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Il restauro del moderno e il tema dell`uso

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Il restauro del moderno e il tema dell`uso
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Questo testo è stato realizzato grazie all’aiuto di chi mi è stato vicino in questi anni. Un ringraziamento accomuna il Prof. Arch. Cesare Ajroldi, tutor della tesi di Dottorato e guida accademica
degli ultimi dieci anni, tutti i docenti del Dottorato in Progettazione Architettonica di Palermo,
l’Arch. Valerio Cottone e l’Arch. Giuseppe Giacalone per la collaborazione nella fase di restituzione grafica, gli Archh. Marzia Casamento e Alessandro Fonte per la condivisione quotidiana
di gioie e delusioni. Ringrazio tutta la mia famiglia, Elsa, il Prof. Ing. Arch. Antonio Cottone
(padre, amico e guida professionale), mia madre Rita, i miei fratelli Daniele e Giulio, Dave
Bubu, Claudio Figaro, e Adam Spark.
Infine un ricordo e un grazie allo scomparso Prof. Arch. Pasquale Culotta, coordinatore del Dottorato e grande veicolo di passione per l’architettura.
Dario Cottone
Il restauro del moderno e il tema dell’uso
Il Cotonificio Siciliano di Pietro Ajroldi
con una introduzione di Cesare Airoldi
ed una intervista a Domenico La Cavera
Copyright © MMXI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–4207–6
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 2011
Ai miei genitori, Nino e Rita,
che mi hanno insegnato a vivere.
Indice
Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea .................................................... 9
di Cesare Ajroldi
Capitolo I
Il tema della fabbrica nel restauro del moderno ........................................... 17
Capitolo II
Pietro Ajroldi. La tradizione nella modernità ............................................... 27
Capitolo III
Gli anni ‘50: il progetto per il Palazzo della Regione Siciliana,
Il Cotonificio Siciliano e la partecipazione al gruppo AIR .......................... 53
Capitolo IV
Il Cotonificio Siciliano e il sogno di un polo tessile ..................................... 65
Capitolo V
La scienza del progetto nel restauro del moderno ...................................... 101
Apparato I
Conferma e modificazione d’uso, due esperienze a confronto:
la Tate Modern e l’Einsteinturm ................................................................. 111
Apparato II
Una conversazione con Domenico La Cavera ............................................ 139
Bibliografia ................................................................................................. 151
Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
Cesare Ajroldi
Questo libro nasce da una ricerca condotta durante il Dottorato di ricerca
in Progettazione architettonica, svolta a Palermo e conclusa nel 2006.
Essa si inserisce nel quadro della tematica generale del Dottorato, centrata sulla scienza del progetto, e in particolare nel quadro specifico degli
ultimi anni, coincidente con il tema del restauro del moderno.
In questo modo il Dottorato ha operato una scelta esplicita nel senso di individuare il progetto non solo come oggetto, ma come strumento di ricerca:
si tratta di una questione centrale per i Dottorati in Progettazione o Composizione Architettonica, discusso nei convegni nazionali che si sono svolti
negli anni scorsi e sulla quale non è emersa una risposta unitaria.
Nei primi anni dalla istituzione il Dottorato ha lavorato a lungo sul tema
della didattica della progettazione, soprattutto relativamente alle sedi di
provenienza dei docenti del Collegio: Palermo, Roma, Napoli, Reggio
Calabria. Successivamente, e soprattutto ad opera di Pasquale Culotta,
che è stato coordinatore per lunghissimo tempo, si è operata la scelta di
affrontare in modo esplicito il tema del progetto, e, dopo un anno sperimentale, si è pervenuti alla attuale elaborazione.
Il lavoro degli ultimi cicli si è fondato sul tema del restauro del moderno:
approfondendo in tal modo l’obiettivo di una scientificità dell’opera9
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Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
zione progettuale. Infatti, il riferirsi a casi conclamati, a veri e propri
monumenti della contemporaneità, consente meglio di porsi in relazione
con un sistema di regole: diviene esplicito come lo studio di questi edifici non possa prescindere da una analisi delle fasi di formazione del
progetto, da una indagine che assume con nettezza i caratteri della obiettività e della trasmissibilità. Il lavoro deve anche fondarsi (e questo è
possibile nel caso del moderno) sul reperimento di scritti dell’autore che
esplicitino il suo pensiero sulle questioni investite dal progetto. È una
ulteriore garanzia di obiettività dell’operazione.
