i fondi comuni e l`approccio multimanager: modelli a confronto
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i fondi comuni e l`approccio multimanager: modelli a confronto
ARTI GRAFICHE APOLLONIO Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Guido ABATE I FONDI COMUNI E L’APPROCCIO MULTIMANAGER: MODELLI A CONFRONTO Paper numero 80 Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814 e-mail: [email protected] Novembre 2008 I FONDI COMUNI E L’APPROCCIO MULTIMANAGER: MODELLI A CONFRONTO di Guido ABATE Indice 1. L’approccio multimanager................................................................. 1 1.1. Perché diversificare tra gestori: le basi teoriche........................... 1 1.2. La definizione del multimanager approach.................................... 2 1.3. L’implementazione dell’approccio multimanager ......................... 2 1.4. L’integrazione della gestione attiva e passiva ............................... 4 1.5. I modelli multimanager .................................................................. 6 2. Correlation-adjusted performance: l’M3 di Muralidhar................. 7 2.1. Risk-adjusted performance............................................................. 7 2.2. L’impatto della TEV sullo scoring dei fondi .................................. 8 2.3. Fortuna contro abilità .................................................................... 8 2.4. Correlation adjusted portfolio........................................................ 9 2.5. Misurare l’abilità del gestore: CAP vs. IR................................... 11 2.6. L’implementazione dei portafogli multimanager nel modello M3 13 3. Il modello di Baierl e Chen ............................................................... 14 3.1. L’obiettivo degli investitori .......................................................... 14 3.2. Il problema degli investitori ......................................................... 14 3.3. Un esempio d’implementazione di un portafoglio multimanager con il modello di Baierl e Chen................................................................ 16 3.4. Una variante: il modello di Scherer............................................. 18 4. Analisi empirica................................................................................. 19 4.1. Le problematiche fiscali nell’analisi dei fondi italiani ................ 19 4.2. Le caratteristiche del campione e dei benchmark........................ 20 4.3. La composizione del campione..................................................... 22 4.4. Il modello multimanager di Muralidhar: analisi empirica .......... 23 4.5. Il modello multimanager di Baierl e Chen: analisi empirica ...... 25 4.6. Il confronto delle performance..................................................... 31 4.7. Conclusioni................................................................................... 32 Bibliografia............................................................................................. 34 Sitografia ............................................................................................. 36 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto 1. L’approccio multimanager 1.1. Perché diversificare tra gestori: le basi teoriche Gli investitori in fondi comuni attivi sono soliti pagare delle commissioni per il sovrarendimento che i gestori dichiarano di poter generare rispetto ad un investimento passivo puramente indicizzato. Questo approccio, se seguito pedissequamente, può però portare ad asset allocation subottimali. Infatti, come dimostrato con brevi passaggi algebrici dal prof. William Sharpe nel 1991, il tracking error (TE) 1 medio dei gestori attivi, al netto delle commissioni, è inferiore a zero. 2 Alla luce di questo fatto, lo scopo del presente studio è di comprendere se, a seguito di un’accorta selezione dei fondi e dell’allocazione degli investimenti sulla base di modelli matematici, sia possibile ottenere un rendimento corretto per il rischio superiore al mercato. Infatti, lo stesso Sharpe lascia aperto uno spiraglio all’active management: se, appunto, in media i gestori non recano un valore aggiunto rispetto ad un investimento passivo, d’altro canto è pur possibile che alcuni di loro possano generare tracking error positivi e persistenti. Quindi, se sono stati selezionati i migliori gestori e i loro tracking error, frutto delle abilità dei singoli team di gestione, sono sufficientemente diversificati, la scelta di investire in più fondi differenti può portare a dei benefici in termini di maggiore information ratio 3 di portafoglio: n 1 ∑ nTE IR = i =1 n ⎛1⎞ i = 2 ∑ ⎜⎝ n ⎟⎠ TEV 2 TE TEV n i =1 In altri termini, all’aumentare del numero di fondi n, l’IR cresce in ragione della radice quadrata di n. 1 Si definisce tracking error la media dei differenziali di rendimento tra un fondo e il relativo benchmark. 2 Sharpe (1991). 3 Si definisce information ratio il rapporto tra il tracking error di un fondo e la volatilità di tale scostamento, nota come tracking error volatility (TEV). 1 Guido Abate 1.2. La definizione del multimanager approach L’approccio multimanager applicato all’investimento in fondi comuni consiste in una metodologia volta a migliorare l’efficienza di portafoglio attraverso la diversificazione tra gestori, con il vincolo di assicurare uno scostamento ridotto dagli obiettivi definiti in sede di asset allocation strategica. Va notato che il multimanager approach non si limita alla semplice diversificazione “fisica” dei gestori. Al contrario, è necessario che questo approccio fornisca dei concreti benefici in termini di: 1. diversificazione tra asset class; 2. diversificazione di giudizio; 3. diversificazione per stili di gestione 4 . La logica sottostante a questa diversificazione si basa sull’ipotesi che nessun gestore possa fornire tracking error statisticamente significativi e persistenti se esegue le sue previsioni su qualsiasi tipo di asset class: è quindi necessaria una specializzazione e, al contempo, una diversificazione tra gestori, allo scopo di ridurre la volatilità dei sovrarendimenti, nell’ipotesi che questi ultimi siano incorrelati tra loro. D’altro canto, un portafoglio dato in gestione a terzi introduce una nuova fonte di rischio: il rischio di giudizio, derivante dalle scelte del gestore, dalle sue view, dalla sua coerenza, dalla sua tempestività ed efficienza. Di conseguenza, è auspicabile che questo nuovo tipo di rischio sia più contenuto rispetto ai benefici che si intendono ottenere. L’approccio multimanager è inoltre ben distinto dal multiasset, ossia la costruzione di portafogli diversificati su più asset class che prevede l’assegnazione di ogni comparto d’investimento ad una specifica società di gestione. Allo stesso modo differisce da un portafoglio multistyle, che invece, per ogni comparto, assegna uno specifico mandato per ogni stile di gestione identificabile in un dato mercato (ad esempio: large-value, largegrowth o small cap). Una gestione multimanager contempla l’impiego contemporaneo di questi due approcci, assegnando quindi più mandati allo scopo di diversificare il rischio di giudizio. 1.3. L’implementazione dell’approccio multimanager La classica costruzione top-down di un portafoglio prevede la misurazione dei rendimenti delle varie classi di attività, la stima della matrice di varianza-covarianza dei rendimenti stessi, l’identificazione della 4 Sharpe (1981). 2 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto frontiera efficiente e infine la scelta del portafoglio ottimo, coerente con l’avversione al rischio dell’investitore. Nel multimanager approach, invece, il processo di costruzione del portafoglio prevede nella sua prima fase proprio la definizione dell’asset allocation strategica e, quindi, la definizione della strategia d’investimento da implementare, coerentemente con il profilo di rischio dell’investitore. Solo in seguito viene effettuato il processo di selezione dei fondi, affiancato dalla diversificazione tra gestori, asset class e stili di gestione. Una conseguenza della prospettiva appena indicata è che il responsabile della selezione dei fondi, cui affidare la gestione del portafoglio, è collocato a valle rispetto al comitato di asset allocation, che, al contrario, ha un ruolo di primo piano. Dovendo poi scegliere un paniere di fondi, non è possibile selezionarli singolarmente, mentre è necessario ricorrere all’ottimizzazione di una predefinita funzione obiettivo, che dia come risultato l’allocazione corretta. In termini di stile di gestione, il multimanager approach è nato appunto per combinare in modo efficiente sia gli investimenti attivi, nei quali il gestore ribilancia il portafoglio frequentemente in base alle proprie view, sia gli investimenti passivi, nei quali invece è prioritaria la replica dell’indice di riferimento, in un’ottica che spesso può ricordare l’approccio core-satellite. Proprio a causa della presenza di gestori attivi, è necessario tenere in considerazione e ottimizzare il trade off che si viene a creare tra l’extrarendimento attivo (active return) e il suo rischio attivo (active risk). Le logiche di ottimizzazione che tengono conto congiuntamente di questi due fattori sono basate su modelli dinamici. Al contrario, i modelli statici hanno come obiettivo quello di minimizzare la distanza tra l’asset allocation effettiva e quella target. Al fine di implementare un portafoglio multimanager è necessario concepire un modello ibrido, che contempli le caratteristiche di entrambi gli approcci appena descritti e per il quale sono necessari i seguenti dati 5 : 1. il vettore τ dei active return (tracking error) attesi; 2. il vettore σ degli active risk (tracking error volatility) attesi; 3. la matrice C delle correlazioni tra gli active return attesi (va però notato che, poiché è probabile che le abilità dei gestori siano indipendenti, le correlazioni possono essere ipotizzate pari a zero); 4. la matrice A contenente l’esposizione dei fondi a determinati benchmark. 