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Venga il Tuo Regno ( 22 aprile 2013)

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Venga il Tuo Regno ( 22 aprile 2013)
La “porta della fede” (cfr At 14,27)
che introduce alla vita di comunione
con Dio e permette l’ingresso nella
sua Chiesa è sempre aperta per noi....
Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6,
4), mediante il quale possiamo
chiamare Dio con il nome di Padre…
(Benedetto XVI)
Venga il Tuo Regno ( 22 aprile 2013)
La domanda: «Venga il tuo Regno» (Mt 6,10; Lc 11,2) occupa il posto centrale delle prime
tre invocazioni, e questo dice la sua importanza. Non a caso, nella predicazione di Gesù
l'annuncio fondamentale è quello del Regno: Gesù parla del regno di Dio fin dall'inizio della sua
predicazione. Secondo l'evangelista Marco, le sue prime parole in Galilea sono Dopo che Giovanni
fu consegnato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto
e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,14-15).
Il discepolo chiede dunque che il Regno di Dio - da intendersi in senso dinamico come
regalità, signoria, esercizio del regnare; è l'equivalente dell'espressione dell’Antico Testamento: «Il
Signore regna! Dio regna!» - si manifesti, si estenda, raggiunga il compimento. Invocare la venuta
del Regno significa chiedere che Dio regni realmente innanzitutto su chi lo invoca e prega, poi su
tutti i cristiani, poi su ogni essere umano e sull'umanità intera.
// Regno di Dio si è manifestato in Gesù, perchè egli è l'unico uomo su cui Dio, e Dio solo,
ha regnato totalmente, radicalmente: quello vissuto da Gesù è il Regno che deve estendersi... E
ciò che appare in tutte le Scritture, ricapitolate da Gesù, è che il regnare di Dio non è come
quello degli uomini, non è un dominio o l'instaurazione di una schiavitù, ma è un'azione di
liberazione dalla schiavitù degli idoli falsi, azione di salvezza dai nemici e dal male, azione di
unità, di raduno dei figli dispersi (cf. Gv 11,52). Dio esercita la sua regalità quale Padre, esercitando in questo modo la paternità verso i suoi figli.
Quante volte l'espressione «Regno di Dio», o la sua equivalente «Regno dei cieli», è risuonata sulle labbra di Gesù, soprattutto nelle cosiddette parabole del Regno.
Gesù instancabilmente annunciava, spiegava, donava il Regno, narrando parabole in cui
mostrava cosa accade quando l'azione di Dio trova spazio nella storia, quando il cuore degli
uomini è disponibile ad accogliere il suo dono e a rispondervi con tutta la vita. Il Regno di Dio è
una realtà che si attende e si invoca, per la quale occorre predisporre tutto mediante la
conversione, il ritorno al Signore; è una realtà che non si può forzare, ma che si accoglie come i
bambini; è una realtà che non deve essere contraddetta, ma che appare in un solo modo: dal
modo in cui una persona, una comunità, la chiesa, lasciano regnare Dio su di sé!
Gesù non parla staticamente dell'essenza di Dio bensì dinamicamente della sua venuta.
Dio è colui che interviene nel mondo a portarvi il suo regno. Vuole regnare nel mondo così da
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ridargli la forma che gli aveva assegnato al momento della creazione.
Il tema centrale della predicazione di Gesù è la venuta del regno di Dio. Se s'instaura in
questo mondo il dominio di Dio, quanti regnano qui sulla terra saranno spodestati e le forze oscure
e nascoste che controllano il mondo perderanno la loro influenza. Là dove regna Dio c'è guarigione
e redenzione, là l'uomo può vivere sulla terra secondo il suo vero essere. Per la Bibbia, la sovranità
di Dio è sempre una sovranità che libera e guarisce. Il regno di Dio è la condizione per una vita
umana buona, giusta e ricca di senso perché la sovranità di Dio è, in ultima analisi, la sovranità di
un amore che dona e libera, che ci conduce alla nostra vera umanità.
Matteo, nel suo Vangelo, parla di regno dei cieli, anziché di regno di Dio. La sua è una
concezione spaziale del regno di Dio, visto come una casa in cui l'uomo trova la salvezza che Dio
gli ha portato in Gesù Cristo.
Marco, invece, ha un'altra visione del regno di Dio. La sovranità di Dio si sta avvicinando.
Non si è ancora totalmente compiuta, ma agisce già nel presente e ci dischiude un futuro nuovo. In
Gesù stesso il regno di Dio viene a noi uomini. Gesù predica il regno di Dio come
avvicinamento di un Dio che sana e redime.
Là dove arriva il regno di Dio, l'uomo è salvato, chi è piegato si raddrizza e chi è prigioniero viene liberato. Noi però dobbiamo andare incontro alla venuta del regno di Dio. E la nostra reazione consiste nella conversione e nel ravvedimento. Se Dio ci è vicino, dobbiamo
guardare il mondo e noi stessi con altri occhi. Dovremmo avere una visione più profonda e
riconoscere ovunque nel mondo il dominio di Dio. E dobbiamo credere nella lieta novella di
Gesù.
Nelle parole di Gesù il dominio di Dio si fa più vicino. Gesù ha il mandato per predicare e lo
fa in un modo tale che Dio arriva direttamente al cuore dell'uomo e inizia a regnarvi. Ciò scaccia i
demoni, tutti gli spiriti torbidi che hanno oscurato la nostra immagine di Dio. Perciò nella prima
guarigione raccontata da Marco, Gesù libera dai demoni un uomo che lo aveva ascoltato nella
sinagoga di Cafarnao (Mc 1,21-28).
Quando Gesù parla di Dio, le immagini di Dio sbagliate, patologiche e demoniache presenti
nell'uomo non reggono più e i demoni perdono il loro potere. Per Marco, la venuta del regno di
Dio significa che Gesù libera gli uomini dai demoni - dalle costrizioni interiori, dalle
immagini sbagliate di Dio, dai modelli di vita patologici e dai complessi - e li guarisce.
