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Salute e sicurezza dei lavoratori in ospedale
SALUTE E SICUREZZA DEI LAVORATORI IN OSPEDALE Indicazioni per un progetto di promozione della salute Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della salute Centro di Coordinamento della Rete Italiana degli Ospedali per la Promozione della salute OSPEDALI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE una rete dell'O.M.S. Rete regionale veneta Centro di coordinamento della Rete Italiana degli Ospedali per la Promozione della Salute La Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute PROGETTO REGIONALE N. 19/10/96 Responsabile scientifico: dott. Carlo Favaretti c/o Direzione Generale Azienda ULSS n. 19 - Regione del Veneto Via Badini, 57 - 45011 Adria RO tel. 0426 - 940513 fax 0426 – 900901 e-mail [email protected] http://www.retehph.it A cura di: Paolo De Pieri INDICE Prefazione capitolo 1 La Rete degli Ospedali per la Promozione della Salute pag. 1 capitolo 2 La prevenzione del rischio biologico tra il personale ospedaliero pag. 10 capitolo 3 Prevenire le patologie del rachide negli operatori sanitari pag. 18 capitolo 4 La gestione del rischio connesso alla manipolazione e somministrazione dei farmaci antineoplastici pag. 24 Allegati pag. 33 PREFAZIONE Con l'attuazione delle direttive europee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, contenuta nel decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, è stato fatto un ulteriore passo avanti nella tutela della salute dei singoli e delle comunità. L'applicazione del citato decreto legislativo rappresenta quindi un'attività molto importante per le Aziende Sanitarie della nostra Regione, sia sul versante esterno della vigilanza, che su quello del miglioramento delle condizioni lavorative all'interno delle Aziende stesse. Il movimento degli Ospedali per la Promozione della Salute rappresenta il tentativo promosso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità di introdurre nell'area dell'assistenza ospedaliera i principi e i metodi della promozione della salute e degli “healthy settings”. Coinvolgere gli ospedali in questo processo significa non solo realizzare progetti educativi rivolti ai pazienti ricoverati, ma soprattutto favorire tutti quegli interventi strutturali, organizzativi, normativi, assistenziali, informativi, economici e di pressione sociale che danno a tutti i clienti dell'ospedale (cioè ai pazienti, al personale che vi opera e alla comunità servita) i mezzi per aumentare il proprio livello di salute. L'adesione alla Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute comporta quindi, per le 19 Aziende Sanitarie della nostra Regione che vi partecipano, la realizzazione di specifiche iniziative di promozione della salute che, integrandosi con le attività già svolte per l'attuazione della normativa vigente, rappresentino il valore aggiunto che deriva dalla partecipazione a questa esperienza internazionale. Inoltre queste specifiche iniziative di promozione della salute potranno essere il riferimento anche per le altre Aziende Sanitarie che non aderiscono alla Rete Veneta e per g!i ospedali delle altre Regioni. Nei tre progetti descritti in questa pubblicazione vengono gettate le basi per poter implementare alcuni aspetti particolari della normativa vigente dentro la cornice più ampia della promozione della salute, riconosciuta ormai a livello internazionale come una delle strategie più efficaci per migliorare la salute dei singoli e delle comunità. La Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute, sta sperimentando da qualche anno molti progetti che cercano di implementare questa innovativa modalità di assistenza. Tale attività risulta particolarmente interessante, anche alla luce del coinvolgimento della nostra Regione nel movimento delle “Regioni per la salute” promosso dall'Ufficio Europeo della Organizzazione Mondiale della Sanità e del ruolo di primo piano che la stessa Rete Veneta sta svolgendo per lo sviluppo della Rete Italiana degli Ospedali per la Promozione della Salute. Prof. Iles Braghetto Assessore alle Politiche Sanitarie della Regione del Veneto capitolo 1 LA RETE DEGLI OSPEDALI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE Paolo de Pieri, Carlo Favaretti 1 LA RETE DEGLI OSPEDALI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE 3. rafforzare l’azione della comunità; 4. sviluppare le abilità personali; 5. riorientare i servizi sanitari. L’ospedale può giocare un ruolo in tutte queste azioni strategiche: tuttavia l’ultima, cioè il riorientamento dei servizi sanitari, interessa particolarmente l’ospedale e rappresenta una delle novità più importanti introdotte dalla promozione della salute. Infatti per attivare i processi che forniscono alle persone i mezzi per assicurare un maggior controllo sulla propria salute e per migliorarla non basta riorganizzare le strutture esistenti, riordinarle, tentare di eseguire in maniera più efficiente e magari più efficace quello che già si stava facendo prima, ma è necessario dare una nuova direzione agli sforzi dell’intero sistema di tutela della salute, di cui l’ospedale è una delle parti. Un esempio di questo nuovo atteggiamento può essere identificato nel processo di riforma del Sistema Sanitario Nazionale inglese: assodato che la salute dei singoli e delle comunità non dipende solo dalle strutture sanitarie ma dall'ambiente totale nel suo complesso, le autorità britanniche hanno proposto di sperimentare le Health Action Zones. All'interno di queste aree geografiche verranno sviluppate specifiche iniziative tese a collegare tra di loro le organizzazioni che sono dentro e fuori il Sistema Sanitario, in modo da riuscire a sviluppare e implementare una strategia locale condivisa per migliorare la salute di quella comunità . Anche il Piano di Zona dei Servizi Socio-Sanitari, previsto dalla legislazione regionale veneta, rappresenta un altro esempio di come sia possibile e necessario stabilire delle alleanze tra i soggetti istituzionali e non, il cui operato ha una conseguenza diretta sullo stato di salute dei singoli e delle comunità. L'esperienza culturale e operativa degli Ospedali per la Promozione della Salute si ispira al «setting-based approach», LA PROMOZIONE DELLA SALUTE Una pietra miliare nella definizione della promozione della salute è rappresentata dalla «Carta di Ottawa per la Promozione della Salute»: secondo tale documento, che rappresenta l’atto conclusivo della 1° Conferenza Internazionale sulla promozione della salute svolta nel 1986, la promozione della salute «è il processo che fornisce alle persone i mezzi per assicurare un maggior controllo sulla propria salute e per migliorarla». Questa definizione è stata confermata in un recentissimo Glossario che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato per chiarire ulteriormente il significato dei termini correlati alla promozione della salute e per assicurare che essi vengano utilizzati nello stesso modo in ogni parte del mondo. La «Carta di Ottawa» identifica tre attività essenziali della promozione della salute, che possono essere così definite: 1. difendere, sostenere la causa della salute (to advocate for health), per modificare in senso favorevole i fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici che possono influenzare la salute; 2. mettere in grado (to enable) le persone e le comunità di raggiungere appieno il loro potenziale di salute; 3. mediare tra gli interessi contrapposti nella società (to mediate) perchè la salute sia sempre considerata da tutti i settori della società stessa. La «Carta di Ottawa» identifica anche cinque azioni strategiche per promuovere la salute: 1. costruire una politica pubblica per la salute; 2. creare ambienti favorevoli alla salute; 2 3) per essere efficaci, l’azione della promozione della salute e i processi decisionali devono porre al centro le persone; 4) l’accesso all’istruzione e all’informazione è essenziale per ottenere una partecipazione efficace e per il potenziamento delle abilità per la salute delle persone e delle comunità; 5) la promozione della salute è un «investimento chiave» e un elemento essenziale dello sviluppo della salute. Oltre alla Rete degli Ospedali per la Promozione della Salute, attualmente esistono altre Reti di setting per la promozione della salute che vengono supportate dall'Ufficio Europeo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: il Progetto Città Sane, la Rete delle Scuole per la Promozione della Salute e la Rete delle Regioni per la Salute. Un tipo di Rete analoga che si occupa degli ambienti di lavoro viene invece promossa dall'Unione Europea. all’approccio basato sugli ambienti organizzativi. Questo approccio valorizza l'importanza di un ambiente organizzativo nel determinare la salute delle persone, attraverso la creazione di un ambiente totale favorevole, la realizzazione di strutture e l'attuazione di scelte organizzative sane, l'educazione delle persone, il potenziamento delle loro abilità nel costruire la loro stessa salute. Esempi di setting possono essere la scuola, la fabbrica, l’ospedale e la città. Va detto che il concetto di setting, di ambiente organizzativo è più ampio di quello che potrebbe derivare dalla semplice traduzione letterale: infatti non ci si riferisce solo al luogo fisico, ma anche: • alle persone che lo vivono; • alla sua organizzazione e struttura; • gli obiettivi che persegue; • ai comportamenti e alle relazioni interpersonali che vi si svolgono; • alle norme e ai valori che lo regolano; • alle aspettative che suscita in chi lo frequenta; • al mandato che ha ricevuto dall’intera comunità. La Conferenza di Ottawa è stata seguita da altre tre Conferenze Internazionali sulla Promozione della Salute. L'ultima si è svolta a Jakarta nel 1997 e si è conclusa con la "Dichiarazione di Jakarta sulla promozione della salute". E' interessante notare il fatto che il Consiglio Esecutivo dell’OMS ha adottato il 28 gennaio 1998, nel corso della 101° sessione, una Risoluzione sulla promozione della salute che si ispira profondamente a quest'ultima Dichiarazione. Particolarmente stimolanti sono le premesse contenute in tale Risoluzione: vi si legge infatti che: 1) gli approcci globali che combinano insieme le cinque strategie della promozione della salute sono i più efficaci; 2) alcuni ambienti organizzativi quali le città, le isole, le comunità locali, i mercati, le scuole, i luoghi di lavoro e le strutture sanitarie offrono opportunità pratiche di implementare strategie globali; PROMOZIONE DELLA SALUTE O EDUCAZIONE SANITARIA? E’ opportuno esplicitare due possibili equivoci, che possono costituire un ostacolo per lo sviluppo del Progetto degli Ospedali per la Promozione della Salute e delle altre reti di setting che promuovono la salute. Il primo riguarda la profonda differenza che esiste tra il concetto di promozione della salute e quello di educazione alla salute che, forse per l’assonanza dei termini, non sempre è chiara: l'espressione "promozione della salute" non è la maniera più moderna o più aggiornata di definire l’educazione sanitaria. L’educazione sanitaria è l’insieme delle azioni realizzate in modo consapevole che possono modificare in senso favorevole gli atteggiamenti, le abilità e i comportamenti che sono rilevanti per la salute individuale e comunitaria: è una strategia di intervento che mantiene ancora oggi intatto il suo valore nei confronti dei singoli individui, per migliorare gli stili di vita. L'educazione sanitaria non riguarda soltanto la trasmissione delle informazioni, ma anche il rinforzo della 3 assumono l’impegno formale di modificare il loro setting in un ambiente organizzativo favorevole alla salute, integrando le attività di promozione della salute nella normale attività professionale svolta da tutti i membri del setting stesso. Negli ospedali sono numerosi gli esempi del primo modo di agire, ma è considerazione comune che questi interventi, quand'anche ben fatti, difficilmente lasciano una traccia efficace nell'organizzazione in cui si svolgono. La scommessa della Rete degli Ospedali per la Promozione della Salute è invece quella di giungere alla seconda modalità, a organizzare cioè gli ospedali in modo che siano realmente istituzioni che promuovono la salute, oltre che curare in maniera efficace, appropriata ed efficiente le malattie. motivazione, delle abilità e della fiducia in se stessi, condizioni necessarie per migliorare la propria salute e quella della propria comunità. La promozione della salute è invece una strategia più complessa: poichè la salute dipende non solo dai comportamenti individuali e dalle prestazioni fornite dai servizi sanitari, ma anche dall’organizzazione economica, politica, culturale e sociale dell'ambiente circostante, per assicurare alle persone i mezzi necessari al controllo della propria salute, cioè per promuovere la salute, è necessario combinare metodi e approcci diversi, stimolando interventi che incidano nei diversi settori della vita comunitaria. Quindi promuovere la salute in ospedale significa non solo realizzare progetti educativi finalizzati all'acquisizione di comportamenti sani da parte dei pazienti o del personale, ma anche favorire tutti quegli interventi organizzativi, strutturali, legislativi, sanitari ed economici che consentono di trasformare l'ospedale in un ambiente che realmente consenta ai propri clienti (i pazienti, il personale, la comunità servita) di aumentare il proprio livello di salute, qualunque esso sia; e tutto ciò in maniera coordinata con quanto stanno facendo gli altri settori della comunità per tutelare la salute. Aver presente questo concetto può aiutare l’ospedale a trovare la sua collocazione nella catena della qualità che porta alla salute delle persone, essendo oggi chiaro soltanto il suo ruolo nella catena assistenziale che cura le malattie; ruolo che molte volte si limita solo alla gestione degli episodi acuti, riservando poca attenzione al problema della continuità dell’assistenza e dell’integrazione con l’assistenza sanitaria primaria. Il secondo punto che merita particolare attenzione è la notevole differenza che esiste tra «lo sviluppo di attività di promozione della salute in un setting» e la «creazione di un setting che promuove la salute». Nel primo caso si tratta di iniziative isolate che partono dal basso, dovute alla buona volontà di qualche professionista che attiva progetti di promozione della salute, da solo o con l’aiuto di collaboratori esterni al setting, in aggiunta alla sua normale attività professionale. Nel secondo caso invece è necessario che l’iniziativa sia sostenuta dai vertici dell’organizzazione, che LA RETE DEGLI OSPEDALI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE Solo alla fine degli anni ’80, in ritardo rispetto alle altre iniziative sviluppate nell’area dell’assistenza primaria e della vita comunitaria, anche gli ospedali hanno sentito l’esigenza di sperimentare questo nuovo approccio di sanità pubblica e di promozione della salute. Con l’appoggio dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Istituto Ludwig Boltzmann di Vienna, è stato dato l’avvio alla Rete Internazionale degli Ospedali per la Promozione della Salute, che si prefigge tua il compito di collegare tra di loro e di assistere quegli ospedali che affrontano il processo di trasformazione in organizzazioni che promuovono la salute, secondo il «settingsbased approach». L’idea di fondo del movimento degli Ospedali per la Promozione della salute è dunque quella di migliorare la qualità dell’assistenza ospedaliera, incorporando nella struttura organizzativa dell’ospedale, nella sua cultura e nei comportamenti quotidiani i principi, le attività e le azioni strategiche della promozione della salute. Un documento importante per lo sviluppo del movimento degli Ospedali per la 4 possono essere applicati anche all’ospedale. Proprio sulla spinta di questa sperimentazione positiva e per soddisfare le innumerevoli richieste di adesione di altri ospedali provenienti da tutta Europa, l’Ufficio Europeo dell’OMS ha lanciato il Programma delle Reti Nazionale e Regionali degli Ospedali della Promozione della Salute che, dopo la conclusione del Progetto degli Ospedali Pilota, è diventata la strategia più importante di sviluppo dell’intero movimento. La scelta dell'Ufficio Europeo dell'OMS di privilegiare lo sviluppo di Reti Nazionali e Regionali porta a valorizzare le attività che vengono svolte sia a livello internazionale che a quello nazionale e regionale. E' molto importante che il Progetto mantenga il carattere internazionale e venga sviluppato in molti paesi europei, mettendo insieme esperienze anche diverse e potendo contare sulla ricchezza di una vasta platea di professionisti e di strutture che lavorano per "mettere in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla". D'altra parte, è altrettanto importante poter calare l'esperienza nelle realtà nazionali e regionali, realizzare esperienze e progetti in varie tipologie di ospedali, mettere a confronto operatori che sono dentro gli stessi sistemi organizzativi, parlano la stessa lingua, hanno maggiore facilità di incontro e di confronto. In definitiva l'adesione di un'Azienda sanitaria al Progetto degli Ospedali per la Promozione della Salute va quindi collocata dentro queste premesse: è uno strumento, condiviso da molti ospedali in Europa, che favorisce il passaggio da un approccio orientato solamente all'efficienza interna a una modalità di operare che incoraggia l'Azienda a orientarsi verso il reale miglioramento della salute delle persone affidate e verso il potenziamento delle abilità per la salute dei singoli e delle comunità (empowerment for health). In definitiva è uno strumento che aiuta l'Azienda sanitaria a soddisfare il proprio mandato istituzionale. Promozione della Salute è rappresentato dalle «Raccomandazioni di Vienna» del 1997, che rappresentano l'evoluzione della cosiddetta "Dichiarazione di Budapest" del 1991, una breve raccolta di principi che dovrebbero ispirare l’azione di un ospedale che vuole promuovere la salute. Dato per scontato che un Ospedale per la Promozione della Salute si sforza di assicurare servizi medici e di assistenza sanitaria di buona qualità, uno dei punti chiave di tale Risoluzione è che i destinatari degli interventi sono i pazienti, il personale e la comunità servita cioè, in definitiva, i principali clienti dell’organizzazione. Dopo una serie di iniziative preliminari iniziate nel 1988, nel 1992 a Varsavia è stato avviato il Progetto Europeo degli Ospedali Pilota (European Pilot Hospitals Project - EPHP). Venti ospedali europei hanno concordato di sviluppare al loro interno almeno 5 progetti ciascuno, testando così l’idea degli Ospedali per la Promozione della Salute nei vari paesi europei, in sistemi sanitari e in tipologie di ospedali diversi. Sulla base delle indicazioni contenute nella Dichiarazione di Budapest, questi ospedali pilota hanno seguito un modello globale di miglioramento della salute dei pazienti, del personale e della comunità, non solo mettendo a punto nuovi programmi, ma anche cercando di trasformare la struttura organizzativa e la cultura dell’ospedale esistenti. In occasione della 5° Conferenza Internazionale degli Ospedali per la Promozione della Salute che si è svolta nel mese di aprile 1997, il Progetto Europeo degli Ospedali Pilota è stato ufficialmente concluso, anche se qualche ospedale partecipante ha deciso di continuare il programma per completare le attività intraprese. Il bilancio del Progetto degli Ospedali Pilota non può che considerarsi positivo, in quanto questa «sperimentazione sul campo» ha portato allo sviluppo di interessanti esempi di buona pratica, ha permesso di accumulare molte conoscenze e informazioni sullo