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relazione - studio quaglia associati
I DIRITTI PATRIMONIALI DEGLI EX
CONIUGI ANTE E POST MORTEM:
TRA OBBLIGHI DI LEGGE ED
AUTONOMIA CONTRATTUALE
Appunti per la relazione
Avv. Valeria Quaglia
Studio quaglia & associati
Sommario
Sommario......................................................................................................................................................... 2
I DIRITTI PATRIMONIALI DEGLI EX CONIUGI ANTE E POST MORTEM TRA OBBLIGHI DI
LEGGE ED AUTONOMIA CONTRATTUALE .............................................................................................. 3
1. ALIMENTI, MANTENIMENTO E CASA FAMILIARE: I PRESUPPOSTI PER L’INSORGENZA, LA
MODIFICA E LA REVOCA NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO ................................................... 4
1.1 CONCETTI DI ALIMENTI, MANTENIMENTO E CASA FAMILIARE ............................................. 4
1.2 CONDIZIONI PER IL SORGERE DEL DIRITTO AL MANTENIMENTO NELLA SEPARAZIONE
E CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO ............................................................................ 4
1.3 LA MODIFICA DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO E LA REVOCA DELLO STESSO ...........6
1.4 PRESUPPOSTI PER IL RICONOSCIMENTO DELL’ASSEGNO ALIMENTARE E CRITERI DI
DETERMINAZIONE DEL SUO AMMONTARE ....................................................................................... 7
1.5 – L’ASSEGNO DIVORZILE: NATURA GIURIDICA E PRESUPPOSTI ............................................ 8
1.6 – LA REVISIONE E L’ESTINZIONE DEL DIRITTO ALL’ASSEGNO DIVORZILE .......................12
1.7 – IL DIRITTO ALL’INDENNITA’ DI FINE RAPPORTO DEL CONIUGE DIVORZIATO TITOLARE
DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO ................................................................................................. 13
1.8 – L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE ......................................................................... 15
2 – L’AUTONOMIA DELLE PARTI NELLA FASE PAOTOLOGICA DELLA CRISI CONIUGALE ......... 16
2.1 – GLI ACCORDI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO (AMBITO GIUDIZIALE) ..........16
2.1.1 - I POSSIBILI CONTENUTI DEGLI ACCORDI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO ...............17
2.1.2 – L’AUTONOMIA DELLE PARTI ED IL CONTROLLO GIURISDIZIONALE IN RELAZIONE
AI DIVERSI CONTENUTI DEGLI ACCORDI ..................................................................................... 17
2.1.3 – RAPPORTI TRA L’OMOLOGA ED IL CONSENSO DELLE PARTI: IL PROBLEMA DELLA
REVOCABILITA’ UNILATERALE DEL CONSENSO ......................................................................... 21
2
2.2 – GLI ACCORDI IN VISTA DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO. GLI ACCORDI A
LATERE..................................................................................................................................................... 22
2.2.1 – GLI ACCORDI IN VISTA DELLA SEPARAZIONE: LIMITI CONTENUTISTICI, NATURA
GIURIDICA E REGIME........................................................................................................................ 23
2.2.2 – GLI ACCORDI A LATERE NELLA SEPARAZIONE ............................................................... 24
2.2.3 – GLI ACCORDI A LATERE NEL DIVORZIO OVVERO GLI ACCORDI IN VISTA DEL
FUTURO DIVORZIO............................................................................................................................ 26
3 – I DIRITTI SUCCESSORI DEGLI EX CONIUGI NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO ...........28
3.1. – I DIRITTI SUCCESSORI DEL CONIUGE SEPARATO................................................................. 28
3.2 – I DIRITTI SUCCESSORI DEL CONIUGE DIVORZIATO.............................................................. 29
3.2.1 – IL DIRITTO ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITA’ ............................................................ 30
3.2.2 – L’ASSEGNO PERIODICO A CARICO DELL’EREDITA’ ........................................................ 32
I DIRITTI PATRIMONIALI DEGLI EX CONIUGI ANTE E POST
MORTEM TRA OBBLIGHI DI LEGGE ED AUTONOMIA
CONTRATTUALE
L’art. 143 c.c. statuisce quali siano i diritti ed i doveri reciproci dei coniugi in particolare prevedendo, al
terzo comma, che “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze ed alla
propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Nel presente lavoro si cercherà di chiarire quale sia la sorte di tale dovere di contribuzione nella fase di
separazione, nel divorzio e dopo la morte di uno degli ex coniugi analizzando le disposizioni legislative ed i
principali orientamenti giurisprudenziali e dottrinali su tali tematiche. Si cercherà inoltre di chiarire se ed in
che limiti è consentita dal nostro ordinamento l’autonomia delle parti nella regolamentazione del predetto
dovere di contribuzione.
3
1. ALIMENTI, MANTENIMENTO E CASA FAMILIARE: I
PRESUPPOSTI PER L’INSORGENZA, LA MODIFICA E LA
REVOCA NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO
1.1 CONCETTI DI ALIMENTI, MANTENIMENTO E CASA FAMILIARE
Preliminarmente appare doveroso muovere dai concetti giuridici di alimenti, mantenimento e casa familiare.
Per alimenti si intende una prestazione economica corrisposta per far fronte a difficoltà economiche
riguardanti il soddisfacimento dei bisogni di base dell’ex coniuge, il quale non è in grado di farvi fronte
autonomamente.
Per mantenimento si intende invece una forma di assistenza economica che il coniuge economicamente più
agiato versa nei confronti del coniuge più svantaggiato con lo scopo di garantire a chi lo riceve lo stesso
tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio.
Per casa familiare si intende infine quell’insieme di beni, mobili e immobili, finalizzati all’esistenza
domestica della comunità familiare ed alla conservazione degli interessi in cui si esprime e si articola la vita
familiare1.
1.2 CONDIZIONI PER IL SORGERE DEL DIRITTO AL MANTENIMENTO
NELLA
SEPARAZIONE
E
CRITERI
DI
DETERMINAZIONE
DELL’ASSEGNO2
Alcune delle condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento sono normativamente contenute nell’art.
156 c.c. (rubricato “ Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi”) il quale statuisce al
primo comma che “il giudice, pronunciando la separazione stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia
addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto sia necessario al suo
mantenimento, qualora egli non abbia adeguato redditi propri”.
Esse quindi sono:
1) Il non addebito della separazione al coniuge beneficiario: in giurisprudenza è consolidato il
principio di diritto secondo cui ai fini dell’addebitabilità della separazione il Giudice deve accertare
che la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno, o di
1
Michele Sesta, “Comunione di vita e di diritti sulla casa familiare”, relazione al Convegno di Roma del 22.12.2012
del CSM dal titolo “Famiglia, convivenza, possesso”.
2
Giuseppe Cassano e Maurizio De Giorgi, “L’assegno di mantenimento e gli alimenti”, Maggioli Editore, 2010, pag. 16
e ss.
4
entrambi i coniugi, e che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitabili ed il
determinarsi dell’intollerabilità della convivenza. L’indagine sull’intollerabilità deve essere fatta
sulla base di una valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi,
procedendo ad una valutazione comparativa degli stessi al fine di individuare se il comportamento
censurato non sia solo l’effetto di una frattura coniugale già verificatasi e, pertanto, relativamente
giustificato. Cfr ex plurimis Cass. Civ. 2444/1999; 279/2000; 14840/2006; 25618/2007.
2) La mancanza di adeguati redditi propri: per assenza di adeguati redditi propri si intende in
giurisprudenza assenza di redditi che consentano al coniuge di mantenere un tenore di vita analogo
a quello goduto in costanza di matrimonio mentre il tenore di vita al quale va rapportato il
giudizio di adeguatezza è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il
matrimonio cosicchè si dovrà tenere conto dell’incremento dei redditi di uno di essi
e del
decremento dell’altro anche se si ciò si sia verificato nelle more del giudizio di separazione in quanto
durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante
il matrimonio. Cfr Cass. 18327/2002 confermato da Cass. 2626/2006. AI fini della valutazione di
adeguatezza dei redditi attuali del richiedente rilevano alcuni parametri quali: a) la possibilità di
lavoro dell’istante da intendersi in senso attuale e non in termini astratti ed ipotetici (vedi Cass.
3404/2005); viene inoltre ritenuto valido anche una volta intervenuta la separazione l’accordo dei
coniugi affinchè uno di essi lavori e l’altro si dedichi al lavoro domestico (Cass. 12121/2004); b) i
cespiti patrimoniali ed ogni attività economicamente valutabile dell’istante anche se non
produttivi di reddito con immediatezza. Resta inteso che il coniuge onerato dovrà essere titolare di
mezzi idonei a fronteggiare il pagamento dell’assegno.
Altra condizione è:
3) La domanda: è necessaria la domanda di parte essendo il giudice privo del potere di riconoscere
d’ufficio l’attribuzione dell’assegno di mantenimento. Si tratta di un principio assolutamente
consolidato in giurisprudenza di merito e di legittimità (vedi ex plurimis Cass. 2064/2000). La
decorrenza dell’assegno deve farsi risalire al momento della domanda.
Sono stati invece esclusi quali elementi costitutivi del diritto al mantenimento:
-
La durata del matrimonio, che può rilevare solo ai fini della determinazione del quantum
dell’assegno (insieme agli altri elementi) (Cass. 23378/2004)
-
La mancata convivenza tra i coniugi, che può trovare ragione nelle più diverse situazioni o
esigenze e va comunque intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione
di una scelta di coppia di per sé non escludente la comunione materiale e spirituale (Cass.
17537/2003)
5
-
L’ospitalità ed il mantenimento forniti da uno dai genitori di uno dei coniugi separati, le quali
se non necessitate da condizioni oggettive e gravi di impossibilità di autonomo mantenimento
devono ritenersi frutto di una mera liberalità e non importano l’assunzione di alcuna obbligazione di
mantenimento de futuro, né, di converso, provocano alcuna stabile condizione di vivenza a carico
idonea ad escludere la altrui primaria obbligazione al mantenimento del coniuge privo di redditi da
parte dell’altro economicamente più forte (Cass. 11224 /2003)
L’art. 156, comma 2, c.c., stabilisce per quanto concerne l’ammontare dell’assegno di mantenimento, che
“L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato” .
Nella determinazione dell’assegno di mantenimento del coniuge deve tenersi conto del tenore di vita
“normalmente” godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia e pertanto non rilevano gli atti di liberalità
eccezionali o straordinari dell’obbligato durante la vita coniugale, non qualificabili come esborsi destinati
ordinariamente alla vita anche sociale o di relazione dei coniugi o dell’avente diritto. Altro limite della
misura dell’assegno è quello esterno del fine proprio di esso di far conservare al coniuge che ha redditi
inadeguati le potenzialità economiche per la realizzazione delle sue esigenze esistenziali da soddisfare in
misura analoga a quella fruita nel corso della vita comune con l’altro coniuge (Cass. 18613/2008).
1.3 LA MODIFICA DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO E LA REVOCA
DELLO STESSO3
A norma dell’art. 156, ultimo comma, c.c. “Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza
di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti”.
