...

rituali di fidanzamento e fuochi di s

by user

on
Category: Documents
9

views

Report

Comments

Transcript

rituali di fidanzamento e fuochi di s
RITUALI DI FIDANZAMENTO E FUOCHI DI S. GIOVANNI: CONTINUITÀ E
DIFFERENZE
FRA
IL
TERRITORIO
FRIULANO
E
BELLUNESE
IN
UNA
PROSPETTIVA EUROPEA
Alessandro Norsa
INTRODUZIONE
Durante i giorni che intercorrono tra il 21 ed il 24 giugno, si verifica un fenomeno astronomico
causato dall'inclinazione dell'asse terrestre e la distanza della Terra dal Sole: il Sole, sorgendo e
tramontando sempre nello stesso punto, sembra fermarsi. Questo periodo, definito proprio per
questo motivo “solstizio” (1), è il momento dell'anno in cui il giorno è più il lungo e la notte è la
più breve; da questo momento in poi la luce durante le giornate inizia a diminuire, per concludere il
suo ciclo con il periodo invernale che inizia con il 21 Dicembre (equinozio), quando si innesca il
rapporto inverso.
I cambiamenti del tempo, le variazioni climatiche, i fenomeni meteorologici hanno fatto nascere
nelle popolazioni primitive la naturale necessità di appropiziarsi la divinità affinché le
proteggessero da ciò che esse stesse non potevano controllare; fenomeno che - richiamando Lucien
Lévy-Bruhl - possiamo definire "la mentalità primitiva" (Levy-Bruhl 1966).
Perciò nelle culture primitive i rituali sono nati come prime manifestazioni religiose di
collegamento con il mondo sovrannaturale. Attorno alla festa si generava una sorta di pathos
collettivo e individuale che ci fa presupporre che ciò che sta all'origine di queste manifestazioni
religiose fosse l'espressione di un'ansia profonda legata alla possibilità o meno dell’esistenza.
Dalla constatazione della variazione della quantità di luce del periodo dell’anno che stiamo
analizzando nacquero i primi rituali propiziatori relativi al solstizio. I dati storico-religiosi
documentati ascrivibili all'antichità più attinenti al nostro discorso rinviano all'epoca romana. Nel
calendario romano la data del 24 giugno è indicata come "solstitium", ma anche come "lampas", o
addirittura come "dies lampadarum". La designazione del solstizio come "lampas" e l'usanza,
attestata fino ai tempi più recenti, di portare fiaccole accese (lampades) per i campi nel giorno di
San Giovanni, indica anche che nell'intero ambito di cultura romana, già da lunga, data il periodo
del solstizio estivo conosceva pratiche rituali volte alla purificazione dei campi e del raccolto.
Allora i Romani, infatti, inauguravano la mietitura compiendo nei campi una processione con delle
torce accese in onore di Cerere, divinità che incarnava la Terra Madre, supremo elemento femminile
della ritualità agraria. Tale festa, intesa giorno dedicato al sole, costituiva un appuntamento talmente
importante che ancora oggi, in Sardegna, il mese di giugno è chiamato, appunto, mese “de
lámpadas”.
Nel noto processo di adattamento delle ricorrenze pagane a quelle cristiane, se il calendario della Chiesa
sostituì alle celebrazioni del Sol invictus quella del Natale (e il Cristo nell'immaginario dei credenti è
ritenuto significativamente il "nuovo sole della Storia"), al solstitium estivo del calendario romano
adattò il natale del Battista.
Il giorno del solstizio, sempre festeggiato e ritualizzato, si giustappose in questo modo alla festa della
fecondità tellurica e della rigenerazione cosmica, solennizzate in un periodo nel quale, accanto
all'abbondanza del raccolto, si coglievano nel ciclo i segni dell'effimera durata della bella stagione, i
presagi di un ciclo stagionale che inevitabilmente volgeva al termine. Il dato è estremamente
rilevante in quanto fa comprendere come in una società arcaica a prevalente economia agro-pastorale
resistessero nella mentalità magica quegli stessi cicli immanenti che il messaggio cristiano aveva
abbattuto sul piano culturale.
Date queste premesse, alla notte di S. Giovanni, sono associati una notevole quantità di riti sia
derivati dalla religione Cristiana, che dalle culture precedenti.
L’associazione più presente è con riti del fuoco (2) e dell’acqua (3); anche le erbe raccolte in questa
notte hanno un potere particolare (4), o altri riti riguardanti la vegetazione (5) sono maggiormente
efficaci che in altri periodi dell’anno; infine, la notte di S. Giovanni è anche legata a diverse forme
di divinazione (6), che hanno come elementi principali di vaticinio, naturalmente, l’acqua e le
piante.
LE FESTE DEL FUOCO: INTERPRETAZIONE
Gli studiosi hanno dato due spiegazioni diverse delle feste del fuoco. Da una parte Wilhelm
Mannhardt ideò quella che venne denominata “teoria solare” (Mannhardt-Wilhelm 1875).
Mannhardt per il principio della magia imitativa riteneva che accendendo dei fuochi si imitassero in
terra le grandi sorgenti di luce e di calore presenti nel cielo; questo, al fine di assicurare la
necessaria provvista di luce solare agli uomini, agli animali e alle piante. Edward Westermarck e
Eugen Mogk, d'altra parte, sostengono invece “la teoria della purificazione”; in questa ipotizzano
che le cerimonie del fuoco non abbiano necessariamente relazione col sole, ma soltanto
un'intenzione purificatrice. Sia nella forma di falò accesi in punti speciali, sia di torce portate da un
posto all'altro, o di braci e cenere tolte dal rogo semispento, il fuoco è considerato promotore della
crescita dei raccolti, e del benessere dell'uomo e delle bestie, o positivamente stimolandoli, o
negativamente eliminando i pericoli e le calamità che li minacciano da cause come tuoni e lampi,
incendi, muffa, insetti, sterilità, malattia e, causa sentita non minore delle altre, la stregoneria
(Westermarck 1913 e 1936) (Mogk 1924 e 1929).