A partire da queste considerazioni di carattere generale, è possibile affrontare il tema del restauro del moderno: diviene evidente come lo studio di questi edifici non possa prescindere da una analisi delle fasi di
formazione del progetto, e d’altra parte debba porsi la questione della
possibile variazione d’uso, che quasi sempre (o sempre) è connessa con
il tema di un rapporto con la contemporaneità di edifici che in genere
hanno almeno 50 anni di vita.
Si tratta pertanto di confrontarsi con un sistema costruttivo moderno, fatto
per lo più di strutture intelaiate, e quindi in continuità con gli attuali modi
di costruzione: anche se quasi sempre si pone comunque il problema delle
tecniche, divenute obsolete, e/o dei materiali, per lo più fuori commercio.
In molti casi si pone anche la questione di edifici pensati per una vita effimera, come la gran parte di quelli della prima età del moderno.
Si tratta di scegliere un uso, nel caso di variazioni, che sia compatibile
con la qualità degli spazi esistenti. Si tratta di mantenere, fatte proprie
queste premesse, il carattere dell’edificio da restaurare, pur apportando
le necessarie modifiche. Si tratta, infine, così come per ogni tipo di restauro, di elaborare un progetto, sia pure di carattere particolare, in grado
di mettere in luce le qualità migliori dell’edificio sul quale si interviene,
Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
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attraverso un progetto che abbia tutti i caratteri della contemporaneità.
In questo senso, non c’è una sostanziale differenza tra restauro e progetto, in quanto ogni progetto si trova davanti a vincoli di varia natura,
a partire dai quali bisogna operare delle scelte.
Ricordo che questo tema del ruolo del progetto nel lavoro del dottorato,
e più in generale nella ricerca di architettura, è stato sempre un nodo per
i Dottorati in Progettazione, tanto che i due convegni dei dottorati italiani
in Progettazione e Composizione architettonica, a Ferrara (2001) e a
Torino (2003), così come il numero di “Arc” (la rivista dei Dottorati in
Progettazione italiani) dedicato a quello di Ferrara, sono sostanzialmente
centrati sulla questione che abbiamo appena detto.
Emergono naturalmente posizioni diverse, ma in gran parte esse ammettono la necessità del riconoscimento della esistenza di uno statuto disciplinare dell’architettura. Anche se si tratta di un tema controverso, tanto
che, secondo alcuni, tale statuto presenta caratteri di debolezza rispetto
ad altre discipline. Questo mi sembra sia, e debba essere, un punto necessario di riferimento, in quanto la scuola, e la scuola italiana in particolare, attraverso i dottorati, può in questo modo esprimere una scelta
di fondo, quasi come un momento riconoscibile di resistenza contro una
deriva della nostra disciplina, tendente a divenire un puro atto artistico.
Nel caso di Palermo, questo tema propone a mio avviso una serie di questioni, che sono ancora una volta legate al rapporto tra ricerca e progetto.
Esse riguardano il rischio, che si era già notato in momenti precedenti
di confronti a carattere nazionale (vedi in particolare il primo incontro
a Milano, nel 1995), di un ruolo del progetto che non riesce a superare
una condizione di empiria.
Si tratta di questioni che, nel nostro dottorato, assumono importanza in
particolare negli ultimi due anni di ogni ciclo, il secondo dedicato espli-
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Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
citamente alla stesura di un elaborato progettuale, il terzo da destinare
ad una riflessione sugli esiti scientifici del prodotto.
Quindi, siamo interessati a descrivere procedure, a partire dai codici,
dalle regole, dagli statuti dell’architettura, ed in particolare dell’architettura contemporanea
In tal modo, a mio avviso, il lavoro sul progetto e attraverso il progetto
non si configura come esperienza personale e autoreferenziale, ma come
approfondimento, con strumenti idonei, dei principi degli edifici sottoposti ad analisi e intervento.
Pietro Ajroldi lavora tra Palermo e Roma negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra, progettando una serie di opere (soprattutto Case
Littorie e borghi rurali: vedi in particolare Borgo Callea, 1938, realizzato),
in cui evidenzia un modo di affrontare l’architettura con la volontà di trovare nella tradizione un riferimento costante. Questo si connette in modo
diretto al lavoro sull’architettura minore siciliana, su cui organizza una
mostra (1938) con Edoardo Caracciolo e Vittorio Lanza. Credo che questo
tema ritorni sempre, in modo più o meno esplicito, in tutta la sua opera.
