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Giornata oscura e dolorosa per Enego

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Giornata oscura e dolorosa per Enego
Laboratorio di storia contemporanea
Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» - Istrevi
No. FT/2011/1
ISTITUTO STORIA DELLA RESISTENZA
E DELL’ETÀ
DELLA
CONTEMPORANEA
PROVINCIA DI VICENZA
ETTORE GALLO
Fonti e testimonianze
Responsabile di collana Giuseppe Pupillo – [email protected]
Giornata oscura e dolorosa per Enego
21 Giugno 1925
Breve ricostruzione di un piccolo episodio di storia locale
di
Carla Poncina
CARLA PONCINA è stata docente di storia e filosofia presso il Liceo Ginnasio Statale “Antonio
Pigafetta” di Vicenza, Supervisore SSIS per l’indirizzo di Scienze Umane e docente a contratto di
Didattica della Storia presso l’Università di Padova. Fa parte del Direttivo ISTREVI.
Ha tra l’altro pubblicato: L’idea di Europa tra utopia e radicamento (Cleup 2006), Insegnare
filosofia oggi (Ed. Sapere 2008), Insegnare filosofia tra disciplinari età e interdisciplinarietà
(Ed. Sapere 2009), L’Etica della Responsabilità al femminile (Lampi di Stampa 2010).
La collana del Laboratorio di storia contemporanea è pubblicata a cura dell’Istrevi e
intende raccogliere memorie, interviste e documenti utili per ricostruire le vicende
politiche, sociali ed economiche del Novecento vicentino e veneto.
I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea
sono scaricabili all’indirizzo: www.istrevi.it/lab
Per contatti: [email protected]
Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
della provincia di Vicenza «Ettore Gallo»
c/o Museo del Risorgimento e della Resistenza – Villa Guiccioli
Viale X Giugno 115 -
I-36100 Vicenza
Laboratorio di storia contemporanea
Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» - Istrevi
No. FT/2011/1
Giornata oscura e dolorosa per Enego
21 Giugno 1925
Breve ricostruzione di un piccolo episodio di storia locale
Carla Poncina
“Giornata oscura e dolorosa per Enego”, così nel libro delle
cronache parrocchiali (p. 112) don Antonio Barausse titola la
relazione da lui redatta il primo Novembre del 1931, in cui
ricostruisce una penosa vicenda di arroganza fascista verificatasi sei
anni prima. La controfirma del vescovo Elias Dalla Costa, in visita
pastorale, ne costituisce quasi il suggello simbolico, si vedrà perché.
È necessario calarsi nella pesante temperie culturale e politica
di quegli anni. Nel ’22 la marcia su Roma aveva, con un esito
paradossale, portato al potere il “rivoluzionario” Benito Mussolini,
chiamato direttamente a tale incarico da Vittorio Emanuele III. Egli
era a capo di un governo di coalizione, poiché il numero dei deputati
fascisti (una trentina) non gli avrebbe consentito un monocolore
“nero”. Ne facevano parte cattolici popolari e liberali.
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Non tutti i cattolici tuttavia erano d’accordo con questa scelta.
Se le alte gerarchie vaticane e lo stesso Papa potevano vedere in
Mussolini colui che avrebbe fatto argine al dilagare del socialismo
“ateo”,1 i cattolici di base, parroci e fedeli, ne coglievano il carattere
violento, l’arrogante difesa dei privilegi, l’odio nei confronti di
chiunque si mettesse dalla parte dei deboli, fossero associazioni di
carattere socialista o cattolico.
Va detto anche che, a partire dalla Rerum Novarum di Leone
XIII (1891), la questione sociale era stata affrontata dalla Chiesa con
novità di accenti, dando origine ad una assai interessante dottrina
sociale, cui i cattolici più sensibili non volevano rinunciare.
