Ipsoa - Marchi, brevetti e know-how di Valente Piergiorgio, Fusa
by user
Comments
Transcript
Ipsoa - Marchi, brevetti e know-how di Valente Piergiorgio, Fusa
QUESTO VOLUME È ANCHE ONLINE Consultalo gratuitamente ne “La Mia Biblioteca”, la prima biblioteca professionale in the cloud con le pubblicazioni di CEDAM, UTET Giuridica, IPSOA. Grazie al suo evoluto sistema di ricerca puoi accedere ai tuoi scaffali virtuali e ritrovare tra i tuoi libri la soluzione che cerchi da PC, iPad o altri tablet. Ovunque tu sia. Per conoscere le modalità di accesso al servizio e consultare il volume online collegati a www.lamiabiblioteca.com e clicca su “Richiedi la tua password”. La consultazione online viene offerta all’acquirente del presente volume a titolo completamente gratuito ed a fini promozionali del ser vizio “La Mia Biblioteca” e potrebbe essere soggetta a revoca da parte dell’Editore. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 2012 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) PROPRIETÀ ISBN: 000 00 LETTERARIA 000 0000 0 RISERVATA © 2014 Wolters Kluwer Italia S.r.lesclusivamente Strada I, Palazzo - 20090 Milanofiori Assago (MI) Il presente file può essere usato perF6 finalità di carattere personale. I diritti di commercializzazione, traduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento e di riproduzione toISBN: 9788821747434 tale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. La presente pubblicazione è protetta da sistemi di DRM che identificano l’utente associandogli Ilusername presenteefile può essere esclusivamente finalitàdel di testo carattere personale. I diritti di password e nonusato consentono operazioniper di copia e di stampa. La pubblicazione commercializzazione, di memorizzazione elettronica, di adattamento di riprodupuò essere scaricata etraduzione, consultata su un numero massimo di dispositivi (computer,etablet, e-reader zione totale o parziale qualsiasi riservati per tutti i Paesi. dell’acquisto. La mao smartphone abilitati),con associati allomezzo stesso sono utente, specificato in occasione La presente dei pubblicazione è protetta da sistemi di DRM.sanzionata. La manomissione dei DRM è vietata nomissione DRM è vietata per legge e penalmente per legge e penalmente L’elaborazione dei testi èsanzionata. curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. L’elaborazione dei testi è curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. Profilo degli autori PROFILO DEGLI AUTORI Piergiorgio Valente Chairman del Comitato Fiscale della Confédération Fiscale Européenne (CFE); Chairman dell’International Tax Committee dell’International Association of Financial Executives Institutes (IAFEI); Bureau Member del Taxation and Fiscal Policy Committee del Business and Industry Advisory Committee (BIAC) presso l’OCSE; Rappresentante Confindustria presso il Tax Policy Working Group di BUSINESSEUROPE (Unione delle Confindustrie europee); Chairman del Comitato Tecnico Fiscale dell’Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari (ANDAF). È docente titolare al Corso Superiore di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza e professore presso la Scuola Superiore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Dipartimento di Scienze Politiche della Seconda Università degli Studi di Napoli e la Link Campus University in Roma. Presta attività professionale in Valente Associati GEB Partners. Emanuela Fusa Dottore commercialista e consulente tecnico del tribunale, svolge l’attività professionale presso il suo Studio di Finanza e Fiscalità con particolare riferimento a valutazioni d’azienda, organizzazioni e riorganizzazioni aziendali e valutazioni contabili, materie per le quali svolge anche attività di formazione. Fa parte delle commissioni di studio dell’ODCEC di Milano sulla “Fiscalità internazionale” e sul “Diritto tributario nazionale”, è consigliere ANTI Lombardia, associato AIAF e membro del Professional Affairs Committee della Confédération Fiscale Européenne (CFE). Ė autrice di numerose pubblicazioni sul valore aziendale, in materia contabile e di bilancio, pianificazione fiscale internazionale, riorganizzazione aziendale, ecc.. È Of Counsel in Valente Associati GEB Partners. Fabio Ghiselli Dottore commercialista e Revisore legale. Già Responsabile del Servizio Fiscale di Italease S.p.A., da ottobre 1992 è Direttore Responsabile del Servizio Fiscale di Italmobiliare S.p.A. (holding del gruppo Pesenti). Autore di numerose pubblicazioni in materia tributaria: “Il Sole 24 Ore”, “Italia Oggi”, “Le Società”, “Corriere Tributario”, “Bollettino Tributario”, “Tax Planning”, “Il fisco”, Il Quotidiano Online WKI –IPSOA, AIAF. Docente al Master Tributario IPSOA (e già docente al Master SDA – Bocconi), è membro di diversi gruppi di studio e ricerca sul diritto tributario e fiscalità delle imprese. Ė relatore a convegni e conferenze anche in ambito accademico. © IPSOA – Wolters Kluwer Italia S.r.l. V Marchi, brevetti, know-how Alberto Tron Dottore commercialista, revisore legale dei conti e pubblicista, svolge attività di consulenza d’impresa di importanti imprese e gruppi industriali e finanziari. Ė specializzato in operazioni di finanza straordinaria, valutazioni di capitale economico di aziende e/o di rami di aziende e crisi di impresa. Ė consulente tecnico di ufficio o di parte in tema di problematiche economiche a rilevanza societaria. Ė professore incaricato di Economia Aziendale nell’Università di Pisa, consigliere nazionale dell’ANDAF, Presidente del Comitato Tecnico ANDAF “Financial Reporting Standard” e consulente tecnico dell’OIC. Ė autore di diverse monografie e numerose pubblicazioni su temi economicoaziendali. Presta attività professionale come Of Counsel in Valente Associati GEB Partners. VI © IPSOA – Wolters Kluwer Italia S.r.l. Prefazione PREFAZIONE Nell’epoca dell’economia della conoscenza i saperi, le competenze, le capacità e abilità degli individui giocano un ruolo fondamentale nella costruzione di una “ricchezza” economica e sociale in grado di promuovere un futuro intelligente, sostenibile e solidale. L’impresa, in questo contesto, ha il compito di essere l’aggregatore e l’integratore di persone e del loro bagaglio intellettuale, stimolando lo sviluppo di un’innovazione tecnologica e non, che miri al miglioramento di processi, prodotti ed edifici. È questa la Knowledge Company, l’Impresa della Conoscenza, fondata sulla consapevolezza che la buona integrazione fra persone, saperi e tecnologie è la base per costruire un’impresa virtuosa orientata al Cliente, che soddisfi i bisogni del mercato e contribuisca alla realizzazione delle persone attraverso il lavoro. Il lavoro per la Persona, quindi, e non la Persona per il lavoro, è ciò a cui la Knowledge Company dovrebbe ambire. L’impresa ha il compito di far crescere, nell’animo di ogni collaboratore, la convinzione di poter sviluppare competenze attraverso l’applicazione delle conoscenze possedute e l’utilizzo dell’esperienza acquisita di giorno in giorno. Quelle stesse competenze vanno poi condivise con gli altri, puntando così ad una crescita in comune basata sul sentimento di appartenenza ad un progetto costruito “insieme”. Il processo relazionale di contaminazione fra elementi innovativi, infatti, dà vita a quel “senso comunitario” radicato in valori e obiettivi condivisi, sui quali si basa il successo di un Gruppo. La vera condivisione allora, una condivisione trasparente e solidale, è il punto cruciale per realizzare un’integrazione virtuosa tra persone, idee e tecnologie, che spinga ciascuno ad assorbire con curiosità la conoscenza altrui e a diffondere con passione la propria, creando quella sana commistione che dà vita al “valore aggiunto” e costruisce un contesto inclusivo. Per fare questo però, è necessario che l’impresa coltivi al suo interno collaboratori che siano knowledge worker e knowledge player, abili cioè a ricercare con curiosità nuova conoscenza e a “giocarci” con impegno e spirito creativo, sviluppando soluzioni innovative che scaturiscono dalla multidisciplinarità e dalla diversità di punti di vista. Tutto ciò contribuisce alla creazione di una “cultura d’impresa” che stimola la dinamicità, il pensiero progettuale, il vivere in rete, l’essere imprenditori di se stessi, la responsabilità. La responsabilità, in particolare, è un fattore fondamentale da sviluppare nella logica della Knowledge Company: responsabilità di acquisire e diffondere conoscenze e applicare competenze al servizio di bisogni comuni, responsabilità dell’impresa verso il territorio e verso la società tutta come chiave per lo sviluppo di un’efficienza che non segua l’esclusiva logica del “maggior profitto”, ma garantisca anzitutto la sostenibilità dei risultati ottenuti. In questo contesto la rete gioca un ruolo chiave. Per la continua creazione e disseminazione di conoscenza infatti, una Knowledge Company deve entrare in contatto con le realtà che abitano il proprio territorio, siano esse imprese, scuole, università o altre istituzioni pubbliche, al fine di implementare il proprio obiettivo di trovare lavoro di qualità e le persone per farlo. Il confronto con benchmark internazionali, poi, permette © IPSOA – Wolters Kluwer Italia S.r.l. VII Marchi, brevetti, know-how all’impresa di allargare i propri orizzonti e di “uscire dai propri confini”, acquisendo e stimolando la capacità di realizzare buone pratiche imprenditoriali, a livello locale e globale. La rete, tuttavia, nasce dalle persone: sta a loro mettere a rete e mettersi in rete, poiché è da questa “apertura” che dipende la crescita relazionale del singolo. Costruire un network ampio e dinamico è uno degli obiettivi che ogni “intraprenditore” dovrebbe porsi. Il fare rete, in questo modo, andrà a vantaggio della comunità tutta e, come un domino, si moltiplicheranno possibilità reciproche di crescita per le persone, nell’orizzonte di un “bene comune” da raggiungere. A pensarci bene, in fondo, tutto questo dovrebbe rappresentare lo stimolo per ogni innovazione, un’innovazione attenta ai bisogni ed esigenze del presente ma ben radicata nella sapienza del passato. La nostra tradizione, ricca di valori fondanti ed esperienze radicate, costituisce infatti il terreno solido su cui poggiarsi per costruire il futuro. Valori riconducibili alla cultura contadina, come la trasmissione della fiducia con una stretta di mano, l’abitudine a lavorare nell’incertezza delle stagioni, la forza di ricominciare comunque, l’apprendere dal lavoro per imitazione, la diversificazione delle colture per ridurre il rischio, il costruire relazioni di solidarietà “in rete”: tutto ciò costituisce il fondamento irrinunciabile da cui partire per realizzare il “nuovo”, sviluppando innovazione, managerialità e internazionalità. È questo il senso della Tradinnovazione: immaginare e costruire i rami del proprio albero prendendosi cura delle sue radici. Francesco De Stefano Massimiliano Gatto Loccioni Ph.D. Candidates VIII © IPSOA – Wolters Kluwer Italia S.r.l. Sommario SOMMARIO Capitolo 1 LA VALUTAZIONE DEI BENI IMMATERIALI 1.1 Premessa: l’importanza dei beni immateriali ....................................................... 1.2 Perché valutare i beni immateriali ......................................................................... 1.2.1 La motivazione fiscale ................................................................................. 1.3 Le metodologie di valutazione ............................................................................... 1.3.1 Le caratteristiche dei beni agli effetti valutativi ....................................... 1.3.2 Le tipologie dei criteri di stima .................................................................. 1.3.3 I metodi analitici che utilizzano il costo ................................................... 1.3.4 I metodi analitici che considerano i flussi ................................................ 1.3.5 Criteri di mercato e criteri empirici ........................................................... 1.3.6 L’avviamento e i connessi beni immateriali ............................................. 1.4 Beni immateriali e test di impairment........................................................................ 1.5 Aspetti particolari delle valutazioni del know how ................................................ 1.6 Le approssimazioni nel processo di valutazione ................................................. 1.6.1 Determinazione del valore dei beni intangibili tra oggettiva determinabilità e razionalità economica ................................................... 1.7 Abstract ....................................................................................................................... 1.8 Riferimenti ................................................................................................................ 1.9 Appendice ................................................................................................................. 