In quegli stessi anni lavora ad alcuni Piani regolatori, e partecipa con
Quaroni, Lenti, Racheli e Sterbini al Concorso per il nuovo Piano Regolatore di Palermo, vincendo il secondo premio.
Elementi di vernacolarità e mediterraneità caratterizzano molte di queste
opere: ricordiamo lo studio per un padiglione siciliano all’Esposizione mondiale del 1942. E sono elementi che si perpetuano nel tempo, anche ad esempio in una serie di ville costruite presso Palermo nel dopoguerra (Villa
Persico a Gibilmanna, Villino Gagliardi e Villa Pirri a Mondello…)
Negli anni Cinquanta, ha una ricca produzione architettonica, sia per
ville che per edifici residenziali (in particolare l’edificio con mercato a
Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
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Palermo, in via Cordova) che per luoghi di lavoro: di questi ultimi parleremo più avanti. Nel 1953, è capogruppo per il progetto di concorso
per la Regione Siciliana, ancora con Caracciolo e un gruppo dell’AIR,
associazione di cui si dirà successivamente.
L’ultima opera, rimasta incompiuta e rifinita dopo la sua morte in forme
eccessivamente semplificate, è la chiesa di santa Luisa di Marillac a Palermo, in cui è andata perduta completamente la ricerca sui materiali che
caratterizzava il progetto.
Il Cotonificio siciliano è un’opera dei primi anni ’50, elaborata in un periodo di grandi speranze nell’industrializzazione della Sicilia, all’interno
dell’AIR (Architetti Ingegneri Riuniti), una società di architetti e ingegneri. In tutte e due le circostanze appena citate, emerge la figura di
Mimì La Cavera, presidente della Sofis e “pioniere” dell’industrializzazione, e tra i fondatori dell’AIR. Una sua intervista nel testo mette in rilievo il momento storico in cui l’opera fu realizzata.
L’edificio è quello più noto nella produzione di Pietro Ajroldi, pubblicato
su Metron e poi su alcune guide dell’architettura siciliana. La parte principale, il grande fabbricato per la filatura, ha un impianto simmetrico
con un sistema semplice, basato sulla iterazione di una campata coperta
con una volta a shed inclinata. Alcuni elementi secondari (uffici, ingresso, edifici per altre lavorazioni) definiscono il complesso.
La qualità principale dell’opera è data dalla luce che pervade l’intero
spazio in modo assolutamente omogeneo, proveniendo da Nord attraverso le grandi vetrate degli shed. È una luce assoluta, intensa, esaltata
dal disegno dell’infisso, fatto di elementi in ferro di dimensioni estremamente ridotte e limitate all’essenziale.
Lo spazio poi è unico, interrotto solo da pochi elementi nella campata
centrale, che è di dimensioni minori delle altre, e ritmato soltanto dalla
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Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
presenza dei grandi telai per la filatura, enormi macchine scure che scandiscono in modo ordinato il grande vuoto dell’edificio.
All’esterno, il Cotonificio si presenta con la stessa austerità dell’interno,
caratterizzato com’è da un basamento in pietra che è l’unico elemento
eccezionale rispetto al susseguirsi delle campate voltate. Il luogo è (era)
assai suggestivo, a ridosso di una delle scabre belle montagne che recingono l’antica Conca d’Oro, la piana in cui giace Palermo con i suoi
immediati dintorni.
Semplicità, razionalità, mediterraneità, uso sapiente dei materiali, sono
forse le cifre che possono definire l’architettura di Pietro Ajroldi e della
sua opera principale. Gli elementi architettonici di questa sono poi ripetuti in molte varianti di edifici industriali progettati e in parte realizzati
successivamente (la sede SACOS a Siracusa), tra cui uno molto simile
nelle vicinanze del Cotonificio.
Lo stato attuale è veramente sconfortante: l’edificio è abbandonato da
molto tempo, estremamente degradato, con gli infissi sostituiti da altri
con un disegno pesante e dozzinale, che fa perdere il carattere precipuo
della luce assoluta che proveniva dagli shed. Ma soprattutto è stato
chiuso in buona parte con una grande copertura metallica che elimina
completamente la luce, ma che per fortuna mantiene al di sotto la struttura originaria delle volte.