Ma non è questa la sede per discutere in modo approfondito
questo aspetto. Ci limitiamo a citare uno studio di storia locale
riguardante il Movimento cattolico padovano.2 Vi si descrive una
realtà assai prossima ai fatti che andremo a narrare. Scrive Vittorio
Marangon3:
Sul fascismo montante l’Azione Cattolica aveva assunto una posizione
chiara fin dall’inizio. Già in data 21 novembre 1920 «Noi giovani» 4 aveva
dato un giudizio pesantemente negativo sui fascisti, di cui si diceva che
erano bestie umane che trionfavano […] Si pensò anche all’istituzione di
“avanguardie cattoliche” per l’autodifesa, ma la proposta venne respinta.5
Il settimanale diocesano «La Difesa» (19 febbraio 1922),
racconta gli ultimi avvenimenti della Bassa e denuncia con forza:
«Centinaia e centinaia di lavoratori furono bastonati a sangue! I feriti
da arma da fuoco furono oltre trenta. Gli incendi di case e di masserie
di lavoratori furono innumerevoli.»6
Marangon continua raccontando come neppure i preti furono
risparmiati, costretti a bere l’olio di ricino7.
Il risultato di tanta violenza, e delle pressioni della gerarchia
cattolica, fu che l’Azione Cattolica dal ’22 adottò la linea del silenzio,
evitando i temi socio-politici e ripiegando sempre più sulle questioni
religiose, pur persistendo in alcuni ambiti l’ostilità al fascismo.
Scrive sempre Marangon:
Mentre la piccola borghesia e il ceto medio abbandonano il Partito
Popolare, non lo abbandona quel mondo contadino che, con i suoi preti in
testa, rifiutava la violenza fascista, dissentiva profondamente in materia
Pio XI il 14 Febbraio del 1929, dopo la firma dei Patti Lateranensi, in un discorso
pubblico di ringraziamento, riferendosi a Mussolini disse: “E forse ci voleva anche
un uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare…”
2 Va ricordato che Enego, il paese in cui si svolsero i fatti di seguito narrati,
appartiene per l’appunto alla Diocesi di Padova.
3 V. Marangon, Il movimento cattolico padovano, Centro Studi Ettore Luccini,
parte prima, Padova 1997, p. 83.
4 Si tratta di un giornale, espressione dell’Azione Cattolica, che usciva in quegli
anni, cit. a pag. 83.
5 Ibidem, p. 84.
6 Ivi.
7 Toccò – tra gli altri - al parroco di Codevigo don Luigi Corradin, così come
all’arciprete di Bovolenta don Giuseppe Sgarbossa (p. 85).
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politico-sociale e sentiva il fascismo come estraneo perché prescindeva
dalla religione e dalle parrocchie.8
Sappiamo ciò che accadde dopo le elezioni politiche del ’24,
quando il partito fascista, favorito dalla legge Acerbo predisposta
all’uopo, ottenne la maggioranza in parlamento. La denuncia dei
brogli costò la vita all’onorevole Giacomo Matteotti, la cui morte
provocò l’ultima, breve fiammata di ribellione tra i democratici.
Dopodiché la dittatura fu accompagnata da una seconda ondata di
violenze, che insieme all’emanazione delle leggi “fascistissime”, piegò
per vent’anni la resistenza al nuovo regime.
La struttura della monarchia costituzionale, disegnata
originariamente dallo statuto albertino, formalmente rimase
inalterata ma di fatto, come aveva denunciato Giacomo Matteotti nel
suo ultimo discorso in Parlamento, si instaurò il primo regime
totalitario in Europa.
*
Fu proprio nel ’25, precisamente il 21 giugno, che avvenne il
fatto che ci accingiamo a narrare.
