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Voglio svegliare

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Voglio svegliare
VOGLIO SVEGLIARE
L’AURORA
(Sal 57,9)
Pagine di
Padre Giovanni Taneburgo
Missionario Comboniano
In occasione del 40° Anniversario della sua Ordinazione
Sacerdotale
C’è un invito nella Sacra Scrittura che viene spesso
rivolto da Dio al suo popolo; l’invito a ricordare sempre le
opere meravigliose del Signore per la salvezza di tutti nel
Suo amore. Ecco qualche versetto:
“Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo
Dio ti ha fatto percorrere.” Dt 8,2.
“Ricorda tali cose, o Giacobbe, o Israele, poiché
sei mio servo. Io ti ho formato, mio servo sei tu; Israele,
non sarai dimenticato da me.” Is 44,21.
“Fate questo in memoria di me.” Lc 22,19.
Scrivendo queste pagine, ricordo il passato ed
esprimo la mia gratitudine a Dio perché grandi sono state
le manifestazioni del suo amore per me e, attraverso me,
per tante altre persone.
Quanta gioia e, allo stesso tempo, che senso di
umiltà ho sperimentato molte volte nel sentirmi dire da
tante persone: “Grazie per essere stato espressione
dell’amore di Dio per noi.” Ho detto sempre dentro di me:
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“Non inorgoglirti mai, Giovanni. Tutto è dono del suo
Amore.”
Ed ecco che mi racconto un po’ con semplicità.
L’ultimo senso
Le parole che scorrono
tra i tratti di penna
sono la vita di qualcuno
che trova un modo
per esprimersi.
Tanta gente
cercherà di leggere
tra le righe per interpretare
lo stato d’animo dell’autore,
cogliendo in diversa maniera
le parole espresse.
Ma l’ultimo
a dare il senso
a ogni circostanza,
a leggere dietro ogni riga
partorita
sei Tu,
Signore, Dio mio.
Questa poesia è di Jeannette Byamungu Kitambala,
missionaria saveriana congolese; l’ho riportata qui perchè
essa esprime molto bene i miei sentimenti nello scrivere
queste pagine di testimonianze di vita. È Dio il primo che
leggerà dietro ogni riga, perchè è stato Lui a dare il via
alla mia avventura di Consacrazione per la Missione; è
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Lui che mi ha sostenuto in essa; è Lui che tra queste righe
leggerà la mia gratitudine verso di Lui per tutti i doni che
ha riversato su di me perché li potessi apprezzare, gustare
e condividere con gli altri.
Riporto qui un’altra citazione di tono diverso da
quello della citazione riportata sopra. La riporto perché
esprime una mentalità, così diffusa nel mondo d’oggi e
contro cui ho reagito sempre nel mio cammino di vita e
nel mio ministero sacerdotale. È presa da un libro che ho
letto tempo fa; è di Marco Baliani, attore, autore e regista.
Si intitola PINOCCHIO NERO - Diario di un viaggio
teatrale -, della Rizzoli. Parla di uno spettacolo nato da un
progetto di ricupero dei ragazzi di strada di uno slum di
Nairobi. A pagina sette e otto l’autore dice:
“Come sono arrivato qui, su questo aereo diretto
all’equatore, verso un altro mondo, a incontrare una
realtà di cui fino a poco tempo fa ignoravo l’esistenza? Se
provo a tornare indietro e a percorrere a ritroso la strada
che mi ha portato a volare sopra questo deserto, non
trovo vie disegnate su un filo netto. Vedo piuttosto una
serie di crocicchi, di avvenimenti casuali, di sentieri presi
per un momentaneo intuito, senza pensarci troppo. Come
al solito la grande Ananke, la dea della necessità degli
antichi, ha dispiegato davanti a me la sua rete intrecciata
di corde e di fili, dentro cui galleggia l’universo nostro, e
dandomi un colpo sulla testa mi ha risvegliato l’anima
proprio nel momento in cui percorrevo uno dei nodi della
rete, un colpo così netto e forte che ho aperto gli occhi in
quel punto del Tempo e m’è sembrata una coincidenza
quell’incontro e un’altra coincidenza l’incontro
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successivo e così via fino a questo posto 23 C su un aereo
delle Ethiopian Airlines.
Non si può mai dire dove tutto è cominciato,
possiamo inventarci l’inizio per tranquillizzarci sempre
alla ricerca di una spiegazione e di un ordine, che invece
non ci sono.”
Questa citazione mi ha fatto specie perché non ho
mai capito come una persona possa affidare la sua vita e la
sua azione al caso, a coincidenze varie o a dee come
Ananke. Non giudico nessuno, ma personalmente sono
convinto che sono quel che sono e ho percorso il mio
cammino di vita così come è stato, perché mi sono sentito
avvolto dalla presenza e dall’amore di Dio; mi sono
sentito animato dalla sua chiamata e dal Suo Spirito.
Ed ecco allora che sto preparando il mio animo alla
celebrazione del quarantesimo anniversario della mia
Ordinazione Sacerdotale avvenuta il 28 giugno 1968,
guardando al mio passato, così ricco di Misericordia di
Dio, con un profondo senso di gratitudine a Lui, mettendo
il presente nella potenza del suo Amore e affidando il
futuro alla sua Provvidenza.
Le tappe della mia vita:
Nato a Bari l’8 maggio 1942, ultimo figlio di
Carmela Lorusso e Basilio Taneburgo, trascorsi la mia
fanciullezza a Sammichele, un paese a 28 km da detto
capoluogo. Mia mamma morì nel 1951 e d’allora fino al
1957 vissi un periodo difficile; non accettavo la perdita di
mamma e mi sembrava che tutte le attenzioni del mio papà
e degli altri membri della mia famiglia, due fratelli e due
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sorelle, non potevano alleviare la mia pena per la sua
assenza. Ero inquieto e senza voglia di studiare.
Un giorno ebbi un piccolo litigio con mia sorella,
oggi Suor Carmela, missionaria in Zimbabwe. Fui ingiusto
e aggressivo con lei. L’episodio mi fece rimanere scosso e
mi portò a una riflessione seria: “Devo orientare bene le
tante energie che ho in me per dare alla mia vita un
significato creativo. Altrimenti che sarà della mia
esistenza?”
Decisi di andare a confessarmi per avere il perdono
del Signore con insieme l’energia per andare avanti con
quella fede di cui mamma era stata testimone e che
continuava a regnare nella mia famiglia. In chiesa
incontrai un Missionario Comboniano, P. Celso Duca, che
era venuto in parrocchia per la promozione vocazionale
tra i ragazzi. Con mia sorpresa, dopo il saluto, mi chiese se
avessi mai pensato a una chiamata alla vita missionaria da
parte di Dio, nell’Istituto Comboniano. Era la prima volta
che sentivo parlare di questa Famiglia di consacrati per la
Missione. Sentii una grande sfida dentro di me: diventare
sacerdote missionario per fare fruttificare i tanti doni
datimi da Dio e condividerli con gli altri, specialmente i
più poveri e abbandonati. Dopo alcuni contatti con P.
Celso e dopo aver riflettuto e pregato, decisi: “Diventerò
apostolo secondo lo stile del Comboni.”
