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Quando ci si accosta a Pasolini sembra rimanere invischiati nelle

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Quando ci si accosta a Pasolini sembra rimanere invischiati nelle
"Fermenti" n. 238 (2011) - www.fermenti-editrice.it
Quando ci si accosta a Pasolini sembra rimanere invischiati nelle sue
contraddizioni, aggrovigliati nelle sue necessità di ricorrere alle malefatte del
mondo, sfiorando troppe diversità che nessuno è riuscito a svelare.
Ricordato ciò non rimane che impegnarci a leggere di più Pasolini, se non altro
per conoscere, meglio un autore che è stato tanto citato, ma poco capito. Anche
se troppi vorrebbero dimostrare il contrario.
Antonio Tricomi, In corso d’opera. Scritti su Pasolini, 2011, Transeuropa,
pp. 360, € 25,00.
Il discorso critico su Pasolini rimane aperto a tante ipotesi. Antonio Tricomi che
segue l’autore da vari anni ci informa nella nota al testo di aver ripreso gli scritti
dal medesimo tavolo di lavoro. Ne è scaturita così l’esigenza di riformulare,
correggere, ribadire o precisare, ritrattare tesi già espresse in Sull’opera mancata
di Pasolini (2005), Un autore irrisolto e il suo laboratorio (2005), Pasolini:
gusto e maniera (2005), Il brogliaccio lasco dell’umanista. Cinema, cronaca,
letteratura (2007) ecc.
Dopo tali presupposti l’autore ci parla della sua globale
capacità di interpretare il mondo, la vita dai versi al
cinema, dai romanzi agli interventi di costume, fino
all’incompiuto Petrolio.
Non manca nella poderosa ricerca un riferimento
ai critici dei quali viene riportato il punto di vista.
Qualche esempio: Anna Banti considera Ragazzi di
vita un libro scarsamente coeso e privo di svolgimento
narrativo... considerazioni analoghe vengono da Pucci,
Cecchi, Pullini che evidenziano altresì la letterarietà,
l’intellettualismo, la patina estetizzante della lingua.
Varese parla di “barocco descrittivo”. Per Salinari c’è
invece “una predilezione per i suoi esiti più triviali...”.
Per Giuliani, a proposito delle Ceneri “Pasolini non è un poeta con un messaggio,
come avrebbe voluto essere”. “Pare anche l’opinione di Siti, che definisce
correttamente espressionismo quell’ansia di pronuncia totale della realtà e quelle
aporie non pacificate che Agosti e Bárberi Squarotti giudicano caratteristiche
essenziali dei versi di Pasolini. Contini nota che l’autore delle Ceneri del
marxismo “S’impadronisce con l’intelligente dilettantismo del fiancheggiatore”.
Secondo Berardinelli, “vuole sgominare la retorica farisaica degli avvocati con
la sua superiore retorica di poeta”. Per Manganelli “l’intellettuale luterano è un
sociologo grossolano.
Descrizioni di descrizioni per Berardinelli, Baldacci, Paolo Bellocchio, Belpoliti,
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La Porta, risulta l’opera migliore dell’intera produzione, quantomeno letteraria.
Dai brani citati o ricordati si evince che Tricomi dal 1975 ha una preferenza
per il nostro. Asserire ciò non significa sminuire o circoscrivere la sua attività
frenetica nel mondo accademico, non attribuirgli il merito di esperto della
tematica presa in esame.
Oggi tanti parlano per “amarlo, con generosità e insieme contraddirlo, con forza”,
a volte risultando vaghi e non specifici. A lui capita raramente di sorvolare.
Queste alcune sue battute che convalidano la sua ricerca.
“È un autore gestuale, perché convinto di dover rifiutare, in tutte le sue opere,
il vincolo della forma”.
“Petrolio è il libro estremo di un manierista che ritiene esauriti tutti i possibili
letterari e illogico anche solo a concepire nuove forme...”.
Ferretti in polemica con Zigaina: “Non si dovrebbe parlare tanto di una morte
profetizzata e preparata lungo tutta la sua vita, quanto di un martirio come
‘scandalo’dall’autore subito o cercato incessantemente e in ogni forma, attraverso
le opere e il comportamento, dagli anni friulani alla stagione corsara”.
Nel ripercorrere i gusti policromi di un autore multiforme ci si accorge che
con i suoi scritti, Tricomi anche se vuole da un lato compendiare o tracciare
tanti anni di ricerche o di laboriose esplorazioni, da un altro ne mette in risalto
una sua convinta frammentazione o profanazione. Questo, in definitiva, il suo
metodo più riuscito, focalizzando la rabbia di un autore poliedrico e per questo
non convincente per tanti sterili creatori d’occasione.
Sembra raccogliere per tralasciare. Essendo, in definitiva, un esponente
dell’informe e dell’illogico. Contraddittoriamente, tali componenti bacate ne
fanno un autore insostituibile e fascinoso. E Tricomi si è accostato ancora a
lui per dimostrare tali diversità, non ammettendo quanto sull’argomento ci sia
poco da dire, rispetto a quanto asserito.
Premesso ciò, anche se apprezziamo le ricerche di Tricomi, attendiamo qualche
scoperta meno occasionale e forse meno scontata. Ciò può avvenire quando si
incomincerà a tacere su un autore trattato in tutte le salse, tanto da divenire,
spesso, un luogo comune.
Era già successo per D’Annunzio e nel teatro per Pirandello.
Quando ci si occuperà anche di autori, meno considerati o di aspetti meno
indagati?
