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Ricordi di una donna: Maria Teresa Di Lascia

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Ricordi di una donna: Maria Teresa Di Lascia
Mariangela Tota
Ricordi di una donna: Maria Teresa Di Lascia
di Mariangela Tota
“Quando faccio una cosa la faccio per bene ...”; questa è una nota espressione
di una persona molto conosciuta, per una cosa fatta molto bene: ovvero un romanzo Passaggio in ombra. Per chi non avesse ancora avuto occasione di leggerlo si
tratta della grande opera di Maria Teresa Di Lascia. Un romanzo bellissimo ricco di
tanti sentimenti come lo era la sua personalità, ma ricco anche di parole e di stile.
Una grande scrittrice, che faceva i conti solo con se stessa e non aveva bisogno del
riconoscimento degli altri, amava le persone e la vita all’estremo e questo è facilmente rilevabile attraverso i suoi anni di lavoro, dal 1988 al 1992; il riconoscimento
lo ebbe comunque, ma troppo tardi, dopo la sua morte, nel 1994.
Nacque il 3 Gennaio 1954 a Rocchetta Sant’Antonio, un piccolo paese in
provincia di Foggia, da Ida Ricciutelli, ostetrica originaria di Fiuminata, vicino
Macerata, e da Leonardo Di Lascia. Secondo i tre fratelli, ha sofferto molto della
relazione instabile dei genitori, che non si sono mai sposati. Particolarmente impegnata sul fronte dei diritti umani e civili all’interno del Partito Radicale, tanto da
fondare la Lega Internazionale “Nessuno tocchi Caino” per l’abolizione della pena
di morte nel mondo entro il 2000. Vinse il premio “Millelire”, in seguito anche il
premio “Strega”, dopo la pubblicazione di Passaggio in Ombra. Quest’ultimo non
rappresenta l’unica sua pubblicazione, ma ci fu Compleanno uno dei quattro racconti, La coda della lucertola, che allora non volle pubblicare, e fino all’anno prima
della sua morte si dedicò alla composizione di un altro romanzo Le relazioni sentimentali, di cui ci ha lasciato solo la prima stesura. La sua attività di scrittrice è legata
alla tematica del femminismo, dell’analisi critica della società, e da un’osservazione
attenta alla psicologia femminile e di quell’intreccio di indifferenza, egoismo e solidarietà, che regola i rapporti tra gli individui nelle città del mondo. Si spense in
Roma, città che l’aveva conosciuta attraverso il suo impegno politico, a soli quarant’anni colpita da un cancro che l’annientò in poche settimane. Maria Teresa Di
Lascia alla sua morte, dunque, ha svelato un segreto che pochi conoscevano: la scrittura, la sua scrittura ricca della sua ricchezza d’animo.
Nonostante le altre pubblicazioni, Passaggio in ombra rimane il suo capolavoro. In questo romanzo si dà grande spazio alla figura femminile, le donne sembrano artefici delle conseguenze che si verificano. La donna è rappresentata nel suo
coraggio e nelle sue debolezze, nella sua ingenuità e nella sua scaltrezza, ogni donna
ha un ruolo e ogni donna aiuta l’altra, così le vicende si incarnano in altrettante
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figure femminili. Si crea dunque una netta separazione tra il genere femminile e
quello maschile molto evidente, in cui dimostra, nonostante le sconfitte, una superiorità assoluta del genere. Questa superiorità è facilmente rilevabile, soprattutto in
una parte del romanzo, quando Anita, Giuppina, e Chiara, tre personaggi di Passaggio in ombra, si scambiano un segreto, e decidono di non doverne parlare con
nessuno. Un segreto mantenuto per molto tempo, anche da parte della protagonista Chiara, seppur bambina, ma ritenuta tanto grande da essere capace, di poter
essere a conoscenza di un segreto. Questa è una capacità forse surreale, per una
bambina, in quanto la loro natura è così delicata e ingenua, da non essere tanto abili
a mantenere segreti tanto importanti, per molto tempo, senza non doverne mai
parlare, ma allo stesso tempo, ci appare come un una regola di educazione imposta
