occasione per molestare e stuprare le donne dalit».
Lavorando per il movimento spesso le capita
di assistere donne traumatizzate da violenze
inenarrabili. La collusione delle istituzioni
con gli interessi delle caste superiori la induce a riporre
una fiducia molto condizionata nella democrazia
rappresentativa: «Noi votiamo solo alle elezioni
amministrative, per appoggiare i candidati dalit
nei panchayat (consigli di villaggio). Ci asteniamo
dal votare alle politiche: nessun partito ci rappresenta
davvero a livello nazionale».
bili. Cruciale è poi rivitalizzare le antiche professioni dei
dalit. Le abilità dei calzolai, trasmesse per generazioni,
potrebbero innescare un circuito virtuoso di sviluppo,
se fosse agevolato l’approvvigionamento di cuoio e pelli e favorito l’accesso al mercato. Investimenti nell’istruzione di base avrebbero grande impatto; adeguate borse di studio permetterebbero agli studenti meritevoli di
accedere ai più alti livelli dell’istruzione, per servire la
propria gente con più competenza e in posizioni di responsabilità. La promozione dei gruppi di auto-aiuto e
di altre forme di associazionismo femminile emanciperebbe le donne e rafforzerebbe le famiglie. Attraverso lo
sviluppo economico e sociale i dalit possono diventare
protagonisti della propria storia. La Chiesa non può
contraddire questa istanza.
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SETTEMBRE 2005
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internazionale
internazionale
casa comune
LIBERTÀ RELIGIOSA,
L’EUROPA NON È UN PARADISO
di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles
n’eredità del passato, dura a scomparire. Il Rapporto 2005 sulla libertà religiosa nel mondo, realizzato da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), racconta una faccia ancora attuale del mondo, fra episodi di intolleranza etnico-religiosa, carenze di diritti, rapporti tesi fra
governi nazionali e chiese (si pensi, in Europa, ai casi francese, spagnolo, turco, bielorusso…). La libertà di professare la propria fede oggi spesso è messa a dura prova. Fortunatamente non mancano i casi positivi,
laddove si fanno largo forme di convivenza tra fedi differenti e nuove
U
Partito socialista”. L’esecutivo di Madrid “ha iniziato a realizzare le promesse elettorali concernenti la famiglia, il diritto alla vita e le unioni omosessuali”. Secondo Acs, “l’atteggiamento dei vescovi è reattivo, ma, anche nella nuova situazione, rimane
improntato alla ricerca del dialogo”.
Attentati, sette, riforme
I mass media hanno segnalato negli
leggi a tutela della libertà di culto.
ultimi mesi numerosi episodi di inLa vasta ricerca dell’opera di ditolleranza etnico-religiosa, sopratIl Rapporto di “Aiuto
ritto pontificio segnala, per il contitutto di matrice antisemita, ma rivolalla Chiesa che soffre”
nente europeo, numerose situazioti anche contro cristiani o musulmasegnala situazioni
ni problematiche. Secondo gli
ni. Vasta eco ha avuto l’impressiodi tensione nel vecchio
esperti di Acs, “una nuova ondata
nante serie di attentati in Olanda: “A
continente. In alcuni
laicista si è scatenata in Francia, con
far esplodere le tensioni è stata la
paesi il confronto
l’approvazione e l’attuazione di una
morte del regista Theo Van Gogh, ucè con la mentalità
legge che impedisce di indossare
ciso ad Amsterdam da un fondalaicista, in altri
simboli religiosi nelle scuole”, menmentalista islamico. Fenomeni mesi registrano violenze
tre in Germania, con varie disposino appariscenti, ma indicativi delle
e mancato rispetto
zioni locali o regionali, “si persegue
medesime tensioni, si sono verificati
di minoranze
lo stesso fine”.
in Polonia, Gran Bretagna, UngheNel corso del 2004 Parigi ha vararia”. Gravi problemi socio-religiosi
to la legge sull’utilizzo pubblico dei simboli religiosi nelle permangono nei Balcani, segnati da anni di guerre e vioscuole: “Reazioni negative sono venute un po’ da tutte le lenze, mentre sulla scena europea si affaccia una Bielocomunità – si legge nel Rapporto Acs –: dai cattolici, dai russia con pesanti rigurgiti anti-religiosi, ai danni, fra gli
musulmani (la religione maggiormente nel mirino della altri, della minoranza dei Testimoni di Geova.
legge) e dai sikh indiani, in virtù del loro obbligo d’indosSe in Lituania è emerso con prepotenza il problema
sare sempre il turbante”. Stando al Rapporto, tali provve- delle sette, in altri paesi sono in corso trattative per la redimenti, “concepiti per contrastare l’emergere del fonda- stituzione di beni ecclesiastici confiscati da governi prementalismo islamico, non sembrano dimostrarsi efficaci, cedenti (Georgia, Romania, Ucraina, Turchia).
come non lo sono nemmeno altri modelli di convivenza
Altrettanto delicate, anche perché intersecano i rapfondati sul multiculturalismo, in Olanda e nel Regno Uni- porti tra politica e religione, le questioni segnalate per la
to”, dove si registrano periodiche esplosioni di violenza, Turchia. Il paese eurasiatico è “sotto osservazione” in viche coinvolgono soprattutto le comunità musulmane.
sta della prossima apertura dei negoziati per l’adesione
Un caso a sé rappresenta la Spagna, dove “il quadro di alla Ue, prevista per il 3 ottobre. Nel Rapporto si legge di
rapporti armonici fra Chiesa cattolica e governo ha subito recenti e positive riforme, ma resta “del tutto insoddisfaun drastico cambiamento dopo la vittoria elettorale del cente il livello di rispetto delle minoranze religiose”.
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SETTEMBRE 2005
beslan
«LE LACRIME SCORRONO,
MA IL TERRORE NON HA VINTO»
di Generoso Simeone
IL TRAUMA,
I COLORI
Bambini di Beslan
in una delle scuole
cittadine. La strage
di un anno fa è
un ricordo difficile
da metabolizzare
n anno fa l’attenzione del mondo fu risucchiata nel gorgo di una tragedia
assurda. Il terrorismo internazionale (nella sua versione indipendentista
cecena) toccò una vetta, forse ineguagliabile, di ferocia e inumanità. E la
reazione sconsiderata delle forze militari russe contribuì alla carneficina
(qualcuno dice: la innescò). Una ferocia immotivata recise centinaia di vite innocenti: dei 394 morti buona parte furono bambini, ostaggi e poi vittime di una follia che non rispetta nemmeno il simbolo di futuro rappresentato, a ogni latitudine, dal primo giorno di scuola.