La modifica della condizioni economiche di uno o di entrambi i coniugi, successiva alla separazione, dà
diritto all’interessato di chiedere la modificazione delle condizioni patrimoniali stabilite in sede di
separazione; nel caso in cui vengano meno i presupposti che avevano determinato il sorgere del diritto
all’assegno se ne può chiedere la revoca. L’assegno di mantenimento si caduca poi per effetto del passaggio
in giudicato della sentenza di divorzio.
Tra le ragioni che possono determinare la modifica delle condizioni patrimoniali dei coniugi vi è la
convivenza more uxorio successiva alla separazione in quanto tale nuova situazione di convivenza
potrebbe essere fonte per il beneficiario di redditi ultronei mentre, al contrario, per il coniuge onerato
potrebbe essere causa di nuove spese.
La giurisprudenza dà rilievo a questi fini alla convivenza more uxorio purchè la stessa abbia i caratteri della
continuità e della stabilità e sia successiva all’intervenuta separazione 4. Vedasi Cass. 2709/2009 in cui si
3
Giuseppe Cassano e Maurizio De Giorgi, op. cit.
4
Si veda comunque quanto viene detto nel par. 1.5. del presente lavoro sulla rilevanza della convivenza more uxorio sul
diritto all’assegno divorzile.
6
chiarisce: “l’eventuale nascita di un figlio non costituisce elemento di per sé sufficiente ed idoneo a
dimostrare l’esistenza di una situazione di convivenza more uxorio tra i genitori, avente nel tempo i caratteri
di stabilità e continuità tali, da far presumere che il beneficiario dell’assegno tragga da tale convivenza
vantaggi economici che giustifichino la revisione dell’assegno medesimo. Inoltre la convivenza more uxorio
con altra persona può influire sulla misura dell’assegno di divorzio solo qualora si dia la prova, da parte
dell’ex coniuge onerato, che essa – pur non assistita da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto
consolidata e protraentesi nel tempo – influisca in melius sulle condizioni economiche dell’avente diritto, a
seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di apprezzabili
risparmi di spese derivanti gli dalla convivenza stessa”.
1.4
PRESUPPOSTI
PER
IL
ALIMENTARE E CRITERI
RICONOSCIMENTO
DELL’ASSEGNO
DI DETERMINAZIONE
DEL SUO
AMMONTARE5
Il terzo comma dell’art. 156 c.c. statuisce che “Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli art.
433 e ss.”
I presupposti per il sorgere del diritto agli alimenti a favore del coniuge cui sia addebitata la separazione (il
quale per tale ragione perde il diritto al mantenimento) sono:
1) che versi in stato di bisogno;
2)
che non sia in grado di provvedere al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di attività
lavorativa confacente alle proprie attitudini: in giurisprudenza si ritiene che “debba essere
rigettata la domanda di alimenti ove il richiedente non provi la propria invalidità al lavoro per
incapacità fisica, e l’impossibilità, per circostanze allo stesso non imputabili, di reperire
un’occupazione confacente alle proprie abitudini di vita ed alle proprie condizioni” (Cass.
3334/2007); si è escluso (Cass. 4204/2006) che il certificato di un Comune che attesti l’iscrizione del
richiedente l’assegno alimentare nell’elenco delle persone bisognose costituisca di per sé prova di
tale stato di indigenza.
3) che sia presentata specifica domanda di parte: la giurisprudenza ritiene che nella domanda di
mantenimento sia compresa anche la domanda di alimenti e che quindi non comporti vizio di
extrapetizione il riconoscimento al coniuge separato di un assegno alimentare in luogo di quello di
mantenimento (vedi da ultimo Cass. 20237/2006; Cass. 26571/2007).
Ai sensi dell’art. 438 c.c. “Gli alimenti devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda
e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli e non devono superare quanto sia necessario per
5
Giuseppe Cassano e Maurizio De Giorgi, op.cit
7
la vita dell’alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale”. Deve precisarsi che, stante la
permanenza del vincolo coniugale, dovrà tenersi conto non tanto della posizione dei singoli membri della
famiglia quanto di quella della famiglia nel suo complesso.
1.5 – L’ASSEGNO DIVORZILE: NATURA GIURIDICA E PRESUPPOSTI 6
Il sesto comma dell’art. 5 della l. 898/1970 statuisce che: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o
la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle
ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare
ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i
suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di
somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o
comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”
Il legislatore non precisa quale sia la natura giuridica dell’assegno divorzile.
La giurisprudenza ha progressivamente abbandonato l’idea che l’assegno divorzile avesse anche natura
compensativa (avuto riguardo all’impegno profuso da ciascun coniuge nella formazione del patrimonio
comune e nella gestione familiare) e risarcitoria (avuto riguardo alle ragioni della decisione) aatribuendogli
natura eminentemente assistenziale, al pari dell’assegno di mantenimento corrisposto in sede di separazione.
Nonostante ne venga costantemente ribadita l’autonomia concettuale rispetto all’assegno di mantenimento in
quanto la determinazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni operanti, anche per accordo
tra le parti, in sede di separazione, se ne ravvisa un’identità di ratio. Eadem ratio riconducibile all’esigenza
di porre rimedio, in base ad un superiore principio solidaristico, allo stato di disagio economico in cui venga
a trovarsi la parte più debole in dipendenza dello scioglimento del vincolo matrimoniale garantendo al
coniuge “debole” di mantenere un tenore di vita ed un reddito adeguato a quello goduto in costanza di
matrimonio (vedi ex plurimis Cass 4040/2003, Cass. 6660/2001, Cass. 10210/2005, Cass. 16024/2008).
Anche in dottrina ormai è consolidata l’opinione secondo cui la natura giuridica dell’assegno divorzile sia
assistenziale.
Ciò premesso, si vedrà come si determina secondo la giurisprudenza l’accertamento del diritto all’assegno di
divorzio.
Esso si articola in due fasi.
Nella prima il Giudice è tenuto a verificare l’an debeatur ossia l’esistenza del diritto in astratto in relazione
all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive raffrontati ad un tenore di
vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative
maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Essendo stata abbandonata
6
Giuseppe Cassano e Maurizio De Giorgi, op.cit.
8
quell’opzione interpretativa secondo cui l’assegno di divorzio doveva avere una triplice funzione risarcitoria,
compensativa ed assistenziale ed avendola circoscritta a quest’ultima si può affermare che il riconoscimento
dell’assegno si ricollega esclusivamente all’inadeguatezza dei mezzi economici di cui dispone il coniuge ed
alla oggettiva impossibilità di procurarseli, delimitando l’applicazione degli altri criteri indicati dalla norma
alla successiva, eventuale, determinazione del quantum.
Si è discusso molto in dottrina come in giurisprudenza su cosa dovesse intendersi per “inadeguatezza dei
mezzi” tanto che sul punto si sono pronunciate le sezioni unite della Corte di Cassazione 7 che hanno
affermato il seguente principio di diritto (cui la giurisprudenza successiva si è sostanzialmente
uniformata):“Il presupposto per concedere l’assegno è costituito dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge
richiedente (tenendo conto non solo dei suoi redditi ma anche dei cespiti patrimoniali e delle altre utilità di
cui può disporre) a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio senza che
sia necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, il quale può anche essere economicamente
autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni
economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo
equilibrio”.
Per quanto concerne l’incidenza sulla titolarità del diritto all’assegno di divorzio della convivenza more
uxorio con un’altra persona da parte del richiedente l’assegno si registra un’evoluzione nella giurisprudenza8.
7
Cass. Sezioni Unite, n. 11490 del 1990.
8
Sulla distinzione tra convivenza more uxorio e famiglia di fatto si veda Cass. 17195/2011 dove si afferma: “Per una
migliore intelligenza della problematica sollevata, va considerato che una convivenza stabile e duratura, con o senza
figli, tra un uomo e una donna, che si comportano come se fossero marito e moglie, è stata volta a volta definita con
espressioni diverse, quali concubinato, convivenza more uxorio, famiglia di fatto, la prima connotata negativamente, la
seconda di valore neutro e la terza positivamente connotata. Si può addirittura ipotizzare una sorta di passaggio,
almeno in parte anche in successione temporale, dall'uso di un'espressione all'altra, che si accompagna ad un
corrispondente mutamento nel costume sociale.
La prima fase è anche l'unica che trova (o, meglio, trovava) un preciso riscontro normativo: il concubinato (una sorta
di adulterio continuato) costituiva reato, nonchè causa di separazione per colpa.
La convivenza tra uomo e donna, come se fossero coniugi, rilevava soltanto come forma di sanzione - e condizione
necessaria era ovviamente che uno dei conviventi fosse sposato - al fine di maggior difesa della famiglia legittima. La
fase del concubinato volgeva al termine, dopo una nota sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n 167/1969)
che cancellò tale ipotesi di reato.
In una diversa fase , nella quale l'espressione convivenza more uxorio andava gradualmente sostituendo quella di
concubinato, prevaleva una sorta di "agnosticismo" dell'ordinamento nei confronti del fenomeno, derivante dalla
mancata regolamentazione normativa di esso, e, con riferimento ai principii costituzionali, dall'art. 29 Cost., che
soltanto "riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio", disposizione ritenuta
confermativa del disinteresse dell'ordinamento verso altri tipi di organizzazione familiare.
In una fase successiva, che si può collocare temporalmente alle soglie e successivamente alla riforma generale del
diritto di famiglia, l'espressione "famiglia di fatto" comincia ad essere sempre più frequentemente accolta. Essa non
indica soltanto il convivere come coniugi, ma individua una vera e propria "famiglia", portatrice di valori di stretta
solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione della prole.
In tal senso, si rinviene, seppur indirettamente, nella stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la
9
Preliminarmente è necessario chiarire che la convivenza more uxorio potenzialmente rilevante a questi fini è
solo quella che abbia i caratteri della stabilità e della continuità tali da dare origine ad una famiglia di fatto.
Ciò posto, dapprima infatti la giurisprudenza riteneva che la creazione di una famiglia di fatto non fosse di
per sé motivo sufficiente per escludere il diritto all’assegno ma che fosse necessario compiere un
accertamento, basato anche su presunzioni, circa la reale incidenza sotto il profilo di una diminuzione di
spese o di aumento di entrate, della nuova convivenza. Sul punto vedasi Cass. 24858 del 2008 la quale ha
affermato il seguente principio di diritto: “In assenza di nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio,
in linea di principio, di per sé permane anche se il richiedente abbia instaurato una convivenza more uxorio
con altra persona, salvo che sia data la prova che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius –
pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidatosi e
protraentesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito del contributo al suo
mantenimento ad opera del convivente o, quanto meno, di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza ,
onde la relativa prova non può essere limitata a quella della mera instaurazione e della permanenza di una
convivenza siffatta, risultando detta convivenza di per sé neutra ai fini del miglioramento delle condizioni
economiche dell’istante e dovendo l’incidenza economica della medesima essere valutata, in relazione al
complesso delle circostanze che la caratterizzano , laddove una simile dimostrazione del mutamento in
melius delle condizioni economiche dell’avente diritto può essere data con ogni mezzo di prova, anche
presuntiva, soprattutto attraverso il riferimento ai redditi ed al tenore di vita della persona con la quale il
richiedente dell’assegno convive, i quali possono far presumere, secondo il prudente apprezzamento del
giudice, che dalla convivenza more uxorio il richiedente stesso tragga benefici economici idonei a
giustificare il diniego o la minor quantificazione dell’assegno”9.