dalla mamma e dalla zia Giuppina, alla quale la piccola Chiara debba ubbidire. Attraverso questo momento del romanzo, l’autrice sembra voler comunicare ancora
una volta la superiorità della donna, data dalla capacità di mantenere il segreto: il
segreto dell’anima. Difatti, l’animo umano femminile è paragonato al fondo di un
oceano, di cui difficilmente si tocca il fondo. La capacità di mantenere un segreto,
per le donne nel romanzo, ancora una volta, sottolinea la superiorità delle donne
rispetto agli uomini, come per esempio il personaggio, Francesco D’Auria, è presentato come un uomo superficiale e povero d’animo: Un personaggio odioso e
insopporatabile, un certo Francesco D’Auria [ ...].1
Appartiene a Chiara la voce narrante: è lei a dipanare i fili della storia complessa e meravigliosa. Così protagonista femminile assoluta è Chiara, prima una
bambina di appena tre anni, poi una donna, a raccontarci attraverso il ricordo dell’autrice, la storia di una vita. Pertanto la narratrice è Chiara, ma in due momenti
diversi: l’infanzia e la maturità. Questi due momenti, ci impongono la divisione del
romanzo in due altri grandi romanzi. Il primo, in cui Chiara è una bambina, e racconta dal suo punto di vista, meglio dire attraverso gli occhi di un bambino, (questa
massima è tratta dal grande capolavoro di Saint- Exupéry Le Petit Prince), i rapporti che ha con suo padre Francesco, ritrovato dopo tre anni dalla sua nascita, il rapporto con sua madre Anita, le prime ingiustizie che la vita le propone, fino a combattere con la speranza che un giorno i due genitori possano sposarsi e quindi vivere in una felice e normale famiglia. Sperare risulterà invano e da parte sua, ma soprattutto da parte di sua madre, dopo il ritorno del suo amore giovanile, ella,
nonostante il dolore che Francesco in gioventù le procurò, ricomincia ad amarlo,
credendo come una giovane fanciulla ingenua nel loro sentimento, basato su incontri avuti per via della figlia Chiara, incontri di momenti deboli e non cercati, soprattutto da Francesco D’Auria. Nel secondo romanzo, invece, troviamo Chiara, sempre narratrice e protagonista, ma quasi donna, alle prese con nuove decisioni e sentimenti tipici della sua età, quella di una giovane fanciulla, che s’innamora del cugino bastardo, Saverio, una relazione difficile per via del rapporto di parentela che li
1
Giuseppe DE MATTEIS, Istanze della narrativa italiana contemporanea, Foggia, Leone Editrice, 2002,
p. 75.
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lega, come lo definisce l’autrice stessa, il rapporto di parentela più lontano, ma allo
stesso tempo così vicino da non poter permettere la loro unione. Il romanzo risulta
essere un vero intreccio di personaggi e di temi e di sentimenti, grande è la capacità
della scrittrice nel rielaborare flash-back e ricordi della sua vita, riproducendoli
come racconti immediati della bambina, così sembra proprio che essa racconti e ci
sia qualcuno che scriva la storia al suo posto. Esattamente quello che avviene nel
romanzo, quando sua madre Anita decide di scrivere al padre di Chiara, Francesco,
in prigione. Accade proprio che la donna scrive al posto della bambina, perché
incapace ancora di farlo. La descrizione dei ricordi della vita dell’autrice attraverso
il personaggio di Chiara ci permette di ritenere e considerare questo romanzo autobiografico, rilevandoci le sensazioni di una bambina che è divenuta ormai donna, i
suoi pensieri oramai pensati e ragionati e vissuti in modo diversi; da bambina e da
donna.
In un certo senso, la Di Lascia non rinuncia mai a narrare e a narrarsi, proprio perché non rinuncia mai a credere in quella splendida cosa “inutile” che è la
scrittura, e la investe di sé e delle sue emozioni più segrete. Un grande momento di
riscoperta del passato. La storia di una famiglia allegra, litigiosa, caotica e del suo
linguaggio. Un romanzo-diario, un best-seller, per la imprevedibile ricchezza della
quotidianità che trasmette i gesti e i momenti insignificanti, ma capaci di rivelare
tutto il mondo.