Al di là del fatto che la seconda teoria avesse potuto godere di maggior credibilità, un posto
intermedio tra le due fu teorizzato da James George Frazer che riconobbe un elemento di verità in
ciascuna: “mentre l'imitazione del sole in queste cerimonie era primaria e originale, la purificazione
attribuita ad esse era secondaria e derivata”.
Nelle feste che analizzeremo si associa comunemente all'uso di accendere dei falò quello di far
roteare o rotolare le fiamme per le campagne e per i pendii. Pertanto, se si accetta la teoria solare
dei fuochi con i suoi influssi positivi è necessario applicarla anche alle torce o ad altri fuochi in
movimento, che sarebbero un mezzo per diffondere in lungo e in largo la benefica influenza della
luce del sole, di cui le fiamme agitate non sarebbero altro che una debole imitazione.
Nuovamente, gli influssi benefici della teoria solare e quella della purificazione sarebbero da
applicarsi non solo alla vegetazione, ma anche agli animali e potrebbe influire anche sulla fertilità
degli esseri umani. Nella cultura agraria si supponeva, infatti, che i fuochi sacri promuovessero i
matrimoni e potessero procurare prole agli sposi sterili. Non è necessario pensare che questo effetto
potesse derivare dall'energia vivificante o fertilizzante del fuoco; la potenza del fuoco poteva
rimuovere quegli ostacoli che attraverso la magia streghe e stregoni potevano mettere nell'unione
tra il marito e la moglie (Frazer 1890).
ATTRIBUTI DI S. GIOVANNI BATTISTA
Come abbiamo visto, con l’avvento del cristianesimo vi fu una sovrapposizione delle vecchie
concezioni legate ai ritmi e cicli agrari con quelle della nuova religione.
Gli attributi principali di S. Giovanni sono l’acqua (con cui battezzerà Cristo) ed il fuoco, così, in
questa prospettiva, mentre l'acqua significa la nascita e la fecondità della vita donata nello Spirito
Santo, il fuoco simbolizza l'energia trasformante degli atti dello Spirito Santo. Giovanni Battista,
che cammina innanzi al Signore annunzia Cristo come colui che “battezzerà in Spirito Santo e
fuoco” (Lc 3,16). La tradizione spirituale riterrà, quindi, il simbolismo del fuoco come uno dei più
espressivi dell’azione dello Spirito Santo (San Giovanni della Croce 1931: 1-102; 103-213).
ANALISI COMPARATIVA DEI FUOCHI DI S. GIOVANNI IN FRIULI ED IN CADORE
1) Obiettivo della ricerca: individuare elementi di continuità/ discontinuità degli elementi
compositivi dei rituali dei fuochi di S. Giovanni in Friuli e nel Cadore.
2) Limiti del territorio preso in considerazione: per questo studio è stato preso in considerazione il
territorio delle province di Udine e Belluno comprese tra la zona di Tarvisio ad Est e l’agordino ad
Ovest, come limite a Nord nell’alta Val del Boite abbiamo scelto Cortina d’Ampezzo, e a Sud il
confine con la Slovenia e la provincia di Venezia.
3) Materiale e metodo: la ricerca è stata orientata ad uno studio metanalitico in questo ambito in
questo territorio in particolare gli studi di Giuseppe Vidossi (Vidossi 1932) e Andreina Nicoloso
Ciceri (Nicoloso Ciceri 1982) per il territorio friulano; Giuseppe Fabbiani (Fabbiani 1962) e
Gaetano Perusini (Perusini 1943) per il territorio bellunese, i dati sono poi stati confrontati con
studi più recenti (Felli 2003) e con le testimonianze dei riti tuttora presenti raccolti in Internet. La
bibliografia italiana ed estera è stata raccolta attraverso cataloghi bibliografici on-line ICCU,
OPAC, METAOPAC ed acquisita attraverso il prestito interbibliotecario. La ricerca sul campo è
stata supportata dall’ausilio di registratori a traccia magnetica (Olimpus VN- 240 PC).
ANALISI DEI DATI
A) Distribuzione: da un punto di vista della distribuzione sul territorio, i dati sembrerebbero
dislocare la rappresentazione dei fuochi in una uniformità sufficientemente conservata.
Sono due le tipologie delle manifestazioni di questo evento: a) eventi che prevedevano l’accensione
di falò ed il lancio di dischi infuocati; b) eventi che prevedevano solamente pire infuocate.
a) La distribuzione delle località che prevedevano il lancio di oggetti infuocati è maggiormente
concentrata alle località est ed ovest del territorio preso in esame.
Per ciò che riguarda i nomi che venivano dati agli oggetti (per lo più a forma di rotella) possiamo
annoverare (procedendo da Est ad Ovest): Sciba (Camporosso); Scaletis (Pontebba e Moggio);
possono essere indifferentemente chiamate Piruletis, Pirletis, Rochetis (Venzone); Sturlètis
(Bevorchians e Dordolla); Cidules (Illegio, Arta, Sutrio ed il Basso Bùt: Fusea, Terzo, Sezza);
la variante Cidulas (nella bassa Valle del Chiarsò fino a Trelli); Pìrulas (nella stessa valle
dopo Trelli); Cidulis (Sauris); Zide, Zidèle (Casada); Sidèle, Fidele (Calalzo e Sottocastello);
Sidèle (Pieve di Cadore e Tai); Zidèle, Fidele (Pozzale); Rodèle o Zidèle (Rocca Pietore).
b) In presenza discontinua abbiamo osservato per questa ricorrenza l’accensione di falò senza alcun
lancio di oggetti.