L’episodio mi era stato raccontato in varie forme da paesani,
devo dire per lo più con accenti di palese anticlericalismo, come
testimonianza dell’indipendenza degli eneghesi nei confronti del
potere dei preti. Finché un amico, Tullio Meneghini, 9 a suo tempo
giovanissimo partigiano, non mi parlò di un nodoso bastone “di
vigna” - così lo definì - da lui conservato religiosamente, dopo che gli
era stato donato dallo zio Gino Meneghini, accompagnato dal
racconto dello scontro tra fascisti e parrocchiani fedeli al loro
arciprete, monsignor Bartolomeo Codemo. Questa versione
favorevole, per così dire, all’arciprete, mi fu in seguito confermata da
un’anziana signora pure residente a Enego, Antonia Rossi.10
Gino Meneghini, racconta il nipote Tullio, venne bastonato
gravemente dai fascisti eneghesi per essersi levato in difesa di don
Codemo. Questi, durante la celebrazione della messa domenicale nel
bel duomo di S. Giustina che domina il paese, venne rabbiosamente
interrotto ed insultato per le critiche rivolte, nel corso delle prediche,
alle violenze di cui i fascisti si erano resi responsabili in tutto il paese
nei mesi successivi al discorso che Mussolini tenne alla Camera il 3
gennaio del ’25, che diede il via alla seconda ondata di aggressioni
contro gli antifascisti dopo quella del ’22, come si è già detto.
I fedeli chiesero fosse concesso al prete di terminare la messa.
Ma all’uscita nacquero tafferugli tra fedeli e fascisti, con motivazioni,
quanto ai primi, più di tipo etico-religioso che politico.
In paese non esistevano certo gruppi di consapevoli antifascisti.
Il partito dominante fino alle elezioni del ’24 era stato il Partito
Ibidem, p. 86.
La conversazione è stata registrata a Enego, a casa dello stesso, sita in via Roma, il
30 agosto 2009.
10 La signora abita ad Enego in via Groba.
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Popolare, e molti di quei maggiorenti che ora si proclamavano
fascisti, erano stati iscritti al partito cattolico. Il grosso dei paesani,
per lo più assai poveri, viveva tuttavia al di fuori di queste logiche di
potere, e da buoni cristiani si erano semplicemente levati in difesa del
loro pastore.
Gino Meneghini venne pesantemente picchiato. Fece alcuni
mesi di ospedale e come conseguenza di quanto accaduto si ammalò
poi di tubercolosi. Tuttavia nel corso dei tafferugli riuscì a sottrarre ai
picchiatori il nodoso bastone che in questo caso aveva assunto piena
valenza di “manganello”, simbolo quest’ultimo, insieme all’olio di
ricino, dello “stile” tipico delle squadre fasciste. Lo conservò
gelosamente fino alla morte, a testimonianza di un fosco periodo
storico. Il nipote a sua volta lo tenne gelosamente con sé, donandolo
infine all’Istituto vicentino per la storia della Resistenza.
Fin qui i racconti ascoltati in paese, che hanno trovato conferma
negli archivi della parrocchia.
È curioso tuttavia come nel libro parrocchiale che raccoglie le
cronache dei principali avvenimenti, si fa menzione dei fatti in esame
solo con molto ritardo, e non per mano del diretto interessato, don
Codemo. La causa dell’omissione è solo ipotizzabile. Forse pesava
troppo sul parroco la contestazione violenta ad opera di suoi
parrocchiani. Oppure prevalse il timore di non essere obiettivo, né
caritatevole, nei confronti dei colpevoli. Di fatto la cronaca venne
redatta dal successore di mons. Codemo, don Antonio Barausse, ma
non a ridosso degli avvenimenti, bensì sei anni dopo, il primo
novembre del 1931, in occasione della visita pastorale del vescovo di
Padova Elias Dalla Costa, che ne controfirma la stesura, quasi che
solo il passare del tempo consentisse una ricostruzione
sufficientemente “fredda” dell’accaduto.
*
Riporto qui, solo parzialmente, quanto scritto nel registro
parrocchiale (p. 112):
Da qualche anno le relazioni tra l’autorità Ecclesiastica e Civile non
correvano tanto buone, anzi diremo meglio, gli animi erano talmente
inaspriti, che i fatti dolorosi che ora narreremo altro non furono se non
l’epilogo di una lotta diuturna fra l’Arciprete locale Don Bartolomeo
Codemo e l’Amministrazione Comunale, seguita dai propri partigiani.