Il regno di Dio sta già arrivando, perché allora dobbiamo pregare: «Venga il tuo regno
»? Dobbiamo pregare che venga sempre più in noi e penetri in tutti i settori della nostra
anima, riverberandosi anche nei nostri rapporti interpersonali, anzi, divenendo visibile nel
mondo intero.
Sant'Agostino lo interpreta in questo modo: non è necessario pregare Dio affinché venga il
suo regno, perché il regno di Dio verrà, che lo vogliamo o meno. Con questa invocazione, però,
«eccitiamo il nostro desiderio verso quel regno affinché venga per noi e meritiamo di regnare in
esso». Questa implorazione è per Agostino espressione del nostro ardente desiderio
dell'esperienza mistica del regno di Dio che è in noi.
Matteo, viceversa, dà un'interpretazione più ecclesiale del regno di Dio. La comunità
dei cristiani deve essere il luogo in cui si manifesta il dominio di Dio. Preghiamo «Venga il tuo
regno» affinché Dio sia sempre più visibile tra noi cristiani e affinché, per nostro tramite, il suo regno
si diffonda sempre più in questo mondo.
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L'invocazione affinché venga il regno di Dio è sempre anche una preghiera politica.
Preghiamo infatti perché Dio regni in questo mondo e abbia fine il dominio di chi non è giusto: deve
regnare Dio e non più gli idoli del denaro e del potere.
L'esegeta svizzero Hermann-Josef Venetz la definisce una «preghiera sovversiva». «Se
preghiamo chiedendo che si affermi la sua signoria, quel che chiediamo è che tutte le altre signorie
vengano depotenziate. Se preghiamo che venga il suo regno, invochiamo il superamento di ogni
altro regno. Effettivamente l'avvento della signoria di Dio significa lo spodestamento di tutti i signori
che ritengono di aver voce in capitolo, la detronizzazione degli idoli dai lineamenti di un Hitler, o del
computer, di un progresso economico illimitato e senza prezzo, dell'apartheid e dell'egoismo
nazionale ». La preghiera si rivolge a Dio. Dio stesso può regnare, ma noi non possiamo essere
spettatori passivi. Il regno di Dio in questo mondo si deve realizzare anche con le nostre azioni.
IL REGNO DI DIO E LE PARABOLE DEL REGNO DEI CIELI
Per capire l'invocazione della venuta del regno di Dio è utile ascoltare ciò che Gesù
dice in proposito. È soprattutto nelle parabole che Gesù ci spiega che cosa intende con regno di
Dio o dominio di Dio o regno dei cieli, secondo l'espressione ricorrente soprattutto in Matteo.
Sappiamo che Gesù non lo definisce, ma suggerisce a chi ha orecchi per intendere
attraverso immagini e parabole; suggerisce all’intuito interiore, all’anima e al cuore di quanti sono
interessati veramente ad esso.
- Il Regno è come un seme gettato nella terra. Il seminatore lo sparge con larghezza, non
sceglie il terreno; non valuta se questo sia o meno adatto ad accogliere il seme, questo contadino.
Potrebbe apparire un contadino sprecone, oppure un contadino che ha una grande fiducia
nella forza del seme…
- E questo seme cresce, sia che dormiamo sia che vegliamo: la sua vita non dipende dalla
cura del contadino, ma dalla forza che ha dentro di sé. Il Regno non dipende dalla nostra azione,
dal nostro impegno, dal nostro attivismo, dal nostro affannarci per esso…. Il Regno è pura grazia;
regalo, non guadagno; per dono, non per merito. Vita che sorprende, non frutto dell’azione
dell’uomo.
- Il Regno è piccolo e forte come il granello di senape. È così piccolo da sfuggire allo
sguardo, ma la forza di vita che ha in sé è così grande che cresce e diviene un albero grande…
- Il Regno non cresce senza contrasti; lo contrasta la zizzania, che cresce rigogliosa
insieme al buon grano. Eppure non va strappata, se non dal mietitore dell’ultimo giorno.
- Il Regno è forte e misteriosa al tempo stesso; la sua forza può restare invisibile
come quella del sale e del lievito: non si vedono, eppure si avverte quando mancano;
- Il Regno è prezioso come un tesoro; bello una perla. Solo agli umili, ai piccoli, ai
poveri svela il suo segreto.
ANDIAMO CON ORDINE
Il regno di Dio è come un seme seminato nel «campo» dell’uomo, affinché Dio lo pervada e dia frutti in lui. Spesso, però, il campo dell'anima umana assomiglia piuttosto a una strada
battuta. Oppure il seme cade su un terreno sassoso. La piantina spunta, ma si secca non appena il
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sole brucia il terreno. Sovente il seme cade in un cespuglio di rovi, che non gli permettono di
germogliare. Le preoccupazioni di questo mondo - dice Gesù - soffocano la parola che ascoltiamo
(cfr. Mt 13,22).
Soltanto là dove l'uomo mette a disposizione un buon terreno, la parola può agire in lui e
dare frutto (cfr. Mt 13,1-9). Il regno di Dio è caratterizzato dalla fertilità. Se Dio regna in noi, la
nostra vita darà frutto per gli uomini con i quali viviamo.
Il regno di Dio non è una manifestazione così inequivocabile del dominio di Dio su
questo mondo da costringere tutti a crederci. Fintantoché viviamo sulla terra, il regno di Dio
è piuttosto frammisto ad altre forze che operano nel mondo.
Perciò il regno dei cieli è «simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne
andò» (Mt 13,24-25). Nel campo della nostra anima e nel campo della Chiesa sono seminate
anche le erbacce. E non possiamo estirparle senza strappare anche il grano. Sicuramente Matteo,
riferendo questa parabola di Gesù, pensava ai rigoristi, presenti nella comunità cristiana dei suoi
tempi, che avrebbero voluto una Chiesa pura.