5 Come evidenziato da Paolo Antonio Cucurachi nel capitolo “La performance attribution all’interno di portafogli multimanager” in Braga, Cucurachi (2005). 3 Guido Abate Al fine di mantenere un’asset allocation che non si discosti dalla composizione di portafoglio target, deve essere introdotto il seguente vincolo: A×w=b con: w = vettore dei pesi assegnati ai fondi; b = vettore dei pesi del portafoglio target. In assenza di tale vincolo, si rischierebbe di avere un portafoglio sbilanciato, con un forte misfit rispetto a quanto richiesto dall’investitore. Con il termine “misfit” si intende la discrepanza tra il benchmark specifico al quale il gestore si attiene e il policy benchmark, ossia il target scelto per l’asset allocation strategica6 , con il rischio che la performance del portafoglio sia superiore rispetto a quella del benchmark a causa di una sovraesposizione su dati settori invece che in seguito al tracking error generato dal gestore. 1.4. L’integrazione della gestione attiva e passiva Le principali scuole di pensiero sull’impiego della gestione attiva sono fondamentalmente due: la prima sostiene che la conduzione di una gestione attiva nella scelta degli strumenti finanziari all’interno di ogni asset class permetta di ottenere delle sovraperformance rispetto al benchmark e ripaghi gli investitori per le commissioni addizionali pagate e l’ulteriore rischio sopportato; la seconda ritiene invece che sia preferibile l’impiego di fondi passivi e concentrarsi solamente sull’individuazione dell’asset allocation ottimale. Tra i vari contributi scientifici sul tema, lo studio di Eugene Flood Jr. e Narayan Ramachandran 7 presenta una serie di analisi empiriche e giunge a conclusioni molto interessanti. In primo luogo, essi notano l’esistenza di asset class, come le obbligazioni a medio termine, nelle quali battere il benchmark è sensibilmente più difficile. Ciò è dovuto alla maggiore efficienza di alcuni mercati o segmenti di mercato. Nel caso di efficienza minore, come in alcuni mercati azionari, è invece possibile ottenere degli active return, ma al costo di un maggiore active risk. La conseguenza pratica di quest’analisi è che nei segmenti, come l’obbligazionario, dove una gestione attiva non porta sensibili vantaggi, sia preferibile applicare un’ottica d’investimento passiva o, al massimo, di enhanced indexing. Quest’ultima strategia consiste 6 7 Braga, Carluccio (2003), pag. 230. Flood, Ramachandran (2000). 4 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto nella creazione di linee di gestione che mirano a superare l’indice in misura ridotta, ma garantendo limitate underperformance rispetto al benchmark, poiché si discostano di poco dai pesi dell’indice di riferimento e si impongono limiti massimi di rischio. Si noti che quanto è stato indicato da Flood e Ramachandran è in pieno accordo con la cosiddetta “law of active management”, esposta da Grinold e Kahn nel loro classico “Active Portfolio Management” 8 , secondo la quale l’information ratio atteso di un fondo dipende da due fattori: 1. l’information coefficient (IC), che indica l’abilità posseduta dal gestore e coincide con la correlazione tra il risultato previsto e quello effettivamente ottenuto; 9 2. lo scope (o breadth, BR), che indica con quanta frequenza il gestore può trovare sul mercato opportunità per la gestione attiva. 10 Si può quindi dimostrare che: IR = IC × BR . Gli autori formulano un’ulteriore osservazione empirica: le performance dei gestori attivi sono soggette a cicli che presentano periodi positivi e negativi nel raffronto col benchmark di riferimento. Le cause di questi cicli sono da trovare nelle cosiddette “active levers”, ovverosia le leve gestionali dei manager attivi: il market timing, lo stile (growth, value, blend), il grado di capitalizzazione, i settori in cui investire, la selezione di singoli titoli. La considerazione di queste leve permette di effettuare dei cambiamenti nel mix gestori attivi/passivi nel medio periodo proprio al fine di migliorare la performance totale di portafoglio, puntando sui gestori attivi nelle fasi del ciclo favorevoli per le “active levers” e orientandosi su gestori passivi negli altri casi. La terza e ultima osservazione empirica riguarda i casi in cui, nel breve periodo, alcune performance vanno molto al di sotto della soglia del benchmark di riferimento. Se l’abbassamento delle performance diventa inaccettabile al di sotto di una certa soglia, utilizzando una strategia dinamica è possibile stabilire a priori un livello delle performance cumulate per un dato periodo di tempo, solitamente non superiore all’anno. Se la somma cumulata degli extra-rendimenti scende al di sotto di tale livello si passerà ad una gestione indicizzata per il resto del periodo temporale in considerazione. Se, al contrario, le performance cumulative restano al di 8 Grinold, Kahn (1999), pagg. 148-150, pagg. 166-168. L’IC ha un valore compreso tra 0 e 1; più è elevato, più le previsioni del gestore si avvicinano ai valori effettivi. 10 Indica il numero di previsioni, tra loro indipendenti, relative a rendimenti eccezionali fatte durante un dato arco temporale (ad esempio, un anno). 9 5 Guido Abate sopra della soglia prefissata, la strategia precedentemente adottata rimane invariata. In altri termini, gestori attivi possono applicare una strategia adatta al conseguimento di sovraperformance durante i periodi che si ritengono favorevoli al loro stile di gestione, tentando così di bilanciare eventuali risultati negativi. In alternativa possono applicare una strategia che gestisca il rischio tramite l’assunzione di una bassa tracking error volatility. Nessuno di questi due metodi, in ogni caso, permette di raggiungere gli obiettivi nel breve periodo ma solo su un orizzonte temporale sufficientemente lungo. L’impatto della fissazione di una soglia minima è abbastanza chiaro rispetto al rischio, poiché la tracking error volatility viene ridotta da una strategia passiva che, per definizione, non può aggiungere ulteriore volatilità relativa. L’influenza creata sui rendimenti è invece molto meno chiara a priori, poiché se da un lato la scelta di una soglia può evitare il peggioramento della situazione, d’altro canto tale scelta può impedire di beneficiare di possibili future extrarendimenti positivi generati dalla gestione attiva. Di fatto, la soglia prefissata deve essere individuata in base alla tolleranza al rischio dell’investitore. 1.5. I modelli multimanager Sulla scorta di quanto esposto, si può quindi ritenere che la formalizzazione matematica dei problemi di asset allocation tra gestori sia un interessante oggetto di studio, avente lo scopo di individuare quei metodi che, selezionando i migliori gestori sulla base di analisi di risk-adjusted performance e, al contempo, considerando l’investimento in indici di mercato, allochino il capitale disponibile tramite processi automatizzati. I seguenti capitoli di questo paper sono quindi dedicati all’analisi di due modelli concepiti per l’applicazione del multimanager approach, che verranno comparati anche sulla scorta di una simulazione empirica: si tratta, infatti, di proposte molto differenti tra di loro. Lo studio condotto da Gary T. Baierl e Peng Chen quando erano senior consultant presso Ibbotson Associates 11 fa ampio uso della returns-based style analysis di Sharpe e utilizza, al fine di selezionare i fondi migliori, indicatori di rendimento e rischio che sono standard nell’odierna analisi della performance. Al contrario, gli scritti di Arun S. Muralidhar 12 espongono un differente approccio alla misurazione dei rendimenti dei fondi d’investimento e su tale innovativo sistema viene poi costruito il modello multimanager. 11 Baierl, Chen (2000). Muralidhar (2000), Muralidhar (2001a), Muralidhar (2001b), Muralidhar (2001c), Muralidhar (2004a), Muralidhar (2004b), Muralidhar (2005). 