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Menzogna come contraddizione pragmatica
Giampaolo Azzoni Università degli Studi - Dipartimento di Diritto romano, Storia e Filosofia del diritto Strada Nuova, 65; I - 27100 Pavia (Italia) [email protected] T +39.0382.984573; F +39.0382.24729 Relazione al Convegno su “Verità e menzogna: profili storici e semiotici”, Università degli Studi di Trento, Facoltà di Sociologia, Dipartimento di Scienze umane e sociali, 26-27 aprile 2007. Menzogna come contraddizione pragmatica Sommario: 1. Contraddizione pragmatica, autocontraddizione performativa, élenchos; sentenze suicide. 2. Contraddizione pragmatica in Kant. 3. Il caso della menzogna in Kant. 4. Non-contraddittorietà pragmatica come vuota universalità formale. 5. Non-contraddittorietà pragmatica e antroponomia. 6. Limiti esistenziali e metafisici della tesi secondo cui la menzogna è una contraddizione pragmatica. 1. Contraddizione pragmatica, autocontraddizione performativa, élenchos; sentenze suicide. 1.1. Utilizzando il lessico di Amedeo G. Conte (che riprende a sua volta una distinzione di Oswald Ducrot), la contraddizione pragmatica può essere definita come la contraddizione tra posé e présupposé dell’atto.1 Come Gaetano Carcaterra ha scritto, nella contraddizione pragmatica “ciò che si dice è in contrasto con ciò che è implicito nel dire e nella sua funzione.”2 1.2. Secondo Karl-Otto Apel, si ha “autocontraddizione performativa” quando si cerca di confutare una “evidenza performativa”. Riferendosi a Ludwig Wittgenstein, Apel definisce le “evidenze performative” come quelle “formulazioni” che, a differenza delle proposizioni empiriche, “non si possono capire senza sapere che sono vere”.3 Come scrive Matteo Bianchin, la contraddizione performativa “si realizza quando il contenuto della parte proposizionale contraddice uno dei presupposti impliciti nella parte performativa, cioè quando il contenuto di un atto linguistico contraddice le condizioni della sua comprensione”. 4 Un esempio di “autocontraddizione performativa” è, secondo Apel: “Io non ho nessuna pretesa di verità”, quando enunciato in riferimento al senso proposizionale di una propria ipotesi.5 1 Cfr. Amedeo G. Conte, Parerga leibnitiana, 1978; 31989, pp. 216-217. 2 Gaetano Carcaterra, Per una fondazione dei valori, 1995, p. 87. 3 Karl-Otto Apel, Grenzen der Diskursethik? Versuch einer Zwischenbilanz, 1987 (tr. it. p. 36). Cfr. Paolo Pagani (ed.), Contraddizione performativa e ontologia, 1999. 4 Matteo Bianchin, L’argomentazione trascendentale. Contraddizione performativa e fondazione ultima, 1992, p. 185. 5 Karl-Otto Apel, Grenzen der Diskursethik? Versuch einer Zwischenbilanz, 1987 (tr. it. p. 36). Ricordo che Apel fonda la propria etica dell’argomentazione proprio su una complessa autocontraddizione performativa; ma già Guido Calogero 1 1.3. Sia il concetto di contraddizione pragmatica, sia il concetto di autocontraddizione performativa hanno la loro matrice prima nella dimostrazione per confutazione (élenchos) del principio di noncontraddizione concepita da Aristotele.6 Come parafrasa Enrico Berti, secondo Aristotele “nel momento stesso in cui si accinge a difendere la sua tesi, vale a dire la negazione del principio di non-contraddizione, il contestatore non nega, ma ammette il principio di non-contraddizione, cioè sostiene la sua tesi (la negazione) distruggendola”.7 1.4. Un caso giuridico di uso strumentale della contraddizione pragmatica è quello delle “sentenze suicide” (denunciato da Gennaro Escobedo). Una “sentenza suicida” è, come ha scritto Francesco Antolisei, una “sentenza volutamente contraddittoria”, in quanto vi è un’incoerenza voluta tra présupposé della sentenza (la motivazione) e posé