3 7 9 14 14 18 19 23 27 35 42 52 56 62 67 69 70 Capitolo II IL TRANSFER PRICING DEI BENI IMMATERIALI 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 Premessa .................................................................................................................... La disciplina italiana: circolare n. 32/1980........................................................... Analisi funzionale e beni immateriali .................................................................... Analisi di comparabilità e beni immateriali .......................................................... Metodi di transfer pricing e beni immateriali ........................................................... I beni immateriali nella documentazione di transfer pricing ................................. I beni immateriali nel “Practical Transfer Pricing Manual for Developing Countries” dell’ONU ................................................................................................. 2.8 Abstract ....................................................................................................................... 2.9 Riferimenti ................................................................................................................ 85 86 90 94 103 111 117 122 125 Capitolo III I LAVORI OCSE IN TEMA DI TRANSFER PRICING DEI BENI IMMATERIALI 3.1 Premessa .................................................................................................................... 3.2 La disciplina OCSE ................................................................................................. 131 131 © IPSOA –. XI Marchi, brevetti, know-how 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9 Il progetto OCSE di revisione della disciplina sui beni immateriali ............... Lo Scoping Document del 27 giugno 2011 .............................................................. Il Discussion Draft del 6 giugno 2012 ..................................................................... Il Revised Discussion Draft del 30 luglio 2013......................................................... La posizione del Joint Transfer Pricing Forum ....................................................... Abstract ...................................................................................................................... Riferimenti ............................................................................................................... 143 144 149 154 164 164 167 Capitolo IV I BENI IMMATERIALI NELLE OPERAZIONI DI BUSINESS RESTRUCTURING 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 Premessa ................................................................................................................... Considerazioni relative al trasferimento di assets ................................................ I beni immateriali nelle operazioni di business restructuring: criticità .................. Il riconoscimento delle transazioni effettivamente realizzate .......................... Le previsioni del Rapporto “Addressing Base Erosion And Profit Shifting” ......... Operazioni di ristrutturazione, valutazioni d’azienda e profili penaltributari ..................................................................................................................... 4.6.1 Il falso nelle relazioni valutative ................................................................ 4.7 Abstract ...................................................................................................................... 4.8 Riferimenti ............................................................................................................... 173 175 179 184 186 195 195 198 201 Capitolo V LA GIURISPRUDENZA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE IN TEMA DI BENI IMMATERIALI 5.1 Premessa ................................................................................................................... 5.2 Giurisprudenza estera............................................................................................. 5.2.1 Il caso DHL ................................................................................................. 5.2.2 Il caso Maruti-Suzuki .................................................................................. 5.2.3 Il caso Veritas .............................................................................................. 5.2.4 Il caso Glaxosmithkline.............................................................................. 5.3 Giurisprudenza nazionale ...................................................................................... 5.3.1 Cass. 20 maggio 2013, n. 12282 ................................................................ 5.3.2 Cass. 27 febbraio 2013, n. 4927 ................................................................ 5.3.3 C.T.P. Roma, 2 giugno 2000, n. 410 ........................................................ 5.3.4 C.T.P. Roma, 5 marzo 1999, n. 65 ........................................................... 5.3.5 C.T.P. Genova, 10 febbraio 1992, n. 547 ................................................ 5.4 Abstract ...................................................................................................................... 5.5 Riferimenti ............................................................................................................... XII 207 207 207 211 215 219 223 223 227 230 230 231 235 238 © IPSOA. Sommario Capitolo VI BENI IMMATERIALI E PRINCIPI CONTABILI 6.1 Premessa .................................................................................................................... 6.2 OIC 24: rilevazione e valutazione delle immobilizzazioni immateriali ........... 6.2.1 Beni immateriali............................................................................................ 6.2.2 Oneri pluriennali .......................................................................................... 6.2.3 Avviamento ................................................................................................... 6.2.4 Indicazione in nota integrativa e nella relazione sulla gestione ............ 6.3 Impairment test secondo il nuovo principio contabile OIC 9 .............................. 6.4 Gli intangible assets nei principi contabili internazionali....................................... 6.4.1 Rilevazione e valutazione in bilancio ........................................................ 6.4.2 La valutazione successiva alla prima iscrizione ....................................... 6.4.3 La perdita di valore e l’impairment test: brevi considerazioni sulla disciplina dello IAS 36 ................................................................................. 6.4.4 Cessioni e dismissioni .................................................................................. 6.4.5 Informativa integrativa di bilancio ............................................................ 6.4.6 Principali differenze rispetto alla normativa nazionale .......................... 6.5 I beni immateriali nelle aggregazioni aziendali: l’International Financial Reporting Standard (IFRS 3) ...................................................................................... 6.5.1 Rilevazione e misurazione delle attività immateriali in un’operazione di business combination..................................................................................... 6.5.2 Rilevazione e valutazione dell’avviamento ............................................... 6.5.3 Le informazioni integrative da fornire nelle note in bilancio................ 6.6 Abstract ....................................................................................................................... 6.7 Riferimenti ................................................................................................................ 243 245 247 250 252 256 257 263 266 272 274 278 278 279 281 285 288 290 292 295 Capitolo VII OPERAZIONI DI FINANZA STRAORDINARIA E RILEVANZA DEL VALORE AI FINI FISCALI. CASI PRATICI SULL’ABUSO 7.1 Premessa .................................................................................................................... 7.2 L’oggetto della valutazione. Alcune preliminari osservazioni sulla fiscalità dei trasferimenti di aziende .................................................................................... 7.3 L’oggetto della valutazione: i beni immateriali .................................................... 7.4 Le (valide) ragioni economiche.............................................................................. 7.5 L’avviamento: casi pratici sull’abuso ..................................................................... 7.6 Il marchio: casi pratici sull’abuso .......................................................................... 7.7 La valutazione dei beni intangibili a supporto delle verifiche fiscali. Razionalità del metodo a supporto dell’oggettività: premessa .......................... 7.7.1 La rilevanza dei tempi (successivi) dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria ............................................................... 7.7.2 Le caratteristiche della perizia: “razionalità” e “oggettività” ...................... © IPSOA –. 301 301 305 306 312 320 322 322 325 XIII Marchi, brevetti, know-how 7.8 Un principio generale: la relazione tra valutazione ai fini delle imposte indirette e quella ai fini delle imposte dirette ...................................................... 7.9 Abstract ...................................................................................................................... 7.10 Riferimenti ............................................................................................................... XIV 331 333 336 © IPSOA. Presentazione PRESENTAZIONE L’avvento della cd. “società dell’informazione” ha visto la crescente rilevanza delle risorse immateriali nei processi di creazione di valore delle imprese multinazionali in quanto in grado di influenzare strategicamente e di innalzare il livello competitivo. Nel corso degli anni, alle risorse intangibili è stato riconosciuto, dalla dottrina economico-aziendale, un ruolo sempre più di rilievo all’interno del processo di gestione e di posizionamento strategico delle imprese: i beni immateriali si rivelano, infatti, fondamentali per l’azienda perché vengono utilizzati nell’ambito del processo di diffusione e creazione del valore. Operazioni aziendali di gestione ordinaria o straordinaria non possono più prescindere da una completa e attenta valorizzazione del patrimonio intangibile dell’impresa. Il trasferimento cross-border di intangibles può presentare diversi, interessanti profili da un punto di vista del tax planning dei gruppi multinazionali; a loro volta, i Governi sono particolarmente sensibili alle tematiche connesse alle transazioni aventi ad oggetto beni immateriali, in quanto preoccupati dalla possibile erosione di base imponibile che tale tipo di operazioni potrebbe comportare. L’analisi delle transazioni (in particolare quelle intercorse nell’ambito di gruppi multinazionali) aventi ad oggetto beni immateriali presentano una serie di criticità: la difficoltà nella determinazione del prezzo di libera concorrenza risiede principalmente nelle caratteristiche intrinseche degli intangibles, le quali possono rendere complessa l’individuazione di beni comparabili e la determinazione del relativo valore. Mediante l’approfondimento tecnico-applicativo, non soltanto teorico, delle tematiche inerenti i beni immateriali, il Volume “Marchi, brevetti e know-how. Gestione internazionale degli intangibili” di Piergiorgio Valente, Emanuela Fusa, Fabio Ghiselli e Alberto Tron ha l’obiettivo di fornire al lettore utili e pratici strumenti per affrontare le questioni di carattere civilistico, contabile e fiscale inerenti i beni immateriali e le problematiche connesse alle transazioni intercompany aventi ad oggetto gli intangibles. Il Volume, il settimo della Collana Fiscalità Internazionale, diretta da Piergiorgio Valente, si compone di n. 7 capitoli. Il primo capitolo illustra in maniera approfondita i principali metodi di valutazione degli intangibles attraverso l’esposizione di casi concreti; il secondo e il terzo capitolo contengono una disamina, rispettivamente, della disciplina del transfer pricing con particolare riferimento alle transazioni aventi ad oggetto beni immateriali e i lavori OCSE in materia; il quarto capitolo analizza le varie issues derivanti dal trasferimento/utilizzo di intangibles a seguito di operazioni di riorganizzazione societaria/funzionale; il quinto capitolo fornisce un’overview delle principali pronunce giurisprudenziali nazionali ed internazionali aventi ad oggetto beni immateriali. Infine, il sesto capitolo illustra il trattamento dei beni immateriali nei principi contabili nazionali ed internazionali mentre il settimo capitolo tratta le questioni connesse alle operazioni di finanza straordinaria e alla rilevanza fiscale del valore attribuito al bene intangibile. Il Volume “Marchi, brevetti e know-how. Gestione internazionale degli intangibili” di Piergiorgio Valente, Emanuela Fusa, Fabio Ghiselli e Alberto Tron si rivolge non solo, e © IPSOA – Wolters Kluwer Italia S.r.l. IX Marchi, brevetti, know-how non tanto, a coloro che si accostano alla materia per finalità accademiche e didattiche, ma soprattutto a quanti – professionisti e managers d’azienda in primis – si trovano ad affrontare quotidianamente le problematiche di carattere pratico-applicativo sollevate dalla valutazione e dal trattamento civilistico, contabile e fiscale dei beni immateriali. Esso è frutto di un articolato lavoro di ricerca, dell’approfondimento e di una consolidata esperienza nella materia, di Valente Associati GEB Partners, cui hanno collaborato Salvatore Mattia, Caterina Alagna, Andrea Borroni e Federico Vincenti. Un ringraziamento speciale a Vincenzo Scotti e Marco Emanuele per la Postfazione e a Francesco De Stefano e a Massimiliano Gatto (Loccioni Ph.D. Candidates) per la Prefazione. A Enrico Loccioni un grazie particolare: il Suo modello di impresa1 della conoscenza, caratterizzata dalla qualità, dall’apprezzamento del merito e dal miglioramento continuo è fonte inesauribile di spunti e progetti, in costante tensione verso il futuro. Antonella Della Rovere (www.gebpartners.it) 1 Cfr. Maria Ludovica e Riccardo Varvelli, 2KM di Futuro-L’impresa di seminare bellezza, il Sole 24 Ore, 2014. X © IPSOA – Wolters Kluwer Italia S.r.l. Capitolo I LA VALUTAZIONE DEI BENI IMMATERIALI1 A cura di Emanuela Fusa. Ha collaborato alle tavole e all’abstract Eugena Molla con il coordinamento di Federico Vincenti. 