Anche in questo caso possono assumere nomi differenti secondo la posizione geografica,
procedendo da Est ad Ovest: Krias (Ugovizza), Midìli (Interneppo e Cesclans), Kries (Alta valle
del Cosizza e dell’Erbezzo). Inoltre abbiamo notizia di riti con pire infuocate senza nomi specifici
in tutto il territorio: Osoppo, Vigo di Cadore, Domegge, Lorenzago e S. Stefano di Cadore.
NOTE: è interessante osservare che il nome Sciba di Camporosso lo troviamo anche a Cortina
d’Ampezzo come Sceibà (in manifestazioni analoghe nel corso dell’anno), il nome che
probabilmente deriva dal tedesco “Scheiben” (rotelle), dà l’idea che la tradizione sia legata alla
cultura austriaca o germanofona. I nomi Piruletis, Pirletis (probabilmente da pirlare venet.
girare), non più trovati ripetuti nell’indagine sono presenti a Venzone e sono molto simili a
Pìrulas nell’alta Valle del Chiarsò. Notevole è la distanza fra i due luoghi ed i nomi dei dischi
sono intervallati da varianti del nome Cidulis.
Per ciò che riguarda il nome del falò presente nelle zone di confine con la Slovenia assume la forma
di lingua slava Kres, Kries.
B) Analisi comparativa dei rituali: in generale nel territorio friulano da un declivio nei pressi del
paese, i ragazzi del luogo (i cosiddetti cidulars, che in alcuni luoghi, prima dell'abolizione del
servizio di leva, erano i coscritti), dopo aver acceso un fuoco visibile dal paese, lanciavano dei
dischi di legno (solitamente abete o faggio) detti lis cidulis (o le varianti già osservate) a cui veniva
dato fuoco. Secondo la tradizione, ad ogni lancio si accompagnava una filastrocca (raganizza)
benaugurante o umoristica nei riguardi di una coppia reale o inventata, o la rivelazione di un amore
altrui tenuto fino a quel momento nascosto, fatto questo che costituiva una specie di pubblica
censura. La raganizza è stata verificata in questa ricorrenza per le seguenti località: Pontebba,
Caporosso, nel Basso Bùt (Fusea, Terzo, Sezza, Cedarchis) e Cercivento.
L’estensione del rito comprendeva anche località di cultura di matrice slava, come ad
esempio a Serpenizza, dove vigeva l'uso del lancio delle rotelle infuocate (sibre), che si
accompagnava ad un grido che costituiva un accoppiamento, più o meno simbolico, a
scopo augurale-propiziatorio.
In Val Resia il lancio era preceduto da sparo di mortaretti ed accompagnato da scampanii,
non era previsto l’uso di formule. Il primo lancio era in onore del santo e la sua cidola
aveva spesso una forma stellata. L’evento era una sorta di gara di forza e destrezza tra i
ragazzi del paese per far roteare la cidola più lontano possibile.
Nel Basso Bùt la forma delle cidules era quadrata, sempre della stessa forma erano le pirulas
nella Valle del Chiarsò. A Illegio i lanci erano ripetuti per S. Ermacora e S. Giacomo:
ne venivano preparate di diverse misure, in gradazione, e la più grande, la Cidulona o
Cidulòn, era in onore di S. Giovanni.
A Cercivento, il lancio era tramite filo di ferro infilato al centro della rotella rotonda di faggio.
I lanci meglio riusciti (e quindi di più felice auspicio) erano quelli che disegnavano una
parabola, cadendo nel corso d'acqua sottostante, unendo simbolicamente il fuoco
all’acqua. Il primo lancio era dedicato a S. Giovanni, il secondo al Parroco, eventualmente
altri alle autorità, quindi a giovani accoppiati (talvolta con malizia).
A Rocca Pietore, nell’Alto Agordino, alla vigilia di San Giovanni, i ragazzi, specie i coscritti,
salivano su un colle poco lontano dal paese e accendevano un grande pira; quindi appiccavano
fuoco alle rodèle (dette anche zidèle) e, dopo averle fatte roteare in aria, le lanciavano verso le
pendici del colle (7).
A Pieve di Cadore venivano lanciati dischi infuocati, dal Col della Campana, con un bastone di
nocciolo. Ogni lancio era dedicato in onore del Santo: “Tira tira la sidèla, sulla porta dei cristiani,
viva, viva San Giovanni”. Lo stesso per quanto riguarda i fuochi avveniva anche a Tai, a
Sottocastello ed a Calalzo. Le fidèle venivano scagliate con forza in questo giorno anche da
Pozzale; la trascrizione delle frasi rituali che parte dei ricercatori che hanno precedentemente
documentato i riti, non lascia ancora trasparire con chiarezza eventuali finalità relative all’unione di
giovani coppie.
A Casada si preparava un fuoco dove si facevano accendere le zide di pino che venivano lanciate
nel vuoto e dirette attraverso un’asse di legno sulla quale rotolavano. La sera i ragazzi rimanevano
nel campo a cenare e ballare, non una presenza come pure a Costalissoio, di invocazioni al Santo o
riferimenti a possibili fidanzamenti; cosa che invece avveniva Campolongo.
A Cortina d'Ampezzo, caso unico nel territorio analizzato nel versante bellunese, lo Sceibà veniva
fatto “alla vigilia d'una delle feste primaverili”, ed in epoca diversa dalla notte di S. Giovanni. Si
usava proclamare da un'altura a gran voce il nome di una ragazza congiunto quello di un giovane.
Era anche tradizione accoppiare scherzosamente persone che non si sarebbero nella realtà mai
avvicinate. Anche a Cortina in questa occasione un tempo era in uso lanciare rotelle infuocate.