Cominciai subito a sognare la mia vita in Africa e
tutto il periodo di formazione fu tempo di vera
trasformazione, disposto com’ero a pagare il prezzo
perché i miei sogni potessero diventare realtà. Quando,
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dopo il primo anno di seminario, tornai a casa, i miei
amici, i miei compaesani e naturalmente i miei famigliari,
mi videro trasformato. Il ragazzo che era stato a volte
timido e chiuso, a volte tanto vivace, un po’ aggressivo e
come perso, aveva lasciato che il Signore lavorasse su di
lui.
Ecco le tappe della mia formazione: i 2 anni di
ginnasio a Sulmona, in Abruzzo; il liceo a Carraia, vicino
Lucca; i due anni di noviziato a Gozzano, in provincia di
Novara; i 4 anni di Teologia a Verona, presso l’Istituto
Teologico San Zeno. Durante il cammino formativo, mi
furono di ispirazione tanti missionari e missionarie
impegnati con entusiasmo nella costruzione del Regno.
Sentivo l’intercessione della Madonna e di molti santi e
sante che vedevo come grandi fari di luce che
illuminavano il mio cammino e mi comunicavano
ottimismo. Sentivo la vicinanza di mamma che
camminava al mio fianco e mi proteggeva; quella mamma
di cui avevo sentito la mancanza da ragazzo, mi era
diventata attivamente vicina nel mio cammino di vita.
Sentivo la vicinanza del mio papà, uomo di grande fede e
di preghiera, uomo di spirito profondamente eucaristico e
mariano, come pure sentivo la vicinanza dei miei fratelli e
delle miei sorelle. E quante persone mi seguivano e
pregavano per me!
Giugno 1968: ecco la tanta desiderata
Ordinazione Sacerdotale a Bari. Il Vescovo ordinante:
Mons. Enrico Nicodemo. La celebrazione toccò il mio
intimo e fui inondato da sentimenti diversi: di piccolezza
dinanzi a Dio, di gioia, di gratitudine a Lui e di sorpresa
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che continuarono ad aleggiare nel mio cuore in modo
forte, nelle settimane che seguirono l’Ordinazione;
soprattutto quando vidi inginocchiati dinanzi a me il mio
papà e mio fratello Vito. Le prime due persone che mi
chiesero di confessarsi! Evitavo di fare tanti ragionamenti
nel contesto di valutazioni umane, convinto come ero che i
ragionamenti, quando sono troppi, diventano tortuosi e
dannosi. Nella preghiera dicevo al Signore: “Signore, mi
hai chiamato conoscendomi bene dentro e fuori. Mi hai
preso per mano. Ti lodo, ti ringrazio. Dammi il dono della
fedeltà per sempre.” Fui contento d’incontrare questa bella
poesia di Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e
grande teologo cristiano, ucciso dai nazisti nel 1945. Feci
mia l’ultima frase: “Chiunque io sia, tu mi conosci, sono
tuo, o Dio.”
Chi sono io?
Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.
Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.
Chi sono io? Mi dicono anche
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.
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Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia,
malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia,
tremante di collera
davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente
per l'amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?
Chi sono? Sono questo o sono quello?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme?
Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole, querulo vigliacco?
O ciò che è ancora in me somiglia all'esercito sconfitto
che si ritrae in disordine davanti alla vittoria già
conquistata?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, sono tuo, o Dio!
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Dopo un breve periodo di vacanza con la mia
famiglia, dovetti lasciare posti familiari per luoghi a me
allora sconosciuti; dovetti affrontare piccoli sacrifici; ma
chiedevo sempre al Signore la gioia dell’offerta della mia
vita a Lui per la salvezza del mondo. Ecco dove mi portò
il piano di Dio su di me: gli Stati Uniti d’America dove
stetti dal 1968 al 1975; l’Uganda dove stetti dal 1976 al
1995; le Filippine con una permanenza di nove anni, e poi,
nel 2005 lo Scolasticato Internazionale che, dopo essere
stato a Roma per 40 anni, nel 2006 fu trasferito a
Casavatore (Na) ove ora mi trovo.
STATI UNITI
Il mio impegno specifico qui fu innanzitutto per lo
studio della lingua inglese e poi per un master alla Xavier
University di Cincinnati; fu poi per il ministero della
direzione spirituale e l’insegnamento nel nostro seminario
di Monroe (Mi); e poi per la promozione vocazionale; non
mancò mai l’apostolato in parrocchie e zone diverse.
Come promotore vocazionale, soffrii molto per la
scarsità e poi per la quasi totale mancanza di vocazioni
alla consacrazione per la missione nel nostro Istituto
Comboniano, come pure in altri istituti. Vedevo il motivo
di tutto ciò nella società in cui quei valori che erano stati
considerati solidi e non negoziabili, stavano diventando
sempre più fluidi e senza forza. Ma mi pareva di vedere le
radici della crisi anche nel nostro modo di vivere e
presentare la missione. Sentivo poi un senso di
inadeguatezza di fronte al grande compito della
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promozione vocazionale che mi era stato affidato e sentivo
fortemente il desiderio di partire per l’Africa.
Nel capitolo 18° del suo libro intitolato,
“DEFINING MISSION” – I Missionari Comboniani in
America del Nord, l’autrice Patricia Durchholtz, nella
sezione da pagina 244 a pagina 248, dice: “Il Consiglio
Provinciale chiese ripetutamente alla Direzione Generale
personale per la promozione vocazionale, definendo il
bisogno come “il più urgente in provincia.” Quando la
richiesta non potè avere una risposta positiva, P. Giovanni
Taneburgo fu trasferito dal seminario di Monroe, nello
stato del Michigan, all’ufficio per la promozione
vocazionale in Cincinnati. Alle due sezioni del campo
vocazionale estivo del 1973, presero parte 60 giovani, per
lo più adolescenti… I Padri Biancalana e Taneburgo,
aiutati da P. Bragotti, lavorarono per la promozione
vocazionale nelle diocesi di Cincinnati, Chicago,
Filadelfia, Newark, Trenton, Detroit e animarono ritiri
vocazionali per adolescenti nella diocesi di Toledo… La
giornata vocazionale dell’Archidiocesi di Cincinnati
tenuta nel Seminario del Sacro Cuore, vide la
partecipazione di 140 giovani, per lo più adolescenti. Si
ebbe l’impressione che i giovani avessero ancora il
desiderio di conoscere la volontà di Dio nella loro vita…
P. Biancalana ritornò in Uganda… Nella primavera
de 1974 P. Taneburgo riferì che più di 50 adolescenti
avevano preso parte al campo vocazionale; ma il numero
di studenti che poi entrarono in seminario, fu veramente
basso… Durante il Consiglio provinciale dell’ottobre
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1974, la richiesta di P. Taneburgo di partire per le missioni
fu considerata.”
Nelle pagine 247-248, Patricia Durchholz riporta
uno studio fatto dal gesuita, P. John Standenmaier che fa
vedere la crisi vocazionale come dato di fatto non solo per
l’Istituto Comboniano, ma anche per gli altri Istituti e
nella stessa Chiesa. Lo studio mette l’accento sulla
mancanza di apertura a impegni permanenti in tutti i
campi.
Uno dei punti forza nel mio cammino di vita negli
Stati Uniti, fu l’Eucarestia: la celebrazione Eucaristica e la
spiritualità da essa derivante. Ecco i punti principali della
mia concezione di questo grande dono del Signore.