12 6 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto 2. Correlation-adjusted performance: l’M3 di Muralidhar 2.1. Risk-adjusted performance Misurare il rendimento di uno strumento finanziario senza tenere conto del rischio che è stato necessario sopportare per giungere a tale risultato sarebbe errato e pericoloso. Di conseguenza, nel corso degli anni sono stati proposti svariati indicatori di risk-adjusted performance, tra cui uno dei più utilizzati è certamente lo Sharpe ratio. Nel 1997 Franco e Leah Modigliani hanno proposto un proprio indicatore, l’M2, che, se da un lato è una semplice trasformazione lineare dell’indice di Sharpe, dall’altro ha introdotto un approccio innovativo al problema. Infatti gli autori hanno dimostrato che il portafoglio analizzato deve avere lo stesso rischio del suo benchmark per poterne comparare il rendimento in termini di punti percentuali. Di conseguenza gli autori hanno impiegato l’effetto leva, usando il titolo risk-free, per eguagliare le deviazioni standard del fondo I e del suo indice di riferimento. Il fattore di leverage è quindi: d = σB / σI . Si viene così a creare un nuovo portafoglio, chiamato “risk-adjusted portfolio” (RAP), la cui volatilità è la medesima del benchmark e il cui rendimento è quindi: rRAP = d · rI + (1 – d) · rF con: rRAP: rendimento del risk-adjusted portfolio; rI: rendimento del fondo I; rF: tasso risk-free. Inoltre, sia il RAP che il fondo I hanno la medesima correlazione con il benchmark, poiché l’effetto leva conseguito usando il tasso risk-free non altera le correlazioni. In questo modo, l’M2 permette di comparare due rendimenti che abbiano la stessa volatilità e può dare un’iniziale indicazione su come allocare gli investimenti tra un gestore esterno (quota pari a d) ed il tasso risk-free (per una percentuale pare a 1 – d). Esiste però un difetto di questo indicatore: poiché il modello non tiene conto della possibilità di investire anche nel benchmark, ma solo nel titolo privo di rischio, due fondi, normalizzati per avere la stessa volatilità del benchmark, possono al contempo avere una correlazione differente con esso, e quindi diversi tracking error (TE) e tracking error volatility (TEV). Si ricorda che il TE è la differenza di rendimento tra un fondo e il proprio benchmark ed è di grande importanza per gli investitori istituzionali i quali, 7 Guido Abate sempre più spesso, sono vincolati contrattualmente a non discostarsi troppo da indici pattuiti con i clienti. 2.2. L’impatto della TEV sullo scoring dei fondi Muralidhar, per strutturare il calcolo del proprio indicatore, parte dalla constatazione che i rendimenti dei risk-adjusted portfolio oscillano attorno a quelli del benchmark, anche nel caso ipotetico in cui la media dei rendimenti e la deviazione standard stimate empiricamente fossero uguali a quelle dell’indice. In altri termini, tali scostamenti dei portafogli generano un tracking error e una tracking error volatility. Data una correlazione ρI,B tra il fondo I e il suo benchmark, la TEV può esser calcolata come: TEV ( I ) = σ ( rI − rB ) = σ I2 − 2 ρ I ,Bσ I σ B + σ B2 Poiché il RAP del fondo I ha la stessa volatilità del benchmark, la sua tracking error volatility è: TEV ( RAP ( I )) = σ B 2(1 − ρ RAP ,B ) = σ B 2(1 − ρ I ,B ) Ne risulta che ad una minore correlazione corrisponde una più elevata TEV. Di conseguenza, esistono gestori che hanno l’abilità di assumersi un “rischio di correlazione”, come lo definisce Muralidhar, esattamente come alcuni gestori sanno sfruttare una maggiore volatilità del proprio portafoglio per ottenere rendimenti maggiori, ma solo finché sono unadjusted. Quindi, una misura come il RAP di Modigliani fornisce involontariamente una migliore valutazione a fondi con una minore correlazione col benchmark, perché spesso questi hanno un rendimento superiore, essendosi assunti un rischio maggiore non misurabile nel solo spazio media-deviazione standard. 2.3. Fortuna contro abilità Muralidhar, per affrontare la questione della consistenza statistica di un tracking error positivo generato da un gestore richiama quanto esposto da Siegel e Ambarish 13 . Gli autori, partendo dal presupposto che la performance di un gestore di fondi abbia l’andamento di un moto browniano, hanno suggerito la seguente equazione per stabilire quanto tempo T sia necessario affinché il sovrarendimento sia distinguibile da un movimento casuale: 13 Siegel, Ambarish (1996). 8 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto S 2 [TEV ( I )] 2 T> ⎧⎡ σ I2 ⎤ ⎡ σ B2 ⎤ ⎫ − r( B) − ⎬ ⎨⎢r( I ) − 2 ⎥⎦ ⎢⎣ 2 ⎥⎦ ⎭ ⎩⎣ 2 con S pari al numero di deviazioni standard per un dato livello di confidenza desiderato. Per esempio, dati σB = 15%, σI = 25% e ρI,B = 0,9, un TE pari al 3% richiederebbe ben 175 anni di dati per esser accettato in un intervallo di confidenza dell’84%, ossia l’intervallo associato a S = 1 deviazione standard. Ricordando la formula dell’Information Ratio del fondo I: IR ( I ) = rI − rB TE I = TEV ( I ) TEV ( I ) si può notare come l’equazione di Siegel e Ambarish possa essere riscritta, isolando S al primo membro, come una funzione dell’IR: ⎡ σ −σB ⎤ S < T ⎢ IR ( I ) − I 2TEV ( I ) ⎥⎦ ⎣ Si osserva quindi che l’intervallo di confidenza, dato dal numero di deviazioni standard S, nell’abilità del gestore dipenderebbe dal tempo T e dall’IR solamente se il rapporto tra la differenza delle deviazioni standard del fondo e del benchmark e il TEV del fondo tendesse a zero. Va poi notato che applicando l’equazione di Siegel e Ambarish ad un risk-adjusted portfolio del modello M2, avendo questo la stessa volatilità del benchmark, il tempo T diviene una funzione delle sole ρI,B e TEV. L’investitore si troverebbe quindi di fronte ad un dilemma: i fondi con maggiore rendimento corretto per il rischio, se tale rischio è misurato dalla sola deviazione standard, sono quelli che hanno tendenzialmente una minore correlazione col benchmark, ma al contempo un ρI,B minore implica la necessità di un tempo d’osservazione T maggiore per poter ritenere statisticamente rilevante l’eventuale sovraperformance del gestore. Per comparare i vari portafogli diviene quindi necessario correggerne il rendimento non solo per la deviazione standard, ma anche per la correlazione. 2.4. Correlation adjusted portfolio Il problema che Muralidhar intende risolvere è quello di ricondurre in uno spazio rischio-rendimento a due dimensioni quello che, si è visto, è di fatto un problema a tre dimensioni. 9 Guido Abate Come è stato esposto, nel RAP di Modigliani viene usato il tasso riskfree, con volatilità pari a zero, per imprimere un effetto leva al portafoglio e portarlo ad avere la stessa volatilità dell’indice. Muralidhar, con la medesima logica, utilizza l’investimento nel benchmark, che ha TE = 0 e ρ = 1 con se stesso, per creare un portafoglio sintetico avente una TEV, e quindi una correlazione, pari a quella prescelta. In questo modo i rendimenti di diversi fondi possono esser resi comparabili non solo in relazione alla volatilità che, come nel RAP, è uguale a quella del benchmark, ma anche rispetto alla correlazione con il benchmark, che è la stessa e predefinita per tutti. Sono, in altri termini, “correlation adjusted portfolio” (CAP), ottenuti tramite il modello M3 di Muralidhar. Ad un primo livello quindi è necessario impostare un valore di TEV target. Il passo successivo è calcolare in che proporzioni deve essere investito il CAP, il cui rendimento è: rCAP = a · rI + b · rB + (1 – a – b) · rF con: a: quota investita nel fondo I; b: quota investita nel benchmark; (1 – a – b): quota investita nel titolo risk free. Inoltre, il vincolo posto alla TEV implica una correlazione target che dovrà avere il CAP col benchmark, ossia: se TEV(CAP) = TEV(target) allora ρCAP,B = ρtarget, quindi: ρ target = 1 − TEV (target) 2 2σ B2 Poiché la volatilità del CAP dovrà essere la medesima del benchmark, deve essere soddisfatto anche il vincolo σ2CAP = σ2B , ovvero: 2 σ CAP = σ B2 = a 2σ I2 + b 2σ B2 + 2abσ I σ B ρ I ,B La covarianza tra rCAP e rB è: ρ CAP ,Bσ CAPσ B = aσ I σ B ρ I ,B + bσ B2 Quest’equazione, dati i vincoli sulla volatilità e sulla correlazione, può essere così riscritta: ρ targetσ B2 = aσ I σ B ρ I ,B + bσ B2 10 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto Risolvendo per b si ottiene: b = ρ target − a σI ρ σ B I ,B Infine, sostituendo la b ricavata con l’equazione precedente nell’equazione della varianza del CAP, si ottiene il parametro a: 2 ⎡ ⎤ ⎡ ⎤ σ σ a σ + ⎢ ρ target − a I ρ I ,B ⎥ σ B2 + 2a ⎢ ρ target − a I ρ I ,B ⎥σ I σ B ρ I ,B = σ B2 σB σB ⎣ ⎦ ⎣ ⎦ 2 2 I a=+ 2 σ B2 (1 − ρ target ) σB = 2 2 σ I (1 − ρ I ,B ) σ I 2 (1 − ρ target ) (1 − ρ I2,B ) Si è imposto che a sia maggiore di zero perché non è normalmente possibile vendere allo scoperto le quote di un fondo d’investimento 14 . Al contrario non ci sono vincoli al segno di b, perché, tramite ad esempio un future, è possibile andare corti su di un benchmark. Inoltre, se (1 – a – b) fosse minore di zero questo significherebbe prendere in prestito del denaro, al tasso risk free, da investire poi in a o in b. Si può osservare che un caso limite del modello M3 è quello in cui le correlazioni ρ siano ignorate, imponendo semplicemente che la correlazione target sia uguale a quella di ogni singolo fondo che viene analizzato. In tal caso, si tornerebbe al modello di risk-adjusted performance di Modigliani: la quota investita in a sarebbe pari al rapporto fra le deviazioni standard del benchmark e del fondo (ovverosia, sarebbe uguale al fattore di leverage d dell’M2), mentre b sarebbe pari a zero. Inoltre, l’allocazione del CAP nel fondo è maggiore di quella che si ha nel RAP se e solo se: 2 (1 − ρ target ) /(1 − ρ I2,B ) > 1 . 