NOTE: nel territorio esaminato l’uso di bruciare e lanciare dischi infuocati è esteso e generalizzato,
e normalmente vengono lanciati da alture nelle vicinanze del paese. Frequente è l’attestazione
dell’abilità del lanciatore (generalmente un ragazzo in età da matrimonio) che attraverso il getto
può esibire doti di forza (lancio lungo) e destrezza (centrare un punto preciso, far compiere
all’oggetto una parabola); doti che lo pongono al centro della scena della vita del paese, e della
dimostrazione delle abilità virili e quindi seduttive del pubblico femminile. L’abilità non è solo
fisica ma anche verbale, il lanciatore, infatti, deve essere sagace ed ironico ma deve rimanere nei
limiti del rispetto (aiutato molte volte da canovacci o formule precise e tramandate), pena
l’esclusione o il biasimo degli abitanti del paese. Variano oltre la forma, il legno usato e la
grandezza, il significato dato al lancio: in Friuli è maggiormente associato, al rituale di
congiunzione più o meno scherzosa fra giovani, nel territorio Bellunese questo rito (a parte
Campolongo, che si erge in posizione intermedia tra le due distribuzioni) è stato trasformato in gran
parte dei casi nella dedicazione al Santo della ricorrenza. Possiamo dedurre che nel tempo o vi non
vi fosse alcuna tradizione di unione di giovani o che vi sia stata una certa attività repressiva da parte
della Chiesa (sia in Friuli che nel Veneto) nei confronti di questo rito (chiaramente di origine
pagana), e della successiva riconversione religiosa della tradizione.
L’osservazione che a Cortina lo Sceibà si realizzasse in primavera e non a S. Giovanni pare essere
un dato di particolare interesse, pertanto propongo nel seguito del lavoro una estensione analitica di
esame di altre forme rituali europee di congiunzione e fidanzamenti di giovani più o meno prossimi
al matrimonio nei diversi periodi dell’anno.
RITI EUROPEI DI AUSPICIO ALLA CONGIUNZIONE DI INNAMORATI
In Germania, la domenica successiva al mercoledì delle ceneri (prima domenica di Quaresima)
segna la fine della stagione invernale e l’inizio della primavera e viene chiamata
“Schiebensonntag”: la festa della “Domenica delle rotelle”; quella che in Inghilterra si chiamava
Firebrand Sunday.
Attualmente è festeggiata nelle regioni tedesche dell’Allgäu, del Baden Wüttemberg e della Foresta
Nera. Inoltre, come un tempo la sua area di diffusione comprende la regione austriaca del Tirolo
(8), del Vorarlberg ed il Tiroler Oberland e la Svizzera, nell’alta valle dell’Inn viene chiamata
Küachle ed attualmente è in essere la stessa data a Ludesch.
In questa occasione viene costruita una pira di tronchi d’abete che a volte può raggiungere i 30
metri, sulla quale viene issato un pupazzo simile ad una strega nel quale vengono nascosti
esplosivi, che bruciando lo fanno esplodere. Nella regione tedesca del Süd Baden nello stesso
giorno, come in molte località delle regioni precedentemente elencate, v’è l’usanza del lancio di
dischi infuocati. La tradizione viene chiamata “funkensonntag” (domenica delle scintille) (9) (10).
In questa occasione i giovani del paese fanno ruzzolare giù per i pendii dischi di legno infuocati
utilizzando delle verghe. Il lancio è spesso accompagnato da motti: “Schiibi, Schiibi, Schiibo! Wem
soll die Schiibe goh? ”(11). Una tradizione molto simile a questa veniva celebrata in Polonia ed un
po’ diversificata in Ungheria (Nicoloso Ciceri 1982).
In Lussemburgo troviamo la “Fête des brandons”, nella Vallée de la Pétrusse, che tradizionalmente
ha luogo la prima Domenica di Quaresima.
La tradizione vuole che durante il giorno i giovani organizzino nella zona una raccolta di paglia e
legna, che, dopo il tramonto, vengono bruciate in un grande rogo. In alcuni comuni, è una giovane
coppia di sposi che accende il fuoco. La religione cattolica ha nel tempo sovrapposto all’originaria
ricorrenza pagana diversi nuovi simboli e significati.
In Belgio nella regione di Wallone la tradizione conserva lo stesso nome e giorno (12).
Questa tradizione si trova anche in Francia a Issoudun nella regione dell’Indre, a Regny nella Loire,
a
Charleville Ardenne nell’Haut Rhin, nella regione dell’Alsace, a Riom e a Saint-Genès-
Champanelle nell’Auvergne, a Yonne (Moisset 1982) e Puy-de-Dôme (13) nella Bourgogne, ad
Ain (14) nel Rhône Alpes, a Sologne nella regione Centrale, a Canton de Charleville nella regione
di Champagne Ardenne (Tarbé 1863), a Saumur nella regione della Loire (15), ed anche Begny sur
Craon nell’Allier. In quest’ultima regione il fuoco riveste l’ulteriore significato di preservare le
colture dalle piante infestanti e dai roditori (Légier 1808), (Hugo 1835), oltre al significato di buon
auspicio per le congiunzioni fra le persone: “Bon époux, le carême. Est le temps des sermons, de
vos amours l’emblème. C’est le feu des brandons” (16).
Questi riti sono ancora presenti a Jouy-le-Potier, Poilly-lez-Gien, Trainou, Vannes sur Cosson, e
nella Svizzera francese a Yverdon-les-Bains; a Vaucouleurs nella Lorreine prendono il nome di
“Dimanche des Bures”. In molte altre località francesi la “Fête des brandons” si è sovrapposta con
quella di S. Valentino (14 febbraio), per la vicinanza temporale delle due ricorrenze e per la
continuità del rito di dichiarazione fra innamorati; in questi casi molto spesso tuttora viene
riconosciuta la continuità con l’antica festa pagana. In altre località si è sovrapposta la concezione
dell’accensione del fuoco di questa festa con quella del falò che “brucia il carnevale”.
In Romania si chiama il festeggiamento di Dragobete. Questo viene festeggiato il 24 febbraio o più
frequentemente il primo giorno di marzo.