sviluppo organizzativo orientato alla promozione della salute e, infine, ha mostrato nella pratica che i criteri di sviluppo del settings-based approach 5 l'Ufficio Europeo dell'OMS ha proposto che la costituzione di una Rete Nazionale o Regionale sia un fatto formale che richiede l'impegno degli Ospedali a partecipare a questa esperienza e la sottoscrizione di una Convenzione tra gli stessi Ospedali, un Centro di coordinamento e l'Ufficio Europeo dell'OMS. Anche l'impegno ad aderire da parte delle singole strutture sanitarie deve essere espresso in maniera formale: è necessario infatti che il vertice dell'Ospedale adotti un atto formale con il quale riconosce e si impegna a introdurre nella propria struttura i principi e i metodi della promozione della salute così come espressi nei documenti internazionali, si impegna a svolgere nel quinquennio di adesione alla Rete almeno tre progetti di promozione della salute e si impegna a creare un Comitato Tecnico locale con il compito di promuovere, orientare, coordinare e valutare le attività di promozione della salute realizzate nelle strutture ospedaliere. GLI OSPEDALI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE IN ITALIA Fin dal suo nascere, l'avventura degli Ospedali per la Promozione della Salute ha potuto contare sulla presenza di alcuni ospedali italiani. In particolare l'Ospedale di Padova ha partecipato alle fasi iniziali di impostazione del Progetto e, insieme all'Ospedale V. Buzzi di Milano, è stato uno dei 20 Ospedali Pilota Europei. Nel 1995, sulla base di un progetto regionale di promozione della salute, è nata la Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute quale logica conseguenza del lavoro svolto durante la partecipazione dell'Ospedale di Padova al Progetto degli Ospedali Pilota e alla sensibilità e alla professionalità che si sono create nella Regione in quegli anni. Nel 1996, su richiesta dell'Istituto Ludwig Boltzmann di Vienna che è il Centro di coordinamento del Progetto internazionale, il Ministero della Sanità ha designato la Rete Veneta quale istituzione di coordinamento per lo sviluppo della Rete Italiana. Nel 1997 si è svolta a Padova la 1° Conferenza Nazionale degli Ospedali per la Promozione della Salute. Con l'avvio della Rete Piemontese degli Ospedali per la Promozione della Salute, avvenuto nel giugno 1997 e formalizzato in modo definitivo nel corso della 2° Conferenza Nazionale del 1998, si è segnato un passo molto importante verso la costituzione della Rete Italiana degli Ospedali per la Promozione della Salute. La scelta di incoraggiare in Italia lo sviluppo di Reti Regionali degli Ospedali per la Promozione della Salute è coerente sia con la scelta operata dal Progetto Internazionale di privilegiare le Reti Nazionali e Regionali, sia con l'attuale impostazione data al nostro sistema sanitario che si sta sviluppando sempre più su base regionale. Nel tentativo di decentrare al massimo gli aspetti organizzativi del Progetto degli Ospedali per la Promozione della Salute e di mantenere comunque uno sviluppo ordinato dell'esperienza e coerente con gli aspetti teorici, LA RETE VENETA DEGLI OSPEDALI PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE L’effettivo lavoro di preparazione per la costituzione della Rete Veneta è iniziato nell’estate 1995, con la proposta di adesione inviata ai Direttori Generali delle Aziende ULSS e delle Aziende Ospedaliere del Veneto e la predisposizione in italiano della documentazione necessaria. Tale proposta è stata seguita dal Corso di formazione «Gli ospedali e la promozione della salute», tenuto dal prof. Leo Baric, al quale hanno partecipato operatori provenienti da quasi tutte le Aziende sanitarie venete. Nei mesi successivi sono pervenute le adesioni delle Aziende, sancite formalmente dalle deliberazioni dei rispettivi Direttori Generali e seguite dalla firma della Convenzione con il Centro di Coordinamento della Rete Veneta e con l’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Con tali atti, i Direttori Generali hanno accettato i principi espressi nella «Carta di Ottawa» e nella «Dichiarazione 6 a ogni progetto, si sono costituiti dei gruppi di lavoro con funzioni operative. Al 31 marzo 1998 la Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute è composta da 17 Aziende ULSS sulle 21 esistenti e dalle 2 Aziende Ospedaliere di Padova e Verona. di Budapest» e si sono impegnati a sviluppare, nel quinquennio di adesione alla Rete, almeno 3 progetti di promozione della salute. A supporto della operatività locale, in ogni Azienda è stato costituito un Comitato tecnico per lo sviluppo di tali progetti e il dirigente medico dell’ospedale è stato incaricato di svolgere le funzioni di Coordinatore locale. Inoltre, attorno Rete Veneta: Aziende sanitarie aderenti (31 marzo 1998) promuove la salute, che rappresenta la vera innovazione qualitativa. Il movimento internazionale ha proposto in questi anni una metodologia di lavoro legata alla realizzazione di specifici progetti, piuttosto che al miglioramento di determinate funzioni. La tecnica proposta del «project management» ha indubbiamente dei vantaggi poichè permette di realizzare, in questa fase sperimentale, iniziative trasversali a diverse Unità Operative, tenendo sotto controllo lo svolgimento del processo e le variabili in gioco; inoltre, costringe a un’attenta analisi dei problemi e all’esplicitazione a priori degli obiettivi da perseguire, creando così le basi per poter valutare e dare un giudizio finale sulle attività svolte. Sperimentare questa tecnica gestionale su progetti limitati, permette quindi di acquisire esperienze da trasferire successivamente anche negli aspetti gestionali più complessi della A fronte dell’impegno di sviluppare attività di promozione della salute, sono previsti anche alcuni vantaggi per le Aziende aderenti. Il primo è la possibilità di «essere in rete» con gli altri ospedali europei che partecipano al progetto: ricevere la newsletter, accedere al database, partecipare alle Conferenze internazionali. Il secondo vantaggio è quello di poter usare, sul materiale prodotto per la realizzazione locale dei progetti, il logo degli Ospedali per la Promozione della Salute (il bollino verde) e quello della Rete Veneta, insieme alla frase «membro della Rete Veneta». Come detto precedentemente, aderendo alla Rete Veneta le Aziende si sono impegnate a realizzare nel quinquennio almeno tre progetti di promozione della salute. L’implementazione di tali progetti nell’ospedale rappresenta in qualche modo una fase di transizione verso la trasformazione dell’ospedale in un setting che 7 E’ essenziale che gli obiettivi specifici del progetto, nei quali l’obiettivo generale può essere articolato, vengano scelti tenendo conto dei tre gruppi di destinatari individuati dalla Risoluzione di Vienna: i pazienti, il personale e la comunità servita. Per quanto riguarda le azioni da realizzare per perseguire i suddetti obiettivi, esse devono essere coerenti con le attività essenziali della promozione della salute proposte dalla Carta di Ottawa (difendere la causa della salute, mettere in grado, mediare). Infine, nella definizione degli indicatori per il monitoraggio del processo e la valutazione finale del progetto è opportuno fare riferimento alla classica tripartizione: indicatori di struttura, di processo e di esito. realtà ospedaliera: tali esperienze sono oggi ancor più preziose, data l’impostazione budgetaria e l’assegnazione degli obiettivi alle figure dirigenziali. Per facilitare lo sviluppo dei progetti, è stato proposto a tutti gli ospedali della Rete Veneta uno schema di progettazione che risente fortemente delle premesse teoriche citate all’inizio. In esso vengono messi in evidenza solo alcuni aspetti particolarmente rilevanti per la promozione della salute, mentre non vengono toccati altri punti più scontati, ma comunque indispensabili, quali la definizione dei tempi e delle risorse o lo studio di fattibilità. Lo schema è diviso in tre blocchi: gli obiettivi, le azioni e gli indicatori di un progetto. OBIETTIVI (Raccomandazioni di Vienna) - pazienti - personale - comunità - mettere in grado - mediare - sostenere la causa della salute AZIONI (Carta di Ottawa) - di struttura - di processo - di esito INDICATORI sviluppare localmente. Sulla scorta dei buoni risultati ottenuti dal citato gruppo di lavoro regionale, sono stati costituiti successivamente anche tre gruppi di lavoro regionali sul tema della salute e della sicurezza in ambito lavorativo, i cui risultati sono oggetto della presente pubblicazione. Attualmente le Aziende della Rete Veneta hanno comunicato al Centro di coordinamento i titoli di oltre 60 progetti e la lista è ancora incompleta perchè alcune Aziende non hanno ancora comunicato tutti i titolo. Le Aziende aderenti hanno inoltre stabilito di sviluppare su scala regionale un progetto comune dal titolo «Ospedali e servizi sanitari senza fumo»: un gruppo di lavoro appositamente costituito ha sviluppato un dettagliato progetto su questo tema, che rappresenta anche il modello generale di progettazione per tutti gli altri progetti da 8 6 WHO Executive Board. “Resolution on health promotion.” http://www.primnet.se/ public/html/nhprin/hpres98.htm. 28 January 1998 7 EURO/WHO. “Healthy Cities Project”. <http://www.who.dk/tech/hcp/index.htm>. 13 March 1998 8 EURO/WHO. “Health Promoting Schools”. <http://www.who.dk/tech/inv/hps.htm>. 17 February 1998 9 EURO/WHO. “Regions for Health”. <http://www.who.dk/tech/hs/region01.htm> 16 February 1998 10 EURO/WHO. Le Raccomandazioni di Vienna. 1997 11 EURO/WHO. La Dichiarazione di Budapest. 1991 BIBLIOGRAFIA 1. WHO. The Ottawa Charter for Health Promotion. 1986 2. WHO. Health Promotion Glossary. 1998. Document WHO/HPR/HEP/98.1 3 The Secretary of State for Health. “The new NHS: modern, dependable.” http://www.official-documents.co.uk/ document/doh/newnhs.htm, 8 December 1997 4 Baric L., Health Promotion and Health Education in practice – The organizational model. 1st ed. Altrincham: Barns Publications, 1994. 5 WHO, The Jakarta Declaration on Health Promotion, 1997 9 capitolo 2 PREVENZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO TRA IL PERSONALE OSPEDALIERO a cura del gruppo di lavoro della Rete Veneta degli ospedali per la promozione della salute BATTISTELLA GIUSEPPE Azienda ULSS 16 - Padova BITOZZI ANDREA Azienda ULSS 19 - Adria BOSCHETTO MARGHERITA Azienda Ospedaliera - Padova BRESSAN ANTONIO Azienda ULSS 21 - Legnago BRIANI MONICA Azienda ULSS 18 - Rovigo CHIRCO TOMMASO Azienda ULSS 6 - Vicenza D'ALPAOS SIMONETTA Azienda ULSS 12 - Veneziana ENZO MANUELA Azienda ULSS 12 - Veneziana FILIPPI MAURO Azienda ULSS 12 - Veneziana IMBROGNO MICHELE Azienda ULSS 13 - Mirano ZANETTI CATERINA Azienda Ospedaliera - Padova 10 PREVENZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO TRA IL PERSONALE OSPEDALIERO PREMESSA luogo di lavoro (corsia ospedaliera, laboratorio, sala incisoria, sala operatoria, ambulatori, ecc.) o che sia la risultante dell’attività lavorativa stessa, il cui periodo di incubazione sia compatibile con l’intervallo di tempo intercorso tra l’esposizione all’agente responsabile e la comparsa della malattia. Anche se la coscienza del rischio infettivo è sempre stata presente nell’operatore sanitario, solo negli ultimi anni è aumentato l’interesse attorno a questo problema, come documentato dal crescente numero di articoli pubblicati su tale argomento. La comparsa e la diffusione di nuove malattie infettive, la riemergenza di altre malattie infettive, l’assenza di terapie o profilassi per alcune di esse (AIDS, epatite C) e la maggiore attenzione alla salute dei lavoratori imposta dalla legislazione (vedi il DLgs. 626/94 e il DLgs. 242/96) hanno comportato un aumento improvviso dell’interesse sul rischio infettivo negli operatori professionali, con lo scopo di individuare norme e misure che permettano la prevenzione e la sorveglianza delle infezioni occupazionali. La prevenzione delle infezioni occupazionali necessita di iniziative e programmi comuni ed interprofessionali, in una logica di strategia comune e collaborazione. Lo sforzo che si deve compiere è quello di avviare un processo organico di verifica e coordinamento tra le diverse figure professionali, in una attività integrata di prevenzione. Per conoscere la dimensione del problema, è necessario raccogliere dati epidemiologici e statistici generali che quantifichino i problemi derivanti da tale rischio. Questi dati, raccolti in modo standardizzato, costituiscono modelli di confronto utili per lo sviluppo di programmi Il Gruppo di Lavoro regionale ha elaborato il progetto relativo alla prevenzione del rischio biologico tra il personale ospedaliero, nell’ambito delle modalità di intervento proprie della Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute. Il progetto è stato elaborato nel corso di una serie di incontri da un gruppo multidisciplinare, ed è stato impostato secondo la metodologia propria della Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute: pertanto gli obiettivi, le azioni e la valutazione non sono stati orientati solo al personale, ma riguardano anche i pazienti e la comunità (familiari del personale, familiari dei pazienti). Inoltre è stato previsto il coinvolgimento non solo dell’ospedale ma anche di altre strutture, in particolare quelle territoriali, che possono cooperare su questo argomento. L’obiettivo generale del progetto è la prevenzione del rischio biologico per il personale sanitario: quindi gli obiettivi specifici, le azioni necessarie e la valutazione finale sono stati mirati a questo scopo. Il programma di seguito delineato pertanto non costituisce una trattazione globale del problema relativo al controllo delle infezioni trasmesse in ospedale, ed in particolare non approfondisce gli aspetti riguardanti la protezione dei pazienti e della comunità. Tuttavia è necessario sottolineare l’importanza di rispettare le norme igieniche generali in grado di prevenire le infezioni ospedaliere nei pazienti ricoverati (ambienti idonei, procedure assistenziali corrette), ricordando fra l’altro che l’attenersi a tali regole contribuisce a ridurre il rischio infettivo anche per il personale. Per infezione nosocomiale occupazionale si intende una infezione sicuramente acquisita sul 11 locali di miglioramento della sicurezza e contenimento del rischio per il personale sanitario. L’ambiente di lavoro è infatti un luogo particolarmente idoneo per le attività di prevenzione delle malattie e di promozione della salute degli operatori perchè consente non solo il controllo del loro stato di salute, ma anche la promozione di iniziative volte al miglioramento delle loro abitudini di vita, attraverso un’azione che li rende consapevoli del fatto che essi stessi possono influenzare e migliorare, con il loro comportamento, i fattori determinanti la salute. OBIETTIVO GENERALE DEL PROGETTO L’obiettivo generale del progetto è di ridurre il rischio biologico tra il personale ospedaliero a causa dell’esposizione nel corso dell’attività lavorativa ad agenti biologici potenzialmente infettanti. OBIETTIVI SPECIFICI Il gruppo di lavoro ha articolato l’obiettivo generale in una serie di obiettivi specifici, che permettono meglio di articolare la progettazione definitiva in sede locale. Sono stati individuati obiettivi specifici riferiti: a) al personale ospedaliero (tutti gli operatori che esercitano una attività all’interno dell’ospedale, anche coloro che non dipendono dalla struttura ospedaliera come ad es. gli operatori di ditte appaltatrici, i volontari, gli obiettori di coscienza, gli studenti, i frequentatori, ecc.), b) a tutti i pazienti (pazienti infetti o appartenenti a categorie a rischio e pazienti non infetti), c) alla comunità (familiari di pazienti, visitatori, ecc.). A) Personale 1) Conoscere l’epidemiologia delle infezioni occupazionali tra il personale ospedaliero locale. 2) Migliorare la conoscenza del rischio professionale negli operatori sanitari. 3) Ridurre l’incidenza degli eventi occupazionali a rischio di contagio per via parenterale, aerea e per contatto. 4) Ridurre il numero dei soggetti suscettibili di ammalare di infezioni occupazionali. B) Pazienti 1) Migliorare le conoscenze specifiche dei pazienti infetti o appartenenti a categorie a rischio per ridurre la possibilità di trasmissione. COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO PER LO SVILUPPO LOCALE DEL PROGETTO Per lo sviluppo di questo progetto in un’Azienda sanitaria si ritiene opportuno che venga attivato in maniera formale un gruppo di lavoro, guidato da un capo progetto, con il compito di adattare alle specificità locali le proposte di seguito indicate e di supportare concretamente le varie fasi di realizzazione del progetto. Compatibilmente con le risorse disponibili in sede locale, si suggerisce che la composizione del gruppo sia la seguente: Medico della Dirigenza Medica; CSSA o CS del Servizio Infermieristico; ASV o IP della Dirigenza Medica; Infettivologo; Pneumologo; Microbiologo; Medico Competente o Medico del Lavoro; Medico, CS o IP di Sala Operatoria; Farmacista; Responsabile del Servizio Approvvigionamenti; Medico del Distretto; Medico del Dipartimento di Prevenzione 12 2) Raccogliere in modo standardizzato dati sui casi di malattia infettiva del personale ospedaliero (specificando a priori le malattie infettive che si verificano nei reparti considerati più a rischio per la tipologia dei pazienti). 3) Raccogliere, mediante la sorveglianza sanitaria, dati sierologici dei dipendenti. 4) Elaborare i dati raccolti per individuare i reparti, le attività e le modalità operative più a rischio. 5) Coinvolgere i medici come soggetti attivi nell’attività di formazione sistematica e nella sensibilizzazione quotidiana degli operatori sanitari. 6) Prevedere nel capitolato che il personale delle ditte appaltatrici sia adeguatamente formato e fare incontri per aggiornarlo. 7) Predisporre linee guida per l’acquisto dei DPI (efficacia, gradimento degli utilizzatori). 8) Valutare l’idoneità lavorativa specifica prima che gli operatori siano adibiti alle mansioni a rischio (infezioni ematogene ed aereotrasmesse). 9) Elaborare una strategia vaccinale che tenga conto degli aspetti normativi, epidemiologici, organizzativi ed economici. Azioni educative 1) Predisporre e somministrare al personale dei reparti a rischio un questionario per valutare le conoscenze del rischio da agenti biologici e l’applicazione dei comportamenti corretti. 2) Predisporre e distribuire materiale informativo da consegnare in occasione della visita periodica, dopo un infortunio e in altre occasioni. 3) Diffondere tra il personale e i dirigenti le informazioni e le conoscenze ottenute dall’elaborazione dei dati epidemiologici. 4) Predisporre azioni formative frequenti e specifiche (modalità di trasmissione e corretto utilizzo dei presidi di protezione) nei reparti più a rischio, individuati mediante l’analisi epidemiologica e il questionario di cui sopra. 2) Migliorare le conoscenze generali di tutti i pazienti per favorire comportamenti corretti in ospedale. 3) Ridurre il rischio di esposizione ad agenti biologici per i pazienti*. C) Comunità 1) Costituire un modello di comportamento corretto per la comunità. 2) Ridurre il rischio di esposizioni ad agenti biologici per i visitatori e per i familiari.* 3) Migliorare le conoscenze generali per favorire comportamenti corretti in ospedale. 4) Promuovere stili di vita sani. * Obiettivi finalizzati alla protezione del personale AZIONI DA REALIZZARE ORIENTATE AL PERSONALE Per raggiungere gli obiettivi specifici, possono essere realizzate le azioni di seguito indicate, divise in azioni strutturali, organizzative ed educative. Azioni strutturali 1) Migliorare le condizioni ambientali (es.: per la prevenzione di infezioni a trasmissione aerogena prevedere la presenza di stanze di isolamento con determinati requisiti: filtri HEPA ricambi d’aria, ecc. ). 