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Materia Oscura e mezzo interstellare
Mezzo interstellare e Distribuzione della Materia Oscura Corso Astrofisica delle Galassie I - A.A. 2011-2012 Alessandro Pizzella Dipartimento di Astronomia Università di Padova A cura di M. Miluzio Maggio 2012 v2.1 1 Contents 1 Mezzo Interstellare 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Proprietà del mezzo interstellare . . . . . 1.3 Gas atomico . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Gas molecolare . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Polvere interstellare . . . . . . . . . . . . 1.6 ISM ionizzata tiepida . . . . . . . . . . . 1.7 ISM ionizzata calda (coronale) . . . . . . 1.8 Continuo radio e luminosità IR . . . . . 1.9 Distribuzione radiale . . . . . . . . . . . 1.10 Distribuzione azimutale . . . . . . . . . . 1.11 Galassie S0 . . . . . . . . . . . . . . . . 1.12 Metallicità delle galassie a disco . . . . . 1.13 Formazione stellare in galassie a disco . . 1.14 Mezzo Interstellare in Galassie Ellittiche 1.15 Gas freddo in galassie ellittiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 3 4 5 6 10 10 10 11 12 13 14 16 17 18 2 Materia Oscura 2.1 Lo scenario cosmologico e la materia oscura 2.1.1 Cosmologie alternative . . . . . . . . 2.2 Galassie a spirale . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Modelli di distribuzione di massa . . 2.2.2 Frazione di DM nelle spirali . . . . . 2.2.3 Dove termina l’alone? . . . . . . . . . 2.3 Galassie Ellittiche . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Galassie nane . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Dark Matter e Lensing . . . . . . . . . . . . 2.6 No Dark Matter: gravitá modificata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 23 24 25 30 30 31 39 41 46 2 . . . . . . . . . . . . . . . Chapter 1 Mezzo Interstellare 1.1 Introduzione Lo spazio presente tra le stelle non è affatto vuoto. Contiene infatti gas rarefatto, particelle di polvere, elettroni in moto relativistico, protoni ed altri nuclei atomici. Ci si riferisce a queste varie forme di materia con il generico nome di Mezzo Interstellare o più brevemente ISM (Inter Stellar Medium)1 . Una delle principali differenze tra le galassie dei vari tipi di Hubble riguarda proprio la quantitá e distribuzione del mezzo interstellare al loro interno. Ancora, le differenze nel contenuto stellare e nella distribuzione della luce tra le galassie early e late type possono essere misurate dalle differenze nel loro ISM. Quindi uno studio accurato dell’ISM è un prerequisito fondamentale nello studio delle caratteristiche di una galassia. Fino al 1980 si pensava che solo le galassie late-type avessero una quantità significativa di ISM ma osservazioni negli X e nelle microonde hanno dimostrato che anche le galassie early-type sono ricche di mezzo interstellare. Si capisce che la differenza tar le early e late-type sta non tanto nella quantità di ISM presente, ma piuttosto in come esso è strutturato. Componente ICM caldo IM tiepida Warm HI nubi HI nubi H2 Regioni HII Polveri < nH > 0.005 0.3 1 5-20 >100 10-10000 T 500,000 8,000 8,000 10-100 5-30 10,000 5-60 tracciante raggiX Hα, righe ass. IS HI, righe ass. IS HI 21cm line CO, HCN, (H2 ) Hα, radio cont IR, extinction Table 1.1: Schema rissuntivo delle principali componenti della ISM. < nH > indica il numero di atomi di idrogeno per cm3 , T la temperatura in gradi Kelvin, con il termine tracciante si intende indicare in che banda o quale é il tracciante utilizzato per studiare la componente in questione. 1.2 Proprietà del mezzo interstellare Vediamo ora le varie componenti che costuituiscono il mezzo interstellare. 1 Esiste anche l’Inter Galactic Medium, e cioé il materiale presente tra una galassia e l’altra 3 1.3 Gas atomico Si tratta essenzialmente di gas HI. La maggior parte dell’informazione viene da misure della riga a 21 cm. Si tratta di gas freddo a una temperatura di 10-100K. Osservazioni di numerose galasse sono fatte con la tecnica single dish che permettono di ricavare attraverso il flusso di HI integrato la massa di HI e, dall’analisi dei profili di riga, la velocità radiale e l’ampiezza della velocità di rotazione. Vi sono anche numerose osservazioni ottenute con la tecnica di aperture synthesis. In questo modo la risoluzione spaziale viene aumentata ed é possibile quindi avere anche una informazione spaziale (Fig.1.1). Posso quindi ricavare la distribuzione dettagliata di HI, il campo di velocità 2D dettagliato, la struttura delle nubi di ISM atomiche e la distribuzione di temperatura (ma solo per galassie vicine). Figure 1.1: Sinistra: distribuzione dell’HI nella galassia a spirale NGC3198; Destra: andamento radiale dell’a distribuzione di HI. Caratteristiche dell’HI: • Distribuzione: – è un gas molto esteso, fino a 50-100Mpc dal centro, motivo per cui viene usato anche per studiare la materia oscura; – la sua cinematica può essere usata per tracciare il potenziale gravitazionale a grandi raggi. • Cinematica: – ruota a velocità pressochè costante (curva di rotazione piatta, Fig.1.3); – Il profilo di velocitá integrato (single dish) della riga di HI mostra il tipico andamento a doppio corno (Fig.1.3). Da questo si possono ricavare precise misure della velocità di recessione e della larghezza della riga. La larghezza della riga é strettamente legata alla velocitá di rotazione del disco. 4 Figure 1.2: Campo di velocitá derivato dalla riga HI NGC3198. • Andamento con il tipo morfologico (Fig.1.4): – l’HI costituisce circa metà della massa barionica di una tipica galassia a spirale; – la frazione di gas HI è funzione dell’Hubble type; – il rapporto MHI /Mtot cresce verso le late-type. La quantitá assoluta MHI invece cresce andando da S0 a Sb, poi decresce perché tipi piú tardi sono meno massicci. COme si puó notare sono escluse le galasise ellittiche che non hanno generalmente HI. 1.4 Gas molecolare La maggior parte del gas molecolare è in forma di H2 e in parte in forma di CO ad una temperatura di circa 100K. Il problema è che gas freddo non ha righe di emissione osservabili. La maggior parte dell’informazione è ricavata dalle transizioni rotazionali del CO in banda millimetrica (la principale è a 2.7mm) con qualche informazione aggiuntiva da isotopi del CO o da altre molecole (HCN, OH...). Come nel caso dell’HI, dati per galassie esterne si ottengono combinando tecniche single dish e aperture synthesis. L’H2 è trovato in nubi come detto fredde e massicce (masse maggiori di 104 M⊙ ), otticamente spesse con transizioni mm del CO. La massa del gas molecolare è dedotta empiricamente dalla correlazione con la luminosità del CO, poichè gran parte dell’informazione si ricava dal CO; tale questione è tuttavia ancora controversa. Importante è esaminare la distribuzione del CO: • In galassie a spirale il CO tende a seguire la distribuzione delle stelle, in particolare quelle giovani; • è presente in piccola quantità (o del tutto assente) oltre il raggio ottico in molte galassie di piccola massa (S,Irr). 5 Figure 1.3: Osservazioni HI spazialmente risolte (cubo di dati). La parte superiore della figura mostra l’estrazione del segnale in una regione lungo l’asse maggiore. La parte inferiore della figura mostra l’estrazione del segnale lungo l’asse minore. La parte centrale della figura mostra il profilo integrato della riga di HI, ovvero la somma di tutto il segnale con al completa perdita dell’informazione spaziale. É la situazione tipica delle osservazoini single-dish ed é visibile il tipico andamento a doppio corno. Andamento con il tipo morfologico (Fig.1.5): • il gas molecolare cresce andando dalle late alle early-type diventando la fase dominante in queste ultime (Fig.1.5 sinistra); • aumento della frazione totale di gas (gas molecolare+gas atomico) con il tipo morfologico (Fig.1.5 destra). 1.5 Polvere interstellare Circa l’1% dell’ISM è in forma di grani solidi che contengono circa il 50% degli elementi pesanti dell’ISM. I grani assorbono circa il 40% dell’energia bolometrica di galassie nell’universo locale. È possibile studiare la polvere modellando l’estinzione osservata in banda visibile e UV. I grani riemettono l’energia nel medio-infrarosso (5 - 300 µm) ed è possibile mappare la struttura della polvere direttamente. Per esaminare le caratteristiche dell’emissione della polvere mostriamolo spettro integrato della nostra Galassia (Fig. 1.6) come esempio dello spettro tipico di una galassia. L’emissione della polvere è più larga di quella dovuta ad una singola temperatura ed è fittata come la somma di quattro componenti: • T ∼ 15K(100 − 300µm) polvere fredda in nubi molecolari; • T ∼ 20 − 30K(100 − 150µm) polvere in nubi diffuse, ”cirri IR”; • T ∼ 60K(50µm) grani tiepidi in zone di formazione stellare; • T ∼ 300K(10µm) banda PAH in emissione da piccoli grani. La caratteristica importante dell’emissione IR è che traccia la morfologia delle bande di polvere e delle regioni di formazione stellare. 6 Figure 1.4: Parametri globali e tipo morfologico (Roberts & Haynes 1994, ARAA 32, 115) da diversi campioni (cerchi e quadrati) e statistiche (simbolo chiuso = mediana, simbolo aperto = media). (a) Massa totale di HI; (b) rapporto MHI /LB ; (c) rapporto MHI su massa totale MT ; (d) Luminositá infrarossa LF IR . 7 Figure 1.5: Sinistra: Frazione di massa H2 /HI per diversi tipi morfologici (late in basso, early in alto fino a S0/Sa). Destra: Frazioen di massa totale Mgas /Mdinamica per diversi tipi morfologici. Figure 1.6: Spettro integrato della nostra Galassia. Le varie curve indicano diverse componenti di polvere a diversa temperatura. 