La tragedia consumatasi ai primi di settembre 2004 nella scuola di Beslan, cittadina dell’Ossezia settentrionale, in territorio russo, ha avuto come testimone diretto anche Feofan Azhurkov, eparca ortodosso di Stravropol e Vladikavkaz, vescovo
molto vicino al Patriarca di Mosca, Alessio II. «Ricordo che giunsi alla scuola subito
dopo l’assalto e immediatamente capii la necessità di parlare con le madri e i padri
dei bambini. Era estremamente importante incontrarli e cercare di tranquillizzarli, per evitare che si trasformassero in una folla pericolosa. E che rendessero la
tragedia ancora più grande. Ma oggi, a un anno dalla
strage – ha dichiarato il vescovo nel corso di un viaggio
estivo in Italia –, nulla è stato superato. Il dolore è ancora vivo e le lacrime continuano a scorrere. Tuttavia,
non sono stati nemmeno dimenticati l’aiuto e la solidarietà dei paesi europei, in particolare quello dell’Italia. Il popolo italiano ha vissuto la tragedia come se
fosse un proprio dolore».
U
Monito per l’intero pianeta
Feofan, vescovo della Chiesa
ortodossa russa, è stato in Italia
su invito di Caritas. Ricorda
la tragedia che un anno fa dilaniò
Beslan: «Il dolore è ancora vivo,
ma la solidarietà di tanti ci aiuta
a riprendere la vita di ogni giorno»
L’eparca Feofan (che ha viggiato insieme a padre Vladimir Samoylenko, parroco ortodosso di Vladikavkaz, e a
Sergei Basiev, direttore della Caritas della parrocchia
cattolica di Vladikavkaz) ha evidenziato il valore di monito che la tragedia di Beslan riveste per l’intero pianeta. «Non credo che il timore che una cosa simile si possa ripetere esista solo in Ossezia. In tutto il mondo il
terrorismo è un pericolo senza confini. Nonostante il
dolore, la vita nel nostro paese è continuata come sempre. La gente lavora, si sposa, fa figli e questa è la migliore risposta al terrorismo: la violenza non ha raggiunto il suo scopo finale».
Chi ha vissuto quel trauma, però, non potrà non reI TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
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internazionale
internazionale
contrappunto
beslan
Sanità, istruzione, aiuti sociali:
si collabora con gli ortodossi
Caritas Italiana ha avviato, all’indomani della strage
nella scuola “numero 1”, alcuni interventi a sostegno
delle vittime e della comunità di Beslan. Partner locali
sono Caritas Russia e la Caritas parrocchiale di VladikavkazBeslan, che opera in collaborazione con la Chiesa ortodossa.
In ambito sanitario, al Policlinico di Beslan è stato fornito
uno strumento elettronico per la diagnosi delle carenze uditive,
utile per curare chi ha patito gli effetti dello scoppio delle
bombe nella palestra della scuola; ora si pensa alla fornitura
di protesi auricolari. All’ospedale civile di Beslan, che coordina
l’assistenza fisica, fisiologica e fisioterapica delle vittime,
sono invece state donate attrezzature per incrementare
la capacità di analisi del laboratorio. Anche il Centro
epidemiologico di Beslan, preposto alla difesa ambientale
del territorio, ha ricevuto attrezzature da laboratorio
per il monitoraggio nutrizionale e di igiene pubblica.
Nell’ambito dell’istruzione, sono stati forniti programmi
e attrezzature elettroniche per gestire gli incontri di riabilitazione
nella Scuola di musica di Beslan, dove centinaia di bambini
sono in trattamento per il recupero dai traumi subiti.
Tre computer sono invece stati assegnati ad altrettanti ragazzi
che non possono frequentare la scuola perché l’attentato
li ha resi disabili; gli insegnanti si sono impegnati a trasferire
loro le lezioni per via telematica. Due aule della scuola
sono state inoltre adibite a centro per gli interventi psicologici
e terapeutici a favore dei minori in difficoltà. Una vacanza
post-scuola a San Pietroburgo ha coinvolto 27 bambini.
Infine viene supportata l’azione di Caritas Vladikavkaz
a favore delle famiglie in difficoltà e povere, appartenenti a tutte
le componenti etniche e religiose. Nel quadro della
collaborazione con le realtà russe, la visita in Italia della
delegazione comprendente il vescovo Feofan ha rappresentato
un momento di particolare rilievo. Oltre agli approfondimenti
sulle modalità di collaborazione inerenti i progetti (la Chiesa
ortodossa sta portando a termine ad Alaghir, 25 chilometri
da Vladikavkaz, la ristrutturazione di un antico monastero
per farne un centro di attività di recupero sociale e di formazione
per giovani, a cominciare dalle vittime dei fatti di Beslan),
ha consentito incontri con autorità civili ed ecclesiali a Milano,
Brescia, Assisi e Roma. Si stanno delineando ipotesi di lavoro
comune, secondo «uno spirito ecumenico reale e pratico,
affidato ai fatti e alle opere, in attesa che i teologi risolvano
i loro problemi», come ha felicemente sintetizzato Feofan.
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SETTEMBRE 2005
IL FONDO PER I VACCINI,
E SE FOSSE UN ALTRO PASTICCIO?
AIUTI
ECUMENICI
Aiuti per Beslan
tramite
la Caritas russa
di Vladikavkaz,
che collabora
con la Chiesa
ortodossa locale
carne i segni per sempre. «Ciò di cui gli scampati hanno
bisogno – ha chiarito il vescovo ortodosso – non sono
solo gli aiuti economici, ma la condivisione del dolore e
la voglia di ricominciare. L’iniziativa delle nostre chiese,
che punta a costruire un centro di riabilitazione per i ragazzi che hanno sofferto, con l’intento di farlo diventare
anche un luogo di ricreazione e socializzazione aperto a
tutti i giovani, va in questa direzione».
