Comments
Description
Transcript
CAPITOLO II La camera oscura
CAPITOLO II La camera oscura Il primo riferimento storico alla camera oscura risale ad Aristotele nel IV sec. a. C.; non molti secoli dopo lo studioso arabo Al-Hazen utilizza questo principio per osservare il fenomeno dell’eclissi solare. Egli osservò che all’interno di una camera buia, praticando un piccolo e sottile foro su di una parete, si può vedere un’immagine confusa dell’esterno proiettata capovolta sulla parete opposta La lunga storia dell’uomo alla ricerca di una soluzione per cui il vedere si identificasse con la rappresentazione delle cose viste ebbe inizio concretamente nel pieno del Rinascimento con lo studio della prospettiva sia da parte di Brunelleschi che, nella costruzione della cupola di S. Maria del Fiore a Firenze, fa uso di uno strano strumento che già somiglia ad una prima camera oscura, sia da parte di Leon Battista Alberti nel suo trattato Della Pittura (1436) nel quale parla dell’uso della camera oscura propria in base agli esperimenti di Brunelleschi. Ecco quindi la rappresentazione delle cose secondo un ordine logico: un punto di osservazione e raggi immaginari che si dipartono da questo punto. Ed è proprio la camera oscura lo strumento che meglio sfruttò le regole della prospettiva. In questo apparecchio la luce riflessa dagli oggetti, attraversando un piccolo foro, proiettava l’immagine naturale su di uno schermo, dove poteva essere presa a ricalco. Nell’ottavo foglio del Codice Atlantico, Leonardo Da Vinci accompagna la descrizione della camera oscura con un disegno dell’intersezione dei raggi che penetrano per il piccolo foro e rinviano su una superficie bianca le immagini rovesciate dell’oggetto illuminato. Egli considera l’occhio come la parte più perfetta del corpo e ne attribuisce le stesse proprietà alla camera oscura; ma nella camera oscura, rispetto all’occhio, il mondo appare rovesciato. Per raddrizzare l’immagine Leonardo si serve di una lente convessa. Nei suoi scritti, nelle centinaia di disegni raccolti nei Sei libri dell’ombra e della luce egli indaga sui fenomeni della visione polemizzando con le teorie euclidee per cui l’occhio emette raggi che catturano gli oggetti. Secondo il suo pensiero le immagini vengono percepite con tutto l’occhio e rimangono impresse nel nervo ottico. 13 Per primo egli pone l’occhio umano al centro dell’universo, conferendogli poteri illimitati di raccolta e di trasmissione di informazioni. Purtroppo il suo lavoro rimane sconosciuto per secoli. Dalla camera oscura si passò alla camera ottica che utilizzava una lente o un gruppo di lenti. Il semplice buco (foro stenopeico), durante il ‘600 viene rimpiazzato da una lente a menisco e la camera oscura si trasforma lentamente in una scatola con uno specchio che rinvia l’immagine su un vetro, dove con un foglio è possibile ricalcarla. Di questa “scatola” ottica fecero uso, ad esempio, nel 1600-1700, i vedutisti veneziani, per tratteggiare l’impianto di paesaggi che volevano riprodurre. Due anni dopo la morte di Leonardo (1519) l’architetto Cesare Cesariano pubblicò una traduzione del trattato di Vitruvio sull’architettura con una nota che insegnava come realizzare una camera oscura. Verso la metà del 1500 gli elementi fondamentali per la realizzazione di un apparecchio per la riproduzione di immagini sono tutti conosciuti. Da questo momento gli studi e le ricerche si moltiplicano: dall’arabo Ghazali, studioso di ottica, a Ruggero Bacone; dal matematico Frisius a Gianbattista Della Porta, nel 1589, nel Magiae naturalis; e ancora ne parlano, consigliando l’uso di lenti esterne od interne, la camera grande o piccola, portatile o fissa, anche il milanese G. Cardano, il fiorentino I. Danti, il matematico Schwenter, F. Risner, il pittore Hans Hauer, Giovanni Keplero, il gesuita A. Kircher, il monaco J. Zahn, il veneziano Daniel Barbaro in La pratica della Perspectiva del 1569 e altri ancora. Camera 0scura riprodotta dal testo di Della Porta: già in pieno Rinascimento gli artisti usavano questo strumento per tracciare il disegno di base delle loro opere. Illustrazione ricavata da un’immagine del volume di Della Porta, che illustra il principio della camera oscura. L’occhio: una camera oscura Il globo oculare è una sorta di camera oscura: la pupilla corrisponde al foro di apertura, l’iride dilata o restringe la pupilla per permettere il passaggio di una maggiore o minore quantità di luce. Dalla pupilla la luce passa attraverso una lente (il cristallino) che modificando la propria forma, mette a fuoco le immagini vicine e lontane sulla retina. Questa è la parte posteriore dell’interno dell’occhio e contiene milioni di cellule fotosensibili chiamate bastoncelli e coni. Le cellule trasformano la luce in impulsi elettrici e li inviano al cervello attraverso il nervo ottico. Ogni immagine viene messa a fuoco capovolta sulla retina e il cervello automaticamente la rovescia, facendola vedere dritta. 