Possiamo però dare a questa parabola anche un'interpretazione personale. Ci piacerebbe
essere sempre buoni, ma nel campo della nostra anima cresce, per l'appunto, anche l'erbaccia.
Non possiamo lasciarla prosperare, ma non possiamo neppure estirparla radicalmente, altrimenti
in noi non crescerebbe più neppure il grano.
Ci vuole pazienza perché il grano diventi più forte dell'erbaccia, cosicché possiamo dare
frutti nonostante la mescolanza in noi di bene e di male. Soltanto nella morte Dio separerà per
sempre il bene e il male presenti in noi. Allora il regno di Dio si manifesterà in tutta la sua gloria.
Allora Dio regnerà davvero in noi e sopra di noi. Ma già adesso dobbiamo pregare che venga il
regno di Dio, perché fin d'ora il grano che è in noi cresca più dell'erbaccia.
Chi ascoltava Gesù rimaneva affascinato dai suoi discorsi sul regno di Dio, ma vi
associava sempre anche concetti come il potere e l'onore. I figli di Zebedeo speravano di
poter sedere alla destra e alla sinistra di Gesù nel regno dei cieli. Associavano all'immagine
del regno di Dio le loro fantasie di potere. Tuttavia Gesù specificava sempre che il regno di Dio
è invisibile qui e ora.
È come un granellino di senapa, così piccolo che lo si vede a stento. Ma «una volta
cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo
vengono a fare il nido fra i suoi rami» (Mt 13,32).
Spesso non scorgiamo in noi niente che ci possa indicare la presenza del regno di Dio.
Viviamo come gli altri. Eppure, all'improvviso, Dio agisce in noi e diventiamo un albero intorno al
quale sorge una comunità e al quale gli altri possono appoggiarsi. Nel Padre nostro preghiamo che
in noi si possa sperimentare il regno di Dio, ma anche che la comunità dei cristiani diventi, per
l'umanità intera, un albero che sia di riparo ai senzatetto e doni un senso di protezione a chi è
inquieto.
Ancora: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di
farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13,33). Spesso ci sembra che il regno di Dio ci sfugga di
mano come la farina scivola tra le dita. E invece è come il lievito, che lega e trasforma la farina del
nostro vivere quotidiano e da cui deriva il pane, che nutre gli altri. La donna mescola il lievito con tre
misure di farina e lo lascia riposare per una notte, cosicché la mattina dopo tutto l'impasto è ben
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lievitato.
Talvolta il regno di Dio agisce in noi nottetempo, nel nostro inconscio. Ci pervade. Da un
tantino di lievito si ottengono venti chili di pane: nutrimento per molti. Quando preghiamo per la
venuta del regno di Dio, speriamo che lo Spirito di Dio penetri anche in noi fin nelle profondità del
nostro inconscio. Se Dio regna in noi, diventiamo pane per gli altri. E se Dio regna nella comunità
cristiana, questa diventa nutrimento per molti ed esercita un influsso importante sulla società
intera, anche se non tutti entrano a farvi parte. La comunità cristiana è come il pane che nutre gli
uomini nella loro fame e nel loro anelito.
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo (...). Il regno dei cieli è simile
anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va,
vende tutti i suoi averi e la compra » (Mt 13,44-46). In entrambe le parabole il regno di Dio è
paragonato a una cosa preziosa, più importante di tutto il resto. Per avere il tesoro o la
perla, vale la pena di vendere ogni altra cosa.
Tutti i nostri sforzi dovrebbero essere rivolti a far sì che Dio regni in noi. Così si soddisfa il
nostro desiderio di ricchezza, perché Dio è il vero tesoro e la perla più preziosa. È un tesoro che le
tarme non possono divorare. Un tesoro che rimane in noi.
La parabola però dice anche che il regno di Dio esige tutto il nostro impegno. Dobbiamo
abbandonare tutto ciò che può dominarci per acquisire il vero tesoro, che già è presente in noi.
Allora saremo liberi da ogni dominio esteriore e il nostro desiderio di ricchezza sarà soddisfatto in
silenzio e nell'intimità.
Non tutti arrivano automaticamente al regno di Dio. L'accesso al regno di Dio avviene
mediante il giudizio, come ci ha indicato Gesù nella parabola della rete gettata dal pescatore.
Questi sceglie i pesci buoni e butta via quelli cattivi. «Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli
angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e
stridore di denti» (Mt 13,49-50).
Fintantoché i discepoli di Gesù raduneranno uomini per la Chiesa, ne cattureranno sempre
di entrambi i tipi: pesci buoni e cattivi. Ma alla fine del mondo - e questa fine del mondo arriva per
ciascuno con la morte - il bene sarà separato dal male. Alla fine solo il bene può entrare nel regno
di Dio. Quando il dominio divino pervade tutto, il male non ha più chance. Sarà buttato fuori.
Fintantoché viviamo, Dio è paziente con noi, ma al più tardi nella morte il giudizio separerà il bene
dal male. Questa consapevolezza dovrebbe spronarci a optare fin d'ora per il bene. La parabola
della rete non vuole incuterci paura, bensì spingerci a separare da subito il bene dal male che è in
noi. Al tempo stesso, però, ci dà la speranza che Dio, al momento della morte, metterà i pesci
buoni che sono in noi nel cesto del suo regno dei cieli, scartando i pesci cattivi, cosicché possiamo
giungere nel suo regno eterno puliti e purificati.
Nel regno di Dio vigono leggi diverse, come dimostra la parabola degli operai nella
vigna (cfr. Mt 20,1-16). Nel regno dei cieli i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi. Là ciò che
più conta non è il rendimento, bensì la grazia. Dio dà a ciascuno ciò di cui ha bisogno per
essere sano e integro. Perciò anche chi ha iniziato tardi a lavorare può arrivare alla meta.