1 I La valutazione dei beni immateriali I LA VALUTAZIONE DEI BENI IMMATERIALI Sommario: 1.1 Premessa: l’importanza dei beni immateriali – 1.2 Perché valutare i beni immateriali – 1.2.1 La motivazione fiscale – 1.3 Le metodologie di valutazione – 1.3.1 Le caratteristiche dei beni agli effetti valutativi – 1.3.2 Le tipologie dei criteri di stima – 1.3.3 I metodi analitici che utilizzano il costo – 1.3.4 I metodi analitici che considerano i flussi – 1.3.5 Criteri di mercato e criteri empirici – 1.3.6 L’avviamento e i connessi beni immateriali – 1.4 Beni immateriali e test di impairment – 1.5 Aspetti particolari delle valutazioni del know-how – 1.6 Le approssimazioni nel processo di valutazione – 1.6.1 Determinazione del valore dei beni intangibili tra oggettiva determinabilità e razionalità economica – 1.7 Abstract – 1.8 Riferimenti – 1.9 Appendice 1.1 PREMESSA: L’IMPORTANZA DEI BENI IMMATERIALI Quando si considera la sostanza che caratterizza l’impresa, solitamente si pensa ad “un sistema organizzato di risorse tecniche ed umane in continuo movimento (dinamiche) con il fine di produrre ricchezza grazie al raggiungimento di obiettivi economici e strategici”. Tale scopo viene perseguito anche e soprattutto attraverso il lavoro e le competenze intellettuali in grado di formulare strategie ed obiettivi sostenibili ed efficaci, di rinnovare la struttura e l’organizzazione, di programmare le attività in funzione degli obiettivi, di ottenere ed utilizzare le necessarie risorse tecniche per i processi di trasformazione e di trasferimento di beni e del know-how. Se identifichiamo l’impresa in quanto sopra evidenziato, sostanzialmente concentriamo la nostra attenzione sul capitale (risorse) rappresentato sia da beni tangibili, certamente misurabili (come macchine, impianti, ecc.) ma anche e soprattutto, proprio nella considerazione del valore complementare che può attribuirsi ai beni tangibili, su componenti intangibili quali il capitale intellettuale, l’innovazione, le tecnologie, ecc.. Ne possiamo dedurre che il valore aziendale, nel ritenere l’impresa sostanzialmente come organizzazione, è costituito da elementi fisici, da capitale finanziario e beni “intangibili” (il capitale intellettuale). Naturalmente, in questo caso, l’“intangibilità” non deve essere intesa come “immaterialità” del capitale intellettuale, bensì quale evidenza del fatto che lo stesso non sia facilmente traducibile in termini finanziari. Generalmente, tutti gli elementi fisici di un’impresa possono essere monetizzati, esistono statuiti criteri per esprimerne il valore corrente. Al contrario, il capitale intellettuale è costituito anche da elementi (qualità del personale, reputazione presso gli utenti, ecc.) per i quali non vi sono metodi universalmente riconosciuti per una loro valutazione quantitativa. Tuttavia, anche questi beni costituiscono la sostanza del valore dell’impresa, rappresentato da beni tangibili e dal capitale intellettuale a sua volta composto dal capitale umano, strutturale e relazionale. 3 Marchi, brevetti, know-how Tavola 1 – Il valore del capitale intellettuale Capitale Intellettuale Umano Strutturale Relazionale Interno Innovazione Processi Produzione di flussi (economici e finanziari) Creazione di valore In pratica, l’insieme di tutti gli asset intangibili (Intellectual Capital) è determinato dal capitale umano e dal capitale strutturale. Il capitale umano è costituito da tutte le competenze possedute dall’organizzazione, dal know how e da tutti gli skills manageriali. Il capitale strutturale, rappresentato dall’attuale “ambiente” costruito dall’azienda in relazione alle competenze detenute, si scinde a sua volta in capitale esterno e capitale interno. Il capitale interno è costituito dalle innovazioni (innovation capital) e dai processi aziendali (process capital); il capitale esterno è dato dalla somma delle relazioni che l’azienda costruisce con l’ambiente circostante, prevalentemente con i clienti (relationship capital). Nel considerare i beni intangibili si deve tenere conto di come non solo l’immaterialità sia la loro principale caratteristica ma anche le difficoltà nella pratica misurazione del loro valore. Tanto maggiori sono queste difficoltà, tanto più difficile diventa esprimere il valore del bene immateriale in termini economici e finanziari, nonostante la sua indiscussa importanza per l’impresa. I beni immateriali sono quindi sempre di più i protagonisti nella valutazione delle aziende, elementi determinanti per il vantaggio competitivo di moltissime aziende che 4. I La valutazione dei beni immateriali operano in settori diversi, “fattori critici di successo” che di fatto spesso per importanza sostituiscono impianti tecnici e macchinari (beni materiali). Generalmente rappresentati dall’immagine aziendale, dal brand, dai prodotti, dall’accesso ai canali distributivi, dalla capillarità della rete di vendita e dal patrimonio di relazioni che l’impresa ha costruito con la clientela finale, con gli intermediari, con gli stakeholders e più in generale, con tutti i contatti a monte e a valle, di fatto oggi costituiscono vere e proprie “barriere all’entrata” in determinati settori. La classificazione dei beni intangibili deve comunque tener conto di due diverse situazioni: 1. beni immateriali acquisiti (attraverso la corresponsione di un prezzo); 2. beni immateriali internamente prodotti. La classificazione della prima categoria di beni deve essere necessariamente operata considerando norme e regolamenti al fine della loro rilevazione contabile ed eventuale correlato ammortamento1. La classificazione dei beni intangibili prodotti internamente è molto più arbitraria in quanto non è soggetta a comportamenti regolamentati. In questo caso dovrebbe essere opportuno utilizzare una logica generale. Oggi è posta particolare attenzione all’importanza delle risorse immateriali, fattori che determinano la competitività di un’impresa. Una parte importante della redditività aziendale non è infatti attribuibile alle tradizionali variabili di struttura o strategia. In ogni caso, indipendentemente dall’importanza riconosciuta, i bilanci includono solo le attività il cui costo o valore può essere determinato. I beni immateriali che non soddisfano tali condizioni non sono pertanto inclusi nel bilancio, soprattutto quando trattasi di intangibili creati internamente e per i quali di fatto non esiste un valore di mercato. Data la loro rilevanza economica i beni immateriali possono comunque produrre plusvalori che, generalmente, sono protratti nel tempo, plusvalori dovuti a valori patrimoniali principalmente latenti in quanto non integrati nei risultati contabili per i quali è quindi generalmente necessaria una valutazione autonoma. Principalmente nei bilanci redatti seguendo le regole del codice civile il “book value”, ancorato al “criterio del costo”, non coincide con il “market value”; ne consegue come, di fatto, i valori contabili attribuiti ai beni immateriali possono essere misleading se usati quale unica fonte rappresentativa del loro effettivo valore, aspetto che, inevitabilmente si ripercuote sul valore dell’azienda che li detiene. È bene tenere presente come la stima autonoma dei beni immateriali possa adeguatamente integrare e migliorare indicatori economico-finanziari di performance come il REI (Risultato Economico Integrato) che può esprimere la dinamica annuale nel “patrimonio intangibile” dell’impresa. Da quanto abbiamo indicato è evidente come sia rilevante la capacità di valutare sistematicamente i beni intangibili sia in presenza di operazioni di finanza straordinaria Occorre infatti distinguere a seconda che la durata dei beni sia definita o indeterminabile. Mentre seguendo le regole del codice civile sempre deve procedersi ad ammortamento ed impairment, secondo i principi contabili internazionali deve operarsi in tal modo solo per gli intangibili a vita “definita” mentre praticare solo il test sulla valutazione/svalutazione in presenza di beni la cui vita utile non è determinabile. 1 5 Marchi, brevetti, know-how (fusione, acquisizione, conferimenti, scissione) sia periodicamente a fini interni per misurare in modo completo le capacità aziendali di “creare/distruggere valore”. Proprio questa importante esigenza spiega lo studio costante e profondo delle metodologie di valutazione di questi beni volte sempre di più a distinguerli, nella loro sostanza, dall’avviamento aziendale. In ogni caso per operare razionali considerazioni sul problema della valutazione dei beni immateriali si deve iniziare dalla loro definizione, componenti patrimoniali più importanti dei beni materiali, risorse uniche difficilmente inimitabili che devono essere custodite e mantenute in modo opportuno (spesso con adeguati investimenti). Indipendentemente dalla natura dei beni intangibili, acquisiti o internamente prodotti, ai fini valutativi generalmente si cerca di suddividerli in classi omogenee seguendo criteri logici, in particolare sfruttando il criterio della dominanza. Si cerca così di evitare sovrapposizioni tra i beni immateriali identificando due macro classi entro cui farli rientrare, vale a dire: beni intangibili relativi al marketing; beni intangibili relativi alla tecnologia. Tra gli intangibili di marketing rientrano: il nome e il logo della società, la denominazione dei marchi, le insegne, le marche secondarie, le idee pubblicitarie, le strategie di marketing, le garanzie sui prodotti, la grafica, lo sforzo di pubbliche relazioni, le idee promozionali, il design delle etichette, il design dell’imballaggio, la registrazione dei marchi. Tra i beni immateriali legati alla tecnologia si evidenziano invece: il know-how produttivo, i progetti di ricerca e sviluppo, i brevetti, i segreti industriali, il design (styling), il software, i database. In ogni caso, osservando la realtà d’impresa, possiamo rilevare come esistano esempi di beni immateriali che non rientrano in nessuna delle due categorie indicate e, pertanto, per questi occorre sempre tenere conto del criterio della dominanza proprio 6. I La valutazione dei beni immateriali al fine di evitare il rischio di duplicazione e sovrapposizione che, sostanzialmente, potrebbe configurare uno scenario reddituale completamente diverso dalla realtà. Indicare la classe di riferimento è quindi importante per non inficiare lo scenario reddituale dell’impresa; occorre sempre capire se l’azienda, o il ramo, hanno o meno la capacità di produrre intangibili capaci di generare adeguati redditi rispetto ai valori imputati. 1.2 PERCHÉ VALUTARE I BENI IMMATERIALI In Italia, essendo il contesto industriale principalmente costituito da Piccole e Medie Imprese (PMI), la relazione volta ad evidenziare la stima del valore di un’azienda, o di uno più dei suoi “rami”, generalmente viene predisposta quando prevista da una specifica normativa. In particolare, considerando le disposizioni civilistiche, trattasi di operazioni di finanza straordinaria come i conferimenti, le fusioni, le scissioni, la determinazione di concambi in genere, le trasformazioni da società di persone in società di capitali, ecc.. Operazioni tutte che, salvo eccezioni particolari, richiedono l’intervento di un perito indipendente. Per quanto riguarda poi i beni intangibili, oggi possiamo distinguere le seguenti principali finalità per giustificare la stima del valore dei beni immateriali: valutare la performance economica di un’azienda (risultato economico di periodo); ottenere una completa base informativa (economica - patrimoniale) nella valutazione dell’azienda; adempiere a specifiche richieste dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS) nella redazione del bilancio; fornire un’informazione volontaria; nelle Consulenze Tecniche d’Ufficio volte a dirimere controversie sul “valore” in sede giudiziaria; predisporre un valido supporto per definire la formazione del prezzo di un bene intangibile oggetto di una transazione. La valutazione utile a rilevare le performance aziendali porta sostanzialmente all’integrazione dei valori contabili con la variazione, nel tempo, di stock di beni intangibili (ΔBI). Nel considerare il valore e l’utilità dei beni immateriali l’attenzione deve essere focalizzata sugli investimenti e sui correlati ammortamenti (se operabili). Quando gli investimenti nei beni immateriali avvengono nel tempo in modo ordinato e i costi relativi alla loro gestione e sviluppo sono costanti ci troviamo in una situazione in cui il risultato contabile ed economico coincidono. Nella pratica occorre evitare anticipazioni o posticipazioni di utili contabili considerando come i costi che si sostengono per i beni immateriali possano generare redditività anche in anni successivi. Nelle imprese, quando l’investimento nel bene immateriale è superiore al suo deperimento, sostanzialmente si prestano utili al futuro e viceversa. 