8 Figure 1.7: Immagine della Galassia Sa detta Sombrero (M104) che mostra una evidente banda di polvere. 9 Figure 1.8: Immagine della galassia S0 Centauro A (NGC 5128) che mostra una forte presenza di polvere. 1.6 ISM ionizzata tiepida Si tratta di ISM a temperature di circa 103 − 104 K. • Regioni HII. In tali regioni traccia in maniera diretta la formazione stellare massiccia. È tracciata principalmente da righe di ricombinazione dell’idrogeno (Hα , Pα ) o da continuo radio termico. • Gas ionizzato diffuso (N ∼ 0.01 − 0.1cm−3 ). In spirali il gas è fotoionizzato principalmente da radiazione UV prodotta nelle regioni HII, mentre le galassie early-type e sferoidi possono avere una fase diffusa che è ionizzata da shocks. A volte è associata con la fase diffusa neutra. 1.7 ISM ionizzata calda (coronale) Ha una temperatura di di circa 3 − 5 × 105 K ed è tracciata principalmente dall’emissione X ”soft” (bremsstrahlung) o da righe di assorbimento ad alta ionizzazione (come l’OIV). Le alte temperature presenti richiedono un riscaldamento di tipo cinetico (supernovae, venti stellari, collisioni fra nubi). Le strutture in cui l’ISM caldo si caratterizza sono di vari tipi: • aloni diffusi dentro o attorno galassie E/S0 massicce o nel bulge; • emissione diffusa dal disco dovuta a residui di supernovae, venti stellari; • fontane extraplanari, ciminiere, ”superwinds”; • ”infalling clouds” , ”cooling flows”. 1.8 Continuo radio e luminosità IR La figura 1.9 mostra la correlazione stretta tra il continuo radio e la luminosità IR presente in diversi tipi di galassie. Il fatto che diversi tipi di galassie mostrino lo stesso tipo di correlazione suggerisce che continuo radio e luminosità IR siano generati dallo stesso processo e cioè dalla formazione delle stelle 10 Figure 1.9: Correlazione tra la luminosità del continuo radio e la luminosità IR. massicce. I fotoni UV provenienti da tali stelle sono convertiti in luminosità IR dai grani di polvere mentre le supernovae sono responsabili del coninuo radio generando raggi cosmici. La correlazione presente anche tra continuo radio e componente fredda dell’ISM fa pensare inoltre ad una stretta connessione fisica tra gas freddo, formazione stellare e supernovae (si potrebbe infatti pensare che che galassie con molto gas freddo possano formare molte stelle generando cosı̀ una grande quantità di raggi cosmici). 1.9 Distribuzione radiale La figura 1.10 mostra la densità superficiale N(H2 ) e N(HI) in funzione del raggio di una galassia Sc. Viene mostrata anche il profilo di brillanza superficiale in banda B. Si possono notare subito alcune cose importanti. L’H2 è molto più concentrato verso il centro rispetto all’HI. Secondo, la distribuzione di HI presenta una lieve depressione al centro. Terzo, la distribuzione di HI è molto più estesa della distribuzione della luce stellare. Quest’ultimo fatto è di fondamentale importanza per lo studio della materia oscura: l’HI ci permette infatti di ricavare la velocità circolare e la massa della galassia in funzione del raggio. Dallo studio della distribuzione si evince inoltre che l’HI si interrompe bruscamente. Il motivo va ricercato nel fatto che l’HI esiste solo se è protetto da materiale totalmente ionizzato che impedisce al fondo cosmico di fotoni di ionizzare l’HI. Quando la densità di colonna dello strato protettivo scende al di sotto di un certo valore l’HI inizia a diminuire bruscamente. La caratteristica importante che si ricava della distribuzione dell’ISM è che nelle spirali di tipo piú tardo la frazione di ISM è maggiore rispetto alle spirali piú early. Infatti il valore medio di Mgas /Mdyn (dove Mgas = MHI + MH2 e Mdyn è la massa totale della galassia) aumenta andando dalle Sa alle Sc perchè è la quantità MHI che cresce rispetto a MH2 . 11 Figure 1.10: La linea scura centrale mostra la brillanza superficiale in banda B, quella tratteggiata la densità di H2 mentre quella linea-punto la densità di HI. 1.10 Distribuzione azimutale Strutture a spirale. Le strutture a spirale sarebbero tracciate sia da H2 che da HI. La figura 1.11 mostra alcune cose evidenti. Dalla figura di sinistra si nota che i picchi di emissione di CO sono sulle parti concave dei bracci di spirale e il gas si muove dal lato concavo a quello convesso. Dalla figura di destra risulta invece che l’emissione di HI forma dei picchi sulle zone convesse dei bracci relativi ai picchi di CO (in pratica a valle dei picchi di CO). l’Hα si comporta in modo analogo all’HI. Questo indica come sia l’HI che l’Hα derivino da heating e dissociazione di gas molecolare di stelle calde a vita breve che si formano in genere dove la CO e la densità molecolare sono alte. In genere i bracci di HI sono correlati a quelli ottici. Inoltre il rapporto tra densità di idrogeno e massa delle stelle cresce progressivamente lungo i bracci cosicchè i bracci di HI effettivamente si estendono ben oltre quelli ottici a conferma di quanto detto finora. Lop-sidedness Al di fuori della distribuzione della materia ottica della galassia il gas mostra spesso strutture lontane da quelle planari o assesimmetriche. Nella figura 1.12 la distribuzione di HI illustra tale fenomeno, denominato lop-sidedness (asimmetria, ineguaglianza): l’HI appare estendersi molto di più verao una direzione piuttosto che in un’altra. Sempre dalla figura si può notare che le linee di isodensità sono pressochè circolari vicino al 12 Figure 1.11: Correlazione tra emissione CO e HI nei bracci di spirale. Il pannello di sinistra mostra la sovrapposizione dei contorni dell’emissione CO con la luce rossa, quello di destra mostra gli stessi contorni dell’emissione di CO sovrapposta a quella di HI. centro, mentre a grandi raggi le orbite non sono concentriche col nucleo: questo suggerisce il fatto che il gas a grandi raggi orbiti attorno a punti spostati rispetto al nucleo. Questo fatto è dovuto alla asimmetria nella distribuzione di HI piuttosto che ad orbite particolari. Si può mettere in evidenza tale fenomeno (peraltro piuttosto comune, presente in almeno il 50% delle galassie) tramite i profili di velocità: profili di galassie lop-sidedness mostreranno un corno della profilo di velocità risulterà più pronunciato rispetto all’altro. 1.11 Galassie S0 Le galassie S0 possono essere considerate intermedie tra le ellittiche e le spirali. La conferma viene anche dalle osservazioni dell’HI: infatti ne contengono più delle ellittiche ma meno delle spirali. L’HI risulta concentrato in anelli piuttosto che a formare dischi, in particolare i dischi delle S0 barrate sono privi di gas per un raggio tre volte quello della barra. Le polveri sono responsabili di deboli strisce osservate nelle S0 e sono causa di forti emissioni IR. Tali polveri sono spesso associate anche ad emissioni della CO. L’emissione negli X conferma anche la presenza di gas hot (tipica delle galassie ellittiche, come vedremo). Tornando agli anelli, si possono distinguere anelli esterni (oltre 1.8R25 ) ed interni (entro 0.7R25 ). Spesso risultano essere molto inclinati sia rispetto al piano galattico sia tra di loro. Vi sono alcuni casi estremi: le galassie a ”fuso” (spindle galaxy), in cui l’asse di rotazione della galassia è perpendicolare all’asse di rotazione del gas. Nel caso in cui il gas ruotasse in anelli quasi sopra ai poli della galassia si parlerebbe di ”polar-ring galaxy”. Spesso si possono avere stelle e gas che ruotano in sensi opposti pertanto il loro vettore momento angolare è antiparallelo. Il gas quindi che è perso dalle stelle della 13 Figure 1.12: Una mappa di M101 nella riga a 21 cm mostra il fenomeno del lop-sidedness: l’HI appare estendersi molto di più verso nord est rispetto alla direzione opposta. galassia co-ruota con la parte stellare mentre quello acquisito può anche controruotare (il gas che controruota potrebbe avere anche origine esterna). 1.12 Metallicità delle galassie a disco La metallicità dell’ISM di galassie a disco si stima dall’intensità dell’emissione dello spettro di regioni HII. L’idea alla base di questo approccio è che l’intensità delle righe dei metalli rispetto a quelle dell’idrogeno aumenta con la metallicità. Si opera in sostanza un confronto tra l’Hβ e le righe proibite di O + , O 2+ , N + , S + . Alcuni autori dallo studio di tali righe hanno dedotto che diverse linee di vista attraverso la stessa regione HII danno spettri simili (uso quindi un solo spettro per la regione), mentre regioni HII alla stessa distanza dal nucleo hanno spettri simili e conseguentemente regioni HII a distanza diversa dal nucleo hanno spettri diversi. In poche parole, lo spettro dele regioni HII dipende solo dalla distanza dal nucleo. Il senso di questa dipendenza è che in spettri di regioni HII localizzate a gran distanza dal centro sono intense le righe di emissione del O 2+ , mentre regioni situate a piccola distnza dal nucleo hanno righe di emissione del O + , N + relativamente intense, come ad indicare che l’abbondanza metallica decresce con r che aumenta. La temperatura dell’ISM dipende dalla metallicità poichè gli ioni degli elementi pesanti e le polveri emettono raffreddando l’ISM sotto i 106 K. La temperatura inoltre determina la frequenza di eccitazione degli elettroni quindi in qualche modo controlla lo spettro. Un altro fattore che controlla lo spettro è la frazione di atomi di un dato elemento che sono in un dato stato di ionizzazione. 