Tutta la storia è ambientata in un piccolo paese del Sud, Rocchetta Sant’Antonio, un paesino della Capitanata, dove vi è ancora grande difficoltà nel rispetto
dei rapporti umani, così pettegolezzi, dicerie, calunnie, maldicenze, sono cause di
eventi, che diventano eventi dovuti. Un paese di provincia del Sud, in cui ci si riscontra davanti a tante difficoltà, non solo di carattere economico, ma innanzi tutto
di una condizione sociale, dove si sogna la vita della città, ma si ha anche molta
paura della ricchezza e della grandezza che la città stessa offre. Così i tentativi di
migliorare il paese e di avvicinarlo alla vita della città risultano fallimentari (si veda
l’episodio della truffa avvenuta al consorzio agrario).
I messaggi e i temi che la scrittrice affronta sono davvero tanti e in modo assai
sottile riesce a trasmetterli. La noia, la solitudine, la partenza, l’amore in tutte le sue
sfaccettature, l’onestà, la condizione femminile, l’ipocrisia, l’illusione, la religione,
l’istruzione, la decadenza dei valori morali e tanti altri che si generano intrecciandosi tra loro.Tutti questi temi sono tipici di numerose scrittrici del secolo; bello e
interessante è capire in che modo esse affrontano gli stessi problemi e quindi
tematiche in modo originale e singolare. Elsa Morante è una di esse, sicuramente
più conosciuta; è considerata una delle madri della Di Lascia. Anch’essa affronta il
tema della famiglia2 in Menzogna e Sortilegio: si narra la storia di una famiglia, in
prima persona, di una giovane donna. Dall’inizio alla fine il romanzo è governato
2
Antonella IACOBBE, La condizione femminile nella società e nella letteratura italiana dal ‘600 al ‘900,
dispensa per fine didattico, Università degli Studi “G. D’Annunzio”, Pescara, Dipartimento degli Studi Comparati, 2002.
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dal dubbio, e quindi protagonista principale è la menzogna. Da qui, la scelta della
narratrice, di scrivere e raccontare la storia della propria famiglia come atto
liberatorio, lo scrivere la libera dalla menzogna, solo attraverso la scrittura la narratrice si sente libera dai mostri che popolano la sua realtà. Se solo ci fermassimo qui,
a queste parole, le due autrici ci sembrerebbero uguali, ma ciò che affascina di ognuna
è la loro personale analisi, visione del mondo e di come affrontano gli stessi temi
con grande originalità. Un’altra grande scrittrice a cui la Di Lascia fa riferimento è
Lalla Romano. Quest’ultima utilizza la scrittura “per entrare nelle vite degli altri”,
anch’essa studia il quotidiano, il privato, sempre in relazione tra di loro, un continuo parallelo confronto, con il mondo. Ciò che accomuna le tre scrittrici, non sono
solo i temi che analizzano e affrontano, ma è la sensibilità femminile che caratterizza l’intero secolo. Dunque, una riscoperta di una nuova cultura letteraria aperta al
popolo, una nuova passione legata alla riscoperta della propria storia, e propria
identità, trasmettendo attraverso la scrittura la voce di donna, a non rassegnarsi mai
di lottare per i propri ideali.