14 L’anamorfosi L’anamorfosi (dal greco anà “all’indietro, ritorno verso” e morphé “forma”) è la rappresentazione di una scena in deformazione prospettica, tale che la visione corretta può avvenire solo da un determinato punto di vista, che non è mai quello frontale. L’anamorfosi è il contraltare della prospettiva classica, quella cosiddetta rinascimentale, anzi rappresenta la distruzione stessa di ogni regola prospettica, e di ogni immagine così come la si vede in natura. Alla base della visione anamorfica c’è uno strumento particolare, il più delle volte, uno specchio cilindrico, il cosiddetto lettore. Questo cilindro è in grado di “raccogliere” i contorni ed i dettagli di un’immagine “dilatata” su di uno spazio piano e di rappresentarli in una forma leggibile ben definita. L’anamorfosi fu scoperta da pittori e decoratori molti secoli prima della fotografia, delle lenti e di ogni altro apparato ottico relativo alla visione. Vasi e terraglie di ogni genere sono da sempre decorati con immagini deformate, così pure le volte affrescate delle cattedrali: sono tutte immagini anamorfiche. Persino alcune scritture delle civiltà precolombiane erano di tipo anamorfico, vale a dire che i simboli, le immagini della vita reale, erano rappresentati secondo un codice di deformazione prospettica. In pittura poi, l’anamorfosi per lungo tempo fu quasi una prassi obbligatoria cui ogni artista doveva, per dare pubblica dimostrazione della propria bravura, soggiacere. Uno dei primi e più celebrati quadri con effetto anamorfico è forse quello attribuito a Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, vissuto dal 1503 al 1540. Anamorfosi catottrica, inizio del XIX secolo. 15 CAPITOLO III Le scatole ottiche “Un’industriosa macchinetta, Che mostra l’occhio maraviglie tante, Ed in virtù degli ottici Cristalli, Anche le mosche fa parer Cavalli” da “Il Mondo Niovo. Ottave del Dottor Carlo Goldoni” 1760 ca. La scatola ottica è una scatola dotata di una o più lenti che consentono la visione ingrandita di immagini a stampa, chiamate vedute ottiche. Nei modelli più semplici la veduta è posta sulla base della scatola: uno specchio, collocato a 45° dietro la lente, ne riflette l’immagine. Talvolta questi apparecchi hanno la forma di un orologio a pendolo o di un libro. Un particolare modello di scatola ottica, conosciuto in Italia con il nome di Mondo Niovo, consente di osservare una sequenza di immagini animate da giochi di luce che ricreano il passaggio dal giorno alla notte. Potremmo definirla, oggi, una macchina per la visione tridimensionale. Mondo Niovo, Venezia, XVIII secolo. Si tratta di una scatola rettangolare, disposta, a seconda dei casi, orizzontalmente oppure verticalmente. All’esterno presenta uno o più fori deputati alla visione, collocati sulla faccia più piccola del parallelepipedo. In corrispondenza, sul lato opposto ai fori, sono collocate una o più aperture chiuse da ante che permettono di far entrare luce nella scatola in modo predeterminato. L’interno è ancora più semplice: consiste in una serie di 16 vetri dipinti posti a distanze differenti l’uno dall’altro. L’insieme di questi vetri, o di porzioni di immagini, da come risultato un’unica immagine finale. Si tratta del classico effetto teatrale delle quinte sulla scena. L’osservatore vede dunque una sola immagine, ma con un preciso senso delle distanze tra i singoli elementi dell’immagine stessa. Inoltre, facendo in modo che la luce entri nella scatola con determinati angoli di incidenza rispetto alle immagini, si producono sensazioni visive particolarissime. Un semplice sistema di pannelli regola l’illuminazione delle vedute ottiche. Alzando il pannello collocato sulla parte anteriore della scatola la veduta è illuminata da davanti (effetto giorno), mentre aprendo lo sportello posteriore l’immagine è illuminata da dietro (effetto notte); in mancanza di luce naturale si ottiene lo stesso effetto utilizzando le candele. Per ottenere l’effetto di alternanza del giorno con la notte le vedute ottiche sono lavorate in maniera particolare: ritagliate, traforate e/o punzonate lungo alcuni tratti del soggetto raffigurato (in genere finestre, luminarie, ma anche fiumi e mari). In