Pregio del libro un’attenta analisi della storia della critica, sviluppatasi nelle
sue contraddizioni o ritegni, ma anche nella condivisione di un autore che nel
bene e nel male ha dibattuto temi o problemi, risultando retorico, ripetitivo, ma
autentico nell’irregolarità sbandierata.
Difetto essenziale ritenerlo un eroe del paese, anche quando lo si considera
inadeguato e banale, generando frantumazioni e superamento dei generi di un
contesto che non si supera o si sbandiera in forme che possano manifestarsi
nuove o adatte alla nostra storia decrepita.
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Intervista ad Antonio Tricomi, autore di In corso d’opera. Scritti su Pasolini
D: Pasolini in Italia è divenuto l’emblema del sentenziatore di ogni forma di corruzione degli ultimi
quarant’anni. Allo stesso tempo, da alcuni viene
considerato un violento provocatore. Come si concilia tale contraddizione?
R: L’elezione di Pasolini a profeta è anzitutto il sintomo di quell’assenza di autorevoli voci critiche che
da tempo si può riscontrare nel nostro Paese e cui si
cerca spesso di rispondere creando, per l’appunto, picAntonio Tricomi
coli santini più o meno laici. Ed è questa stessa mitizzazione di Pasolini a generare, per contrasto, moti di rifiuto, parimenti eccessivi,
della figura di battitore libero che egli ha tentato di incarnare.
Tanti gli accostamenti con vari esponenti del mondo della cultura. Ma cosa
rimane del libertario autentico che non sa solo esibirsi?
Non penso che Pasolini fosse un libertario: su di lui, pesava troppo un’originaria
sensibilità cattolica, per poterlo essere. Invece, mi piace continuare a definirlo un
reazionario di sinistra, o – in altri termini – uno dei tanti scrittori moderni severi
con la modernità borghese e capitalistica, uno dei tanti intellettuali moderni che
rifiutano il mito del progresso e si rivelano profondamente antimoderni nello
spirito.
Crede che la parte più consistente degli italiani lo abbia realmente letto? Di
più o di meno gli intellettuali?
Pochissimi italiani hanno letto i libri e visto i film di Pasolini. E pochissimi
sono anche gli intellettuali che ne conoscono realmente il lavoro. Persino fra i
suoi esegeti ci sono diversi studiosi che dimostrano una conoscenza quantomeno
lacunosa della sua opera. Il fatto è che – come spiegava tempo addietro Walter
Siti – Pasolini è diventato un sicuro lacerto della cultura nazionalpopolare, nonché – aggiungerei – un repertorio di esternazioni facilmente vampirizzabili dal
senso comune, comodamente citabili da questo o quell’intellettuale.
Gli intellettuali di quale nazione lo hanno meglio assimilato?
In America ne hanno fatto una specie di Andy Warhol; in Francia esaltano in lui
l’intellettuale capace di trasgredire le norme piccolo-borghesi connaturate alla
cultura italiana; in Germania sono attenti al suo discorso sul mito e sul sacro.
Ciascuna di queste interpretazioni dice una parte di verità sull’opera e sulla
figura di Pasolini.
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L’autore si è cimentato con tanti generi. In quale, secondo Lei, è più autentico?
Quando scrive versi. Non possono esserci dubbi, su questo.
Dove invece lo trova, a volte, datato, retorico o persino macchinoso?
Quando si dedica alla narrativa. Anche su questo non possono esserci dubbi.
Con l’abbozzo di Petrolio, ha manifestato quanto fosse in lui viva l’esigenza
di approfondire, anche se il caso ha poi voluto che tutto, nel testo, risultasse
solo emblematico o appena tracciato. Che ne pensa?
Per parte mia, Petrolio non è solo l’opera capitale di Pasolini. Come ho scritto,
avrebbe anche voluto essere, e tutto sommato è, il riassuntivo libro nero di un
ancora moderno dominio capitalistico basato su una politica industriale di tipo
fordista e sulla sostanziale conversione dei diritti di cittadinanza in doveri di
calcolato accumulo o frenetico consumo di beni fabbricati in serie, nonché la
«Visione», giocoforza appena abbozzata, di quella nascente, postmoderna, postfordista società dell’immateriale e – per dirla con Debord – dello spettacolo che
sarebbe presto diventata la nostra.
Perché da vari anni si occupa di Pasolini?
Perché, da una prospettiva tanto di storico della cultura quanto di storico della
letteratura, continuo a considerarlo il “congegno letterario” più significativo, nel
bene e nel male, nei suoi pregi come nei suoi limiti, del secondo Novecento italiano.
Tra i critici, chi lo ha capito di più e chi di meno?
Ad oggi, gli esegeti più lucidi di Pasolini per me restano Franco Fortini e Walter
Siti. Non mi sembra invece elegante citare i nomi dei critici che mi pare abbiano
capito poco di lui.
Nel suo volume In corso d’opera. Scritti su Pasolini (2011, Transeuropa),
in una sintesi si parla dell’esigenza di “amarlo, con generosità, e insieme
contraddirlo, con forza… Usarlo e infine superarlo…”. Vuole chiarire, per
quanto possibile?
Intendevo semplicemente dire che il compito mi pare oggi, sempre più, quello
di smitizzare Pasolini, nel tentativo di ritrovarne la voce autentica, di riscoprire
i veri significati della sua opera, della sua esperienza intellettuale, persino della
sua morte. O almeno è questo che, nei miei libri su di lui, ho sempre provato a
fare.
(a cura di Velio Carratoni)
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