14 Figure 1.13: Profili di velocità integrati della riga a 21 cm di una galassia a disco. Il pannello superiore mostra chiaramente l’asimmetria del profilo di velocità, con un corno più pronunciato dell’altro. Il pannello inferiore mostra profili di velocità simmetrici. Figure 1.14: Esempio di spindle galaxy, NGC2685. Dipende anche dalla forza del campo di radiazione stellare perchè un campo più forte porterà gli atomi in un più alto stato di ionizzazione. Questo dipende da: • natura delle stelle della nebula che le contiene; • raporto polveri/gas della nebula: se il rapporto aumenta la ionizzazione è più bassa e la metallicità più alta. La figura 1.15 mostra inoltre una chiara correlazione tra la magnitudine assoluta di una galassia e la metallicità che si ottiene estrapolando [O/H] all’interno del disco: galassie meno luminose tendo ad 15 essere più povere di metalli delle galssie più luminose. Poichè la velocità circolare vc di una galassia è fortemente correlata alla sua magnitudine assoluta dalla relazione di Tully-Fisher, conseguentemente [O/H] sarà correlato con vc . Figure 1.15: Relazione tra luminositá e metallicitá in galassie a z=0.4 (punti) e a diversi redshift (linee). 1.13 Formazione stellare in galassie a disco Dalla luminosità Hα posso misurare il numero di fotoni ionizzanti che impattano sull’ISM. I fotoni ionizzanti vengono da stelle giovani e massive. Assumendo una distribuzione particolare per tipo spettrale si ricava la massa totale di gas dal tasso di produzione dei fotoni. Se si assume che il tasso di formazione stellare (detto Star Formation Rate o SFR), in particolare di stelle massive, sia costante nel tempo si può stabilire il tasso di formazione stellare. Quindi, le osservazioni della luminosità Hα di una galassia a disco ci permettono di ricavare più o meno direttamente il tasso di formazione di stelle massive. Fuori dal nucleo l’emissione Hα è proporzionale alla funzione di brillanza superficiale, perchè ci aspettiamo che il numero di stelle che si formano ad ogni raggio sia proporzionale al numero di stelle già formate. Schmidt ha ipotizzato che la SFR è proporzionale alla potenza della densità superficial dell’ISM: 1.3 I(Hα ) ∝ Σgas (1.1) Si nota che un disco di gas è instabile a una perturbazione assisimmetrico quando la Σ supera Σcrit = kvs /πG con vs velocità del suono nel gas. L’intensità Hα inoltre cade invariabilmente sotto il valore previsto da tale legge a grandi raggi e il raggio oltre il quale la legge non é piú valida è quello per cui la densità del gas scende circa sotto 0.63Σcrit . 16 1.14 Mezzo Interstellare in Galassie Ellittiche Mentre la gran parte dell’ISM nelle galassie a spirale è nella forma di HI e H2 , le ellittiche contengono soprattutto plasma caldo (T ≥ 106 K). Questo plasma produce raggi X tramite bremsstrahlung, processi bound-free e righe di emissione. Dalle osservazioni si è potuto ricavare che il plasma ha distribuzione pressochè sferica piuttosto che essere organizzato in sottili dischi (come nelle spirali dove l’HI e l’H2 formano sottili dischi). La figura 1.16 mostra che l’intensità negli X è proporzionale alla brillanza superficiale ottica. Questa è una caratteristica tipica delle galassie ellittiche. Infatti, l’intensità dell’emissione ottica è proporzionale alla densità stellare:jopt ∝ n∗ , mentre quella X è proporzionale alla radice della densità 1/2 del plasma:jX ∝ ne . Cosı̀, se jX ∝ jopt , allora ne ∝ n∗ : la densità del gas cade con il raggio più lentamente della densità stellare. Questo avviene perchè la temperatura del plasma è più alta della temperatura cinetica della distribuzione stellare. Infatti se n∗ ∝ r −α allora ne ∝ r −αβ , dove β = T∗ /T è il rapporto tra la temperatura stellare e del plasma. Per le ellittiche β ∼ 0.5. Figure 1.16: Profili di brillanza ottica e X di NGC 720. I dati negli X sono indicati con croci. La figura 1.18 mostra che la luminosità X è correlata con: • la luminosità ottica; • la luminosità del continuo radio. A basse luminosità Lx e LB sono ben correlate ma rozzamente proporzionali l’una con l’altra. A luminosità LB ≤ 1037 w la luminosità X è determinata più dall’emissione da binarie che da ISM. Sopra tale valore la componente dominante è invece l’ISM. Questa correlazione è mostrata nel grafico di sinistra della figura 1.18. Il grafico di destra mostra invece la correlazione continuo radio-luminosità X. Dalla brillanza X e dal profilo di temperatura si può ricavare la massa del plasma in una galassia ellittica (≤ 1011 M⊙ ), cosı̀ le ellittiche con maggior luminosità X hanno una frazione della loro massa in gas tanto quanto una galassia Sc . Quindi ellittiche con più luminosità X hanno più gas e viceversa. 17 Figure 1.17: Contorni delle regioni a brillanza superficiale X costante sovrapposti all’immagine ottica di NGC 720. Figure 1.18: Correlazioni tra le luminosità di galassie E e S0 nell’ottico (banda B), negli X e nella banda radio. 1.15 Gas freddo in galassie ellittiche La maggior parte delle galassie ellittiche è molto più povera di gas freddo rispetto ad una galassia a spirale che abbia la stessa luminosità. Questa mancanza di gas freddo rende difficile osservare le ellittiche a 21 cm, 2.6 mm o nel lontano IR (proprio a causa della mancanza di HI, H2 e CO). La figura 1.19 mostra che oltre i tre quarti delle galassie ellittiche luminose hanno presenza di polvere sotto forma di gas freddo e grani e in esse può essere rilevata la presenza delle righe di emissione ottiche dell’ Hα . L’origine di questo gas freddo è probabilmente dovuta ad un evento di acquisizione. Altra caratteristica è che il gas pare essere molto concentrato. Osservazioni di bande di polvere nelle ellittiche mostrano comunque che esse non contengono 18 Figure 1.19: La figura mostra tre curve per galassie del tipo E, S0,S0/a e da la probabilità che scegliendo casualmente una galassia di un dato tipo essa abbia un valore MHI /LB più piccolo di un altro valore dato. materiale che si è condensato al di fuori dell’ISM della galassia. Osservazioni delle righe di emissione del gas freddo evidenziano che il gas puó ruotare intorno all’asse maggiore della galassia mentre lo spettro delle righe di assorbimento stellare mostrano che le stelle ruotano tendenzialmente intorno all’asse minore della galassia (fig. 1.20). Cosı̀ i vettori momento angolare possono risultare essere perpendicolari. In altri casi possono essere inclinati, in altri antiparalleli. Un ultimo fatto riguarda le galassie con nuclei attivi: esse sono infatti molto più luminose nel radio, a causa della maggiore emissione di raggi cosmici, rispetto a normali galassie con pari luminosità IR (fig. 1.21). Risulta facile quindi capire che la luminosità è correlata con la luminosità IR. Figure 1.20: Bande di polvere lungo l’asse minore della galassia ellittica NGC 5266. 19 Figure 1.21: Galassie con nuclei attivi sono in genere anche 1000 volte più luminose nel radio di normali galassie con pari luminosità IR. 20 Chapter 2 Materia Oscura Secondo lo scenario cosmologico con costante cosmologica e materia oscura fredda (λCDM) il 73% della massa presente nell’universo é costituito da energia oscura, il 23% da materia oscura e il rimanente 4% da materia barionica. Della materia barionica solo l’8% è composto da meteria luminosa. Il restante (materia oscura barionica) è composto probabilmente da gas (molto caldo o molto freddo) oppure da residui stellari (come nane bianche primordiali o MACHOs). La materia oscura non barionica è composta da particelle non ancora note. La materia oscura oscura è necessaria per 3 principali motivi: 1. Modelli cosmologici di formazione delle strutture (galassie, ammassi di galassie) a partire dalle osservazioni del fondo cosmico infrarosso non si riscono a formare senza l’aiuto di materia oscura; 2. Le osservazioni di dinamica di galassie ed ammassi di galassie indicano la presenza di materia oscura. 3. Dalle osservazioni del fondo cosmico sappiamo che l’universo ha una geometria piatta. Affinché questo sia possibile é necessario che la densitá di massa media sia piú alta di quella che determiniamo in base alla sola materia barionica. 2.1 Lo scenario cosmologico e la materia oscura È noto già da alcuni decenni che la massa delle galassie deve essere molto maggiore (anche 10 volte o piú) di quella luminosa/barionica (cioè stelle e gas). Benché non la si possa vedere direttamente, possiamo dedurre la presenza di questa massa in eccesso dai suoi effetti gravitazionali: le stelle e/o il gas nelle galassie hanno velocità cosı̀ alte che la gravità dovuta alla loro mutua attrazione non sarebbe sufficiente a trattenerle e le galassie si smembrerebbero rapidamente. Dunque, ci deve essere una gravità supplementare dovuta a materia che però non si vede. Analogamente, le galassie in un ammasso si allontanerebbero velocemente le une dalle altre se a trattenerle non fosse una gravità superiore a quella data dalla loro reciproca attrazione considerando solo la materia barionica. Pertanto, negli ammassi deve essere presente più materia oscura di quella associata alle singole galassie. Inoltre, questa materia ”misteriosa” potrebbe trovarsi anche negli spazi tra galassie ed ammassi di galassie. La nostra Galassia fa parte del Gruppo Locale insieme alla galassia di Andromeda e ad una trentina di galassie nane. Ebbene, tutte queste galassie si muovono a 600 km/s verso un punto del cielo detto il Grande Attrattore; tuttavia, puntando i telescopi in questa direzione non si nota nulla di particolare. Potrebbe dunque esserci un enorme aggregato di materia oscura che ci attira in questa direzione. 