Tuttavia ai primi, che hanno sopportato il calore della giornata, non è permesso mugugnare
per la generosità del padrone. Chi vuole vivere nel regno di Dio deve partecipare alla grandezza di
cuore che caratterizza Dio, altrimenti non si sentirà a suo agio. Se imploriamo che venga il regno
di Dio, preghiamo anche che il nostro cuore si allarghi per essere in grado di comprendere il
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mistero del regno dei cieli.
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio» (Mt 22,2).
Possiamo declinare l'invito perché i nostri possedimenti, il nostro successo e i nostri rapporti
interpersonali sono più importanti del banchetto al quale Dio ci invita. Ma tutto in noi - il bene e il
male - è invitato a parteciparvi. Dobbiamo però indossare la veste nuziale che Dio ci offre: la veste
del suo amore. Allora, al banchetto, saremo in armonia con Dio e con noi stessi. Il regno di Dio è
come un banchetto di nozze durante il quale si appianano tutti i contrasti in noi e tra di noi.
E il regno dei cieli sarà «simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono
incontro allo sposo» (Mt 25,2). Anche qui Gesù paragona il regno di Dio alla bella immagine di uno
sposalizio. Come le vergini, anche noi siamo invitati al matrimonio. Potremmo però mancarlo se
viviamo soltanto di giorno e con le lampade non prendiamo anche l'olio.
Essere attenti e svegli sono i due atteggiamenti necessari per il regno di Dio. Perciò
l'invocazione della venuta del suo regno intende prepararci e al tempo stesso colmarci della
speranza che allora tutto in noi sarà pervaso dell'amore di Dio. Gregorio di Nissa, dottore della
Chiesa del IV secolo, ha riconosciuto la promessa insita in questa invocazione: «Quando irrompe il
tuo regno, lutto e dolore fuggono, sostituiti dalla vita, dalla pace e dalla gioia».
Gesù paragona il regno dei cieli anche a un uomo che, dovendo partire, affida dei talenti ai suoi tre servitori. I primi due fanno fruttare i loro talenti, mentre il terzo seppellisce il suo
per paura di sbagliare (cfr. Mt 25,14-30). Quest'ultimo vuole avere tutto sotto controllo per non
commettere errori. Ha un'immagine di Dio che incute paura. Nel regno di Dio entriamo soltanto se
viviamo e sviluppiamo ciò che Dio ci ha affidato. Dio vuole persone vive, che sfruttano le proprie
capacità e hanno una fiducia tale da superare la paura. Chi concepisce Dio soltanto come un Dio
severo che punisce, si procura l'inferno già in terra.
Con la parabola dei talenti, Gesù ci vuole esortare a non seppellirci per paura; ci vuole
incoraggiare a mettere in gioco ciò che ci ha affidato. Per chi rifiuta la propria vita ci sono già
adesso pianto e stridore di denti. Nel regno di Dio si vive di fiducia. Così i doni che Dio ci fa recano
frutto. Questo atteggiamento di fiducia e di attenzione è la condizione per essere ammessi nel
regno di Dio, dove è possibile entrare solo se ci si impegna totalmente.
Il regno di Dio di cui parla sempre Gesù lo possiamo sperimentare in lui stesso, ma
si manifesta anche negli uomini che si lasciano guidare da Dio. Perciò l'invocazione della venuta del regno di Dio è rivolta a Dio affinché si manifesti come tale, domini sulle persone ingiuste e
porti già in questo mondo il regno del suo amore, dove potremo vivere da uomini liberi nella pace
e nella concordia. E, al tempo stesso, con questa invocazione ci dichiariamo pronti a collaborare
alla creazione di questo regno, permettendo a Dio di regnare su di noi e portando il suo Spirito in
questo mondo. Dovunque gli uomini vivono nella concordia, è possibile sperimentare il regno di
Dio. Là dove ci adoperiamo per la riconciliazione, contribuiamo alla costruzione del regno di Dio in
questo mondo.
IL REGNO DI DIO VIENE TRAMITE NOI
Nel Discorso della montagna, Matteo spiega l'invocazione della venuta del regno di Dio con le
parole relative al sale della terra: « Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che
cosa lo si renderà salato? » (Mt 5,15).
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Quando i cristiani diventano sale della terra, il regno di Dio si manifesta nel mondo. Il sale
ha diversi significati: preserva dalla putrefazione, condisce le pietanze insipide, purifica le
offerte sacrificali come pure il neonato e simboleggia, infine, il patto tra Dio e gli uomini e
tra diversi gruppi umani.
Se i cristiani si lasciano guidare dallo spirito di Gesù, hanno una funzione importante per il
mondo intero. Preservano gli uomini dalla corruzione e dalla putrefazione interiore. Ciò che il
messaggio di Gesù esige mantiene vivo l'uomo, impedendogli di guastarsi. I cristiani sono come «il
sale nella minestra». Non si accontentano di adattarsi alle condizioni esteriori. E chi è pervaso dallo
spirito di Gesù ha un effetto purificante sull’ambiente che lo circonda e non si lascia intorbidare dalle
emozioni altrui.
Infine, i cristiani hanno il compito di creare un legame tra i diversi gruppi umani. Il
regno di Dio si avvicina agli uomini in tutti questi effetti che l'essere cristiani esercita sul mondo.
cristiani - così dice anche il Discorso della montagna - sono la luce del mondo. «Voi siete la luce
del mondo. Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una
lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella
casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e
rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,14-16). Gesù è la vera luce che risplende per
«quelli che abitavano in regione e ombra di morte » (Mt4,16).
I cristiani devono contribuire alla missione di Gesù. Se vivono in comunione con Cristo
e attingendo dal suo spirito, sono luce per il mondo. Non devono però oscurare questa luce
occupandosi soltanto di se stessi senza trasmetterla a loro volta. La luce non brilla solo nella loro
predicazione, ma soprattutto nelle opere buone compiute a favore degli altri e in particolare nelle
opere di misericordia e di pace.