della sentenza stessa (il dispositivo). Una sentenza suicida è, dunque, “una sentenza logicamente mostruosa”, un “fenomeno di autolesionismo giudiziario”, che si verifica quando un “magistrato estensore della sentenza, rimasto in minoranza nella deliberazione del dispositivo, abbia redatto la motivazione non con argomenti idonei a giustificare quel dispositivo, ma anzi con argomenti volutamente, apposta fatti per screditarlo”, così da creare una “aperta contraddizione tra le premesse del sillogismo e le sue conclusioni”.8 2. Contraddizione pragmatica in Kant. 2.1. Immanuel Kant distingue due forme di contraddizione pragmatica.9 La prima forma di contraddizione pragmatica si produce quando la massima di una azione “non può neppure essere pensata senza contraddizione come legge universale di natura”. La seconda forma di contraddizione pragmatica (meno radicale della prima) si produce quando “non si trova una siffatta impossibilità”, ma “è impossibile volere” che la massima di una certa azione divenga legge universale di natura: impossibile “perché una tale volontà contraddirebbe sé stessa”. La prima forma di contraddizione pragmatica, manifestandosi già sul piano del pensiero, riproduce una autocontraddittorietà che potremmo chiamare “eidetica”; la seconda forma di contraddizione pragmatica, manifestandosi solo sul piano della volontà, riproduce una autocontraddittorietà che potremmo chiamare “buletica”.10 nella sua Filosofia del dialogo scriveva che “nessuno può domandarmi di non essere compreso, senza intrinseca ed assoluta contraddizione nell’atto” (Guido Calogero Filosofia del dialogo, 1962; 31977, p. 365). 6 Aristotele, Metaphysica, IV, 1006a, 15-28. 7 Enrico Berti, Le ragioni di Aristotele, 1989, pp. 96-97. La stessa struttura argomentativa dell’élenchos aristotelico è presente in un’opera di Nagarjuna, dottore del Buddhismo indiano vissuto intorno al II secolo dopo Cristo. Secondo Nagarjuna l’enunciato che affermi che “tutte le cose sono vuote” è autocontraddittorio nella misura in cui esso è non-vuoto (cfr. Vigrahavyavartani, tr. it. pp. 31-35). Come scrive Attilia Sironi in una nota della sua traduzione (Vigrahavyavartani, nota 5, p. 34): “ammettendo la validità della negazione “tutte le cose son vuote”, se ne sostiene automaticamente la natura non-vuota, contraddicendo, con ciò, il contenuto della negazione stessa”. 8 Piero Calamandrei, Sentenze sintomatiche, 1943, pp. 180-182. 9 Per una più ampia analisi della distinzione kantiana, mi permetto di rinviare a Giampaolo Azzoni, Pragmatica dell’incoerenza in Immanuel Kant, 1998. 10 Onora O’Neill chiama la prima forma di incoerenza pragmatica ‘contradiction in conception’ e la seconda forma di incoerenza pragmatica ‘contradiction in the will’ (Consistency in Action, 1985, pp. 174-180; Universal Laws and Endsin-Themselves, 1989, pp. 347-348). Secondo Kurt Baier, The Moral Point of View, 1958, pp. 196-197 la prima forma di incoerenza pragmatica produce regole “self-defeating”, mentre la seconda forma di incoerenza pragmatica produce regole “self-frustrating”. 2 Ecco il passo di Kant: “Alcune azioni hanno una struttura tale che la loro massima non può neppure essere pensata senza contraddizione come legge universale di natura: a fortiori, non si può volere che la loro massima debba divenire legge universale di natura. In altre azioni, invece, non si trova sì questa impossibilità interna, ma è impossibile volere che la massima di esse venga innalzata all’universalità di legge di natura, perché una tale volontà contraddirebbe sé stessa.”11 2.2. L’esempio paradigmatico di autocontraddittorietà eidetica è l’elevare a legge universale di natura il promettere pur sapendo di non poter mantenere la promessa. Per