21 In generale, il conteggio di galassie in grandi volumi di universo osservabile indicano che la materia oscura è circa 30 volte più abbondante di quella luminosa. Si tratta di capire quale sia la natura di questa materia oscura. Potrebbe essere composta da una miriade di piccoli oggetti delle dimensioni di pianeti, come le nane brune, o i cosiddetti MACHOs, oppure buchi neri, che risulterebbero del tutto invisibili ai nostri telescopi. In realtà gli astronomi sospettano che la maggior parte della materia oscura non sia formata dall’ordinaria materia barionica (protoni e neutroni) ma da qualche forma di materia non ordinaria ed in particolare non barionica. Le diverse evidenze sperimentali indicano che Ω = 1 (Ω ≡ ρρC é la densità dell’universo in unità di densità critica) e Ωmatter ≈ 0.27. La natura della materia mancante non può essere solamente di tipo barionico. Il limite imposto dalla teoria della nucleosintesi del Big Bang (BBN) al contributo barionico è 0.005 < Ωbarioni < 0.10. Il limite dalla BBN comporta un problema sulla materia mancante di natura barionica (in quanto il minimo valore permesso di Ωb è maggiore del contributo della materia barionica luminosa Ωlum ) ed anche un problema relativo alla materia oscura non barionica. Il primo non è stato del tutto risolto dalla scoperta di oggetti di massa 0.08 volte quella solare detti MACHO (Massive Compact Halo Objects), in cui non si sono mai innescate le reazioni di fusione termonucleare. Essi sembrano non rendere conto di più del 50% della materia dell’alone. La materia oscura non barionica è suddivisa in due categorie: calda e fredda a seconda che fosse relativistica o meno al momento del disaccoppiamento. Se la particella si disaccoppia mentre è ultrarelativistica, si parlerà di materia oscura calda. Un esempio di materia oscura calda viene dato da una specie di neutrini massivi, con massa ∼ 10 − 30eV . Questa massa è superiore ai limiti sperimentali per i neutrini elettronici, ma non si può escludere per i neutrini µ e τ . Noto il redshift di disaccoppiamento dei neutrini e la temperatura dell’Universo a quell’epoca, si può calcolare la densità che una tale componente di neutrini avrebbe; per una massa di 30 eV risulta Ων ≃ 1 . In questo caso la materia oscura è data da una particella già nota, il che è un vantaggio non trascurabile. Gli esperimenti che hanno portato alla rivelazione della massa del neutrino, come superkamiokande, non riescono a misurarne la massa ma la differenza ∆2 tra la massa del neutrino elettronico e quello in cui oscilla (µ, τ o altro). La misura ∆2 ≃ 10−3 eV2 suggerisce peró che i neutrini abbiano una massa abbastanza piccola da renderli cosmologicamente irrilevanti. E poi quadro della materia oscura calda, strutture di piccola massa non sono inizialmente in grado di collassare a causa dello ”agitazione termica” dei neutrini in ogni direzione. In questo caso si sarebbero formate dapprima le grandi strutture, quali gli ammassi di galassie. Solo successivamente queste si sarebbero ”frammentate” in oggetti più piccoli come le galassie. Questo schema gerarchico viene detto top-down (dall’alto in basso). La materia ordinaria (protoni e neutroni) che compone le galassie che osserviamo è poco abbondante ed esercita una gravità trascurabile. Essa si aggrega non a causa della propria gravità, ma a causa della formazione delle strutture di materia oscura verso cui è attratta. Ebbene, questo scenario top-down non riproduce la distribuzione delle galassie a z = 0, né tantomeno la formazione delle galassie osservata a z ∼ 3−5. In definitiva, lo scenario a materia osciura calda non é attualmente ritenuto valido. Una specie di particelle che si disaccoppia quando è in regime non-relativistico, oppure che non è mai stata in equilibrio termodinamico con le altre particelle, avrà una dispersione di velocità molto bassa, approssimativamente nulla. Si parla allora di materia oscura fredda (Cold Dark Matter, CDM). Il modello, o meglio la famiglia di modelli, di CDM è oggi preferita dalla gran parte dei cosmologi, e si avvia forse a diventare un modello standard, anche se non è ancora del tutto priva di problemi. Purtroppo non esistono candidati ovvi di materia oscura fredda; le GUT prevedono la presenza di particelle che potrebbero essere buoni candidati, come la particella supersimmetrica più leggera, che dovrebbe essere stabile, o altre particelle esotiche come l’assione o il neutralino. Molti gruppi sperimentali ricercano attivamente questa particella, nell’ipotesi che essa abbia un’interazione (seppur debolissima) con la materia. Le attuali teorie sulle particelle elementari prevedono che, nelle condizioni presenti nei primi 22 istanti del Big Bang, si formino particelle genericamente denominate WIMPS (Weakly Interacting Massive Particles). Contrariamente ai neutrini, la reale esistenza di queste particelle non è stata ancora verificata nei laboratori di fisica. A causa della loro massa elevata, infatti, la produzione di tali particelle richiede energie enormi non ancora disponibili negli attuali acceleratori di particelle. Essendo più pesanti dei neutrini, queste particelle si muovono più lentamente. La formazione delle galassie, nel modello CDM, precede quella degli ammassi. In particolare, la formazione delle stelle è guidata dalla formazione degli aloni di materia oscura, visibili nelle simulazioni ad N-corpi , che costituiscono le buche di potenziale entro cui il gas può cadere. la formazione delle strutture procede in modo cosiddetto bottom-up o gerarchico: si formano prima gli aloni piccoli, che poi si fondono in aloni sempre più grandi. In altre parole, un ammasso di galassie si forma attraverso il collasso di molte galassie, contenute in aloni di materia oscura formati in precedenza. Questa caratteristica rende i modelli CDM molto più aderenti all’evidenza osservativa rispetto ai modelli di materia oscura calda. La storia di accrescimento e fusione degli aloni è un ingrediente fondamentale per la formazione delle galassie. Nello scenario della materia oscura fredda, quindi, i WIMPS, più lenti e pesanti, formano dapprima strutture relativamente piccole all’interno delle quali viene attratta la materia ordinaria che dà luogo a piccoli ammassi stellari o galassie nane. Solo successivamente, in un processo detto merging, queste strutture più piccole si attraggono formando galassie ed ammassi di galassie. Mentre l’evoluzione delle perturbazioni di CDM (che non si vede!) è ragionevolemente compresa grazie alle simulazioni ad N-corpi, la dinamica del gas all’interno degli aloni di materia oscura, la cui conoscenza è necessaria per predire le caratteristiche delle galassie (che si vedono!), è ancora un problema aperto. In altre parole è molto difficile produrre predizioni CDM sulle galassie. Nel passato spesso sono state annunciate grandi crisi del modello CDM, che poi erano dovute ad assunzioni non necessarie o a problemi numerici delle simulazioni, o a semplificazioni eccessive nei calcoli, specialmente riguardanti la formazione delle galassie. Esiste però un problema a scale subgalattiche che per il momento non trova soluzione. Il modello CDM prevede che il profilo degli aloni di materia oscura debba essere molto ripido verso il centro; prevede inoltre che gli aloni galattici debbano essere pieni di sottostruttura. Entrambe queste predizioni non risultano verificate: gli aloni di materia oscura che ospitano le galassie sembrano significativamente più piatti di quelli CDM, e la grande abbonanza di sottostruttura prevista non trova riscontro nelle osservazioni. Anche se non è del tutto da escludere qualche errore nelle simulazioni che producono queste predizioni o nell’interpretazione delle osservazioni, l’evidenza punta verso un problema della CDM su scale subgalattiche. Sono state proposte due varianti della CDM che potrebbero risolvere il problema: la materia potrebbe essere tiepida, in modo da smorzare la potenza sulle scale subgalattiche mantenendo quella sulle scale galattiche. Rimarrebbe però da spiegare perché la scala di troncamento debba essere esattamente quella osservata. Inoltre, questo modello sembra essere escluso dalle osservazioni di WMAP. Alternativamente la CDM potrebbe essere debolmente auto-interagente, il che spiegherebbe in modo dinamico la cancellazione della potenza su piccola scala. Teorie ed osservazioni future potranno risolvere il dilemma. 