2) Mettere a disposizione i DPI in misura adeguata e verificarne l’efficacia mediante controlli periodici a campionamento. Azioni organizzative 1) Raccogliere in modo standardizzato alcuni dati sugli eventi occupazionali a rischio biologico (infezioni ematiche, aeree, da contatto), mediante una modulistica che permetta di raccogliere i seguenti dati: - n° annuale di incidenti a rischio biologico (infezioni ematogene, aerogene, da contatto); - tassi di incidenza dei suddetti incidenti specifici per qualifica, tipologia, reparto, agente lesivo, mezzi di protezione in uso. 13 5) Sensibilizzare gli operatori, attraverso incontri e schede informative, a segnalare tempestivamente i difetti dei DPI. AZIONI DA REALIZZARE ORIENTATE ALLACOMUNITÀ Per raggiungere gli obiettivi specifici, possono essere realizzate nei confronti della comunità le azioni di seguito indicate: Azioni strutturali 1) Installare una cartellonistica e predisporre uno stampato contenenti norme igieniche generali da installare in determinati servizi/reparti. 2) Pubblicizzare le azioni intraprese con cartelli, newsletter, articoli, Carta dei servizi. 3) Installare contenitori idonei per il corretto smaltimento di materiale potenzialmente infetto. Azioni organizzative 1) Collegare l’ospedale con il Distretto Socio Sanitario e il Dipartimento di prevenzione. Azioni educative 1) Predisporre e diffondere uno stampato sulle norme igieniche per i familiare di pazienti infetti. 2) Educare i familiari dei pazienti infetti sulle norme igieniche da seguire in ospedale e a casa. 3) Predisporre e diffondere uno stampato/opuscolo sui comportamenti corretti da adottare normalmente in ospedale da parte dei visitatori e dei familiari. AZIONI DA REALIZZARE ORIENTATE AI PAZIENTI Per raggiungere gli obiettivi specifici, possono essere realizzate nei confronti dei pazienti le azioni di seguito indicate, divise in azioni strutturali, organizzative ed educative. Azioni strutturali 1) Installare una cartellonistica e predisporre uno stampato contenente informazioni generali sui comportamenti corretti da assumere in determinati servizi/reparti. 2) Installare contenitori adeguati allo smaltimento di rifiuti speciali. Azioni organizzative 1) Raccogliere in modo sistematico i casi di malattie infettive del personale ai fini di escluderlo da certe attività di reparti e autorizzarlo nuovamente a seguito di controllo sanitario. 2) Collegare l’ospedale con il Distretto Socio Sanitario e il Dipartimento di prevenzione (dati epidemiologici, servizi offerti, campagne di prevenzione, campagne vaccinali, ecc.). Azioni educative 1) Predisporre e consegnare ai pazienti infetti del materiale educativo sulle norme igieniche da seguire per ridurre il rischio di trasmissione. 2) Educare i pazienti infetti sulle norme da seguire in ospedale e a casa, e sui servizi a cui fare affidamento. 3) Informare tutti i pazienti sui comportamenti corretti da adottare in ospedale. 14 INDICATORI E CRITERI PER LA VALUTAZIONE DELLE AZIONI ORIENTATE AL PERSONALE Indicatore Tipo di Strumento di indicatore valutazione Criterio di valutazione n° di stanze di isolamento struttura Archivio del progetto rispetto del numero di stanze necessario a soddisfare i bisogni locali qualità dei DPI struttura scheda contenente i requisiti di qualità per i DPI adesione agli standard di qualità scelti n° degli incidenti legati a DPI esito difettosi o non idonei moduli denuncie incidenti riduzione tendente a zero in 5 anni qualità di DPI utilizzati struttura dati di consumo coerenza tra attività assistenziali svolte e consumo di DPI % di moduli di rilevazione infortuni adeguatamente compilati processo analisi dei moduli almeno il 90% dei moduli è compilato in maniera adeguata % di operatori che hanno una esito copertura vaccinale registro vaccinazioni il 100% degli operatori a rischio risulta vaccinato n° di sieroconversioni esito registro infortuni, moduli denuncie riduzione delle riconversioni in relazione alla patologia numero delle denuncie di infortunio esito registro infortuni/moduli denuncie riduzione degli infortuni del 10% in 5 anni n° di stampati distribuiti (in occasione di assunzione, visita periodica, dopo infortunio) processo archivio del progetto il 100% del personale neoassunto, che va a visita di controllo e infortunato riceve le informazioni n° di iniziative di informazioni nei reparti processo archivio del progetto una relazione annuale almeno ai reparti maggiormente interessati n° di incontri formativi processo registro degli incontri - 1 incontro/anno nei reparti più a rischio - 1 incontro/anno più specifico in base alle carenze riscontrate negli operatori in base al questionario % di conoscenze modificate processo questionario post formazione - incremento del 20% delle risposte corrette segnalazioni scritte di difetti viene segnalato il 90% dei difetti incontrati numero delle segnalazioni di processo deficit dei DPI 15 INDICATORI E CRITERI PER LA VALUTAZIONE DELLE AZIONI ORIENTATE AI PAZIENTI Indicatore Tipo di Strumento di indicatore valutazione Criterio di valutazione n° di cartelli installati nelle unità operative struttura visita nei reparti almeno 1 cartello per unità operativa n° di opuscoli/stampati distribuiti struttura archivio del progetto distribuzione ad almeno il 70% dei pazienti ricoverati n° di incontri educativi con i pazienti infetti processo archivio del progetto il 100% dei pazienti riceve le informazioni % di comportamenti corretti assunti (es. paz. tubercolotico che mette la mano davanti alla bocca quando tossisce, batuffoli di cotone sporchi di sangue eliminati correttamente ecc.) processo - griglia di osservazione 80% dei pazienti ha comportamenti corretti n° di infezioni trasmesse da paziente a paziente, da operatore a paziente esito - cartella infermieristica/registro moduli denuncie riduzione o assenza a seconda della patologia INDICATORI E CRITERI PER LA VALUTAZIONE DELLE AZIONI ORIENTATE ALLA COMUNITÀ Indicatore Tipo di Strumento di Criterio di valutazione Indicatore valutazione n° di cartelli installati per unità operativa struttura visita nei reparti almeno 1 cartello per unità operativa n° di newsletter prodotte struttura archivio del progetto 1 newsletter all'anno inerente all'argomento inserimento delle azioni intraprese nella Carta dei Servizi struttura carta dei servizi all'interno della Carta dei servizi devono essere esplicitate le azioni intraprese n° di incontri educativi con processo i familiari di pazienti infetti archivio del progetto almeno 1 familiare per paziente riceve le informazioni n° di stampati distribuiti nei processo reparti archivio del progetto n° adeguato al flusso dei pazienti ricoverati e dei visitatori 16 626, recante attuazioni di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro», S.O. Gazzetta Ufficiale del 6 maggio 1996 n. 104. 6. Decreto Legislativo del Ministro dell’Industria del 4 dicembre 1992 n° 475, «Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale». 7. CDC, «Linee guida per la prevenzione della trasmissione del mycobacterium tubercolosis nei luoghi di cura», 1994. 8. Delibera Regione Veneto n° 5888 del 14/11/1995, «Aggiornamento delle strategie di prevenzione dell’Epatite A e B nella Regione Veneto. (L 833/78 - L.R. 21/79)». 9. Moro ML., Infezioni ospedaliere: prevenzione e controllo. Centro Scientifico Editore, 1993. 10. Bennett JV, Brachman PS., Infezioni ospedaliere, Piccin, 1992. BIBLIOGRAFIA 1. Centers for Disease Control and Prevention, «Draft guideline for isolation and precautions in hospitals», Federal Register 1994; 59 (214): 5555155570. 2. Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS, «Linee guida per la prevenzione del contagio tubercolare nell’assistenza a pazienti con infezione da HIV», 1994. 3. Decreto del Ministero della Sanità 28 settembre 1990, «Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private». 4. Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, «Attuazione delle direttive CEE 89/391, 89/654, 89/656, 90/269, 90/270, 90/394, 90/679 riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro», Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 1994 n. 265. 5. Decreto Legislativo 19 marzo 1996, n. 242, «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 17 capitolo 3 PREVENIRE LE PATOLOGIE DEL RACHIDE NEGLI OPERATORI SANITARI a cura del gruppo di lavoro della Rete Veneta degli ospedali per la promozione della salute BATTISTA DANILO Azienda ULSS 13 - Mirano BOSCOLO MARIAROSA Azienda ULSS 14 - Chioggia FAVRIN MICHELA Azienda ULSS 3 - Bassano LIBONI DARIA Azienda ULSS 18 - Rovigo MARCATO GIORGIA Azienda Ospedaliera - Padova PANFILIO RUGGERO Azienda ULSS 19 - Adria RENDA GIOCONDA Azienda ULSS 10 - S. Donà di Piave ROBOTTI MARIO Azienda ULSS 3 - Bassano TORRI PAOLA Azienda ULSS 18 - Rovigo 18 PREVENIRE LE PATOLOGIE DEL RACHIDE NEGLI OPERATORI SANITARI fondamentali; la valutazione va eseguita al termine di ogni anno di lavoro. E’ indispensabile, prima di procedere alle fasi operative del progetto, acquisire una preliminare conoscenza di: - prevalenza del fenomeno e sua incidenza; - mappe di esplosione; - organizzazione dell’Azienda; - rilevanza economica delle assenze dovute a patologie del rachide. Deve essere inoltre predefinito un flusso informativo e decisionale per la gestione delle problematiche inerenti la sicurezza e l’igiene del lavoro. Partendo da professionalità ed esperienze diverse il progetto ha consentito di elaborare strategie e di mettere a punto strumenti comuni: è questo l’approccio più razionale alle problematiche introdotte dal D.Lgs. 626/94, anche nell’ottica di ottimizzare risorse. PREMESSA Questo progetto si inserisce, nell’ambito delle attività della Rete Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute, nel più ampio orizzonte della tutela della salute sul posto di lavoro e dell’applicazione del D. Lgs. 626/94. Le professionalità impegnate nell’elaborazione del progetto sono state di varia estrazione: medico competente, responsabile servizio prevenzione protezione, personale medico e infermieristico della dirigenza medica ospedaliera. Il progetto non vuole proporsi come modello per il Servizio di prevenzione e protezione e per altre unità operative, ma intende promuovere il miglioramento qualitativo dell’applicazione del D.Lgs. 626/94 ed il coinvolgimento dell’intera struttura aziendale nell’attività preventiva, in modo che la cultura della prevenzione faccia parte del patrimonio dell’Azienda e di tutti i suoi dipendenti. I requisiti minimali per poter avviare il progetto sono: - avvenuta valutazione dei rischi con redazione del documento; - nomina delle figure previste dal D.Lgs. 626/94; - disponibilità alla collaborazione di alcune professionalità chiave. Il percorso suggerito è pluriennale (almeno 3-5 anni), anche se alcune attività si risolvono nel primo anno. L’obiettivo generale del progetto è la prevenzione delle patologie del rachide negli operatori sanitari. Il target naturale quindi è costituito dai lavoratori ospedalieri, anche se sono attesi dei risultati favorevoli indiretti sui pazienti e la collettività. Tra i diversi indicatori previsti vengono evidenziati quelli ritenuti COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO LOCALE PER LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO Per lo sviluppo di questo progetto in un’Azienda sanitaria si ritiene opportuno che venga attivato in maniera formale un gruppo di lavoro, guidato da un capo progetto, con il compito di adattare alle specificità locali le proposte di seguito indicate e di supportare concretamente le varie fasi di realizzazione del progetto. Compatibilmente con le risorse disponibili in sede locale, si suggerisce che la composizione del gruppo sia la seguente: medico competente; fisiatra-terapista; rappresentante dirigenza medica; rappresentante U.O. Tecnologie; rappresentante U.O. Approvvigionamenti; 19 → responsabile Serv. Prevenzione e Protezione; responsabile Serv. Infermieristico; rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; IP o ASV del Serv. di Medicina Preventiva. pazienti, personale e comunità AZIONI ORGANIZZATIVE 1) Razionalizzare i turni di lavoro (distribuzione nelle unità operative delle unità lavorative appartenenti ai vari profili professionali in funzione del carico di lavoro) → pazienti e personale 2) Promuovere la collaborazione tra più reparti e l’uso flessibile di unità lavorative appartenenti a particolari profili professionali per esigenze connesse con la movimentazione dei pazienti → personale 3) Programmare la sorveglianza sanitaria in funzione del grado di rischio del personale personale → personale 4) Verificare, nel tempo, il rispetto delle prescrizioni formulate nel giudizio d’idoneità dal medico competente → personale 5) Confrontare le strategie educative, strutturali e organizzative adottate in altre realtà → pazienti, personale e comunità OBIETTIVO GENERALE L’obiettivo generale del progetto è la prevenzione delle patologie del rachide negli operatori sanitari. OBIETTIVI SPECIFICI a) Personale: 1) migliorare le condizioni di lavoro rispetto alla movimentazione manuale dei carichi. b) Pazienti: 1) garantire una mobilizzazione corretta e non traumatica; 2) aumentare i tempi medi di assistenza per effetto della diminuzione delle assenze per malattia (risultato indiretto). c) Comunità: 1) riduzione dei costi dovuti alle giornate di malattia per patologie del rachide 2) miglioramento del «messaggio educativo» proposto dall’Azienda sanitaria, abolendo modelli diseducativi e proponendo stili di comportamento corretto (risultato indiretto). AZIONI EDUCATIVE 1) Trasmettere conoscenze sui fattori di rischio, specifiche per unità operativa e ruolo professionale, attraverso l’attivazione dei corsi di informazione/formazione destinati ai lavoratori e ai preposti (ripetuti nel tempo) → personale 2) Addestrare ad una modalità corretta di movimentazione a un corretto utilizzo degli ausili in ogni U.O. → personale 3) Trasmettere ai pazienti e familiari un modello comportamentale sul corretto utilizzo degli ausili e sulla mobilizzazione, sia con l’esempio pratico che mediante la distribuzione di opuscolo informativo → pazienti e comunità AZIONI STRUTTURALI 1) Intervenire, tramite il gruppo di lavoro locale, nella progettazione degli ambienti e ottimizzare la scelta degli arredi. → pazienti e personale 2) Proporre migliorie strutturali e ottimizzare i percorsi → pazienti e personale 3) Fornire agli operatori ausili adeguati per la movimentazione dei pazienti e dei carichi manuali 20 INDICATORI E CRITERI PER LA VALUTAZIONE Tipo di indicatore Indicatore Strumento di valutazione Criterio di valutazione n° di giornate di assistenza riconducibili a patologie del rachide esito questionario periodico somministrato ai lavoratori diminuzione Incidenza delle patologie del rachide esito tra il personale esposto sorveglianza sanitaria diminuzione % di progetti realizzati o in fase di esecuzione sul totale dei progetti proposti processo Archivio del progetto n° di ausili forniti rispetto al fabbisogno indicato come ottimale nel documento di valutazione del rischio struttura archivio del progetto superiore all'80% del fabbisogno entro due anni Minuti di assistenza processo archivio Dirigenza Medica Miglioramento nei reparti a rischio Presenza di turni a cavaliere tra più reparti processo archivio Dirigenza Medica è adottata tale modalità organizzativa Lista degli esposti in funzione del grado di rischio (alto, medio, basso) processo archivio del progetto la lista esiste ed è regolarmente aggiornata Esplicitazione dei protocolli di sorveglianza processo archivio del progetto i protocolli esistono n° controlli casuali per verificare il rispetto delle prescrizioni formulate dal medico competente processo archivio del progetto almeno 2 controlli casuali/anno n° partecipanti ai corsi processo archivio del progetto almeno 80% degli esposti entro 1 anno dall'avvio dei corsi Acquisizione della corretta modalità di movimentazione esito esercitazione pratica a fine corso almeno il 90% è in grado di effettuare correttamente le operazioni Produzione e consegna opuscolo informativo a pazienti e familiari processo archivio del progetto l'opuscolo è stato regolarmente consegnato Ore di formazione nell'anno successivo al primo intervento di formazione processo archivio del progetto almeno ol 30% delle ore effettuate durante il primo intervento n° partecipanti ai corsi successivi processo archivio del progetto partecipazione superiore all'80% degli esposti corretto utilizzo dei sollevatori e manovre di trasferimento esito rilievo sul campo mediante oltre l'80% delle manovre questionario compilato dal viene effettuato caposala o osservatore esterno correttamente 21 BIBLIOGRAFIA 1. Aybout MM, Dryden R, Mc Daniel J. e al., Predicting lifting capacity, Am Ind Hyg Ass J. 1979; 40: I075 - 84. 2. Cailliet R., Il dolore lombosacrale, Roma, Leonardo Editore, 1977. 3. Cailliet R., Il dolore lombosacrale, Milano, Ghedini Editore, 1992. 4. Chaffin DB., Human strength capability and low back pain, J Occup Med 1974; 16: 248 - 54. 5. Chaffin DB., Low back stresses during load lifting, in: Chista DN (ed), Human body dinamics: impact, occupational and athletic aspects, Oxford. Claredon Press. 1982: 249-69. 6. Chaffin DB, Park KS., A longitudinal study of low back pain as associated with occupational weight lifting factors, Am Ind Hyg Ass J. 1973; 2: 513-25. 7. Occhipinti E, Colombini D, Molteni G, Grieco A., Attività muscolare e carico articolare: metodi e criteri di valutazione. Atti del Seminario Nazionale Lavoro e Patologia del Rachide, Milano. 1989; 17-64. 8. Colombini D, Occhipinti E, Frigo C, Volpe V, La Fiandra F, Savoldelli F, Springhetti I, Fontana P., Posture di lavoro e patologie del rachide negli infermieri in un ospedale geriatrico. Atti del Seminario Nazionale Lavoro e patologia del Rachide, Milano. 1989; 443-66. 9. Colombini D, Occhipinti E, Menoni O, Bonaiuti D, Cantoni S, Molteni G, Grieco A., Patologie del rachide dorsolombare e movimentazione manuale dei carichi: orientamenti per la formulazione di giudizi di idoneità, Medicina del Lavoro. 1993; 84(5): 37387. 10. Health and Safety Commission (UK), Manual handling of loads. Proposal for regulations and guidance, 1991. 11. Occhipinti E, Colombini D, Molteni G, Menoni O, Boccardi S, Grieco A., Messa a punto e validazione di un questionario per lo studio delle alterazioni del rachide in collettività lavorative, Medicina del Lavoro. 1988; 79(5): 390402. 12. Occhipinti E, Colombini D, Molteni G, Menoni O, Boccardi S, Grieco A., Clinical and functional examination of the spine in working communities: occurent alterations in the male control group, Clinical Biomechanics. 1989; 4(1): 25-33. 13. Snook SH, Ciriello VM., The design of manual handling tasks: revised tables of maximum acceptable weight forces. Ergonomics, 1991; 34(9):1197-213. 14. Waters T, Putz Anderson V, Garg A, Fine L J., Revised NIOSII equation for the design and evaluation of manual handling tasks. Ergonomics, 1993; 36(7): 749-76. 15. Kramer J., Dynamic characteristics of the vertebral column effects of prolonged loading. Ergonomics, 1985; 28: 95-7. 16. Jorgensen K, Andersen B, Horst D et al., The load on the back in different handling operations. Ergonomics 1985; 183 -96. 17. Leskinen TPJ, Stalhammar NR, Kuorinka IAA., A dynamic analysis of spinal compression with different liftingt techniques, Ergonomics. 1983; 26: 595604. 18. Mital, Maximum weights of lift acceptable to male and female worker for extended work shifs, Ergonomics.1984; 27: 1115-26. 19. Nachemson AL., Lumbar intradiscal pressure in the lumbar spine on back pain, Pitman Medical, 2nd ed, Tunbridge Welle, Ed Jayson Miv. 1980. 