Inoltre è stato cambiato radicalmente l’intorno, in particolare con la recente costruzione di un grande complesso commerciale e l’eliminazione
o la modificazione di alcuni dei corpi secondari del Cotonificio.
La lettura e il progetto che Dario Cottone ha fatto dell’edificio corrispondono in pieno agli obiettivi che il Dottorato si è dati: analisi puntuale dell’opera, del suo contesto storico, dell’autore e delle sue
Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
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intenzioni esplicitamente espresse attraverso pubblicazioni e ritrovamenti d’archivio. Di qui, emerge la chiara individuazione dei principi,
delle regole che determinano i caratteri dell’opera, e da cui parte l’operazione progettuale di restauro.
In tal modo si può realmente parlare di scienza del progetto, si può mettere in atto lo “slogan” in auge all’inizio della grande trasformazione
delle Facoltà di Architettura italiane del progetto come strumento di conoscenza della realtà. Il progetto in effetti consiste nella ri-messa in luce
dei valori costitutivi dell’opera, per quanto possibile, e nella ipotesi di
trasformazione d’uso che quasi sempre coinvolge questi edifici degradati
del moderno. Il progetto viene quindi sottratto per buona parte ai caratteri di arbitrarietà, diviene in qualche modo necessario, diviene in sostanza interpretazione del carattere dell’opera sottoposta al restauro.
E in questo caso, con ogni evidenza, restauro e progetto sono assolutamente coincidenti, come avviene in tutti i casi in cui l’operazione non si
limita alla sola conservazione.
Nel progetto del Cotonificio, la restituzione della qualità della luce assume il carattere principale, assieme a quello del recupero dell’impianto
chiaro dell’edificio, attraverso l’eliminazione di una serie di elementi
incongrui costruiti successivamente.
Dall’altro lato, la scelta della nuova destinazione d’uso, dettata dalla
suggestione dell’origine manifatturiera dell’edificio, si è orientata verso
il progetto di uno spazio di esposizione e vendita di prodotti tessili legato
al mercato soprattutto nordafricano. Questa scelta ha portato alla progettazione di uno spazio scandito non dalle grandi macchine per la filatura, non più esistenti né riproponibili, che davano un ordine al grande
invaso voltato, ma da un sistema di scavi e rilievi legati alla esposizione
dei materiali e in grado di dare un nuovo ordine.
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Pietro Ajroldi e l’architettura mediterranea
Attraverso il tema della nuova destinazione d’uso, si compie un intero
percorso di restauro del moderno, volto in questo caso alla conoscenza
di un’opera significativa ma poco conosciuta, e anche, si spera, a un intervento che salvaguardi, attraverso le istituzioni preposte al riconoscimento di qualità del moderno, un edificio in grave pericolo di degrado.
1. Il tema della fabbrica nel restauro del moderno
Il testo è incentrato sul tema del restauro del moderno attraverso lo studio di un edificio industriale degli anni 50 costruito a Palermo dall’ architetto Pietro Ajroldi. È frutto di un lungo lavoro di ricerca che tende a
dimostrare come sia possibile un intervento su di un edificio industriale
che ha ormai perso la sua funzione produttiva e di come sia possibile
questo intervento tramite un cambiamento d’uso.
Il testo vuole anche essere spunto per alcune riflessioni non solo sul restauro del moderno, in particolar modo sul restauro di edifici industriali
dismessi, ma anche sulla figura dello stesso Pietro Ajroldi, professionista
di un periodo che sarà opportuno inquadrare al fine di avere un quadro
più esaustivo della sua opera per lo più sconosciuta.
Da uno sguardo generale della sua produzione e da un’analisi più accurata del sito del Cotonificio Siciliano si tenterà quindi di estrarre quegli
elementi atti alla formulazione di una porosta di progetto di restauro.
Nel 1976 Bernard Tschumi1, evocando in un’immagine di dettaglio di
degrado della Villa Savoye di Le Corbusier scriveva: “la cosa più architettonica che riguarda questo edificio è lo stato di decadenza nel
quale versa. L’architettura sopravvive soltanto là dove annulla la forma
che la società si aspetta da lei. Là dove annulla se stessa trasgredendo
i limiti che la storia le ha posto”.
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Capitolo I
Ogni intervento sul moderno riporta alla ribalta come il dibattito, almeno
in questa fase introduttiva, meriti un breve approfondimento.