2.1.1 Cosmologie alternative Il modello Big Bang caldo + CDM non può ancora essere considerato un modello standard, visto che è caratterizzato da molti parametri liberi non ancora del tutto fissati, e potrebbe essere inconsistente con l’evidenza osservativa su scale sub-galattiche. Inoltre, l’esistenza della materia oscura permette di risolvere molti problemi, ma rimarrà un’ipotesi finché, la particella non sarà trovata, o una GUT sperimentalmente verificata non sarà in grado di fare predizioni più precise. La presenza di un termine di costante cosmologica rende la situazione ancora più intricata. Tuttavia, il modello CDM è sopravvissuto a molti test critici, laddove altre teorie sono cadute. È istruttivo menzionare alcune 23 teorie cosmologiche alternative al modello del Big Bang caldo o della CDM, che risultano attualmente escluse o sfavorite dai dati, ricordandosi che la bontà di una teoria sta non tanto nella sua aderenza ai dati ma nella sua capacità di fare predizioni che siano falsificabili. La dimostrazione della presenza di materia oscura a partire dalla curva di rotazione delle galassie a spirale, o dalla dispersione di velocità degli ammassi di galassie, parte dall’ipotesi di validità della gravità di Newton (o della relatività generale). Anche in questo caso il problema potrebbe essere a monte: la gravità potrebbe presentare un termine estremamente piccolo che diventa importante nei casi astrofisici. Milgrom ha proposto una teoria, detta MOdified Newotonian Dynamics (MOND), in cui è presente un termine che diventa importante ad accelerazioni molto piccole. L’attrattiva di questa teoria sta nel fatto di non avere bisogno di un’imprecisata materia oscura. Tuttavia, come abbiamo visto l’evidenza di materia oscura viene fuori da molte argomentazioni indipendenti (fluttuazioni del CMB, nucleosintesi), e non è implausibile dal punto di vista particellare. Il difetto della MOND sta nel fatto che non è compatibile con la relatività generale, ed una generalizzazione di questa per riprodurre la MOND nel limite vk|c non è univoca. Non è quindi facile generare predizioni MOND, per esempio, del fondo cosmico; le predizioni generate comunque non sembrano riprodurre i dati. 2.2 Galassie a spirale La prima evidenza di materia oscura legata alle galassie si è avuta nelle galassie a spirale. La distribuzione della luce di un disco stellare è ben descritta dalla legge esponenziale di Freeman: I(r) = I0 exp(r/h) dove I0 è la brillanza superficiale centrale ed h è il raggio di scala. Nella approssimazione di disco sottile, è possibile derivare analiticamente la curva di rotazione circolare generata da una tale distribuzione di densità. Equagliando la forza centrifuga alla forza centripeta di gravità si ottiene: 2 Vdisco (r) = 4πGI0 (M/L)disco hy 2 [I0 (y)K0 (y) − I1 (y)K1(y)] ; y = r/2h (2.1) I0 , I1 , K0 e K1 sono le funzioni modificate di Bessel mentre il termine (M/L)disco indica il rapporto M/L delle stelle che compongono il disco. Si può vedere che: • la velocità è propozionale alla brillanza superficiale I0 ; • il raggio r entra solo come r/h. In altre parole, cambiare h non significa cambiare la curva nella sua forma, ma solo scalarla a diversi raggi. Tutti i dischi esponenziali hanno quindi una curva di rotazione simile (Fig.2.1), con una Vmax che si trova a circa 2.4h. Per un tipico valore di h = 3kpc-4kpc Vmax cade a circa 10kpc. Oltre questo valore massimo la velocità comincia a scendere come indicato nella figura 2.1. In una tipica curva di rotazione distinguiamo quindi tre regioni: una in cui la velocità cresce con r, una seconda in cui la velocità inizia a declinare e infine il cosiddetto tratto ”kepleriano” dove v ∝ r −1/2 . Questo però non è quello che si trova misurando la curva di rotazione delle galassie a spirale (Fig.2.2). Quello che si trova infatti è che le curve di rotazione tendono ad una velocità asintotica. Il declino delle velocità per distanze maggiori di 10kpc non si vede. La materia oscura è responsabile per l’assenza del ”tratto Kepleriano”. È utile ora ricordare quanto detto per l’ISM in galassie a spirale. La curva di rotazione la posso misurare otticamente con le righe di emissione dell’HII o nel radio con la riga a 21 cm dell’HI. L’HI ha la caratteristica di essere distribuito in maniera diversa dalla componente luminosa ed é visibile a distanze maggiori dal centro della galassia di quanto non riesca a fare con la componente luminosa stellare e del gas ionizzato. É allora possibile estendere le misure di cinematica ottenute nelle regioni centrali con il gas ionizzato in regioni piú esterne con l’HI. Anche alle distanze raggiunte dall’HI non si osserva la decrescita dovuta al tratto kepleriano. 24 Figure 2.1: Curva di rotazione di un disco esponenziale. Figure 2.2: Curva di rotazione di varie galassie a spirale nelle quali il tratto kepleriano è assente e la curva tende ad un valore asintotico della velocità. 2.2.1 Modelli di distribuzione di massa Questo fatto é generalmente interpretato come una prova della presenza di un alone di materia oscura meno concentrato della materia luminosa e che si estende per raggi maggiori. Ma qual é la forma di questi aloni e quale é la loro distribuzione radiale di densitá? Non vi è un’unica opinione su 25 Figure 2.3: Curva di rotazione osservata (punti) vista come somma (linea continua superiore) della componente di disco e della componente di alone. In questo caso si é utilizzato un modello maximum disc in cui il disco é responsabile della curva di rotazione nei kpc centrali. come la materia oscura sia distribuita negli aloni specie nelle parti centrali dove il contributo della materia barionica non é trascurabile se non prevalente rispetto alla materia oscura. Il problema non é do facile soluzione anche perché il rapporto M/L della componente luminosa non é facilmente determinabile. L’approccio che si é usato consiste nel decomporre la curva di rotazione nel contributo delle componenti di disco (e bulge) e di alone aumentando il rapporto M/L del disco al più alto valore consistente con la curva di rotazione nel centro (Maximum Disk). La differenza a grandi raggi tra la curva di rotazione cosı̀ ottenuta (che decresce) e quella osservata (che rimane piatta) è attribuibile alla materia oscura. In questo modo abbiamo peroó solo ottenuto un limite inferiore per la materia oscura dato che non é detto che il disco sia massimo. In generale, nel caso che stiamo considerando abbiamo tre parametri liberi, due legati alla materia oscura (RC e ρ0 ) ed uno legato alla componente luminosa (M/Ldisco ). I parametri h ed I0 (eq. 2.1) sono infatti derivabili dalla fotometria (la fotometria in genere viene anche utilizzata per derivare l’inclinazione del disco stellare e quindi deproiettare opportunamente le velocità osservate). Per quanto riguarda la cinematica, il dato osservativo è la curva di rotazione della galassia. È possibile allora determinare i tre parametri in modo che la curva di rotazione osservata venga riprodotta al meglio dalla curva dovuta alle componenti di alone e di disco. Come giá accennato, vi sono alcuni problemi che rendono incerta la derivazione del profilo di densitá radiale della materia oscura. Da un lato vi è un certo grado di degenerazione tra i tre parametri. Curve di rotazione che si ottengono con M/Ldisco alto e ρ0 basso sono simili a quelle che si ottengono con M/Ldisco basso e ρ0 alto (Fig.2.5). Nelle regioni centrali, dove la materia oscura da’ un contributo minore rispetto quello della materia luminosa, la sua densitá é derivata con una grande incertezza come vedremo in seguito nel discutere la differenza tra aloni isotermi e aloni NFW. La presenza dei bracci di spirale in molte galassie è utilizzata per stimare la presenza di DM. In 26 particolare si è notato che il numero di bracci (m) è correlato alla frazione di massa nel dark halo: m≈ Mdisk + Mhalo Mdisk (2.2) generalmente il modo con m = 2 è dominante. I risultati di tale studio indicano che generalmente gli aloni attorno alle spirali early sono più concentrati rispetto a quelli delle spirali late inoltre dischi caldi hanno strutture a spirale anche in presenza di DM d’alone. Vediamo ora i due tipi di alone che vengono generalmente considerati. Alone sferico isotermo Una forma funzionale empirica che descrive generalmente bene i dati osservativi é quella cosiddetta dell’alone isotermo. Il profilo di densitá é dato da: ρ= 2 Vmax ρ0 = 4πGRc2 (1 + R2 /Rc2 ) 1 + (R/Rc )2 (2.3) q dove Vmax = 4πGρ0 Rc2 e Rc è il raggio del nucleo. Un profilo di questo tipo (Fig.2.4) è caratterizzato da una regione interna a densità costante (R ≪ Rc ) e una esterna (R ≫ Rc ) dove ρ ∝ R2 . Infatti per una curva di rotazione V ∝ M/R e ρ ∝ R−2 . Quindi M ∝ R e quindi V (r) = costante. L’alone isotermo ha quindi una curva di rotazione piatta a grandi raggi ed una curva di rotazione rigida nel centro che é descritta dalla formula 2 Viso (R) = 4πGρ0 Rc2 1 − Rc R arctan R Rc (2.4) Alone NFW L’alone isotermo non è l’unico tipo di alone che viene usato. Modelli cosmologici basati su cosmologie di tipo ΛCDM, in cui le galassie si formano all’interno di aloni che sono il risultato dell’unione di aloni più piccoli, prevedono che la densità degli aloni non abbia un nucleo a densità costante nel centro ma sia piccata (Fig.2.4). Questo tipo di alone prende il nome dagli autori che lo hanno proposto (Navarro, Frank e White = NFW) ed ha una densità centrale ρ ∝ R−1 e quindi piccata nel centro: ρ(r) = M0 r(a + r) (2.5) con M0 e a parametri liberi. Distinguere fra i due aloni non è facile. Si discostano infatti tra loro solo nella regione centrale (500pc-1kpc) dove la materia luminosa è dominante. Quale dei due tipi di alone meglio descriva le galassie non è ancora chiaro. Una formula che riesce ad approssimare diversi tipi di alone è la seguente: ρ(r) = (r/Rc )γ [1 ρ0 + (r/Rc )α ]β−γ)/α ed i profili particolari si ottengono con i seguenti valori dei parametri: 27 (2.6) α NFW 1.0 Iso 2.0 β γ 3.0 1.0 2.0 0.0 Table 2.1: Valori dei parametri per i diversi tipi di alone. Figure 2.4: Confronto tra l’alone isotermo, il NFW a l’alone di Moore (quest’ultimo anche derivato teoricamente in un contesto ΛCDM). 28 Figure 2.5: Degenerazione tra diversi tipi di alone e alone-disco. Gli 8 riquadri mostrano sempre la stessa curva di rotazione osservata (punti) modellata con un alone isoterma (colonna a sinistra) e un alone di tipo NFW (colonna a destra). Nella riga superiore sono mostrati i modelli con un maximum disc, nella seconda riga i modelli con un minumum disc. La curva di rotazione dovuta alla componente di disco e’ indicata dalla riga a tratteggio corto, quella della DM dalla riga a tratteggio lungo, quella della componente HI dalla riga a puntini. la riga continua mostra la somma delle tre componenti che va ad interpolare i dati osservati. Si puó vedere come non vi é una differenza decisiva tra gli otto modelli. 