EUCARESTIA E VITA
Parlando di Eucaristia, la Sacra Scrittura ha delle
affermazioni autorevoli e cariche di significato in
un’atmosfera di mistero. S. Paolo dice: “ Io, infatti, ho
ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho
trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva
tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e
disse: ‘Questo è il mio Corpo, che è per voi; fate questo in
memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese
il calice, dicendo: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel
mio sangue. Fate questo ogni volta che ne bevete, in
memoria di me. Ogni volta, infatti, che mangiate di questo
pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del
Signore finché egli venga”. (1Cor 11,23-26).
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Il Vaticano II poi ha descritto l’Eucaristia come “la
sorgente e allo stesso tempo l’apice di tutta la vita e di
tutta l’attività della Chiesa.”Il popolo cristiano è un
popolo eucaristico. L’Eucaristia ci definisce e perciò ci fa
vivere ed agire come seguaci di Cristo.
Nella celebrazione eucaristica è estremamente
importante far memoria della potenza salvifica di Dio
nostro Padre “in Cristo e mediante lo Spirito”, memoria
che implica la nostra esigenza di aprirci a Cristo per essere
salvati da Lui.
Ecco una sfida: siamo noi consapevoli del bisogno
che abbiamo di essere salvati da Dio giorno dopo giorno?
Ci apriamo veramente a Lui per sperimentare la salvezza
che Egli ci offre con amore infinito?
Un altro aspetto importante della celebrazione
eucaristica è quello del sacrificio: nell’Eucaristia Cristo si
offre al Padre per la vita del mondo. Con Lui si offrono i
suoi seguaci nella fede, diventando così offerta viva a Dio
per la salvezza dell’umanità. A me stesso e a tutti quelli
che incontro nel mio ministero chiedo: “Che
consapevolezza abbiamo del martirio del cuore
proclamato nella celebrazione eucaristica? Ogni volta che
si celebra l’Eucaristia il fedele dice al Padre: “O Padre, mi
offro a te; che la mia esistenza sia tutta spesa per la tua
gloria e per il bene dell’umanità tutta. Non il mio piano
che potrebbe essere meschino, non quello che voglio io,
ma il tuo piano, quello che vuoi tu!”
È questa proclamazione sentita e vissuta che
costituisce ciò che ho chiamato martirio del cuore. Senza
questa realtà di offerta totale a Dio, la nostra celebrazione
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eucaristica è come monca e non trasforma la nostra
esistenza.
Importante è poi l’aspetto del banchetto:
nell’Eucaristia il Padre ci offre il Cristo come nutrimento
e Cristo si dona a noi non solo per il nostro bene, ma
anche il bene degli altri. Infatti la volontà del Padre è
questa: che noi, nutriti da Cristo, abbiamo ad essere come
pane vivo benedetto da Lui, spezzato e donato per il bene
di tutti. Ed ecco la sfida: qual è il nostro atteggiamento nei
confronti del servizio agli altri nella Chiesa e nel mondo?
Siamo consapevoli che siamo stati chiamati a rendere
questo nostro mondo un mondo migliore attraverso la
donazione di noi stessi agli altri? L’espressione “Ciascuno
per sé e Dio per tutti” è la negazione di ciò che Dio vuol
fare in noi mediante l’Eucaristia. Siamo gli uni per gli altri
“nel Cristo e mediante lo Spirito”, Dio vuol renderci dono
in un modo che sia sempre più profondo in significato e
intensità. Tradire questo suo intento è tradire noi stessi
perché nessuno può essere un’isola. Vivere in
atteggiamento di donazione, è celebrare la nostra
esistenza, è crescere nell’amore.
Importante poi capire il significato della parola
stessa Eucaristia: vuol dire ringraziamento; e attraverso
tutto ciò che facciamo nella celebrazione eucaristica,
rendiamo grazie à Dio per tutto il bene che è presente in
noi, nella Chiesa e nel mondo; ringraziamo il Signore in
una società dove le cose belle e buone sono spesso prese
per scontate!
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Un’altra sfida: la lode è il centro non solo della
preghiera ma anche di tutta la nostra esistenza. Siamo
capaci di rimanere gioiosamente sorpresi di fronte ai doni
di Dio? Tutto ciò che è buono viene da Lui: dono di Lui e
del suo amore! Qual è la qualità del nostro rendimento di
grazia a Lui?
Se la realtà eucaristica non provoca entusiasmo e
crescita in noi, vuol dire che è una realtà mortificata dalla
nostra mancanza di fede viva. Quando veramente
celebriamo l’Eucaristia, allora la nostra vita cresce e il
nostro cuore si apre all’amore. Il piano di Dio diventa
carne in noi e il mondo diventa migliore.
Spiritualità eucaristica
Dalla realtà eucaristica così come descritta, deriva una
spiritualità che ci rende capaci di una esistenza veramente
cristiana. Brevemente, ecco la concezione della spiritualità
eucaristica così come la sento.
È una spiritualità di PRESENZA. Nella celebrazione
eucaristica Cristo Gesù diventa presente in mezzo a noi in
un modo particolarmente sublime. La spiritualità
eucaristica proclama questo messaggio: “Come Cristo si
fa presente a noi nella celebrazione eucaristica, così noi
dobbiamo farlo presente nel mondo”. Chi celebra
l’Eucaristia in modo vero, diventa sacramento di Cristo,
testimone del suo amore nel mondo, diventa come
ostensorio di Cristo. “Voi siete il sale della terra… voi
siete la luce del mondo…” Mt. 5,13-16. Quanti santi e
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sante sono stati e sono come delle lettere vive inviate dal
Padre all’ umanità di oggi.
È una spiritualità che implica TRASFORMAZIONE.
Nella celebrazione eucaristica il padre prende il pane e il
vino offerti dalla Chiesa e, per un grande miracolo di
amore, trasforma questi elementi nel corpo e nel sangue di
Cristo. La spiritualità eucaristica ci dice che nella nostra
vita di ogni giorno dobbiamo permettere al Padre di
prenderci e trasformarci in Cristo mediante lo Spirito. La
vita cristiana è profondamente dinamica: o noi cresciamo
nel profondo del nostro essere, oppure cadiamo in letargo
e diventiamo come morti. C’è una preghiera che mi aiuta
molto e che esprimo così spesso per la mia crescita nel
Cristo: “Signore, prendimi come sono e fammi come tu
voi”.
È una spiritualità di tensione verso il futuro:
TENSIONE temperata dalla SPERANZA. L’eucaristia ci
porta avanti. La spiritualità eucaristica ci fa camminare
nella speranza con lo sguardo rivolto all’Eterno. Ecco
allora l’ottimismo cristiano: la convinzione che Dio è con
noi, che Dio ci dà la forza del suo Spirito e che la vittoria
finale sarà non delle forze del male, ma di Dio e dei suoi
fedeli. Nonostante i tanti elementi di male che affliggono
il mondo, noi ci muoviamo non verso un futuro oscuro ma
verso un futuro di luce: se solo ci apriamo a Cristo! Vedo
il pessimismo di tante persone, e credo che una delle più
belle testimonianze che un cristiano può dare nel mondo
di oggi sia proprio quella dell’ottimismo.
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Una spiritualità COMUNITARIA. La spiritualità
eucaristica ci fa capire nel profondo del cuore che nessuna
persona può essere un’isola. Nell’isolamento si muore.