7 Marchi, brevetti, know-how È questo un argomento molto delicato nell’analisi della capacità dell’impresa di creare o distruggere valore. Possiamo di fatto trovarci di fronte a: aziende con buoni risultati contabili anche se, economicamente, stanno distruggendo valore; aziende che trasmettono agli investitori informazioni fuorvianti. È pertanto rilevante che la situazione economica, quindi il risultato, tenga conto della dinamica attribuibile ai beni immateriali. In questo senso il REI. Il REI (Risultato Economico Integrato) è infatti una misura di risultato economico che si ottiene dalla seguente formula: REI = E + ΔBI + ΔPL dove E = reddito contabile normalizzato; Δ BI = variazione di valore dei beni immateriali; Δ PL = variazione delle plusvalenze e delle minusvalenze (inespresse contabilmente) relativamente ai beni materiali, ai crediti ed ai debiti. Nella misurazione del REI sono evidenti i problemi legati alla misura della dinamica dei beni immateriali di anno in anno (Δ BI). La proiezione della variazione dei beni immateriali nel tempo non è facile a causa dei diversi fattori che possono influenzarla. Lo sforzo degli operatori sta quindi nel cercare di determinare un valore il più possibile vicino alla realtà del flusso degli intangibili. Considerando poi le valutazioni d’azienda si deve evidenziare come si possano utilizzare metodi che, alla fine, portano alla stima di un valore unico e metodi che producono invece una serie di valori analitici delle diverse attività, quindi anche dei beni intangibili. Nei primi rientrano le metodologie reddituali e finanziarie (metodi che considerano i flussi previsionali) nonché i metodi di mercato quali i multipli relativi alle transazioni comparabili. I metodi che portano invece ad un valore composto sono tipicamente costituiti dalle metodologie patrimoniali – reddituali (metodi patrimoniali e metodi misti) dove spesso importante è proprio la distinzione tra beni intangibili generici e specifici. Anche la corretta applicazione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS può portare alla stima del valore dei beni intangibili. Sia considerando la possibilità di esporre questi beni in bilancio non solo al costo bensì al loro “fair value” sia guardando alla pratica applicazione del test di impairment (verifica della consistenza del valore del bene). Molte delle informazioni legate ai beni immateriali, possono poi essere trasmesse all’esterno del bilancio d’esercizio, spesso attraverso la cd. informazione volontaria che guarda allo sviluppo dei prodotti, la quota di mercato detenuta, la custode satisfaction, il tutto, al fine di integrare le informazioni contabili. 8. I La valutazione dei beni immateriali In sede giudiziaria, alcune controversie possono coinvolgere anche il valore economico dei beni immateriali che, pertanto, deve essere oggetto di determinazione da parte di un soggetto indipendente (generalmente un consulente tecnico d’ufficio – CTU). Infine, ma non da ultimo in ordine d’importanza, anche la determinazione del prezzo per una transazione di un bene immateriale, al fine di poter capirne la convenienza economica, non dovrebbe poter prescindere dal considerarne il valore effettivo. Tale aspetto assume anche finalità fiscali se si considera come ad una transazione si possano, nell’immediato o in via differita, legare anche gli aspetti impositivi. 1.2.1 La motivazione fiscale L’opportunità di procedere ad una valutazione dei beni immateriali si può quindi rendere necessaria in determinate situazioni non solo a scopi squisitamente operativi (orientamento del corrispettivo in una transazione o in una concessione del bene) o comunicativi (bilancio intellettuale, bilancio sociale o del valore ove si cerca di dare adeguate informazioni ai terzi sui drivers che creano il valore aziendale) bensì anche a scopi fiscali. Le finalità fiscali alla base della valutazione dei beni intangibili possono interessare l’applicazione di leggi speciali, come le rivalutazioni volontarie che concedono sostanzialmente di adeguare, attraverso un’imposizione agevolata, il valore fiscale del bene al suo valore normale, ed anche tutti i casi in cui il valore normale è determinato nella quantificazione in via immediata o differita di un effetto impositivo: si pensi ai plusvalori nelle operazioni di cessione, ai corrispettivi periodici dovuti a una concessione d’uso del bene, ecc.. In tutti questi casi, l’Amministrazione finanziaria è interessata a capire come si formano i corrispettivi al fine di evitare che, attraverso manovre “elusive”, i contribuenti possano sostanzialmente sottrarre materia imponibile. A fini fiscali, la problematica riguarderebbe sia l’imposizione indiretta, solitamente con particolare riferimento al valore attribuito dal contribuente all’avviamento ed il suo assoggettamento ad imposta di registro, sia l’imposizione diretta dove il potenziale comportamento “elusivo” potrebbe portare alla dichiarazione di un plusvalore minore. Tuttavia, se si presume che il valore contrattuale di una transazione sia stato dichiarato in modo inferiore a quello ritenuto “normale” sorgono spontanee alcune domande. Ci si dovrebbe infatti chiedere rispetto a quale parametro il prezzo possa essere definito “divergente dal valore normale” e domandarsi poi se, in una cessione tra soggetti indipendenti, tale domanda sia sempre cosa razionale o, piuttosto, leda l’autonomia contrattuale e la libertà di scelta del contribuente. Infine, preso atto delle problematiche attualmente esistenti, al fine di evitare continue discussioni che a poco hanno portato e probabilmente a poco porteranno in termini di risultati, è opportuno chiedersi anche cosa si potrebbe fare per dirimere eventuali controversie che, sulla quantificazione del prezzo (o della sua attribuzione ai fini dell’imposta di registro) potrebbero sorgere con l’Amministrazione finanziaria. Trattasi di problemi su cui i due interlocutori, contribuente ed Erario, potrebbero discutere all’infinito al fine di sostenere le reciproche tesi. 9 Marchi, brevetti, know-how Da una parte l’insindacabilità del prezzo derivante da una transazione indipendente dall’altra la possibilità di verificare l’assenza dell’intento elusivo che anche in queste operazioni, non dobbiamo nasconderlo, potrebbe esistere e portare ad una riduzione del carico fiscale, aspetto che, alla fine indirettamente, si ripercuoterebbe sull’intera collettività. Ebbene a nostro parere queste discussioni ormai ridondanti a ben poco hanno portato e a ben poco porteranno. Considerando ancora le motivazioni fiscali di una relazione di stima sui beni intangibili da non dimenticare la già menzionata problematica relativa all’avviamento in merito all’imposta di registro. La disciplina alla base della valutazione da parte dell’Amministrazione finanziaria del valore di avviamento dichiarato in sede di cessione di aziende (o ramo d’azienda) è regolata dall’art. 51 del D.P.R. n. 151/131 (Testo Unico dell’Imposta di Registro) per il quale il valore dei beni è quello dichiarato dalle parti nell’atto o, in mancanza o se superiore, il corrispettivo da loro pattuito. Considerando le operazioni che hanno ad oggetto aziende o rami d’azienda, il valore è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda o il ramo, compreso l’avviamento, al netto delle passività. In merito si deve tenere presente di come gli uffici possano tenere conto anche di eventuali accertamenti operati relativamente ad altre imposte e procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’IVA. Quello che appare comunque caratteristico è come mentre, come avremo modo di esporre in seguito, la determinazione del valore di avviamento dell’azienda si configura in un vero e proprio processo di valutazione seguendo le indicazioni della dottrina economico aziendalistica, l’Agenzia delle Entrate, al contrario, determina il valore di avviamento in modo arbitrario partendo dalla media dei redditi dichiarati o accertati su un orizzonte temporale di tre anni. Questo modo di procedere è sostanzialmente dovuto alla Comunicazione di Servizio dell’Agenzia delle Entrate n. 52 del 25 luglio 2003 che ha riportato in auge il contenuto nell’abrogato art. 2, comma 4 del D.P.R. n. 460/96 in materia di accertamento con adesione. L’art. 2 comma 4 del D.P.R. n. 460/96 stabilisce che il valore dell’avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base delle percentuali di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori a quello in cui è avvenuto il trasferimento, moltiplicati per tre. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra reddito di impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo. Il moltiplicatore è ridotto a due in determinati casi previsti dalla legge. Esempio: Ricavi dichiarati: anno 2001: 200.000 euro anno 2010: 160.000 euro 10. I La valutazione dei beni immateriali anno 2009: 180.000 euro media: (200.000 + 160.000 + 180.000)/3 = 180.000 euro % di redditività Reddito 2011: 20.000 Ricavi 2011: 200.000 % redditività: (20.000/200.000) = 0,1 Avviamento: (media ricavi x % di redditività) x 3 180.000 * 0,1 * 3 = 54.000 La Corte di Cassazione (sentenza n. 613 del 22 novembre 2005) ha stabilito che è legittimo il ricorso al conteggio dell’avviamento sulla base di quanto stabilito dall’art. 2 comma 4 – D.P.R. n. 460/96), ma che il contribuente ha la facoltà di provare che l’avviamento in realtà è diverso considerando altri criteri di valutazione. In sostanza il valore delle attività immateriali (non solo dell’avviamento) emerge dalla valutazione degli elementi dell’attivo diminuito del passivo accollato paragonato al prezzo di cessione dell’azienda. Questo è quanto viene assoggettato all’imposta di registro. Nella sostanza siamo di fronte ad un procedimento di calcolo attribuibile ad un “metodo sommario” che, come indicato, prevede che la determinazione del valore di avviamento a fini rettificativi considerando la percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi dichiarati (o accertati) negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui il trasferimento è avvenuto, moltiplicata per tre, salva riduzione a due in casi particolari. Il tasso di redditività da applicare è quello risultante dal rapporto fra il reddito e i ricavi dichiarati ai fini fiscali nell’anno in cui avviene il trasferimento. Sostanzialmente, quindi, gli elementi utili a tale scopo sono: imponibile fiscale ai fini delle imposte dirette; ricavi dichiarati; data di inizio dell’attività ceduta; durata residua di un eventuale contratto di locazione; eventuale mancato esercizio dell’attività imprenditoriale per la maggior parte del precedente periodo d’imposta. È evidente che trattasi di un procedimento che non costituisce metodologia avallata dalla dottrina aziendalistica e, in quanto tale, attribuirgli non dotato delle capacità utili alla determinazione di un valore che possa essere stato considerato idoneo per la determinazione del prezzo di una transazione. Abbiamo appena indicato che cosa rappresenta l’avviamento aziendale e, pertanto, è lampante come il suo valore sia ancorato a ciò che l’azienda sarà in grado di produrre, vale a dire alla sua capacità di generare valore, aspetto che solo in parte dipende dalla condizioni presenti. È certamente comprensibile come gli uffici, per semplificare l’approccio e rispettare i requisiti di oggettiva determinabilità dei valori, preferiscano fare affidamento a 11 Marchi, brevetti, know-how dati effettivi invece che a dati previsionali ma questo è inconcepibile da un punto di vista aziendalistico e finirebbe solo con il sottoporre a tassazione valori fittizi. Il considerare poi solo dati storici non è l’unico aspetto del procedimento utilizzato dagli uffici che risulta completamente in contrasto con le indicazioni della dottrina in merito alle metodologie utili per valutare le aziende: in particolare, si considera poi la redditività fiscale che spesso non ha nulla a che vedere con la redditività effettiva aziendale, unico parametro per definire il valore economico aziendale. Vengono poi applicati fattori di capitalizzazione del reddito (2 o 3) troppo schematici e fissi i quali non hanno alcuna giustificazione economica o di mercato. Nel caso di compravendita di azienda bisognerebbe quindi avere grande attenzione nell’attribuire ai vari beni che compongono l’azienda, dei valori il più possibile correlati al valore del coacervo trasferito avendo cura di giustificare, al di là dei ragionevoli dubbi, la detraibilità del passivo. Per quanto riguarda la disposizione contenuta nel D.P.R. n. 460/96, a suo tempo dettata solo con il fine di fissare criteri minimi e residuali per stimare il valore di avviamento nei casi di accertamento con adesione, è ormai divenuta la base per la quasi totalità degli accertamenti fiscali, anche grazie all’oscillante orientamento giurisprudenziale, che solo negli ultimi anni è parso indirizzarsi verso criteri meno standardizzati. Infatti, i pronunciamenti delle Commissioni Tributarie e della Corte di Cassazione, da un lato affermano che l’ammontare dell’avviamento debba essere desunto dalla capacità di profitto, così come apprezzabile sulla base di indici e criteri valutativi complessi, da determinarsi sulla base delle reale situazione contingente, passata, presente e futura, in cui l’azienda si trova, ma anche, in non pochi casi, ritengono non arbitrario o presunto il mero riferimento al volume di affari o l’applicazione del cd. “metodo sommario” di cui al D.P.R. n. 460/96. 