Più di recente 10, invece, la Cassazione ha affermato che la sussistenza di una famiglia di fatto
rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza
matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla
conservazione di esso. E ciò a prescindere da qualsivoglia accertamento in ordine all’incidenza
famiglia di fatto, quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell'individuo, ai sensi dell'art. 2 Cost. La
riforma del diritto di famiglia del 1975, pur non contenendo alcun riferimento esplicito alla famiglia di fatto, viene ad
accelerare tale evoluzione di idee: nella rinnovata normativa emerge un diverso modello familiare, aperto e
comunitario, una sicura valutazione dell'elemento affettivo, rispetto ai vincoli formali e coercitivi, l'eliminazione di
gran parte delle discriminazioni della filiazione naturale rispetto a quella legittima. E talora si ritiene attribuita
rilevanza giuridica alla famiglia di fatto, in presenza di figli, con riferimento all'art. 317 bis c.c., ove si precisa che i
genitori naturali, se conviventi, esercitano congiuntamente la potestà”.
9
Nello stesso senso anche Cass. 23958/ 2010.
10
Cass. 17195/2011 cit.
10
economica della convivenza sulle condizioni del coniuge separato che richieda l’assegno. In detta
sentenza la Corte poi precisa poi che “non vi è nè identità, nè analogia tra il nuovo matrimonio del
coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all'assegno, e la fattispecie in esame, che
necessita di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale. Come talora questa Corte ha precisato (al
riguardo, tra le altre, Cass. n. 3503/1998), si tratta, in sostanza, di quiescenza del diritto all'assegno, che
potrebbe riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto, com'è noto effettuabile ad
nutum, ed in assenza di una normativa specifica, estranea al nostro ordinamento, che non prevede garanzia
alcuna per l'ex familiare di fatto (salvo eventuali accordi economici stipulati tra i conviventi stessi)”. In
definitiva la Corte ha statuito sul punto il seguente principio di diritto – cui si è adeguata anche una
recentissima sentenza della Corte d’Appello di Bologna dell’aprile di quest’anno 11: “In caso di cessazione
degli effetti civili del matrimonio, l’instaurazione di una famiglia di fatto, quale rapporto stabile e duraturo di
convivenza, attuato da uno degli ex coniugi, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita
caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, in relazione ad essa, il presupposto per la
riconoscibilità, a carico dell’altro coniuge, di un assegno divorzile, il diritto al quale entra così in uno stato di
quiescenza, potendosene invero riproporre l’attualità per l’ipotesi di rottura della nuova convivenza tra i
familiari di fatto”.
Nella seconda fase il Giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno (quantum
debeatur) in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nell’art. 5, l. 898/1970 12. Detti
criteri agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerabile in astratto e possono
anche portare ad azzerarla quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio risulti
incompatibile con detti criteri (vedi ex plurimis Cass. 593/2008).
I criteri quindi sono:
-
“le condizioni dei coniugi”: intendendosi il sensibile divario esistente nella condizione economica di
una delle parti (Cass. 17901/2004);
-
“le ragioni della decisione”: ossia non solo le cause della separazione ma una valutazione
complessiva dell’intera vita coniugale e del periodo successivo alla separazione se ed in quanto
abbia costituito obbiettivo impedimento al ripristino del consorzio coniugale (Cass. 13060/2002);
-
“contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione
del patrimonio di ciascuno e di quello comune”: si esige la diretta provenienza del contributo –
personale ed economico – da uno dei coniugi esclusi eventuali contributi di terzi (Cass. 13060/2002);
si considera anche il contributo della moglie quale casalinga. (Cass. 9876/2006)
11
Corte d’Appello Bologna, n. 394, 8 aprile 2013.
12
11
-
“reddito di entrambi i coniugi”: ossia le potenzialità economiche dei coniugi desunte dall’ammontare
complessivo del loro reddito e dalle loro disponibilità patrimoniali (Cass. 17941/2008)
-
“Durata del matrimonio”: incide sulla quantificazione dell’assegno ma non sull’an dello stesso a
meno che non si tratti di un matrimonio istituito solo formalmente e non abbia dato luogo alla
formazione di alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi (Cass. 14056/2008).
L’assegno divorzile presuppone lo scioglimento del matrimonio quindi prescinde dagli obblighi di
mantenimento e di alimenti che operano nel regime della separazione i quali possono rappresentare al più un
mero indice di riferimento (Cass. 17017/2008).
L’art. 5, comma 8, della l. 898/1970 stabilisce che “Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in
unica soluzione dove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna
successiva domanda di contenuto economico”.
La corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile, pertanto, esclude la sopravvivenza in capo al
coniuge beneficiario di qualsiasi ulteriore diritto di contenuto patrimoniale e non, nei confronti dell’altro
coniuge, attesa la cessazione di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi.
1.6 – LA REVISIONE E L’ESTINZIONE DEL DIRITTO ALL’ASSEGNO
DIVORZILE13
L’art. 9 comma 1 della l. 898/1970 statuisce che “Qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la
sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, in
camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può,
su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle
relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6”.
Le disposizioni adottate al termine del procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio sono
adottate rebus sic stantibus potendo essere modificate a fronte delle successive variazioni della situazione di
fatto posta a base di esse. La revisione in esame può consistere non solo in un aumento o in una diminuzione
dell’importo dell’assegno ma anche nell’integrale soppressione dell’assegno già concesso o nel suo
riconoscimento ex novo.
Per “giustificati motivi” di revisione si intendono i mutamenti delle condizioni economiche di uno o di
entrambi gli ex coniugi, mutamenti che devono essere oggettivamente idonei ad alterare il pregresso assetto
patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione
comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti. (Cass. 17041/2007 e Cass. 1761/2008).
13
Giusppe Cassano e Maurizio De giorgi, op.cit.
12
La giurisprudenza ha poi chiarito che i miglioramenti della situazione economica del coniuge di cui bisogna
tenere conto sono solo quelli che costituiscano uno sviluppo naturale e prevedibile dell’attività svolta
durante il matrimonio, ad esclusione dunque dei mutamenti aventi carattere autonomo ed eccezionale
(Cass. 20204/2007).
Quid iuris nell’ipotesi in cui il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge obbligato avvenga
per libera scelta, come ad esempio laddove il coniuge obbligato abbandoni la precedente attività
professionale per un’altra meno redditizia ma maggiormente rispondente alle proprie aspirazioni o meno
usurante?
Dall’analisi della giurisprudenza sul tema 14 emerge che dette scelte, anche se non necessitate, devono
ritenersi pienamente legittime ed esplicazione dei fondamentali diritti di libertà della persona e che su di
esse non è consentito alcun sindacato di ragionevolezza da parte del giudice in quanto il predicato
“giustificati” si riferisce ai motivi legittimanti la revisione e non ai mutamenti patrimoniali15.
L’estinzione dell’assegno divorzile si ha nei seguenti casi:
1) Passaggio a nuove nozze;
2) Morte del beneficiario16;
3) Venire meno dei presupposti previsti per legge.
1.7 – IL DIRITTO ALL’INDENNITA’ DI FINE RAPPORTO DEL CONIUGE
DIVORZIATO TITOLARE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO
L’art-. 12 bis della legge sul divorzio statuisce: “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza
di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e
in quanto sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto
percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a
maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli
anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
14
Cass. 5378/2006; Cass. 4800/2002; Cass. 17041/2007.
15
Un sindacato di ragionevolezza sulle scelte lavorative è per contro ammesso nei confronti del coniuge beneficiario
dell’assegno.
16
La morte di uno dei coniugi determina lo scioglimento del matrimonio per cui se la morte interviene nel corso del
giudizio di divorzio prima del passaggio in giudicato della sentenza determinerà la cessazione della materia del
contendere. Se invece interviene successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio non determina la
cessazione della materia del contendere in quanto non elide il diritto dell’altro coniuge all’accertamento determinativo
della misura dell’assegno di cui si stia ancora discutendo in causa.
13
I presupposti cui è condizionato il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dal coniuge
lavoratore sono dunque tre e precisamente:
a) Deve essere intervenuta – con pronuncia passata in giudicato – la sentenza di divorzio;
b) Il coniuge beneficiario non deve essere passato a nuove nozze (quindi la mera convivenza more
uxorio lascia inalterato il diritto alla quota del tfr);
c) Il coniuge beneficiario deve essere titolare dell’assegno divorzile.
L’inciso “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza” sembrerebbe voler dire che il diritto in
questione dell’ex coniuge c’è a maggior ragione quando la relativa indennità è maturata prima della sentenza
di divorzio (cioè o durante il matrimonio o durante la separazione).
La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie comunque escludono che il diritto in questione possa sussistere
in relazione ad indennità percepite prima della sentenza di divorzio rectius prima della domanda di divorzio.
Se infatti l’indennità viene percepita in costanza di matrimonio in presenza di un regime di comunione detto
importo cadrebbe nella comunione de residuo e quindi sarebbe ingiusto accordare al coniuge non lavoratore
anche il diritto ad un ulteriore quota; vigente il regime di separazione dei beni il coniuge potrebbe aver
liberamente sperperato o comunque speso questa indennità non sussistendo più al momento del divorzio. E
lo stesso dicasi nel caso in cui l’indennità venga percepita nel periodo di separazione personale.
La Cassazione ha sostenuto17 – contraddicendo un suo precedente orientamento 18 – che spostare il limite di
attribuzione ad un momento precedente alla pronuncia di divorzio comporterebbe un grave conflitto con le
norme dettate in materia di regimi patrimoniali, facendo doppiamente beneficiare un coniuge dell’indennità
percepita dall’altro. Quindi deve sussistere la domanda di divorzio nel momento in cui viene percepita
l’indennità.
In una sentenza più recente la Cassazione 19 ha definitivamente chiarito che l’art. 12 bis l. div. “va
interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se il trattamento spettante all’altro coniuge sia
maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio, e quindi
anche prima della sentenza di divorzio, e non anche se esso sia maturato e sia stato percepito in data
anteriore, come in pendenza del giudizio di separazione, potendo in tal caso la riscossione dell’indennità
incidere solo sulla situazione economica del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno ovvero legittimare
una modifica delle condizioni di separazione”.
17
Cass. 19427/2003; Cass. 19309/2003.
18
Cass. 7249/1995; Cass. 6047/1993.
19
Cass. 19046/2005.
14
Per quanto riguarda il calcolo dell’indennità essa deve venire determinata calcolando il 40% dell’indennità
totale percepita alla fine del rapporto di lavoro con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise
con il rapporto matrimoniale; tale risultato si ottiene dividendo l’indennità percepita per il numero di anni
degli anni di durata del rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero di anni in cui il rapporto di
lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale e calcolando il 40% su tale importo (Cass. 15299/2007).
Ci si è chiesti cosa debba intendersi per durata del matrimonio cioè se in essa rientri anche il periodo di
separazione legale o meno. In dottrina si registra un contrasto di opinioni mentre in giurisprudenza
l’orientamento dominante è nel senso di calcolare anche il periodo della separazione (Cass. 4867/2006;
Cass. 10075/2003).