2.5. Misurare l’abilità del gestore: CAP vs. IR Muralidhar ha condotto un’analisi empirica nella quale confronta la correlazione tra l’intervallo di confidenza nell’abilità del gestore nel generare sovraperformance, calcolato con il metodi di Siegel e Ambarish, e le graduatorie ottenute tramite l’IR. Ha poi condotto uno studio della correlazione tra, ancora una volta, la confidenza e l’eccesso di rendimento del CAP rispetto al benchmark (lo S&P 500). Ha quindi utilizzato i rendimenti, dall’agosto 1989 allo stesso mese del 1999, dei fondi pensione 14 L’unica eccezione è rappresentata dai fondi quotati su mercati regolamentati. 11 Guido Abate americani a contribuzione definita, sintetizzando i risultati nei seguenti grafici: Confidenza Figura 2.1: Information Ratio -10,00% -5,00% 120% 100% 80% 60% 40% 20% 0% 0,00% 5,00% 10,00% 15,00% CAP Fonte: Muralidhar, "Innovations in Pension Fund Management", pag. 202. Figura 2.2: correlation adjusted portfolio 120% 100% Confidenza 80% 60% 40% 20% 0% 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 Information Ratio 1,20 1,40 1,60 Fonte: Muralidhar, "Innovations in Pension Fund Management", pag. 203. Si può osservare come nel caso dell’Information Ratio possa accadere spesso che ad un livello di confidenza simile corrispondano IR estremamente differenti. Al contrario, la correlazione con i risultati del modello M3 è particolarmente elevata, permettendo quindi di distinguere chiaramente le abilità, o inabilità, dei gestori. 12 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto 2.6. L’implementazione dei portafogli multimanager nel modello M3 Per la selezione dei fondi d’investimento in una gestione multimanager, Muralidhar suggerisce di ricorrere alla teoria del correlation-adjusted portfolio, tenendo conto del budget di rischio relativo, espresso da un valore target della tracking error volatility, concordato con la clientela istituzionale o deciso internamente dal gestore in fondi. Inoltre è necessario considerare la matrice delle covarianze tra i fondi e non solamente tra ciascuno di essi e il benchmark. L’estensione del modello M3 al caso multimanager è quindi fondata su basi teoriche simili a quelle fin qui esposte. Va poi notato che nel CAP Muralidhar già teneva conto dell’investimento (o indebitamento) nel titolo risk-free e della possibilità di replicare il benchmark con costi di transazione e di gestione ridotti. Questo secondo particolare è un esempio di gestione del tipo core-satellite. Si definisce K un portafoglio costituito da più gestori, con wi ≥ 0 pari al peso dell’i-esimo gestore in K e con ∑iwi = 1. Quindi, il gestore in fondi deve massimizzare la funzione del rendimento del CAP(K): max rCAP ( K ) = max[a ⋅ rK + (1 − a − b) rF + b ⋅ rB ] Si noti che la quota di ogni fondo nel CAP(K) non è più wi, bensì wi · a, essendo una parte di questo portafoglio sintetico investita nel titolo risk-free e nel benchmark. La funzione da massimizzare è soggetta ai seguenti vincoli: 1. ρCAP(K),B = ρtarget: la correlazione tra il CAP del portafoglio K e il benchmark deve essere pari ad un valore predefinito, dipendente dalla TEV; 2. σCAP(K) = σB: la volatilità del CAP del portafoglio K deve essere pari a quella del benchmark; con: ρ K ,B = ∑ [ wi ρ iσ i ] / σ K i ρ CAP ( K ),B = ( aρ K ,Bσ K + bσ B ) / σ CAP ( K ) rK = ∑ wi ri i σ = w T Γw (con w vettore dei pesi e Γ matrice di varianza-covarianza 2 K dei rendimenti dei fondi) 2 2 2 2 2 σ CAP ( K ) = a σ K + 2 abρ K , Bσ Bσ K + b σ B I coefficienti a e b sono calcolati come descritto nel paragrafo 2.3, con l’unica differenza che il fondo I viene sostituito dal fondo K. 13 Guido Abate 3. Il modello di Baierl e Chen 3.1. L’obiettivo degli investitori Secondo Gary T. Baierl e Peng Chen l’obiettivo primario per gli investitori, in un’ottica di medio-lungo termine, dovrebbe essere il raggiungimento dell’asset allocation target da essi prefissata 15 , come già indicato da Ibbotson e Kaplan 16 e, ancor prima, da Brinson, Hood e Beebower 17 e Brinson, Singer e Beebower 18 . La massimizzazione del tracking error è invece, ancorché molto importante, solo il secondo obiettivo. Sia gli investitori istituzionali, con la necessità di selezionare più gestori, sia gli investitori individuali, impegnati nella scelta tra più fondi d’investimento, devono poter sapere quale sia il numero di fondi corretto da inserire nel proprio portafoglio, quanto denaro allocare in ciascun fondo e se sia più conveniente una gestione attiva o passiva. Lo scopo degli autori è quello di rispondere a queste richieste tramite un modello il più applicativo possibile, che possa essere testato ed utilizzato agevolmente in situazioni reali. 3.2. Il problema degli investitori Il processo mediante il quale si giunge alla definizione dell’asset allocation target non viene preso in considerazione dai due studiosi. Tale scelta d’investimento può esser stata razionale, selezionando un portafoglio dalla frontiera efficiente, oppure anche irrazionale: gli autori lasciano piena libertà relativamente a questo dato di partenza. Dopo aver stabilito l’allocazione target, si deve selezionare un apposito gruppo di fondi tale che l’allocazione effettiva si discosti il meno possibile da tale obiettivo. La scelta migliore si basa sui tre temi principali dell’articolo di Baierl e Chen: 1. l’uso della style analysis, in modo da riconoscere precisamente in quali asset class investano i fondi, cosicché l’asset allocation generata dal modello possa poi avere le medesime proporzioni di quella target prescelta; 2. la selezione dei portafogli si basa sul loro rendimento e rischio relativi rispetto all’asset allocation target; 15 Baierl, Chen (2000). Ibbotson, Kaplan (2000). 17 Brinson, Hood, Beebower (1986). 18 Brinson, Singer, Beebower (1991). 16 14 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto 3. l’allocazione nei fondi deve essere realistica anche per quanto riguarda le somme investite, quindi non sono consentite le vendite allo scoperto o investimenti sotto la soglia minima d’ingresso. Prima di proseguire con l’esposizione, viene definita formalmente la terminologia impiegata: m = numero di asset class n = numero di gestori/fondi (gli autori usano i termini come sinonimi) disponibili. Si usano i pedici i per il range da 1 a m (i indica quindi un’asset class), e j per il range da 1 a n (j indica un fondo). Ai,j = peso di stile del fondo j nell’asset class i bi = allocazione target per l’asset class i τj = TE generato dal gestore del fondo j Vi,j = covarianza dei TE (active return) dei fondi i e j Mj = investimento minimo nel fondo i K = somma totale investita nei vari gestori wj = allocazione percentuale al fondo j λ = coefficiente di tolleranza all’active risk (avversione al rischio: 1/λ) 1 = vettore n × 1 degli uno. Gli elementi delle matrici A, τ e V possono essere ottenuti sia tramite l’analisi fondamentale sia con la returns-based style analysis di Sharpe. In particolare, la matrice V può essere ipotizzata diagonale, considerando linearmente indipendenti tra di loro i tracking error ottenuti dai gestori. Quando sono stati definiti i parametri che descrivono la performance del gestore, l’investitore deve risolvere il problema di scegliere un’allocazione su più fondi. Tale allocazione deve: 1. raggiungere la quota target di investimento per ciascuna asset class; 2. investire almeno il minimo richiesto dalla soglia d’accesso di ciascun fondo selezionato; 3. essere efficiente nello spazio tracking error-tracking error volatility. Più formalmente, si deve scegliere w tale che sia soluzione del seguente problema: min wTV w − λαTw soggetto ai vincoli: Aw = b 15 Guido Abate con ogni wj = 0 oppure w j ≥ Mj K per j = 1, 2, …, n 1Tw = 1 wj ≥ 0. Si tratta di un problema di ottimizzazione media-varianza applicata alla sola parte attiva del rendimento totale del portafoglio. Va inoltre notato che il secondo vincolo impone che, se un fondo è selezionato per il portafoglio, il livello d’investimento in quel fondo deve essere almeno pari a quanto imposto dalla soglia minima Mj. Per risolvere tale problema Baierl e Chen utilizzano una procedura cosiddetta “branch and bound”, basata sulla scomposizione del problema in sottoproblemi più semplici, risolvendo una sequenza di programmazioni quadratiche fino ad ottenere una soluzione determinata, stanti i vincoli suesposti. Il miglior modo per descrivere questo meccanismo di risoluzione del problema è un albero binomiale. Ai fini del presente paper non pare necessario addentrarsi nell’esposizione di questo metodo, essendo molto più diretto e semplice ricorrere ad applicativi informatici per l’ottimizzazione. Per maggiori dettagli si rinvia quindi all’appendice dell’articolo di Baierl e Chen 19 . 