Kant, ammettere, come legge universale di natura, il promettere falsamente “renderebbe impossibile il promettere e lo scopo stesso che attraverso la promessa si persegue”. Si tratta, cioè, di un caso di “impossibilità interna”: internamente (eideticamente) la promessa non può essere menzognera; è, quindi, un dovere eidetico promettere con l’intenzione di mantenere: “[...] la massima della sua azione suonerebbe così: quando io credo di essere in difficoltà finanziarie, prenderò denaro a prestito e prometterò di restituirlo, pur sapendo che la restituzione del denaro preso in prestito non avverrà mai. Ora, è possibile che tale principio dell’amor di sé, o del proprio vantaggio, si concilii con tutto il mio benessere futuro; ma io domando: è giusto? Trasformo allora la pretesa dell’amor di sé in una legge universale, e pongo la domanda così: come starebbero le cose se la mia massima divenisse una legge universale? La risposta è evidente: una tale massima non potrebbe valere come legge universale di natura ed essere coerente con sé stessa, ma dovrebbe necessariamente entrare in contraddizione con sé stessa. Infatti, l’universalità d’una legge secondo la quale, quando uno crede di essere in bisogno, può promettere ciò che gli viene in mente, con la riserva di non mantenere la promessa, renderebbe impossibile il promettere e lo scopo stesso perseguito attraverso la promessa [...].”12 Un esempio di autocontraddittorietà buletica è elevare a legge universale il non soccorrere gli altri nel bisogno. Anche in questo caso si tratta di una legge che è impossibile volere, in quanto una volontà che volesse tale massima come legge universale entrerebbe in contraddizione con sé stessa, ma, tuttavia, è possibile che una tale legge universale sussista.13 2.3. In entrambi i casi di contraddizione pragmatica (autocontraddittorietà eidetica e autocontraddittorietà buletica) l’esito è il medesimo: si ha una azione non morale. Infatti, secondo Kant, è proprio l’autocontraddittorietà la cifra dell’impossibilità morale: “È evidente che [...] è una caratteristica inequivocabile dell’impossibilità morale dell’azione, non quando la massima del mio volere, trasformata in legge generale, contraddice la massima del volere di un altro, bensì quando contraddice sé stessa 11 Immanuel Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1785, p. 57 (Akademie-Ausgabe, IV, p. 424); tr. it. p. 157. 12 Immanuel Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1785, pp. 54-55 (Akademie-Ausgabe, IV, p. 422); tr. it. p. 155. 13 Cfr. Immanuel Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1785, p. 56 (Akademie-Ausgabe, IV, p. 423), tr. it. p. 157. 3 (cosa che io posso giudicare secondo il principio di contraddizione muovendo dal puro concetto a priori, senza rapporti empirici).”14 Non è, dunque, morale l’azione che sia buleticamente autocontraddittoria, e, a fortiori, non è morale l’azione che sia eideticamente autocontraddittoria. Ciò che scandalizza in sede etica e provoca in sede teoretica è la violazione in atto del principio d’identità. Kant ci ricorda che il primo dovere è la custodia del principio d’identità: rispettare l’essenza nell’ente (il che pressuppone la conoscenza dell’essenza, ossia una metafisica, di cui è parte una praxeologia trascendentale del giuridico). 