Quando gli animi sono in rivolta, qualsiasi occasione si rende propizia per
fare scoppiare la folgore. E questa scoppiò, tremenda, disonorante per
persone e cose. Venne in Enego una giostra veramente indecente, ed
allora l’Arciprete incominciò a protestare, specie dal pulpito, contro lo
sconcio.11 Era la domenica del 21 Giugno 1925, Don Codemo celebrava
alle otto e mezzo la Messa parrocchiale. Al Vangelo torna
sull’argomento…12
Egli critica le autorità che «hanno permesso alla giostra di por
piede in Enego.»
11
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Nella ricostruzione non vengono indicati i motivi di tale valutazione (n.d r.).
Pagina 112 del registro parrocchiale
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Cita in proposito una circolare13di Monsignor De Bono,
richiamando i fascisti locali ed ogni Autorità a compiere il proprio
dovere. Continua il racconto:
In un attimo la scintilla fu accesa, e il fulmine scoppiò [….] Ed ecco che
in un batter d’occhio lo scompiglio, il terrore regnano sovrani nella Casa
di Dio. Si urla, si bestemmia, si maledice, molte donne svengono e i
bambini urlano spaventati, e l’arciprete pallido viene circondato dalle
Autorità fasciste, dai R.R.Carabinieri, e da alcune Guardie di Finanza. 14
Frattanto mentre la folla scompigliata esce, entra in Chiesa il Sindaco
locale Cav. Stefano Bertizzolo.15 Appena don Codemo lo vide, gli gridò
forte: “perdono cavaliere, perdono… facciamo la pace…” il Sindaco con
scatto: troppo tardi, sono quattro anni che lei va seminando odii, rancori,
ingiustizie… non si può aver pace.16
Mi fermo a questo punto per una breve riflessione sugli effetti
poco appariscenti ma profondi e pericolosi, perché quasi sempre
inconsapevoli, della dittatura, di tutte le dittature, sulla struttura più
intima e vulnerabile dell’io. Colpisce l’umiliazione del parroco, che è
vittima ma chiede perdono al sindaco fascista, che con i suoi scherani
aveva addirittura interrotto una funzione sacra. Questo gesto dà la
misura dell’indebolimento “spirituale” dei singoli, arricchisce la
nostra percezione di ciò che è stato il fascismo: non solo violenza
fisica, olio di ricino, bastonature e assassinii. Non è stato questo il
peggio. L’effetto più tragico va individuato nella violenza fatta alle
coscienze con l’assuefazione a piegarsi, a servire. L’umiliazione delle
coscienze e la loro corruzione, questo l’effetto più ambiguo e
pericoloso, tanto da spingere l’agnello a scusarsi col lupo, come già
duemila anni prima aveva lasciato intendere Esopo con le sue favole.
Temo che i vent’anni della dittatura abbiano lasciato un segno
profondo negli italiani, spingendoli quasi inconsapevolmente verso il
cinismo e l’ipocrisia, o almeno accentuandone l’attitudine. Non riesco
a spiegare diversamente l’accettazione, da parte di milioni di persone,
di comportamenti, linguaggi, sprezzo delle regole e della Costituzione
nata dalla Resistenza, queste ultime a volte guardate con noia, se non
con irrisione, anche da chi formalmente appartiene all’area
democratica.17
Mi sono permessa di usare la minuscola per la parola circolare al posto della
maiuscola usata da don Barausse, che di maiuscole fa un uso veramente
indiscriminato, per tutti i termini che in qualche modo dovevano sembrargli
attinenti al potere, temporale od ecclesiastico che fosse. Sembra quasi di vederlo
chinare il capo in segno di rispetto intanto che scrive determinate parole! Anche
questo è un piccolo segno dei tempi.