I festeggiamenti iniziano il mattino. I ragazzi e le ragazze coi loro vestiti più belli, i si incontravano
nel centro del villaggio e si recavano insieme nei boschi, dove si raccoglievano a chiacchierare al
caldo del fuoco. Le ragazze poi si allontanavano per raccogliere delle violette che avrebbero poi
messo a fianco delle sacre icone, poiché si riteneva che fossero un ottimo scongiuro contro il
malocchio d’amore.
All’ora di pranzo, le ragazze tornavano al villaggio correndo (17). Ogni ragazzo seguiva la ragazza
di cui era innamorato fino al centro del paese. Se il ragazzo era veloce, e la ragazza lo desiderava,
manifestava di fronte a tutta la comunità il suo affetto baciandola a lungo. Questo era considerato
un segno di dichiarazione di fidanzamento e di impegno reciproco. Il pomeriggio, poi, c’era la festa
danzante aperta a tutta la comunità. Il Dragobete era l’unica possibilità, nelle piccole comunità
agricole romene, di fidanzamento durante tutto l’anno (18).
In Italia questa tradizione assume diversi nomi; a Solda in Alto Adige la prima domenica nel
periodo di Quaresima si festeggia la tradizione del “Scheibenschlagen”. La gente si riunisce sopra
delle rocce e lancia i dischi ardenti attaccati a delle lunghe verghe di legno. Le palle di fuoco
illuminano il buio della notte, accompagnate dalle rime che cacciano gli ultimi giorni dell’inverno.
Ad Avausa di Prato Carnico il rito è decaduto da decenni. Un tempo, gli informatori ricordano, che
i fuochi venivano accesi solamente nel periodo in cui si lanciavano “las cidulas”, a Carnevale, e
venivano lanciate diverse notti consecutive.
Il nome della località dove si svolgeva questo rito è “ta Palata”; la distanza da Prato Carnico è di
settecento metri circa, e il luogo è visibile da tutto il paese.
Per realizzare “las cidulas”, si prendeva un ramo di legno di abete asciutto e secco, di circa 10-12
centimetri di diametro e se ne ricavavano tante piccole ruote, di circa due centimetri di spessore.
Le rotelle venivano poi bucate nel centro, infilate su di un bastone e si lasciate cadere nel fuoco.
Quando erano infiammate, si posavano su una tavola un po’ inclinata e venivano poi prese in mano
per lanciarle il più lontano possibile. Nel momento precedente ad ogni lancio, mediante un imbuto,
venivano gridati i nomi delle coppie di fidanzati.
Al rientro dei “lanciatori”, se questi avevano “accoppiato” delle persone che non erano contenti
fosse stato fatto il loro nome, rischiavano di essere gettati nell’acqua gelida delle fontane del paese.
Durante le serate, per suscitare ilarità, venivano declamate anche rime stravaganti (19).
In Trentino si chiamava Trato marzo. Nei giorni precedenti la fine di febbraio o agli inizi di marzo,
i giovani salivano sul monte e vi accendevano un falò. Il rito durava tre sere: le prime due erano
dedicate all’associazione di coppie fantasiose e buffe (anziani e ragazzi, animali). Con la terza sera
venivano proclamate ed ufficializzate le coppie dei fidanzati prossimi al matrimonio.
Lo scambio di battute rituali veniva pronunciato ad alta voce in una sorta di megafono, in modo che
tutti in paese udissero le notizie; alcune delle coppie così proclamate potevano anche essere
inventate a scopo di burla.
Ogni singola strofa veniva declamata con voce urlata, in direzione del paese sottostante,
rispettivamente da ciascun componente il gruppo; si otteneva cosi un effetto di “rimbalzo”, fino ad
arrivare all’ultimo coscritto che finalmente annunciava i nomi da accoppiare. Il ritmo era
incalzante, intervallato di tanto in tanto da un canto intonato dal suonatore.
La tradizione è stata descritta da R. Morelli per le seguenti località: Darzo, Storo, Bondo, Breguzzo,
Tesino, Grumes, Crosano, Gardolo, Grano, Romeno, Caderzone, Pinzolo, Brentonico, Pergine,
Castel Tesino, Chizzola, Peri, Ferrara del Baldo, e tutta la strada da Trento a Verona (Morelli-Poppi
1998).
Nei monti Lessini, a nord di Verona, una ricorrenza del tutto simile veniva chiamata “osàde de
marso”. Prendiamo come esempio il rituale di Cerna, a 20 Chilometri a Nord di Verona: si
formavano in questo giorno gruppi di ragazzi che si collocavano su due diverse alture e, gridando
dentro grossi imbuti, “maritavano le ragazze del paese”. La prima sera si sposavano le ragazze “per
ridere e scherzare”, la seconda con i brutti del paese, la terza sera venivano accoppiati le ragazze e i
giovani già promessi sposi. La stessa tradizione era conosciuta e realizzata in territorio veronese
anche sui monti lessini (20), ed a Barbolino sul lago di Garda.
Nel bresciano, a Capovalle in Valvestino l’ultima settimana di marzo viene realizzato lo “Stratto
Marzo”. Due gruppi di ragazzi si posizionano su due alture ai lati del paese (chiamati “castelli”)
costituite da radure contornate da boschi. Ogni sera i ragazzi urlando con delle serbotane
(rudimentali megafoni) “sposano” improbabili coppie di persone. Il divertimento per tutti coloro
che in silenzio ascoltano alla finestra della propria abitazione consiste proprio nella stranezza degli
abbinamenti (Graziotti-Silvestri 2007) (21). Altre località in cui era conosciuta la tradizione nel
territorio bresciano erano: Capovalle, Cerveno, Gardone Riviera, Limone sul Garda, Mazzano,
Montichiari, Polpenazze del Garda, Prevalle, Saviore dell’Adamello, Tignale, Tremosine e
Valvestino (22).
Nel mantovano alla fine di febbraio primi giorni di marzo v’era la ricorrenza chiamata “Cioca
Mars”: gruppi di giovani, battendo coperchi (toli) e tamburi cantavano andando incontro a marzo.