12. I La valutazione dei beni immateriali Tavola 2 – Perché valutare i beni immateriali Beni immateriali Si possono distinguere le seguenti principali finalità per giustificare la stima del valore dei beni immateriali: Ottenere una completa base informativa (economica – patrimoniale) nella valutazione dell’azienda. Nelle Consulenze Tecniche d’Ufficio volte a dirimere controversie sul “valore” in sede giudiziaria. Valutare la performance economica di un’azienda (risultato economico di periodo). Fornire un’informazione volontaria. Adempiere a specifiche richieste dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS) nella redazione del bilancio. Predisporre un valido supporto per definire la formazione del prezzo di un bene intangibile oggetto di una transazione. Applicazione di leggi speciali Motivazione fiscale Rivalutazioni volontarie che concedono sostanzialmente di adeguare attraverso un’imposizione agevolata il valore fiscale del bene al suo valore normale, ed anche tutti i casi in cui il valore normale è determinato nella quantificazione in via immediata o differita di un effetto impositivo. Amministrazione finanziaria Interessata a capire come si formano i corrispettivi al fine di evitare che, attraverso manovre “elusive”, i contribuenti possano sostanzialmente sottrarre materia imponibile. Il prezzo può essere definito “divergente dal valore normale” . Rispetto a quale parametro? Domandarsi se, in una cessione tra soggetti indipendenti, tale domanda sia sempre cosa razionale o, piuttosto, leda l’autonomia contrattuale e la libertà di scelta del contribuente. 13 Marchi, brevetti, know-how 1.3 LE METODOLOGIE DI VALUTAZIONE Nei paragrafi che seguono verranno analizzate le principali caratteristiche delle metodologie utili per misurare il valore economico dei beni intangibili, al fine di evidenziare tutti quegli elementi che potrebbero creare qualche problema sull’accettabilità di una perizia volta a stimare il valore dei beni immateriali a fini fiscali. 1.3.1 Le caratteristiche dei beni agli effetti valutativi Ogni bene intangibile per poter essere oggetto di autonoma valutazione deve comunque essere caratterizzato dai seguenti requisiti: avere origine da costi ad utilità differita nel tempo; essere trasferibile, vale a dire cedibile a terzi, sia pure a certe condizioni e a volte congiuntamente ad altri beni materiali o immateriali. Tale caratteristica è molto importante in quanto limita il rischio di sovrapposizioni nella valutazione dei beni immateriali; dotato di un valore misurabile, il bene deve sostanzialmente originare differenti benefici economici valutabili. I beni immateriali possono pertanto avere un valore autonomo patrimoniale solo quando sono effettivamente estraibili dall’azienda cui appartengono o, in alternativa, quando rimangono in azienda producendo una redditività adeguata in relazione al correlato investimento. Una valutazione autonoma dei beni intangibili favorisce quindi l’analisi del valore aziendale considerandone i singoli componenti. In pratica, il valore aziendale può essere scomposto come evidenziato nella figura che segue: Tavola 3 – Scomposizione del valore Goodwill Redditività Plusv. beni imm. Plusv. beni materiali Valore contabile Valore Dallo schema riportato è evidente l’importanza della scomposizione del valore aziendale nelle sue parti significative attraverso un’adeguata separazione dei beni im14. I La valutazione dei beni immateriali materiali dal goodwill con la possibilità di stimare i singoli apporti alla redditività aziendale. Trattasi certamente di cosa non facile, che spiega pertanto la prassi passata di attribuire il valore delle risorse intangibili solo all’avviamento. In pratica, una volta espresso il valore corrente degli assets che costituivano il patrimonio aziendale (generalmente beni materiali, immateriali con un diretto riferimento al mercato ed il magazzino) la differenza rispetto al valore economico dell’azienda, ottenuta considerando la sua capacità economica, rappresentava l’avviamento. L’identificazione specifica dei beni immateriali, pur comprendendone la validità, è cosa comunque molto complessa se si tiene conto di come il confine tra il concetto di bene immateriale e quello di avviamento è piuttosto sottile e se si considera ancora la necessità di evitare i rischi di duplicazione dovuti alla natura dei beni immateriali. Da qui, come abbiamo anticipato, la necessaria presenza di metodologie che consentano anche la stima dell’entità dei beni immateriali presi singolarmente. La scelta dei metodi, in ogni caso, dovrebbe cercare di promuovere l’applicazione di un criterio di stima caratterizzato dai seguenti aspetti: credibilità ed affidabilità: rese possibili dall’impostazione razionale delle formule, dai fattori che le definiscono, dalla possibilità di tradurli in quantità, dalle ipotesi assunte (assumption); coerenza: i valori devono basarsi sull’analisi fondamentale al fine di esprimere grandezze coerenti con i risultati economici e con il sistema complessivo; continuità: occorre evitare nel tempo sostanziali variazioni dei criteri; dimostrabilità - verificabilità: il processo valutativo deve risultare chiaramente dimostrabile nelle sue componenti, nelle ipotesi assunte, nello svolgimento dei calcoli; efficienza: la procedura non deve essere eccessivamente onerosa. A questi concetti base possiamo aggiungere i seguenti: adattabilità: sono spesso preferibili metodologie applicabili in differenti situazioni anche se occorre ricordare come alcuni metodi siano peculiari ad alcuni settori; confrontabilità: riveste importanza la possibilità di confrontare i risultati ottenuti con diverse metodologie. Quanto sopra si rende necessario considerando come i beni immateriali possono frequentemente essere incorporati in beni materiali (come la tecnologia e la conoscenza contenute in un impianto) e nel lavoro (ad esempio il Know-how implicito dei dipendenti) il che porta a considerevoli interazioni tra beni tangibili ed intangibili nella crea- 15 Marchi, brevetti, know-how zione di valore, interazioni che pongono serie sfide alla misurazione e alla valutazione degli stessi beni immateriali. Quando tali interazioni sono intense, la valutazione dei beni intangibili su un’unica base diventa impossibile. Ecco il motivo per cui i metodi classici elaborati dalla dottrina aziendalistica per la misura di un bene intangibile si rendono applicabili solo quanto il bene è dotato delle seguenti caratteristiche: 1. trasferibilità2 ai terzi; 2. misurabilità del valore; 3. utilità continua nel tempo. È pertanto assolutamente non suscettibile di una valutazione autonoma l’avviamento in quanto bene immateriale strettamente legato all’azienda nel suo insieme. Sono invece dotati delle caratteristiche sopra richiamate i marchi, i brevetti, il Know-how, le reti di vendita, le licenze commerciali, le testate giornalistiche, ecc.. Il requisito della trasferibilità è soddisfatto anche quando il bene immateriale è cedibile unicamente insieme ad altri beni aziendali. 2 16. I La valutazione dei beni immateriali Tavola 4 – Le caratteristiche dei beni agli effetti valutativi Valutazione beni intangibili Ogni bene intangibile per poter essere oggetto di autonoma valutazione deve comunque essere caratterizzato dai seguenti requisiti: Avere origine da costi ad utilità differita nel tempo Essere trasferibile, vale a dire cedibile a terzi, sia pure a certe condizioni e a volte congiuntamente ad altri beni materiali o immateriali Dotato di un valore misurabile: il bene deve sostanzialmente originare differenti benefici economici valutabili Valore contabile Scomposizione del valore aziendale Plusvalenza da beni materiali Plusvalenza da beni immateriali Goodwill La scelta dei metodi in ogni caso dovrebbe cercare di promuovere l’applicazione di un criterio di stima caratterizzato dai seguenti aspetti: Credibilità ed affidabilità rese possibili dall’impostazione razionale delle formule, dai fattori che le definiscono, dalla possibilità di tradurli in quantità, dalle ipotesi assunte (assumption); Coerenza i valori devono basarsi sull’analisi fondamentale al fine di esprimere grandezze coerenti con i risultati economici e con il sistema complessivo; Continuità occorre evitare nel tempo sostanziali variazioni dei criteri; Dimostrabilità Efficienza il processo valutativo deve risultare chiaramente dimostrabile nelle sue componenti, nelle ipotesi assunte, nello svolgimento dei calcoli; la procedura non deve essere eccessivamente onerosa. 17 Marchi, brevetti, know-how 1.3.2 Le tipologie dei criteri di stima Considerando le metodologie utili alla stima dei beni intangibili, anche se si deve rilevare come manchi ancora un criterio di generale accettazione, possiamo distinguere i metodi che: stimano il valore economico sulla base di grandezze economico-finanziarie; utilizzano indicatori (generalmente di mercato). I primi metodi attribuiscono ai beni immateriali valori economici o potenziali, i secondi rilevano invece valori di mercato. Vediamo di seguito di considerare le caratteristiche delle principali metodologie e la loro possibile compatibilità con i requisiti di oggettiva determinabilità dei valori in generale richiamati dalla normativa fiscale. In ogni caso, indipendentemente dai metodi e dai criteri adottati e dalle finalità della stima, il valore dei beni immateriali intangibili specifici trova sempre il limite nel valore dell’azienda nel suo complesso, o di singole business unit, stimato in modo opportuno e rettificato dal valore delle altre attività e passività. In pratica, quindi, tale valore non può che essere condizionato dallo scenario di utili, vincolo principale. Sul piano metodologico la scelta fondamentale è tra valore economico e valore potenziale, indipendentemente dalla formula equity side3 o asset side4. Tra i problemi da risolvere il dare una risposta all’estensione temporale dei flussi previsionali attesi nelle valutazioni condotte con criteri assoluti. In ogni caso si ottiene una stima di capitale economico quando le previsioni sono rappresentate da flussi che considerano la capacità reddituale già storicamente dimostrata, di probabile raggiungimento nel breve termine. Tale scelta può essere adeguata per certe finalità nella stima degli intangibili. Si può invece ricorrere alla formula del valore potenziale controllabile per la rilevazione contabile a fair value degli intangibili specifici acquisiti e per il correlato test di impairment. A volte si può ricorrere a questa formula anche per misurare performance economiche al fine di evitare rischi di stime eccessive. La dinamica dei beni immateriali specifici nelle misure di performance economica (ΔBI) può poi essere espressa attraverso l’uso del valore potenziale puro. Con molte cautele vi si può egualmente ricorrere per la scomposizione e l’impairment di beni intangibili acquisiti. A supporto delle valutazioni assolute possono trovare utilizzo valutazioni relative attraverso moltiplicatori di società comparabili nel rispetto delle regole del giudizio integrato di valutazione5. Occorre pertanto che: EQUITY SIDE (ottica dell’azionista): stima del valore del capitale economico in modo diretto, si considerano i flussi finanziari che spettano agli azionisti. 4 ASSETS SIDE (ottica dell’impresa): stima del valore del capitale economico in modo indiretto (valore del capitale operativo meno valore di mercato della posizione finanziaria netta). Si considerano i flussi finanziari operativi (FCFO), ossia i flussi finanziari disponibili per tutti i finanziatori dell’impresa a titolo di credito e di capitale. 5 Processo valutativo ispirato ad un unico quadro logico. 3 18. I La valutazione dei beni immateriali sia individuabile e dimostrabile un nesso causale tra il prezzo (o l’EV) al numeratore del multiplo e la quantità aziendale (generalmente una performance contabile) posta al denominatore; il multiplo sia ragionevolmente stabile nel tempo; siano giustificabili le differenze nei multipli delle imprese comparabili; il campione sia significativo; eventuali multipli grezzi siano adeguatamente rettificati. In alcune situazioni anche i multipli di transazioni comparabili possono essere impiegati quale supporto alle valutazioni analitiche. Naturalmente ciò deve avvenire con tutte le cautele necessarie per l’uso di questi multipli, vale a dire tenendo conto delle condizioni che interessano i deal price (perimetro di cessione, strumento di pagamento, sinergie stimate dall’acquisizione e così via). Attualmente, per i principi contabili internazionali IAS/IFRS, l’adeguatezza del rendimento dei beni intangibili deve essere direttamente verificato. Pertanto, il loro valore limite può ottenersi attraverso l’attualizzazione dei loro flussi rappresentati dai flussi complessivi al netto dei flussi attribuibili alle altre attività. Pertanto, la stima del valore accettabile del bene immateriale dovrebbe richiedere sostanzialmente i seguenti elementi: reddito normale (o flusso finanziario) che il bene sarà in grado di produrre; durata della sua utilità economica (ad eccezione dei beni a vita economica indefinita); tasso di attualizzazione dei flussi. Tutto ciò, come è logico ritenere, non può prescindere dalla formulazione di assunzioni basilari per stimare il valore del bene intangibile. 