1.8 – L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE
In materia di separazione l’art. 155 quater20 stabilisce: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo
prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei
rapporti patrimoniali tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto di godimento della
casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare nella casa familiare o
conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.
In materia di divorzio, invece, l’art. 6, comma 6 della l. 898 del 1970 statuisce che “L’abitazione nella casa
familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la
maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il Giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei
coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole […].
Nonostante il tenore letterale delle sopracitate norme potrebbe portare a ritenere che l’assegnazione della
casa coniugale possa essere disposta a prescindere dalla prole e solo per riequilibrare le posizioni
economiche tra i coniugi, la giurisprudenza assolutamente maggioritaria 21 ha seguito nel tempo il solco
segnato dall’importante pronuncia a sezioni unite del 199522 - ribadita da altra pronuncia sempre a sezioni
unite nel 200223 - nella quale si stabiliva che presupposto necessario ed indefettibile per l’assegnazione della
casa coniugale fosse l’affidamento della prole al genitore assegnatario. Secondo la Cassazione, diversamente
opinando, si consentirebbe un’inammissibile compressione delle ragioni del coniuge non assegnatario
proprietario traducendosi ciò in “un’espropriazione senza limiti di tempo al di fuori delle ipotesi legali
20
Tale disposizione è stata introdotta dalla l. 54/2006; in precedenza l’assegnazione della casa coniugale era disciplinata
dal quarto comma dell’art. 155 c.c. il quale prevedeva che fosse attribuita “di preferenza” al genitore affidatario dei figli
(analogamente a quanto ancora prevede l’art. 6 della l. div.).
21
Vedi ex plurimis da ultimo: Cass. 3934 del 2008; Cass. 23591/2010; Cass. 9079/2011; Cass. 1367/2012
22
Si tratta della sentenza SS.UU. 28.10.1995 n. 11297.
23
Cass. SS.UU. 26.07.2002, n. 11096.
15
tipiche”. La convivenza con i figli è il presupposto necessario ma non sufficiente in quanto oltre ad esso è
necessario valutare, ai fini dell’assegnazione, gli altri presupposti indicati dalla normativa (il titolo di
proprietà sulla casa e le condizioni economiche dei coniugi).
Sebbene questo sia l’orientamento maggioritario in giurisprudenza, la dottrina prevalente 24 ritiene invece che
la casa familiare possa essere assegnata anche al genitore non affidatario, indicando tale assegnazione come
una possibile modalità di adempimento in “natura” dell’assegno di mantenimento o di divorzio.
Non mancano inoltre – anche se si tratta di un orientamento minoritario - pronunce in senso contrario sia di
merito che di legittimità rispetto a quanto affermato dalle sezioni unite (Cass. 2070/2000; Cass. 822/1998;
Trib. Milano 29.10.1999).
2 – L’AUTONOMIA DELLE PARTI NELLA FASE PAOTOLOGICA
DELLA CRISI CONIUGALE
2.1 – GLI ACCORDI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO
(AMBITO GIUDIZIALE)
Nelle procedure non contenziose finalizzate alla definizione della crisi coniugale l’autonomia dei coniugi
rappresenta la fonte primaria di regolamentazione dei rapporti tra le parti.
Il richiamo all’autonomia negoziale dei coniugi, al fine della definizione del conflitto, è contenuto in diverse
disposizioni di legge: l’art. 158 c.c. richiama espressamente l’accordo dei coniugi 25, l’art. 711 c.p.c.26 sulla
disciplina processuale della separazione consensuale eleva il consenso a momento costitutivo della
fattispecie, l’art. 155, comma 4, (rubricato “Provvedimenti riguardo ai figli”) fa “salvi accordi diversi
liberamente sottoscritti dalle parti” , la previsione di cui all’art. 4, comma 16, l.div. - introdotta dalla l. 74 del
1987 – del divorzio a domanda congiunta, la previsione di cui all’art. 5 comma 8 l.div., sulla possibilità per i
coniugi di accordarsi per l’assegno una tantum, l’art. 3, n. 2 lett. b) della l. div. che è espressione del favor
24
Vedi tra i tanti: SESTA, Diritto di Famiglia, Padova, 2003, 323; GIACOBBE, FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella
separazione e nel divorzio, in Famiglia e matrimonio in Tratt. Zatti, I, 2, Milano, 2002; SCARANO, 148 e ss; BIANCA,
Diritto civile, II, La Famiglia. Le successioni, Milano, 2001.
25
Art. 158 c.c.: “La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice.
Quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di
questi, il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’interesse dei figli, e in caso di
inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione”.
26
L’art. 711, comma 3, c.p.c. si stabilisce: “ Se la conciliazione non riesce, si dà atto nel processo verbale del consenso
dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole”.
16
legislativo in ordine alla scelta di trasformare il titolo della separazione o del divorzio da giudiziale a
consensuale e congiunto.
La volontà dei coniugi viene però filtrata dal controllo giurisdizionale (decreto di omologa e sentenza) e
quindi è fondamentale individuare quali siano i possibili contenuti degli accordi tra i coniugi e
conseguentemente, a seconda dei diversi contenuti, quali siano da un lato la misura ed i limiti del potere di
controllo del Tribunale e dall’altro la misura ed i limiti dell’autonomia delle parti.
Detta analisi verrà fatta attraverso l’esame dei principali orientamenti giurisprudenziali e dottrinali i quali
giungono spesso a conclusioni contrastanti rendendo la materia de quo assai complessa.
2.1.1
- I POSSIBILI CONTENUTI DEGLI ACCORDI DI SEPARAZIONE E
DIVORZIO
In merito ad essi si è soliti distinguere da parte della dottrina e della giurisprudenza dominanti tra contenuto
necessario e contenuto eventuale.
Il contenuto necessario è collegato direttamente al rapporto matrimoniale mentre quello eventuale è collegato
solo in via occasionale ai diritti ed agli obblighi nascenti dal matrimonio.
Nell’ambito del contenuto necessario rientra senz’altro la comune volontà dei coniugi di cessare la
convivenza (contenuto strettamente necessario) e le pattuizioni relative all’affidamento ed al
mantenimento dei figli (contenuto eventualmente necessario in quanto non è detto che ci siano dei figli).
Nel contenuto eventuale rientrano invece le pattuizioni relative alla definizione dei rapporti patrimoniali tra i
coniugi anche se concernenti l’assegno di mantenimento.
Altra distinzione, collegata alla precedente, che si suggerisce di fare è tra contenuto tipico ed atipico.
Nel contenuto tipico rientrerebbero le intese di cui al contenuto strettamente necessario, a quello
eventualmente necessario ed a quello eventuale in punto assegno di mantenimento in quanto in tutti e tre i
casi si tratterebbe di accordi collegati direttamente al rapporto matrimoniale.
Nel contenuto atipico invece rientrerebbero tutte quei negozi – di contenuto eventuale -
con finalità
divisoria, risarcitoria, compensativa attraverso i quali i coniugi intendono provvedere ad una sistemazione,
tendenzialmente globale, dei loro interessi economici a seguito del conseguimento del nuovo status.
2.1.2 – L’AUTONOMIA DELLE PARTI ED IL CONTROLLO GIURISDIZIONALE
IN RELAZIONE AI DIVERSI CONTENUTI DEGLI ACCORDI
- CONTENUTO TIPICO 17
a) contenuto strettamente necessario: la sfera di autonomia è da considerarsi piena in quanto il Tribunale nei
giudizi non contenziosi di separazione e divorzio non ha alcun potere di cernita delle ragioni che hanno
determinato la crisi coniugale presentandosi l’omologa (o la sentenza di separazione) come un atto dovuto.
b) contenuto eventualmente necessario: qui l’autonomia dei coniugi resta subordinata al superiore interesse
dei figli. I coniugi possono solo determinare la misura dell’obbligo di mantenimento nonché le modalità di
adempierlo mentre sicuramente il diritto al mantenimento dei figli è inderogabile ed indisponibile. Anche le
intese in ordine alla misura ed alle modalità di mantenimento, tuttavia, sono sottoposte al vaglio del
Tribunale che possiede anche dei poteri inquisitori in merito e che potrebbe ritenerle inadeguate o non
opportune con riguardo al superiore interesse dei figli. Per quanto poi specificatamente attiene
all’assegnazione della casa familiare sicuramente “questo è un importante settore dove i genitori possono
intervenire sia per eventualmente stabilire dei limiti intermini di spazio e tempo sia per stabilire estensioni o
modifiche in melius del diritto stesso”27. Ad esempio è possibile che le parti si accordino per prolungare il
diritto all’assegnazione anche oltre i limiti disegnati dalla legge e dalla giurisprudenza: questo è stato il caso
di una recente sentenza della Corte di Cassazione 28 nella quale si è dichiarato valido l’accordo dei coniugi di
protrarre il diritto all’assegnazione fino al termine della convivenza con i figli ancorchè autosufficienti.
Autorevole dottrina29 legge in questa sentenza un segnale di timida apertura “verso una valorizzazione degli
accordi tra i coniugi nel senso di ampliare senza stravolgerli i limiti di un diritto fino ad oggi interpretato in
termini di stringente tipicità”. L’Autrice continua dicendo che “pareva essere un punto fermo quello
dell’impossibilità di utilizzare il provvedimento di assegnazione per tutelare altre e diverse esigenze,
soprattutto quelle economiche tra i coniugi, o comunque bisogni e necessità ultronei al perimetro
puntigliosamente disegnato dalla Cassazione. Si pensi alla recente posizione della Corte di Legittimità
(Cass. 4735/2011) che ha ritenuto essere sostanzialmente atipico il provvedimento di assegnazione adottato
su accordi dei coniugi in mancanza di prole, ritenendo che lo stesso non sia opponibile ancorché trascritto,
né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che intenda proporre domanda di divisione giudiziale
del cespite”.
c) contenuto eventuale in relazione al mantenimento di uno dei coniugi: qui l’autonomia dei coniugi si
sostanzia:1) nella scelta di formulare o meno la richiesta di mantenimento; 2) nella scelta di “rinunciare”
espressamente al mantenimento; 3) nella quantificazione dell’assegno di mantenimento e dell’assegno
divorzile; 4) nelle modalità di adempimento dell’obbligo de quo.
27
ALESSANDRA ARCERI, Gli accordi sul godimento della casa familiare al vaglio della cassazione, in Famiglia e Diritto,
9/2012.
28
Cass. 387/2012.
29
ARCERI ALESSANDRA, op. cit.
18
Quanto ai primi due punti è necessario tuttavia precisare che sul significato ed i limiti di essi non si registra
uniformità di vedute in dottrina e giurisprudenza.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria 30 ed una parte della dottrina il diritto all’assegno di mantenimento
(al pari di quello all’assegno di divorzile) è inderogabile ed indisponibile ai sensi del combinato disposto
degli art. 143 e 160 c.c. non potendo quindi un coniuge espressamente rinunciarvi. L’art. 160 c.c. richiama
quei diritti – doveri di cui all’art. 143 c.c. rappresentanti posizioni giuridiche che nascono con il matrimonio
e che però non scompaiono anche se si attenuano con la separazione e nemmeno – anche se in forma
ulteriormente attenuata – con il divorzio (vedi infatti i vari diritti, anche successori, legislativamente previsti
in materia di separazione e divorzio).