Tutta la storia di Passaggio in Ombra, come già detto, è ambientata in Puglia,
in un piccolo paese: Rocchetta Sant’Antonio. La storia si svolge in questo piccolo e
poco noto paesino. Perché l’autrice ha scelto proprio il suo paese nativo come luogo dei suoi racconti di vita? Ritengo questa scelta, una sorta di regionalismo. Un
regionalismo puro e vero, e per il luogo e la fedeltà di quest’ultimo e per l’utilizzo
dei costumi e modi di pensare tipici del posto in cui è difficile ritrovarsi, ma che
senza dubbio ha saputo riprodurli esattamente. La parola regionalismo ci fa pensare a un grande autore della letteratura inglese, Thomas Hardy. Anch’egli colloca
tutte le sue storie in una regione ben precisa che è il Wessex. Egli colloca, dunque le
sue storie e ne descrive il paesaggio tanto da creare un rapporto di movimento tra i
suoi personaggi e il luogo. In Passaggio in ombra, invece, il paesaggio, la natura,
non sono descritti, noi non conosciamo i luoghi se non attraverso i movimenti o
sentimenti che i personaggi vivono. Non conosciamo il tipo di natura che si trova lì,
se non attraverso l’episodio del consorzio agrario, esattamente quando Francesco
D’Auria, responsabile del consorzio, decide di allestire una fiera di grano, in cui
verrà poi scelto un vincitore. Solo in questo momento, siamo giunti a conoscenza,
che lì, in quel di Rocchetta si coltiva grano, ma nonostante ciò, non vi è nessuna
descrizione della natura circostante, del paesaggio, di come le abitazioni dei singoli
personaggi siano collegate tra loro. Solo rari avverbi ci permettono di quantificare
ogni tanto la distanza che li separa. Pertanto, l’assenza di descrizione del paesaggio,
non ci permette di immaginare durante la lettura e quindi ci conduce ad un’attenzione maggiore degli avvenimenti. Tutta questa inesattezza e imprecisione nella
descrizione, allo stesso tempo, ci trasmette imprecisione di ricordi di un passato
difficile. In questo modo, il paesaggio risulta immutabile, l’unico movimento che si
avverte è dato dai viaggi che i protagonisti fanno, per scappare dalla triste e cupa e
monotona vita del paese. Tutto è fermo, come la brughiera di Hardy, e il tempo non
è capace di cambiare nulla, neanche la natura. In tutti e due gli scrittori, evidente è la
differenza tra la città e il paese di provincia; questa differenza rappresenta il rappor56
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to tra passato e futuro, tra il progresso e una condizione sociale arretrata. Risulta
fondamentale la dimensione del tempo che comporta la contaminazione di presente e passato e riflette il fluire interrotto. Nel romanzo della Di Lascia si avverte un
forte pressione, una voglia di andar via da quel luogo chiuso in se stesso e ottuso.
Anche in Hardy c’è la voglia di evadere, questa voglia di andar via la si può rilevare
nel romanzo Il ritorno del nativo, oppure in alcuni brani di Wessex Tales. Proprio
nel primo, nella figura del protagonista, Clym Yeobright, il progetto è quello di
portare progresso e istruzione tra gli abitanti della brughiera di Egdon, nel momento in cui egli decide di ritornare al suo paese nativo. Tutto il progetto è seguito dalla
contraddizione dello stesso protagonista, che ritorna al suo paese natale, dove la
realtà è immobile e resterà immutata per secoli. Tutto alla stesso modo è vissuto in
Passaggio in ombra, dove per tre generazioni le vite di quegli uomini sono intrecciate e continuano ad intrecciarsi, e alla volontà di fuggire e andarsene via, si contrappone la forza centripeta di restare, di ritornare e di vivere quella realtà, così
tanto ottusa e fastidiosa, fino a dover fare i conti con i parametri e i modi di pensare
e del Sud e di quel tempo, risultando trattenuti da quella realtà provinciale. In questo, differenti i due autori, Hardy, in un certo senso non ha dovuto rappresentare o
descrivere le difficoltà appartenenti ad un’epoca diversa o quasi; essendo un
vittoriano ha essenzialmente rappresentato al meglio i parametri che quell’epoca
aveva, facendo risultare la sua narrativa intrisa di dubbi, inquietudini e umori contrastanti. Dunque, il dubbio caratterizza il periodo vittoriano, invadendo silenziosamente la vita dell’uomo, in modo diverso. Anche la vita dei personaggi della Di