1.3.3 I metodi analitici che utilizzano il costo I criteri di stima analitici, certamente caratterizzati da validità metodologica, si distinguono in: metodi basati sul costo; metodi che considerano i ricavi. I metodi che utilizzano il costo Anche per i beni immateriali i criteri di stima che utilizzano il costo hanno ancora una rilevate applicazione nonostante la migliore validità concettuale dei metodi che utilizzano i flussi previsionali. Alla base di queste scelte le seguenti principali motivazioni: la difficoltà operativa che indubbiamente caratterizza l’uso dei metodi che considerano i flussi; la natura pluriennale dei costi relativi ai beni intangibili. In ogni caso, anche l’uso dei metodi che guardano ai costi non è esente da problemi. 19 Marchi, brevetti, know-how Un aspetto particolarmente critico consiste infatti nell’individuazione degli oneri relativi alla formazione del bene, soprattutto quando lo stesso non è acquisito da terzi, bensì prodotto all’interno dell’azienda. Il problema centrale è quindi capire come individuare i costi correlati alla produzione dell’intangibile. In particolare quindi nell’applicazione della metodologia di stima del valore dei beni immateriali che ricorre al costo si può alternativamente scegliere tra: 1. il metodo del costo di produzione; 2. il metodo del costo di riproduzione. Il metodo del costo di produzione Con il metodo in commento, si considerano i costi che, storicamente, sono stati necessari per l’acquisizione del bene immateriale da valutare e si riesprimono a valori correnti. È importante fare un elenco completo di tutti i costi sostenuti e definire un arco di tempo da considerare per la stima. Trattasi in pratica di definire l’orizzonte temporale lungo il quale il bene immateriale sarà in grado di fornire vantaggi al suo utilizzatore. È comunque logico ritenere che quando la produzione del bene immateriale risale molto in là nel tempo diventa particolarmente difficile individuare i correlati costi. È chiaro infatti che la struttura contabile generalmente memorizza i valori in relazione al loro uso ai fini della formazione del bilancio, quindi sostanzialmente in base alla possibilità di esporre le voci contabili tenendo conto dei criteri di valutazione imposti dalla normativa civilistica alla luce delle indicazioni rilevabili dai principi contabili nazionali emanati dall’OIC6 per i soggetti che utilizzano le regole previste dal codice civile o delle indicazioni previste nei principi contabili internazionali per i soggetti IAS compliant. In ogni caso spesso tutto questo porta a non tenere conto di tutti i costi sostenuti ai fini della valutazione del bene. Diversa è l’imputazione a conto economico in relazione ai principi contabili utilizzati o meglio diversa è la capitalizzazione dei costi seguita. Inoltre non si deve dimenticare come una compita memorizzazione dei costi richiederebbe un adeguato sistema di rilevazione interno (rilevazioni analitiche per centro di costo) spesso difficilmente presente nelle piccole e medie entità economiche. I costi sostenuti per ottenere il bene immateriale devono comunque essere identificabili e dimostrabili, ciò è possibile solo attraverso delle rilevazioni analitiche attendibili. Occorre anche verificare che l’impresa applichi corrette politiche di rilevazione dei costi relativi al bene immateriale; non devono quindi rilevarsi problemi nei criteri relativi alla loro capitalizzazione contabile. Se l’impresa ha inopportunamente spesato costi che dovevano essere capitalizzati e/o viceversa (capitalizzato oneri da spesarsi), tali eventi devono poter essere 6 Organismo Italiano della Contabilità. 20. I La valutazione dei beni immateriali chiaramente identificati e quantificati perché solo in questo modo i costi originari del bene potranno essere rideterminati in modo corretto e completo. Ad ogni modo, una volta identificati i costi questi devono essere riespressi a valori correnti: ne consegue la frequente denominazione di questo metodo di valutazione come metodo del “costo storico adeguato”. Il metodo del “costo storico adeguato” si basa quindi sull’ipotesi che gli investimenti sostenuti per realizzare il bene immateriale possano essere rappresentativi dei costi che si dovrebbero sostenere alla data della valutazione per poter disporre del bene immateriale. Tale semplice ipotesi, che non considera l’aspetto inflazionistico, è realistica solo in presenza delle seguenti condizioni: assenza di variazioni nel contesto economico-ambientale nel quale si sono formati i costi storici al momento della stima; gli impieghi di risorse per acquisire o produrre il bene intangibile devono rappresentare investimenti remunerativi. Nell’applicare il “metodo del costo” si deve tenere conto che vengono considerati gli effetti inflazionistici in quanto gli oneri relativi al bene immateriale possono anche essere stati sostenuti in epoche diverse e soprattutto lontane rispetto al momento in cui si deve procedere alla stima del bene. Questa lacuna può essere colmata utilizzando indici che esprimono la variabilità del potere di acquisto della moneta. In ogni caso si deve rilevare come la stima del valore dei beni immateriali specifici sulla base dei loro costi è, in sostanza, la rinuncia a un giudizio di valutazione. Generalmente la metodologia del costo trova applicazione per i beni immateriali in fase di formazione. In questa fase infatti l’efficacia dei correlati investimenti ed i probabili ritorni sono particolarmente difficili da prevedere. Il metodo del “costo storico residuale” consiste poi nel considerare i costi storici utili per la formazione dei beni immateriali tenendo conto del necessario allineamento monetario e della residua utilità alternativamente attraverso: costo storico (riespresso in moneta corrente) al netto degli ammortamenti in proporzione al rapporto tra residua vita utile e vita complessiva del bene; sommatoria degli investimenti eccedenti o carenti rispetto al livello di spesa di mantenimento degli intangibili specifici naturalmente senza la deduzione di ammortamenti. Il metodo del costo di riproduzione Questo criterio di stima dei beni immateriali si basa sul calcolo dei costi da sostenere, alla data della stima, per ricreare un bene intangibile dotato della stessa funzionalità di quello da valutare; sostanzialmente si tratta quindi di stimare i costi da sostenere per riprodurre ex novo il bene. In questo caso le condizioni attuali e prospettiche di ricostituzione del bene immateriale sono fondamentali e di queste occorre certamente tenere conto. L’applicazione pratica del metodo presuppone le seguenti condizioni: presenza di rilevanti costi; 21 Marchi, brevetti, know-how particolare ampiezza dell’orizzonte temporale necessario per la formazione del bene immateriale. In pratica, il principio alla base di questo procedimento è la stima di quanto costerebbe ricreare oggi gli intangibili oggetto di valutazione, quindi nella stima degli oneri da sostenersi per riprodurli. Anche in questo caso si tratta di considerare le componenti di costo significative o rilevanti. La stima può essere operata: 1. in modo analitico, individuando puntualmente gli investimenti necessari per tipologia, quantità e valore; 2. attraverso indici, definendo quindi dei coefficienti, quali moltiplicatori della spesa annuale sopportata, espressiva dell’impegno economico necessario per riprodurre, ai prezzi correnti, i beni. Ad esempio se si ipotizza che gli investimenti annuali di spesa, espressi a valori correnti, si debbano ripetere per un certo numero di anni, tale numero di anni funge da moltiplicatore. In ogni caso il costo di riproduzione deve essere poi sottoposto a rettifica per tenere conto dello stato d’uso del bene. Ciò può avvenire attraverso l’uso di un coefficiente proporzionale tra vita residua e vita totale del bene. Pertanto il valore finale V risulterebbe dalla seguente formula: V = Cr ×(Vr /Vt) dove: Cr = costo di riproduzione, Vr = vita residua del bene, Vt = vita totale del bene. Importanza rilevante assumono le condotte dei concorrenti che, attraverso la loro attività, possono condizionare fortemente il residuo valore competitivo. La rilevazione del costo di riproduzione deve comunque essere molto realistica e non trascurare quindi le possibili reazioni della concorrenza. Trattasi di un aspetto abbastanza complesso a causa delle difficoltà, dell’incertezza e della soggettività delle previsioni, con la conseguenza che, nella pratica, questo aspetto viene spesso trascurato al fine di semplificare l’applicazione del metodo che, inevitabilmente, subisce però una limitazione oggettiva. Alcuni criteri empirici possono rappresentare anche una valida alternativa alla metodologia dei costi di riproduzione. In conclusione, i metodi che utilizzano il “costo” presentano i seguenti aspetti positivi: possono essere usati per stimare il valore minimo richiesto per una transazione; si basano su dati oggettivi; ed i seguenti aspetti negativi: 22. I La valutazione dei beni immateriali non considerano le perdite dovute agli errori ed agli investimenti sbagliati conseguiti durante attività di ricerca; sottostimano o sovrastimano facilmente il bene; non presentano nessuna corrispondenza con il potenziale beneficio futuro economico/finanziario, si basano solo su dati passati. 1.3.4 I metodi analitici che considerano i flussi La metodologia dei flussi è certamente più corretta da un punto di vista concettuale, come avviene per la valutazione dei beni materiali considera la capacità dei beni a produrre vantaggi economici futuri (o finanziari). L’applicazione pratica segue due approcci alternativi: 1. l’attualizzazione dei flussi differenziati dovuti al possesso dei beni; 2. l’attualizzazione delle perdite che si subirebbero nell’ipotesi in cui i beni vengano ceduti. L’attualizzazione dei flussi differenziati dovuti al possesso dei beni In questo caso i beni immateriali sono considerati come vere e proprie unità di profitto. Praticamente, si quantificano i benefici attribuibili ai beni immateriali, cercando di isolare i risultati differenziali dovuti al loro possesso, per poi attualizzarli. Non è difficile capire come la pratica applicazione del metodo non sia certamente facile a causa delle oggettive difficoltà dovute alla stima dei flussi previsionali. Occorre in pratica individuare: i flussi di risultato (o finanziari) che si potranno originare in futuro grazie all’uso del bene immateriale, l’arco temporale che esprima la sua vita utile (ove possibile), il tasso di attualizzazione volto a considerare il grado di rischio presente nei previsionali evitando eventuali duplicazioni. Il differenziale da attualizzare rappresenta la differenza di prezzo del bene rispetto ai prodotti unbranded considerando anche le diversità di costo che l’intangibile in esame potrebbe richiedere rispetto ai prodotti generici ai quali è stato comparato. Tali differenziali si riferiscono sia ai costi diretti (ad es. utilizzo di materie prime di maggior pregio) che a quelli generali indiretti (utilizzo di impianti più costosi che generano ammortamenti più elevati). È evidente come sia necessario che l’impresa sia almeno strutturata in modo da poter considerare sia i centri di costo che i centri di profitto. Nel caso in cui si utilizzino poi i previsionali finanziari è comprensibile capire come le difficoltà operative non possano che aumentare. Ne consegue come, nella pratica, questo metodo può essere applicato solo nelle società in cui esiste un’efficiente monitoraggio sull’andamento economico (finanziario) degli intangibles cosa che solitamente avviene nei contesti in cui si comprende l’importanza economica dei beni immateriali e del loro continuo controllo. 