3.3. Un esempio d’implementazione di un portafoglio multimanager con il modello di Baierl e Chen Gli autori, allo scopo di illustrare il proprio metodo con maggiore chiarezza, ricorrono ad un esempio di portafoglio target investito in cinque diverse asset class. In primo luogo, è necessario filtrare i fondi. Le motivazioni per tale selezione sono molteplici: in particolare, i gestori che non sappiano seguire un determinato stile non devono essere presi in considerazione, perché potrebbero impedire di raggiungere l’asset allocation desiderata; in secondo luogo, è utile considerare solo i gestori capaci di generare un TE positivo. Poiché è stato considerato anche il problema relativo all’ammontare minimo per accedere a certi fondi comuni, la procedura diviene sempre più complessa all’aumentare degli investimenti possibili, ma, d’altro canto, questo vincolo può essere necessario per raggiungere l’allocazione target. Inoltre, analogamente al modello di Muralidhar, è consigliata l’inclusione di gestioni puramente passive replicanti gli indici benchmark che, a costi inferiori, possono permettere più facilmente di investire secondo gli obiettivi del cliente. In particolare, la parte di portafoglio allocata ai fondi- 19 Baierl, Chen (2000), pagg. 52-53. 16 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto indice è comunemente chiamata “completion portfolio”, poiché è appunto un complemento ai fondi attivi. Gli autori, nella simulazione, impiegano serie storiche di rendimenti mensili dei fondi che coprono un totale di 5 anni. Da queste, tramite la returns-based style analysis di Sharpe, evidenziano otto asset class e, per ogni fondo, gli active return generati dal gestore, di cui viene calcolata anche la deviazione standard, ossia la tracking error volatility o active risk. La media degli extrarendimenti di ogni gestione rappresenta il suo tracking error. Tali TE sono considerati statisticamente indipendenti tra loro: di conseguenza, la loro matrice di varianza e covarianza V è diagonale. All’interno di ogni asset class i fondi sono poi stati classificati in base ai seguenti criteri: 1. R2 della regressione operata con la style analysis pari almeno a 0,85, allo scopo di evitare i fondi dalla gestione inconsistente con lo stile; 2. R2 della regressione sul proprio peer group maggiore o uguale di 0,65, in modo che siano rappresentativi dell’asset class del loro gruppo; 3. soglia d’accesso all’investimento non superiore ai 10.000 $. Si noti che l’ultimo è un vincolo necessario solo a causa del capitale totale molto limitato (solo 100.000 $) scelto da Baierl e Chen per il loro esempio, finalizzato a mostrare l’allocazione del patrimonio di un comune investitore, piuttosto che di un cliente private o istituzionale. Vengono poi scelti tre fondi per ogni peer group: quello con il più elevato selection Sharpe ratio, quello con la più bassa TEV e quello con il TE più alto. Nel caso in cui un fondo sia il migliore in base a due o tre di questi criteri, si seleziona quello immediatamente successivo in classifica. Va notato che gli autori, nell’articolo citato, fanno uso del termine “information ratio” con il significato di “selection Sharpe ratio”. Infatti, nonostante il nome usato, è chiaro che l’indicatore viene calcolato non sulla base del benchmark dichiarato dal gestore, bensì del benchmark di stile ottenuto con la returns-based style analysis. Di conseguenza, nel presente paper si è preferito impiegare la terminologia più precisa, come indicato nella più recente letteratura scientifica sull’argomento 20 . Dopo questa laboriosa scrematura del campione, si procede alla risoluzione del problema esposto nel paragrafo 3.2. Gli autori hanno ottenuto cinque portafogli tali da soddisfare i seguenti vincoli: raggiungono l’allocazione strategica target; sono efficienti nello spazio TE-TEV; soddisfano l’investimento minino nei fondi in cui investono. 20 Cucurachi (2007). 17 Guido Abate I risultati ottenuti dalla simulazione condotta da Baierl e Chen sono compatibili con quanto ci si attenderebbe in linea teorica: infatti i fondi con alto TE non sono stati inseriti nei portafogli con bassa propensione al rischio, e viceversa. 3.4. Una variante: il modello di Scherer Bernd Scherer, nel suo libro “Portfolio Construction & Risk Budgeting” 21 , ha proposto un modello di investimento multimanager simile, nell’impostazione applicativa, a quello esposto nel presente capitolo. L’autore parte dall’ipotesi che ogni fondo possa essere scomposto nella combinazione di un fondo indice, il cosiddetto “core” del portafoglio, e in un fondo attivo, ovvero un “satellite” long-short ad esposizione neutra, secondo la teoria, appunto, “core-satellite”. Questo “satellite” dovrebbe portare una quota di tracking error alla gestione altrimenti passiva. Tale sovra-rendimento può essere accresciuto a piacere ricorrendo alla leva finanziaria, rappresentata da un fattore φ. Va notato che, essendo l’information ratio un rapporto tra TE e TEV, non distingue tra due leverage diversi, poiché il numeratore e il denominatore sono moltiplicati per lo stesso φ. Il TE di portafoglio è quindi, semplicemente: TE = wTφτ con: w = vettore dei pesi dei singoli fondi φ = vettore dei leverage τ = vettore dei tracking error dei fondi. Il quadrato della tracking error volatility totale è così calcolato: TEV2 = wTΩττw con: Ωττ = matrice di varianza-covarianza dei TE. Lo scopo del gestore multimanager è quindi quello di minimizzare l’active risk, imponendo il vincolo che il TE dei fondi prescelti sia superiore ad un dato livello target, indicato con TEtarget. Come si può notare dall’equazione proposta di Scherer riportata sotto, il suo modello differisce da quello di Baierl e Chen solo dalla presenza di questo vincolo. I due autori avevano invece demandato alla selezione iniziale dei fondi l’esclusione di quelli con un livello di active return troppo basso. 21 Scherer (2007), pag. 255 e seguenti. 18 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto min wTΩττw - γ(wTτ - TEtarget) La differente notazione non modifica quindi la sostanziale identità con l’equazione esposta nel paragrafo 3.2 e di conseguenza nel presente paper non si ritiene necessario approfondire ulteriormente questo contributo alla ricerca sulle gestioni multimanager di fondi. 4. Analisi empirica 4.1. Le problematiche fiscali nell’analisi dei fondi italiani Al fine di comparare le metodologie di allocazione multimanager esposte nei capitoli precedenti, si è fatto ricorso a Morningstar Direct. Questo database fornisce i rendimenti mensili dei fondi comuni d’investimento collocati in Europa e, per i fondi di diritto italiano, esegue una lordizzazione dei rendimenti periodali che tiene conto delle distorsioni provocate dal prelievo fiscale diretto in capo al fondo italiano. Infatti in Italia, dal 1o luglio 1998, il soggetto tenuto ad assolvere gli obblighi tributari è il fondo comune stesso e quindi il valore delle quote, calcolato giornalmente, è sempre già corretto per il relativo effetto fiscale. Nel caso di performance positiva il funzionamento di tale meccanismo impositivo è di facile comprensione: il guadagno viene ridotto per una percentuale pari all’imposta sostitutiva del 12,5%, e tale somma viene accantonata nel fondo imposte da versare, liquidato annualmente entro il 16 febbraio, con riferimento all’anno precedente Invece, se i rendimenti sono negativi esso diventa molto più complesso: infatti una perdita dà luogo ad un credito d’imposta (sempre con aliquota al 12,5%), che deve essere stornato dall’eventuale fondo d’accantonamento generato da precedenti risultati di gestione positivi. Nel caso però che la perfomance, dall’inizio dell’anno, sia stata globalmente negativa, il gestore del fondo comune non avrà accantonamenti da cui attingere. Di conseguenza si viene a creare un credito d’imposta, infruttifero, iscritto all’attivo di bilancio del fondo, che diventa recuperabile solo a fronte di futuri risultati di gestione positivi. Questo meccanismo di tassazione, cosiddetto “sul maturato”, permette all’investitore che riscatti le sue quote di monetizzare immediatamente il risparmio d’imposta relativo alle minusvalenze in corso. Ciò impone al gestore di vendere parte dei titoli che detiene in portafoglio al fine di ottenere la liquidità necessaria per rimborsare il cliente. Poiché però il Nav 22 22 Net asset value: è il valore dato dalla differenza tra il totale dell’attivo, comprensivo di ratei d’interesse su cedole e credito d’imposta, di un fondo comune e le sue passività. 19 Guido Abate include anche una quota di credito d’imposta, è necessario vendere dei titoli per coprire anche questa parte di patrimonio del fondo che viene liquidata. Si provoca così un’ulteriore riduzione della percentuale del net asset value del fondo effettivamente investita nel mercato, tanto che ai minimi dopo lo scoppio della bolla delle new technologies erano presenti fondi del comparto tecnologico con l’80% delle proprie quote costituito, di fatto, solo da crediti d’imposta. 23 Di conseguenza, al momento di un’eventuale rialzo dei prezzi sul mercato, i fondi gravati da una simile “zavorra” contabile sarebbero impossibilitati ad ottenere performance paragonabili a quelle del benchmark. Inoltre, poiché il credito d’imposta è necessariamente diverso da fondo a fondo, i loro rendimenti relativi sarebbero molto influenzati anche solo dal momento d’inizio della quotazione di ciascuno di essi: un organismo d’investimento che abbia accumulato sostanziose minusvalenze, ad esempio tra il 2000 e il 2002, non potrebbe competere con un fondo, privo di crediti d’imposta, che abbia iniziato la propria attività quando il mercato era ai minimi, e ciò indipendentemente dall’abilità del singolo gestore. Per ovviare a questa serie di gravi distorsioni 24 , nell’analisi dei fondi comuni d’investimento italiani è necessario procedere alla lordizzazione delle quote nette. Al contrario, nettizzare il benchmark sarebbe una scelta inaccettabile, poiché potrebbe essere utilizzata solo nel caso in cui si analizzasse un fondo alla volta, a partire dalla sua fondazione, e si supponesse (cosa, di fatto, impossibile) che nel periodo di analisi non siano avvenute nuove sottoscrizioni o riscatti di quote. La lordizzazione è un procedimento particolarmente laborioso, la cui esposizione dettagliata esula dal presente lavoro. Per ulteriori precisazioni si rinvia al “Modello per il calcolo della quota lorda di un fondo aperto italiano” a cura di Assogestioni 25 . 