La bandiera dell’Islam
La politica e la violenza, apparentemente inestricabili
nell’aria caucasica, sembrano però voler scoraggiare
ogni speranza fondata sulla convivenza. «I terroristi che
hanno assaltato la scuola erano musulmani, ma non bisogna commettere l’errore di identificare l’islam con il
terrorismo – ha scandito il vescovo –. Sono cose diverse,
la religione islamica e anche la volontà di indipendenza
di un popolo non hanno niente a che vedere, in sé, con
la violenza e lo spargimento di sangue. Ho lavorato molto nei paesi arabi e ho conosciuto tanti islamici non violenti. È importante uscire da una contrapposizione tra i
due mondi: in Russia cristiani e musulmani vivono da
secoli ed è possibile dimostrare che le due religioni possono convivere. Chi compie atti violenti è solo un terrorista. E se un popolo vuole l’autonomia, avrà le sue ragioni, ma secondo me non si deve agire per dividere il
mondo violentemente, bensì per unirlo».
Restano i timori sul futuro di bambini che hanno già
visto il peggio che l’uomo può esprimere. «Loro vivono
e hanno una vita davanti. Ogni paese ha avuto guerre,
tragedie e dolore, ma poi ciascuno è riuscito a riguadagnarsi un futuro. Il futuro c’è quando si ha fede in Dio e
si crede nell’amore tra gli uomini. Dopo il lutto, non bisogna cedere alla disperazione».
di Alberto Bobbio
ascosta nelle pieghe dei comunicati, alla fine del vertice scozzese del G8 che ha promesso di azzerare una parte del debito dei
paesi poveri, c’era anche la notizia che all’Italia è stata affidata la
responsabilità di un nuovo fondo per le vaccinazioni, dove dovrebbero entrare 4 miliardi di dollari entro il 2015. Il ministro dell’economia
italiano, Domenico Siniscalco, ha avuto l’incarico di redigere un rapporto sulla disponibilità delle case farmaceutiche a fornire medicine
contro malattie che fanno milioni di morti. La faccenda è nebolusa: un
conto è acquistare vaccini, un altro creare un mercato con regole diverse da quelle fin qui utilizzate dalle cosidette Big pharma, le grandi
rio del terzo mondo non è solo un
problema di vaccini. Sono il costo
proibitivo dei servizi sanitari e la
mancanza di politiche sanitarie popolari a fare la differenza. In Uganda,
dove le tasse sanitarie sono state abolite nel 2001, il ricorso ai centri per le
vaccinazioni è raddoppiato. Nei venti
stati più poveri dell’Africa i ticket sanitari hanno costi altissimi, ma anche
in Tanzania, paese che ha buoni numeri economici, la metà della popolazione non ricorre alle cure sanitarie
nemmeno in caso di malattie cronimultinazionali delle medicine, proIl G8 ha incaricato
che. La gente muore per morbillo,
tagoniste di battaglie all’ultimo sanl’Italia di attivare uno
diarrea, polmonite, malaria. Malattie
gue sulla questione delle proprietà
strumento per la lotta
da poveracci, debellabili con poco.
intellettuali. Inoltre per alcune macontro le malattie
La malaria è l’esempio più eclalattie, tra cui Aids e malaria, ma andei paesi poveri.
tante. Ogni anno si ammalano da 300
che quelle provocate dai batteri suMa non è chiaro
a 500 milioni di persone nel mondo,
per-resistenti, vaccini non ci sono. Il
a che titolo saranno
nove su dieci in Africa, il 90% bambipiano affidato a Siniscalco potrebbe
coinvolte le grandi case
ni. Si muore perché non ci sono farprefigurare l’acquisto di vaccini anfarmaceutiche. Un piano maci, analisi di laboratorio, strade e
cora da scoprire. Anche in questo casimile, varato a Genova, mezzi per arrivare in tempi ragioneso si creerebbe un mercato, virtuale e
è già fallito…
voli all’ospedale. Di malaria muore
reale, dai contorni poco definiti, ma
un bambino ogni 30 secondi: è la mapotenzialmente pericoloso, che rischia di stornare risorse dall’acquisto e dalla diffusione lattia più diffusa della terra e si può curare benissimo, basta un dollaro a persona per le medicine. Ma gli africani
di vaccini tradizionali e altri sistemi di prevenzione.
L’impressione è che la decisione mascheri un altro pa- un dollaro non ce l’hanno.
La campagna lanciata dall’Oms nel 1998 per dimezsticcio. Nel 2001, al G8 di Genova, si era deciso di creare un
Global found internazionale per combattere Aids, tuberco- zare la malaria entro il 2010 è fallita. La malaria si annida
losi e malaria. Erano stati promessi 16 miliardi di dollari. Ma dove ci sono povertà, guerra, fame. I paesi ricchi l’hanno
nel 2004 in cassaforte c’erano poco meno di tre miliardi di debellata nei secoli con i farmaci, il ddt, le zanzariere.
dollari. Ora la cosa viene riproposta con altro nome e affida- Una zanzariera impregnata di insetticida costa due dollata all’Italia, il paese meno virtuoso di tutti, quello che spen- ri. Il vaccino forse tra qualche anno arriverà. Ci sono in
de meno in Europa per gli aiuti allo sviluppo in rapporto al corso sperimentazioni. Ma sarà un affare sempre per i
ricchi. Come la ricerca, promessa dal nuovo fondo: fiPil, benché faccia largo uso di promesse e buoni propositi.
nanzia le società farmaceutiche di cui i ricchi sono gli
azionisti. Così la storia può andare avanti all’infinito. Ci
Servizi con costi proibitivi
Manca in realtà la consapevolezza che il problema sanita- pensi, ministro Siniscalco.
N
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SETTEMBRE 2005
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agenda territori
oltre il campanile
MAZARA DEL VALLO
VICENZA
“Le donne del Mediterraneo”,
mensile bilingue avvicina le culture
L’Agenzia sociale:
“Trovare casa
è sempre più difficile”
La Caritas diocesana ha deciso di dare vita
a una nuova rivista socio-culturale in lingua italiana
e in lingua araba. Le donne del Mediterraneo
è un mensile (di cui per ora è stato realizzato
il numero zero, ma che verrà distribuito
da settembre) redatto in collaborazione
con la rivista algerina Hayat, che ha per scopo
la promozione delle donne, è diretta dall’italiana
Umberta Fabris e sostenuta da Caritas Italiana.
Il nuovo mensile affronterà vari argomenti, con alcune rubriche fisse
e articoli che riguardano il mondo delle donne e i loro problemi,
in particolare quelli delle donne arabe che vivono in Italia. Sarà diffuso
nel nostro paese tramite la rete delle Caritas diocesane siciliane;
il numero zero è stato inoltre distribuito a tutte le Caritas diocesane
italiane con lo scopo, oltre che di presentare la nuova rivista, di cercare
contatti con associazioni e centri di aggregazione culturale di donne
arabe, al fine di espandere il progetto. All’estero (inizialmente in Tunisia
e Algeria) sarà diffuso con la collaborazione della Chiesa tunisina,
con cui la Caritas di Mazara del Vallo è gemellata. È stato contattato
anche il ministero degli esteri, con la proposta di inviare la rivista
nei centri culturali delle ambasciate e dei consolati italiani dei paesi arabi.