Alla luce degli studi e delle pubblicazioni che da diversi anni si susseguono con sempre maggiore frequenza sul tema del restauro del moderno è evidente che l’intervento sull’opera moderna, nonostante la sua
finalità conservativa, manifesta, in modo più marcato rispetto al restauro
tradizionale, una precisa natura progettuale. Essa non si ferma soltanto
a ridefinire un riuso del manufatto architettonico ma investe il ridisegno
di intere parti architettoniche 2. Sempre secondo Sergio Poretti 3:
...l’istanza della conservazione dell’architettura moderna e contemporanea, ha finito
per provocare uno scossone nella cultura architettonica. Nel restauro, teorie, metodi,
tecniche sono chiamate ad una verifica su un banco di prova nuovo. Nel settore della
progettazione ci si interroga sulle presunte differenze tra il progetto di restauro di una
architettura moderna e il progetto di un nuovo edificio. Nel processo di storicizzazione
dell’architettura moderna da qualche anno si è cominciato a lavorare per ricostruire gli
sviluppi interni alla disciplina. Si investiga sui caratteri specifici delle opere; si analizzano, oltre alle poetiche, le pratiche connesse alla progettazione e alla realizzazione.
Gli edifici Moderni, con particolare riferimento agli edifici industriali,
oggetto di questo scritto, sorti inizialmente ai margini delle città, occupano oggi aree divenute più centrali e pertanto impongono una relazione
sul loro possibile riutilizzo, sul recupero, sulla loro manutenzione in considerazione dello stato di degrado in cui essi versano.
Dopo un periodo di oscurità nel secondo dopoguerra, in cui l’urgenza
della ricostruzione allontanò la cultura architettonica dalla riflessione
sulle preesistenze, si assiste oggi ad un rinnovato interesse per gli edifici
industriali, dovuto anche al diffuso fenomeno dello smantellamento
dell’apparato produttivo nelle maggiori città.4
È un fenomeno che interessa il campo dell’archeologia industriale, dove
per archeologia si intende nel modo più convenzionale lo studio di fe-
Il tema della fabbrica
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nomeni e produzioni altamente artistiche e per industriale ci si riferisce
ad esigenze che coinvolgono in maniera minima la sfera dell’estetico.
Secondo Franco Borsi infatti la caratteristica della fenomenologia dell’archeologia industriale è quella della finalizzazione, tutti gli sforzi tendono ad un unico obiettivo. La fabbrica non può essere presa in
considerazione come elemento unico e unitario, come tipologia architettonica o nei suoi meri aspetti storico-tecnologici, ma deve esser vista
come il baricentro di un sistema al quale, per stretta connessione funzionale, appartengono case, strade, luoghi e strutture terziarie, aspetti
paesistici.
Viene quasi a configurarsi una struttura del territorio per la quale è importante la ricerca sull’immagine ambientale e la sua evoluzione.
Già dal 1978 si evidenzia come il problema relativo al nascente campo
disciplinare del restauro del moderno (non ancora identificato con questa
dizione ma come problema dell’archeologia industriale) non si può limitare alla ricerca ed individuazione di singoli temi e alla loro catalogazione5.
Gli esempi di questo dibattito ruotano intorno al problema della finalità
alternativa, che viene denominata riciclaggio, e che esclude l’utilizzo
della destinazione museale se non per casi eccezionali.
Viene evidenziato da più parti come inizia a divenire frequente e necessario il caso delle sostituzioni delle funzioni. Si tratta ancora di soluzioni
legate alla vasta dimensione degli interventi su aree industriali (come
nel caso delle città operaie tedesche) e che puntano ad un restauro economicamente contenuto laddove è possibile.
Il lavora di ricerca che ha condotto alla stesura di questo testo puntava
all’analisi di una serie di problematiche insite nell’area disciplinare del
restauro del moderno attraverso un progetto riguardante un manufatto
appartenente all’architettura palermitana degli anni 50, il Cotonificio Siciliano, costruito a Palermo da Pietro Ajroldi e Franco Gioé nel 1952.
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Capitolo I
L’attenzione del lavoro di ricerca si è indirizzato, visto il tema di progetto, sul restauro degli edifici industriali dismessi e su una serie di temi
ad esso collegati.
Il primo tema che è emerso durante le prime fasi della ricerca è stato
quello della tecnica.