La prima sera salivano sugli alberi, annunciando di pianta in pianta gli accoppiamenti in vista; nelle
sere successive, “fidanzavano e sposavano” diverse coppie del luogo, con il rischio di infastidire
chi voleva mantenere il proprio amore segreto. Questa tradizione è documentata in vaste zone del
territorio limitrofo all’Oglio e al Chiese (23). Nel territorio veneto, in particolare nella provincia di
Vicenza, si ricorda la tradizione del “Calendimarzo” o “Schèlla marz” (nei sette Comuni Cimbri
dell’Altopiano di Asiago), ma - come nel caso del romancio “Chalandamarz” dell’Engadina
(Svizzera) Calendamärz di Maloggia e a Castasegna nel Canton Grigioni sempre in Svizzera
- oltre il risveglio della natura con il chiasso assordante provocato da tamburi e campanacci non
viene associato alcun rituale legato a fidanzamenti e matrimoni (24). La finalità del risveglio della
natura la troviamo anche a Ravenna, Forlì e ad Argenta (Ferrara) con i Lom a Merz (lumi di
marzo).
L'uso dei Carinziani (Austria) degli sloveni carinziani di accendere i fuochi e lanciare in aria rotelle
ardenti di legno (šibe) è ricordato da Joseph Sket nel 1881 (25) e da Ivan Navratil (Navratil 1887) e
Milko Matičetov (Matičetov 1951-52: 111-117). Questa descrizione si riferisce all’area del Monte
Lussari, ed ai villaggi sloveni della Zeglia (slov. Zilja, ted. Gailtal), Vitanče presso Goriče
(Görtschach) e Kobarid (Caporetto); in queste località la tradizione di nominare congiuntamente
possibili coppie di fidanzati è sovrapponibile a quelle precedentemente descritte a differenza del
giorno del rito che coincide con il 24 giugno, festa di S. Giovanni.
Il materiale fin qui presentato è riassunto nella figura 1.
(fig. 1)
Aree ove un tempo erano presenti i riti di fidanzamento nei mesi di febbraio/ marzo
Aree ove attualmente sono rimasti i riti di fidanzamento nei mesi di febbraio/marzo
Aree ove erano presenti (ed in minima parte lo sono tuttora) i riti di fidanzamento in
occasione della festa di S. Giovanni
CONCLUSIONI
Dall’esame dei dati raccolti appare chiara una distribuzione omogenea del rito di evocazione e di
presentazione alla comunità di giovani coppie prossime al matrimonio nel periodo compreso tra la
metà di febbraio e la metà di marzo.
Possiamo quindi concludere asserendo che:
1) Dall’esame comparativo compaiono fuochi rituali di fidanzamento/matrimonio in diversi periodi
dell’anno: la maggior parte concentrati tra l’Avvento e l’Epifania, carnevale, mezza Quaresima, 29
giugno festa dei Santi Pietro e Paolo, oltre chiaramente alla notte di S. Giovanni; in misura minore
associati ad altre ricorrenze tra luglio e novembre, o a ricorrenze specifiche di commemorazione di
Santi patroni locali. In questi casi raramente si è evidenziata la presenza congiunta del dato
osservato (ufficializzazioni di unioni di fidanzati).
2) l’ufficializzazione di fidanzamenti ed imminenti matrimoni potrebbe essere maggiormente legata
al periodo di transizione dall’inverno alla primavera; questo dato è ricavato dalla statistica qui
raccolta, e convalidato dal fatto che generalmente nella cultura contadina quello fosse un periodo di
relativo riposo e quindi favorevole alla possibilità dell’unione delle coppie e dei matrimoni.
Il rito del lancio di oggetti infuocati nel momento dell’annuncio pare essere associato al buon
augurio (oltre chiaramente alla forza, prodezza, visibilità del lanciatore).
3) La recita corale di cantilene motteggianti e di scherno che si intercalano ad effettive
congiunzioni di possibili fidanzamenti è un dato che si trova conservato in tutto il territorio
esaminato.
3) A causa del motivo benaugurale si intrecciano i riti per la fecondità del terreno e quello della
congiunzione fra le persone.
Il fuoco, che nei riti è spesso associato al sole ed alla sua forza fecondatrice, è spesso al centro dei
due sistemi generativi (arboreo ed animale), pertanto nei riti primaverili lo troviamo coinvolto in
entrambe le condizioni, creando una continuità a volte con i riti carnevaleschi del “bruciare il
carnevale” o “esplodere il carnevale” o dell’Epifania del “bruciare la strega”, o “bruciare la
donaza”.
4) Pertanto, in attesa di ulteriori conferme che possano convalidare quanto detto, possiamo
formulare le seguente ipotesi:
a) lo sceibà e lis cidulis possono essere dei riti di origine nordeuropea (26) annessi a riti di
unione/fidanzamento. La loro collocazione temporale ideale potrebbe essere il periodo primaverile
tra la fine di marzo e gli inizi di aprile. La presenza del rito dei lis cidulis nel giorno di San
Giovanni è risultato un dato statisticamente relativo se viene considerato il rito su proporzioni
europee; significativo in relazione all’estensione del rito in area Friulana/Cadorina.
b) la presenza di lancio di rotelle infuocate nella notte di San Giovanni con rituali di fidanzamento
riscontrati in questa ricerca sono prevalentemente in Carinzia (Austria), la regione Austriaca con
cui confina il Friuli, e ad est l’area che un tempo era carinziana della Slovenia.
Se questa ipotesi dovesse essere confermata, sulla traccia di questa tradizione, si evincerebbe una
appartenenza culturale che abbraccia la Carinzia, il Friuli ed il basso Cadore, mentre Cortina
potrebbe essere idealmente culturalmente più vicina al Tirolo.