20. Pope MH, Frymojer JW, Andersson GBJ, Occupational low back pain, New York. Ed Praege. 1984. 21. Andersson GBJ., Epidemiologic aspects on low back pain in industry, Spine. 1981; 6: 53-60. 22. Frymoyer JW, Pope MH, Costanza MC, Rosen JC, Coggin JE, Wilder DG., 22 25. Magora A., Investigation of the relations between low back pain and occupation, Industrial Medicine and Surgery. 1972; 41: 5-9. 26. Nachemson AL., Disc pressure measurements, Spine; 1981; 6: 93-7. 27. Ogaga K, Whiteside LA., Nutritional pathways of the intervertebral disc, Spine1981; 6: 211-6. Epidemiological studies of low back pain, Spine 1980; 5; 419-23. 23. Kelsey JL., An epidemiological study of the relationship between occupations and acute herniated lumbar intervertebral discs, International Journal of Epidemiology.1975; 4: 197205. 24. Kraemer J., Dynamica characteristics of the vertebral column, effects of prolonged loading, Ergonomics, 1985; 28; 95-7. 23 capitolo 4 GESTIONE DEL RISCHIO CONNESSO ALLA MANIPOLAZIONE E SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI ANTINEOPLASTICI a cura del gruppo di lavoro della Rete Veneta degli ospedali per la promozione della salute CASTORO MASSIMO Azienda Ospedaliera - Padova CHERZI ORAZIO Azienda ULSS 1 - Belluno MARCATO GIORGIA Azienda Ospedaliera - Padova PICCINNI SALVATORE Azienda ULSS 13 - Mirano SCAPELLATO MARIA LUISA Azienda Ospedaliera - Padova TARGON MARIA CRISTINA Azienda ULSS 1 - Belluno 24 GESTIONE DEL RISCHIO CONNESSO ALLA MANIPOLAZIONE E SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI ANTINEOPLASTICI Da questo punto di vista il D.Lgs. 626/94 ben aderisce alla base concettuale enunciata nella «Carta di Ottawa», dove una delle tre strategie fondamentali per la promozione della salute è rappresentata dalle azioni che «mettono in grado». In questo caso i lavoratori vengono messi in grado di realizzare le proprie potenzialità nel campo della salute, offrendo loro un ambiente fisico e sociale sano, e le possibilità e i mezzi per sfruttare queste condizioni favorevoli. Nell’ambito dei rischi occupazionali per gli operatori sanitari una specifica area di interesse è quella rappresentata dalla «Gestione del rischio connesso alla manipolazione dei farmaci antineoplastici». Numerosi chemioterapici antiblastici infatti, pur segnalati in letteratura e dalla International Agency of Research on Cancer (IARC) come cancerogeni per l’uomo, non sono stati inclusi fra gli oncogeni professionali indicati dagli allegati del D.Lgs. 626/94. Al fine di colmare questa lacuna, la Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale (CCTN) ha raccomandato l’inclusione sull’allegato VIII del D.Lgs. 626/94 delle attività di preparazione, impiego e smaltimento dei farmaci antiblastici ai fini di trattamento terapeutico. L’attuale legislazione permette comunque di svolgere una appropriata prevenzione anche per i rischi non previsti da tale normativa, in quanto pone al centro di tutte le attività preventive la valutazione dei rischi lavorativi e conseguentemente anche gli interventi di prevenzione primaria e secondaria che ne derivano. Per la particolare natura dei cancerogeni in questione, non esiste una dose soglia al di PREMESSA Da quando si è costituita la Rete Regionale Veneta degli Ospedali per la Promozione della Salute si è verificata l’esigenza comune da parte di molte Aziende sanitarie aderenti di sviluppare dei progetti di promozione della salute orientati principalmente alla salute dello staff. Allo scopo si sono formati dei gruppi di lavoro regionali con il compito di sviluppare dei progetti relativi alla promozione della salute degli operatori sanitari, anche in considerazione della applicazione del decreto legislativo n. 626/94 e successive modificazioni. Un aspetto interessante e stimolante è che tale decreto legislativo non disciplina solo l’aspetto tecnico della sicurezza del lavoro, ma sancisce anche il principio dell’autotutela di ciascun lavoratore. Quindi i lavoratori dipendenti da fruitori passivi diventano ora soggetti attivi, coinvolti in prima persona in un rapporto collaborativo con l’ambiente, al fine di salvaguardare la propria salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Al sistema basato sulla prevenzione tecnologica (prevista dai decreti n. 547/55 e n. 303/56) si affianca e si integra un sistema di sicurezza globale che per la prima volta nel nostro Paese affida la tutela del lavoratore anche al lavoratore stesso: «ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella di altre persone presenti sul luogo di lavoro» (art. 5, comma 1), senza peraltro esimere il datore di lavoro dal rispettare gli obblighi previsti per legge. 25 progetto, con il compito di adattare alle specificità locali le proposte di seguito indicate e di supportare concretamente le varie fasi di realizzazione del progetto. Compatibilmente con le risorse disponibili in sede locale, si suggerisce che la composizione del gruppo sia la seguente: Primario oncologo; Farmacista; Ematologo/ Clinico oncologo; CSSA/ Servizio Infermieristico; Dirigente medico; Rappresentante del Settore Tecnico; Medico competente; CS o IP di Oncologia; Rappresentanti Ass. Volontariato; Responsabile di Distretto. sotto della quale non si possa prefigurare un danno a carico dei lavoratori esposti. Secondo il D.Lgs. 626/94, il datore di lavoro è tenuto ad evitare l’utilizzazione dell’agente cancerogeno, sostituendolo con sostanza meno pericolosa, o a utilizzare a ciclo chiuso; solo ove ciò non fosse possibile deve ridurre l’esposizione al valore più basso ottenibile con la tecnologia disponibile. Appare evidente che, per quanto riguarda i farmaci antiblastici, solo quest’ultima possibilità è percorribile da parte del datore di lavoro. La riduzione dell’esposizione ai valori più bassi possibili si può realizzare solo attraverso adeguati interventi di carattere strutturale, organizzativo e procedurale che prevedano sia una adeguata attività di formazione ed informazione degli operatori, sia la concentrazione delle attività in un ridotto numero di «Unità di manipolazione di chemioterapici antiblastici». A tali conclusioni è approdato il gruppo di lavoro «La prevenzione dei rischi lavorativi derivanti dall’uso di chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario», organizzato dall’ISPESL su mandato della Commissione Oncologica Nazionale, che ha prodotto delle specifiche linee guida. Il gruppo di lavoro della Rete Veneta HPH ha utilizzato in parte quanto previsto dalle succitate linee guida ed ha cercato di proporre quanto può essere realizzato presso ogni Azienda sanitaria ed Ospedaliera, tenendo presente le diversità e le specificità locali. E’ ragionevole prevedere che la durata del progetto sia di 3 anni. OBIETTIVO GENERALE L’obiettivo generale del progetto è la riduzione del numero di personale addetto alla manipolazione dei farmaci antineoplastici e la corretta applicazione delle procedure tecnico/organizzative, attraverso la massima concentrazione possibile delle strutture di preparazione e del personale, al fine di ottenere la minore esposizione possibile nonchè la promozione del continuo miglioramento della qualità assistenziale. OBIETTIVI SPECIFICI Il gruppo di lavoro ha articolato l’obiettivo generale in una serie di obiettivi specifici, che permettono meglio l’articolazione definitiva del progetto in sede locale. COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO PER LO SVILUPPO LOCALE DEL PROGETTO a) Personale 1) Diminuire il numero del personale esposto. 2) Migliorare le procedure tecnico/organizzative e comportamentali. Per lo sviluppo di questo progetto in un’Azienda sanitaria si ritiene opportuno che venga attivato in maniera formale un gruppo di lavoro, guidato da un capo 26 b) Predisporre un successivo eventuale adeguamento sia degli impianti che dei locali. c) Sulla base dei requisiti tecnico/ambientali previsti, concentrare la preparazione dei farmaci antibiotici nel minor numero possibile di unità di manipolazione ospedaliera e/o territoriale (adeguandole alle linee guida della Commissione Oncologica citate nella premessa). 3) Aumentare la consapevolezza del ruolo professionale in relazione al particolare tipo di rischio. 4) Tutelare la maternità, con allontanamento dall’esposizione. 5) Informare ed educare medici di medicina generale, il personale addetto all’assistenza domiciliare e il personale delle RSA e delle Case di Riposo. 6) Favorire l’adozione di protocolli terapeutici comuni. b) Pazienti 7) Informare ed educare pazienti sugli effetti collaterali dei farmaci chemioterapici e sulla gestione dei rifiuti speciali, degli effetti letterecci e delle deiezioni. AZIONI ORGANIZZATIVE a) Concentrare al massimo il personale in «Unità di manipolazione dei chemioterapici antiblastici» con particolare attenzione alle figure professionali ‘idonee’: farmacista, oncologo, ematologo, IP oncologo. b) Regolamentare l’accesso alle zone protette al solo personale autorizzato. c) Esplicitare il protocollo di sorveglianza sanitaria e produrre una lista del personale esposto. d) Verificare l’adozione delle norme di corretto utilizzo di impianti, attrezzature, DPI e dei farmaci stessi, con istituzione di adeguati sistemi di notifica degli eventi accidentali (quali esposizioni accidentali, spandimenti, contaminazioni varie, ecc.) da inoltrare al datore di lavoro che li trasmetterà all’organo di vigilanza, con lo stesso sistema previsto per gli incidenti occupazionali. e) Definire e attuare dei protocolli di intervento in caso di spandimenti accidentali o contaminazioni del personale e loro notifica immediata (eventuale fornitura dei kit di emergenza). f) Attivare un sistema di trasporto delle preparazioni dei farmaci antiblastici dalle Unità di preparazione ai reparti. g) Attivare un eventuale sistema di trasporto dei pazienti che devono utilizzare dei farmaci antiblastici altamente instabili (non trasportabili), nonchè un sistema di erogazione di tale prestazioni con modalità organizzativo-gestionali tipo Day Hospital. c) Comunità 1) Valutare le problematiche relative allo smaltimento delle deiezioni dei pazienti e del trattamento degli effetti letterecci. 2) Diminuire i costi sostenuti dall’Azienda attraverso la concentrazione delle strutture di preparazione, con eventuale reinvestimento dei benefici economici all’interno del progetto. 3) Informare ed educare i familiari dei pazienti sulla gestione dei liquidi biologici contaminati, dei rifiuti speciali e degli effetti letterecci. AZIONI STRUTTURALI a) Revisione e censimento da parte del Settore tecnico e/o di Ingegneria Clinica delle apparecchiature esistenti utilizzate nella manipolazione dei chemioterapici, catalogando per ognuna: • dove sono installate; • caratteristiche e gestione tecnica delle stesse; • requisiti dei locali che le alloggiano (finestre, fonti di calore ecc.). 27 • informazioni ed eventuale coinvolgimento diretto sul progetto globale. h) Organizzare un sistema integrato per la raccolta dei rifiuti speciali in ospedale, nei distretti e a domicilio, laddove attivata la terapia domiciliare con farmaci antineoplastici. i) Regolamentare l’allontanamento dall’esposizione delle lavoratrici sin dall’inizio della gravidanza, sensibilizzando il personale alla notifica immediata. l) Analisi dei costi/benefici della centralizzazione da parte di un ufficio amministrativo e dirigenza medica e valutare la possibilità di considerare le Unità di manipolazione FA quali centri di costo all’interno del sistema di controllo di gestione. 2) Azioni rivolte ai Pazienti Il medico e/o l’IP curante effettueranno una attività di counseling nei confronti dei pazienti per: • dare informazioni sugli effetti collaterali dei farmaci antineoplastici; • invitare a segnalare al personale sanitario gli eventuali effetti collaterali o altro; • dare consigli su accorgimenti che il paziente può adottare per sè e per i propri familiari. 3) Azioni rivolte alla Comunità Organizzazione di brevi incontri (1-2h) con i familiari dei pazienti, da attuarsi in occasione del loro accompagnamento al DH per la terapia infusionale e svolti da membri di associazioni di volontariato opportunamente addestrati e da IP collaboratori, aventi per tema: • segnalazioni per il personale sanitario, • accorgimenti per sè e per il paziente; • effetti secondari della chemioterapia; • manipolazione dei presidi; • raccolta/smaltimento degli effetti letterecci e di fiale, flebo, cannule ecc. AZIONI EDUCATIVE 1) Azioni rivolte al Personale a) Organizzazione di corsi di formazione /informazione aventi per tema la corretta manipolazione dei farmaci antineoplastici attraverso l’adozione di norme di corretto utilizzo degli impianti, delle attrezzature, dei DPI e dei farmaci stessi. I corsi saranno destinati alle diverse categorie professionali: dirigenti, preposti, primari, medici, CS, IP, tecnici (in generale di tutti quei reparti e servizi coinvolti nella gestione dei farmaci antiblastici) compresi i dirigenti dei settori Farmacia, Ingegneria clinica e Tecnico e i membri delle associazioni di volontariato. I corsi saranno eseguiti da: dirigente medico, medico competente, oncologi, farmacisti, ingegneri, servizio infermieristico. b) Organizzazione di corsi di formazioneinformazione per i medici di medicina generale e per il personale dedicato all’assistenza domiciliare, delle Case di Riposo e delle RSA. Questi casi dovranno sviluppare i seguenti argomenti: • gestione dei farmaci antineoplastici e loro effetti collaterali; • corretto utilizzo dei DPI; • corretta raccolta e smaltimento dei rifiuti; 28 INDICATORI E CRITERI PER LA VALUTAZIONE Indicatore Strumento di Tipo di indicatore valutazione Criterio di valutazione Istituzione del registro delle apparecchiature presso il settore tecnico struttura Banca dati il registro è disponibile in 3-6 mesi n. siti di manipolazione farmaci antineoplastici prima e dopo la concentrazione delle attività (se graduale) struttura Archivio di progetto verifica annuale della avvenuta riduzione n. di interventi eseguiti rispetto ai segnalati struttura Archivio di progetto verifica annuale n. acquisti effettuati rispetto alle struttura necessità rilevate (apparecchiature, DPI, monouso, ecc.) Archivio di progetto verifica annuale n. personale esposto prima/dopo la esito concentrazione delle attività Registro degli esposti diminuzione degli esposti (verifica annuale) livello di esposizione prima e dopo esito la centralizzazione Indicatori biologigi diminuzione della esposizione (annuale) installazione di adeguata segnaletica per le Unità di manipolazione e adozione di un sistema di riconoscimento del personale autorizzato struttura Archivio di progetto la segnalazione e il sistema di riconoscimento sono stati attivati Attuazione di un protocollo di sorveglianza sanitaria sulla base del registro esposti processo archivio esiste il protocollo scritto e viene regolarmente seguito n.eventi accidentali verificatesi processo nelle Unità di manipolazione e nei reparti Registro notifica incidenti riduzione nel tempo irregolarità riscontrate durante la processo vigilanza periodica (ogni 2-3 mesi) schede per sopraluogo riduzione nel tempo modalità dell'incidente e comportamenti adottati processo intervista telefonica dopo un evento accidentale aumento della % di adesione ai protocolli Attivazione del sistema di trasporto dei FA preparati nelle strutture centralizzate struttura Archivio di progetto il sistema è attivato n. farmaci non somministrati poichè inutilizzabili (precipitaz. rottura provetta) rispetto a quelli preparati per il trasporto struttura Scheda di accompagnamento o del farmaco < 5% archivio di progetto il locale è attivato Attivazione di un punto centrale di struttura 29 somministrazione FA tipo DH Attivazione del sistema di trasporto dei pazienti (per l'uso di FA non trasportabili) struttura archivio di progetto il sistema è disponibile Tempo di attesa per i pazienti che processo si trasferiscono dai reparti Indagine periodica (2 mesi) non > di 30 minuti sia per l'andata che per ritorno processo n. segnalazioni da parte dei pazienti dei disguidi nei confronti del trasporto e della centralizzazione archivio URP non > 5% dei pazienti in terapia Sistema di raccolta rifiuti attivato attraverso la fornitura di contenitori per la raccolta struttura archivio di progetto il sistema copre tutte le U.O. ospedaliere e territoriali n. di spostamenti e/o cambio mansioni rispetto alle notifiche di gravidanza processo Registrazione del Serv. Inferm. 100% n. spostamenti entro il 45° giorno di gravidanza processo Registrazione del Serv. Inferm. 100% Esecuzioni dell'analisi costi/benefivi processo Archivio di progetto l'analisi è sdtata eseguita livello di conoscenze, partendo dal processo fabbisogno formativo (in 5 aa.) Questionario incremento max possibile nei vari profili professionali partecipazione ai corsi di formazione per il personale Registro delle firme 90% degli invitati struttura n. pazienti raggiunti dall'attività di processo counseling Registro di counseling raggiungere almeno il 70% paz. in terapia n. personale medico e non medico processo che attua l'azione educativa nei pazienti Archivio di progetto n. familiari raggiunti dal counseling rispetto ai pazienti in terapia Registro di counseling coinvolgere almeno 1 familiare per paz. nell'arco di 3 aa. processo n. personale medico e non medico processo che attua l'azione educativa nei familiari Archivio di progetto 30 70% del personale 70% del personale rischi potenziali da esposizione. Linee guida per una loro corretta preparazione, Ospedale S. Giovanni Antica Sede, Azienda ULS 1 Torino. 1995 : 1-30. 11. Hemminki K, Kyyroenen P, Lindbohm ML., Spontaneous abortion and malformations in the offspring of nurses exposed to anaesthetic gases, cytostatic drugs, and other potential hazard in hospitals, based on registred information of outcome, J Epidemiol Comm Health. 1895; 39: 141-7. 12. Hirts M et Al., Occupational exposure to cyclophosphamide, Lancet. 1984; 1: 186-8. 13. IARC., Monographs on the Evaluation of Cariogenic Risk to Humans, List of IARC Evaluations, Lyon 1994. 14. Knowles R, Virden J., Handling of injectable antineoplastics agents, Brit Med J. 1980; 281: 589-91. 15. Kolmodin-Hedman B, Hartvig P, Sorsa M, Falck K., Occupational handling of cytostatic drugs, Arch Toxicol. 1983; 54: 25-33. 16. Mayer DK., Hazards of chemotherapy. Implementing safe handling practices, Cancer. 1992; 70/4 suppl : 988-92. 17. Mc Devitt J, Lees PSJ, Mc Diarmid MA., Exposure to hospital pharmacists and nurses to antineoplastic agents, J Occup Med. 1991; 35: 57-60. 18. Mc Diarmid MA, Egan T., Acute occupational exposure to antineoplastic agents, J Occup Med. 1988; 30: 984-7. 19. Minguzzi MV., La Farmacia ospedaliera e la manipolazione dei farmaci antiblastici, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1993: 1-75. 20. Occupational Safety and Health Administration-U.S. Department of Labor, Work practice guidlines for personnel dealing with cytotoxic antineoplastic drugs, Am J Hosp Pharm. 1986; 43: 1193-204. 21. Palazzo S, Biamonte R, Conforti S., Linee guida per la manipolazione sicura BIBLIOGRAFIA 1. American Medical Association Council ReportI, Guidelines for handing parenteral neoplastics, JAMA. 1985; 253: 1590-2. 2. Azzardetti G, Vlacos D, Lodola L, Bescapè V., Seconda circolare informativa sulla corretta manipolazione dei chimici genotossici e dei farmaci antiblastici, Policlinico «S.Matteo» IRCCS Pavia, 1995: 1-37. 3. Campana C., Rischi e prevenzione nella manipolazione e somministrazione di farmaci antiblastici. Aspetti etici e professionali nell’assistenza infermieristica, Direzione Sanitaria, Servizio di Medicina Preventiva, Spedali Civili Brescia, 1992. 