È chiaro come nella maggior parte di casi studio emerga una chiave interpretativa comune, ovvero quella della centralità dell’approccio tecnologico. “Il tema della tecnica nel Movimento Moderno è infatti uno
dei più affascinanti e contraddittori. Se dall’analisi delle fonti emerge
un discorso che è al tempo stesso strettamente tecnico, intellettuale e
metaforico con una pluralità di vedute unificata da una fiducia generalizzata in un “progresso tecnico” capace di imporre la sua legge” 6.
Emilia Garda ben sottolinea come riguardo l’architettura del Movimento
Moderno si conosca molto sulle influenze formali ma ancora poco sugli
aspetti di tipo costruttivo.
A dimostrazione di ciò è da sottolineare come la tradizione storiografica
abbia sempre presentato la Einsteinturm di Mendelsohn a Postdam come
un edificio in cemento armato; in realtà i recenti interventi di restauro
(presenti qui come apparato) hanno portato alla luce come l’edificio sia
un ibrido di tecniche costruttive tradizionali e nuovi ritrovati tecnologici.
Così si esprimeva Alberto Sartoris a proposito delle scelte del Movimento Moderno:
Non scordiamo che i precursori della nuova architettura hanno preteso dalla materia
le sostanziali qualità plastiche intrinsiche alla tecnica, qualità che costituiscono un
rafforzamento delle potenze emotive perché contengono gli elementi essenziali dello
spirito razionalista. D’altra parte, questo spirito elettivo, stillato dal futurismo e dal
funzionalismo, sbocca naturalmente nella sintesi delle arti ed in una architettura che
dovrebbe costituire una presenza in un tempo senza durata.
Il tema della fabbrica
21
Nel 1931 Pagano stesso sottolineava come ci fosse una particolare convinzione che il prodotto industriale fosse sinonimo di perfezione, precisione, pensiero questo avvalorato dalle teorie futuriste che però,
trasformando il sogno in realtà, danno vita ad opere di valore sicuramente innovativo ma sicuramente non preparate a durare nel tempo.
È ben evidenziato in un recente saggio7 come molte delle difficoltà ad intervenire non risultino soltanto legate alla scelta o al comportamento dei
materiali, ma piuttosto a scelte di carattere progettuali e compositive; alcuni
edifici sono ancora legati a tecniche tradizionali, altri invece contengono
dei forti elementi di innovazione; più spesso invece gli edifici presentano
contemporaneamente elementi di tradizione e di innovazione. D’altronde,
come suggerisce Giorgio Bardelli, non è possibile tracciare una netta linea
di demarcazione tra queste due categorie ma è possibile semmai affermare
che, sempre che non si parli di edifici manifesto, vi è una componente tradizionale che permane sulla quale si innesta un intervento innovativo.
Il tema della tecnica è quello che maggiormente lega il tema del restauro
del moderno con gli interventi di restauro di tipo tradizionale (interventi
su edifici storico-monumentali); questo nell’ottica di una necessità di
tracciare un metodo scientifico che vada oltre la soggettività del progetto. Sembra abbastanza evidente come uno dei problemi di maggiore
urgenza sia quello riguardo l’opportunità di translare le istanze operative
e le tecniche applicate nel restauro convenzionale al restauro degli edifici
del Moderno. Questo dibattito si fa particolarmente urgente quando, ad
esempio, si opera con elementi (quali gli infissi) che, per mutate condizioni produttive, non sono più disponibili in commercio. In questo, come
in altri casi, diventa fondamentale un’accurata conoscenza tecnica del
manufatto architettonico8.
Sembra possibile affermare come, fino a quando non si tratta di intervenire su edifici che presentano caratteristiche formali e distributive lon-
22
Capitolo I
tane dalla tradizione, o edifici che non presentano l’uso di tecniche costruttive o materiali mai usati sino ad allora, si possa intervenire attraverso il contributo di conoscenze tecniche, storiche e formali ormai
ampiamente consolidate.
Quando invece si esce da questo territorio per inoltrarsi in quello che
presenta caratteri di novità tecnico-formali-materiali vanno ripensati una
serie di atteggiamenti e di impostazioni finalizzate al progetto.
Ipotizzando quindi che i modi di procedere siano per lo più simili a quelli
degli interventi di restauro tradizionale è chiaro anche come l’iter che
parte dal rilievo per chiudersi con le operazioni di collaudo, deve essere
in qualche modo calibrato sui modi di operare proprio dell’architettura
del Movimento Moderno inteso in tutte le sue accezzioni9.