Come indica Gesù nel suo ultimo discorso sul giudizio universale, queste opere - dar
da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi e via dicendo - sono rivolte a tutti gli uomini. I cristiani
devono essere luce per tutti, dimostrando amore a tutti nella consapevolezza che ciò che fanno al
più piccolo dei fratelli lo fanno a Cristo stesso (cfr. Mt 25,40). Ciò che i cristiani vivono, ciò che
emana dalla loro preghiera e dal loro impegno per gli altri deve essere sotto gli occhi di tutti. I cristiani non si devono nascondere. Gesù ritiene capaci i suoi discepoli, che provenivano da insignificanti paesini della Galilea, di illuminare il mondo intero con il loro modo di essere e di agire.
Quando gli uomini vedranno il comportamento nuovo dei cristiani, loderanno il Padre celeste. Se
noi cristiani saremo luce del mondo, gli uomini apriranno gli occhi alla luce e alla gloria di Dio e si
uniranno al nostro canto di lode a Dio, il cui regno si manifesta oggi tra di noi.
In quanto cristiani, non diventiamo automaticamente sale della terra e luce del mondo.
Invocando la venuta del regno di Dio preghiamo anche di essere all'altezza di questa missione.
Matteo nel suo Vangelo ci dice che abbiamo una responsabilità nei confronti di questo
mondo. Se ci lasciamo pervadere interamente dallo spirito di Gesù, diventiamo sale che condisce
la terra intera, luce che illumina il mondo. La Chiesa - pur essendo ancora così piccola - ha il
compito di essere lievito per questo mondo colmandolo sempre più dello spirito di Gesù. Così si
verificheranno anche oggi la guarigione e l'illuminazione portate allora dalla venuta di Gesù, nella
quale Matteo ha visto compiuta la promessa del profeta Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt
4,16; cfr. Is 9,1).
Mentre per Marco il sale e la luce stanno a indicare la parola di Gesù, che condisce la nostra
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vita e ci illumina, per Matteo queste due immagini si riferiscono ai cristiani. La comunità cristiana ha
il compito di essere sale della terra e luce per il mondo.
Il cristiano ha una responsabilità nei confronti del mondo intero. Se vive secondo la
parola di Gesù, ciò si ripercuote anche sull'ambiente circostante. Con il suo nuovo comportamento,
il regno di Dio si avvicina agli uomini e si manifesta in questo mondo. È la dimensione politica di
questa invocazione. Anche se non tutti i cristiani sono espressamente impegnati in politica,
ognuno, nella sua spiritualità, è responsabile nei confronti del mondo.
Questo l'avevano capito anche i primi monaci, che si appartavano dalla società perché
insoddisfatti del degrado del mondo antico, in cui agli uomini premeva ormai soltanto mangiare e
divertirsi, importava il piacere privo di ogni responsabilità. Avevano scelto il deserto perché
credevano che se fossero riusciti a sconfiggere l'oscurità là dove dominavano i demoni, nel
mondo intero ci sarebbe stata più luce.
Se lasciamo splendere nel nostro cuore la luce di Cristo, se essa brilla nei nostri pensieri,
nei nostri discorsi e nelle nostre azioni, il mondo intorno a noi diventa più luminoso, più umano e
più cristiano. Oggi i cristiani non devono tanto ritirarsi nel deserto, quanto sottrarsi ai criteri di
questo mondo, come il consumismo, il tutto e subito e l'esaltazione della violenza. La luce dei
cristiani deve brillare in questo mondo, ma può farlo soltanto se non si lascia soffocare e
oscurare dal mondo stesso.
La comunità cristiana può essere luce per il mondo anche attraverso i rapporti interpersonali, caratterizzati dal perdono e dalla riconciliazione. Se due o tre realizzano tra loro l'amore di
Dio, emanano qualcosa che cambia il mondo intero.
In particolare l'evangelista Luca punta l'attenzione sulla testimonianza della comunità.
Negli Atti degli Apostoli descrive la prima comunità cristiana come un insieme di persone che
erano un cuore e un'anima sola (cfr. At 2,44-46). Per lui la convivenza di ebrei e greci, uomini e
donne, poveri e ricchi stava a significare che il regno di Dio era davvero venuto. Nel nuovo modo di
vivere insieme dei cristiani si manifestava al mondo qualcosa del regno di Dio.
Il regno di Dio, però, non è venuto definitivamente. È sempre in corso di avvento. Viene quando la giustizia comincia a giungere ai miseri, ai diseredati e agli oppressi; ogni volta che si
creano legami di fraternità, di concordia, di partecipazione, di rispetto della dignità inviolabile
dell'uomo, lì comincia a spuntare il regno di Dio. Invocando la venuta del regno di Dio esprimiamo
la nostra speranza che Dio crei un mondo più giusto. Ma al tempo stesso questa invocazione deve
risvegliare la nostra disponibilità a lottare per un mondo più giusto, nel quale si manifesti già oggi il
regno di Dio.
Luca ha descritto la comunità della Chiesa primitiva come un esempio per il mondo
intero. Oggi, nell'era della globalizzazione, il compito dei cristiani di essere luce per il mondo riceve
un'enfasi diversa. La comunità cristiana non deve soltanto accogliere persone di ogni nazione e
cultura e riconciliarsi con esse, dando l'esempio di una comunità multiculturale rappacificata,
quanto anche adoperarsi per l'accordo di cristiani e non cristiani.
Nella sua storia missionaria, la Chiesa ha conosciuto a più riprese conversioni violente.
Proprio come quelle non erano giuste allora, nemmeno oggi possiamo costringere nessuno a
diventare cristiano. Dovremmo piuttosto rispettare le esperienze di quanti professano religioni
diverse. E nel dialogo dovremmo ascoltare ciò che hanno da insegnarci, rendendo al tempo stesso
testimonianza della speranza che ci muove.