Ciò significa che deve ritenersi sindacabile da parte del giudice la mera rinuncia espressa al mantenimento.
Sindacabile
nei limiti delle risultanze acquisibili agli atti (diversamente per quanto visto in ordine
all’assegno di mantenimento per i figli) sotto il profilo della legittimità e della non contrarietà a norme
imperative. Quando invece la rinuncia è motivata dalla autosufficienza economica dei coniugi essa non varrà
quale rinuncia ma quale atto dichiarativo e/o ricognitivo di una situazione di fatto significativa per il diritto
all’assegno di mantenimento. Il Tribunale in tal caso, sempre nell’ambito dei propri sommari poteri istruttori,
potrà appurare la situazione di fatto e la fondatezza degli assunti.
In tutti i casi comunque, stante l’indisponibilità sostanziale del diritto al mantenimento (o all’assegno
divorzile), la rinuncia nei limiti sopra chiariti viene ritenuta rebus sic stantibus. Analogamente l’omissione
della domanda di mantenimento non potrà essere valutata dal Giudice come rinuncia implicita all’assegno di
mantenimento: il Giudice quindi non potrà pronunciarsi in merito con la conseguenza che la relativa
domanda può essere proposta o riproposta.
Secondo una parte autorevole della dottrina 31 e di una parte minoritaria della giurisprudenza, invece,
l’autonomia dei coniugi sotto tale profilo sarebbe estremamente ampia potendo anche arrivare ad escludere il
diritto al mantenimento che è, secondo tale orientamento, un diritto pienamente disponibile. Di conseguenza
gli accordi tra i coniugi che abbiano ad oggetto il diritto al mantenimento non sono sindacabili per nessun
motivo dal Giudice. Sarebbe poi pienamente ammissibile anche la rinuncia (rectius) il rifiuto preventivo al
mantenimento o all’assegno divorzile.
Tra gli argomenti addotti da questa dottrina per sostenere il carattere disponibile dell’assegno di
mantenimento possono annoverarsi i seguenti:
- l’art. 160 c.c. (il quale dispone che “gli sposi non possono derogare, né ai diritti né ai doveri provvisti dalla
legge per effetto del matrimonio”) si riferirebbe solo alla fase fisiologica del rapporto e non a quella
30
Vedi ex multis: Cass. 1810/2000; Cass. 15349/2000
31
OBERTO E CARBONE.
19
patologica la quale, data l’ontologica diversità delle due fasi, è assoggettata a regole diverse (secondo
Oberto “la crisi coniugale ha le sue leggi”);
- l’inapplicabilità - da sempre riconosciuta dalla giurisprudenza (proprio da quella giurisprudenza che
sostiene l’indisponibilità dell’assegno di mantenimento) - dell’art. 162 c.c. in ordine alle convenzioni
patrimoniali tra i coniugi agli accordi della crisi coniugale conferma la diversità ontologica tra di esse
riferendosi le prime al normale svolgimento della vita coniugale mentre le seconde allo scioglimento del
vincolo.
- Per ottenere il contributo al mantenimento è necessaria la domanda di parte;
- Gli unici limiti contemplati dal legislatore all’autonomia delle parti sono relativi agli accordi concernenti la
prole rispetto ai quali il Giudice ha anche dei poteri inquisitori;
Per quanto riguarda il punto 4), si rileva quanto segue.
In dottrina ed in giurisprudenza si ritiene ormai pacificamente che sia possibile stabilire la corresponsione del
mantenimento anche con un’elargizione una tantum di denaro o con un trasferimento immobiliare. Tuttavia
se ciò è pacifico, perché espressamente stabilito dal legislatore (vedi quanto si è detto nella prima parte
dell’intervento), per il divorzio non è lo stesso per la separazione.
La ratio della citata disposizione di cui all’art. 5 comma 8 l. div. è da ravvisarsi nel fatto che con il divorzio i
coniugi ritornano ad essere degli estranei, la rottura del loro rapporto diviene irrevocabile e quindi al
legislatore è parso più che mai opportuno dare loro uno strumento che risolva definitivamente ed una tantum
le loro questioni di carattere patrimoniale. Nella separazione, invece, la persistenza del vincolo crea una
tensione tra il perdurare del rapporto personale e l’estinzione di quello patrimoniale.
Tale tensione, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza e secondo parte della dottrina,
determina come conseguenza che l’accordo con cui i coniugi convengano nell’ambito della separazione la
corresponsione una tantum debba ritenersi subordinato alla clausola rebus sic stantibus e dunque alla
rilevanza delle sopravvenienze senza che sia possibile per le parti prevedere una volontà differente che se
espressa, a seconda della rilevanza ad essa attribuita dai coniugi, o sarà considerata tamquam non esset, o
imporrà una rivisitazione dell’intero accordo di separazione32.
Accanto a questo orientamento ve ne è un altro 33 in base a cui anche sotto tale profilo l’autonomia dei
coniugi è massima di conseguenza anche l’accordo di corresponsione una tantum statuito in sede di
separazione produce come effetto la definitività della pattuizione.
32
VINCENZA BARBALUCCA
E
PATRIZIA GALLUCCI , “L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi coniugale”, Giuffrè
Editore, 2012, pag.76 e 77.
33
OBERTO.
20
-CONTENUTO ATIPICO In merito al rapporto tra le intese aventi contenuto atipico ed il provvedimento di omologa (o la sentenza di
divorzio congiunto) si registrano due orientamenti entrambi consolidati.
Il primo è sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, da alcune Corti di merito e da buona parte della
dottrina34. In base ad esso gli accordi dal contenuto atipico possono essere omologati al pari ed unitamente
agli accordi concernenti il contenuto tipico in quanto ne risultano collegati. Sarebbe impossibile scindere la
volontà dei coniugi di separarsi da quella di risolvere anche le loro questioni patrimoniali per giungere ad un
nuovo assetto di vita e quindi dette intese sono omologabili ovviamente se non contrastanti con l’ordine
pubblico, con norme imperative e con il buon costume. Naturalmente l’omologa rende dette statuizioni
assoggettate alla medesima disciplina valevole per le altre disposizioni omologate (le pattuizioni hanno
valore di titolo esecutivo e sono modificabili ai sensi e per gli effetti dell’art. 710 c.p.c.)
Secondo l’altro orientamento, invece, sostenuto dalla maggior parte delle Corti di merito 35 dette intese non
sono omologabili e quindi nemmeno controllabili da parte del Tribunale; anche se inserite nel verbale di
separazione (o nel ricorso congiunto per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio) non ne farebbero
parte e rimarrebbero autonome, perché dotate di causa autonoma e perché collegate in via occasionale e non
necessaria con il contenuto tipico. Si tratta insomma di pattuizioni che resteranno assoggettate alle norme di
diritto comune sui contratti.
2.1.3 – RAPPORTI TRA L’OMOLOGA ED IL CONSENSO DELLE PARTI 36: IL
PROBLEMA DELLA REVOCABILITA’ UNILATERALE DEL CONSENSO
L’art. 158 c.c. statuisce che “la separazione consensuale non ha effetto se non interviene l’omologa del
giudice”.
Il procedimento di separazione consensuale si caratterizza per la fusione che avviene tra una fase
propriamente privatistica (nella quale i coniugi manifestano il proprio consenso alla cessazione della vita
matrimoniale ed alle condizioni atte a regolare la vita da separati sia dal punto di vista personale che
patrimoniale) ed una fase pubblicistica che trova il proprio epilogo nel provvedimento di omologa37.
34
In dottrina, OBERTO, I trasferimenti mobiliari ed immobiliari in occasione di separazione divorzio, in Fam. e diritto,
1995, 155 – 177; CARBONE, I trasferimenti immobiliari; FUSARO, Assetti patrimoniali in occasione della separazione, in
Fam. pers. Succ, 2011; in giurisprudenza Cass. 4306/1997; Cass. 9034/1997; Cass. 5741/2004; Cass. 24321/2007; App.
Milano 12/1/2010; App. Milano 17/2/2011.
35
Trib. Firenze, 20/2/2009; Trib. Napoli1/9/2001; Trib. Milano 6/3/2009; Trib. Pisa 29/4/2009; Trib. Nola 7/12/2011.
36
ARCERI ALESSANDRA, La pianificazione della crisi coniugale: il consenso sulle condizioni della separazione, accordi
a latere e pattuizioni in vista del futuro divorzio, in Famiglia e diritto, 1/2013, pag. 94 e ss..
21
Quanto più si accresca l’importanza attribuita alla fase privatistica tanto più saranno vincolanti e fermi gli
effetti del consenso manifestato; qualora all’opposto si attribuisca rilievo preponderante alla fase di controllo
pubblicistico il valore espresso dai coniugi è destinato a scemare.
In base all’orientamento che valorizza la fase pubblicistica – sostenuto da numerose sentenze di merito – il
consenso prestato dai coniugi nel verbale di separazione è revocabile validamente fino al decreto di omologa
(in quanto il consenso delle parti diverrebbe giuridicamente vincolante solo dopo l’omologa).
Altro orientamento invece distingue tra l’accordo dei coniugi in ordine allo status e l’accordo in relazione
alle altre condizioni: solo in relazione alla separazione l’omologa attribuisce efficacia giuridica mentre gli
altri accordi sono già venuti a giuridica esistenza per effetto del consenso delle parti liberamente manifestato
e quindi non sono più revocabili unilateralmente. Eventuali vizi della volontà dovranno allora essere fatti
valere con le ordinarie azioni previste in ambito contrattuale. In tal senso si è espressa la cassazione in una
isolata ma significativa sentenza 38 nella quale si è negata la legittimità di un ripensamento postumo alla
sottoscrizione sul presupposto che la stessa comporti un impegno vincolante ad addivenire alla separazione.
Ogni eventuale vizio del consenso può e deve essere fatto valere in via di cognizione ordinaria per ottenere
l’annullamento del negozio giuridico già perfezionato mentre non può ricevere considerazione nel
procedimento di volontaria giurisdizione di separazione consensuale.
2.2 – GLI ACCORDI IN VISTA DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO.
GLI ACCORDI A LATERE.
Il contenuto degli accordi di cui si è detto nel paragrafo 2.1.1 del presente lavoro (eccetto per quanto
riguarda, evidentemente, il contenuto strettamente necessario) può anche essere oggetto di intese che non
vengono inserite nell’accordo omologato (o nel ricorso per divorzio congiunto) e che quindi ne rimangono al
di fuori.
37
38
ARCERI ALESSANDRA, op. cit.
Cass. 10932/2008: nel caso di specie il marito pretendeva di inficiare il proprio consenso alle condizioni
precedentemente presentate per l’omologazione al tribunale sostenendo di essere stato costretto a sottoscriverle a causa
della violenza morale della moglie.
22
A tal proposito le classificazioni che vengono fatte sono davvero innumerevoli 39. In un’ottica funzionale alla
presente trattazione, possiamo distinguere da un lato tra le intese preventive fatte in costanza di matrimonio
in vista di una futura ed eventuale separazione e i c.d. accordi a latere (antecedenti, coevi o successivi)
rispetto al verbale omologato e dall’altro tra le intese preventive fatte durante la separazione in vista del
futuro divorzio e gli accordi a latere della sentenza di divorzio.