Questo tema generale ne include altri di carattere tecnico-scientifico e
che possono contribuire ad elaborare una scienza del progetto nei casi
di restauro del moderno degli edifici industriali. Sono temi in un certo
senso ai margini di quelli principali ma che aiutano a far chiarezza sulle
diverse sfaccettature che il restauro del moderno pone a chi si avvicini
ad un edifico o complesso industriale.
Uno è il tema della macchina, o meglio quello che Vittorio Gregotti ben
evidenzia nel suo testo Recinto di fabbrica.
Gli edifici industriali, svuotati della loro operatività originale, vengono
a mancare di una delle caratteristiche fondamentali della loro spazialità:
la presenza delle macchine da lavoro. Enormi macchinari che, come nel
caso specifico in esame, caratterizzavano spazialmente tutto l’edificio.
Nelle fabbriche del Novecento, appare esaltata l’attribuzione delle funzioni a sistemi distinti, quali quello distributivo, quello tecnico-strutturale, o quello tecnologico. Ai fini di un corretto progetto di restauro
(anche indirizzato a un eventuale riuso) di un edificio industriale appartenente al patrimonio edilizio moderno, appare dunque di particolare ri-
Il tema della fabbrica
23
levanza indagare il rapporto macchina-edificio-energia, soprattutto per
quanto riguarda l’integrazione tra la parte meccanica e la parte edilizia.
La scomparsa di questi oggetti, che spesso assumevano il carattere di
vere e proprie architetture lascia spazio ad un altro tema, quello dell’involucro o del contenitore, e del contenuto. Interi complessi, svuotati del
loro ciclo produttivo diventano scatole vuote. Ecco che il restauro si
pone allora, tramite lo strumento del progetto, come ricerca di un nuovo
uso compatibile.
Questi due temi sono particolarmente legati tra loro perché per quanto
la conservazione e il restauro delle architetture della tradizione pongano
al progettista rilevanti problemi filologico - interpretativi, tecnici e compositivi, è indubbio che l’efficacia di un progetto di restauro che abbia
per oggetto un edificio appartenente all’architettura del Novecento si
misura anche nella sua capacità di rispettare la peculiare forma-funzione
tipica di quel manufatto e l’interior design che ne caratterizza gli ambienti. Per certi versi ancora più fragili appaiono le opere degli autori
razionalisti in cui la forma, la funzione e gli arredi si mescolano di solito
a sperimentazioni costruttive e all’uso, talora spregiudicato, di nuovi
materiali dal comportamento poco noto, o dall’utilizzo di accostamenti
insoliti, a volte incongrui, tra materiali noti.
Il tema dell’uso quindi verrà affrontato attraverso l’analisi di due tipologie principali di intervento (descritte negli apparati): il progetto che
trasforma la modalità d’uso e quello che invece lo mantiene inalterato.
L’ altro tema che regola la nascita del sito del Cotonificio è quello del
legame con il paesaggio, o meglio il tema di come l’edificio industriale
alteri, con l’opera erosiva e dissipativa dell’uomo e del tempo, il suo
rapporto iniziale con l’intorno, proprio per la natura insita nell’atto creativo del manufatto architettonico, quella di esser pensato in un contesto
estraneo alla città ma che finisce per essere inglobato da esso.
24
Capitolo I
È un tema che, nel caso del Cotonificio Siciliano si intreccia con il tema
compositivo dell’edificio della grande tessitura, e che evidenzia come
l’intero complesso risponda a precise regole compositive che nel paesaggio incontaminato degli anni ’50 hanno il proprio fondamento.
È un tema che trova le sue radici nella produzione di Ajroldi precedente
all’anno dell’edificazione del Cotonificio Siciliano (1952) e che sottolinea come ancora forti fossero i legami con una tradizione costruttiva e
compositiva che, partendo dallo studio dell’edilizia minore siciliana, voleva rimanere ancorata al paesaggio e al territorio locale, ma al contempo, aveva nel senso di rispetto nei suoi confronti, una spinta verso il
disegno di manufatti che andassero oltre la tradizione.
Vedremo come, questo rispetto del territorio ha, in Ajroldi, radici lontane
che risiedono nei primi progetti per le case littorie così come nelle proposte per i borghi rurali siciliani.