4. Clinical Oncological Society of Australia, Guidlines and recommandation for safe handling of antineoplastic agents, Med J Aust, 1983;1: 426-8. 5. Clonfero E, Granella M, Gori GP, Levis AG, Morandi P, Bartolucci GB, Saia B., Escrezione urinaria di mutageni e cisplatino nel personale infermieristico dei reparti di oncologia medica esposto a farmaci citostatici, Med Lav. 1989; 80: 412-419. 6. Council of Scientific Affairs, Guidelines for handling parenteral antineoplastics, Arch Mal Prof. 1989; 50 : 109-25. 7. De Werck AA, Wadden RA, Chion NL., Exposure of hospital workers to airborne antineoplastic agents, Am J Hosp Pharm. 1983; 40: 597-601. 8. Eriksen IL., Handling of cytotoxic drugs: governmental regulations and practical solutions. Pharminternat, 1982 : 264-7. 9. Gililland J, Weinstein L., The effects of cancer chemotherapeutics agents on the devolping fetus, Ostet Gynecol Surv. 1983; 38: 6-13. 10. Goffredo F, Ostino G., Farmaci citotossici: effetti locali e/o sistemici, 31 occupational hazard: a literature review, Clin Sci Rev. 1986; 2: 127-35. 27. Hemon D., Risk of spontaneous abortion among nurses handling antineoplastic drugs, Scan J Work Environ Health.1990; 16: 102-7. 28. Villa L, Viganò G, Corvi C., La manipolazione in sicurezza dei farmaci antiblastici, In Villa L, Viganò G, eds. Atti del Seminario Regionale "I Rischi Ospedalieri: esperienze e prevenzione", Azienda Socio Sanitaria 9, Sondrio,1995: 41-51. 29. Villa L, Viganò G, Corvi C., Precauzioni per la corretta manipolazione dei farmaci antineoplastici. Atti del II Congresso Nazionale di Medicina Preventiva dei Lavoratori della Sanità, Brescia Gargnano, 1994: 382-9. 30. Alessio L., Forni A., La prevenzione dei rischi dei lavoratori derivanti dall’uso di chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario, Medicina del Lavoro. 1996; 87 (3). dei farmaci antitumorali, UTET Milano, 1995: 1-96. 22. Selevan SG, Lindbohm NL, Polsci C, Hornung R, Hemminki K., A study of occupational esposure to antineolpastic drugs and fetal loss in nurses, N Engl J Med, 1985; 313 / 19: 1173-8. 23. Sieber SM, Adamson RH., Toxicity of antineoplastic agents in man: chromosomal aberration, antifertility effects, congenital malformatios, and carcinogenic potential, Adv Cancer Res. 1975; 22: 57-155. 24. Skov T, Maarup B, Olsen J, Roth M, Winthereik H, Lynge E., Leukemia and reproductive outcome among nurses handeling antineoplastic drugs, Brit J Ind Med. 1992; 49: 855-61. 25. Sorsa M, Hemminki K, Vainio H., Occupational exposure to cyclophosphamide in industry and hospital, Mutat Res. 1988; 204: 465-79. 26. Stellman JM, Zoloth SR., Cancer chemotherapeutic agents as 32 ALLEGATI ALLEGATO A Scheda di rilevazione sugli incidenti a rischio biologico (infezioni ematiche, infezioni aeree, infezioni da contatto) 1. Ospedale ________________________________________________________________________ 2. Cognome e Nome ________________________________________________________________ 3. Reparto _________________________________________________________________________ 4. Qualifica ________________________________________________________________________ 5. Data incidente ____/____/____ 6. Diagnosi di infezione: _____________________________________________________________ 7. Infezione a trasmissione: a) ematica b) aerea c) da contatto 8. Mezzi di protezione in uso al momento dell'incidente: □ guanti □ occhiali con visiera/visiera □ respiratori □ occhiali □ mascherina □ nessuno □ camice 9. Breve descrizione delle modalità di esposizione: __________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________________ * ---------- * ---------- * Per gli incidenti a trasmissione ematica • Tipo di lesione: • Tipo di agente lesivo: puntura □ taglio □ trattamento □ __________________________________________________________________________________ 34 ALLEGATO B Di seguito vengono riportati alcuni articoli selezionati, tratti dalla vigente normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che possono risultare utili per l'implementazione dei progetti di promozione della salute descritti in questa pubblicazione. Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1995, n. 547. Norme per la prevenzione sul lavoro (pubblicato nella Gazz. Uff. 12 luglio 1955, n. 158, S.O.) Art. 4 - Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti. I datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti che eserciscono, dirigono o sovraintendono alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze: a) attuare le misure di sicurezza previste dal presente decreto; b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti cede presenti norme o, nei casi in cui non sia possibile l'affissione, con altri mezzi: c) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione. Art. 6 - Doveri dei lavoratori. I lavoratori devono: a) osservare, oltre le norme del presente decreto, le misure disposte dal datore di lavoro ai fini della sicurezza individuale e collettiva; b) usare con cura i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro; c) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o ai proposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza e di protezione, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui venissero a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza e nell'ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre dette deficienze o pericoli; d) non rimuovere o modificare i dispositivi e gli altri mezzi dl sicurezza e di protezione senza averne ottenuta l'autorizzazione, e) non compiere, di propria iniziativa, operazioni o manovre che non siano di loro competenza e che possano compromettere la sicurezza propria o di altre persone. Art. 15 - Spazio destinato al lavoratore. Lo spazio destinato al lavoratore nel posto di lavoro deve essere tale da consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro da compiere. Art 352 - Affissione di norme di sicurezza. Nell'ingrosso di ogni stabilimento o luogo dove, in relazione alla fabbricazione, manipolazione, utilizzazione o conservazione di materie o prodotti di cui all'articolo precedente, sussistano specifici pericoli, deve essere esposto un estratto delle norme di sicurezza contenute nel presente decreto e nelle leggi e regolamenti speciali rife- rentisi alle lavorazioni che sono eseguite. Nei reparti e presso le macchine e gli apparecchi dove sono effettuate operazioni che presentano particolari pericoli, devono essere esposte le disposizioni e le istruzioni concernenti la sicurezza delle specifiche lavorazioni. Art. 369 - Maschere ed apparecchi respiratori. Nei luoghi dove si compiono le operazioni di produzione, impiego, manipolazione e trasporto delle materie o prodotti tossici, asfissianti, irritanti ed infettanti, nonché nei depositi o luoghi in cui possono svilupparsi o diffondersi gas, vapori o altre emanazioni tossiche od asfissianti, deve essere tenuto in luogo adatto e noto al personale un numero adeguato di maschere respiratorie o di altri apparecchi protettori da usarsi in caso di emergenza. Art. 370 - Isolamento locali. I locali ed i luoghi nei quali sono eseguite le operazioni indicate nell'articolo precedente devono essere normalmente separati e isolati dagli altri locali o luoghi di lavoro o di passaggio. Art. 371 - Pulizia locali e attrezzature. I locali o luoghi nei quali si fabbricano, si manipolano o si utilizzano le materie o i prodotti indicati nell'art. 369, nonché, i tavoli di lavoro, le macchine e le attrezzature in genere impiegati per dette operazioni, devono essere frequentemente ed accuratamente puliti. Art. 374 - Edifici, opere, impianti, macchine ed attrezzature. Gli edifici, le opere destinate ad ambienti o posti di lavoro, compresi i servizi accessori, devono essere costruiti e mantenuti in buono stato di stabilità, di conservazione e di efficienza in relazione alle condizioni di uso e alle necessità della sicurezza del lavoro. Gli impianti, le macchine, gli apparecchi, le attrezzature, gli utensili, gli strumenti, compresi gli apprestamenti di difesa, devono possedere, in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti di resistenza e di idoneità ed essere mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza. Ove per le apparecchiature di cui al comma 2 è fornito il libretto di manutenzione occorre prevedere l'aggiornamento di questo libretto. Art. 377 - Mezzi personali di protezione. II datore di lavoro fermo restando quanto specificatamente previsto in altri articoli del presente decreto, deve mettere a disposizione dei lavoratori mezzi personali di protezione appropriati ai rischi inerenti alle lavorazioni ed operazioni effettuate, qualora manchino o siano insufficienti i mezzi tecnici di protezione. I detti mezzi personali di protezione devono possedere i necessari requisiti di resistenza e di idoneità nonché essere mantenuti in buono stato di conservazione. Art. 378 - Abbigliamento. I lavoratori non devono usare sul luogo di lavoro indumenti personali o abbigliamenti che, in relazione alla natura delle operazioni od alle caratteristiche dell'impianto, costituiscano pericolo per la incolumità personale. Art. 379 - Indumenti di protezione. Il datore di lavoro deve, quando si è in presenza di lavorazioni, o di operazioni o di condizioni ambientali che presentano pericoli particolari non previsti dalle disposi- 35 zioni del Capo III del presente Titolo, mettere a disposizione dei lavoratori idonei indumenti di protezione. Art. 382 - Protezione agli occhi. I lavoratori esposti al pericolo di offesa agli occhi per proiezioni di schegge o di materiali roventi, caustici, corrosivi o comunque dannosi, devono essere muniti di occhiali, visiere o schermi appropriati. Art. 383 - Protezione delle mani. Nelle lavorazioni che presentano specifici pericoli di punture, tagli, abrasioni, ustioni, causticazioni alle mani, i lavoratori devono essere torniti di manopole, guanti o altri appropriati mezzi di protezione. Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303. Norme generali per l'igiene del lavoro. (pubblicato nella Gazz. Uff. 30 aprile 1956, n. 105. S.O.) Gli articoli che seguono contengono le modifiche e le integrazioni previste dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (pubblicato nella Gazz. Uff. 12 novembre 1994, n. 265, S.O. ) Art. 4 - Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti. I datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovraintendono alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze: a) attuare le misure di igiene previste nel presente decreto; b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza i modi di prevenire i danni derivanti dai rischi predetti; c) fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione; d) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di igiene ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione. Art. 5 - Obblighi dei lavoratori. I lavoratori devono: a) osservare, oltre le norme del presente decreto, le misure disposte dal datore di lavoro ai fini dell'igiene; b) usare con cura i dispositivi tecnicosanitari e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro; c) segnalare al datore di lavoro, al dirigente o ai preposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di protezione suddetti; d) non rimuovere o modificare detti dispositivi e mezzi di protezione, senza averne ottenuta l'autorizzazione. Art. 7 - Pavimenti, muri, soffitti, finestre e lucernari dei locali scale e marciapiedi mobili, banchina e rampe di carico. 1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione, è vietato adibire a lavori continuativi locali chiusi che non rispondono alle seguenti condizioni: a) essere ben difesi contro gli agenti atmosferici, e provvisti di un isolamento termico sufficiente, tenuto conto del tipo di impresa e dell'attività fisica dei lavoratori; b) avere aperture sufficienti per un rapido ricambio d'aria; c) essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità; d) avere le superfici dei pavimenti, delle pareti, dei soffitti tali da poter essere pulite e deterse per ottenere condizioni adeguate di igiene. 2. I pavimenti dei locali devono essere esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi. devono essere fissi, stabili ed antisdrucciolevoli. 3. Nelle parti dei locali dove abitualmente si versano sul pavimento sostanze putrescibili o liquidi, il pavimento deve avere superficie unita ed impermeabile e pendenza sufficiente per avviare rapidamente i liquidi verso i punti di raccolta e scarico. 4. Quando il pavimento dei posti di lavoro e di quelli di passaggio si mantiene bagnato, esso deve essere munito in permanenza di palchetti o di graticolato, se i lavoratori non sono forniti di idonee calzature impermeabili. 5. Qualora non ostino particolari condizioni tecniche, le pareti dei locali di lavoro devono essere a tinta chiara. 6. Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti completamente vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione, devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all'altezza di 1 metro dal pavimento, ovvero essere separate dai posti di lavoro e dalle vie di circolazione succitati in modo tale che i lavoratori non possono entrare in contatto con le pareti né rimanere feriti qualora esse vadano in frantumi. Nel caso in cui vengono utilizzati materiali di sicurezza fino all'altezza di 1 metro dal pavimento, tale altezza è elevata quando ciò e necessario in relazione al rischio che i lavoratori rimangono feriti qualora esse vadano in frantumi. 7. Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione devono poter essere aperti, chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in tutta sicurezza. Quando sono aperti essi devono essere posizionati in modo da non costituire un pericolo per i lavoratori. 8. Le finestre e i lucernari devono essere concepiti congiuntamente con l'attrezzatura o dotati di dispositivi che consentono la loro pulitura senza rischi per i lavoratori che effettuano tale lavoro nonché per i lavoratori presenti nell'edificio ed intorno ad esso. 9. L'accesso ai tetti costituiti da materiali non sufficientemente resistenti può essere autorizzato soltanto se sono fornite attrezzature che permettono di eseguire il lavoro in tutta sicurezza. 10. Le scale ed i marciapiedi mobili devono funzionare in piena sicurezza, devono essere muniti dei necessari dispositivi di sicurezza e devono possedere dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili ed accessibili. 11. Le banchine e rampe di carico devono essere adeguate alle dimensioni dei carichi trasportati. 12. Le banchine di carico devono disporre di almeno un'uscita. Ove e tecnicamente possibile, le banchine di carico che superano m 25,0 di lunghezza devono disporre di un'uscita a ciascuna estremità. 13. Le rampe di carico devono offrire una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possono cadere 13-bis. Le disposizioni di cui ai commi 10, 11, 12 e 13 sono altresì applicabili alle vie di circolazione principali sul terreno dell'impresa, alle vie di circolazione che portano a posti di lavoro fissi, alle vie di circolazione utilizzate per la regolare manutenzione e sorveglianza degli impianti dell'impresa, nonché alle banchine di carico. Art. 9 - Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi 1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far si che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai 36 quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione. 2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori. 3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell'aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiosa. 4. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente. Art. 10 - Illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro. 1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentono un'illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere dei lavoratori. 2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo d'illuminazione previsto non rappresenta un rischio di infortunio per i lavoratori. 3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale, devono disporre di un'illuminazione di sicurezza di sufficiente intensità. 4. Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condizioni di pulizia e di efficienza. Art. 19 - Separazione dei lavori nocivi. II datore di lavoro è tenuto ad effettuare ogni qualvolta è possibile in luoghi separati le lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporvi senza necessità i lavoratori addetti ad altre lavorazioni. Art. 20 - Difesa dell'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi Nei lavori in cui si svolgono gas o vapori irrespirabili o tossici od infiammabili, ed in quelli nei quali si sviluppano normalmente odori o fumi di qualunque specie il datore di lavoro deve adottare provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione. L'aspirazione dei gas, vapori, odori o fumi deve farsi, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo dove si producono. Un'attrezzatura di lavoro che comporta pericolo dovuti ad emanazione di gas, vapori o liquidi ovvero ad emissioni di polvere, deve essere munita di appropriati dispositivi di ritenuta ovvero di estrazione vicino alla fonte corrispondente a tali pericoli Art. 26 - Mezzi personali di protezione. I mezzi personali di protezione forniti ai lavoratori, quando possano diventare veicolo di contagio, devono essere individuati e contrassegnati col nome dell'assegnatario o con un numero. Art. 40 - Spogliatoi e armadi per il vestiario. 1. Locali appositamente destinati a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando questi devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di cambiarsi in altri locali. 2. Gli spogliatoi devono essere distinti tra i due sessi e convenientemente arredati. Nelle aziende che occupano fino a cinque dipendenti lo spogliatoio può essere unico per entrambi i sessi. In tal caso i locali a ciò adibiti sono utilizzati dal personale dei due sessi, secondo opportuni turni prestabiliti e concordati nell'ambito dell'orario di lavoro). 3. I locali destinati a spogliatoio devono avere una capacità sufficiente, essere possibilmente vicini ai locali di lavoro aerati, illuminati, ben difesi dalle intemperie, riscaldati durante la stagione fredda e muniti di sedili. 4. Gli spogliatoi devono essere dotati di attrezzature che consentono a ciascun lavoratore di chiudere a chiave i propri indumenti durante il tempo di lavoro. 5. Qualora i lavoratori svolgano attività insudicianti, polverose, con sviluppo di fumi o vapori contenenti in sospensione sostanze untuose od incrostanti. nonché in quelle dove si usano sostanze venefiche, corrosive od infettanti o comunque pericolose, gli armadi per gli indumenti da lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti privati. 6. Qualora non si applichi il comma 1 ciascun lavoratore deve poter disporre dello attrezzature di cui al comma 4 per poter riporre i propri indumenti. Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626. Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE. 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 novembre 1994, n. 265, S.O.) Gli articoli che seguono contengono le modifiche e le integrazioni previste dal D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242 (pubblicato nella Gazz. Uff. 6 maggio 1996, n. 104, S, 0.) TITOLO I Art. 2 - Definizioni 1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intendono per a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari, con rapporto di lavoro subordinato anche speciale. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari e i partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici. I soggetti di cui al precedente periodo non vengono computati ai fini della determinazione del numero dei lavoratori dal quale il presente decreto fa discendere particolari obblighi; 37 b) datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa ovvero dell'unità produttiva, quale definita ai sensi della lettera i), in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale; c) servizio di prevenzione e protezione dai rischi: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all'azienda finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell'azienda, ovvero unità produttiva; d) medico competente: medico in possesso di uno dei seguenti titoli: 1) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene dei lavoro o in clinica del lavoro ed altre specializzazioni individuali, ove necessario, con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica; 2) docenza o libera docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro; 3) autorizzazione di cui all'art. 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277: e) responsabile del servizio di prevenzione e protezione: persona designata dal datore di lavoro in possesso di attitudini e capacità adeguate: f) rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: persona, ovvero persone, eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro, di seguito denominato rappresentante per la sicurezza; g) prevenzione: il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell'attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno; h) agente: l'agente chimico, fisico o biologico, presente durante il lavoro e potenzialmente dannoso per la salute; i) unità produttiva: stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico funzionale. Art. 3 - Misure generali di tutela 1. Le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono: a) valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza; b) eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro riduzione al minimo; c) riduzione dei rischi alla fonte; d) programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integra in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro; e) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso; f) rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella defi- nizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo; g) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; h) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio; i) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici, sui luoghi di lavoro; l) controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici; m) allontanamento del lavoratore dall'esposizione a rischio, per motivi sanitari inerenti la sua persona; n) misure igieniche; o) misure di protezione collettiva ed individuale; p) misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave od immediato; q) uso di segnali di avvertimento e di sicurezza; r) regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti; s) informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro; t) istruzioni adeguate ai lavoratori. 2. Le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori. Art. 4 - Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto. 1. Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, valuta, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari. 2. All'esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente: a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera a); c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza. 3. Il documento è custodito presso l'azienda ovvero l'unità produttiva. 4. II datore di lavoro: a) designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda secondo le regole di cui all'art. 8: b) designa gli addetti al servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all'azienda secondo le regole di cui all’art. 8; c) nomina, nei casi previsti dall'art. 16, il medico competente. 5. II datore di lavoro adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, e in particolare: a) designa preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza; 38 b) aggiorna le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi o produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro, ovvero in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione; c) nell'affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza; d) fornisce ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione; e) prende le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico; f) richiede l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione; g) richiede l'osservanza da parte del medico competente degli obblighi previsti dal presente decreto, informandolo sui processi e sui rischi connessi all'attività produttiva; h) adotta le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dà istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; i) informa il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; l) si astiene, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato; m) permette ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute e consente al rappresentante per la sicurezza di accedere alle informazioni ed alla documentazione aziendale di cui all'art. 19, comma 1, lettera e): n) prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno; o) tiene un registro nel quale sono annotati cronologicamente gli infortuni sul lavoro che comportano un'assenza dal lavoro di almeno un giorno. Nel registro sono annotati il nome, il cognome, la qualifica professionale dell'infortunato, le cause e le circostanze dell'infortunio, nonché la data di abbandono e di ripresa del lavoro. Il registro è redatto conformemente al modello approvato con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva permanente, di cui all’art. 393 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, e successive modifiche, ed è conservato sul luogo di lavoro, a disposizione dell'organo di vigilanza. Fino all'emanazione di tale decreto il registro è redatto in conformità ai modelli già disciplinati dalle leggi vigenti; p) consulta il rappresentante per la sicurezza nei casi previsti dall'art. 19, comma 1, lettere b), c) e d); q) adotta le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, o al numero delle persone presenti. 6. Il datore di lavoro effettua la valutazione di cui al comma 1 ed elabora il documento di cui al comma 2 in colla- borazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente nei casi in cui sia obbligatoria la sorveglianza sanitaria, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza. 7. La valutazione di cui al comma 1 e il documento di cui al comma 2 sono rielaborati in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori. 8. Il datore di lavoro custodisce, presso l'azienda ovvero l'unità produttiva, la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, con salvaguardia del segreto professionale, e ne consegna copia al lavoratore stesso al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero quando lo stesso ne fa richiesta. 9. Per le piccole e medie aziende, con uno o piú decreti da emanarsi entro il 31 marzo 1996 da parte dei Ministri dei lavoro e della previdenza sociale, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene dei lavoro, in relazione alla natura dei rischi e alle dimensioni dell'azienda, sono definite procedure standardizzate per gli adempimenti documentali di cui al presente articolo. Tali disposizioni non si applicano alle attività industriali di cui all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all'obbligo di dichiarazione o notifica ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso, alle centrali termoelettriche, agli impianti e laboratori nucleari, alle aziende estrattive ed altre attività minerarie, alle aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, e alle strutture di ricovero e cura sia pubbliche sia private. 10. Per le medesime aziende di cui al comma 9, primo periodo, con uno o più decreti dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, possono essere altresì definiti: a) i casi relativi a ipotesi di scarsa pericolosità, nei quali è possibile lo svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione in aziende ovvero unità produttive che impiegano un numero di addetti superiore a quello indicato nell'allegato I: b) i casi in cui è possibile la riduzione a una sola volta all'anno della visita di cui all'art. 17, lettere h), degli ambienti di lavoro da parte del medico competente, ferma restando l'obbligatorietà di visite ulteriori, allorché si modificano le situazioni di rischio. 11. Fatta eccezione per le aziende indicate nella nota (1) dell'allegato I, il datore di lavoro delle aziende familiari, nonchè delle aziende che occupano fino a dieci addetti non è soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3, ma è tenuto comunque ad autocertificare per iscritto l'avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi o l'adempimento degli obblighi ad essa collegati. L'autocertificazione deve essere inviata al rappresentante per la sicurezza. Sono in ogni caso soggette agli obblighi di cui ai commi 2 e 3 le aziende familiari nonché le aziende che occupano fino a dieci addetti, soggette a particolari fattori di rischio, individuate nell'ambito di specifici settori produttivi con uno o piú decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità, dell'industria, del commercio e dell'artigianato, delle risorse agricole alimentari e forestali e dell'interno, per quanto di rispettiva competenza. 12. Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente 39 decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto o norme c convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico. Art. 5 - Obblighi dei lavoratori 1. Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi fomiti dal datore di lavoro. 2. In particolare i lavoratori: a) osservano le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale; b) utilizzano correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza; c) utilizzano in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; d) segnalano immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al proposto le deficienze dei mezzi e dispositivi di cui alle lettere b) e c), nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre tali deficienze o pericoli, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; e) non rimuovono o modificano senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; f) non compiono di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori; g) si sottopongono ai controlli sanitari previsti nei loro confronti; h) contribuiscono, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento di tutti gli obblighi imposti dall'autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro. Art. 6 - Obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori 1. I progettisti dei luoghi o posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute al momento delle scelte progettuali e tecniche e scelgono macchine nonché dispositivi di protezione rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti. 2. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza. Chiunque concede in locazione finanziaria beni assoggettati a forme di codificazione o di omologazione obbligatoria è tenuto a che gli stessi siano accompagnati dalle previste certificazioni o dagli altri documenti previsti dalla legge. 3. Gli installatori e montatori di impianti o altri mezzi tecnici devono attenersi alle norme di sicurezza e di igiene del lavoro, nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti dei macchinari e degli altri mezzi tecnici per la parte di loro competenza. Art. 7 - Contratto di appalto o contratto d'opera 1. II datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi: a) verifica, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d'opera; b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. 2. Nell'ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva. 3. II datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2. Tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle impreso appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Art. 9 - Compiti del servizio di prevenzione e protezione 1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede: a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale: b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e i sistemi di cui all'art. 4, comma 2, lettera b) e i sistemi di controllo di tali misure; c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori; e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e di sicurezza di cui all'art. 11; f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'art. 21. 2. Il datore di lavoro fornisce ai servizi di prevenzione e protezione informazioni in merito a: a) la natura dei rischi; b) l'organizzazione del lavoro, la programmazione e l'attuazione delle misure preventive e protettive; c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi; d) i dati del registro degli infortuni e delle malattie professionali; e) le prescrizioni degli organi di vigilanza. 3. I componenti dei servizio di prevenzione e protezione e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle funzioni di cui al presente decreto. 4. II servizio di prevenzione e protezione é utilizzato dal datore di lavoro. 40 Art. 16 - Contenuto della sorveglianza sanitaria 1. La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente. 2. La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende: a) accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica; b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. 3. Gli accertamenti di cui al comma 2 comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Art. 17 - Il medico competente 1. Il medico competente: a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione di cui all'art. 8, sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione dell'azienda ovvero dell'unità produttiva e delle situazioni di rischio, alla predisposizione dell'attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psico-fisica dei lavoratori; b) effettua gli accertamenti sanitari di cui all'art. 16; c) esprime i giudizi di idoneità alla mansione specifica al lavoro, di cui all'art. 16; d) istituisce ed aggiorna, sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, una cartella sanitaria e di rischio da custodire presso il datore di lavoro con salvaguardia del segreto professionale; e) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l’esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; f) informa ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti sanitari di cui alla lettera b) e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria; g) comunica, in occasione delle riunioni di cui all'art. 11, ai rappresentanti per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati; h) congiuntamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, visita gli ambienti di lavoro almeno due volte all'anno e partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono fomiti con tempestività ai fini delle valutazioni e dei pareri di competenza; i) fatti salvi i controlli sanitari di cui alla lettera b), effettua le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali; l) collabora con il datore di lavoro alla predisposizione del servizio di pronto soccorso di cui all'art. 15; m) collabora all'attività di formazione e informazione di cui al capo VI. 2. II medico competente può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri. 3. Qualora il medico competente, a seguito degli accertamenti di cui all'art. 16, comma 2 esprime un giudizio sull'inidoneità parziale o temporanea o totale del lavoratore, ne informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore. 4. Avverso il giudizio di cui al comma 3 è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso. 5. II medico competente svolge la propria opera in qualità di: a) dipendente da una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l'imprenditore per lo svolgimento dei compiti di cui al presente capo; b) libero professionista; c) dipendente del datore di lavoro. 6. Qualora il medico competente sia dipendente del datore di lavoro, questi gli fornisce i mezzi e gli assicura le condizioni necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. 7. Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l'attività di medico competente qualora esplichi attività di vigilanza. Art. 19 - Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza 1. Il rappresentante per la sicurezza: a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell'azienda ovvero unità produttiva: c) è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all'attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori; d) è consultato in merito all'organizzazione della formazione di cui all'art. 22. comma 5; e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti le sostanze e i preparati pericolosi, le macchine, gli impianti, l'organizzazione e gli ambienti di lavoro; gli infortuni e le malattie professionali; l) riceve le informazioni provenienti dei servizi di vigilanza; g) riceve una formazione adeguata, comunque non inferiore a quella prevista dall'art. 22; h) promuove l'elaborazione, l’individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori; i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti; l) partecipa alla riunione periodica di cui all'art. 11; m) fa proposte in mento all'attività di prevenzione; n) avverte il responsabile dell'azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività; o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impiegati per attuarle non sono idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro. 2. II rappresentante per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell'incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi necessari per l'esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli. 3. Le modalità per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 sono stabilite in sede di contrattazione collettiva nazionale. 4. II rappresentante per la sicurezza non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele 41 previste dalla legge per le rappresentanze sindacale. 5. Il rappresentante per la sicurezza ha accesso, per l'espletamento della sua funzione, al documento di cui all'art. 4, commi 2 e 3, nonché al registro degli infortuni sul lavoro di cui all'art. 4, comma 5, lettera o). Art. 21 - Informazione dei lavoratori 1. II datore di lavoro provvede affinchè ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione su: a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale; b) le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate; c) i rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; d) i pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; e) lo procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei lavoratori; f) il responsabile dei servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente; g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli 12 e 15. 2. Il datore di lavoro fornisce le informazioni di cui al comma 1, lettere a), b), c), anche ai lavoratori di cui all'art. 1, comma 3. Art. 22 - Formazione dei lavoratori 1. II datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all’art. 1, comma 3, riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni (17). 2. La formazione deve avvenire in occasione: a) dell'assunzione; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuovo tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi. 3. La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all'evoluzione dei rischi ovvero all'insorgenza di nuovi rischi. 4. Il rappresentante per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente la normativa in materia di sicurezza e salute e i rischi specifici esistenti nel proprio ambito di rappresentanza, tale da assicurargli adeguate nozioni sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. 