PER INFORMAZIONI Tel. 0923.90.77.20
CUNEO
Accordo con l’Inps
per un Rapporto
sull’immigrazione
È stato firmato all’inizio di luglio tra
le Caritas diocesane della provincia
di Cuneo e la sezione provinciale
dell’Inps un protocollo d’intesa per
costituire un Osservatorio provinciale
sul fenomeno migratorio. Scopo
dell’intesa è agevolare coloro che
sono quotidianamente impegnati sul
fronte dell’immigrazione, offrendo uno
strumento che possa orientare scelte
sociali e politiche. L’osservatorio
produrrà annualmente un Rapporto
provinciale, che seguirà le linee guida
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SETTEMBRE 2005
metodologiche del Dossier statistico
iImmigrazione di Caritas Italiana,
nonché del Monitoraggio dei flussi
migratori gestito dall’Inps. Il nuovo
strumento indagherà dunque ruolo
e dinamiche della presenza straniera
sul tessuto socio-demografico e nel
mercato del lavoro, oltre che i livelli
di inserimento socio-culturale della
popolazione straniera nel territorio.
L’Inps condurrà, in particolare,
il monitoraggio delle dinamiche
lavorative, mentre le cinque Caritas
diocesane presenti nella “provincia
granda” metteranno a disposizione
l’esperienza acquisita in tanti anni
di lavoro sociale e di accoglienza
a favore degli immigrati.
Nell'ultimo anno si è faticato di più a
comprare casa, per la maggiore fragilità
dei rapporti di lavoro, la maggior
prudenza delle banche nel concedere
mutui, i prezzi che non diminuiscono.
Lo hanno constatato gli operatori
dell’Agenzia sociale per la casa,
il servizio di accompagnamento sociale
all’affitto e all’acquisto abitativo voluto
dalla Caritas diocesana di Vicenza.
Nata nel 2001, l’Agenzia opera in
collaborazione con svariati attori sociali
del territorio, gode del contributo
della Camera di commercio di Vicenza
e conta cinque sportelli. «Abbiamo
rilevato – afferma Alberto Bordignon,
che coordina il progetto – un aumento
delle richieste di aiuto da parte
di famiglie italiane, nonché una crescita
dei casi di conflittualità fra vicini di
diverse culture, segno di una maggiore
difficoltà di convivenza». L’Agenzia
sinora ha contato 1.156 utenti; i casi
pilota risolti sono stati 61; in altri 210
l’aiuto è consistito in un intervento
specifico e contenuto. Fa parte del
progetto anche la ricerca “Tanti modi
di abitare”, che tenta di far emergere
il diverso significato che l’abitazione
assume nelle diverse culture.
LOMBARDIA
Povertà in regione
e Piani di zona,
testi per conoscere
La Delegazione regionale Caritas
ha varato una iniziativa editoriale
(la collana I quaderni della delegazione
lombarda), inaugurata dal Primo dossier
regionale sulla povertà in Lombardia
di Monica Tola
“Il Samaritan”, l’autonomia nasce dall’amicizia
«Insieme ai disabili scopriamo di non essere isole»
A Ragogna, tremila abitanti, diocesi e provincia di Udine, la parrocchia di San Giacomo
Apostolo è guidata da don Antonio Cappellari. Don Tonino, come lo chiamano in paese,
è anche uno dei soci fondatori e vicepresidente de Il Samaritan, l’associazione che
ha dato vita a una comunità di giovani diversamente abili, con le loro famiglie,
alcuni operatori e quasi quaranta volontari. «Negli anni ’80 – racconta – i giovani
della parrocchia hanno partecipato a numerosi campi estivi con i disabili. Si sono uniti
a loro altri ragazzi del paese, poi giovani dei paesi vicini. Sono nate molte amicizie,
ma soprattutto una coscienza nuova rispetto alla diversità».
Naturale, per molti di quei ragazzi, aderire all’associazione che il parroco e il padre
di un bimbo disabile hanno avviato sette anni fa. Il Samaritan rappresenta soprattutto
un punto di incontro per i disabili e le loro famiglie. Spiega Renato Topazzini,
attuale presidente: «Stando insieme scoprono di non essere isole. Si conoscono
e si sostengono a vicenda, anche nelle piccole cose di ogni giorno». Alle riunioni mensili
con i genitori, si aggiunge un’intensa attività. Il sabato è dedicato al confronto, ai giochi,
alle gite, al canto, al teatro. Nei giorni feriali, ogni pomeriggio, oltre alla fisioterapia
si lavora nei laboratori manuali e in cucina. «Obiettivo principale – prosegue Renato –
è l’autonomia». L’impegno maggiore è riservato al mantenimento scolastico.
«I ragazzi rischiano di dimenticare in poco tempo quanto appreso. Con l’esercizio, invece,
possono fare da soli i conti della spesa o comprendere cartelli e segnali stradali».
Tanti amici e una casa madre
CONOSCERSI
E SOSTENERSI
Ospiti e amici della
comunità “Il Samaritan”,
vitale punto di incontro
tra disabili e famiglie,
nata su iniziativa
di un gruppo
della parrocchia
di Ragogna (Ud).
Le storie della rubrica
“Oltre il campanile”
sono riproposte anche
dal circuito radiofonico
InBlu e sul sito internet
www.caritasitaliana.it
La relazione è l’aspetto dominate di tutte le attività. «A Il Samaritan – conferma don
Tonino – la gente soprattutto si frequenta. E si conosce anche nelle piccole esigenze
e preferenze di ogni giorno. Ciò ha un grande valore per i genitori, che vivevano l’angoscia
di lasciare soli i propri figli, un giorno. Oggi sanno che c’è chi si prende davvero cura di
loro». L’associazione ha costruito una fitta rete di rapporti sul territorio: un operatore visita
sistematicamente le scuole per aiutare i bambini a superare la paura verso la diversità.