3. Il caso della menzogna in Kant. 3.1. Com’è noto, secondo Kant, oltre a promettere pur sapendo di non poter mantenere la promessa, esempi di autocontraddittorietà eidetica sono: (i.) accettare un oggetto in deposito con l’intenzione di non restituirlo; (ii.) suicidarsi quando la vita promette più male che piacere; (iii.) enunciare come vero un enunciato che si crede falso (mentire). In particolare, secondo Kant (in polemica con Benjamin Constant), la regola di dire la verità “non ammette eccezioni di sorta, poiché si metterebbe in contraddizione con sé stessa”.15 3.2. Con esplicito riferimento all’atto di mentire, un’interessante esposizione della tesi kantiana sull’autocontraddittorietà eidetica è stata effettuata da Georg Simmel. Così Simmel scrive: “Non posso volere che la menzogna sia legge universale, poiché il concetto stesso di enunciato è di rendere nota l’opinione del parlante, cosicché la menzogna sistematica farebbe corrispondere a uno stesso concetto due determinazioni che si eliminano a vicenda. Non posso volerlo, non perché sia danno a me o ad altri, ma perché si tratta di una contraddizione logica; mi è infatti impossibile volere che A sia non A [...]. A parole si potrebbe certamente affermare anche una volontà del genere, ma per esseri il cui pensare è legato al principio di contraddizione, questa non è un’idea realizzabile. Chi mente nel caso singolo sfrutta soggettivamente il fatto che l’enunciato, per sua essenza, sia riconosciuto come verità; volere la menzogna come norma generalizzata (Kant dice anche: come legge di natura) significherebbe che l’enunciato in quanto tale, obiettivamente, dovrebbe conservare il suo senso in quanto enunciato e insieme assumere quello opposto.”16 Secondo Simmel, il concetto di autocontraddittorietà eidetica rappresenta “uno dei pensieri più significativi, forse il più significativo, della speculazione pura di Kant”, in quanto “è un’idea davvero grandiosa che la connessione intellettuale, l’unità logico-interiore della nostra azione costituisca anche il criterio del suo valore morale”.17 Nella prospettiva kantiana, infatti: 14 Immanuel Kant, Verkündigung des nahen Abschlusses eines Traktats zum ewigen Frieden in der Philosophie, 1796; riedizione in Immanuel Kant, Ausgewählte kleine Schriften, 1965, p. 114; tr. it. p. 285. 15 Immanuel Kant, Über ein vermeintes Recht aus Menschenliebe zu lügen, 1797, p. 314; tr. it. p. 302. 16 Georg Simmel, Kant. Sechzehn Vorlesungen, gehalten an der Berliner Universität, 21905, pp. 98-99; tr. it. pp. 174175. 17 Georg Simmel, Kant. Sechzehn Vorlesungen, gehalten an der Berliner Universität, 21905, p. 99; tr. it. p. 175. 4 “Abbiamo bisogno [...] soltanto di seguire il significato logico delle cose per trovare la via eticamente corretta”; poiché “la singola azione è morale se è conforme al proprio significato, ai propri interni presupposti.”18 4. Non-contraddittorietà pragmatica come vuota universalità formale. Molti sono gli autori che hanno ritenuto irrilevante, per un punto di vista normativo, la kantiana non-contraddittorietà pragmatica. Ad esempio Hans Kelsen ha scritto che “può essere valida tanto la norma che vieta in ogni circostanza il suicidio o la menzogna, quanto la norma che, in certe circostanze, permette il suicidio o la menzogna o addirittura li prescrive, senza che sia possibile dimostrare in modo razionale che soltanto l’una, ma non l’altra, può essere considerata valida”.19 Ma la critica ancora più importante, di cui le successive sono, in misura significativa, semplici varianti, resta quella di Hegel. Secondo Hegel, né la autocontraddittorietà eidetica, né la autocontraddittorietà buletica, possono fornire indicazioni sulla correttezza normativa dell’azione. La non-contraddittorietà pragmatica, per Hegel, è solo una vuota universalità formale. In quanto universalità formale, che, come tale, ha come misura la sola non-contraddittorietà, la mera tautologia, ed è quindi indifferente al contenuto, la ragione esaminatrice può, secondo Hegel, adottare indifferentemente un contenuto o il suo opposto.20 Utilizzando il lessico di Conte sopra ricordato, la critica di Hegel a Kant può così riformularsi: secondo