23 Marchi, brevetti, know-how Naturalmente nell’applicazione del metodo si deve tenere presente come la redditività di breve periodo sia indice del grado di sfruttamento delle risorse e non un indicatore del loro potenziale. I maggiori ricavi ottenibili da un premium price, vanno depurati dai costi connessi alla maggior qualità del prodotto, alla pubblicità alla distribuzione. Si ottiene così il correlato vantaggio netto differenziale che deve essere poi attualizzato in relazione alla durata di n anni, ad un adeguato tasso. L’attualizzazione delle perdite che si subirebbero nell’ipotesi di cessione dei beni In questo modo si cerca di stimare il costo da sostenersi nel caso la disponibilità dell’intangibile considerato venisse meno. Il valore dell’intangibile viene misurato attualizzando i margini differenziali negativi prevedibili dovuti alla riduzione dei margini di contribuzione ed agli eccessivi costi di struttura. Da tali margini dovrebbero essere dedotti i risparmi di costi indiretti eventualmente possibili nell’arco temporale considerato. Il calcolo si protrae per tutto il periodo necessario al ripristino della situazione. Anche in questo caso occorre avere indicazioni sui centri di profitto. I parametri di riferimento Quando si ricorrere ad un metodo analitico basato sui ricavi i principali fattori da determinare sono: i flussi di reddito previsionali relativi al bene immateriale; il tasso di attualizzazione; l’orizzonte temporale di riferimento dei flussi. I metodi principali con cui stimare i flussi di reddito (o finanziari) previsionali relativi al bene immateriale sono costituiti dal procedimento: indiretto; diretto. Con il procedimento indiretto, si tiene analiticamente conto (attraverso conti economici prospettici) degli elementi reddituali correlati al bene immateriale da valutare. Il reddito utile per esprimere la capacità reddituale prospettica deve essere normalizzato. Nel consegue come l’uso di questo procedimento sia possibile solo quando i risultati sono caratterizzati da un’opinabilità accettabile e si possano limitare gli effetti legati alla presenza del bene immateriale in un’area aziendale sufficientemente autonoma. Il procedimento diretto prevede invece, per il reperimento dei valori reddituali, il riferimento al mercato (quando è possibile) evitando così stime soggettive prospettiche. Alla base del procedimento il presupposto che sia possibile una quantificazione economica dei vantaggi dovuti al possesso del bene immateriale in modo non inferiore a quanto l’imprenditore dovrebbe pagare a terzi per ottenerne la disponibilità (ad esempio con il pagamento di royalties). La remunerazione è pertanto espressiva del valore del bene immateriale. 24. I La valutazione dei beni immateriali Il tasso di attualizzazione dei flussi del bene intangibile, dovendo considerare un premio per il rischio aggiuntivo che li caratterizza dovrà generalmente essere superiore a quello proprio dell’azienda. La determinazione del tasso dipende, inoltre, dalla tecnica scelta per la quantificazione dei flussi attribuibili al bene. In presenza di una normalizzazione e ponderazione dei flussi in relazione al grado di verificabilità e sottoposizione ad adeguamento monetario, il tasso da applicare dovrà essere pari a quello degli investimenti privi di rischio depurato dagli eventuali effetti inflazionistici. I fattori relativi alla misura del rischio insito nel singolo bene immateriale possono riferirsi a: facilità di trasferimento; possibilità di realizzo diretto del bene attraverso cessione a terzi; stadio del ciclo di vita nel quale si colloca il bene: è possibile a volte delineare un ciclo di vita come per i beni materiali (se, a titolo di esempio, il know-how si trova in un ciclo di vita stabile il rischio da assegnargli è più modesto rispetto a quello relativo ad uno stadio in espansione); livello di appropriabilità: la vera forma di difesa dall’imitazione soprattutto per i beni intangibili come il know how è data dal grado di segretezza e complessità delle informazioni (sforzi particolarmente intensi per appropriarsi del bene); rischio di deperimento economico: quando il bene deve operare in un contesto fortemente instabile, il rischio che vengano compromesse le sue potenzialità economiche è certamente più elevato. 25 Marchi, brevetti, know-how Tavola 5 – I metodi analitici Metodi analitici Metodi che utilizzano il costo Metodo del costo di produzione Attualizzazione dei flussi differenziati dovuti al possesso dei beni Con questo metodo si considerano i costi che, storicamente, sono stati necessari per l’acquisizione del bene immateriale da valutare e si ri-esprimono a valori correnti. Si quantificano i benefici attribuibili ai beni immateriali, cercando di isolare i risultati differenziali attribuibili al loro possesso, per poi procedere alla loro attualizzazione. Generalmente la metodologia del costo di produzione trova applicazione per i beni immateriali in fase di formazione (i probabili ritorni sono difficili da prevedere). Nella pratica, questo metodo può essere applicato solo nelle società in cui esiste un efficiente monitoraggio sull’andamento economico (finanziario) degli intangibles. Metodo del costo di riproduzione Si basa sul calcolo dei costi da sostenere, alla data della stima, per ricreare un bene intangibile dotato della stessa funzionalità di quello da valutare; sostanzialmente si tratta quindi di stimare i costi da sostenere per riprodurre ex novo il bene. Il costo di riproduzione deve essere poi sottoposto a rettifica per tenere conto dello stato d’uso del bene (attraverso l’uso di un coefficiente proporzionale tra vita residua e vita totale del bene). 26. Metodi che utilizzano i flussi Attualizzazione delle perdite che si subirebbero nell’ipotesi in cui i beni vengano ceduti Il valore dell’intangibile viene misurato attualizzando i margini differenziali negativi prevedibili dovuti alla riduzione dei margini di contribuzione ed agli eccessivi costi di struttura. Da tali margini dovrebbero essere dedotti i risparmi di costi indiretti. Il calcolo si protrae per tutto il periodo necessario al ripristino della situazione. Anche in questo caso occorre avere indicazioni sui centri di profitto. I La valutazione dei beni immateriali 1.3.5 Criteri di mercato e criteri empirici Per la valutazione dei beni immateriali esistono diversi metodi di mercato e criteri empirici spesso privi di qualsiasi fondamento, che vengono però utilizzati con il vantaggio di facilitare l’identificazione dei componenti patrimoniali secondo i classici schemi concettuali. Tuttavia i criteri empirici sono validi quando il mercato è idoneo a fornire informazioni attendibili dovute alla frequenza delle transazioni, alla trasparenza degli elementi considerati, alla loro omogeneità, ecc.. In conclusione in questo caso il metodo si fonda sul riconoscimento ad un bene immateriale specifico del valore corrispondente ai prezzi applicati in transazioni comparabili. Per un’applicazione corretta del metodo occorre considerare beni che siano omogenei e che siano stati oggetto di recenti transazioni (generalmente entro i 3 anni). La più frequente debolezza del metodo è l’effettiva carenza di un numero sufficiente di transazione comparabili. Il metodo ha quindi significato in un ristretto ambito di situazioni per le quali esiste un’adeguata disponibilità di informazioni su recenti transazioni. Queste informazioni devono dare garanzie dell’omogeneità dei dati posti a raffronto, particolarmente nei seguenti aspetti: il contenuto della negoziazione, composto solo dal core asset relativo allo specifico bene immateriale, o dal core asset e altre componenti a valore certo (cassa, crediti, debiti, ecc.) facilmente separabili; le condizioni accompagnano il prezzo (pagato per cassa o contro azioni; a pronti o differito; con o senza garanzie). Nonostante gli elementi di debolezza evidenziati, i metodi empirici sono solitamente i più utilizzati a causa delle difficoltà ad adottare strumenti metodologici più rigorosi. Vediamone alcuni. Metodo del royalty rate L’informazione di mercato è tra i metodi più conosciuti: trattasi delle royalties annuali applicate nella cessione in uso di marchi (o di brevetti) comparabili. Il metodo più utilizzato per almeno un decennio, generalmente applicato alla stima di marchi e brevetti, assume, in via di principio, che il loro valore corrisponda alle royalties derivanti dalla loro cessione in uso a terzi. Il presupposto del metodo del royalty rate è che i vantaggi dovuti alla presenza di un bene immateriale non possono essere inferiori a quanto l’imprenditore dovrebbe pagare a terzi per ottenerne la disponibilità. Nella definizione della comparazione, occorre valutare la “forza” del marchio nelle transazioni che costituiscono i comparables. Poiché, solitamente, la cessione dei diritti di utilizzazione dei beni immateriali ha come corrispettivo royalties, queste possono ritenersi espressive del loro valore. Tale metodo è solitamente usato nella valutazione di marchi e brevetti ove si presume appunto che il loro valore si identifichi con le royalties dovute per la loro cessione in uso. 27 Marchi, brevetti, know-how Le royalties vengono stimate considerando alcuni parametri (di solito una percentuale del fatturato) e il tasso di royalty si ottiene attraverso la comparazione con casi omogenei. I proventi distribuiti su un arco temporale di medio-lungo termine devono essere attualizzati. La formula può così essere rappresentata: n BI = r * S i * vs 1 Dove: r = tasso di royalty (considerando casi omogenei dedotti dal mercato); Si = vendite (annuali) attese su di un orizzonte temporale corrispondente alla vita utile residua del bene; vs = coefficiente di attualizzazione anno per anno in base al tasso opportunità per investimenti di pari rischio. Il notevole grado di rischiosità dei beni immateriali fa sì che il tasso da applicare sia solitamente superiore a quello proprio dell’azienda che li detiene. La formula riportata può essere migliorata considerando il costo di conservazione dell’intangible (ad esempio i costi di pubblicità) ed ottenendo così la seguente formula: n BI = * (r * Si - Ci ) * vs 1 Dove: Ci = costo di conservazione dell’intangible anno per anno. r = tasso di royalty (considerando casi omogenei dedotti dal mercato); Si = vendite (annuali) attese su di un orizzonte temporale corrispondente alla vita utile residua del bene; vs = coefficiente di attualizzazione anno per anno in base al tasso opportunità per investimenti di pari rischio. Come si può facilmente notare il problema principale nella valutazione del bene immateriale attraverso il metodo in oggetto è comunque costituito dalla scelta del tasso di royalty. Tale scelta richiede l’esistenza di un adeguato numero di transazioni, rappresentative e trasparenti, dalle quali sia deducibile un range di royalties applicate dal mercato per le categorie dei beni immateriali da valutare. L’applicazione del metodo del “royalty rate” si sviluppa quindi nelle seguenti fasi: 1. identificazione di transazioni comparabili a “tassi di royalty” assimilabili; 2. stima della “forza” del bene immateriale da valutare rispetto a quelli oggetto delle transazioni identificate; 28. I La valutazione dei beni immateriali 3. attribuzione di un tasso specifico di royalty all’intangible da valutare attraverso la comparazione con le informazioni ottenute da transazioni omogenee; 4. stima della vita residua del bene immateriale; 5. stima del tasso di crescita “g” dei ricavi relativi al bene; 6. stima del tasso di attualizzazione dei flussi attesi. Soprattutto per quanto riguarda gli intangibles relativi all’area del marketing, come ad esempio i marchi, un aspetto da tenere presente è la forte volatilità che caratterizza il loro valore quando è stimato utilizzando criteri di mercato (come avviene con l’uso del metodo in esame). Ne consegue la necessaria revisione periodica del valore dei beni in oggetto. Il problema principale del metodo è certamente rappresentato dalla scelta del tasso di royalty (r/r). Occorre la disponibilità di un adeguato numero di transazioni comparabili di cui si conoscono i dettagli, dalle quali sia deducibile un range di royalties relativo al mercato di riferimento. Nel range dei valori considerati, va scelto quello specifico da applicare all’intangibile da valutare. Questo fattore prende il nome di forza del bene intangibile (forza del marchio - fm), oppure, score dal quale dipende la definizione del r/r nell’ambito dell’ampio range derivato dalle informazioni di mercato disponibili. In merito alla valutazione della forza del bene immateriale sono state fatte diverse ipotesi di calcolo, tra le più note quella di “Anson”. Anson ritiene che un intangibile, per assumere un valore plausibile, deve soddisfare tre requisiti: 1. differenziare il bene cui è associato, 2. avere un valore per altri soggetti, 3. tali soggetti devono essere disposti a corrispondere una royalty per potere utilizzare l’intangibile. La stima della “forza dell’intangibile” parte dalla considerazione di variabili chiave come: estensione all’uso, unicità, margini di profitto incrementale, protezione, vantaggio competitivo, barriere all’entrata, stato legale, posizione del ciclo di vita. Si attribuisce ad ogni variabile un punteggio specifico e si calcola poi la media ponderata per il peso assegnato ai vari fattori. Il coefficiente così calcolato è applicato ai flussi futuri generati dall’intangibile considerando anche il tasso di crescita atteso dei profitti ed un adeguato tasso di sconto. 