C’è un movimento che è necessario nella nostra vita: il
movimento dello scambio dei doni che abbiamo, il
movimento dell’aiuto vicendevole. Quando si tratta di vita
nello Spirito, nessuno è così ricco da non avere bisogno
degli altri; nessuno è così povero da non potere dare un
contributo valido per la crescita di tutti. E ricordiamo che
niente è piccolo quando è grande il cuore che dona.
È una spiritualità di SALVEZZA. La spiritualità ci
spinge a vivere e ad agire sempre in un contesto di
salvezza per noi e per gli altri. Ci sono fin troppe
espressioni di condanna nella nostra società d’oggi.
Condannare e fermarsi alla condanna non serve. C’è
bisogno di compassione. Anche per chi ha fatto del male
(e chi di noi non ne ha fatto in un modo o nell’altro?), il
desiderio deve essere: “Che si converta e viva”. È sempre
questa l’intenzione del cuore di Dio.
È una spiritualità di RINGRAZIAMENTO. La
parola stessa Eucaristia vuol dire ringraziamento. E come
non essere grati a Dio se è vero che “siamo perché Egli è”
e che tutto ciò che è buono viene da lui?
UGANDA
A riguardo del tempo trascorso in questa nazione,
mi piace condividere stralci di note e lettere che
esprimono i miei sentimenti in circostanze piene di sfide.
Li misi giù nel 1996 proprio prima di partire per le
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Filippine perchè parenti e amici mi chiedevano qualche
segno a ricordo della mia vita e azione missionaria in
Africa. In occasione del mio 40° di Sacerdozio, ho sentito
il desiderio di condividerli con più persone. Li ho
intitolati:
UNA VITA CHE CONTINUA
3 gennaio 1996
Carissimi,
il 19 dicembre 1995 portavo a termine il mio ultimo
compito in Uganda, concludendo così un periodo di 20
anni di vita trascorsa in Africa, con riconoscenza al
Signore. Mentre ero sull’aereo che mi portava da Kampala
verso Londra e Roma, una fiumana di sentimenti
attraversava la mia mente e il mio cuore.
A un certo punto mi chiesi: qual è stata l’esperienza
più forte, più significativa durante i miei anni di vita, di
apostolato in Uganda? Mi venne spontanea la risposta:
senz’altro l’amore di Dio nella mia esistenza di ogni
giorno.
Quante volte negli anni trascorsi in Africa ho
meditato sui due passi delle Sacre Scritture che vi
propongo.
“Ora così dice il Signore che ti ha creato, o
Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele:
‘Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.
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Se dovrai attraversare le acque, sarò con te,
i fiumi non ti sommergeranno;
se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai,
la fiamma non ti potrà bruciare
perché io sono il Signore tuo Dio,
il Santo d’Israele, il tuo salvatore.
Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto,
l’Etiopia e Seba al tuo posto.
Perché tu sei prezioso ai miei occhi,
sei degno di stima e io ti amo’”. Is 43,1-4
“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa
quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici,
perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto
conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete
al Padre nel mio nome ve lo conceda.
Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.”
Gv 15,15-17.
Carissimi,
l’amore di Dio ha toccato anche la vostra vita, e
Dio si ripropone continuamente a voi per un’esperienza
sempre più profonda della sua azione salvifica che
sostiene e dà forza.
Condivido con voi uno dei periodi della mia vita in
Africa che hanno lasciato un forte segno nell’intimo del
mio essere missionario. Presento queste note, stralci di
mie lettere riguardanti quel periodo, in semplicità e umiltà,
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sperando che possano farvi del bene dandovi ispirazione
per vivere con fede e coraggio. In atteggiamento di
apertura a Dio.
Vi ricordo sempre con affetto soprattutto nella preghiera.
Alokolum 21-2-‘87
Carissimi tutti,
pace e ogni altro bene! Un augurio dal profondo del
mio cuore.
Ho trascorso questo sabato con la voglia di fare
proprio niente e con tanti pensieri che si sono accavallati
nella mia mente; pensieri riguardanti me stesso e gli altri,
guerra e pace, speranza e pessimismo.
Tramite radio-trasmittente, alle 13,30, abbiamo
ricevuto una brutta notizia: i Padri, le Suore e tutti della
missione di Alito hanno dovuto evacuare il posto. Stasera
un’altra notizia:”al più presto tutti della missione di Aboke
dovranno andare via di là per sfuggire ai pericoli che
sembra si stiano avvicinando”. Al momento non possiamo
avere una visione chiara di ciò che sta succedendo là;
comunque la situazione è drammatica. A pensare che
giorni fa furono evacuati ospedale e missione di Kalongo!
Tanti comboniani e comboniane sono stati chiamati
a pagare un contributo di sofferenza personale. Per che
cosa secondo la mente di coloro che fanno il male? Credo
che altri saranno chiamati a soffrire di persona. Da parte
mia sono più che mai consapevole della scelta che ho fatto
in risposta alla chiamata di Dio e sono sereno. E quando
penso a coloro che sono stati colpiti dal male mi
chiedo:”Perché loro e non io?”. Metto tutto nelle mani di
Dio e prego che quando la sofferenza arriverà per me, io
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sia capace di dare ad essa un significato redentivo! Possa
io rimanere fedele agli ideali della Famiglia Comboniana!
Carissimi, stiamo vivendo un momento particolare:
non si tratta di cadere in un malinteso senso di eroismo:
sarebbe esaltazione di poco conto e di poca durata. Non si
tratta di abbandonare su due piedi per un senso di vaga
paura: sarebbe vigliaccheria; È allora il momento di una
testimonianza vera: per amore di Cristo e della nostra
gente. È quello che voglio vivere
Chiedo a tutti di pregare per me, i miei confratelli, e
tutta la gente di qui. Che tutto si concluda presto, senza
tanto spargimento di sangue, che regni la pace!
Non sto a descrivere aspetti particolari della
situazione: sarebbe cosa lunga e non opportuna, anche
perché pochi sanno veramente cosa sta succedendo in
questa Uganda martoriata da tanti anni ormai.
Spero che nella mia prossima lettera sia in grado di
darvi notizie più “leggere” e avrò così la possibilità di
dirvi che la situazione è migliorata.
Vi ho portati sempre nel cuore e continuerò a
tenervi lì con tanto, tanto affetto.
Tutti abbraccio e tutti benedico con un senso di
grande pace interiore.
23-2-87
Carissimi,
leggendo ciò che ho scritto due giorni fa, vi sarete
forse chiesto: “Ma che cosa ha dato occasione a questa
lettera?” Rispondo così: La consapevolezza della
21
situazione nella sua precarietà e la volontà di parteciparvi i
miei sentimenti.
Vi racconto un episodio del 19 u.s.
“Quest’oggi è capitato qualcosa che mi ha fatto
veramente riflettere sulla fragilità della vita. Una bomba è
caduta sulla capanna di Elisabetta a circa 40 metri a ovest
della nostra siepe. Ero in stanza, ho sentito il colpo, sono
andato fuori, ho visto il fumo e poi le fiamme della
capanna che bruciava. Per fortuna dentro non c’era
nessuno. Elisabetta e famiglia erano con gli altri rifugiati
da noi. Ho pensato che quella bomba sarebbe potuta
cadere nel nostro recinto, sulla mia stanza. Circa due
settimane fa ne cadde una proprio accanto alla cattedrale
di Gulu. Può capitare di tutto mentre si è in casa, e ogni
uscita è un rischio”.