Hegel, la coerenza tra posé e présupposé dell’atto (cioè la non-contraddittorietà pragmatica) è una vuota identità formale, identità meramente formale che, come tale, è irrilevante per il giudizio normativo, in quanto è indifferente al contenuto specifico del présupposé.21 Per Hegel, seguendo il criterio kantiano della coerenza pragmatica, la scelta del contenuto specifico del présupposé è “totalmente indeterminata e libera”22; quindi “l’arbitrio” può scegliere “tra determinatezze opposte”23. Incidentalmente, segnalo che questa tesi di Hegel presenta forti analogie con la tesi di Jacques Derrida secondo cui sono indecidibili le condizioni di validità pragmatica di un atto linguistico. La posizione di Derrida è più radicale di quella di Hegel: Derrida, a differenza di Hegel, ritiene che la stessa iterabilità propria della relazione type-token sia fonte strutturale di “scacchi”, “échecs”, dell’enunciazione e di invalidità dell’atto.24 Hegel e Derrida sono comunque, almeno sotto questo 18 Georg Simmel, Kant. Sechzehn Vorlesungen, gehalten an der Berliner Universität, 21905, pp. 99-100; tr. it. pp. 175176. 19 Hans Kelsen, Reine Rechtslehre, 21960, p. 18; tr. it. p. 28. 20 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807 (Gesammelte Werke, IX, p. 233); tr. it. p. 577. 21 Secondo Hegel, quelli kantiani sono “comandi privi di sostanza”, cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807 (Gesammelte Werke, IX, p. 249); tr. it. p. 619. 22 Georg Wilhelm Friedrich Hegel Über die wissenschaftlichen Behandlungsarten des Naturrechts, seine Stelle in der praktischen Philosophie und sein Verhältnis zu den positiven Rechtswissenschaften, 1802-1803; 1968, p. 436; tr. it. p. 39. 23 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Über die wissenschaftlichen Behandlungsarten des Naturrechts, seine Stelle in der praktischen Philosophie und sein Verhältnis zu den positiven Rechtswissenschaften, 1802-1803; 1968 p. 438; tr. it. p. 43. Anche Kelsen avrebbe ripreso la critica hegeliana. Per Kelsen, infatti, nella prospettiva kantiana “l’uomo può effettivamente volere che qualsiasi massima divenga legge universale. Dal punto di vista di una morale già presupposta, in taluni casi questo può essere riprovevole, tuttavia non è impossibile” (Hans Kelsen, Das Problem der Gerechtigkeit, 1960, p. 369; tr. it. p. 22). 24 Cfr. Jacques Derrida, Signature, événement, contexte, 1972, pp. 384-390. 5 profilo, momenti di quella stessa tradizione scettica alla cui origine vi sono quei negatori del principio di non-contraddizione ai quali si riferisce Aristotele nel libro quarto della Metafisica. 5. Non-contraddittorietà pragmatica e antroponomia. 5.1. Ritengo che in Kant, la coerenza tra posé e présupposé dell’atto (cioè la non-contraddittorietà pragmatica) non sia una vuota identità formale (come invece sostiene Hegel): infatti, il contenuto specifico del présupposé è, in Kant, determinato dal necessario riferimento alla natura umana e alla specifica identità di essa. Ciò che rende formale, ma non formalistico, il criterio kantiano della non-contraddittorietà pragmatica è il fatto che la massima sia non un enunciato (sentence, Satz), ma un’enunciazione (utterance, Äußerung) nella quale il termine ‘Io’ è deitticamente l’essere umano. Hegel ha ignorato proprio la dimensione pragmatica del concetto kantiano di coerenza eliminando la origo (nel senso di Karl Bühler25) dell’enunciazione (l’“io-essere umano”).26 La non-contraddittorietà pragmatica formale diventa normatività sostanziale solo grazie al soggetto dell’enunciazione (soggetto che però non è esterno all’atto enunciativo del quale anzi costituisce la origo); citando Paul Valery, si può dire della legge morale kantiana che essa è “de la