Il tema della fabbrica
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Note
1
Sergio Poretti in Curare il moderno, Marsilio, Venezia 2002
2
“Se, nonostante tale ben definito carattere storico-progettuale, dobbiamo ancora considerare il
restauro come una disciplina autonoma (…) allora però dobbiamo aggiungere che si tratta di
una disciplina particolare: una disciplina che potremmo definire virtuale, che non si colloca accanto alle altre nel quadro epistemologico, bensì si sovrappone, a macchia, sui territori della
storia e del progetto”. Sergio Poretti in op cit.
3
Sergio Poretti, Architettura moderna in Italia, Roma 1999, pag.121
4
Il termine “archeologia industriale” coniato in Gran Bretagna già negli anni ‘60 del secolo
scorso, ha ceduto il passo alla più corretta espressione “patrimonio industriale” che si atta glia
perfettamente al complesso di documenti pervenutici dall’industria nella sua continua palin-genesi tecnologica: paesaggi, edifici, macchine, documenti, tecniche, storie individuali e collettive
e così via. Molti complessi di fabbriche dei due secoli scorsi sono andati ad arricchire la World
Heritage List dell’UNESCO (fra i quali, per l’Italia, il villaggio operaio di Crespi d’Adda).
Numerosi enti e organizzazioni sono nati nei decenni scorsi nell’Europa centro-settentrionale e
negli Usa e, dalla fine degli anni ‘70, anche in Italia (la SIAI, Società Italiana per l’AI., a Milano,
neI 1977 e l’Associazione per l’Al., a Napoli, nel 1978). Al di sopra di tutti è il TICCIH (The
Internatjonal Committee for the Conservation of Industrial Heritage), che svolge un’azione di
divulgazione e di stimolo alla conoscenza ed alla conservazione del patrimonio industriale mondiale. In Italia opera da un paio d’anni l’AIPAI (Associazione italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale) che ha raccolto l’eredità delle disciolte organizzazioni precedenti e che ha
patrocinato, tra l’altro, le iniziative intraprese a Napoli già dalla precedente Associazione e relative alla salvaguardia del patrimonio industriale della città e dei dintorni.
Augusto Vitale, Sull'archeologia industriale, in DOCOMOMO italia giornale, n.13 luglio 2003.
5
“Esiste il problema del restauro, il quale ha evidentemente vari aspetti, secondo l'oggetto di
cui si tratta, che può essere un oggetto architettonico o può essere esclusivamente un elemento
paesistico; e quindi coinvolgere all'interno delle metodologie di restauro un ampio raggio”
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Emilia Garda in Curare il moderno, op.cit pag. 3
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Pier Giorgio Bardelli in Architettura Moderna in Italia, pag. 393
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La specificità della concezione compositiva e tecnica delle architetture del Moderno porta alla
necessità di incrementare il patrimonio di conoscenze sui caratteri strutturali, i materiali, gli elementi costruttivi, al fine di creare una letteratura a guida dell'analisi e interpretazione delle manifestazioni patologiche e a sostegno delle modalità di intervento.
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Secondo il testo di Bardelli il progettista che vuole cimentarsi con un intervento di restauro di
un edificio moderno deve prepararsi ad una serie di sfide:
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Capitolo I
– la sfida che ci viene posta da quegli edifici per i quali l’unica possibilità di conservazione
consiste in un intervento di “recupero radicale” (...)
– la sfida che ci viene posta dalle architetture oggetto di decadimento tecnologico e materico e
per le quali il riconoscimento della individualità del manufatto, del dettaglio, del materiale
originario diviene un mezzo fondamentale per ricomporre semanticamente l’oggetto o almeno
la sua immagine originale.
– la sfida che ci viene posta dai casi singolari costituiti da quegli edifici e da quei sistemi tecnologici che sono divenuti loro stessi una sorta di esperimento.
Il saggio si chiude con l’affermazione che: al di là di tutto l’esperienza porta a constatare che
il progetto più coinvolgente, quello che evoca maggiori responsabilità culturali, per molti aspetti
il più difficile da accettare ma che spesso è l’unico che possa garantire la salvaguardia dell’edificio, è proprio il progetto che prevede l’intervento globale. che coinvolge gli spazi interni,
gli impianti, l’arredo fisso, le opere di finitura per adattarli a nuove funzioni, che coinvolge
anche scelte circa materiali e prodotti. È proprio in questo tipo di progetto che si misura la capacità di salvaguardare comunque i valori del progetto primitivo e dell’oggetto costruito.
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