Ma Il Samaritan collabora anche con altre associazioni, ha attivato convenzioni con la Asl
locale, ha coinvolto l’assemblea dei sindaci. «Non vogliamo burocratizzarci – chiarisce
Renato – ma crediamo sia importante responsabilizzare le istituzioni. Per garantire
il meglio ai disabili non basta il privato». Il Samaritan, comunque, può contare su tanti
amici. Per prima la comunità parrocchiale, che quattro anni fa ha concesso in comodato
gratuito una casetta donata alla parrocchia per fini benefici. Un’altra piccola casa è stata
data in dono all’associazione successivamente. Poi, dalla madre di una ragazza down
non vedente, è arrivata “Cjase Balet”, un grande fabbricato rurale: ristrutturato, diventerà
la casa madre della comunità. Centro delle attività diurne, potrà offrire ospitalità stabile
o permanente ai disabili rimasti orfani. Nella casa avrà sede anche una biblioteca dedicata
all’handicap: chiunque potrà accedervi gratuitamente. Le due casette ospiteranno invece
piccoli gruppi di disabili che vorranno e potranno vivere con maggiore autonomia. «Oggi
sembra una meta – osserva Renato –, ma domani sarà solo un nuovo punto di partenza».
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agenda territori
Il vertice
A New York, dal 14 al 16
settembre, si tiene la 60ª sessione
dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite.
Sarà una nuova, fondamentale tappa per valutare lo stato di attuazione
della Dichiarazione del Millennio, dopo il G8 di luglio e nella prospettiva
della Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale
del commercio. Otto sono gli obiettivi di sviluppo, al cui raggiungimento
i 191 stati membri dell’Onu hanno assicurato il loro contributo,
per riuscire a dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015.
I primi sette obiettivi definiscono le responsabilità soprattutto a carico
(ma non solo) dei paesi più poveri. L’obiettivo 8 identifica gli impegni
e le responsabilità dei paesi ricchi nella lotta alla povertà,
in particolare in materia di cooperazione allo sviluppo, debito estero
e commercio internazionale.
La mobilitazione
Accogliendo l’appello per la mobilitazione mondiale alla lotta
contro la povertà, Caritas Italiana e Volontari nel mondo – Focsiv,
insieme ad altre realtà del mondo cattolico, hanno lanciato
la campagna internazionale “I poveri non possono aspettare”,
con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di un’opinione pubblica
informata. Strumento principale di adesione è stata la cartolina –
spedita al primo ministro inglese, in quanto leader del paese ospitante
del G8 di luglio, e al presidente del consiglio italiano – con la quale
si chiedeva l’aumento in quantità e qualità degli aiuti pubblici
allo sviluppo, la cancellazione totale del debito e l’eliminazione
delle pratiche di dumping. Da gennaio a luglio ne sono state inviate
più di 50 mila solo dall’Italia e 265 mila da tutti i paesi europei.
La decisione assunta a Gleneagles di stanziare 50 miliardi di dollari
entro il 2010 è un piccolo passo nella giusta direzione.
In realtà, lo sradicamento della povertà richiederebbe che questa
somma fosse stanziata già nel 2006, come dimostrano le stime
delle Nazioni Unite che parlano di 50 miliardi all’anno in più, necessari
da subito, per poter raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio
entro il 2015. Il vertice mondiale di New York sarà la prossima
importante occasione per sensibilizzare, coinvolgere e fare pressione
su questi temi.
PER INFORMAZIONI www.caritasitaliana.it oppure www.focsiv.it
I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
e da un Manuale per i Piani di zona.
Il primo strumento assembla (ma in
futuro l’integrazione sarà più organica)
i dati provenienti dai centri d’ascolto
diocesani delle dieci diocesi; per quella
ambrosiana, molto più grande
e popolosa delle altre, sono stati
analizzati anche i dati delle sette zone
pastorali. La pubblicazione contiene dati
che gettano luce sulle situazioni di
bisogno presenti nel contesto regionale,
integrandoli con le
riflessioni sul rapporto
tra Europa, solidarietà
e stato sociale, emerse
in un recente seminario
organizzato dalla
Delegazione. Il secondo
testo si concentra
sui Piani di zona,
strumento principe
della programmazione
sociale locale,
introdotto dalla legge
328 di riforma dei servizi sociali:
il volumetto ne analizza natura e
prospettive e offre preziose indicazioni
sulla relazione che soggetti pubblici
e del privato sociale possono stabilire
nella definizione e stesura dei piani.
PER INFORMAZIONI
Tel. 030.37.57.746
ROSSANO-CARIATI
Mostra, libro e
giornate di incontro
emigrati-immigrati
La Caritas di Rossano-Cariati ha
realizzato il 9 agosto la seconda
giornata sul tema “Abitare il mondo,
incontrare l’uomo”. A maggio
protagonisti di riflessione e festa erano
stati gli immigrati presenti nel territorio;
ad agosto a raccontarsi sono stati
gli emigrati calabresi in Germania.
Organizzato con le associazioni
calabresi in terra tedesca, l’incontro
ha dato spazio alle testimonianze,
per favorire uno scambio di esperienze.
Nell’occasione è stato presentato
il libro Calabria Altrove, curato
da Assunta Scorpiniti, che racconta
l’emigrazione calabrese in diversi paesi.
Infine è stata allestita una mostra
di oggetti e fotografie dell’emigrazione
calabrese nel mondo, con uno spazio
dedicato all’opera delle Missioni
Cattoliche e, oggi, delle parrocchie
tedesche a favore degli emigrati, oltre
a una mostra documentaria sull’opera
di monsignor Scalabrini nelle Americhe.
CALTANISSETTA
Operatori di strada
e la “Città dei ragazzi”
nei quartieri periferici
La Caritas diocesana ha organizzato
in estate attività di socializzazione
e integrazione rivolte ai bambini
tra gli 8 e i 13 anni e alle loro famiglie
nei quartieri di periferia Angeli
e Stazzone. L’iniziativa è culminata
nella realizzazione della prima “Città
dei ragazzi” in un’ala di un istituto
scolastico. L’iniziativa mira,
in prospettiva, a formare veri e propri
“operatori di strada” attivi nei due
quartieri. Più in generale, il progetto
intende permettere a famiglie e ragazzi
di riappropriarsi dei propri spazi di vita,
rendendo più vivibili i quartieri.