In merito alla legittimità, ai limiti ed all’efficacia di tali accordi non si registrano uniformità di vedute in
dottrina ed in giurisprudenza essendo un terreno quanto mai “accidentato”. Per quanto riguarda poi
specificatamente la posizione della giurisprudenza riguardo agli accordi a latere rispetto al divorzio ossia gli
accordi preventivi in vista del divorzio si registra una consolidata posizione di assoluta chiusura che viene da
sempre avversata dalla dottrina.
2.2.1
–
GLI
ACCORDI
IN
VISTA
DELLA
SEPARAZIONE:
LIMITI
CONTENUTISTICI, NATURA GIURIDICA E REGIME.
Le pattuizioni in vista di una separazione solo eventuale sono ammesse dalla giurisprudenza con alcuni
limiti.
In primo luogo si richiede la non interferenza: la cassazione (sent. 657/1994) ha ammesso la validità di una
scrittura privata decisamente antecedente rispetto al decreto di omologa con la quale il marito si impegnava a
corrispondere alla moglie una certa somma di denaro anche se questa fosse risultata superiore alla somma
chiesta e riconosciuta dal giudice in sede di separazione. Intervenuta l’omologa per una somma inferiore il
marito ha per qualche tempo corrisposto alla moglie la somma superiore di cui all’accordo chiedendo poi la
compensazione tra i ratei ancora i n corso e le eccedenze già corrisposte. La Cassazione ha rigettato la
richiesta del marito in quanto rimane valido quanto previamente inteso tra i coniugi in quanto non
interferente con la decisione successiva.
In secondo luogo è necessario vengano rispettati i limiti inderogabili ex art. 160 c.c. nonché gli altri principi
pubblicistici come la tutela dei minori: si è ritenuto inammissibile un accordo nel quale vi fosse la rinuncia
preventiva a chiedere la revisione dell’assegno di mantenimento ed anche la fissazione di un assegno per una
somma irrisoria ed inverosimile in quanto ciò implicherebbe una sostanziale rinuncia all’assegno.
39
Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che l’unica categoria di intese “ulteriori” sarebbe quella degli
accordi a latere che possono essere anteriori, coevi o successivi rispetto all’accordo omologato o a quello di cui in
sentenza. Secondo altro orientamento bisogna distinguere tra accordi preventivi che hanno ad oggetto questioni
patrimoniali e/o personali non interferenti con interessi dei minori, in riferimento ai quali è possibile prospettare una
libera negozialità tra i coniugi e accordi interferenti con interessi dei minori che, invece, richiedono il necessario
interevento giudiziale. Secondo altro orientamento ancora (giurisprudenza anni 90) mentre gli accordi coevi o anteriori
sono validi nei limiti della non interferenza con l’accordo omologato quelli successivi sono validi se stabiliscono una
messa a punto ovvero una maggiore rispondenza agli interessi delle parti già tutelati con il controllo giudiziario.
23
In terzo luogo necessitano che una separazione si concretizzi.
In ultima istanza devono avere ad oggetto questioni patrimoniali ma non questioni personali (es.
regolamentazione pattizia della conservazione o perdita del cognome maritale).
Dette intese hanno senz’altro natura negoziale e quindi resteranno regolate dal regime normativo di cui agli
artt. 1321 e ss.
Una questione interessante è costituita dal rapporto tra dette intese e quelle eventualmente stipulate in sede di
separazione oggetto dell’accordo omologato: nel caso in cui siano diverse sarebbe possibile allegare un
inadempimento delle prime attraverso le seconde? A tale quesito è stato data in dottrina 40 risposta negativa in
quanto, in virtù dell’autonomia e libertà negoziale, le pattuizioni omologate – se non assorbono le precedenti
intese – dovranno considerarsi legittimi strumenti di revoca dei precedenti accordi. Per questa ragione la
dottrina citata dubita che siano degli strumenti idonei per tutelare i coniugi, in special modo la parte più
debole.
2.2.2 – GLI ACCORDI A LATERE NELLA SEPARAZIONE
In generale per accordi a latere si intende fare riferimento a quelli accordi tra coniugi che intervengano
prima, durante o dopo l’accordo omologato e che non vengono inseriti nell’accordo omologato. Essi hanno
natura negoziale, non sono titoli esecutivi e non sono opponibili a terzi. Essi possono avere – eccettuato il
contenuto strettamente necessario – tutti i possibili contenuti di cui si è detto in precedenza con riferimento
agli accordi in sede giudiziale.
Anche in relazione a tali accordi si è avuta un’evoluzione giurisprudenziale in ordine alla loro ammissibilità
ed al loro possibile contenuto.
Nel corso degli anni 80, infatti, si registravano molte pronunce assolutamente contrarie a tali accordi – che
venivano reputati nulli – sul presupposto che l’omologazione costituisse la condizione di efficacia di
qualsiasi accordo tra i coniugi.
A partire dagli anni novanta, invece, si è registrata un’apertura significativa in giurisprudenza rispetto a
questi accordi, riconosciuti validi pur se nei limiti dell’art. 160 c.c. Successivamente la giurisprudenza di
legittimità ha precisato i limiti e gli elementi caratterizzanti di questi accordi.
40
VINCENZA BARBALUCCA E PATRIZIA GALLUCCI , op. cit., pag. 48.
24
In proposito si ritiene fondamentale una sentenza del 2005 41 la quale ha consentito di chiarire che gli accordi
antecedenti (di poco antecedenti) e coevi sono validi se trattasi di accordi volti a migliorare e/o integrare ma
comunque non a peggiorare l’accordo omologato attuando un adeguato bilanciamento di tutti gli interessi
coinvolti e garantendone la maggiore e migliore tutela senza interferire con l’accordo omologato. Mentre gli
accordi successivi anch’essi ammissibili in quanto espressione dell’autonomia negoziale delle parti sono
validi nei più ampi limiti di cui agli art. 160 c.c. e 1322 c.c. e ss.
Sebbene questo sia l’orientamento prevalente della Corte di legittimità, vi è una parte consistente dei
Tribunali di merito che ritiene che dette intese debbano necessariamente essere sottoposte al vaglio del
Tribunale con il procedimento di cui all’art. 710 c.p.c.
Vi è poi una parte della dottrina che propone di distinguere tra accordi di tipo patrimoniale, validi ed efficaci
a prescindere dall’omologa, ed accordi di tipo personale da sottoporsi invece al vaglio del Tribunale.
Altra parte della dottrina, invece, li ritiene perfettamente validi ed ammissibili e non omologabili:
ovviamente in caso di invalidità di tali accordi in base alla normativa sui contratti verrebbe a rivivere
l’accordo omologato.
Una questione molto delicata è quella riguardante le intese modificative successive che abbiano ad oggetto la
prole minorenne42: potrebbe sembrare irragionevole pretendere l’effettuazione di un controllo preventivo
necessario in fase di omologazione con possibilità di controllo nel merito e poi ammettere una libera
modificabilità successiva per accordo delle parti a prescindere da ogni vaglio giurisdizionale.
Si tratta della sentenza n. 20290 del 2005. Il caso esaminato riguarda dei coniugi che alcuni giorni prima
41
dell’omologa avevano convenuto con una scrittura privata che qualora la moglie avesse liberato la casa del marito entro
una certa data, quest’ultimo l’avrebbe venduta al migliore offerente e comunque ad un prezzo non inferiore a 200
milioni di vecchie lire e ne avrebbe dato la metà al coniuge. Nelle intese omologate la casa familiare (di proprietà del
marito) veniva affidata alla molie affidataria della figlia minore. Decorso il termine stabilito nell’accordo a latere per il
rilascio dell’immobile il marito lo vendeva e tratteneva l’importo conseguente, ritenendo inadempiente la moglie. La
moglie conveniva in giudizio il marito chiedendo la metà del valore dell’immobile venduto come pattuito nell’accordo a
latere. Perdeva in primo grado ma vinceva in Appello e Cassazione. Nella parte motiva la cassazione ha affermato: “ le
pattuizioni precedenti o coeve all’accordo omologato sono operanti solo se si collocano, rispetto a quest’ultimo, in una
posizione di non interferenza, poiché riguardano un aspetto che non è disciplinato dall’accordo formale e che è
sicuramente compatibile con esso, in quanto non modificativo della sostanza e dei suoi equilibri, ovvero perché hanno
un
carattere di disciplina meramente specificativa e quindi secondaria, in una posizione di conclamata ed
incontestabile maggiore o uguale rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo ex art. 158 c.c.”. Detta
sentenza ha poi affrontato anche il tema degli accordi successivi all’accordo omologato sancedone la validità e
l’efficiacia con l’unico limite del rispetto dei principi di cui all’art. 160 c.c.
42
ARCERI ALESSANDRA
25
Sul punto si registra un orientamento di totale chiusura che richiede in tal caso necessariamente l’intervento
giudiziale ed un orientamento possibilista che rileva come ritenere tout court illegittime le intese dei genitori
riguardo ai loro figli minori solo perché successive a quanto statuito in sede di omologa si traduca in un
atteggiamento punitivo nei confronti dei genitori costretti a ricorrere al Giudice per ogni più insignificante
modifica delle condizioni raggiunte (in palese contrasto con la ratio delle modifiche introdotte con la l.
54/2006 sull’affido condiviso).
Dal punto di vista causale gli accordi a latere hanno una causa autonoma rispetto alla separazione e sono di
volta in volta qualificabili o come negozi tipici (es. transazione) o come negozi atipici aventi una causa
latamente familiare (opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza) ed essendo, a seconda dei casi, a
titolo gratuito od oneroso.
2.2.3 – GLI ACCORDI A LATERE NEL DIVORZIO OVVERO GLI ACCORDI IN
VISTA DEL FUTURO DIVORZIO.
L’ambito di riconosciuta discrezionalità realizzabile attraverso le intese correlate o correlabili alla
separazione trova un drastico ridimensionamento in relazione al divorzio.
L’orientamento assolutamente prevalente e consolidato in giurisprudenza – peraltro fortemente avversato in
dottrina – ritiene radicalmente nulli gli accordi tra i coniugi in vista di un eventuale e futuro divorzio.
Le motivazioni addotte dalla giurisprudenza a sostegno di tale assunto sono:
-
Nullità per illiceità della causa ex art. 1343 c.c. ed in particolare per violazione del principio di
ordine pubblico che dà fondamento al principio di non disponibilità dello status. In senso contrario si
rileva come in materia di divorzio non sia possibile parlare di mercificazione di status in quanto il
diritto al divorzio è un diritto insopprimibile della parte attuabile anche nell’opposizione dell’altro
coniuge e rispetto a cui il Tribunale disponendo poteri d’ufficio ed inquisitori.
-
Nullità per violazione del diritto di difesa: detto diritto sarebbe pregiudicato in modo inammissibile
se si ammettesse la possibilità di negoziare preventivamente l’oggetto del processo limitando la
facoltà delle parti di presentare istanze istruttorie e di merito. A tale argomentazione si è replicato
che a fugare ogni possibile dubbio circa la coartazione delle parti sarebbe sufficiente dare rilievo al
loro atteggiamento processuale ed in particolare se persistano a voler regolamentare nel modo
pattuito quanto è stato oggetto della preventiva negoziazione.