Lascia è un dubbio. I suoi personaggi si costruiscono da soli, secondo il cosiddetto
caso fortuito, che è della vita. Raramente e difficilmente cambiano o cercano di
cambiare o migliorare il loro destino, ma lo abbracciano pienamente in tutte le sue
forme in cui esso si presenta, dimostrando di non voler crescere e sembrando a
volta ciechi di fronte a situazioni evidenti. Da qui, il grido dell’autrice a non abbandonarsi passivamente, ma a combattere e raggiungere i propri obiettivi. Tutto, però,
non fa altro che provocare nel lettore sentimenti alternati, si passa da sentimenti
tristi, di compassione, a quelli di sorpresa e di felicità tutti vissuti, anche dalla protagonista bambina Chiara, senza nessun velo di protezione. Se il romanzo risulta
essere un’ombra, un dubbio, un’incertezza, per Chiara i sentimenti e le emozioni
che prova nel corso della sua vita non sono mai protetti dall’ombra che protegge il
lettore, tutto è esplicito, sin dalla giovane età. A questo punto il romanzo è suddiviso ancora una volta in altre due sottoparti: il dubbio e la verità. E il dubbio e la
verità sono intrecciati tra loro in modo così naturale, da creare sentimenti alternati
per il lettore, poiché evidente è la differenza di come Chiara descrive la sua vita
secondo i ricordi e quindi secondo la sua sensibilità, e di come il lettore sta a quello
che racconta, conoscendo contemporaneamente lo sfondo che regola la storia. Questa
alternanza di sentimenti che la protagonista vive e ci comunica crea nel lettore una
grande agitazione e allo stesso tempo grazie allo stile della scrittura fa rivivere o
meglio vivere i sentimenti al lettore in modo naturale e diretto.
In questo modo sembra non voler tutelare l’ingenuità e la semplicità di una
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bambina tanto da trasmettere quelle che sono impressioni, considerazioni, soluzioni di una donna adulta.
Di conseguenza il romanzo sembra autobiografico, perché la protagonista
Chiara ricorda e descrive ciò che avviene, pertanto il fittizio che c’è, non viene
percepito direttamente dal lettore. L’intento dell’autrice non è quello di scandalizzare né tanto meno di scaricare tardivamente la coscienza, ma parlando della
concretezza dei sentimenti ci dà il vero nome delle cose. La storia inizia con la
descrizione della perdita di ciascun membro della famiglia, così il punto di partenza risulta la solitudine della protagonista, il silenzio in cui Chiara si trova a
vivere, e allo stesso modo, il romanzo termina con un sentimento di solitudine,
con grande silenzio. Una protagonista avvolta nel silenzio, dall’inizio alla fine, e
difatti inizio e fine vivono uno nell’altro seguiti poi da un’espressione: “forse”,
un dubbio, una incertezza del futuro un completo dubbio della vita che alla fine
la scrittrice dichiara in modo esplicito, ma facilmente comprensibile attraverso la
lettura del romanzo.
[….] Forse riceverò ancora qualche lettera da Titina rivedrò la mia balia Rosina;
forse incontrerò mio padre e ci arrenderemo a un sorriso.
Forse, mi dico, forse.3
Sì, il dubbio accompagna la protagonista e gli altri personaggi, ed è sempre
presente, dall’incertezza di poter conoscere un giorno suo padre, a quella della madre
il giorno del suo matrimonio, fino alla fine in cui lei dichiara se un giorno mai
rivedrà suo padre e forse ad un sorriso si arrenderanno, ma sempre forse. Se la vita
sia attraversata dal dubbio, qui il romanzo sembra dimostrare proprio questo, sembra che i personaggi non prevedano nessun momento, nessun’altra azione di alcuno, ma si fermano all’azione del presente; in effetti, forse è una coincidenza, ma
anche i tempi utilizzati dall’autrice sono il passato e il presente; raramente utilizza il
futuro se non per cose ovvie o per sogni, il sogno: unica via d’uscita da parte dell’uomo per sfuggire ad una realtà troppo avversa e difficile da governare.
In questo modo, il tempo letteralmente e grammaticalmente parlando diventa anch’esso un personaggio del romanzo, responsabile dello svilupparsi delle azioni, ma anche necessario e indispensabile per i personaggi, è una speranza che è contemporaneamente dubbio e incertezza.