25- 2- 87
Ho trascorso tutta la giornata a Gulu tra un ufficio e
l’altro per ottenere cibo da dare ai rifugiati. Mi sono stati
dati 20 sacchi di granoturco e 10 di fagioli, da distribuire
tra le persone tribolate che sono con noi. Mi è stato
promesso che gli aiuti continueranno ad essere dati in
modo sistematico finché c’è l’emergenza. Comunque se la
situazione non migliora, la pioggia non cade e la gente
non può lavorare i campi, avremo problemi di fame.
Domani faremo la distribuzione. Avendo preparato
liste di nomi e descrizione della situazione ad Alokolum,
in futuro sarà più facile ottenere aiuti.
22
Comunque oggi ho fatto l’esperienza del povero. È
stata cosa un po’ dura, ma ho cercato di fare tutto per
amore di questa gente e sono contento.
28- 2- 87
Oggi abbiamo avuto problemi con alcuni
guerriglieri e giovinastri a causa della distruzione dei
vestiti ai bisognosi; ne volevano anche loro a tutti i
costi…, ma tra l’altro avevamo solo roba per donne e
bambini. Anche aiutare è diventato un problema più
grande che mai Con Padre Umberto mi sono chiesto:
“Perché tante teste calde? Perché tante persone che creano
un ambiente ostile alla speranza? Fino a quando,
Signore?”
1 – 3 – 87
Carissimi,
oggi la giornata è trascorsa con calma. Mi sono
state di sostegno e di grande consolazione le parole del
Profeta Isaia. “Si dimentica forse una donna del suo
bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue
viscere? Anche se una mamma si dimenticasse, io invece
non ti dimenticherò mai”. (Is 49,15)
Che queste parole di Dio così ricche di amore, di
tenerezza siano di conforto anche per voi!
9 - 3 – 87
Tra ieri e oggi ho avuto momenti di tristezza che mi
ha ferito il cuore a causa di motivi diversi: acrobazie per
23
tenere buoni i guerriglieri che di tanto in tanto vengono a
farci visite non tanto gradite per chiedere cose di vario
genere; piccole incomprensioni tra la gente che è con noi;
sforzo per aiutare in modo non paternalistico ma
costruttivo; dolore per la sofferenza altrui.
Un esempio: Ieri pomeriggio ero con la comunità
nel mezzo dell’adorazione domenicale, quando abbiamo
sentito colpi di tosse che venivano dalla veranda.
Finita la preghiera siamo andati a vedere: per terra,
sul pavimento di cemento, uno sconosciuto. Era venuto
per morire da noi, si proprio così. Non reagiva più a
nessuno stimolo, si percepivano solo lamenti che venivano
dal suo intimo. Dalla carta medica che aveva in tasca
abbiamo capito che stava andando all’ospedale di Lacor
per controllo; sentendosi venire meno, si è fermato da noi.
Una rifugiata ha fatto la parte dell’angelo: dopo averlo
pulito, gli mise su i vestiti che le diedi per lui… con
Umberto e tutti della comunità ho pregato per lui e l’ho
portato in un posto tranquillo. È morto durante la notte.
Così oggi abbiamo seppellito un fratello nella comune
umanità e nel Cristo Redentore; il suo nome: Victor Olar.
15 –3 - 87
Sto leggendo con interesse il libro “Dagli Angoli
Del mondo”. Quanti pensieri e quante invocazioni! Da
pagina 291 a pagina 305 è narrata la storia di Luisa
Guidotti, una dottoressa di Parma uccisa in Zimbabwe il 6
luglio 1979. Una Martire! A pag. 304, una cosa
impressionante: “sulla strada una camionetta di soldati:
uno di questi, un italiano, mercenario del regime, la
24
colpirà e la lascerà morire dissanguata, senza rispondere
alle sue invocazioni.” Venire in Africa per essere uccisa
da un italiano! Mi è venuto un altro pensiero. Nella storia
del nostro Istituto Comboniano sono stati uccisi diversi
confratelli. Sono forse stati uccisi con armi italiane?
L’Italia si distingue (!?!) per la vendita di armi al terzo
mondo; che peccato!
16 – 3 – 87
Sono andato in città ed ho visto Steve che, con la
sua famiglia, ha dovuto lasciare casa. Tornarci è ancora
impossibile. I ladri poi hanno cominciato a rubare: hanno
già portato via l’intero salottino. Steve mi ha chiesto se
posso portare in salvo la roba che rimane. Ma come fare
senza correre pericoli anche seri? Per le persone rischierei
la vita, ma per le cose per quanto preziose? Non si deve!
12 Aprile: Grande sparatoria in seminario subito
dopo il mio arrivo in macchina. Lascio questa in un
angolo, e vado al riparo in un piccolo corridoio: vengo a
trovarmi con il rettore e tre ragazze della cucina.
Rimaniamo lì per una mezz’ora. Quando tutto sembra
calmo, vado fuori ed assieme a P. Umberto mi incontro
con gli “OLUM” (così sono chiamati i guerriglieri nella
nostra lingua). Ci parlano di frainteso: ci credo poco, e i
particolari vadano con il vento.
L’episodio descritto è avvenuto tra le 16 e le 16,30.
veniamo ora alle 23,20: tutti sono già a letto e intorno c’è
buio. Sto per andare a dormire mentre la stanza è
illuminata da una lampada a petrolio. Mi ero fermato a
leggere u po’, e stavo andando a letto non consapevole
25
della presenza di una 15na di uomini armati proprio fuori
dalla mia porta. Avevano scavalcato il recinto. Il loro capo
viene e bussa. Capisco e così vado da lui. Chiedo che
venga mantenuta la calma e non si spari. Nel contesto di
un breve dialogo mi chiede il furgoncino. Rifiutare
sarebbe rischioso per me e la comunità intera. Viene
Umberto e insieme acconsentiamo alla loro richiesta; apro
il cancello, porto la macchina fuori dal recinto. Gli
“amici” vanno via, senza neppure dire grazie. Che
mancanza di buone maniere!
20 Aprile: Uomini armati vanno a Lacor Hospital e
rubano vestiti e tanta altra roba dalle case dei dottori
Corti, Mario e Umberto. Grande paura a causa di
minacce e grandi perdite. Che peccato mettere in pericolo
il buon funzionamento di una struttura ospedaliera così
importante come Lacor!
21 Aprile: Un giovane viene ucciso sulla strada
lungo la siepe del Postulato; ci viene detto che era una
spia.
22 Aprile: A Lacor c’è un’aria pesante di
smobilitazione. Diversi dottori e infermiere decidono di
andare via: il futuro presenta tante incognite e tutti gli
Ugandesi non appartenenti alla tribù Acoli hanno paura di
stare in ospedale.
23 Aprile, 1987: Siamo in una situazione difficile
definita da qualcuno come d’inferno. In clima pasquale
non mi sento di usare gli stessi termini; infatti, nonostante
tutto, sto facendo continuamente l’esperienza del Signore
che opera per la salvezza mia e di tutti. Se solo ci
aprissimo a lui. Trasformerebbe il deserto dei nostri cuori
in un giardino fiorito.
26
Tre giorni addietro Postulanti e Seminaristi sono
andati via di qui per ragioni di sicurezza; la tensione creata
da gruppi di sbandati armati era diventata di troppo.