corrispondenza la stampa è poi rinforzata da carte leggere, sete, fili o altri materiali colorati incollati sul retro. «Palazzo Reale visto da Via Po a Torino». Veduta ottica a effetto giorno/notte, Daumont, Parigi, seconda metà del XVIII secolo. L'interno dell'apparecchio è suddiviso in tre differenti sezioni: la parte anteriore è una sorta di vera e propria "platea teatrale" foderata di carta dipinta. Le pareti laterali, decorate con inserti di specchi, figure ritagliate e passamanerie dorate, raffigurano scene diverse di palchi e personaggi del pubblico. Dal boccascena si accede poi al magazzino all’interno del quale sono inserite verticalmente le varie vedute che compongono lo spettacolo, la cui apertura superiore permette il cambiamento delle stesse, per mezzo di cordicelle. La parte centrale dell’apparecchio è una sorta di magazzino, all’interno del quale sono inserite verticalmente le varie vedute che compongono lo spettacolo. Spesso dentro c’era una platea teatrale simulata: palchi eleganti con personaggi di carta che si accingono ad osservare la scena, che può riguardare una festa, una celebrazione, un avvenimento storico, oppure un viaggio visivo in una città. Non è trascurabile neanche il contributo dato alla scienza: basti pensare agli studi successivi condotti sulle frange di rifrazione, sulla fisica della visione, alla visione tridimensionale e, per finire, al cinema ed all’effetto di dissolvenza. La macchina fu ideata e costruita sul finire del ‘500 dal veneziano Antonio Niccolai. Egli fu un autentico interprete del suo secolo, per metà inventore di genio e per metà alchimista e istrione di piazza. Era, naturalmente, un cerritano e l’unico che ebbe l’onore di passare alle cronache. Probabilmente la sua fortuna fu dovuta al sapiente e calcolato uso dei sistemi di comunicazione. In un breve giro del mondo l'intelligenza si apre a quello che è diverso e nuovo, in un immaginario viaggio dove la curiosità di conoscere e la capacità di capire fanno indirizzare lo sguardo attraverso lo spazio della scatola magica che si apre a nuove prospettive. E 17 benché già nel '400 dalle zone transalpine fossero giunte a Venezia stampe che suscitarono la produzione xilografica locale, i Remondini di Bassano contribuirono a creare, assieme alle grandi case calcografiche di Augsburg, Parigi e Londra, un primo grande circuito produttivo e commerciale di stampe, il primo mercato comune europeo delle immagini. La produzione calcografica remondiniana colloca Bassano nel circuito della produzione popolare del tempo, accanto ad altri grandi centri europei con i quali si trova a confrontarsi. “La mia mente è un panorama” René de Chateaubriand (1848). Con il termine panorama, o poliorama, si intende un’immensa tela pittorica estesa a 360°. I soggetti raffigurati sono paesaggi naturali, urbani o scene storiche; si tratta di un quadro visibile ad occhio nudo. Il panorama del museo Nazionale del Cinema di Torino. L’invenzione di questa macchina è fatta risalire al pittore scozzese Robert Barker che, nel 1792, a Leicester Square, propose per la prima volta una simile macchina da spettacolo con il nome di La Nature à coup d'oeil. I panorami sono esposti in edifici circolari, appositamente costruiti. Dopo aver pagato un regolare biglietto di ingresso, gli spettatori salgono su una piattaforma per osservare il dipinto che, circondandoli a 360°, occupa l’intero campo visivo. L’illusione di realtà è talmente forte da creare un senso di disorientamento. In genere il panorama viene accostato ed unificato al diorama di Daguerre, a lui successivo. In effetti le differenze non sono molte; al più il diorama è da intendersi come perfezionamento del panorama. Il diorama era costituito da gigantesche tele trasparenti dipinte su entrambi i lati. Il meccanismo di funzionamento dello spettacolo è ricavato interamente da quello degli antichi mulini a vento. Il pubblico sedeva al centro della sala, in penombra, al centro di una piattaforma rotonda e fissava, oltre uno spazio vuoto di tre metri e mezzo, un quadro in continuo movimento. Illuminando la parte frontale e poi quella posteriore era possibile dare l’illusione che gli oggetti e le persone rappresentate nella scena si animassero. Nata in Inghilterra, questa tecnica fu perfezionata, insieme a Daguerre, da CharlesMarie Bouton che, nel 1822, aprirono a Parigi un teatro di illusioni ottiche chiamato, appunto, Diorama. Comprendeva un teatro rotante per 360 persone e tele lunghe 22 metri che, grazie a effetti luminosi e sonori, sembravano prender vita davanti agli spettatori. 18