-
Nullità perché avrebbero ad oggetto diritti che ancora non esistono nel patrimonio del disponente. A
ciò si è replicato che nel nostro ordinamento sono liberamente e validamente disponibili anche diritti
futuri salvi i divieti espressamente stabiliti dalla legge ed è anche possibile fare accordi per prevenire
26
l’insorgere della lite. Peraltro non si dovrebbe parlare di rinuncia ma di rifiuto all’acquisto ovvero di
esercizio del diritto di mantenere il proprio patrimonio nella stessa composizione in cui si trova.
-
Nullità degli accordi riguardanti l’assegno divorzile in ragione della sua natura assistenziale o quasi
alimentare che lo inserisce nel novero dei diritti indisponibili di cui al combinato disposto di cui
all’art. 160 e 143 c.c. Indisponibilità che emerge anche dalla valutazione di equità che deve fare il
giudice in caso di una tantum. In senso contrario vedi argomentazioni già citate infra par. 2.1.2.
Come si diceva la posizione della giurisprudenza è fortemente avversata in dottrina che, oltre alle
argomentazioni già richiamate in relazione ad ogni singola tesi di nullità, in linea generale ritiene:
-
che è irragionevole precludere qualsiasi negoziazione in ordine ad un futuro divorzio anche alla luce
del fatto che nel divorzio a conclusioni congiunte i coniugi rassegnano richieste sulle quali
preventivamente vi è stato un accordo senza che l’ordinamento si preoccupi di stabilire quando e
come questo accordo è intervenuto. Per cui non si ravvisa quale sia la differenza tra le due fattispecie
una non solo ammessa ma normativamente prevista e l’altra considerata nulla.
-
Che se fosse un principio inderogabile il divieto di disporre preventivamente dei diritti relativi al
divorzio la possibilità – normativamente prevista – di accordarsi per l’una tantum ne costituirebbe
una violazione in quanto è ovvio che tale accordo intervenga prima del divorzio.
-
Che se si accerta che le attribuzioni patrimoniali stabilite in precedenza non costituiscono il prezzo
del consenso ad un divorzio che, in difetto, si sarebbe voluto a condizioni diverse si deve escludere
ogni contrarietà di tali accordi con i principi cardine dell’ordinamento. In altre parole questo
orientamento suggerisce di valorizzare anche in questo ambito i principi cardine del diritto dei
contratti della correttezza e della buona fede.
Va detto che negli ultimi anni la Suprema Corte 43 ha manifestato un prudente ridimensionamento del proprio
orientamento anche alla luce delle critiche mosse dalla dottrina sull’inadeguatezza del rimedio della nullità a
proteggere il coniuge debole. La nullità infatti colpisce indistintamente anche gli accordi a latere che sono
più vantaggiosi per il coniuge debole. La Corte ha quindi precisato che l’orientamento consolidato della
nullità - che mantiene in ogni caso fermo - è sorto in relazione a fattispecie nelle quali il coniuge obbligato
all’assegno
faceva valere le intese preventive per paralizzare o ridimensionare la domanda dell’altro
coniuge. In buona sostanza la Corte è arrivata a legittimare una sorta di nullità relativa azionabile solo dal
coniuge più debole e non dal soggetto onerato dall’accordo (con ciò implicitamente abbandonando
l’argomento della nullità per illiceità della causa che opererebbe sempre e comunque).
43
Cass. 8109/2000; conf. Cass. 2492/2001.
27
In chiusura è doveroso fare riferimento ad una recente pronuncia del Tribunale di Torino (del 20.04.2012)
nella quale si sono espressamente prese le distanze dal consolidato orientamento che considera nulli gli
accordi in vista del divorzio.
In detta sentenza il Tribunale ha così concluso: “ Pare quindi possibile e corretto affermare che ben possa
essere ritenuto valido, anche alla luce della vigente normativa e con un’interpretazione aderente a quei
canoni di correttezza e di buona fede che come detto caratterizzano in modo stabile i più recenti impianti
normativi, un accordo quale quello stipulato nel caso di specie dai coniugi in cui entrambe le parti in piena
autonomia e libertà convennero che la cessazione della contribuzione da parte del marito al momento del
deposito della richiesta di divorzio”.
3 – I DIRITTI SUCCESSORI DEGLI EX CONIUGI NELLA
SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO
3.1. – I DIRITTI SUCCESSORI DEL CONIUGE SEPARATO
La norma di riferimento è l’art. 548 44 c.c. (collocato topograficamente nella parte relativa alla successione
necessaria) il quale statuisce che: “Il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata
in giudicato, ai sensi del secondo comma dell’art. 151 c.c., ha gli stessi diritti successori del coniuge non
separato. Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto
soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a
carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità ed al numero
degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La
medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi”.
L’equiparazione, dal punto di vista successorio, del coniuge separato a cui non sia addebitabile la separazione
ed il coniuge non separato fa sì che sia applicabile anche la disposizione di cui all’art. 540, comma 2, c.c.
ossia che ad egli spetti il diritto reale di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano.
E’ chiaro che nel caso di coniugi separati può essere un problema individuare quale sia la casa familiare.
Secondo alcuni non sarebbe proprio individuabile (e quindi la disposizione de qua non sarebbe in concreto
applicabile) in quanto per casa familiare deve intendersi solo la casa di comune residenza al momento
dell’apertura della successione.
Secondo altri bisognerebbe invece guardare all’ultima residenza che fu comune anche se non lo è più al
momento dell’apertura della successione.
44
Analoga disposizione è contenuta anche nell’art. 585 c.c. che disciplina la successione legittima.
28
La soluzione maggiormente condivisa in dottrina e giurisprudenza consiste nell’indicare come casa di
residenza familiare quella che fu comune ed in cui il coniuge sopravvissuto si trovi ancora al momento
dell’apertura della successione o perchè rimastovi di fatto o perché titolare di un provvedimento di
assegnazione; c’è poi chi estende ulteriormente l’ambito di applicazione della norma ritenendola operante
anche nel caso in cui il premorto vivesse in quella che un tempo era la casa coniugale.
Per quanto riguarda il coniuge cui sia stata addebitata la separazione titolare dell’assegno alimentare viene
disposto un assegno vitalizio: tale assegno è commisurato alle sostanze ereditarie, a qualità e numero degli
eredi legittimi e non è comunque di entità superiore alla prestazione alimentare goduta. Trattasi di un legato
obbligatorio ex lege, avente natura alimentare. In dottrina a riguardo si fanno le seguenti considerazioni:
benché il coniuge separato con addebito non possa considerarsi legittimario nell’accezione tradizionale del
termine, e dunque non faccia numero ai fini del calcolo della legittima, il riconoscimento dell’assegno
vitalizio, legato a rigorosi presupposti, deve farsi rientrare nel novero dei diritti “riservati” ai più stretti
congiunti del de cuius, imponendosi siffatta attribuzione anche su una diversa e contraria volontà del
testatore. In altri termini, il coniuge cui sia stata addebitata la separazione, purché abbia goduto degli
alimenti al tempo dell’apertura della successione, matura il diritto al legato in oggetto anche laddove il
testatore nulla abbia disposto in tal senso, ed anche nel caso in cui, nella scheda testamentaria, tali diritti
siano stati espressamente esclusi. Appare, pertanto, possibile parlare, in una accezione del tutto peculiare, di
riserva anomala prevista dal legislatore a beneficio di questo soggetto.
3.2 – I DIRITTI SUCCESSORI DEL CONIUGE DIVORZIATO
L’art. 9 della l. 898/1970 (in vigore dal 12 marzo 1987) statuisce dal secondo comma:
2. In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di
reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli
effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai
sensi dell'art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento
pensionistico sia anteriore alla sentenza.
3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della
pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del
rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli
effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5. Se in tale condizione si trovano
più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i
restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze.
4. Restano fermi, nei limiti stabiliti dalla legislazione vigente, i diritti spettanti a figli, genitori o collaterali
in merito al trattamento di reversibilità.
29
5. Alle domande giudiziali dirette al conseguimento della pensione di reversibilità o di parte di essa deve
essere allegato un atto notorio, ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, dal quale risultino tutti gli aventi
diritto. In ogni caso, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica la tutela, nei confronti dei
beneficiari, degli aventi diritto pretermessi, salva comunque l'applicabilità delle sanzioni penali per le
dichiarazioni mendaci.
L’art. 9 bis della medesima legge statuisce inoltre:
1. A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma
dell'art. 5, qualora versi in stato di bisogno, il Tribunale, dopo il decesso dell'obbligato, può attribuire un
assegno periodico a carico dell'eredità tenendo conto dell'importo di quelle somme, della entità del bisogno,
dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e
delle loro condizioni economiche. L'assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 sono
stati soddisfatti in unica soluzione.
2. Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in unica soluzione. Il diritto
all'assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora
risorga lo stato di bisogno l'assegno può essere nuovamente attribuito.
Al coniuge divorziato titolare dell’assegno divorzile, in caso di decesso dell’ex coniuge, spetta la pensione di
reversibilità (od una quota della stessa) ed un assegno periodico a carico dell’eredità: di seguito si cercherà di
chiarire la portata concreta di tali norme attraverso un’analisi delle principali questioni interpretative sorte in
merito in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza.
3.2.1 – IL DIRITTO ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITA’
I presupposti perché il coniuge divorziato abbia diritto alla pensione di reversibilità sono dunque:
-
L’assenza di un coniuge superstite del de cuius;
-
La titolarità effettiva pregressa dell’assegno divorzile: secondo l’orientamento dominante è
necessario che l’assegno divorzile sia stato attribuito con provvedimento giurisdizionale e non
rientrano in tale categoria i provvedimenti temporanei ed urgenti previsti dall’art. 4 n. 8 l. div. 45 E’
quindi irrilevante tanto che ci siano solo i presupposti in astratto per averne diritto quanto le
erogazioni sporadiche o continuative tra i coniugi. In senso contrario parte della dottrina
(MORETTI, RUBINO).
-
Non avere contratto nuove nozze: deve quindi escludersi la rilevanza a questi fini della convivenza
more uxorio.
45
Vedi in tal senso Cass. 13899/2010.
30
-
Il rapporto di lavoro da cui trae origine il rapporto pensionistico deve essere anteriore alla sentenza
di divorzio.
In questa ipotesi il diritto alla pensione di reversibilità sorge in via autonoma in capo all’ex coniuge quale
conseguenza di un’aspettativa maturata durante la vita matrimoniale. Si tratta di un diritto di natura
previdenziale che deriva dalla legge e che non necessita di una pronuncia giudiziaria che in ogni caso ha
natura meramente dichiarativa.
Nel caso invece vi sia un coniuge superstite del de cuius in presenza degli altri tre presupposti di cui sopra
l’ex coniuge avrà diritto ad una quota, in concorso con il coniuge superstite, della pensione di reversibilità. In
tal caso è necessaria una pronuncia giudiziaria che ha natura discrezionale ma che non può spingersi fino a
negare del tutto l’attribuzione ad uno dei due aventi diritto.
IL criterio di ripartizione indicato dalla legge è “la durata del rapporto”.