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Oggi le religioni, tutte insieme, potrebbero diventare il lievito per l'umanizzazione del nostro
mondo. Se infatti la globalizzazione è condotta solo con criteri economici ed è incentrata solo sul
potere del più forte, diventa una maledizione per il nostro mondo. Se però, nel dialogo tra noi,
riconosciamo ciò che ci accomuna, possiamo tenere alti nel mondo questi nostri valori condivisi.
Non si tratta di mescolare le religioni, bensì di camminare insieme in ciò che le unisce. Inoltre, noi
cristiani dobbiamo sempre ascoltare il monito di Gesù e avere coscienza della nostra identità, che
si manifesta nella nostra fede ma anche - secondo il Discorso della montagna -in un
comportamento nuovo che rispecchia lo spirito di Gesù e illumina questo mondo.
LA DIMENSIONE MISTICA DEL REGNO DI DIO
A mio parere, l'invocazione della venuta del regno Dio ha però anche una dimensione
mistica. Nel Vangelo secondo Luca, Gesù dice che il regno di Dio è già in noi (cfr. Lc 17,21): «Il
regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: "Eccolo qui", oppure:
"Eccolo là". Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi! » (Lc 17,20-21). La traduzione letterale
dal greco è: «Il regno di Dio non viene in modo osservabile». Non lo possiamo vedere. E un
fatto interiore. È nell'intimo della nostra anima. E nello spazio del silenzio che ogni uomo ha dentro
di sé.
Spesso però l'accesso a questo spazio è bloccato dal rumore dei nostri pensieri o dal
baccano di questo mondo. Nella preghiera dobbiamo giungere in questo spazio del silenzio
dove Dio abita e regna in noi. Là dove Dio regna in noi siamo liberi. Là gli uomini non hanno
alcun potere su di noi. Le loro pretese, le loro aspettative e i loro pregiudizi non possono penetrare
nello spazio del silenzio, né vi hanno accesso il disprezzo per noi stessi, le nostre preoccupazioni e
paure, i nostri sensi di colpa.
Là dove Dio regna in noi, giungiamo al nostro vero essere. Là entriamo in contatto con
l'immagine incontaminata e originaria che Dio si è fatto di noi. Là siamo un tutt'uno con Dio. Dove
Dio, il mistero, dimora in noi, possiamo sentirci a casa noi stessi. E là dove Dio regna in noi, siamo
davvero liberi ed entriamo in contatto con il nostro vero io. Dove Cristo è in noi, siamo sani e integri
anche in questo mondo malsano. Il nostro nucleo più intimo non è inficiato dal peccato, bensì ricolmo dello spirito di Gesù.
Là entriamo in contatto anche con il nostro vero io - « autos » in greco - il santuario interiore
dell'anima. Diveniamo autentici. E dove Dio risplende in noi, tutto diventa puro e limpido. Tutto si
rischiara. Entriamo in contatto con il nucleo onesto e incontaminato, puro e immacolato in noi. Là
dove Dio, il mistero, dimora in noi, sperimentiamo la casa. Perché si può essere a casa solo
là dove abita il mistero.
L'invocazione della venuta del regno di Dio è da ultimo l'invocazione dell'esperienza mistica
del regno interiore, del santuario interno dell'anima, nel quale siamo una cosa sola con Dio e,
attraverso Lui, siamo liberi e sani, puri, originari e sinceri.
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PER LA PREGHIERA
DALL’ANGELUS DEL 17 MARZO 2013 DI PAPA FRANCESCO
In questa quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta l’episodio della donna
adultera (cfr Gv 8,1-11), che Gesù salva dalla condanna a morte. Colpisce
l’atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di
condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione.
“Neanche io ti condanno: va e d’ora in poi non peccare più!” (v. 11). Eh!, fratelli e
sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza.
Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella
è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende,
non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito. “Grande è la
misericordia del Signore”, dice il Salmo.
In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un Cardinale – il Cardinale Kasper, un
teologo in gamba, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel
libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali! Non è così! Ma mi
ha fatto tanto bene, tanto bene … Il Cardinale Kasper diceva che sentire misericordia,
questa parola cambia tutto. E’ il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un
po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire
bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza …
Ricordiamo il profeta Isaia, che afferma che anche se i nostri peccati fossero rossi
scarlatti, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve. E’ bello, quello della
misericordia! Ricordo, appena Vescovo, nell’anno 1992, è arrivata a Buenos Aires la
Madonna di Fatima e si è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato a
confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo
amministrare una cresima. E’ venuta da me una donna anziana, umile, molto umile,
ultraottantenne. Io l’ho guardata e le ho detto: “Nonna – perché da noi si dice così agli
anziani: nonna – lei vuole confessarsi?”. “Sì”, mi ha detto. “Ma se lei non ha peccato …”.
E lei mi ha detto: “Tutti abbiamo peccati …”. “Ma forse il Signore non li perdona …”. “Il
Signore perdona tutto”, mi ha detto: sicura. “Ma come lo sa, lei, signora?”. “Se il Signore
non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle:
“Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo
Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio. Non dimentichiamo
questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai! “Eh, padre, qual è il problema?”. Eh,
il problema è che noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere
perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere
perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che
sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo
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ad essere misericordiosi con tutti. Invochiamo l’intercessione della Madonna che ha
avuto tra le sue braccia la Misericordia di Dio fatta uomo.
G. Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo, 19,4
«Venga il tuo Regno. Sono parole di un figlio che mostra ottime intenzioni, vale a dire
non intende attaccarsi alle realtà visibili, né considerare qualcosa di grande quelle
presenti, ma desidera anelare al Padre e aspira ai beni futuri. Questo nasce da una buona
coscienza e da un'anima libera da cose terrene. Anche Paolo desiderava questo ogni
giorno; per questo diceva: Anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo
aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Rm 8,23). Chi e infiammato
da tale desiderio non può inorgoglirsi per le cose buone di questa vita, ne disperarsi per
quelle tristi, ma e libero da ambedue gli eccessi come se già vivesse nei cieli»
Venga il tuo regno di Tertulliano
Questa domanda si riferisce alla precedente: Sia fatta la tua volontà, ossia: il tuo regno
si compia in noi. E quando mai Dio non regna, se «nelle mani del Signore sono i cuori dei
re» (Pr 21,1)? Ma tutto quello che auguriamo a noi stessi, lo riferiamo a lui, lo
santifichiamo in lui, perché è da lui che lo attendiamo. Se l'avvento del regno di Dio è
conforme alla sua volontà ed esige la nostra attesa, come mai alcuni chiedono con lacrime
una dilazione per il mondo, dal momento che il regno di Dio, di cui domandiamo la
venuta, tende a mettere fine a questo mondo? Noi chiediamo di regnare più prontamente
per sfuggire più in fretta alla schiavitù.
Quand'anche questa preghiera non avesse stabilito per noi il dovere di chiedere
l'avvento di questo regno, l'avremmo spontaneamente chiesto a gran voce, affrettandoci
ad andare ad abbracciare le nostre speranze (Eb 4,11). Le anime dei martiri, sotto l'altare,
invocano il Signore con grandi grida: «Fino a quando, Sovrano, non vendicherai il nostro
sangue sopra gli abitanti della terra?» (Ap 6,10). Essi debbono, infatti, ottenere giustizia
alla fine dei tempi. Signore, affretta dunque la venuta del tuo regno! È l'augurio dei
cristiani, la confusione degli infedeli, il trionfo degli angeli; è per esso che soffriamo, o
piuttosto è esso che invochiamo.
" Venga il tuo Regno" di Olivier Clement
Dopo il Padre e il Verbo nel quale prende Nome, ecco lo Spirito santo. Un' antichissima
variante dell' evangelo di Luca riporta infatti "venga il tuo Spirito santo" anziché "venga
il tuo Regno". Venga il tuo Spirito santo e ci comunichi il tuo Regno: la tua gloria, la tua
shekinah, le tue energie, la tua grazia, la tua luce, la tua vita, la tua forza, la tua gioia...
tutto questo indica la stessa realtà. Il Regno, i cieli e la terra nuovi sono il cielo e la terra
rinnovati in Cristo, penetrati dalla grazia dello Spirito che è vita pura, vita liberata dalla
morte. Il mondo in Cristo costituisce l'autentico "roveto ardente", afferma Massimo il
Confessore. Ma questo fuoco è coperto di scorie e di cenere, della nostra opacità, del
nostro odio, di ogni nostra complicità con le potenze del caos e delle tenebre.
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"Venga il tuo Regno": significa preparare, anticipare il ritorno di Cristo, eliminando le
scorie e la cenere. Infatti il Regno di cui invochiamo la venuta è già segretamente
presente, ogni celebrazione eucaristica abbozza la parusia, così come ci sono nella vita di
ciascuno attimi eucaristici, scintille di parusia.
Non bisogna aver paura di questi attimi, di questa pienezza, la "pleroforia" di cui parlano
gli spirituali. Attimi di preghiera silenziosa, di preghiera al di là della preghiera, quando il
cuore si infiamma, attimi di tensione creatrice o di fiducia rappacificante, quando la luce
dell'Ottavo Giorno spunta in una intuizione di verità, di bellezza, o in un autentico
incontro in cui si scopre "l'oceano interiore di uno sguardo" e l'altro come un miracolo come amava ripetere il patriarca Athenagoras. Attimi in cui ci si unisce, come in
primavera - sono ancora espressioni di Athenagoras -, alla dossologia del primo mandorlo
in fiore. Oppure attimi come quelli in cui, dopo i tormenti dell'agonia, il volto di un
morente si rappacifica e "l'individuo - come fa notare Rosenzweig - rinuncia alle ultime
vestigia della sua individualità per ritornare alla propria origine e il Sé si desta all'
estrema singolarizzazione e all'ultima solitudine...". In tutti questi momenti - e ciascuno
di voi ne conosce numerosi altri - il Regno affiora misteriosamente. Allora tutto diventa
estremamente leggero: non c'è più morte, nel senso in cui questa parola si appesantisce
del nulla, esistono solo pasque, passaggi; non c'è più esteriorità separante: l'amore è
talmente grande che lo stesso desiderio scompare, restano soltanto dei volti, e il volto è
fatto interamente sguardo - come dice un' omelia di Macario - e la terra è sacra,
sacramento, mentre le stelle, la notte sono i segnali di fuoco che i mondi angelici ci
comunicano...
Capitemi bene: esiste un approccio narcisistico, grottescamente o tragicamente avido, al
piacere, al godimento di esistere. Vi si combinano le due passioni "madri": l'ingordigia
carnale e l'orgoglio spirituale... L'uomo rischia allora di decomporsi, come diceva
Kierkegaard, in "piccole eternità di godimento". Degli esseri e delle cose non scorge altro
che "ciò che cade sotto i sensi", ciò che - e lo stesso linguaggio è qui estremamente
significativo - si può "mettere sotto i denti".
Ma il piacere, il godimento di esistere, provati con un certo distacco interiore, con
gratitudine, nel rispetto degli esseri e delle cose e nella "santificazione del Nome", questo
piacere e questo godimento possono diventare una gioia non passionale, nel senso
ascetico del termine "passione", cioè non idolatrica. Sono allora ricordi del Paradiso,
caparre del Regno. La danza, il ritmo del respiro - "respirare, o invisibile poesia!" dice
Rilke -, il profumo della terra dopo il temporale, incenso cosmico, l'incessante, esicastico
avvilupparsi e srotolarsi delle onde e delle nuvole, il "Cantico dei Cantici" di un grande e
nobile amore in cui i corpi sono il sapore delle anime: tutto questo può diventare ricordo
del Paradiso e caparra del Regno.