4.2. Le caratteristiche del campione e dei benchmark Il campione è costituito da fondi d’investimento azionari, i cui rendimenti mensili sono stati scaricati dal database Morningstar Direct nelle categorie USA, Europe, Emerging Markets e Japan. Si è deciso di non procedere all’analisi di altre asset class azionarie poiché, essendo il presente paper volto allo studio dei modelli multimanager, non sarebbe stato possibile analizzare tali metodi d’investimento su categorie geografiche di fondi composte, al massimo, da poche decine di unità. 23 Ferrari, Zorzoli (2001), pag. 14. Per una trattazione più approfondita e precisa si rimanda a Savona (2006). 25 Assogestioni (2006). 24 20 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto La selezione copre il periodo luglio 1998 – giugno 2008, per un totale di 120 mesi, ma non tutti gli OICR presi i considerazione possiedono 10 anni di dati, poiché alcuni sono stati fondati più recentemente. In ogni caso, per poter eseguire l’analisi, sono presi in considerazione solo quei fondi con un track record di almeno 66 mesi, rendendo quindi il paniere di fondi sempre più completo mano a mano che ci si avvicina alla data finale. Il campione è affetto da survivorship bias: infatti, sono presenti solamente i fondi attivi alla fine del periodo di analisi, il che potrebbe portare a rendimenti, per lo meno per i primi anni, superiori a quelli di un ipotetico campione che includa anche i fondi ormai cessati, poiché solitamente le SGR tendono a chiudere proprio quelle gestioni che non hanno generato una performance adeguata. 26 I fondi comuni d’investimento scaricati dal database sono 3.319, così ripartiti nelle seguenti asset class: 1. 2. 3. 4. Emerging Markets: 209; Europe: 869; Japan: 359; USA: 1.882. Tale ripartizione è stata dettata dalla volontà di diversificare gli investimenti in base all’area geografica. Non si è optato per una suddivisione ulteriore per stili di gestione a causa della forte correlazione esistente tra di essi, al punto che, una volta compiuta la style analysis, sarebbe risultata arbitraria l’attribuzione di un fondo, ad esempio, alla categoria “growth” piuttosto che “value”, soprattutto tenendo conto degli stretti vincoli imposti dal modello di Baierl e Chen, salvo rare eccezioni. Quindi, come già esposto, sarebbe stato poco utile impiegare campioni composti, in particolare per i primi anni, da un ridottissimo numero di fondi effettivamente classificabile in un determinato stile. Il benchmark strategico prescelto è un indice sintetico composto per il 99% dall’MSCI AC World LCL, rappresentativo di tutti i mercati azionari globali, espresso nella valuta locale, e per il restante 1% dal Citi EUR EuroDep 1 Mon EUR. La scelta di includere questo secondo indice, rappresentativo del mercato monetario, è dovuta al fatto che i fondi comuni d’investimento sono soliti mantenere parte del proprio Nav liquido, allo scopo di far fronte alle eventuali richieste di riscatto da parte dei clienti o per ridurre l’esposizione ai mercati in periodi di riduzione dei corsi azionari. Inoltre, nel caso dei fondi di diritto italiano, parte del Nav può essere costituito da credito d’imposta, il cui rendimento e volatilità sono pari a zero 26 Brown, Goetzmann, Ibbotson (1992). 21 Guido Abate ed è quindi rappresentato con migliore approssimazione dal tasso risk-free piuttosto che da indici azionari. 4.3. La composizione del campione Come si è accennato nel precedente paragrafo, per classificare i gestori si è ricorso alla returns-based style analysis, introdotta da William F. Sharpe 27 , ossia una regressione multivariata dei rendimenti di ogni fondo sui benchmark 28 delle asset class azionarie e sul tasso risk free. Tali indici sono i seguenti: 1. 2. 3. 4. 5. MSCI EM LCL; MSCI Europe NR LCL; MSCI Japan NR JPY; MSCI USA NR USD; Citi EUR EuroDep 1 Mon EUR. I primi quattro indici, calcolati dalla società Morgan Stanley Capital Investment Inc., sono stati selezionati come benchmark delle asset class azionarie, mentre l’ultimo, calcolato da Citigroup Inc., riporta l’andamento del tasso d’interesse interbancario ad un mese sull’Euro ed è quindi una buona proxy per rappresentare il tasso privo di rischio. I benchmark forniti da MSCI, tutti denominati nella valuta locale, sono stati scelti nella loro versione NR. In questa modalità di calcolo, i dividendi vengono considerati al netto dell’imposizione fiscale e vengono reinvestiti, il giorno stesso del loro stacco, nell’indice invece che nella singola azione che li ha staccati. Al contrario, se il dividendo è superiore al 5% del prezzo cum-dividend del titolo, è quest’ultimo che viene maggiorato del valore del suo dividendo. In questo modo, l’indice risulta essere total return. Poiché Muralidhar, nelle sue pubblicazioni, non indica vincoli per la suddivisione dei fondi nelle varie asset class, si è preferito, anche per ragioni di omogeneità, seguire le indicazioni di Baierl e Chen. Ossia, per poter inserire un gestore in una data categoria, è necessario che: 1. l’R2 della regressione operata con la style analysis sia pari almeno a 0,85, allo scopo di evitare i fondi dalla gestione inconsistente con lo stile; 2. l’R2 della regressione sul proprio peer group sia maggiore o uguale di 0,65, in modo che i fondi siano rappresentativi dell’asset class del loro gruppo. 27 Sharpe (1992). Sulle problematiche relative alla valutazione dei portafogli e alla scelta dei benchmark appropriati si rinvia a Basile (2002). 28 22 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto Di fatto, la selezione ha eliminato circa la metà dei fondi disponibili, in proporzione variabile a seconda del periodo considerato. Il presente studio è stato condotto su finestre temporali rolling di 60 mesi. L’analisi in sample, che è stata necessaria per la stima dei rendimenti, delle matrici di varianza-covarianza e delle esposizioni di ogni fondo alle diverse asset class, ha richiesto quindi 5 anni di dati. In seguito, per sei mesi ogni volta, è stata condotta la simulazione out of sample, volta a valutare, effettivamente, i metodi di multimanager allocation esposti nei capitoli precedenti. 4.4. Il modello multimanager di Muralidhar: analisi empirica L’implementazione del modello di Muralidhar ha richiesto, in primo luogo, la stima degli M3 dei fondi di ognuna delle quattro asset class. Questo, al di là della loro necessità per il calcolo dei pesi nel portafoglio multimanager, ha anche permesso di approfondire l’uso di tale indicatore. Nella fattispecie, le posizioni in una classifica stilata secondo tale indice risultano essere molto simili a quelle condotte con l’information ratio e con l’M2. Non a caso, infatti, l’M3 tiene conto sia della risk-adjusted perfomance, misurata nello spazio media-deviazione standard, come per l’M2, sia della correlation-adjusted performance, misurata nello spazio tracking error-tracking error volatility, lo stesso ambito dell’IR. Più precisamente, le graduatorie ottenute con l’M3 hanno una correlazione, misurata empiricamente sul campione, pari a: 1. 0,94 con le classifiche basate sull’information ratio; 2. 0,92 con il ranking dato dall’M2 di Modigliani. L’autore, nel capitolo dedicato al multimanager approach nel suo libro “Innovations in Pension Fund Management” 29 , seleziona i primi 7 fondi secondo la graduatoria ottenuta con l’M3 e quindi, in quest’analisi empirica, si è fatto ricorso allo stesso metodo. L’analisi empirica della strategia multimanager di Muralidhar richiede, una volta selezionati i migliori fondi, la scelta di un unico parametro: la tracking error volatility target. Sulla base di tale indicazione, il modello calcola diversi livelli di esposizione ai fondi a gestione attiva, piuttosto che al benchmark: i primi saranno maggiormente rappresentati nel portafoglio per valori più alti della TEV prescelta, mentre la gestione risulterà più esposta verso l’indice nel caso in cui lo scostamento da esso debba essere più contenuto. 29 Muralidhar (2001a), cap. 11: “Optimal Risk-Adjusted Portfolios with Multiple Managers”. 