même matière que sa forme”. In Kant, la pragmatica trascendentale si connette quindi all’antropologia trascendentale (alla “antroponomia”, per usare il lessico kantiano27), le strutture eidetiche degli atti al mondo della vita, la non-contraddizione pragmatica all’identità dell’uomo. Come scrive Sergio Cotta, a proposito della prospettiva nella quale l’io si identifica con l’uomo: “In questa prospettiva [quella in cui l’io si identifica come uomo], la kantiana esigenza per l’io di elevare la propria massima soggettiva alla oggettività della legge universale non dipende più da una formale necessità logica di noncontraddirsi, bensì dalla esigenza di non contraddire la propria natura di uomo.”28 Quattro sono i luoghi principali in cui Kant radica la legge morale nell’uomo e nelle cose del mondo: (i.) la conoscenza della legge morale; (ii.) la fonte e la sede della legge morale; (iii.) i limiti entro i quali la legge morale può essere violata; (iv.) la sincronicità della legge morale con il mondo. 25 Come scrive Maria-Elisabeth Conte, Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale, 1988, p. 65, la origo bühleriana “è quel che Dorrit Cohn chiama “experiencing self” e che Ann Banfield chiama “subject of consciousness” o “SELF””. 26 Paul Ricoeur ha evidenziato come la persona assuma una più ricca caratterizzazione (anche morale) quando dalla semantica si passi alla pragmatica: la persona diviene da oggetto di cui si parla a soggetto che attraverso la sua parola s’impegna (Paul Ricoeur, Approches de la personne, 1990, p. 122). 27 “Anthroponomie”, cfr. Immanuel Kant, Metaphysik der Sitten (Metaphysische Anfangsgründe der Tugendlehre), 1797, Einleitung XIV, p. 47; Akademie-Ausgabe, VI, p. 406; tr. it. p. 259. 28 Sergio Cotta, Diritto e morale, 1989, p. 282. Così Pietro Piovani scrive che “il vero residuo giusnaturalistico che sopravvive in seno all’imperativo categorico [...] va cercato [...] nel medesimo soggetto che è protagonista della morale kantiana”. Secondo Piovani, infatti, “il dovere che la mia coscienza deve compiere se vuole che la sua azione sia azione non è il mio dovere, ma il nostro dovere: il mio dovere, così, più che coincidere, al culmine, col dovere di ogni uomo che sia uomo, più che tendere ad essere concorde col dovere dell’umanità, è il dovere di tutti, è il dovere dell’umanità [...] in cui si riaffaccia l’universalismo giusnaturalistico” (Pietro Piovani, Giusnaturalismo ed etica moderna, 1961, pp. 149-150). 6 Esaminerò solo il quarto luogo (la sincronicità della legge morale con il mondo) perché, anche se non esplicitamente sviluppato da Kant, è da Kant presupposto quando egli scrive sulla contraddizione pragmatica propria del mentire.29 5.2. In polemica con Benjamin Constant, Kant risponde negativamente alla domanda se sia lecito mentire “all’assassino che ci domanda se un nostro amico da lui perseguitato sia rifugiato in casa nostra”.30 Secondo Kant ammettere eccezioni al dovere di dire la verità comporterebbe contraddizione pragmatica e, in particolare, autocontraddittorietà eidetica. Ciò che qui rileva sono alcune ipotesi, formulate da Kant, sul verificarsi di determinati eventi nel mondo dopo che si è risposto (in modo veritiero o falso) all’assassino. Ecco il passo di Kant: “È anche possibile che, dopo che tu hai lealmente risposto con un sì all’assassino che domandava se la persona da lui avversata fosse in casa, questa persona fosse in modo inosservato uscita di casa, per cui non si sarebbe incontrata coll’assassino e il fatto non sarebbe avvenuto. Ma se tu hai mentito e hai affermato che la persona ricercata non era in casa, mentre essa (senza che tu lo sapessi) ne era in realtà uscita, se poi l’assassino imbattendosi in essa all’uscita