Ti basta capire che Dio ti ama e il tuo cuore si desterà
L'atto creatore che suscita bellezza, irradia la vita e l'amore, il sorriso di un neonato che
scopre la propria esistenza nel profumo, nello sguardo e nella voce della madre: tutto
questo può diventare ricordo del Paradiso e caparra del Regno.
Nello Spirito, nel grande soffio del Dio vivente, i comandamenti di Cristo (che si
riassumono nell' amore per Dio e nell' amore per l'altro e per se stessi: è così difficile
accettar si, eppure... "amerai il prossimo tuo come te stesso") appaiono come i sentieri
della responsabilità e della comunione.
La rivelazione del Regno infatti è che non esiste nulla di superiore alle persone e alla
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comunione delle persone. Giustizia, verità, bellezza cessano di essere leggi per diventare
energie vitali o, meglio ancora, la nostra partecipazione, mediante l'umanità di Cristo, alle
energie divine corrispondenti.
E se non riesci a "osservare i comandamenti", non considerarti mai perso, non ti inacidire
in modo moralistico o volontaristico. Più a fondo, più in basso della tua vergogna o della
tua caduta c'è Cristo. Volgiti a lui, lascia che ti ami, che ti comunichi la sua forza. E
inutile che ti accanisci in superficie: è il cuore che deve capovolgersi.
Non devi nemmeno cercare innanzitutto di amare Dio, ti basta capire che Dio ti ama. Se
l'amore risponde all'amore, se il cuore profondo si desta, allora la vita stessa di Cristo,
cioè il soffio dello Spirito si leverà in te. Ti basterà soltanto - ma ormai tu stesso ne avrai
voglia - eliminare gli ostacoli, le incrostazioni, la ghiaia e il fango che nel tuo profondo
ostruiscono la sorgente.
Dovrai una buona volta respirare qualcosa di più profondo che non l'aria di questo
mondo, "respirare lo Spirito", come diceva Gregorio Sinaita: questo soffio in te
raggiungerà, libererà, esprimerà il gemito della creazione, l'attesa del cosmo di cui tutta la
bibbia ci dice che è in gestazione, in genesi: cosmogenesi e, dopo l'incarnazione,
cristogenesi (perché non riprendere, al di fuori di una sistematizzazione discutibile, questi
bei termini forgiati da Teilhard?), cristogenesi in cui l'uomo deve comportarsi da re,
sacerdote e profeta...
S. Agostino Discorsi 56,6
Venga il tuo regno. Per chi facciamo questa preghiera? Anche se non lo domandassimo,
non verrebbe forse il regno di Dio? Di quel regno è detto che sarà dopo la fine del mondo.
Dio infatti possiede sempre il regno e non è mai senza regno, perché lo servono tutte
quante le creature. Ma quale regno ti auguri che venga?
Quello di cui sta scritto nel Vangelo: Venite, bendetti del Padre mio, ereditate il regno
preparato per voi dalla fondazione del mondo (Mt 25,34). Ecco il regno di cui è
detto: Venga il tuo regno.
Ci auguriamo che venga in rapporto a noi, ci auguriamo di ritrovarci in esso. Poiché,
ecco, esso verrà; ma che ti gioverà, se ti troverà alla sinistra? Dunque anche qui per te fai
un buon augurio, tu preghi per te. Pregando desideri, brami di vivere in modo da
appartenere al regno di Dio che sarà dato a tutti i santi. Quando dunque dici: Venga il tuo
regno, tu preghi per te, di vivere bene: “Fa’ o Signore che apparteniamo al tuo regno:
venga anche per noi, il regno che verrà per i tuoi santi, per i tuoi giusti”.
Eugen Drewermann, Padre nostro celeste, venga il Tuo regno (avvenga ciò che Tu
operi)
Poiché ciò che Tu sei e operi, il Tuo regno, e sono le galassie e gli ammassi stellari, le
stelle fisse e i pianeti, il Tuo regno, e sono le nubi e i mari, le montagne e i laghi, e le
foreste e i deserti di ghiaccio, di sabbia e di sale. Tu governi nell’incessante onda delle
maree; in Te trova unità ciò che, quando siamo noi a vederlo o a farlo, è in perpetua
contraddizione. Poiché Tu domini completamente dall’interno e la Tua potenza è inscritta
nella natura di tutte le cose.
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Il Tuo regno è il desiderio di libertà degli oltraggiati, è il grido di uguaglianza sulle
labbra delle persone che vengono emarginate perché ‘di colore’, è l’ira degli invalidi di
guerra e dei sopravvissuti, il Tuo regno è la coraggiosa sollevazione di coloro che sono
resi schiavi in quanto dipendono dal salario, è la ribellione di coloro che sono
eternamente sfruttati, è lo sciopero di quelli che sono spezzati dal lavoro nella psiche o
nel fisico.
Il Tuo regno è lottare per la dignità di ogni persona e per lo stesso diritto all’esistenza
della più piccola parte della Tua creazione. Il Tuo regno è la verità, che noi avvertiamo
chiaramente. E dunque: infrangi il regno della menzogna, in cui le persone dominano
sulle altre persone, sventa la presunzione dei potenti, spazza via dal nostro cuore
l’arrendevolezza sottomessa all’angoscia, l’adattamento fasullo, lo spirito di sudditanza
dell’obbedienza pigra, ammiccante ed egocentrica.
Difendi la Tua immagine e somiglianza in noi e donaci la forza di non chiamare niente
Dio accanto a Te. Il Tuo nome, la Tua realtà, il Tuo essere sia l’unico che ha valore.
Infatti, soltanto dove sei Tu a regnare gli esseri umani diventano grandi. Nessun regno
sulla terra, nessuno di quei regni che su nient’altro si fondano che sulle armi, sul denaro e
sull’arroganza, domini d’ora in poi i nostri cuori. Soltanto Tu sei il Signore, Tu
unicamente fidato, Tu unicamente stabile, Tu punto di riferimento della speranza di tutti
gli uomini e di tutte le donne.
Venga il Tuo regno!
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