29 Somma delle velocità Conviene fare ora una semplice ma utile considerazione su come si sommano le velocità di diverse componenti di massa. V12 (R) = M1 G/R; V22 (R) = M2 G/R V 2 (R) = MG/R = (M1 + M2 )G/R = V12 + V22 (2.7) (2.8) Le velocità di diverse componenti si sommano quindi in maniera quadratica. Se ho una galassia composta da un disco ed un alone allora 2 2 2 Vtotale = Vdisco (r) + Vhalo (R) (2.9) Tornando alle curve di rotazione, la cosa importante che abbiamo detto precedentemente é che disco e alone si combinano insieme per dare la curva di rotazione costante con il raggio. Soprattutto in passato si riteneva inoltre che nelle regioni interne il loro contributo era paragonabile (Halo-Disk conspiracy). Tuttavia nelle spirali piccole l’alone è dominante a tutti i raggi (curva di rotazione che cresce), nelle spirali più brillanti il disco domina nell’interno e l’alone all’esterno mentre nelle meno luminose l’alone domina a tutti i raggi, cosicchè tutto questo sembrerebbe condurre alla fine della Halo-Disk conspiracy. In generale comunque la DM cesce con il diminuire della luminosità. 2.2.2 Frazione di DM nelle spirali Vediamo ora i risultati di alcuni studi effettuati sulla dark matter. Salucci 1990. Statisticamente il rapporto Md /Mh entro R25 è proporzionale ad una potenza della luminosità: Md (R25 ) ≈ A(LB /L∗B )0.5 (2.10) Mh (R25 ) Salucci 1991. Si trova la velocità data da un disco di una data luminosità. Questa velocità viene comparata con quella osservata e gli eccessi sono attribuiti all’alone DM. Si nota che la DM cresce con la luminosità che decresce. Un vantaggio di questo metodo è che lo posso applicare a molte galassie. Jablonka 1992. Non si trova alcuna dipendenza della frazione di DM rispetto al colore. Perce 1991. Il rapporto M/L nella banda I aumenta con il decrscere di L. Notiamo che anche m = (Md + Mh )/Md è consistente con il fatto che la DM cresce con il diminuire della luminosità. Se Mh > Md allora m diventa grande e non si formano strutture a spirale ben definite. Galassie a bassa luminosità non hanno bracci ben definiti poichè Mh cresce. Infine galassie senza alone hanno m = 1 (un braccio di spirale). Tuttavia siccome anche altri processi (come l’interazione tra galassie) sembrano formare strutture ad un braccio c’è difficoltà nell’usare quella formula per vedere se l’alone è trascurabile o no. 2.2.3 Dove termina l’alone? Sapere dove si trova l’halo edge (confine dell’alone) è necessario per costruire efficaci modelli di distribuzione di massa. Se si potesse tracciare la curva di rotazione fino all’edge si noterebbe una caduta della velocità di rotazione, che comunque è differente dalla caduta della velocità di rotazione interna (causata dalla presenza del disco). 30 L’alone di una galassia a spirale brillante ci si aspetta abbia un raggio di 400-500kpc. In questo caso si parla di raggio viriale. In termini osservativi viene spesso indicato con il termine R200 che indica il raggio a cui la densitá della galassia é 200 volte piú alta della densitá critica dell’universo ρcritica = 3H 2 /8πG. Analogamente abbiamo la V200 e cioé la velocitá circolare a tale raggio, ρ200 , etc. Nel caso delle galassie a spirale, per poter misurare la densitá nell’intervallo 100-400kpc non vi sono molti modi. Modernamente vi sono dei tentativi di utilizzare la cinematica di galassie satellite che orbitano attorno a galassie a disco oppure di utilizare l’effetto di lente gravitazionele debole che discuteremo piú avanti. 2.3 Galassie Ellittiche Le galassie ellittiche sono più difficili da studiare relativamente alla loro componente oscura. Sono infatti povere di gas, che nelle spirali ci ha permesso di tracciare la curva di rotazione. Siamo quindi costretti ad utilizzare la cinematica stellare che presenta due principali problemi: 1. si può misurare solo fin dove arriva (ovviamente) la luce delle stelle; 2. le stelle non si muovono in orbite coplanari e circolari come il gas. Per derivare la massa di una galassia ellittica a partire dalla cinematica stellare è necessario costruire un modello di massa completo, e cioè risolvere le equazioni di Boltzmann e derivare la funzione di distribuzione (con le opportune semplificazioni). Se ci si limita a misurare (oltre alla fotometria da cui deriviamo la distribuzione della materia luminosa) la velocità e la dispersione di velocità stellari, si è limitati dalla degenerazione massa-anisotropia. Avevamo incontrato questa degenerazione già quando misuravamo la massa del SMBH con la cinematica stellare. Nello studio di aloni oscuri in galassie ellittiche, si trova che la dispersione di velocità delle stelle tende a rimanere costante, senza diminuire, a grandi raggi (laddove per grandi si intende circa 1-2 Re dato che questo è più o meno il limite fino al quale si riesce a misurare la cinematica stellare). Modelli di massa che attualmente vengono costruiti riproducono il profilo radiale di luminositá, di dispersione di velocitá e di h4 come mostrato in Fig.2.3. In questa figura si puó vedere come un modello senza DM non riesce a riprodurre bene i dati osservativi nonostante una forte anisotropia. Il modello con DM riproduce i dati con una anisotropia piú ragionevole. La distribuzione di massa viene mostrata con con un profilo di densitá ma con il profilo della velocitá circolare. Questo permette un piú facile confronto con le galassie a spirale. Si puó vedere come in questo caso la curva non é altro che una curva di rotazione piatta, come nel caso delle spirali, con un valore di rotazione molto alto dovuto al fatto che la galassia ellittica é molto massiccia. Ricordiamo che la massa delle galassie ellittiche si puo derivare a partire dalla dispersione di velocità come: −GM(r) 1d 2 = (ρσr2 ) + (σr2 − σt2 ) (2.11) 2 r ρ dr r Qui σr indica la dispersione di velocità in direzione radiale mentre σt indica la dispersione di velocità in direzione tangenziale. Supporre isotropia significa porre σr = σt . La degenerazione si può superare se si misura la forma della LOSVD, e cioè i parametri h3 ed in particolare h4 . 31 Figure 2.6: Modello di massa per una galassia ellittica. A sinistra abbiamo, dall’alto verso il basso, i profili radiali di σ, h4 e anisotropia. I punti rappresentano i dati osservativi, la linea continua un modello con materia oscura e la linea a puntini il modello senza materia oscura. A destra in alto viene mostrata la velocitá circolare relativa ai due modelli in questione. 32 Vi sono altri metodi per vedere se c’è materia oscura. Ad esempio alcune galassie hanno dischi di gas ionizzato HI probabilmeten acquisito dalla galassia una votla formata. In tal caso si raggiungono distanze grandi (similmente a quanto avviene per le galassie a spirale) ma il gas è presente in poche galassie. Alternativamente si possono usare gli aloni X che abbiamo visto (capitolo ISM) essere spesso presenti attorno a galassie ellittiche e che danno forse i maggiori risultati poichè le osservazioni hanno messo in evidenza la presenza di aloni che si estendono ben oltre la parte visibile delle galassie. Supponendo che il gas caldo sia in equilibrio idrostatico (non sempre questo avviene in ammasso) si può derivare la massa con l’equazione: −KTgas r M(r) = GµmH d log ρgas d log Tgas + d log r d log r ! (2.12) Si può anche ricavare la minima massa di un alone DM intorno ad una galassia ellittica: Mr > cost T0 r0 [1 − (P∞ /P0 )] MH (1 − r0 /r∞ ) (2.13) Nella figura 2.7 si può vedere un grafico riassuntivo con la misura di M/L cumulativo (cioè entro la sfera di raggio R di tutta la materia gravitante) in funzione del raggio normalizzato al raggio efficace, che si deriva da dati HI, X e dalla dinamica stellare. Come si può vedere le stelle arrivano ad una regione dove la materia oscura ancora non domina la massa. Lo si può capire in quanto il rapporto M/L è costante entro un Re . M/L costante è quello che ci si aspetta se la massa in gioco è quella data dalla materia luminosa che ha, infatti, un valore di M/L pressocchè costante in tutta la galassia. Oltre 2-3 Re , la materia luminosa è ormai tutta compresa entro tale raggio. La materia oscura inizia invece a dominare e questo lo si puo vedere dal rapporto M/L che aumenta. Per tali raggi infatti la massa aumenta (quella oscura+quella luminosa) ma la luminosità non più. Sia i dati HI che i dati X indicano un aumento di M/L. Tale aumento sembra simile a quando trovato per le galassie a spirale, anche loro mostrate nel grafico. (NOTA: qui stiamo parlando sempre del valore M/L dove M é la massa totale, luminosa e oscura assieme. La forte variazione quindi indica che la materia oscura é presente). 