23 Guido Abate Al fine di rendere il presente modello comparabile a quello di Baierl e Chen è stato necessario selezionare lo stesso livello di TEV per entrambi. Poiché, come si vedrà nel prossimo paragrafo, quest’altro metodo non richiede l’input del TEV target, bensì del livello di tolleranza all’active risk, non è stato possibile calcolare una parità teorica tra questi due diversi parametri. E’ stato quindi prima implementato il modello di Baierl e Chen, ne è stata misurata empiricamente la TEV e questo valore, pari allo 0,75%, è quello che poi è stato impiegato come target in questa simulazione di asset allocation. Per ottimizzare il modello di Muralidhar sono necessari i seguenti dati di input: 1. tracking error volatility target; 2. media e deviazione standard dei rendimenti dei fondi, del tasso risk-free e del benchmark; 3. coefficienti di correlazione dei fondi con il benchmark; 4. matrice di varianza-covarianza dei rendimenti dei fondi. I calcoli sono stati eseguiti tramite fogli di Microsoft Excel, richiedendo allo strumento “Risolutore” 30 di massimizzare il rendimento del correlation adjusted portfolio: max rCAP ( K ) = max[a ⋅ rK + (1 − a − b) rF + b ⋅ rB ] All’aumentare della TEV target aumenta la quota investita in fondi di investimento piuttosto che nel benchmark. Inoltre, poiché Muralidhar contempla espressamente la possibilità di vendere l’indice di riferimento allo scoperto, all’aumentare della TEV target si osserva una maggiore propensione al tentativo di isolare il tracking error positivo delle gestioni attive tramite, appunto, lo short del benchmark. La seguente tabella espone le allocazioni 31 secondo il correlation adjusted portfolio di Muralidhar nell’asset class azionaria USA per il periodo 7/2000 – 6/2005 (test out of sample: 7/2005 – 12/2005), al variare della TEV target. Si noti che, come previsto, l’investimento ottimale in fondi rimane costante, mentre a variare è la percentuale “a” del portafoglio totale ad essi dedicata. Inoltre, il valore del coefficiente di correlazione target tra la gestione multimanager e il benchmark diminuisce all’aumentare 30 Il “Risolutore” esegue una serie di iterazioni sino al raggiungimento del risultato ottimale. 31 Si ricorda che il coefficiente “a” indica la quota investita nei fondi d’investimento, il coefficiente “b” quanto viene allocato al benchmark e il loro complemento a 1 è la percentuale di risk free. 24 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto della TEV target. Purtroppo, va notato il progressivo peggioramento del livello di TE rispetto al benchmark. Tabella 4.3: Simulazione con diversi livelli di TEV target 0,00% 1,00% 2,00% 5,00% Rho(T,B) 1,000 0,976 0,902 0,388 Coefficiente a 0,000 0,858 1,684 3,949 Coefficiente b 1,000 0,138 -0,741 -3,641 Tracking Error Volatilty target 0,000 0,004 0,057 0,692 Columbia Value & Restructuring Z 13,37% 13,37% 13,37% 13,37% FBP Value 33,80% 33,80% 33,80% 33,80% Fidelity Advisor Equity Income I 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% Harbor Large Cap Value Instl 5,95% 5,95% 5,95% 5,95% Coefficiente (1-a-b) 46,88% 46,88% 46,88% 46,88% Industry Leaders I 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% UBS U.S. Large Cap Equity Y 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% Rendimento medio CAP (7/2005 - 12/2005) 0,98% 0,95% 0,88% 0,45% MSCI USA NR USD (7/2005 - 12/2005) 0,98% 0,98% 0,98% 0,98% Tracking Error 0,00% -0,03% -0,10% -0,53% Hartford Value Opportunities HLS IA Fonte: elaborazione dell’autore. 4.5. Il modello multimanager di Baierl e Chen: analisi empirica Anche nel caso del modello di Baierl e Chen è stato necessario eseguire una valutazione dei fondi al fine di selezionarne i migliori. Nella fattispecie, gli autori scelgono solo tre gestori per ciascuna asset class, secondo i seguenti criteri: 1. il primo nella classifica del selection Sharpe ratio: si privilegia l’efficienza in termini di media-varianza dei sovrarendimenti rispetto al benchmark; 2. il più elevato tracking error: in questo caso è l’abilità del gestore ad essere presa in considerazione, ma senza tenere conto dell’eventuale maggior rischio insito nelle sue scelte; 3. la minore tracking error volatility: indipendentemente dalla capacità di evidenziare rendimenti attivi, in questa scelta lo scopo è quello di evitare un eccessivo scostamento dal benchmark. La prima considerazione che si può trarre da questo metodo di selezione è il disinteresse per l’efficienza media-varianza dei rendimenti assoluti dei 25 Guido Abate fondi: infatti tutti e tre i criteri di scelta si concentrano sull’extrarendimento rispetto al benchmark. D’altro canto, il posizionamento del portafoglio sulla frontiera efficiente dipende dalla sola asset allocation strategica: poiché uno dei vincoli dell’ottimizzazione è la replica del benchmark, è dalla scelta di tale indice che dipende l’efficienza. Inoltre, sia gli autori sia il presente lavoro hanno fatto ricorso, per la stima di questi parametri, alla returns-based style analysis, che permette un duplice vantaggio: genera stime forward looking e il benchmark impiegato non è, come in Muralidhar, un singolo indice di mercato, bensì il benchmark di stile. Tabella 4.4: Selezione per il modello di Baierl e Chen Asset class Fondo Power Capital Navigator Emerging Markets Europe Japan USA Selectio Classifica Classifica Classifica TE (%) TEV (%) n Sharpe secondo secondo secondo ratio il TE la TEV l'SSR -0,157 1,503 -0,105 50 1 53 0,791 1,871 0,423 1 26 1 0,744 1,907 0,390 2 30 2 GLG European Eqt Fund A Acc 0,346 1,421 0,243 2 193 2 Imi Europe Acc -0,259 0,608 -0,426 131 1 299 Pioneer Fds Top European Players E EUR ND Acc -0,004 0,360 0,265 1 166 1 Nikko AM Japan Value Fund B 0,404 1,389 0,291 2 38 1 UBS (CH) EFJapan Inc -0,178 0,387 -0,461 39 1 59 Vitruvius Japanese-Equity JPY Acc 0,440 1,822 0,241 1 58 3 American Century Equity Growth Inv 1,753 3,057 0,573 1 496 2 1,386 1,838 0,754 6 346 1 310 1 107 Sarasin EmergingSarGlobal Inc The Emerging World Fund Inst Acc JHT 500 Index Trust Ser I Wells Fargo Advantage Index Adm 0,066 0,22 6 Fonte: elaborazione dell’autore. 26 0,293 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto Quindi è anche chiaro il vantaggio nell’impiego del selection Sharpe ratio rispetto all’information ratio, poiché viene stimato sulla base di un metodo, la style analysis, che scinde con precisione l’apporto della selezione compiuta dal gestore rispetto all’investimento passivo negli indici e non solo rispetto all’investimento in uno soltanto di essi, come avviene invece nell’IR. Si riporta ora, a titolo esemplificativo, la lista dei fondi scelti sulla base dell’analisi di stile nel periodo 7/2000 – 6/2005. In grassetto e sottolineata viene evidenziata la posizione del fondo nella graduatoria della sua dell’asset class. Nel caso in cui un fondo sia primo dal punto di vista di due diversi indicatori, viene selezionato quello che risulti secondo in almeno uno dei due e che, nell’altro, abbia la posizione relativa migliore. Si osserva come normalmente il selection Sharpe ratio concordi con la classifica stilata secondo il TE, mentre la tracking error volatility sia discorde: questo risultato è probabilmente dovuto al fatto che, per poter esprimere un sovrarendimento rispetto al benchmark, il gestore deve discostarsi in parte da quest’ultimo, generando quindi una maggiore TEV. Al contrario, se il fondo ha una gestione puramente passiva, la TEV è minima, e quindi tra le prime nella classifica di Baierl e Chen, ma al contempo il TE è minimo, quando non addirittura negativo, risultando molto penalizzato nella graduatoria. Inoltre, dato che la TEV può essere solo positiva, essendo la radice quadrata della varianza del TE, mentre i sovrarendimenti possono essere anche negativi, il selection Sharpe ratio, che è il rapporto tra TE e TEV, punisce maggiormente, in termini di posizione in classifica, un fondo con un TE anche poco inferiore allo zero piuttosto di un fondo con un robusto TE positivo e una TEV relativamente elevata. Il che si ritiene sia un risultato corretto in un’ottica di selezione di gestori attivi, come accade appunto nel multimanager approach. Se invece si osservano i fondi relativamente alla loro effettiva asset allocation, si può notare, dalla seguente tabella, come molto spesso il loro benchmark di stile differisca anche sensibilmente dall’indice MSCI di ciascuna categoria, nonostante, come esposto nel paragrafo 4.3, la classificazione all’interno di una data asset class sia stata alquanto rigida. Questo misfit viene però corretto completamente dall’implementazione del modello di Baierl e Chen: infatti l’asset allocation target è uno dei vincoli che deve essere rispettato e tale asset allocation tiene conto della style analysis condotta sui singoli fondi. 