compie su di essa il suo delitto, allora tu puoi giustamente essere accusato come autore della sua morte. Invece, se tu avessi detto la verità come la sapevi, allora sarebbe stato possibile che l’assassino, nella ricerca del suo nemico in casa, fosse afferrato da vicini sopravvenuti e che il delitto fosse impedito.”31 Tra la risposta all’assassino e gli eventi presi in esame da Kant non v’è rapporto di causalità, ma sincronicità. Tre (e solo tre) sono gli scenari ipotizzati da Kant: (i.) se si dice la verità all’assassino, è possibile che la persona ricercata esca di casa in modo inosservato e non incontri l’assassino; (ii.) se non si dice la verità all’assassino, è possibile che la persona ricercata, uscita di casa, incontri l’assassino; (iii.) se si dice la verità all’assassino, e la persona ricercata resta in casa, è possibile che l’assassino venga afferrato dai vicini sopravvenuti. Tre scenari, dunque, in cui vi è una piena sincronicità tra legge morale e mondo. 6. Limiti esistenziali e metafisici della tesi secondo cui la menzogna è una contraddizione pragmatica. 6.0. Come ho detto, credo che le accuse hegeliane di vuoto formalismo non siano fondate se si considera l’antroponomia kantiana. Ma ciò non significa che le tesi kantiane (e in particolare la tesi secondo la quale la menzogna sia, in quanto contraddizione pragmatica, sempre immorale) non siano suscettibili di importanti precisazioni. 29 Per un’analisi dei quattro luoghi principali in cui Kant radica la legge morale nell’uomo e nelle cose del mondo, mi permetto di rinviare a Giampaolo Azzoni, Filosofia dell’atto giuridico in Immanuel Kant, 1998, pp. 92-143. 30 La medesima questione è presente in Agostino, De Mendacio, 5: “Si quis ad te confugiat, qui mendacio tuo possit a morte liberari, non es mentiturus?”; “Se si rifugia presso di te uno che potrebbe scampare alla morte grazie a una tua bugia, non mentirai?”. Una variante dell’esempio (dove l’omicida è il padrone di casa) è in: Immanuel Kant, Metaphysik der Sitten (Metaphysische Anfangsgründe der Tugendlehre), 1797, § 9, p. 88; Akademie-Ausgabe, VI, p. 431; tr. it. pp. 290-291. 31 Immanuel Kant, Über ein vermeintes Recht aus Menschenliebe zu lügen, 1797, pp. 306-307; tr. it. pp. 294-295. 7 6.1. Già Simmel mosse a Kant tre critiche che mi sembrano ancora degne di considerazione. La prima critica riguardava il fatto che Kant avrebbe individuato solo una condizione ex negativo (e non in positivo) della morale; come scrive Simmel: “Forse tutto ciò che è immorale, se pensato come legge universale, contiene una contraddizione interna; ma non ne segue ancora che tutto ciò che non ne contiene sia moralmente necessario”.32 La seconda critica riguardava la semplicità “piccolo-borghese” degli esempi addotti da Kant; così Simmel scrive: “È ovvio che per la prassi di casi semplici e quotidiani, una decisione si troverà senz’altro; gli esempi di Kant mostrano anche che egli non ne ha pensati altri: se sia lecito mentire, se sia lecito tenere per sé del denaro dato in deposito, se sia lecito sottrarsi alla pretesa di aiuto in stati di necessità altrui - tutto ciò si decide all’interno di un milieu semplificato, e vorrei dire piccolo-borghese, in base all’imperativo categorico”.33 La terza critica di Simmel riguardava la “singolarizzazione delle azioni” che avrebbe compiuto Kant; così Simmel scrive: la forma kantiana della giurisdizione morale “distacca la “azione” dal continuum della vita e ne situa l’intero significato morale entro i suoi confini, rigidamente separati, quasi si trattasse di una funzione liberamente fluttuante, definibile per sé sola. Con ciò si ripete, da un lato, [...] il procedimento isolante della scienza naturale meccanicista, dall’altro quello del diritto giudiziario”34. Insomma, per Simmel, la conoscenza degli atti buoni non sarebbe sufficiente per la conoscenza della vita buona. 