33 Figure 2.7: M/L comulativo (cioè entro la sfera di raggio R di tutta la materia gravitante) in funzione del raggio normalizzato al raggio efficace per alcune galassie ellittiche. Il rapporto M/L é misurato con tecniche diverse quali la dinamica stellare (zona cerchiata in blu), gas HI (punti cerchiati in rosso, raggi X (i due profili radiali indicati in magenta. La linea continua e le due linee tratteggiate indicano il profilo valido per le galassie a spirale ±1σ. Per ogni valore di M/L misurato con HI vi é un corrispondente valore ottenuto nelle regioni piú interne con la cinematica stellare indicato con lo stesso simbolo. Un metodo modernamente usato ma applicabile solo a galassie vicine considera come tracciante della cinematica a grandi raggi le nebulose planetarie. Nella figura 2.8 si può vedere la velocità radiale misurata per un certo numero di nebulose planetarie attorno ad una galassia ellittica. La cinematica viene poi modellata per ottenere informazioni sulla massa della galassia ellittica (Fig.2.9-2.10). Come si puó vedere dalla figura 2.10 mentre la presenza di DM sembra confermata, dai dati é difficile poter distinguere tra i vari modelli di alone oscuro. La presenza di anelli polari attorno ad alcune galassie (polar ring galaxy, fig. 2.11 ) permette di misurare lo schiacciamento degli aloni. Dati attuali mostrano un leggero schiacciamento (b/a∼ 0.7) in accordo con quanto si trova nelle simulazioni cosmologiche. Aloni X circondano anche ammassi interi di galassie. In questo caso si può usare la stessa tecnica utilizzata per le singole galassie per derivarne la massa (Fig. 2.12 ). 34 Figure 2.8: Velocità radiale di alcune nebulose planetarie intorno ad una galassia ellittica. Colore e dimensioni del simbolo indicano la velocità radiale di ogni singolo oggetto come indicato nella legenda in alto a sinistra. 35 Figure 2.9: Modello di massa che utilizza nelle regioni centrali i dati della cinematica stellare (punti vuoti entro 3kpc) e nelle regioni piú esterne i dati delle nebulose planetarie. I riquadri a) b) c) mostrano la velocitá, la dispersione di velocitá e il loro rapporto lungo l’asse maggiore. I riquadri d) e) f) lungo l’asse minore. Il riquadro a destra mostra il profilo di brillanza superficiale derivato dalla fotometria (linea) e dai conteggi di nebulose planetarie (punti). 36 Figure 2.10: Modello di massa. I due pannelli mostrano i profili radiali di velocitá e dispersione di velocitá lungo l’asse maggiore. La linea verde é il modello senza DM, le alter tre linee indicano i profili ottenuti con tre tipi di alone, Isoterma, NFW e Hernquist. Figure 2.11: NGC 4650, tipico esempio di polar ring galaxy. 37 Figure 2.12: Immagine ottica e X-ray del Coma Cluster. 38 2.4 Galassie nane Le galassie nane sono generalmente dominate dalla materia oscura. Cosı́ prevedono i modelli cosmologici HC e cosı́ stato effettivamente trovato. Sono quindi un luogo ideale dove andare a studiare le proprietá della DM. Tra l’altro, se si tratta dei mattoni con cui é stata costruita la Galassia, ci si aspetta di trovare gli stesso aloni primordiali che esistevano un tempo. Il problema é che le galassie nane sono deboli. Di fatto si é riusciti (si sta riuscendo) a studiare solo quelle del gruppo locale. Trattandosi di galassie vicine, é possibile risolverle in stelle. Il lavoro consiste quindi nel misurare la velocitá radiale delle stelle della galassia nana una ad una. Questo é possibile farlo solo da pochi anni in quanto sono stati costruiti strumenti in grado di ottenere spettri di centinaia di stelle contemporaneamente. Una volta nota la velocitá delle stelle si puó derivare la dispersione di velocitá. Trattandosi di oggetti poco massicci, la dispersione di velocitá é dell’ordine dei 10 km/s. E’ allora estremamente importante misurare le velocitá radiali con strumenti ad alta dispersione (tipicamente di tipo Echelle) e ripulire il campione dalle stelle di fondo non appartenenti alla galassia nana. Figure 2.13: Galassia nana “Carina”. In rosso sono indicate le stelle che si allontanano e in blu quelle che si avvicinano. La dimensione del simbolo é proporzionale al modulo della velocitá. Le stelle piú metalliche sono leggermente piú concentrate rispetto a quelle meno metalliche. É come se avessimo due traccianti indipendenti. Sono probabilmente il segno di un qualche evento di formazione sellare nella galassia nana. A questo punto si possono modellare i dati cinematici per costruire un modello di massa. Da conteggi di stelle si ricava il profilo di densitá stellare (le stelle sono il tracciante in questo caso, 2.16). Una volta che si ha l’informazione sia fotometrica che cinematica possiamo costruire un modello di massa con i problemi connessi: anisotropia? Questo é un nodo difficile da sciogliere. Servirebbero i moti propri. Se li avessimo avremmo la velocitá tridimensionale delle stelle e quindi... tutto. Non avendoli (la galassia é vicina ma comunque troppo lontana per poterne misurare il moto proprio delle singole stelle) siamo costretti a fare assunzioni. Se assumiamo una simmetria sferica per la distribuzione di massa e dispersione di velocitá ovunque isotropa otteniamo un risultato come quello mostrato in Fig.2.17. La densitá appare nettamente al di sotto di quello previsto da un alone NFW. Oltre al valore assoluto, anche la forma del profilo osservata non é di tipo “cuspy” ma piuttosto con un “core” tipico degli aloni isotermi. I profili radiali che si ottengono dalle galassie nane del gruppo locale sono tutti simili nel senso che sembrano preferire una distribuzione di materia con un core piuttosto che con una cuspide. Il rapporto M/L 39 Figure 2.14: Distribuzione della velocitá radiale delle stelle nel campo di Carina. Il picco piú alto indica le stelle della galassia nana. Figure 2.15: Dispersione di velocitá delle stelle a diversa distanza dal centro. Il pannello superiore mostra tute le stelle mentre il pannello inferiore distingue tra stelle piú (simpoli blu) e meno (simboli rossi) metalliche. 40 totale é invece alto, puó valere anche piú di 100 (in unitá solari). Come previsto quindi le galassie sono dominate dalla materia oscura. Figure 2.16: Profilo radiale di densitá del tracciante (stelle) da utilizzare nei modelli di massa. Come descritto in precedenza, il primo passo é quello misurare la velocitá di tutte le stelle nella regione di cielo occupata dalla galassia ed eliminare le stelle di campo in base alla velocitá radiale. Carina ha una velocitá rispetto al sole di 223.8km/s e le stelle che la compongono sono quelle che danno origine al picco piú alto nella distribuzione della figura 2.14. Tutte le altre stelle sono della nostra galassia. La contaminazione é quindi piccola ma c’é. Una volta individuate le stelle, si raggruppano a seconda della loro distanza e si calcola la dispersione di velocitá (la rotazione é pressoché assente) come mostrato nella figura 2.15. La piccola massa della galassia trova riscontro nel basso valore della dispersione di velocitá inferiore ai 10km/s che é circa costante con il raggio. É anche interessante notare come le stelle con metallicitá maggiore (rosse) hanno una cinematica leggermente differente da quelle con metallicitá minore (blu) (pannello inferiore). 2.5 Dark Matter e Lensing Il campo di gravità devia il percorso della luce. Misurare tale deviazioni permette di misurare la massa gravitante dell’oggetto ”lente”. Si distinguono, volendo essere schematici, tre tipi di lente: • lensing (o strong lensing); • micro lensing; • weak lensing. Strong lensing. È il lensing per antonomasia. È il fenomeno che genera le immagini di archi gravitazionali come quelle mostrate nelle immagini della figura 2.18, ed è dovuto al fatto che 41 Figure 2.17: Profili di densitá radiali per alcune galassie nane del gruppo locale. I dati nelle regioni esterne delle galassie sono meno affidabili e le oscillazioni della densitá un artificio del modello di massa. 42 la presenza del campo rallenta la luce, cambiando quindi l’indice di rifrazione n del vuoto (che non è più vuoto perchè c’è il campo di gravità): Vluce = c/n con n = 1 + 2|φ|/c2 > 1 (2.14) Il raggio di luce che passa vicino alla massa viene rellentato in maniera maggiore del raggio che passa più lontano ed il fronte d’onda viene allora curvato. La lente ha un effetto diverso a seconda di come è distributa la massa della lente (puntiforme, non puntiforme, con più picchi etc.) e a seconda dell’allineamento che vi è tra la sorgente, la lente e l’osservatore. Una trattazione completa delle lenti gravitazionali richiede troppo tempo. Ci limitiamo qui a scrivere l’equazione dell’angolo di Einstein che permette di capire quali i parametri (massa e distanze) che entrano in gioco ed in che modo. Nel caso di allineamento perfetto tra la sorgente luminosa puntiforme, l’osservatore e l’oggetto lente puntiforme frapposto fra i due, l’effetto della lente è quello di creare una immagine ad anello, deformando l’immagine della sorgente ad amplificandone le luminosità totale. L’ampiezza angolare che l’osservatore percepisce è θE = s 4GM c2 s DSL DL (DSL + DL ) (2.15) Come si può vedere, l’angolo θE dipende dalla massa M della lente e dalle distanze tra la lente e l’osservatore DL , tra la lente e la sorgente DLS . Similmente anche nel caso di ammassi di galassie, in cui la distribuzione della massa della lente è più complessa, la conoscenza della geometria delle immagini (quindi la conoscenza analoga a θE e la conoscenza delle distanze DLS , DS e DL permette di ricostruire la distribuzione della massa M(r). Un parametro che non é presente nella formula é la lunghezza d’onda della luce. L’effetto lente gravitazionele é infatti perfettamente acromatico. Esistono lenti gravitazionali osservate anche nel radio. Alternativamente, se la distrubuzione della massa fosse nota per altre vie (raggi X ad esempio) si puo utilizzare l’equazione delle lenti per ricavare le distanze e quindi la costante di Hubble H0 . 43 Figure 2.18: Esempio di strong lensing. Figure 2.19: Anelli di Einstein. L’immagine (R-band) ha un seeing di 0.5′′ . La lente è l’oggetto nel centro. Si tratta di una galassia quiescente (non attiva). L’arco è parte dell’Einstein-ring creato da una galassia posta esattamente dietro alla galassia lente. È stato misurato un redshift z=1 per la lente e z=3.8 per la galassia di fondo (12% dell’età attuale dell’universo). La luce della galassia lontana è amplificata di tredici volte (secondo il modello) . 