27 Guido Abate Tabella 4.5: Benchmark di stile dei fondi selezionati per il modello di Baierl e Chen (tutti i dati sono espressi sotto forma di percentuale) Asset class Emerging Markets Europe Japan Fondo Citi EUR MSCI EuroDep MSCI EM Europe 1M MSCI USA R 2 Power Capital Navigator 3,6292 82,7602 3,8003 0 9,8104 91,9235 Sarasin EmergingSarGlobal Inc 6,4485 86,6703 0 6,8811 0 87,5478 The Emerging World Fund Inst Acc 9,0336 86,1748 0 4,7916 0 86,7495 GLG European Equity Fund A Acc 2,3969 8,7775 80,0813 0 8,7443 91,5403 0 93,5767 0 0 98,2844 0 88,8477 0 0 91,2048 Imi Europe Acc 6,4233 Pioneer Fds Top European 11,1523 Players E EUR ND Acc Nikko AM Japan Value Fund B 6,9576 0 0 93,0424 0 89,689 UBS (CH) EFJapan Inc 1,051 0 3,3611 95,5879 0 99,1941 0 0 0 100 0 87,6353 0 2,9409 0 5,0794 91,9797 96,6677 JHT 500 Index Trust Ser I 0,2608 0,4708 1,833 0,3487 97,0868 99,6945 Wells Fargo Advantage Index Adm 0,5828 0,5570 1,7069 0,1152 97,038 99,7473 Vitruvius Japanese-Equity JPY Acc American Century Equity Growth Inv USA MSCI Japan Fonte: elaborazione dell’autore. Una volta compiuta questa selezione e analisi preliminare dei fondi, è stato programmato un foglio calcolo di Excel nel quale, tramite il “Risolutore”, è stata minimizzata la funzione obiettivo riportata nel paragrafo 3.2, soggetta a tutti i vincoli richiesti dagli autori, eccetto uno: non si è ritenuto utile inserire solo fondi con soglia d’accesso inferiore ai 10.000 28 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto $, poiché tale vincolo risulta superfluo se viene ipotizzato un capitale investibile sufficientemente grande. L’unico grado di libertà lasciato dagli autori è la possibilità di scegliere il livello di tolleranza al rischio dell’investitore, rappresentato dal parametro λ. Ciononostante, dato che il modello impone lo stretto vincolo di replica dell’asset allocation strategica, per poter modificare i pesi percentuali dei vari fondi sono necessarie elevate variazioni nel valore del coefficiente, come si può osservare nella seguente tabella (dati relativi al periodo di test out of sample 7/2005 – 12/2005), nella quale, per enfatizzare la migrazione degli investimenti da attivi a passivi, sono stati inseriti anche gli indici benchmark. Tabella 4.6: Sensibilità dell’asset allocation al variare del coefficiente di tolleranza al rischio del modello di Baierl e Chen λ 0,0005% 1,00% 5,00% 10,00% 50,00% Power Capital Navigator 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% Sarasin EmergingSar-Global Inc 0,02% 4,36% 5,07% 3,79% 2,09% The Emerging World Fund Inst Acc 0,00% 2,11% 0,00% 0,00% 0,00% GLG European Equity Fund A Acc 0,01% 5,57% 13,17% 26,20% 36,10% Imi Europe Acc 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% Pioneer Fds Top Eurpn Plrs E € ND Acc 0,01% 0,00% 2,58% 0,58% 0,00% Nikko AM Japan Value Fund B 0,01% 2,77% 0,00% 0,00% 0,00% UBS (CH) EF-Japan Inc 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% Vitruvius Japanese-Equity JPY Acc 0,00% 6,36% 7,89% 8,02% 6,98% American Century Equity Growth Inv 0,00% 9,26% 31,34% 30,39% 54,76% JHT 500 Index Trust Ser I 0,02% 20,12% 22,22% 23,98% 0,00% Wells Fargo Advantage Index Adm 11,98% 25,76% 2,03% 0,00% 0,00% Citi EUR EuroDep 1 Mon EUR 0,93% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% MSCI EM LCL 6,51% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% MSCI Europe NR LCL 28,76% 23,71% 15,69% 7,04% 0,07% MSCI Japan NR JPY 9,88% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% MSCI USA NR USD 41,87% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% Fonte: elaborazione dell’autore. 29 Guido Abate Figura 4.2: Sensibilità dell’asset allocation al variare del coefficiente di tolleranza al rischio del modello di Baierl e Chen Fonte: elaborazione dell’autore. Come era prevedibile, all’aumentare del valore del coefficiente λ il metodo multimanager tende ad allocare più denaro verso le gestioni attive, rappresentate, in questo caso, dai fondi Sarasin Emerging Sar-Global Inc, GLG European Equity Fund A Acc, Pioneer Funds Top European Players E EUR ND Acc, Vitruvius Japanese-Equity JPY Acc e American Century Equity Growth Inv. Essi sono, infatti, i cinque fondi selezionati sulla base del loro elevato TE (si veda la tab. 4.5): va notato che nell’asset class Europe il capitale è stato allocato soprattutto nel secondo classificato, a 30 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto causa della sua minore esposizione verso il comparto monetario rispetto al primo. Al fine di testare il comportamento del modello di Baierl e Chen, si è analizzata la performance del portafoglio multimanager prevedendo la possibilità di investire o solamente in fondi comuni oppure sia in essi sia nei benchmark. Il risultato è stato superiore, in termini di migliore tracking error rispetto al benchmark strategico, nel caso di investimento anche negli indici, inoltre la tracking error volatility è risultata minore. D’altro canto, questo TE non è statisticamente rilevante, come indicato dalla T-stastitic. 4.6. Il confronto delle performance Per poter giudicare appieno i due metodi multimanager è stato necessario ipotizzare la creazione di un portafoglio multiasset anche per il modello di Muralidhar, nonostante esso sia stato originariamente concepito per essere impiegato per una sola asset class alla volta. Tale portafoglio, Correlation Adjusted Portfolio World, è quindi una media ponderata dei rendimenti delle singole allocazioni multimanager nella quale sono usati come pesi gli style weights dell’indice MSCI AC World LCL. Comparando quindi i due modelli (per Baierl e Chen è stata anche indicata la versione con l’investimento negli indici) con il benchmark strategico si osserva come, in termini di rischio-rendimento, l’M3 di Muralidhar abbia permesso la composizione di un portafoglio efficiente: Tabella 4.7: Rischio-rendimento dei portafogli multimanager CAP-K World Arithmeti c Mean (%) 0,837 Standard Deviation T Statistic (%) 3,381 1,918 Baierl & Chen 0,717 3,339 1,664 0,143 Baierl & Chen (con indici) 0,743 3,323 1,732 0,152 Benchmark 0,715 2,904 1,907 0,164 Sharpe Ratio 0,177 Fonte: elaborazione dell’autore. D’altro canto, se si prendono in considerazione anche i momenti della distribuzione superiori al secondo, si nota un maggior rischio a carico del CAP: 31 Guido Abate Tabella 4.8: Asimmetria e curtosi dei portafogli multimanager Skewness Kurtosis CAP-K World -1,280 2,558 Baierl & Chen (Citi 1%) -1,120 1,971 Baierl & Chen (benchmark > 0; Citi 1%) -1,141 2,097 Benchmark -1,164 2,132 Fonte: elaborazione dell’autore. Inoltre, il tracking error risulta essere negativo rispetto al portafoglio di mercato per Baierl e Chen, ma positivo per il CAP. Ciò che più colpisce è come quest’ultimo modello non abbia rispettato il proprio TEtarget pari a 0,75%, discostandosi dal benchmark in misura minore. Tabella 4.9: Excess return rispetto al benchmark TE (%) TEV (%) T Statistic IR CAP-K World 0,122 0,646 1,465 0,189 Baierl & Chen 0,002 0,746 0,020 0,003 Baierl & Chen (con indici) 0,028 0,700 0,311 0,040 Fonte: elaborazione dell’autore. Si noti, osservando la T-Statistic, che, ancorché positivo, il TE del modello di Muralidhar risulta essere comunque non rilevante entro un intervallo di confidenza del 95%. 4.7. Conclusioni Alla luce dei risultati conseguiti, gli approcci multimanager esposti in questo paper appaiono utili per permettere di selezionare portafogli con un’efficienza in linea rispetto a quella del mercato. In particolare, il modello di Baierl e Chen offre il vantaggio di poter allocare gli investimenti rispettando l’asset allocation che è stata decisa ex ante, grazie all’ottimizzazione vincolata che tiene conto dei pesi di stile. D’altro canto il modello di Muralidhar ha dimostrato di generare una performance migliore ma, ignorando i momenti superiori, può portare ad un’asset allocation maggiormente esposta a rendimenti negativi non gaussiani. Il fatto che la performance dei portafogli qui esposti sia fortemente peggiorata rispetto al benchmark a partire dall’inversione del trend dei 32 I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto mercati azionari, avvenuta nell’estate del 2007 (si veda in proposito la figura 4.3), può essere interpretato come un ulteriore esempio dell’aumento delle correlazioni tra gli strumenti finanziari nei momenti di forte crisi, fenomeno che rende più arduo il compito di quei gestori che ricercano opportunità di battere il benchmark. Per spiegare la deludente performance relativa dell’ultimo anno è anche possibile ipotizzare che i TE dei fondi vengano in parte generati ricorrendo ad un’esposizione a fattori di rischio sistematico non misurabili tramite i soli benchmark azionari qui impiegati per la style analysis. Si può quindi concludere che i problemi principali dei modelli di asset allocation in fondi comuni multimanager a gestione attiva siano la scarsa persistenza dei tracking error, come evidenziato dalla tabella 4.9, e la difficoltà nella selezione di gestori capaci di generare sovrarendimenti in situazioni di vendite generalizzate, forte volatilità e aumento delle correlazioni tra i fattori di mercato. Figura 4.3: Rendimenti cumulati della simulazione out of sample, periodo: 7/2003 – 6/2008; base = 100: 6/2003 Rendimenti cumulati 210,00 200,00 190,00 180,00 170,00 160,00 150,00 140,00 130,00 120,00 110,00 100,00 90,00 Baierl & Chen Baierl & Chen (con indici) CAP-K World Benchmark Fonte: elaborazione dell’autore. 33 Guido Abate Bibliografia Akeda Y., Another Interpretation of Negative Sharpe Ratio, “The Journal of Performance Measurement”, Vol. 7, n. 3, Spring 2003 Ambarish R., Siegel L., Time Is the Essence, “Risk”, Vol. 9, n. 8, August 1996 Assogestioni, Modello per il calcolo della quota lorda di un fondo aperto italiano, in “Guida italiana al risparmio gestito”, Fact Book, Roma, 2006 Baierl G. T., Chen P., Choosing Managers and Funds. Maximizing your alpha without sacrificing your target, “The Journal of Portfolio Management”, Vol. 27, n. 2, Winter 2000 Basile I. (a cura di), Benchmark e performance dei portafogli azionari e obbligazionari, Bancaria Editrice, Roma, 2002 Blitz D. 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