Gli operatori di strada interagiscono
con gli abitanti mediante attività ludiche
e ricreative: iniziative sportive, artistiche,
laboratori di pittura, di fotografia,
teatrali... “La città dei ragazzi”,
una volta avviata, offrirà ai suoi aderenti
anche iniziative pedagogiche:
doposcuola e corsi di informatica,
recitazione, canto, musica.
a cura dell’Ufficio comunicazione
Cinquanta volontari a Colonia:
«Dopo la Gmg? Il Servizio civile»
DOMENICO LOCATELLI
Lotta alla povertà: Assemblea Onu,
prosegue l’iniziativa Caritas-Focsiv
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bacheca
di Ferruccio Ferrante
CRISTIAN GENNARI
sto in campagna
A Colonia, con e per altre decine
di migliaia di giovani italiani, insieme
ai giovani di tutto il mondo. Con
questo spirito 50 ragazzi e ragazze
del Servizio civile nazionale,
in servizio presso Caritas diocesane
o altri enti accreditati di tutta Italia,
hanno partecipato alla Giornata
mondiale della gioventù, svoltasi
alla presenza di papa Benedetto XVI nella decade
centrale di agosto nella città tedesca. L’iniziativa
è stata promossa dal Tavolo ecclesiale
sul servizio civile, coordinato da Caritas Italiana,
che intende promuovere il servizio civile
e proporlo a tutti come importante esperienza
formativa, di servizio agli ultimi, di testimonianza
dei valori di pace, giustizia, cittadinanza attiva
e solidarietà. L’obiettivo era incontrare i giovani
italiani giunti a Colonia (nelle foto, due momenti
delle iniziative), per trasmettere loro informazioni
e motivazioni circa una scelta che, in ottica cristiana, può costituire una
naturale prosecuzione dell’esperienza spirituale rappresentata dalla Gmg.
Progetti in tutto il mondo
I 50 volontari Caritas hanno dialogato con i loro connazionali nei 40 punti
di incontro allestiti nella città di Colonia, allestendo “info point” e due stand
per conto dell’Ufficio nazionale servizio civile, che distribuivano materiale
informativo. Inoltre hanno reso testimonianze durante alcuni momenti pubblici,
a cominciare dalla grande Festa degli Italiani di mercoledì 17 agosto.
Infine hanno stilato un resoconto della loro esperienza sul sito
www.esseciblog.it, di recente aperto dal Tavolo ecclesiale per far interagire
i giovani con la realtà, i servizi e i protagonisti del Servizio civile volontario.
Tra le informazioni comunicate ai coetanei, i volontari hanno insistito sulle
prospettive di impegno all’estero, ricordando che dal 2001 Caritas Italiana
ha fatto partire 72 “caschi bianchi” per Albania, Bosnia-Erzegovina, Guatemala,
Honduras, Kenya, Kosovo, Macedonia, Mozambico e Ruanda, nell’ambito
di progetti di microcredito, per i minori di strada, la tutela dei diritti
delle popolazioni indigene, l’integrazione multietnica e l’educazione alla pace.
Inoltre hanno ricordato i progetti di servizio civile all'estero di molte Caritas
diocesane, che hanno visto partire, tra 2001 e 2005, 124 giovani.
I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
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villaggio globale
a tu per tu
CINEMA
SUSSIDI
I cento passi
primeggia tra
i film per il sociale
Trent’anni di convegni Caritas,
“segnaletica” per comunità solidali
La classifica dei film
più rappresentativi per
il mondo del sociale è
cosa fatta: si è concluso
in estate il concorso
100 film per il sociale, promosso da
Segretariato sociale Rai, Rai cinema
e settimanale Vita. Attraverso
il programma di Radio 3 Hollywood
Party e le pagine del settimanale,
ascoltatori e lettori potevano
segnalare tre film capaci di sondare
temi e raccontare storie di disagio
e solidarietà. Al primo posto, con
il 12% dei consensi, è finito il film
I cento passi di Marco Tullio Giordana,
che ricostruisce (una scena,
nella foto) la vicenda del giornalista
siciliano Peppino Impastato,
ucciso dalla mafia. Altri titoli
con segnalazioni significative:
A spasso con Daisy, Apocalypse now,
Philadelphia, Arancia meccanica,
Le fate ignoranti e il recente Le chiavi
di casa. Queste pellicole toccano
temi scottanti e delicati: razzismo,
guerra, drammi economici
e personali, malattia, disabilità
e fragilità.
FOTOGRAFIA
“Imago mundi”,
archivio di scatti
su Chiesa e società
Un archivio lungo vent’anni.
Che a opera compiuta potrà contare
su almeno ventimila immagini. E che
promette di essere costantemente
aggiornato. Imago mundi. Archivio
fotografico di popoli e religioni
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I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
Agile, ma documentato e ricchissimo di spunti.
Caritas Italiana ha raccolto nel volumetto Convocati
dall’amore di Cristo, pubblicato a luglio, trenta anni
di convegni nazionali, che dal 1972 (Roma,
Domus Mariae) al 2005 (Fiuggi, Teatro delle fonti)
hanno convocato le Caritas diocesane in un percorso
di riflessione indirizzato, come scrive nella
presentazione monsignor Vittorio Nozza, direttore
di Caritas Italiana, «da un lato dalla “segnaletica
verticale” della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa, dall’altro
lato dalla “segnaletica orizzontale” vivente rappresentata dai poveri».
La pubblicazione presenta trenta schede, che indicano ciascuna luogo,
data e programma di un singolo convegno, oltre al numero di partecipanti
e diocesi presenti; segue una selezione di brani tratti da relazioni,
lavori di gruppo, eventuali mozioni e conclusioni; infine, ogni scheda
è arricchita da due brevi cronologie, relative ai principali avvenimenti
accaduti nella vita della Chiesa e alle attività promosse dalla Caritas
nell’anno in questione. Insomma, una carrellata di agevole lettura,
ma densa di sollecitazioni culturali e spirituali: ne emerge il quadro
di un pensiero e di una prassi attenti a cogliere le sollecitazioni
provenienti dai territori e dal contesto sociale, per orientare le scelte
pastorali, nella prospettiva della costruzione di comunità solidali.
PER INFORMAZIONI www.caritasitaliana.it
è la sintesi, ormai
consultabile
in internet,
del lavoro svolto
dal fotografo Romano Siciliani e dai
suoi amici e colleghi in due decenni.
Tutto ebbe inizio, racconta
la presentazione del sito, nell’aprile
1984, con l’incarico affidato
a Siciliani di realizzare un libro
fotografico per il Giubileo dei
giovani. Nacque così una passione
per la Chiesa cattolica, le persone
e le realtà che ne fanno parte,
ma anche per le usanze, le culture,
i riti religiosi, i problemi sociali
e le espressioni di solidarietà
e volontariato che caratterizzano
il nostro paese e molti altri
del mondo, che ha generato
un avvincente itinerario
di documentazione fotografica. In via
di completamento, il sito presenterà
nella sezione “Reportage” lavori
a tema monografici di fotografi
che collaborano con l’agenzia,
mentre la sezione “Photo news”
verrà aggiornata costantemente
con scatti su temi d’attualità.