5. I lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza devono essere adeguatamente formati. 6. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti di cui al comma 4 deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici di cui all'art 20, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori. 7. I Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, possono stabilire i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro di cui all'art. 10, comma 3, tenendo anche conto delle dimensioni e della tipologia delle imprese. TITOLO II LUOGHI DI LAVORO Art 32 - Obblighi del datore di lavoro 1. II datore di lavoro provvede affinchè: a) le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza; b) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori; c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate; d) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo dei loro funzionamento. TITOLO III USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO Art. 35 - Obblighi del datore di lavoro 1. Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero adattate a tali scopi ed idonee ai fini della sicurezza e della salute. 2. II datore di lavoro attua le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte. 3. All’atto della scelta delle attrezzature di lavoro il datore di lavoro prende in considerazione: a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere; b) i rischi presenti nell'ambiente di lavoro; c) i rischi derivanti dall'impiego delle attrezzature stesse. 4. II datore di lavoro prende le misure necessario affinché le attrezzature di lavoro siano: a) installate in conformità alle istruzioni del fabbricante; b) utilizzate correttamente; c) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la rispondenza ai requisiti di cui all'art. 36 e siano corredate, ove necessario. da apposite istruzioni d'uso. 5. Qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro si assicura che: a) l'uso dell'attrezzatura di lavoro è riservato a lavoratori all'uopo incaricati; b) in caso di riparazione, di trasformazione o manutenzione, il lavoratore interessato è qualificato in maniera specifica per svolgere tali compiti. Art. 36 - Disposizioni concernenti l'attrezzatura di lavoro 1. Le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono soddisfare alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di tutela detta sicurezza e salute dei lavoratori stessi ad esso applicabili. 2. Nulla è innovato nel regime giuridico che regola le operazioni di verifica periodica delle attrezzature per le quali tale regime è obbligatoriamente previsto. In ogni caso le modalità e le procedure tecniche delle relative verifiche seguono il regime giuridico corrispondente a 42 quello in base al quale l'attrezzatura è stata costruita e messa in servizio. TITOLO IV USO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI Art. 40 - Definizioni 1. Si intende per dispositivo di protezione individuale (DPI) qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. 2. Non sono dispositivi di protezione individuale: a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore; b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio; c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell'ordine pubblico; d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto stradali; e) i materiali sportivi; f) i materiali per l'autodifesa o per la dissuasione; g) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi. Art. 41 - Obbligo di uso 1. I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione dei lavoro. Art. 42 - Requisiti dei DPI 1. I DPI devono essere conformi alle norme di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475. 2. I DPI di cui al comma 1 devono inoltre: a) essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore; b) essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; c) tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; d) poter essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità. 3. In caso di rischi multipli che richiedono l'uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell'uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti. Art. 43 - Obblighi dei datore di lavoro 1. II datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI: a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi; b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI; c) valuta, sulla base delle informazioni a corredo dei DPI fornite dal fabbricante e delle norme d'uso di cui all'art. 45 le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b); d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una varia- zione significativa negli elementi di valutazione. 2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d'uso di cui all'art. 45, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell'uso, in funzione di: a) entità del rischio; b) frequenza dell'esposizione al rischio; c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore; d) prestazioni del DPI. 3. II datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI conformi ai requisiti previsti dall'ari. 42 e dal decreto di cui all’art. 45, comma 2. 4. II datore di lavoro: a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d'igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie; b) provvede a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante; c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori; d) destina ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l'uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori; e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge; f) rende disponibile nell'azienda ovvero unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI; g) assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei DPI. 5. In ogni caso l'addestramento è indispensabile: a) per ogni DPI che, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, appartenga alla terza categoria; b) per i dispositivi di protezione dell'udito. Art. 44 - Obblighi dei lavoratori 1. I lavoratori si sottopongono al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari ai sensi dell'art. 43, commi 4, lettera g), e 5. 2. I lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all'informazione e alla formazione ricevute e all'addestramento eventualmente organizzato. 3. I lavoratori: a) hanno cura dei DPI messi a loro disposizione; b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa. 4. Al termine dell'utilizzo i lavoratori seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei DPI. 5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione. TITOLO V MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI Art. 47 - Campo di applicazione 1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività che comportano la movimentazione manuale dei carichi con i rischi, tra l'altro, di lesioni dorso-lombari per i lavoratori durante il lavoro. 2. Si intendono per: a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, 43 spingere, tirare, portare o spostare un carico che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano tra l'altro rischi di lesioni dorso-lombari; b) lesioni dorso-lombari: lesioni a carico delle strutture osteomiotendinee e nerveovascolari a livello dorso-lombare. Art. 48 - Obblighi del datore di lavoro 1. II datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie o ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori. 2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzativo necessarie, ricorre ai mezzi appropriati o fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, in base all'allegato VI. 3. Nel caso in cui la necessità di una movimentazione manuale di un carico ad opera del lavoratore non può essere evitata, il datore di lavoro organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione sia quanto più possibile sicura e sana. 4. Nei casi di cui al comma 3 il datore di lavoro: a) valuta, se possibile, preliminarmente, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione e tiene conto in particolare delle caratteristiche del carico, in base all'allegato VI; b) adotta le misure atte ad evitare o ridurre tra l'altro i rischi di lesioni dorso-lombari, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all'allegato VI; c) sottopone alla sorveglianza sanitaria di cui all'art. 16 gli addetti alle attività di cui al presente titolo. TITOLO VII PROTEZIONE DA AGENTI CANCEROGENI Art. 60 - Campo di applicazione 1. Le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività nelle quali i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti cancerogeni a causa della loro attività lavorativa. 2. Le norme del presente titolo non si applicano alle attività disciplinate dal: a) decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 962; b) decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 77: c) decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, capo III. 3. Il presente titolo non si applica ai lavoratori esposti soltanto alle radiazioni previste dal trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica. Art. 61 - Definizioni 1. Agli effetti del presente decreto si intende per agente cancerogeno: a) una sostanza alla quale, nell'allegato 1 della direttiva 67/548/CEE, è attribuita la menzione R 45: "Può provocare il cancro" o la menzione R 49: “Può provocare il cancro per inalazione”; b) un preparato su cui, a norma dell'art. 3, paragrafo 5, lettera j), della direttiva 88/379/CEE deve essere apposta l'etichetta con la menzione R 45: "Può provocare il can- cro" o con la menzione R 49: "Può provocare il cancro per inalazione'; c) una sostanza, un preparato o un processo di cui all'allegato VIII nonché una sostanza od un preparato prodotti durante un processo previsto all'allegato VIII, Art. 62 - Sostituzione e riduzione 1. Il datore di lavoro evita o riduce l'utilizzazione di un agente cancerogeno sul luogo di lavoro in particolare sostituendolo, sempre che ciò è tecnicamente possibile, con una sostanza o un preparato o un procedimento che nelle condizioni in cui viene utilizzato non è o è meno nocivo alla salute e eventualmente alla sicurezza dei lavoratori. 2. Se non è tecnicamente possibile sostituire l'agente cancerogeno il datore di lavoro provvede affinché la produzione o l'utilizzazione dell'agente cancerogeno avvenga in un sistema chiuso sempre che ciò è tecnicamente possibile. 3. Se il ricorso ad un sistema chiuso non e tecnicamente possibile il datore di lavoro provvede affinché il livello di esposizione dei lavoratori sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile. Art. 63 - Valutazione del rischio 1. Fatto salvo quanto previsto all'art. 62, il datore di lavoro effettua una valutazione dell'esposizione ad agenti cancerogeni, i risultati della quale sono riportati nel documento di cui all'art. 4, comma 2. 2. Detta valutazione tiene conto, in particolare, delle caratteristiche delle lavorazioni, della loro durata e della loro frequenza, dei quantitativi di agenti cancerogeni prodotti ovvero utilizzati, della loro concentrazione, della capacità degli stessi di penetrare nell'organismo per le diverse vie di assorbimento, anche in relazione al loro stato di aggregazione e, qualora allo stato solido, se in massa compatta o in scaglie o in forma polverulenta e se o meno contenuti in una matrice solida che ne riduce o ne impedisce la fuoriuscita. 3. II datore di lavoro, in relazione ai risultati della valutazione di cui al comma 1, adotta le misure preventive e protettive del presente titolo, adattandole allo particolarità delle situazioni lavorative. 4. Il documento di cui all'art. 4, commi 2 e 3, è integrato con i seguenti dati: a) le attività lavorative che comportano la presenza di sostanze o preparati cancerogeni o di processi industriali di cui all'allegato VIII, con l'indicazione dei motivi per i quali sono impiegati agenti cancerogeni; b) i quantitativi di sostanze ovvero preparati cancerogeni prodotti ovvero utilizzati, ovvero presenti come impurità o sottoprodotti; c) il numero dei lavoratori esposti ovvero potenzialmente esposti ad agenti cancerogeni; d) l'esposizione dei suddetti lavoratori, ove nota e il grado della stessa; e) le misure preventive e protettive applicate ed il tipo dei dispositivi di protezione individuale utilizzati; f) le indagini svolte per la possibile sostituzione degli agenti cancerogeni e le sostanze e i preparati eventualmente utilizzati come sostituti. 5. II datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dal ultima valutazione effettuata. 6. II rappresentante per la sicurezza ha accesso anche ai dati di cui al comma 4, fermo restando l'obbligo di cui 44 all'art. 9, comma 3. Art. 64 - Misure tecniche, organizzative, procedurali Il datore di lavoro: a) assicura, applicando metodi e procedure di lavoro adeguati, che nelle varie operazioni lavorative sono impiegati quantitativi di agenti cancerogeni non superiori alle necessità delle lavorazioni e che gli agenti cancerogeni in attesa di impiego, in forma fisica tale da causare rischio di introduzione, non sono accumulati sul luogo di lavoro in quantitativi superiori alle necessità predette; b) limita al minimo possibile il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti cancerogeni, anche isolando le lavorazioni in aree predeterminate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza, compresi i segnali “vietato fumare", ed accessibili soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o con fa loro funzione. In dette aree è fatto divieto di fumare; c) progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni nell’aria. Se ciò non e tecnicamente possibile, l'eliminazione degli agenti cancerogeni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata, nel rispetto dell'art. 4, comma 5, lettera n). L'ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato sistema di ventilazione generale; d) provvede alla misurazione di agenti cancerogeni per verificare l'efficacia delle misure di cui alla lettera c) e per individuare precocemente le esposizioni anomale causate da un evento non prevedibile o da un incidente, con metodi di campionatura e di misurazione conformi alle indicazioni dell'allegato VIII del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277; e) provvede alla regolare e sistematica pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti; f) elabora procedure per i casi di emergenza che possono comportare esposizioni elevate; g) assicura che gli agenti cancerogeni sono conservati, manipolati, trasportati in condizioni di sicurezza: h) assicura che la raccolta e l'immagazzinamento, ai fini dello smaltimento degli scarti e dei residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni, avvengano in condizioni di sicurezza, in particolare utilizzando contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto, visibile; i) dispone. su conforme parere del medico competente, misure protettive particolari per quelle categorie di lavoratori per i quali l'esposizione a taluni agenti cancerogeni presenta rischi particolarmente elevati. Art. 65 - Misure igieniche 1. Il datore di lavoro: a) assicura che i lavoratori dispongano di servizi igienici appropriati ed adeguati; b) dispone che i lavoratori abbiano in dotazione idonei indumenti protettivi da riporre in posti separati dagli abiti civili; c) provvede affinché i dispositivi di protezione individuale siano custoditi in luoghi determinati, controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi, prima di ogni nuova utilizzazione. 2. E' vietato assumere cibi e bevande o fumare nelle zone di lavoro di cui all'art. 64, lettera b). Art. 66 - Informazione e formazione 1. II datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda: a) gli agenti cancerogeni presenti nei cicli lavorativi, la loro dislocazione, i rischi per la salute connessi al loro impiego, ivi compresi i rischi supplementari dovuti al fumare; b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione; c) le misure igieniche da osservare; d) la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi individuali di protezione ed il loro corretto impiego; e) il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da adottare per ridurre al minimo le conseguenze. 2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1. 3. L'informazione e la formazione di cui ai commi 1 e 2 sono fornite prima che i lavoratori siano adibiti alle attività in questione e vengono ripetute, con frequenza almeno quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verificano nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi. 4. II datore di lavoro provvede inoltre affinché gli impianti, i contenitori, gli imballaggi contenenti agenti cancerogeni siano etichettati in maniera chiaramente leggibile e comprensibile. I contrassegni utilizzati e le altre indicazioni devono essere conformi al disposto della legge 29 maggio 1974, n. 256 e successive modifiche ed integrazioni. Art. 67 - Esposizione non prevedibile 1. Se si verificano eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare un'esposizione anomala dei lavoratori, il datore di lavoro adotta quanto prima misure appropriate per identificare e rimuovere la causa dell'evento e ne informa i lavoratori e il rappresentante per la sicurezza. 2. I lavoratori devono abbandonare immediatamente l'area interessata, cui possono accedere soltanto gli addetti agli interventi di riparazione ed ad altre operazioni necessarie, indossando idonei indumenti protettivi e dispositivi di protezione delle vie respiratorie, messi a loro disposizione dal datore di lavoro. In ogni caso l'uso dei dispositivi di protezione non può essere permanente e la sua durata, per ogni lavoratore, è limitata al minimo strettamente necessario. 3. II datore di lavoro comunica al più presto all'organo di vigilanza il verificarsi degli eventi di cui al comma 1 e riferisce sulle misure adottate per ridurre al minimo le conseguenze. Art. 68 - Operazioni lavorative particolari 1. Nel caso di determinate operazioni lavorative, come quella di manutenzione, per le quali, nonostante l'adozione di tutte le misure di prevenzione tecnicamente applicabili, è prevedibile un'esposizione rilevante dei lavoratori addetti, il datore di lavoro previa consultazione del rappresentante per la sicurezza: a) dispone che soltanto tali lavoratori hanno accesso alle suddette aree anche provvedendo, ove tecnicamente possibile, all'isolamento delle stesse ed alla loro identificazione mediante appositi contrassegni; b) fornisce ai lavoratori speciali indumenti e dispositivi di protezione individuale che devono essere indossati dai lavoratori adibiti alle suddette operazioni. 2. La presenza nelle aree di cui al comma 1 dei lavoratori addetti è in ogni caso ridotta al minimo compatibilmente con le necessità delle lavorazioni. 45 Art 69 - Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche 1. I lavoratori per i quali la valutazione di cui all'art. 63 ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti a sorveglianza sanitaria. 2. II datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure preventive e protettive per singoli lavoratori sulla base delle risultanze degli esami clinici e biologici effettuati. 3. Le misure di cui al comma 2 possono comprendere l'allontanamento del lavoratore secondo le procedure dell'art. 8 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277. 4. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l'esistenza di una anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro. 5. A seguito dell'informazione di cui al comma 4 il datore di lavoro effettua: a) una nuova valutazione del rischio in conformità all'art. 63; b) ove sia tecnicamente possibile, una misurazione della concentrazione dell'agente in aria per verificare l'efficacia delle misure adottate. 6. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sulla sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti, con particolare riguardo all'opportunità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività lavorativa. Art. 70 - Registro di esposizione e cartelle sanitarie 1. I lavoratori di cui all'art. 69 sono iscritti in un registro nel quale sono riportati, per ciascuno di essi, l'attività svolta, l'agente cancerogeno utilizzato e, ove noto, il valore dell'esposizione a tale agente. Detto registro è istituito ed aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e il rappresentante per la sicurezza hanno accesso a detto registro. 2. II datore di lavoro: a) consegna copia del registro di cui al comma 1 all'Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro ed all'organo di vigilanza competente per territorio e comunica loro ogni 3 anni, e comunque ogni qualvolta i medesimi ne facciano richiesta, le variazioni intervenute; b) consegna, a richiesta, all'istituto superiore di sanità copia del registro di cui al comma 1; c) comunica all'istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro e all'organo di vigilanza competente per territorio la cessazione del rapporto di lavoro dei lavoratori di cui all'art. 69, con le eventuali variazioni sopravvenute dall'ultima comunicazione delle relative annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1. Consegna all'istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro le relative cartelle sanitarie e di rischio; d) in caso di cessazione di attività dell'azienda. consegna il registro di cui al comma 1 all'istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro copia dello stesso all'organo di vigilanza competente per territorio. Consegna all'Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro le cartelle sanitarie e di rischio; e) in caso di assunzione di lavoratori che hanno in precedenza esercitato attività con esposizione al medesimo agente, richiede all'Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro copia delle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1, nonché copia della cartella sanitaria e di rischio; f) tramite il medico competente comunica ai lavoratori interessati le relative annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e nella cartella sanitaria e di rischio ed al rappresentante per la sicurezza i dati collettivi anonimi contenuti nel registro di cui al comma 1. 3. Le annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio sono conservate dal datore di lavoro almeno fino a risoluzione del rapporto di lavoro e dall'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro fino a quaranta anni dalla cessazione di ogni attività che espone ad agenti cancerogeni. 4. La documentazione di cui ai commi 1, 2 e 3 è custodita e trasmessa con salvaguardia del segreto professionale. 5. I modelli e le modalità di tenuta del registro di cui al comma 1 e delle cartelle sanitarie e di rischio sono determinati con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva permanente. 6. L'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro trasmette annualmente al Ministero della sanità dati di sintesi relativi alle risultanze dei requisiti di cui al comma 1. Art. 72 - Adeguamenti normativi 1. Nelle attività con uso di sostanze o preparati ai quali è attribuita dalla direttiva comunitaria la menzione R 45: "Può provocare il cancro" o la menzione R 49: "Può provocare il cancro per inalazione", il datore di lavoro applica le norme del presente titolo. 2. Con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente e la commissione tossicologica nazionale, è aggiornato periodicamente l'elenco delle sostanze e dei processi di cui all'allegato VIII in funzione del progresso tecnico, dell'evoluzione di normative e specifiche internazionali e delle conoscenze nei settore degli agenti cancerogeni. TITOLO VIII PROTEZIONE DA AGENTI BIOLOGICI Art. 73 - Campo di applicazione 1. Le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici. 2. Restano ferme le disposizioni particolari di recepimento delle norme comunitarie sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati e sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. II comma 1 dell'art. 7 del decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 91, è soppresso. Art. 75 - Classificazione degli agenti biologici 1. Gli agenti biologici sono ripartiti nei seguenti quattro gruppi a seconda del rischio di infezione: a) agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani; b) agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche: c) agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un 46 serio rischio per i lavoratori: l'agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche; d) agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche. 2. Nel caso in cui l’agente biologico oggetto di classificazione non può essere attribuito in modo inequivocabile ad uno fra i due gruppi sopraindicati, esso va classificato nel gruppo di rischio più elevato tra le due possibilità. 3. L'allegato XI riporta l'elenco degli agenti biologici classificati nei gruppi 2, 3. 4. Art. 79 - Misure tecniche, organizzative, procedurali 1. In tutte le attività per le quali la valutazione di cui all'art. 78 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali, per evitare ogni esposizione degli stessi ad agenti biologici. 2. In particolare, il datore di lavoro: a) evita l'utilizzazione di agenti biologici nocivi, se il tipo di attività lavorativa lo consente; b) limita al minimo i lavoratori esposti, o potenzialmente esposti, al rischio di agenti biologici; c) progetta adeguatamente i processi lavorativi; d) adotta misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali qualora non sia possibile evitare altrimenti l'esposizione; e) adotta misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un agente biologico fuori dal luogo di lavoro; f) usa il segnale di rischio biologico, rappresentato nell'allegato X, e altri segnali di avvertimento appropriati; g) elabora idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana ed animale; h) definisce procedure di emergenza per affrontare incidenti; i) verifica la presenza di agenti biologici sul luogo di lavoro al di fuori del contenimento fisico primario, se necessario o tecnicamente realizzabile; l) predispone i mezzi necessari per la raccolta, l'immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti in condizioni di sicurezza, mediante l'impiego di contenitori adeguati ed identificabili eventualmente dopo idoneo trattamento dei rifiuti stessi; m) concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all'interno del luogo di lavoro. Art. 81 - Misure specifiche per le strutture sanitarie e veterinarie 1. Il datore di lavoro, nelle strutture sanitarie e veterinarie, in sede di valutazione dei rischi, presta particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell'organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta. 2. In relazione ai risultati della valutazione, il datore di lavoro definisce e provvede a che siano applicate procedure che consentono di manipolare, decontaminare ed eliminare senza rischi per l'operatore e per la comunità, i materiali ed i rifiuti contaminati. 3. Nei servizi di isolamento che ospitano pazienti od animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 3 o del gruppo 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono indicate nell'allegato XII. Art. 84 - Misure di emergenza 1. Se si verificano incidenti che possono provocare la dispersione nell'ambiente di un agente biologico appartenente ai gruppi 2, 3 o 4, i lavoratori devono abbandonare immediatamente la zona interessata, cui possono accedere soltanto quelli addetti ai necessari interventi, con l'obbligo di usare gli idonei mezzi di protezione. 2. II datore di lavoro informa al più presto l'organo di vigilanza territorialmente competente, nonché i lavoratori ed il rappresentante per la sicurezza, dell'evento, delle cause che lo hanno determinato e delle misure che intende adottare, o che ha già adottato, per porre rimedio alla situazione creatasi. 3. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al proposto, qualsiasi infortunio o incidente relativo all'uso di agenti biologici. Art. 86 - Prevenzione e controllo I lavoratori addetti alle attività per le quali la valutazione dei rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria. 2. II datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente: b) l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'art. 8 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277. 2-bis. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l'esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro. 2-ter. A seguito dell'informazione di cui al comma 3 il datore di lavoro effettua una nuova valutazione del rischio in conformità all'art. 78 . 2-quater. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell’allegato XI, nonché sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non-vaccinazione. Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, Tutela delle lavoratrici madri. (Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 gennaio 1972, n. 14). Art. 3 - Divieto di esposizione E' vietato adibire al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri le lavoratrici durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto. In attesa della pubblicazione del regolamento di esecuzione della presento legge, i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri restano determinati dalla tabella annessa al decreto del Presidente della Repubblica 21 maggio 1953, n. 568. Le lavoratrici saranno addotte ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto di cui al comma pre- 47 cedente. Le lavoratrici saranno, altresì, spostate ad altre mansioni durante la gestazione e fino a sette mesi dopo il parto nei casi in cui l'ispettorato del lavoro accerti che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna. D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026. Regolamento di esecuzione della L. 30 dicembre 1971, n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 marzo 1977, n. 72). Art. 5 II divieto di cui all'art. 3, primo comma, della legge si intende riferito al trasporto, sia a braccia e a spalle, sia con carretti a ruote su strada o su guida, e al sollevamento dei pesi, compreso il carico e stanco e ogni altra operazione connessa. I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, vietati ai sensi dello stesso articolo, sono i seguenti: A) Quelli previsti dagli articoli 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1976, n. 432, recante la determinazione dei lavori pericolosi, faticosi e insalubri ai sensi dell'art. 6 della legge 17 ottobre 1967, n. 977, sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti; B) Quelli indicati nella tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, per i quali vige l'obbligo delle visite mediche preventive e periodiche: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; C) Quelli che espongono alla silicosi e all'asbestosi, nonché alle altre malattie professionali di cui agli allegati 4 e 5 al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, numero 1124, e successive modificazioni: durante la gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto; D) I lavori che comportano l'esposizione alle radiazioni ionizzanti di cui all'art. 65 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; E) I lavori su scale ed impalcature mobili e fisse: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; F) I lavori di manovalanza pesante: durante la gestazione e fino al termine dei periodo di interdizione dal lavoro; G) I lavori che comportano una stazione in piedi per più di metà dell'orario o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante: durante la gestazione e fino al termine di interdizione dal lavoro; H) I lavori con macchina mossa a pedale, o comandata a pedale, quando il ritmo del movimento sia frequente, o esiga un notevole sforzo: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; I) I lavori con macchine scuotenti o con utensili che trasmettono intense vibrazioni: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; L) I lavori di assistenza e cura degli infermi nei sanatori e nei reparti per malattie infettive e per malattie nervose e mentali: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; M) I lavori agricoli che implicano la manipolazione e l'uso di sostanze tossiche o altrimenti nocive nella concimazione del terreno e nella cura del bestiame: durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto; N) I lavori di monda e trapianto del riso durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro; O) I lavori a bordo delle navi, degli aerei, dei treni, dei pullman e di ogni altro mezzo di comunicazione in moto: durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro. Il periodo per il quale è previsto, ai sensi del terzo comma dell'art. 3 della legge, che la lavoratrice possa essere spostata ad altre mansioni, può essere frazionato in periodi minori anche rinnovabili, su disposizione dell'ispettorato dei lavoro, tenuto anche conto dello stato di salute dell'interessata. L'ispettorato del lavoro può ritenere che sussistano condizioni ambientali sfavorevoli agli effetti dell'art. 3. terzo comma, e dall'art 5, lettera b), della legge anche quando vi siano periodi di contagio derivanti alla lavoratrice dai contatti di lavoro con il pubblico o con particolari strati di popolazione, specie in periodi di epidemia. Ai fini dell'applicazione dei presente articolo, il certificato medico di gravidanza dovrà essere presentato il più presto possibile. Ad ogni modo, eventuali ritardi non comportano la perdita dei diritti derivanti dalle norme di tutela fisica, le quali però diventano operanti soltanto dopo la presentazione di detto documento. Decreto Legislativo 25 dicembre 1996, n. 645. Recepimento della direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro dello lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 21 dicembre 96, n. 299) Art. 3 - Divieto di esposizione I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, di cui all'articolo 33 primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, includono anche tutti quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro che sono indicati nell'allegato II. Art. 4 - Valutazione e informazione 1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 3, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come integrato dall'articolo 3, o fermo restando quanto stabilito dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, il datore di lavoro, nell'ambito ed agli effetti della valutazione di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici di cui all'articolo 1, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato l nel rispetto delle linee direttrici stabilite con i decreti di cui all'articolo 2, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare. 2. L'obbligo di informazione stabilito dall'articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentanti per la sicurezza sui risultati della valutazione di cui al comma 1 e sulle conseguenti misure di protezione e di prevenzione adottate ALLEGATO I Elenco non esauriente di agenti, processi e condizioni di lavoro di cui all'art. 4 A. AGENTI 1. Agenti fisici, allorché vengono considerati come agenti 48 che comportano lesioni del feto e/o rischiano di provocare il distacco della placenta, in particolare: a) colpi, vibrazioni meccaniche o movimenti; b) movimentazione manuale di carichi pesanti che comportano rischi, soprattutto dorsolombari; c) rumore; d) radiazioni ionizzanti; e) radiazioni non ionizzanti; f) sollecitazioni termiche; g) movimenti e posizioni di lavoro, spostamenti, sia all'interno sia all'esterno dello stabilimento, fatica mentale e fisica e altri disagi fisici connessi all'attività svolta dalle lavoratrici di cui all'art. 1. 2. Agenti biologici Agenti biologici dei gruppi di rischio da 2 a 4 ai sensi dell'art. 75 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, nella misura in cui sia noto che tali agenti o le terapie che essi rendono necessarie mettono in pericolo la salute delle gestanti e del nascituro, sempreché non figurino ancora nell'allegato II. 3. Agenti chimici Gli agenti chimici seguenti, nella misura in cui sia noto che mettono in pericolo la salute delle gestanti e del nascituro, sempreché non figurino ancora nell'allegato II: a) sostanze etichettate R 40, R 45, R 46 e R 47 ai sensi della direttiva n. 67/548/CEE, purché non figurino ancora nell'allegato II; b) agenti chimici che figurano nell'allegato VIII del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni; c) mercurio e suoi derivati; d) medicamenti antimitotici; e) monossido di carbonio; f) agenti chimici pericolosi di comprovato assorbimento cutaneo. B. PROCESSI Processi industriali che figurano nell'allegato VIII del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni. C. CONDIZIONI DI LAVORO Lavori sotterranei di carattere minerario. ALLEGATO II Elenco non esauriente di agenti e di condizioni di lavoro di cui all'art. 3 A. LAVORATRICI GESTANTI DI CUI ALL'ART. 1 1. Agenti: a) agenti fisici: lavoro in atmosfera di sovrapressione elevata, ad esempio in camere sotto pressione, immersione subacquea; b) agenti biologici: toxoplasma; virus della rosolia, a meno che sussista la prova che la lavoratrice è sufficientemente protetta contro questi agenti dal suo stato di immunizzazione; c) agenti chimici: piombo e suoi derivati, nella misura in cui questi agenti possono essere assorbiti dall'organismo umano. 2. Condizioni di lavoro lavori sotterranei di carattere minerario. B. LAVORATRICI IN PERIODO DI ALLATTAMENTO DI CUI ALL'ART. 1 1. Agenti: a) agenti chimici: piombo e suoi derivati, nella misura in cui tali agenti possono essere assorbiti dall'organismo umano. 2. Condizioni di lavoro: lavori sotterranei di carattere minerario. D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 febbraio 1997, n. 38 S.O.) Art. 45 - Rifiuti sanitari. 1. Il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi deve essere effettuato in condizioni tali da non causare alterazioni che comportino rischi per la salute e può avere una durata massima di cinque giorni. Per quantitativi non superiori a duecento litri detto deposito temporaneo può raggiungere i trenta giorni, alle predette condizioni. 2. Al direttore o responsabile sanitario della struttura pubblica o privata compete la sorveglianza ed il rispetto della disposizione di cui al comma 1, fino al conferimento dei rifiuti all'operatore autorizzato al trasporto verso l’impianto di smaltimento. 3. I rifiuti di cui al comma 1 devono essere smaltiti mediante termodistruzione presso impianti autorizzati ai sensi del presente decreto. Qualora il numero degli impianti per lo smaltimento mediante termodistruzione non risulti adeguato al fabbisogno, il Presidente della Regione, d'intesa con il Ministro della sanità ed il Ministro dell'ambiente, può autorizzare lo smaltimento dei rifiuti di cui al comma 1 anche in discarica controllata previa sterilizzazione. 4. Con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza tra lo Stato le Regioni e le Province autonome, sono: a) definite le norme tecniche di raccolta, disinfezione, sterilizzazione, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi: b) individuati i rifiuti di cui all’articolo 7, comma 2, lettera f); c) individuate le frazioni di rifiuti sanitari assimilati agli urbani nonché le eventuali ulteriori categorie di rifiuti sanitari che richiedono particolari sistemi di smaltimento. 5. La sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi effettuata al di fuori della struttura sanitaria che li ha prodotti è sottoposta alle procedure autorizzative di cui agli articoli 27 e 28. In tal caso al responsabile dell’impianto compete la certificazione di avvenuta sterilizzazione 49