Adesso sono alloggiati presso la scuola di taglio e cucito
“Santa Maria”, a circa 1 km da Gulu: aspettano che un
convoglio militare sia organizzato: io ne farò parte per
accompagnarli. Speriamo non ci siano attacchi da parte
dei guerriglieri. Il rischio maggiore riguarda i primi 50km.
del tratto Gulu-Kampala. Nella capitale mi fermerò solo
qualche giorno.
Dopo aver riflettuto, pregato ed essermi consigliato,
ho cancellato il mio viaggio di predicazione e riposo
offertomi dal gruppo statunitense. Nella situazione in cui
ci troviamo non posso lasciare Padre Umberto da solo per
motivi ovvii. È una rinuncia da parte mia, ma la faccio
volentieri e la offro al Signore assieme ad altre perché la
pace venga a questa nazione tribolata.
Potrei scrivervi su tante, tante cose; mi limiterò a
riportare alcuni episodi di questo mese di Aprile.
24 Aprile: Abbiamo avuto due giorni di calma,
almeno in superficie. Preghiamo e speriamo bene. A Lacor
sono venuti diversi soldati governativi per pattugliare la
zona. La nostra speranza comunque non è nelle armi.
Quando di sera tardi faccio la mia ultima preghiera del
giorno dico: “Signore che questa notte sia calma. Che non
venga nessuno a disturbarci”.
Vi assicuro il mio ricordo e chiedo la vostra carità
fatta di preghiera per me e per tutti di qui.
27
27 – 4 – 1987
Finalmente viene data la notizia: “Il convoglio con
la scorta militare parte per Kampala oggi. Ecco la
formazione: una camionetta con su una mitragliatrice
girevole, tre camions pieni di soldati armati, una 15na di
macchine civili tra cui la nostra e quelle che trasportano
seminaristi, infermiere di Lacor Hospital e di varie scuole
della nostra zona, altri camion militari e un’altra
camionetta con mitragliatrice. Sono disturbato da tanti
aggeggi e movimenti di violenza, di morte. Quattro ore
per fare 57 km.! È inclusa una sosta con un po’ di
sparatorie in un posto dove diversi sono morti negli ultimi
mesi scorsi. Com’è brutta la guerra! È inutile! Al di là del
posto di blocco sul Nilo il convoglio viene sciolto:
ciascuno è libero di proseguire per conto proprio.
Assieme ai postulanti che viaggiano con me vado e
spendo la notte nella nostra missione di Kassala a 70 Km.
da Kampala.
28 – 4 – 1987
Arrivo a Kampala, porto i postulanti alla stazione
degli autobus, ed essi partono per trascorrere un po’ di
tempo con le loro famiglie. Tutti eccetto uno che ha
parenti nella capitale. Lo porto a casa. Grande sorpresa del
fratello che ci vede arrivare. Non crede ai suoi occhi:
pensava che tutti del Seminario di Alokolum fossimo stati
uccisi o fossimo nelle mani dei guerriglieri.
Ore 11.00: vado a Mbuya, una zona di Kampala
dove ci sono due comunità comboniane. Accoglienza
cordiale e distensione con un elemento però riuscitomi un
28
po’ pesante: il rispondere alle domande espresse da diversi
confratelli man mano che arrivavano: “come stai? Come si
sono svolte le cose da voi? Ci sono stati morti?”
1 – 5 – 1987
Parto per il Kenya in compagnia di due confratelli.
Domani ci sarà la Professione Religiosa di quattro novizi,
tre dei quali fecero il Postulato in Uganda. Un’ occasione
di gioia e di speranza: “Che facciano bene. Che siano
fedeli!”. Era grande desiderio del Comboni quello di
salvare l’Africa con l’Africa. Sono uno degli strumenti per
la realizzazione di questo sogno: sto formando giovani che
eventualmente diventeranno sacerdoti e missionari
comboniani. Ho già contribuito alla formazione di alcuni
che sono “arrivati”.
3 – 11 maggio 1987
Attesa penosa per il mio ritorno ad Alokum. Non ci
viene dato il permesso richiesto al governo dalla Croce
Rossa per il volo Kampala-Gulu. Attesa penosa per vari
motivi: - Umberto è da solo ed è stanco delle noie dei
guerriglieri o ladri. In due è più facile andare avanti.
Tante esperienze in una città che mi sembra una
pentola che bolle: gente che cerca di sbarcare il lunario in
un modo o nell’altro, gente che si muove senza sapere
dove va, corruzione, soldati ovunque, tensione, individui
che cercano di rubare ogni piccola occasione di piacere. E
Dio che si cala continuamente in questo ambiente per
redimere, per dare la vita. Un grande mistero!
29
Una nota bella: alla chiesa di Cristo Re nel cuore
della città di Kampala, si celebra una messa quotidiana
alle ore 13.00. La chiesa è sempre piena zeppa: gente che
non ha soldi per un pranzetto da poco, sceglie di celebrare
l’Eucarestia per il pane della vita. Naturalmente ci sono
altre persone… e per tutti la celebrazione è il ristoro del
mezzodì.
14 – 5 – 1987
Volo Kampala-Gulu. Che meraviglia! Sono seduto
accanto al pilota. Per tutta la durata del volo sono
assorbito dalla contemplazione della natura. Per diversi
km. seguiamo il corso del Nilo: vegetazione intensa,
animali, sole splendente e movimento di nuvole. Che
calma! È proprio vero: più in alto si va e più si vede
meglio e più si sperimenta la pace. Cosa vera, sia
nell’ordine della natura che della grazia.
Sorvoliamo Gulu e poi atterriamo con il piccolo
aereo a 7 posti. Si ritorna a una visione in cui tanti
elementi sono di fango: trincee, armi, tensione, tanto male.
Mi ritrovo poi ad Alokolum assieme ad Umberto e ai
rifugiati con le piccole e grandi difficoltà di ogni giorno.
18 – 5 – 1987
Porto in salvo il pulmino del seminario. È al di là
della linea dei soldati governativi, e appena possibile sarà
portato a Kampala dove ho lasciato quello del Postulato.
Siamo rimasti con un motorino. Gli altri mezzi motorizzati
o sono stati portati in salvo o sono stati rubati; la bella
30
moto di Umberto fu presa a mano armata durante la mia
assenza.
Il rettore del seminario e gli altri docenti con
dimora in Seminario decidono di partire. Rimango qui con
P. Umberto. Alcune donne tra i rifugiati piangono e
dicono: “Almeno voi due rimanete!” Ci considerano come
parafulmini. Sembra che gli sbandati hanno ancora un po’
di rispetto per noi. Uno dei principi che io e Umberto ci
siamo dati è il seguente: “La vita al di sopra delle cose!”.
Ho usato il verbo “chiedere”; che svista.
Un fatto incredibile: all’entrata del Seminario ci
sono una decina di giovanotti armati. Presso la cucina un
uomo chiede una carriola per trasportare la carne di una
mucca rubata e uccisa al mercato. Mentre fa l’operazione,
un suo figliolo, salito su un albero per cogliere dei
manghi, cade e si fa male. Dilemma: prendere cura del
ragazzo o portare via la carne?…
Quel tizio abbandona il ragazzo e va via con la
carne. Dove siamo arrivati? Mancanza di umanità o che
cosa?
19 – 5 – 1987
In Seminario abbiamo chiuso tutto per ragioni di
sicurezza.