Interessante, per chi cerca scatti
originali, espressivi, rispettosi della
dignità delle persone, è soprattutto
la sezione “Archivio”, gestito
da un efficace sistema di ricerca
di Danilo Angelelli
Un media “caldo” per dare voce agli ultimi:
«La radio va oltre la cronaca e non può mentire»
Non è inseguita dall’assillo degli ascolti e ha una forte penetrazione. Non impegna
tutti i sensi, dunque il messaggio arriva più facilmente, senza affaticare. È un mezzo
“caldo”, con il quale stabiliamo un rapporto confidenziale e affettivo. Per questo
la radio si presta particolarmente a trattare temi sociali e di solidarietà, a dar voce
agli ultimi. Ecco cosa ne pensano alcuni responsabili delle principali emittenti
radiofoniche italiane.
Sergio Valzania, direttore di Radiodue e Radiotre. «La comunicazione sociale
è elemento caratterizzante di un servizio pubblico radiotelevisivo. Non può essere
considerata un genere; le tematiche del sociale non devono essere ghettizzate,
perché sono nella società. Sbaglia chi cerca di frammentare la comunità.
L’attenzione al sociale deve essere un’esperienza che tenta di ricomporre la comunità.
L’obbligo del servizio pubblico non è limitarsi a dare voce, ma contribuire a dare una soluzione.
Noi ci impegniamo a presentare il mondo comunicandone la complessità».
Lionello Mancini, vicedirettore di Radio 24. «Siamo una talk radio, o radio di parole, e abbiamo
più spazio a disposizione per approfondire certi temi, fino a dargli il “sapore” della quotidianità,
per andare oltre il fatto di cronaca e capire e aiutare a capirne le cause. Non abbiamo bisogno
di una tragedia come lo tsunami, per esempio, per portare l’attenzione sul bisogno di aiuti
ai paesi del Sud. Crediamo in un’attenzione al sociale non relegata in spazi di nicchia,
ma che attraversa la programmazione. Non può esserci una tv o una radio di nani e ballerine
che improvvisamente apre finestre sul sociale».
Federico Quaglini, membro del Consiglio direttivo di Radio Maria. «Radio Maria è connotata
come “radio di preghiera”, ma questa costituisce un terzo della programmazione; gli altri due terzi
sono divisi equamente tra catechesi e promozione umana. Ci si rivolge soprattutto a malati
e detenuti. La radio è un mezzo che si presta a parlare dei più deboli. Può fare molto per loro
e per sensibilizzare gli ascoltatori, poiché la parola arriva al cuore. La radio non può mentire;
l’immagine, invece, distoglie».
Paolo Martini, caporedattore di Radio Radicale. «La nostra non è una radio di propaganda, ma di
informazione. Vogliamo far luce sui fenomeni, più che veicolare idee. Circa il 15% delle 24 ore di
trasmissione quotidiana è dedicato ad argomenti relativi a soggetti a rischio di esclusione sociale.
L’esperimento più bello è stato quando avevamo tre frequenze e in una di queste lasciavamo
piena libertà alle comunità di filippini e senegalesi di gestire quattro ore al giorno di trasmissioni».
Danny Stucchi, direttore di produzione di Radio Deejay. «Trasmettiamo anche 12 spot a contenuto
sociale al giorno. Ma selezioniamo con attenzione, perché da ricerche di mercato sappiamo
che gli ascoltatori percepiscono i prodotti che pubblicizziamo come fossero nostri. È difficile
per noi trattare certi temi: siamo una radio votata all’intrattenimento e risultiamo poco credibili
per l’informazione e gli argomenti seri ».
Luigi Tornari, direttore responsabile della testata giornalistica di Rtl. «Il sabato alle 7.35, all’interno
di “Non stop news”, c’è uno spazio di tre minuti circa dedicato al volontariato. È un caso isolato
tra le emittenti nazionali a carattere prevalentemente musicale. Si potrebbe senz’altro fare di più,
ma bisogna stare attenti: una radio generalista ha bisogno di equilibrio».
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SETTEMBRE 2005
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ritratto d’autore
villaggio globale
pagine altre pagine
a cura di Francesco Meloni
Idee per una cultura economica
e una prassi politica
rispettose dei diritti di ogni uomo
Quando si parla di economia, economia politica
o anche – oggi, nel circuito dell’impegno civile –
di impegno del “terzo settore” e dei soggetti
non profit, il confronto rischia di rimanere impigliato
in approcci pregiudiziali, ideologizzati, stereotipati.
Ma è necessario andare oltre le analisi di corto
respiro. E nelle librerie fanno sempre più spesso
capolino proposte editoriali e sfide culturali,
orientate a una cultura economica e a una prassi
politica più vicine ai cittadini. Ecco allora,
di recente pubblicazione, Come fare politica senza
entrare in un partito (Feltrinelli) di Giulio Marcon;
Il tempo di cambiare. Politica e potere della vita
quotidiana (Einaudi), di Paul Ginsborg; Ricchezza
e democrazia. Il declino della classe media
e la crisi della politica (Garzanti), di Phillips Kevin;
La democrazia e il mercato (Feltrinelli), di Jean-Paul
Fitoussi; Il bene comune (Piemme), di Noam
Chomsky; L’impresa irresponsabile (Einaudi),
di Luciano Gallino; Economia civile, efficienza,
equità, felicità pubblica (Il Mulino), di Luigino Bruni
e Stefano Zamagni; L’impresa con l’anima (Baldini-Castoldi-Dalai),
di Pier Luigi Celli e Mario Grasso.
Addentrarsi in ciascuno di questi libri non è facile. Si possono comunque
individuare alcune direttrici comuni, che investono e interpellano gli ambiti
della politica, dell’economia e dell’impegno civile: non bastano
più né la carità-elemosina individuale, né l’interessato e inconcludente
assistenzialismo elettorale-propagandistico di congreghe partitiche;
non è più tollerabile la manipolazione delle istituzioni pubbliche a fini
privati; popoli e nazioni reclamano giustizia e solidarietà, condivisione
responsabile delle povertà ed equa distribuzione delle risorse.