6.2. Ritengo che altre precisazioni possano essere fatte se si approfondiscono gli specifici presupposti metafisici della tesi secondo cui la menzogna è, in quanto contraddizione pragmatica, sempre immorale e della altra tesi (connessa alla prima) della sincronicità tra legge morale e mondo. Mi sembra che queste due tesi siano possibili entro una metafisica che potrebbe essere definita pelagiana (una metafisica della accessibilità umana alla pienezza morale). Una metafisica in cui: (i.) i criteri di coerenza pragmatica sono evidenti leges aeternae (e non, invece, opache leges naturales); (ii.) la struttura del mondo non è chirale, ma ordinata in una perfetta simmetria. Tale pelagianesimo sembra poi avere una realizzazione secolarizzata nella concezione postmoderna di una società divenuta trasparente, senza veli, grazie al sinottico mediatico. Se, però, ci si pone fuori da una metafisica del pieno disvelamento del vero e del giusto, è possibile precisare la tesi secondo cui la menzogna sia, in quanto contraddizione pragmatica, sempre immorale. In tale prospettiva, un’utile indicazione è offerta da Sergio Cotta in un suo articolo giovanile dedicato proprio al dovere della veracità. Cotta, sulla scia di analoghe considerazioni di Giorgio Del Vecchio, indicava nella casistica “l’unico possibile mezzo di concretizzazione, di storicizzazione pedagogica del dovere etico”35: “Se [...] si respinge l’assolutezza kantiana del dovere della veracità e se ne afferma invece il carattere concreto nell’orizzonte della socialità, non si può negare la difficoltà dei problemi che si propongono alla coscienza dell’individuo. [...][L]a casistica [...] offre [...] casi concreti nei quali si può determinare quale sia il “dover essere”, ma sempre casi singoli, non legge ma educazione ad altre situazioni. [...][C]asistica nel senso più nobile, quella che mira non già a contrabbandare legalisticamente la menzogna, bensì ad affinare il senso morale, il 32 Georg Simmel, Kant. Sechzehn Vorlesungen, gehalten an der Berliner Universität, 21905, pp. 121-122; tr. it. p. 177. 33 Georg Simmel, Kant. Sechzehn Vorlesungen, gehalten an der Berliner Universität, 21905, p. 127; tr. it. p. 183. 34 Georg Simmel, Kant. Sechzehn Vorlesungen, gehalten an der Berliner Universität, 21905, pp. 130; tr. it. pp. 185-186. 35 Sergio Cotta, Sul dovere della veracità, 1953, p. 211. 8 quale invece finisce sovente ad essere attutito proprio dalle affermazioni assolute e solenni, che si rivelano in contrasto insanabile con la realtà.”36 Riferimenti bibliografici delle opere citate Agostino, De Mendacio. Traduzione di Maria Bettetini: Sulla bugia. Milano, Rusconi, 1994. Antolisei, Francesco, La sentenza volutamente contraddittoria. In: Escobedo, Gennaro (ed.), Le sentenze suicide. Milano, Bocca, 1943, pp. 226-237. Apel, Karl-Otto, Grenzen der Diskursethik? Versuch einer Zwischenbilanz. In: “Zeitschrift für philosophische Forschung”, 41 (1987), pp. 3-31. Traduzione di Teresa Bartolomei Vasconcelos: Limiti dell’etica del discorso? Tentativo di un bilancio intermedio. In: Apel, Karl-Otto / Bubner, Rüdiger / Habermas, Jürgen / Tugendhat, Ernst / Wellmer, Albrecht / Wolf, Ursula, Etiche in dialogo. A cura di Teresa Bartolomei Vasconcelos e Marina Calloni. Genova, Marietti, 1990, pp. 28-58. Aristotele, Metaphysica. Saggio introduttivo, testo greco con traduzione a fronte e commentario a cura di Giovanni Reale: Metafisica, Milano, Vita e pensiero, 1993. Azzoni, Giampaolo, Filosofia dell’atto giuridico in Immanuel Kant. Padova, Cedam, 1998. 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