Stamattina Umberto ha messo giù delle canne per
dare l’acqua alle suore che si trovano tra noi e il
Seminario. Abbiamo trasportato la radio trasmittente con
antenna dalla nostra parte per non andare di là di sera tardi
quando comunichiamo con Kampala e altri centri
comboniani.
31
Mentre stavamo lavorando, ecco arrivare alcuni
giovanotti armati con un mucchio di richieste a cui
Umberto e io abbiamo risposto con un no fermo. Ci è
andata bene, ma fino a quando? Speriamo in bene.
Sono le 17.30. è appena andato via P. Rocco
Mallardi venuto per farci una breve visita gradita. Fossero
così tutte le visite di questi giorni!
Chiudo chiedendo la carità della vostra preghiera
soprattutto per questa intenzione: “Che le decisioni che io
e Umberto siamo chiamati a prendere giorno per giorno
siano secondo la Sapienza del Signore”.
Vi assicuro il mio ricordo, vi benedico di cuore e vi
abbraccio con affetto fraterno.
11 giugno 1987
Carissimi,
dall’ultima volta che vi ho scritto, sono successe
tante cose; ad ogni modo prima di presentarvi un po’ di
cronaca, desidero invitarvi a ringraziare il Signore per la
sua amorosa protezione su di me, P. Umberto, le suore e la
gente che è con noi. Ho toccato la Sua azione con mano,
ho constatato ancora una volta la potenza
dell’intercessione della Madonna e ho provato in modo
nuovo la gioia di essere cristiano.
Con semplicità vorrei toccare due punti particolari.
1) Ho imparato a gustare i salmi in modo più personale.
Costituiscono una preghiera profonda insegnataci da
32
Dio stesso, e prego che anche voi possiate gustare
sempre più le parole del Signore.
2) Ho visto sempre meglio come ogni momento
dell’esistenza quotidiana concreta, vissuta in un clima
di fede, presenta un elemento misterioso del piano di
Dio. A volte è difficile vederlo, ma c’è; spesso ho
pregato il Signore perché aumenti la nostra fede per
poterlo vedere. Dico “nostra” perché sempre vi ho
tenuti presenti.
Senz’altro questo periodo difficile della mia vita mi ha
dato tanto. Ricorderò tante cose con riconoscenza al
Signore.
Ecco ora un po’ di cronaca:
19 – 5: Uomini armati scassano la porta di un garage del
Seminario. Vanno via con una moto e alcuni bidoncini di
benzina. A Gulu le autorità militari sequestrano due
autobotti di carburante giunti da Kampala per la Diocesi
dopo tante difficoltà.
20 – 5: Alcuni guerriglieri non mi permettono di andare in
città. Mi parlano e agiscono in modo rude. È con me P.
Maliardi. Ci viene quasi da ridere e facciamo marcia
indietro con i nostri due motorini.
23 – 5: Altri due furti in Seminario. Nel pomeriggio una
ventina di guerriglieri vengono al Postulato e disturbano
me e Umberto. Alcuni sono ubriachi. Vanno via con
alcuni pezzi di sapone e due paia di pantaloni. Che bravi:
volevano un mondo di roba e si accontentano di poco!
25 – 5: Vandalismo in Seminario e nella zona. Al
pomeriggio accade una cosa stranamente buona. Quattro
33
guerriglieri vengono a disturbarci mentre stiamo per
iniziare il Rosario sotto la veranda; Umberto li invita ad
andare via o a pregare con noi. Rimangono. Due sono
passivi e due pregano. Che bellezza sentirli dire per ben
50 volte. “Prega per noi peccatori”. Dopo il rosario se ne
vanno via tranquilli. Potenza della preghiera!
26 – 5: Ho la gioia di portare in salvo tre persone che
temono di essere uccise dai guerriglieri.. Le prelevo
dall’ospedale di Lacor e le porto via in ambulanza
accovacciate giù e piene di paura. Operazione riuscita.
Grazie Signore!
29 – 5: Di sera alcuni ladri vanno dalle suore e
cominciano a rompere alcuni vetri. Le suore chiamano
aiuto. Umberto, io e alcuni rifugiati giudichiamo che i
ladri non sono armati. Con cautela marciamo verso il
posto attaccato. I ladri scappano via!
30 – 5: Le quattro suore si spostano da noi e occupano due
stanze dalla parte dei Postulanti. Assieme si sta meglio
soprattutto se si è in situazioni di pericolo.
1 – 6: Un gruppo di guerriglieri rubano alla scuola del
“Sacred Heart” e rapiscono pure sei ragazze con tutte le
possibili conseguenze (sesso forzato, malattie veneree,
AIDS…). Questa è tra le cose che mi danno più tormento.
4 – 6: Umiliazione all’aeroporto. Con tutte le carte in
regola arriva un piccolo aereo da Kampala con il cibo e la
posta di diverse settimane dall’Italia. Sono lì con altri
quattro Padri. Si è contenti per la roba arrivata. Ad un
tratto arriva un camion pieno di militari. Il pilota, P. Paolo
e io veniamo portati alle vicine caserme. Tante parole e
tanti sentimenti anti-bianchi. Conclusione: l’aereo parte
per Kampala con tutto ciò che aveva portato. Piccologrande sacrificio soprattutto per la posta!
34
5 – 6: Bellissimo giorno di riflessione e preghiera in
Cattedrale: Comboniani/e e Sacerdoti diocesani assieme.
Predico io. Tutto bene, eccetto per un’oretta di preghiera
rovinata dai guerriglieri, in cerca affannata di roba, che
fanno irruzione in missione.
6 – 6: Dopo colazione Umberto e io decidiamo di andare
in Seminario a fare un giro d’ispezione; fatto
provvidenziale: infatti un gruppo di cinque giovinastri sta
andando via portando con sé non solo gli ultimi 6 polli del
pollaio, ma anche una ragazza. Interveniamo.
Uno minaccia di sparare. Umberto fa da scudo alla
ragazza... io cerco di far ragionare il tizio.
Conclusione: i malviventi vanno via con le galline. La
ragazza è salva. Portatala in Postulato, prendiamo cura di
lei; era stata picchiata brutalmente per il rifiuto di andare.
Ancora una volta travaglio interno e perdono!
Di sera provo sentimenti strani. Mi sento stanco. Mi viene
alla mente parte di una poesia di Mons. Pelloso che faccio
mia: “Sono come la foglia che trema sul ramo e cadrà al
primo alito di brezza. Raccoglimi Signore nel covo della
tua mano”.
7 – 6: Sto per uscire e andare a celebrare l’Eucarestia nella
parrocchia di “Holy Rosary”. Senza motivi specifici vengo
preso da sentimenti di paura. Mi raccomando al Signore,
chiedo la protezione di Maria… e tutto va’ bene. Almeno
il giorno di Pentecoste!
9 – 6: Radio Uganda e la BBC riportano che Domenica
scorsa furono uccise circa 200 persone a Cwero, 20-25
Km. da Gulu. Domanda: guerriglieri soltanto o anche
donne e bambini? Morte, morte. Signore, pietà.
Pomeriggio: ho la testa pesante. Ho trascorso quasi tutto il
giorno leggendo e pregando. Umberto e io diciamo alla
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Madonna che se potremo continuare ad Alokolum con il
nostro programma formativo, costruiremo una Grotta in
Postulato come segno di gratitiudine.