29 Marchi, brevetti, know-how Il limite di questo approccio è quindi l’arbitrarietà del risultato e il fatto che, spesso, non si giunge ad un probabile valore unico, ma ad una fascia di valori possibili. Tutto quanto sopra esposto è certamente utile alla definizione di uno score oppure di un tasso ma il risultato è certamente arbitrario. Una possibilità che tende a limitare tale aspetto negativo è l’utilizzo di un range di valori che vadano da un minimo ad un massimo in relazione al mercato. Anche il valore finale dell’intangibile specifico può essere espresso con un minimo e un massimo in cui è implicito il riconoscimento della natura in parte discrezionale della scelta operata. Il metodo del relief di royalties Negli ultimi anni particolare attenzione viene posta su un metodo concettualmente simile ma in alcuni aspetti più accurato del precedente: il metodo del relief di royalties strumento ritenuto più adatto soprattutto per le stime dell’impairment dei marchi. Il metodo ha come premessa l’ipotesi che un’azienda è obbligata a remunerare il legittimo proprietario del bene immateriale specifico quando non possiede il diritto di utilizzarlo. In pratica, l’uso di un marchio contro il pagamento di una royalty assimila la stessa ad una percentuale del ricavo della società che utilizza il bene immateriale. Se l’azienda non pagasse questa percentuale migliorerebbe la sua performance finanziaria del valore della royalty stessa. L’attenzione verso questo aspetto ha portato alla ribalta numerose società fornitrici di tassi di royalties specifici per operazioni omogenee. Nonostante si possa comunque acquisire un dato, al fine di poterlo utilizzare nella situazione che si analizza, si deve valutarlo per assicurarne così l’effettiva omogeneità. Le varie indicazioni raccolte devono poi essere composte in un valore numerico o in un range di valori rappresentativo. Il relief di royalties è rappresentato da una formula che ha come assunto l’ipotesi di una durata indeterminata del marchio e scompone quindi il flusso di royalties in due parti: 1. royalties annuali riferibili a un periodo di previsione analitica del fatturato (generalmente fino a cinque anni) attualizzate anno per anno; 2. flusso di royalties per il periodo successivo espresso attraverso il valore terminale. Quanto indicato può essere rappresentato dalla seguente formula: 30. I La valutazione dei beni immateriali Altri metodi di mercato Tra gli altri metodi di mercato si evidenzia una metodologia basata sui multipli impliciti nei prezzi negoziati nelle operazioni di finanza straordinaria. Nel deal price si esprime, fondamentalmente, la rarità del core asset che l’azienda negoziata contiene. Di seguito alcuni esempi: la raccolta delle banche, il portafoglio premi di una compagnia di assicurazione, la capacità produttiva di aziende elettriche, le testate dei giornali periodici, il portafoglio clienti di aziende di servizi, la capacità ricettiva di una catena alberghiera, ecc.. Questi multipli corrispondono a prezzi standardizzati. Il fondamento economico dei prezzi riconosciuti per questi core assets è nelle prospettive del loro sfruttamento per gli acquirenti e non nella capacità diretta del reddito storicamente prodotto. I multipli sono costituiti al numeratore del rapporto dal prezzo, generalmente l’Enterprise Value (EV) rettificato, o il valore del capitale (W) e al denominatore dalla misura di struttura scelta, che può considerare: la capacità, il top line del conto economico, l’aspetto patrimoniale. Quando i valori impliciti nell’EV (o in W) comprendono non solo i beni intangibili, con appropriate tecniche il numeratore del multiplo deve essere rettificato deducendo i valori (contabili o correnti) di tutte le attività diverse dai core assets oggetto della stima. In particolare: EV – Valore corrente di tutti gli altri assets Misura di struttura In particolare, i multipli empirici non hanno una documentata corrispondenza ai deals data l’insufficienza delle informazioni su di loro e della disomogeneità delle aziende target. In merito si considerino le testate dei giornali ed i periodici a natura politica che non dovrebbero essere valutati solo in termini economici a causa della loro capacità di influire sull’opinione pubblica. In questi casi l’investimento iniziale è poi notevole e genera perdite ingenti. In pratica si guarda quindi al possibile costo di ricostruzione della testata, fino a portarla al livello di successo effettivamente raggiunto. Indipendentemente da tutto per la valutazione delle testate si usa generalmente la seguente formula empirica: 31 Marchi, brevetti, know-how V = aF+ b1P1 + b2P2 −cR dove: a, b1, b2, c = sono quattro parametri e le variabili sono: F = fatturato medio annuo per la vendita del giornale P1 = fatturato medio annuo per la pubblicità locale P2 = fatturato medio annuo per la pubblicità nazionale R = livello medio delle perdite operative annuali Considerando poi gli intangibili specifici con particolare riferimento ai marchi può utilizzarsi la metodologia dei differenziali di multipli sulle vendite, vale a dire (nella formula asset side): dove: EV = Enterprise Value (valore del capitale + debiti finanziari) S = vendite annuali Quanto poi alla formula (equity side): Aspetto particolarmente delicato del metodo consiste comunque nella scelta del moltiplicatore di mercato. Quando le transazioni non dovessero essere adeguate allo scopo è certamente corretto, se possibile, ricorrere ad una stima analitico - assoluta di EV (o W). Il problema non dovrebbe esserci in presenza di multipli impliciti nei deal price o nelle quotazioni di borsa. Spesso in questi casi il problema effettivo è nella scarsa disponibilità di deal price o di stock prices per società che non dispongono di marchi. La stima analitica può comunque essere espressa nella seguente formula: 32. I La valutazione dei beni immateriali dove: NOPAT = Net Operating Profit After Taxes NFA = variazione (annuale) delle attività fisse nette (Net Fixed Assets) WCR = variazione (annuale) del fabbisogno di capitale circolante (Working Capital Requirement) g = fattore di crescita Le ricerche di mercato Il Metodo Interbrand I metodi delle ricerche di mercato, definiscono, primariamente, una serie di criteri essenziali per la stima, per i marchi, in particolare, si ricerca la forza della marca. Con il metodo Interbrand la stima del valore del marchio è data dal prodotto del flusso generato dal bene intangibile (brand profit) per un moltiplicatore indicativo della sua forza (brand strength score). Valore = Brand Profit * (Price/Earning * Brand strength score) Il brand profit è dato dalla differenza tra l’Ebit (Earning before interest and taxes) prodotto dall’azienda e l’Ebit di aziende simili che operano con marchi diversi. Le differenze si calcolano sugli ultimi tre anni: in particolare dopo aver riespresso i valori a prezzi correnti, si calcola la loro media ponderata per i pesi attribuiti agli anni di riferimento. A questo valore si sottrae la remunerazione del capitale investito nel brand. La brand strength score è definita dalla media delle seguenti variabili: 1. leadership, 2. stabilità, 3. mercato di riferimento, 4. internazionalità, 5. trend, 6. supporti di marketing, 7. protezione. Ad ogni variabile viene attribuito un punteggio specifico, si calcola quindi la media ponderata per il peso assegnato ai vari fattori. Il coefficiente che si determina in questo modo viene applicato al Price/Earning moltiplicato per il brand profit. Un marchio forte con un punteggio alto dovrebbe generare elevati profitti e quindi avrà un tasso piccolo di sconto. 33 Marchi, brevetti, know-how Un marchio più debole avrà un tasso di sconto più alto, che riflette il maggior rischio associato ai suoi guadagni futuri. In ogni caso il riconoscimento della capacità del marchio di produrre flussi differenziali di reddito è sostanzialmente il presupposto fondamentale per l’applicazione di tale metodo. Metodo di Young & Rubicam Anche questo modello è usato generalmente per la stima del brand. L’ipotesi di base è che la costruzione di una marca passa attraverso una successione di percezioni del consumatore, quali la diversità, la rilevanza, la stima e la familiarità ed è proprio con riferimento a questi fattori che viene attribuito un valore. In pratica si costruisce un grafico ottenuto incrociando le dimensioni della vitalità della marca (diversità + rilevanza) e della sua statura (stima + familiarità). Si creano quindi quattro quadranti, denominati “emerging potential”, “new/unfocused”, “eroding potential” e “leadership”. Ogni bene immateriale, in base ai valori che ottiene, si inserisce in uno dei quadranti. Brand Strength (Diversità + Rilevanza) Tavola 6 – Stima del brand Emerging Potential Leadership New/Unfocused Eroding Potential Brand Stature (Stima + Familiarità) A ciascun quadrante corrisponde una determinata valutazione. Se, a titolo di esempio, un bene si colloca tra gli “emerging potential” avrà probabilmente margini di profitto futuri elevati, crescita del valore di borsa, elevato rapporto fra valore di borsa e profitto per azione. Il bene appartiene alla categoria dei brand maturi che si avvicinano alla fase di declino quando invece si colloca nel quadrante “eroding potential”. 34. I La valutazione dei beni immateriali Metodo di Aaker Il metodo di Aaker, “the brand equity ten” considera dieci variabili per il calcolo del valore, pur evidenziando come gli indicatori utilizzati devono essere considerati come il punto di partenza e non rappresentano necessariamente il set ottimale. Gli indicatori vengono raggruppati nelle seguenti categorie di indici relativi a: 1. fedeltà, 2. qualità percepita, 3. consapevolezza, 4. differenziazione, 5. performance competitiva. La scelta di quelli più appropriati dipende dai drivers della brand equity. 1.3.6 L’avviamento e i connessi beni immateriali Considerazioni generali sull’avviamento L’avviamento può essere definito come l’attitudine di un’azienda a produrre flussi (finanziari e reddituali) in misura superiore a quella ordinaria. Tale attitudine può essere dovuta a: fattori specifici che, pur concorrendo positivamente alla produzione del reddito ed essendosi formati nel tempo in modo oneroso, non hanno un valore autonomo; incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni, in virtù della loro organizzazione in un sistema efficiente ed idoneo a produrre utili. In quest’ambito si devono necessariamente distinguere due tipologie di avviamento: 1. l’avviamento generato internamente, dovuto ad una gestione aziendale efficiente nell’organizzazione tanto del complesso dei beni aziendali, materiali ed immateriali. Avviamento che quindi non può essere capitalizzato, ed iscritto nel bilancio d’esercizio in quanto, non definibile in termini di oneri e costi ad utilità differita nel tempo; non rappresentante il valore attuale di un flusso di futuri utili sperati, presunti; 2. l’avviamento acquisito a titolo oneroso, dovuto ad un’acquisizione d’azienda o di una partecipazione o comunque evidenziatosi a seguito di un’operazione straordinaria (conferimento d’azienda, fusione scissione). In ogni caso possiamo definire le caratteristiche dell’avviamento nelle seguenti: a) oneri e costi ad utilità differita nel tempo, che garantiscano quindi benefici economici futuri; b) valore quantificabile, in quanto incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisizione di un’azienda o di un ramo d’azienda o di una partecipazione; c) non suscettibile di vita propria indipendente e separata dal complesso aziendale e non considerabile come un bene immateriale a sé stante, oggetto di diritti e rapporti autonomi. 35 Marchi, brevetti, know-how La rilevazione contabile La rilevazione iniziale consiste sostanzialmente nella capitalizzazione patrimoniale del “costo sostenuto” purché si sia appurato che la sua eccedenza rispetto al valore corrente dei beni e degli altri elementi patrimoniali acquisiti possa o meno essere considerata un’immobilizzazione immateriale idonea a produrre benefici economici futuri. A tal fine i fattori da prendere in considerazione sono principalmente i seguenti: valore normale delle attività e passività contabilizzate; durata prevedibile dell’attività operativa; turbolenza del mercato di riferimento; obsolescenza del prodotto; variazioni della domanda; variabili macroeconomiche; aspettative riguardo alla permanenza in servizio di dipendenti “chiave”; azioni prevedibili dei concorrenti attuali e potenziali; clausole legali o contrattuali condizionanti la durata della vita utile; ecc.. Dopo aver inizialmente rilevato l’avviamento7, il codice civile dispone che l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo sostenuto, e deve essere ammortizzato entro un periodo non superiore a cinque anni. È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l’avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l’utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa (art. 2426 c.c., comma 1, n. 6). Il documento contabile nazionale n. 24, ad integrazione delle disposizioni civilistiche riportate, ha ulteriormente chiarito che, l’avviamento iscritto tra le attività deve essere ammortizzato in un periodo corrispondente alla sua “vita utile”, ma entro limiti definiti. L’ammortamento deve avvenire sistematicamente, preferibilmente per quote costanti, per un periodo non superiore ai cinque anni. Sono tuttavia consentiti periodi di maggiore durata, che comunque non deve superare i venti anni, qualora sia ragionevole supporre, in virtù dell’analisi più sopra accennata che la vita utile dell’avviamento sia senz’altro superiore ai cinque anni. Le condizioni che possono giustificare l’adozione di un periodo superiore ai cinque anni per l’ammortamento dell’avviamento, debbono essere specifiche e ricollegabili direttamente alla realtà e tipologia dell’impresa cui l’avviamento si riferisce (ad esempio, imprese la cui attività necessita di lunghi periodi di tempo per essere portata a regime, ovvero imprese i cui cicli naturali siano di lungo periodo, come anche imprese operanti in settori in cui non si prevedano rapidi o improvvisi mutamenti tecnologici o produttivi e che, quindi, si assuma possano conservare per lungo tempo le posizioni di vantaggio da esse acquisite sul mercato). 7 Secondo le disposizioni civilistiche l’avviamento deve essere contabilizzato tra le immobilizzazioni immateriali (classe B - sottoclasse I) nella voce 5. dell’attivo. 36.