Ringraziamenti:
Si ringrazia il Dott. Ernesto Majoni per la collaborazione nella raccolta del materiale bibliografico
indispensabile per la realizzazione di questo lavoro e per avermi fornito il contatto con informatori,
testimoni diretti delle antiche tradizioni rituali.
Si ringraziano gli informatori Severino e Natalina Del Fabbro, Avausa di Prato Carnico (Udine) e
Attilio Benetti di Camposilvano (Verona), per le importanti testimonianze dirette.
BIBLIOGRAFIA
1) Abel Hugo, Usages de la Sologne, 1835.
2) Alberto Castaldini, I fuochi di San Giovanni Battista presso i Cimbri e i Mòcheni, Cimbri
Tzimbar XVIII 38 (2007).
3) Andreina Nicoloso Ciceri, Tradizioni popolari in Friuli, Chiandetti, Udine 1982.
4) Bartolomeo Zanega, La Sceiba d’Ampezzo, Tipografia Panfilo Castaldi, Feltre, 1968
5) Caterina Percoto, Lis cidulis, Scene carniche, I. Papsch & Co. Tip. Lloyd Austr., Trieste 1845.
6) Charles Moisset, Les usages, croyances, traditions, superstitions de l'Yonne, Editions Jeanne
Laffitte, Marseille, 1982.
7) Denis Graziotti, Elena Silvestri, Da Hano a Capovalle 1907-2007: 100 anni della nostra storia,
Capovalle 2007.
8) Edward Alexander Westermarck, Cerimonies and beliefs connected with agricolture, certain
dates of the solar year, and weather in Morocco, Helsingfors, 1913.
9) Edward Westermarck, Methods in social anthropology (Haxley memorial lecture), Editore
sconosciuto 1936.
10) Gaetano Perusini, Nuovi documenti sul lancio delle cidulis e sui fuochi rituali in Friuli, “Alpes
Orientales”, I, 1959: 135-182.
11) Gaetano Perusini, Usi e costumi ampezzani, “Lares”, XIV 2 (1943).
12) Giovanni Fabbiani, Tradizioni popolari cadorine, "Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore"
(1962).
13) Giuseppe Vidossi, Lis cidulis, “Ce fastu?” VIII 7-8 (1932): 171-181.
14) Giuseppe Vidossi, Influssi tedeschi sul folklore friulano, “Ce Fastu?” XXIV-XXV (1948-49):
90-97.
15) Ivan Navratil, Slovenske ntirodne vraze in prazne vére, primériane Ctrugim slovanskim in
neslovanskim, “Letopis Matice Slovenske”, Ljubljana (1887): 107- 118.
16) James George Frazer, Il ramo d’oro. Studio della magia e della religione [1890], Bollati
Boringhieri, Torino 1965.
17) Laura Craici (a cura di), Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana. Garzanti, Torino
1994.
18) Lea D’Orlandi, Lis cidulis, “Sot la Nape”, IX 3 (1957): 30-33.
19) Lucien Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva [1922], Einaudi, Torino 1975.
20) Milko Matičetov, Le rotelle infocate nelle Alpi Orientali, “Ce fastu?” XXVII-XXVIII (195152): 111-117.
21) Mogk Eugen. Der ursprung der mittelelalterlichen Suhnekreuze, Liepzig 1929.
22) Mogk Eugen. Festschrift. Geburtstag zum 70, Niemeyer, Halle an der Saale 1924.
23) Paolo Roseano, Lis cidulis di Guart, “La Patrie dal Friûl”, 9 (2001): 10-11.
24) Patrick Heady, “Las cidulas” nel contesto dei rapporti intergenerazionali. Un’analisi
antropologico-sociale, in Manlio Michelutti (a cura di), in Guart: Anime e contrade della Pieve
di Gorto, SFF, Udine 1994: 537-546.
25) Pietro Straulino, Il lancio “das cidulas” in comune di Ovaro, “Ce fastu?” LV 4 (1979): 201208.
26) Prosper Tarbé, Romancéro de Champagne, Tome II, deuxième partie, Reims, 1863: 47.
27) Renato Morelli, Cesare Poppi, Santi Spiriti e Re. Curcu & Genovese, Trento 1998.
28) Rosanna Paroni Bertoja, Sclìs de soréle, Circolo Culturale Menocchio, Montereale Valcellina
1999.
29) San Juan de la Cruz. Llama de amor viva [1585], Biblioteca Mística Carmelitana, Burgos, 13
(1931): 1-102, 103-213.
30) Thomas-Philippe Légier, Traditions et us de la Sologne, 1808.
31) Veronica Felli, Fuochi rituali in Friuli, Circolo Culturale Menocchio, Montereale Valcellina
2003.
32) Wilhelm
Mannhardt,
Der
Baumkultus
der
Germanen
und
ihrer
Nachbarstämme.
Mythologische Untersuchungen. Wald- und Feldkulte, Erster Teil. Gebrüder Borntraeger
Verlag, Berlin 1875.
33) Gianluigi Secco, Soraimar, Associazione Culturale per la promozione della conoscenza e
diffusione delle culture locali <http://www.soraimar.it>
34) Michel Neuberg, Contes, Fables, Mythes, Légendes et Romans
http://users.skynet.be/sky42184/Folk_Begique.htm
35) Bulletin des Bibliothèques de France, « Chronique des bibliothèques », BBF, 1980, n° 05, p.
227-230 [en ligne] <http://bbf.enssib.fr> Consulté le 2 novembre 2008
36) La France pittoresque <http://www.france-pittoresque.com>
37) Chants populaires français (chansons du répertoire traditionnel) <www.rassat.com>
38) EST (European Shared Treasure), Socrates Italia <http://est.indire.it>
39) Giancorrado Barozzi, Mario Varini, ADL (Atlante Demologico Lombardo)
<http://www.demologia.it/>
37) Museo Civico di Canneto sull’Oglio (Mantova) <www.mantova.org >
NOTE
1) Dal lat. solstitium, comp. di sol 'sole' e un deriv. di sistere 'fermarsi'. (Dizionario Garzanti 1994).