44 Figure 2.20: Esempi di anelli di Einstein. Figure 2.21: Esempio di ”Croce di Einstein”. In questo caso l’allineamento sorgente- lente- osservatore è quasi perfetto. Non si forma l’anello di Einstein perchè la lente ha una distribuzione della massa non simemtrica. Si formano invece quattro immagini distinte della sorgente. 45 Micro lensing. Si parla di micro lensing quando l’oggetto lente ha la massa dell’ordine di una massa stellare. Come esempio di micro lensing si può citare il caso dei MACHO (Massive Compact Halo Objects). Sono oggetti compatti stellari con luminosità pressocchè nulla che è stato ipotizzato essere presenti nell’alone della nostra galassia in gran quantità. Per quantificare quanto tali oggetti siano numerosi sono in atto campagne osservative che monitorano giornalmente regioni ricche di stelle (nubi di Magellano) in modo da individuare oggetti variabili. Quando capita che una stella di fondo (della nube di magellano) si trova esattamente allineata con noi ed un oggetto MACHO (che si troverebbe quindi tra noi e la stella della nube) la luminosità della stella della nube risulta amplificata in virtù dell’effetto lente causato dal MACHO. In altre parole, si forma un anello di Einstein con un raggio troppo piccolo per poter essere effettivamente osservato. Ma, pur non vedendo l’anello, laa luminositá totale dell’oggetto di fondo viene notevolmente aumentata (anche di un fattore 100). Tale variazione in luminisità, se dovuta effettivamente ad una lente e non si tratta di una variazione di luminosità della sorgente, deve essere indipendente dalla banda fotometrica utilizzata. Fino ad oggi sono stati individuati una decina di eventi MACHO. Weak lensing. Nel caso del weak lensing si studiano le leggere deformazioni che una lente causa sulle galassie di fondo. le deformazioni sono cosı́ piccole che é necessario mettere assieme l’informazione di tante galassie di fondo per poter vedere effettivamente un segnale. Possono essere usate, ad esempio, per studiare la distribuzione di massa degli aloni oscuri a distanze viriali dal centro delle galassie. In questo caso, é necessario avere migliaia di misure di deformazione per ottenere qualcosa (in futuro). Una tipica problematica che si sta affrontando grazie al weak lensing (Euclid) é lo studio della disomogeneità della materia oscura diffusa nell’universo. Tale disomogeneità causa leggere deformazioni delle immagini delle galassie che è possibile mettere in evidenza solo in maniera statistica. Essenzialmente si studia l’orientamento delle galassie per vedere se vi sono regioni con le galassie schiacciate in maniera maggiore della media ed allineate in maniera statisticamente significativa verso una qualche direzione. Tale allineamento si suppone non essere intrinseco (le galassie sono orientate a caso) ma solo apparente e generato all’effetto lente di materia interposta tra noi e le galassie (Fig. 2.22 ). Volendo fare un esempio molto spicciolo ma calzante, possiamo chiamare weak lensing le deformazioni che un vetro mal lavorato causano sull’immagine che vediamo dalla finestra. Nelle zone in corrispondenza delle quali vediamo che l’immagine è deformata, possiamo pensare che il vetro sia imperfetto. Similmente dove le galassie sono deformate (e questo lo quantifico con l’allineamento) posso pensare che vi sia materia che funge da lente. Il tipo di informazione che si riesce ad ottenere riguarda le dimensioni delle condensazioni di materia oscura, o meglio informazioni sulla struttura a larga scala dell’universo. Questa, come avviene anche per il fondo cosmico di microonde, viene spesso parametrizzata in termini di ampiezza delle perturbazioni in funzione della scala angolare (Fig.2.24 ). Nella figura 2.24 viene riportato un confronto tra lo spettro di potenza della radiazione di fondo cosmico e lo spettro di potenza in presenza di weak lensing. 2.6 No Dark Matter: gravitá modificata Non tutti sono convinti dell’esistenza della DM. La DM viene introdotta perché in alcune situazioni (curva di rotazione e/o cinematica, velocitá con cui le perturbazioni di densitá crescono etc.) la forza digravitá dovuta alla materia visibile non é sufficiente. Alcuni hanno pensato che il problema fosse invece la nostra attuale legge di gravitá a non essere adeguata. Sono state proposte teoria alternative secondo cui ad una certa distanza la forza non dipende dal quadrato della distanza. Delle varie teorie quella piú considerata é detta MOND (MOdified Newtonian 46 Figure 2.22: Esempio di come viene modificata l’immagine in presenza di weak lensing. La lente tende a schiacciare la forma delle galassie in modo da farle disporre le loro isofote in maniera tangenziale. La variazione di ellitticità (detta shear) è di 0.035 su uno schiacicamento medio di 0.35. Figure 2.23: Spettro di potenza ottenuto dal weak lensing. 47 Dynamics). Secondo MOND, quando l’accelerazione dovuta alla gravitá scende sotto un certo valore critico allora la forza non decresce con il quadrato della distanza ma piú lentamente e quindi risulta maggiore a grandi distanze di quanto non faccia la legge di Newton (e di Einstin che in regime di campo debole coincide con quella di Newton). Secondo MOND per accelerazioni di gravitá agrav = Fgrav /m maggiori di un certo valore limite a0 la gravitá seque la legge di Newton a = GM/r 2 mentre per a < a0 cambia e diventa a = (a0 GM/r 2 )1/2 Alcune osservazioni vengono ben riprodotte. Le curve di rotazione risultano piatte, la TF ad esempio é naturalmente generata: GM V4 = a2 = 2 a0 2 r r (2.16) da cui si vede che V 4 ∝ M oppure ∝ L se M/L é costante e che, una volta che a < a0 la velocitá V non dipende piú dal raggio (curva di rotazione piatta). Abbiamo peró una nuova costante universale a0 . Sembra che diverse curve di rotazione di galassie sia HSB che LSB vengano ben riprodotte (Fig/ 2.25) utilizzando lo stesso valore di a0 che si trova essere dell’ordine di 10−8 cm/s2 . Una delle ragioni della MOND infatti sta nel fatto che la legge di Newton non é stata mai sperimentalmente provata per accelerazioni cosı́ basse. Secondo la versione, piú accreditata, della MOND di tipo debole nell’eq. 2.16 per accelerazione a si intende l’accelerazione totale risultante da tutti i corpi di cui una particella di prova risente. In quest’ottica sulla Terra, ad esempio, dato che siamo soggetti all’accelerazione di 9.8cm/s2 dovuta al nostro pianeta, l’attrazione tra 2 corpi seque la legge di Newton indipendentemente dal fatto che a < a0 o meno. La teoria presenta diversi problemi. Ad esempio, rende non lineare la forza di gravitá. Se ho una certa forza F tra due corpi, questa forza non sará 100 volte piú forte se metto 100 corpi Figure 2.24: Come confronto si riporta lo spettro di potenza della radiazione di fondo cosmico. Si può vedere che l’indice ”l” è un modo alternativo per indicare l’ampiezza angolare delle perturbazioni. 48 Figure 2.25: Curva di rotazione di una galassia LSB (in alto) e HSB di tipo early (in basso). I (punti neri) sono i dati osservativi, la linea continua rappresenta la curva di rotazione modellata secondo la teoria MOND utilizzando il valore di M/L indicato a lato, la linea puntinata rappresenta la curva che si ottiene con la legge di Newton. Il valore di a0 utilizzato nei due casi é lo stesso e vale circa 10−8 cm/s2 . 49 tutti assieme. Un importante effetto astrofisico/cosmologico riguarda i tempi di rilassamento che, in regime di MOND, diventano molto piú brevi. Vi sono ancora contraddizioni. É una teoria a cui pochi credono ma che non viene scartata dalla maggioranza. In un certo senso cammina parallelamente a lato della main science pronta a subentrare o a sparire a seconda del successo delle verifiche future. Un’osservazione che viene difficilmente spiegata con MOND é quella relativa al Bullet Cluster (Fig.2.26 ): qui il gas caldo (visibile dall’emissione X), non sta tracciando la massa dell’ammasso (indicata nella figura con le linee di livello) derivata dall’effetto di strong lensing the l’ammasso produce sulle galassie di sfondo. Se la DM non esistesse e la massa fosse tracciata dalla materia barionica (cioé componente stellare + gas X) allora la massa derivata dall’effetto lente dovrebbe risentire della distribuzione del gas, cosa che invece non avviene. Sembra quindi che, in questo caso, la massa sia tristribuita attorno a qualcosa che non si vede, la DM. Figure 2.26: Immagine ottica del Bullet Cluster con sovrimposta la mappa X (indicato con il colore rosa e azzurro) e la distribuzione di massa ottenuta con l’effetto lente gravitazionale (contorno verde). Eppure la storia non é finita. Se anche i seguaci della MOND sono visti quasi come scienziati controcorrente, vi sono importanti filoni di ricerca che, in maniera differente, pensano ad una gravitá modificata. Recentemente é stata misurata l’espansione accelerata dell’universo attuale. É stato quindi introdotto un termine Λ nell’equazione di Einstein per cui, se prima l’universo si credeva seguisse la legge 8πG Gµν = 4 Tµν c ora si pensa ad una legge del tipo Gµν = 8πG Tµν + Λgµν c4 50 Vedendo quindi che l’equazione non era valida, si é pensato di modificare il termine di destra, mettendo una quanditá oscura, in questo caso, l’energia oscura. Si vuole invece controllare che non sia il termine di sinistra a dover essere modificato. Ebbene, vi sono esperimenti, questa volta non controcorrente ma, al contrario, di punta, che cercano di verificare questa ipotesi. 51