Si reclama cioè un cambiamento di cultura e di mentalità politica,
economica e finanziaria, si auspica la semina di stili di vita ispirati
a primato della persona e promozione dei diritti umani, responsabilità
personale e solidarietà sociale condivisa, tutela dei soggetti più deboli,
accompagnamento e sostegno ai paesi e ai popoli del sud del mondo.
«In ogni epoca e sotto ogni regime – scriveva nel 1956 Ignazio Silone –
il rinnovamento è sempre il risultato dell’unione di un’idea nuova e vera
con la parte più sofferente della società».
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I TA L I A C A R I TA S
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SETTEMBRE 2005
per arrivare all’eventuale acquisto
delle immagini che interessano.
Tra i media che si affidano all’obiettivo
e attingono al lavoro di Romano
Siciliani, oltre a Italia Caritas
vanno segnalati Avvenire, l’agenzia
Sir e i settimanali diocesani.
PER CONTATTI
www.romanosiciliani.it
INTERNET
Una piattaforma
per l’integrazione
degli immigrati
Per i lavoratori immigrati
c’è una nuova
possibilità
per imparare
la lingua italiana
e integrarsi
più velocemente:
Fòrema, associazione che si occupa
di formazione per lo sviluppo
dell’impresa, guida da ormai due anni
un progetto europeo per lo sviluppo
di Migratools, una piattaforma
di e-learning riconosciuta dall’Unione
europea come tra le migliori iniziative
nel campo dell’integrazione.
Il progetto è stato avviato
in collaborazione con undici agenzie
formative e università di Italia,
Francia, Spagna e Romania. Sul sito
www.migratools.net tutte le figure
professionali che lavorano in servizi
per immigrati possono recuperare
informazioni, materiali di lavoro,
e soprattutto trovano strumenti per
un maggiore coordinamento. I cittadini
immigrati hanno poi la possibilità
di apprendere la lingua italiana ed
esercitarsi con l’informatica di base,
entrare in contatto con il mondo del
lavoro, informarsi sulla legislazione,
imparare a scrivere un curriculum
vitae o un biglietto da visita.
di Fabio Zavattaro “vaticanista” Tg1
I GELATI DI PADRE GIOVANNI
PER IL POPOLO DELLA DISCARICA
l primo incontro è un caso. In aereo, una persona racconta la storia di Tondo
e del parroco della chiesa di San Paolo, un sacerdote italiano che ha scelto di vivere
con gli abitanti del quartiere che sorge vicino a una delle due grandi discariche
di Manila. Così, qualche giorno dopo il nostro arrivo nella capitale delle Filippine,
io e il cameraman decidiamo di recarci a Tondo, da padre Giovanni Gentilin.
La prima difficoltà, convincere un conducente di taxi a portarci nel quartiere:
«È troppo pericoloso per i filippini, figurarsi per gli stranieri». Alla fine siamo fortunati
e il nostro viaggio ha inizio. Il volto della città cambia rapidamente, a un certo punto
arrivano le baracche, infine quelle costruite di sola lamiera. Davanti è tutto un lavoro
di raccolta di ferro e materiali vari; un andirivieni di persone, soprattutto ragazzi,
con un sacco in mano e dentro la “ricchezza”, quanto hanno potuto raccogliere
nella smokey mountain, la fumante montagna dei rifiuti.
Padre Giovanni si stupisce della nostra presenza. Ha un volto pulito, sincero.
Un sorriso che trascina: «Accompagnatemi a Happyland». Sale sul motorino – dono
degli amici italiani, lui lo chiama «il mio sagrestano» – e via per le strade di Tondo,
fino alle palafitte. La “città della felicità” è una grande baraccopoli sopra il canale, a cielo
aperto, della fogna di Manila. Le strade sono tavole di legno appoggiate tra le case
e sospese per evitare il contatto con i liquami. «Quando sono arrivato, fine anni ’80,
celebravo messa con gli stivaloni, e spesso non erano sufficienti. Qui però ho constatato
che il Padreterno aiuta a superare tutto. La gente è semplice, accogliente.
La violenza è conseguenza della miseria, della povertà».
L’unica economia deriva dalla raccolta che ragazzi e adulti fanno
Le prime messe con gli
tra i rifiuti. È un continuo via vai di camion, chi prima sale prima sceglie.
stivaloni. Un motorino
Il parroco, un po’ strano, va in giro in motorino, apre una gelateria – macchine
per sagrestano. Per i
e prodotti italiani, del vicentino, sua terra di origine – per dare calorie
ragazzi sorbetti e scuola.
ai bambini. Realizza un dispensario. Lavora con i ragazzi, aiutandoli
Nelle baraccopoli
ad andare a scuola (grazie alle adozioni a distanza) o a trovare
di Manila, fra la
un’occupazione. «Ho scelto una frase di san Paolo come programma:
“montagna fumante”
il sacerdote è tolto dal popolo per essere immesso nel popolo, a servizio
e la “città della felicità”,
del popolo. Quando sono arrivato qui e ho visto tanta miseria, ho capito
perché certi preti in America Latina si sono buttati nella guerriglia
si aggira uno strano,
per risolvere i problemi. Il divario che esiste, sproporzionato, tra ricchi
straordinario
e poveri offende la nostra coscienza di cristiani. Ma non è con il mitra che
missionario
si mette ordine, piuttosto cercando di creare una mentalità, offrendo idee
e valori, insegnando le strade della fede, della verità, della giustizia».
Nella chiesa ci sono una ventina di ragazzi che si preparano per la prima comunione;
in una sala vicina altri giovani organizzano la festa della parrocchia. Per tutti padre
Giovanni ha un sorriso, un gesto affettuoso. Quando ci accompagna alla macchina,
è circondato dai ragazzi. Qualcuno chiede: «Quando mi porti con il tuo sacrestano?».
«Se fosse per loro, starei sempre in giro con il motorino…».
Ci sono tornato più volte, da padre Giovanni. Per lavoro. Perché, come dire,
non ne posso fare a meno: si respira serenità e felicità, nel quartiere fatto di baracche,
sopra i rifiuti, vicino alla smokey mountain. Ci sono tornato, soprattutto, per amicizia.
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Sezione manifesti - annuncio stampa PRIMI CLASSIFICATI
PRIMO PREMIO ASSOLUTO
Pietro Giovanni Pellegrini, Daniele Pancetti, Valentina Amenta
Accademia di Comunicazione - Milano
www.creativisinasce.it
Quarta edizione
Premiazione
a Salerno
2 giugno 2005
I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,
stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:
Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it
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