2) In questa festa, secondo un'antica convinzione il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi dei
falo' e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare. Non a caso gli attributi di S. Giovanni sono il fuoco
e l'acqua, con cui battezzava.
3) La rugiada della mattina di San Giovanni, ovviamente legata all'elemento acqua, ha il potere di curare, di purificare e
di fecondare.
4) Sono in grado guarire molte malattie e le loro caratteristiche e proprietà sono esaltate e alla massima potenza. Le
erbe ritenute “magiche” se raccolte in questa occasione sono: l'iperico detto anche erba di S. Giovanni, l'artemisia, la
verbena e il ribes rosso che proteggeva dai malefici; inoltre il Vischio, il Sambuco, l’Aglio, la Cipolla, la Lavanda, la
Mentuccia, il Biancospino, il Corbezzolo, la Ruta ed il Rosmarino.
5) Raccogliere e portare con sé un mazzetto di erba di S. Giovanni aiutava a tenere lontani gli spiriti maligni.
Raccogliere 24 spighe di grano e conservarle gelosamente tutto l'anno serviva come amuleto contro le sventure.
Fare un mazzolino di tre spighe di grano marcio o carbone e buttarlo nel fiume liberava dagli animali e dalle piante
nocive il grano che si stava per mietere.
6) La maggior parte delle divinazioni vertevano sul destino di futuri amori e matrimoni. Ad esempio la notte di San
Giovanni, le donne della Repubblica di Venezia si rivolgevano alla luna per chiederle il nome del futuro marito. Il
primo nome udito pronunciare da qualcuno, in qualsiasi circostanza, sarebbe stato quello dello sposo.
7) http://www.soraimar.it/archivio/testoBreve.asp?TA=A&ID=3639
8) Attualmente è presente a Landeck.
9) Il nome deriva verosimilmente dalla tradizione del Funkenabbrenners, parola di origine svevo-alemanna.
10) Le due tradizioni non sono distinte, ed a volte sono compresenti ed i nomi interscambiati.
11) Schiibi, Schiibi, Schiibo! A chi deve andare lo Schiibe?
12)http://209.85.135.104/search?q=cache:5BZ0myEmd40J:users.skynet.be/sky42184/Folk_Begique.htm+fete+des+bra
ndons+ardenne&hl=it&ct=clnk&cd=8&gl=it
13)http://209.85.135.104/search?q=cache:8Srag6nSAAJ:bbf.enssib.fr/sdx/BBF/frontoffice/1980/05/imprimerDocument.xsp%3Fid%3Dbbf-1980-05-0227001/1980/05/fam-tourhorizon/tourhorizon+fete+des+brandons+bourgogne&hl=it&ct=clnk&cd=2&gl=it
14)http://209.85.135.104/search?q=cache:qPDDqc-XBiwJ:www.francepittoresque.com/legendes/27.htm+fete+des+brandons+bourgogne&hl=it&ct=clnk&cd=7&gl=it
15) www.rassat.com
16) Buono sposo, la Quaresima/ è il tempo dei sermoni/ del vostro amore l’emblema/ è il fuoco delle fiaccole.
17) Nel sud della Romania questa fuga era chiamata “zburatorit”.
18) http://est.indire.it/upload/05-ITA01-S2C02-00060-1-prod-008.pdf
19) Informazioni di Severino (Classe 1925) e Natalina (Classe 1932) Del Fabbro, Avausa di Prato Carnico (Udine),
settembre 2008
20) Informatore: Attilio Benetti (Classe 1923- Camposilvano, Verona)
21) Nella versione del rituale recitato al “Trato Marso” dai ragazzi di Montichiari, a sud della provincia di Brescia,
prevedeva che due gruppi di uomini, appartenenti a due borgate diverse, si recassero all'imbrunire l'uno sul colle di San
Pancrazio e l'altro sul colle di Santa Margherita.
Un “solista” doveva pronunciare a chiare lettere il nome delle ragazze da marito o i nomi di chi le voleva in sposa,
mentre gli altri della compagnia facevano il coro. I “solisti” usavano per amplificare la voce un enorme megafono fatto
di scorza d'albero arrotolata. Se la sera era limpida si poteva udire in tutto il vicinato la nenia tra il messaggero e il coro.
Il dialogo qualche volta era pungente, altre volte irripetibile, sempre comunque irriverente. La struttura della “nenia”
era stabile: “Gh'è riàt màrs sö chèsta tèra/ per maridà 'na scèta bèla./ La pö bèla che ghè sía/ va nel prà che ghè l'umbrìa/
e l'umbrìa l'è nel prà/ ghè 'na scèta de maridà./ Chè éla?/ Chè nò éla/ L'è…/ Chè gha dòme …?/ CORO: DòmeghelDòmeghel/ E per dòta ?/ 'Na pèl dè àca mòtra./ Cosa gha dòme per òr ?/ L'anèl del tòr./ Cosa gha dòme per uricì ?/ Dò
röde dè mulì./ E per coèrta ?/ Dò pèi dè lösèrta./ E per cusì?/ Un bòr dè spì./ Al mattino seguente la ragazza interessata
veniva a sapere che era stato gridato il suo nome e i due ragazzi si potevano avvicinare. (www.demologia.it)
22) http://www.demologia.it/
23) www.mantova.org/museocanneto
24) Nel caso del territorio veneto anticamente erano presenti “fidanzamenti pubblici” durante la festività denominata
“ciamar Marso” che segnava l’inizio dell’anno nella Repubblica di Venezia. Da: www.tradizionipopolari.blogspot.com
25) V. la nota del Direttore (J. Sket) ad un articolo di Gregor Krek sui fuochi rituali nella rivista “Kres”, a. I (1881), pg.
49.
26) Probabilmente tedesca come ipotizza Vidossi (Vidossi 1932).
Fly UP