14 Ho riportato le iniziali maiuscole usate dallo scrivente, testimonianza -se ce ne
fosse bisogno- del forte senso dell’ autorità insito negli italiani all’epoca.
15 Si tratta del padre di quel Giacomo Bertizzolo che ebbe parte non secondaria
nella tragica vicenda del rastrellamento del Grappa, culminata, il 26 settembre del
1944, nell’impiccagione di trentuno giovani partigiani appesi agli alberi di quello
che ora è chiamato Viale dei martiri.
16 Pagina 113 del registro parrocchiale di Enego.
17 Cfr.: Maurizio Viroli, La libertà dei servi, ed. Laterza, 2010.
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Riprendiamo la narrazione con le parole di don Antonio
Barausse:
Terminato il S. Sacrificio, Egli passa in Sacristia, si spoglia, fa per
andare in Casa Canonica, ma vien preso ed accompagnato per la porta del
Campo in Caserma, seguito dal Reverendo cappellano Don Cleto Pastor. 18
Il disordine in parrocchia è immenso […] I pochissimi nemici
dell’Arciprete, quasi novelli Giudei imprecanti sotto la Croce del
Nazzareno, s’accendono maggiormente d’odio, mentre la grande turba
del popolo fedele, a guisa di timidi Apostoli…relicto Eo, fugerunt… 19
Lo stile di don Antonio sa di seminario con le sue pretese
classicheggianti, ma non si può dire manchi di una sua popolare
drammaticità.
Si racconta poi come i sacerdoti ausiliari dell’arciprete, i
cappellani, per protesta si rifiutano di celebrare le funzioni sacre e
chiudono le porte della Chiesa, ma don Codemo, dalla caserma in cui
era rinchiuso, dà ordine che queste vengano compiute.
A questo punto, contraddicendo quanto precedentemente detto
a proposito del popolo di Enego che sarebbe stato in larga misura
dalla parte del proprio Pastore, si descrive una scena ben nota a
chiunque abbia letto il Vangelo: «Don Codemo viene fatto oggetto di
derisioni, di insulti, di villanie, e vi fu anche chi… gli sputò in faccia
gridando: “prendi, ben ti sta!”20
Il sacerdote viene interrogato la sera stessa da un tenente dei
carabinieri di Asiago e da non precisate “altre autorità” e dichiarato
in arresto “per offesa alle Costituzioni Nazionali.”21
Anche il trasferimento ad Asiago dell’arciprete viene descritto
con toni drammatici, nonostante al momento della stesura siano
passati anni dall’evento:
Alle dieci della stessa sera viene condotto ad Asiago. Nel passare per la
piazza di Enego Egli guarda, e gesticolando con la testa e con le mani,
grida al popolo: “Perdono a tutti i miei figli”. Ah povere e troppo tarde
parole che altro non ebbero per eco che nuove villanie ed imprecazioni!!!
Al mattino del lunedì 22 Giugno 1925 fu condotto nelle prigioni di
Thiene, dove rimase sino al mercoledì seguente, nel qual giorno mediante
i buoni uffici del vescovo di Padova, Monsignor Elia Dalla Costa, ed
avendo l’Arciprete Codemo promesso dinanzi alle autorità di rinunciare
alla Parrocchia di Enego, fu messo in libertà provvisoria. Così liberato
passò a rifugiarsi presso il Parroco di Rocca d’Arsiè, Don Bernardino
Rossi, suo ex Cappellano.
Le maiuscole, usate a profusione anche per nomi comuni, sono state conservate
nel testo in quanto indicative del senso di soggezione e riverenza nei confronti del
potere, sacro o profano, caratteristico dell’epoca.
19 Ibidem.
20 Ivi, p. 114.
21 Perché si parli al plurale di “Costituzioni Nazionali” non è dato sapere. Si può
ipotizzare che più che allo Statuto s faccia riferimento ai nuovi ordinamenti fascisti,
alle “leggi fascistissime” che a partire dal discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925,
stravolsero la fisionomia del vecchio stato liberale.