Ai personaggi presenti corrispondono delle tematiche ben precise, così nel
racconto ne individuo alcune:
Disgregazione familiare: Chiara, una bambina di appena tre anni, si trova
ad affrontare la vita solo in compagnia di sua madre; più tardi scoprirà la presenza
saltuaria, e poco significativa del padre. Grande punto di riferimento per quest’ultima, è rappresentato dalla sua balia Rosina e dalla sua famiglia unita, che spinge e
3
Maria Teresa DI LASCIA, Passaggio in ombra, Torino, Feltrinelli, 1995.
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invoglia la protagonista alla speranza di avere un giorno una famiglia unita come la
sua.
Amore infranto, amore sofferto, amore falso, amore giovanile: l’amore è
rappresentato in tutte le sue sfaccettature, quello di Anita e Francesco, il loro primo
amore giovanile basato solamente sulla passione che investe i giovani; più tardi,
anzi dopo molti anni, l’amore tra i due ritorna, ma subito è infranto, così si avverte
la sofferenza di Anita, invano la speranza di poterlo riavere, e la fuga disperata di
Francesco, e la sua ricerca di altre donne, qualunque esse siano; importante è la
soddisfazione sessuale, non più un amore quindi, ma una relazione basata sul bisogno fisico. Poi c’è l’amore falso, ricco di bugie, che devono proteggere un sentimento passato, ma vissuto intensamente; si tratta dell’amore vissuto da Giuppina,
che ha sposato un altro uomo, non quello con cui ha avuto una relazione di sentimento vero, da cui è nato un figlio, che poi fu costretta ad abbandonare. L’amore
giovanile, i primi palpiti di Chiara adolescente, dimostra l’ingenuità e la felicità di
una giovane alle prese dell’innamoramento, basato su gesti di follia, pur di incontrarsi con l’amato.
La solitudine: condizione che molti personaggi, prima o poi, si trovano ad
affrontare; è evidente sia all’inizio che alla fine, che Chiara non fa altro che conviverci, sembra che essa sia la sua anima, è sempre con lei. Anita, anche lei, una donna
sola, costretta dal destino, una figlia in solitudine.
L’amicizia: è rappresentata pienamente da don Vittorio, che spesso supplicava Anita e la sua bambina, a trascorrere qualche giorno di vacanza presso la sua
famiglia.
Ricerca del lavoro: problema attualissimo, qui è affrontato da Francesco;
notevoli sono le strategie per ottenere un lavoro, infatti alla fine in quella società in
cui è difficile impiantare e portare una novità, si realizzerà, ma il tutto è connesso
con un altro grande tema, il seguente.
La giustizia: l’episodio del consorzio agrario dimostrerà l’ottusità della popolazione del paesino, che condurrà Francesco in prigione.
Per concludere, questo romanzo ci comunica quelle che sono le abitudini, le
emozioni, le scelte, le decisioni, e i sentimenti, in poche parole la vita di ogni giorno, attraverso il racconto dei ricordi di Chiara.
Non bisogna considerarlo un romanzo facilmente componibile da chiunque,
ma la sua grandezza sta proprio nella sua difficoltà di composizione data dall’alternanza dei momenti della vita di Chiara, la sua vita di bambina, la sua vita di fanciulla e di donna, che vanno ad intrecciarsi con la crescita degli altri personaggi, fino a
raggiungere il momento finale della vita terrena, la morte. Ecco che ancora una
volta la necessità del tempo che oltre ad accompagnare Chiara nei ricordi e i personaggi stessi, accompagna noi fino alla fine della lettura.
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BIBLIOGRAFIA
MARIA TERESA DI LASCIA, Passaggio in ombra, Torino, Feltrinelli, 1995.
GIUSEPPE DE MATTEIS, Istanze della narrativa italiana contemporanea, Foggia, Leone Editrice, 2002,
ANTONELLA IACOBBE, La condizione femminile nella società e nella letteratura italiana dal ‘600 al ‘900, dispensa per uso didattico, Pescara, Università degli Studi
“G. D’Annunzio”, 2002.
J. E. HAVEL, La condizione della donna, Editori Riuniti, 1962.
TERESA LABRIOLA, I problemi sociali della donna, Bologna, Zanichelli, 1918.
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