Non vi è però uniformità di vedute su cosa debba intendersi per durata del rapporto: secondo una parte della
giurisprudenza si deve fare riferimento all’intero periodo in cui i coniugi sono stati legati da vincolo
matrimoniale (compreso quindi il periodo di separazione personale). Secondo altri andrebbe invece
considerato solo il periodo di effettiva convivenza ad esclusione del periodo di separazione personale;
secondo altro orientamento bisognerebbe anche considerare gli anni di convivenza more uxorio poiché la
norma parla di “rapporto”.
Altra questione problematica riguarda l’utilizzabilità in via esclusiva o in concorso con altri parametri del
criterio della durata del rapporto normativamente indicato.
Sul punto esiste una pronuncia a sezioni unite della cassazione 46 la quale ha non solo statuito che la durata
del rapporto è l’unico criterio cui fare riferimento ma anche che per durata del rapporto si intende quella
legale (con esclusione della convivenza more uxorio e con inclusione del periodo di separazione personale).
Secondo altro orientamento invece la durata del rapporto sarebbe il criterio prevalente ma non esclusivo 47;
insieme ad esso possono essere presi in considerazione anche l’ammontare dell’assegno di divorzio, le
condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, l’eventuale esistenza di un periodo di convivenza
prematrimoniale del secondo coniuge, la durata dell’arco temporale in cui il rapporto matrimoniale è
coinciso con il rapporto contributivo dal quale sono derivati l’erogazione pensionistica e la sua reversibilità.
46
Cass. SSUU 159/1998; conf anche Cass. 7329/1999; Cass. 5926/2000.
47
Cass. 10575/2008; Cass. 10669/2007; Cass. 23379/2004; Cass. 15164/2003; Cass. 3037/2001; Cass. 491/2000; Cass.
8113/2000; Cass. 2920/2000; Corte Cost 419/99 la quale ha statuito che “l’elemento temporale, pur costituendo
momento imprescindibile dell’apprezzamento del giudice, non è elemento esclusivo dello stesso sì che tale valutazione
non si reduce ad un mero calcolo aritmetico; Cass. 8477/1997.
31
Secondo altro orientamento ancora la durata del rapporto sarebbe un criterio equivalente agli altri48.
Deve infine citarsi un’importante pronuncia 49 nella quale si è ritenuta rilevante la convivenza more uxorio tra
il coniuge deceduto ed il coniuge superstite a condizione che la convivenza sia caratterizzata dalla stabilità,
dall’effettiva comunione di vita, dall’esercizio di diritti e doveri connotati da reciprocità e corrispettività.
La Corte Cost (sent. 461/2000) ha escluso che il convivente more uxorio possa essere considerato tra i
soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità.
L’orientamento maggioritario di dottrina e giurisprudenza 50 sostiene che la pensione di reversibilità non
possa essere riconosciuta in caso di assegno liquidato una tantum per scelta dei coniugi ai sensi dell’art. 5,
comma 8 l.div.: tale modalità di erogazione dell’assegno divorzile, infatti, esclude qualsiasi domanda
successiva di natura economica ivi compresa, appunto quella di reversibilità
In senso contrario invece Cass. 170181/2003 e Cass. 13108/2010. In quest’ultima pronuncia si è sostenuto
che , l'indicazione di qualsiasi prestazione, anche se contenuta nell'accordo divorzile ex art. 5 comma 8 della
legge 898/70 ed anche se duratura oltre la morte dell'onerato, è di fatto equiparabile ad un assegno e pertanto
- ove l'ex coniuge non sia passato a nuove nozze - concorre a determinare il diritto alla reversibilità o a quota
di essa se in concorso con un coniuge superstite (nel caso di specie era stato riconosciuto all’ex coniuge il
diritto di usufrutto su un immobile al posto dell’assegno divorzile).
Qui il conflitto si pone con la seconda famiglia.
3.2.2 – L’ASSEGNO PERIODICO A CARICO DELL’EREDITA’
I presupposti normativamente previsti per il sorgere del diritto all’assegno periodico a carico dell’eredità a
favore dell’ex coniuge sono:
a) La titolarità dell’assegno divorzile: secondo alcuni è necessaria l’assegnazione con provvedimento
giurisdizionale secondo altri sarebbe sufficiente l’astratta sussistenza dei presupposti per averne
diritto.
b) La morte dell’ex coniuge obbligato alla corresponsione;
c) Lo stato di bisogno dell’ex coniuge superstite: la maggior parte degli interpreti considera lo stato di
bisogno come avente natura duratura e non istantanea in quanto deve permanere nel tempo affinchè
48
Cass. 3484/1997; Cass. 7243/1995; Cass. 5910/1995; Cass. 181371991.
49
Cass. 15148/2003.
50
Vedi ex plurimis Cass. 10458/2002.
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il relativo diritto all’assegno successorio possa essere conservato. Si discute molto su cosa debba
intendersi per “stato di bisogno”.
Secondo l’orientamento maggioritario della dottrina 51 lo stato di bisogno è quello alimentare ossia
l’assenza di mezzi indispensabili al soddisfacimento dei bisogni primari dell’ex coniuge superstite
senza però che si ritenga necessario accertare che l’indigenza sia incolpevole. Di qui l’ulteriore
conseguenza che sarebbero applicabili almeno in parte le norme relative agli alimenti.
Secondo altro orientamento dottrinale 52 invece con l’assegno successorio bisogna per quanto
possibile erogare un beneficio economico che tenga conto del precedente assegno post matrimoniale
parametrato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Secondo altro orientamento 53, per così dire mediano, il giudice deve apprezzare con cautela lo stato
di bisogno senza esigere uno stretto stato di necessità per non restringere eccessivamente la tutela del
divorziato economicamente debole.
In giurisprudenza si registrano pronunce oscillanti tra i sopraindicati orientamenti.
Una questione sulla quale la dottrina si è molto affaticata è quella concernente la natura giuridica
dell’assegno a carico dell’eredità.
La tesi prevalente ritiene che detto assegno abbia natura ereditaria e che sia un legato ex lege sebbene sui
generis in quanto la sua nascita è eventuale, occorrendo lo stato di bisogno del suo titolare, il suo oggetto è
variabile e necessita per la sua determinazione del ruolo mediatore o del giudice o degli eredi obbligati, non è
un acquisto definitivo in quanto la sua permanenza è legata al protrarsi dello stato di bisogno ed al mancato
passaggio a nuove nozze da parte del beneficiario.
Secondo alcuni l’assegno successorio costituirebbe un diritto di riserva legittima sui generis: sui generis,
perché l’ex coniuge non è un parente del de cuius.
Chi aderisce a tale orientamento ammette che il de cuius possa disporne con un legato in sostituzione di
legittima o che egli possa prevedere un attribuzione testamentaria non sostitutiva a favore dell’ex coniuge
(fatta salva in tal caso, se non sufficiente a soddisfare lo stato di bisogno, la pretesa dell’ex coniuge di averla
in aggiunta all’assegno successorio).
51
AULETTA, Alimenti e solidarietà familiare, Mialno, 1984, 118; SCALISI, sub art. 3, l. 436/1978, in NLCC, 1979;
CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Trattato Rescigno, V, 1, Torino, 1984.
52
BIANCA, sub art. 9 bis l.div., in Comm. Cian – Oppo – Trabucchi, 1993.
53
BARBIERA, Il divorzio dopo la riforma; DOSSETTI, Gli effetti della pronuncia di divorzio.
33
Sempre muovendo da questo orientamento si ritiene che nel caso in cui il de cuius disponga negativamente
riguardo al coniuge beneficiario questa disposizione non avrebbe alcun pregio giuridico essendo per un verso
inutile in quanto all’ex coniuge nulla compete a titolo ereditario al di fuori di questo assegno e per altro verso
irrilevante perché al testatore non può derogare alla norma che contempla detto assegno che è cogente.
In dottrina si è poi escluso che competano all’ex coniuge da un lato il diritto di opposizione alla donazione
disposta in vita dal donante ex art. 563, 4 comma c.c. e dall’altro il diritto di partecipare al patto di famiglia.
Egli infatti può esperire nei confronti degli eredi e dei legatari (e secondo un certo orientamento anche dei
donatari) solo un’azione personale e non reale qual è quella di riduzione.
Per quanto riguarda i soggetti obbligati all’adempimento si rileva quanto segue.
Sicuramente obbligati sono gli eredi; si discute se detto diritto possa essere fatto valere anche contro legatari
e donatari, registrandosi in proposito opinioni differenti in dottrina.
In tutti i casi non si dubita che l’assegno successorio non possa intaccare i diritti dei legittimari i quali
pertanto sono tenuti solo nei limiti della porzione disponibile. L’assegno dunque grava solo sui soggetti
beneficiari della disponibile. Ed allora: soddisfatti i creditori del de cuis, tacitate le ragioni dei legittimari, la
somministrazione dell’assegno successorio graverà innanzitutto sugli eredi ed i legatari subentranti nella
disponibile; successivamente ove residuino aspettative del titolare dell’assegno successorio sui donatari a
partire dai destinatario dell’ultima donazione in ordine di tempo. Per chi esclude l’aggiunta dei beni donati si
arriva alla conclusione che, laddove il defunto abbia donato l’intera disponibile, nessuna pretesa potrà essere
avanzata contro gli eredi dall’ex coniuge superstite.
Secondo l’opinione prevalente in caso di più obbligati l’obbligazione di prestare l’assegno successorio non è
solidale ma parziaria.
Per quanto riguarda la quantificazione dell’assegno successorio il giudice dovrà considerare:
a) L’ammontare dell’assegno di divorzio;
b) L’entità del bisogno di questo soggetto: è questo il criteri centrale nella logica interna del sistema
dell’assegno successorio. Per accertare le condizioni economiche dell’ex coniuge superstite
bisognerà considerare sia i suo redditi sia i cespiti patrimoniali di cui sia titolare oltre che l’attitudine
di quel soggetto allo svolgimento di un’attività professionale o lavorativa
c) Eventuale pensione di reversibilità,
d) Le sostanze ereditarie: per alcuni tali sostanze vanno determinate ai sensi dell’art 556 c.c. e quindi si
deve tenere conto oltre che del relictum anche del donatum; per altri invece si devono escludere
queste ultime.
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e) Il numero e la qualità degli eredi
f) Le condizioni economiche di questi ultimi.
Il secondo comma dell’art. 9 bis stabilisce la possibilità di corrispondere in un’unica soluzione l’assegno
successorio mediante pagamento di una somma capitale o per il tramite di un trasferimento, costituzione di
un diritto reale se vie è un accordo in tal senso tra le parti.
Detto accordo può avvenire sia al momento dell’apertura della successione sia in seguito, dopo che è stata
determinata la misura dell’assegno.
La disposizione in commento non prevede, a differenza di quella omologa dettata per l’assegno divorzile, il
controllo giudiziale di equità: per quella dottrina che ritiene imprescindibile il ricorso al Tribunale per la
determinazione del quantum dell’assegno il problema non si pone; mentre per quella dottrina che ammette la
determinabilità convenzionale dell’ammontare dell’assegno si richiede di ricorrere al Tribunale solo per il
vaglio di equità applicando in via analogica in parte qua la normativa sull’assegno divorzile.
In tal caso possono esserci conflitti tra il titolare dell’assegno ed i componenti della prima e/o della seconda
famiglia ed in generale con gli altri eredi sulla cui quota grava il diritto dell’ex coniuge.
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