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Il giorno del 9 Luglio successivo, chiamato a Padova da S. E.
Monsignor Vescovo, dava la sua rinuncia alla Chiesa Arcipretale di Enego,
in attesa di processo.22
Venne poi inviato ad Enego in qualità di reggente, proveniente
dalla parrocchia di Camposanpiero, don Antonio Barausse, che ad
Enego rimase fino al 1932, estensore della cronaca fin qui riportata.
*
Giustizia rapida, non c’è che dire. Il tanto auspicato “processo
breve” sotto il fascismo era brevissimo, almeno per quelli che erano
considerati i nemici del regime.
Questo episodio, seppur minimo rispetto alla grande storia,
illumina assai bene gli effetti dei regimi totalitari, per cui chiunque
rappresenti ufficialmente il partito, fin nei più sperduti paesini di
montagna, dispone del potere nella sua forma originaria di pura
violenza e sopraffazione.
Se vogliamo tirare le somme, mettendo uno accanto all’altro i
nudi fatti, ne vien fuori questo: il parroco di un paesino di montagna,
che già in passato aveva mostrato di non aderire all’ideologia fascista,
dopo che Mussolini, nel ’25, si impadronisce totalmente del potere in
Italia, togliendo l’aria agli oppositori di qualsiasi fede: cattolici,
socialisti, liberali, viene brutalmente tirato giù dall’altare, incriminato
e cacciato in galera per volontà di pochi fascisti locali, divenuti
oltremodo arroganti e violenti, mentre la turba dei fedeli, non più
cittadini ma sudditi, relicto eo, come dice la cronaca, fuggono
spaventati.
A tutti coloro che ancor oggi sostengono con tranquilla
sicumera che il fascismo godette dell’appoggio della stragrande
maggioranza degli italiani verrebbe da chiedere di chiarire meglio
quando: se all’inizio, durante, o alla fine del ventennio.
L’episodio di Enego chiarisce le modalità di tale consenso: in
principio fu la paura, poi il conformismo, infine il
disincanto.
Dal ’29 al ’36 fattori di gran peso costruirono effettivamente un
consenso assai ampio: il Concordato con la Chiesa rappresentò di
fatto
una
con-sacrazione
ufficiale
per
la
dittatura.
Contemporaneamente un sapientissimo uso della propaganda,
facilitato dal diffondersi di nuovi media come la radio e il cinema, e
dal controllo totale sulla stampa, costruirono soprattutto nei ceti
medi un immaginario fascista.23
22
Ibidem.
Questo immaginario non è stato purtroppo demistificato nei sessant’anni
successivi. È sopravissuto latente costituendo un fondo limaccioso, inquinante, che
dopo il crollo della cosiddetta prima repubblica è sfrontatamente venuto alla luce
senza che nei decenni precedenti, come è accaduto in Germania, una seria
pedagogia repubblicana, unitamente alla conoscenza dei fatti storici, potesse fare
argine. Nell’ignoranza dei più si è potuta diffondere una vulgata antiresistenziale
purtroppo divenuta senso comune. È stato un errore colossale compiuto dalla
classe politica sia cattolica che marxista, entrambe poco inclini a riconoscere alla
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La nascita di un Impero, ancorché di cartapesta come poi si
vide, parve consolidare l’immagine di un Paese nuovo. I fatti
successivi dimostrarono tuttavia la fragilità se non l’inconsistenza del
tutto.
La guerra mise a nudo la fragilità del regime, il velleitarismo
militare e politico del duce e della sua corte.
Una tragica guerra civile dilaniò dal ’43 al ’45 il Paese. In quei
drammatici anni una minoranza di vecchi antifascisti temprati dalla
prigione e dall’esilio, e di giovani rimasti miracolosamente integri
dopo anni di indottrinamento forzato, insieme al buon senso e al
coraggio delle classi popolari che il larga misura erano rimaste
estranee alla retorica di regime, produssero il miracolo della
Resistenza.
È triste constatare come, nei decenni successivi, miopia politica
e ignavia, abbiano trascurato la memoria di quanto avvenuto,
lasciando sopravvivere prima, ostentando sfacciatamente poi, una
vulgata antifascista fatta di luoghi comuni, ricostruzioni false, rancori
irranciditi negli anni che sono dilagati nei media, in particolare
giornali e TV, a partire dal 1994, in seguito all’ascesa al governo di
una destra che definirei non tanto antidemocratica e illiberale,
quanto a-democratica e a-liberale. Questa destra, che poco ha a che
fare con la tradizione dei grandi partiti moderati e conservatori
occidentali, risulta infatti del tutto estranea a quei valori di
democrazia, libertà repubblicana, integrità morale che sono
all’origine della nostra Costituzione. Costituzione recentemente
definita da una grande intellettuale francese24 “la più bella del mondo
occidentale”.
C’è un grande lavoro che attende intellettuali ed educatori del
nostro Paese, lavoro vitale per la sopravvivenza dello stesso: far
conoscere in modo più serio e veritiero quantomeno i
centocinquant’anni successivi alla proclamazione dell’Unità d’Italia.
Facciamo nostre le parole di un grande poeta, anche civile,
purtroppo oggi sempre meno studiato, Ugo Foscolo: O italiani, io vi
esorto alle storie!25
*
Il fenomeno del Totalitarismo è stato analizzato con grande
lucidità e rigore da Hannah Arendt26. Ma non meno efficaci,
soprattutto per dei giovani, possono risultare opere di carattere
nostra storia nazionale lo spazio dovuto, al di fuori della retorica fascista. Si tratta
di un disastro formativo di enormi dimensioni, cui sarà difficile porre rimedio in
breve, posto che lo si voglia.
La vicenda della scuola di Adro, zeppa di simboli leghisti, bella sua assurdità lo
testimonia.
24 Jaqueline Risset il 20 settembre 2010 a Fahrehneit, spazio culturale pomeridiano
su rai 3, ha per l’appunto espresso questo giudizio dialogando con Predrag
Matvejevic e Younus Tawfiz a proposito di “Roma, capitale di quale Stato?”.
25 Ugo Foscolo, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura
26 Hannah Arendt, Le origini del Totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano
1996.
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letterario o cinematografico. Mi riferisco nel primo caso ad un libro
uscito per la prima volta nel 1947 e recentemente riedito da Sellerio:
Ognuno muore solo, di Hans Fallada27. Ciò che impressiona durante
la lettura è constatare come individui mediocri, al limite disadattati,
si sentano onnipotenti, certi dell’impunità, autorizzati a compiere
qualsiasi tipo di violenza, dall’appartenenza al partito del Führer.
Recentemente ci sono stati due film che, meglio di molte
ricostruzioni storiche, grazie alla forza evocativa delle immagini
legate alla parola, hanno mostrato con straordinaria forza gli esiti
tremendi dei regimi totalitari. Sto parlando del Nastro Bianco28 e di
L’Onda29, La costruzione di gerarchie basate sull’appartenenza a
gruppi ristretti trasforma gli individui in prepotenti nei confronti di
chiunque, fosse pure un ministro del culto. Le singole individualità
scompaiono in questi contesti, e ciò che segnala il valore, la potenza è
l’appartenenza al gruppo, segnalata per lo più da una divisa: camicia
nera, cravatta verde, nastro bianco o qualsiasi altro segno identifichi
un’appartenenza e nello stesso tempo neghi l’individualità, e con essa
la soggettività.
27
Primo Levi lo giudicò a suo tempo il miglior libro sulla Resistenza tedesca.
Il film, del regista Michael Haneke, ha vinto la Palma d’oro al festival di Cannes
2009.
29 Die Welle, di D. Gansel, uscito in Germania nel 2008.
28
10
Fly UP