10 – 6: Qualche brava persona porta tanta posta da
Kampala: che bellezza; ho parecchie lettere, alcune anche
portate a “mano” dall’Italia. Sono contento.
12 – 6: È da cinque giorni che in giro abbiamo un po’ di
pace. Speriamo in bene.
Assieme a una benedizione speciale dal mio cuore
di sacerdote, vi invio tanti affettuosi saluti con
l’assicurazione che nonostante tutto, il mio fisico resiste
meravigliosamente. È proprio vero quello che S. Paolo
dice nella lettura di oggi: “…Noi abbiamo un tesoro in
vasi di creta. Siamo tribolati ma non schiacciati. Sconvolti
ma non disperati. Perseguitati ma non abbandonati.
Sempre veniamo esposti alla morte perché la vita di Gesù
sia manifestata”.
14 – 6 – 1987: Festa della Santissima Trinità. Un
bellissimo pensiero si fa presente così spesso al mio cuore
durante la giornata. “Per conoscere l’oceano, la cosa
migliore sarebbe spingersi fino a perdersi in esso. Lo
stesso avviene quando si tratta di conoscere Dio”.
È venuto a trovarmi un amico; appare abbattuto. Mi
dice che alcuni anni fa un suo nipote uccise qualcuno. Ora
dei parenti dell’ucciso chiedono per “compenso” 23
mucche e alcune capre. Se tale compenso non viene dato,
ci sarà la morte per un parente dell’uccisore. Potrebbe
essere il mio amico. Mi ha chiesto di pregare per lui. Che
cose assurde succedono!
Ho portato all’ospedale di Lacor una donna ferita e
malamente conciata. Poverina, che pena!
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15 – 6 – 87: Alle 7,45 viene data per radio la notizia del
furto avvenuto nella casa delle suore adiacente a quella del
Vescovo. Nella confusione Sr. Palma viene ferita. Un
proiettile le attraversa la mano. Continua la sofferenza
causata da cose insensate!
Vado all’ospedale di Lacor: povera donna che ieri
ho portat lì. Era incinta: un bambino di cinque mesi ucciso
da una pallottola nel suo seno, l’utero spappolato, la milza
lacerata. Spero la salvino. Suor Palma sta benino.
Tornando a casa incontro due guerriglieri ubriachi.
Può succedere di tutto. Prego il Signore che mi protegga, e
tiro dritto... tirano dritto anche loro, cioè continuano nel
loro procedere a zig-zag.
Dopo pranzo, steso sul letto, penso ai tanti che
soffrono a causa di cuori induriti, penso ai tanti che
muoiono e ai tanti disordini in giro. Per alcuni giorni noi
di Alokolum siamo stati come su un’isola di pace. Ma fino
a quando? Tra le preghiere che faccio considero anche la
morte e prego: “Signore, nell’ora della mia morte,
chiamami”. Quante volte nei mesi scorsi mi sono sentito
come se fossi in riva al mare e ho pregato. “Signore,
rendimi pronto a salpare se chiamato a passare all’altra
riva”. Ora, mentre scrivo, penso che questa dovrebbe
essere una preghiera frequentemente espressa nella nostra
vita!
17 – 6 – 87: Ho preso cura di un tizio ferito al piede con
un grosso taglio. Mi dice di essersi fatto male mentre
faceva un’opera buona. Un’ora dopo l’operazione di
soccorso, vengo a sapere che era rimasto ferito durante la
notte mentre rubava una tendina in Seminario. Roba da
ridere o che?
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19 – 6 – 87: Gli operai che abbiamo con noi sono rimasti
senza tanto cibo. Vado in missione (Cattedrale) in bici,
prendo una Fiat 127 e vado al centro catechistico. P.
Archetti mi da un sacco di fagioli che porto al Postulato.
Torno in missione con la 127 e poi a casa in bici. Una
sudatina salutare, un pochino di rischio e tanta gioia!
20 – 6 – 87: Tra le mie note trovo un articolo della rivista
inglese “The Tablet”, del 2 Novembre 1985. Che roba! La
situazione ugandese non è per niente cambiata in meglio.
L’articolo, si potrebbe dire, riflette la stessa situazione di
adesso.
Ho ripreso a leggere il libro del teologo tedesco
Dietrich Bonhoeffer ucciso dai nazisti nel 1945; è
intitolato “The Cost of Discipleship”; credo che il libro
tradotto in italiano sia intitolato: “Sequela”. Che ottimo
seguace di Cristo!
Una delle cose che facevano soffrire Bonhoeffer
era questa: “Il Socialismo Nazionale Tedesco stava
cercando di fare a tutti i costi una storia senza Dio”. È
quello che molti stanno cercando di fare in Uganda?
Questo autore mi ispira molto e molti dei suoi
sentimenti li faccio miei. Un esempio: Egli scriveva: “Non
avrò nessun diritto di prendere parte alla ricostruzione
della vita cristiana in Germania dopo la guerra, se non
prendo parte alla sofferenza del mio popolo nel tempo
presente!” L’applicazione alla mia vita è semplice per
quanto riguarda l’Uganda: “ Signore, rendi me e tutti i
Comboniani sempre più capaci di martirio anche se non si
tratta di morte fisica”.
21 – 6 – 87: Solennità del Corpus Domini: Vedo
l’Eucarestia come la più bella risposta data da Dio ai
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bisogni delle sue creature: “Resta con noi perché si fa
sera e il giorno già volge al declino”. ( Lc. 24, 29).
22 – 6 – 87: Alcuni guerriglieri hanno portano una ragazza
pelle ossa. Mi dicono di averla trovata nel bosco ammalata
e di averla portata da noi avendo avuto compassione di lei.
“Ora l’abbiamo portata da voi sicuri che qui potrà essere
aiutata”. Vado all’ospedale di Lacor e porto la ragazza.
23 – 6 – 87: A Lacor mi viene detta la verità: due mesi fa
circa, la ragazza fu presa da alcuni guerriglieri mentre era
al mercatino di Lacor e portata con forza nel bosco.
Immagino la sua sofferenza e come sia stata trattata e
“usata” durante la sua prigionia. Immagino la sofferenza
della sua famiglia.
Che mondo balordo!
24 – 6 – 87: P. Archetti mi presta per leggerle tutte le
opere di Kierkegaard. Faccio il proposito di leggere questo
autore di Copenhagen. Ha pensieri bellissimi; non tutto
quello che dice è oro colato, ma tanti messaggi sono
profondi.
Esempio:
- l’impossibilità che l’uomo ha di redimere se stesso
senza Dio. Chi crede così cade nella più grande
illusione e nell’insensatezza dell’orgoglio umano.
- la bellezza della passione della fede.
- La necessità della crescita: nessuno è un cristiano
completo. Siamo sempre in divenire.
39
26 – 6 – 87: Durante tutta la mattinata gli “amici del
bosco” sono venuti a chiedere roba. Dico che non
possiamo sostenere la guerra e rispondere ai loro bisogni.
Discorso questo fatto anche da Umberto. Fiato sprecato,
tempo perso. Dopo pranzo mi trovo stanco e teso. Non
posso riposare a causa del chiasso dei bambini. Chiedo a
loro di stare buoni (a dire il vero, non con tanta
gentilezza).
Riesco a riposare un po’. Deo gratis!
Dopo il riposo altre visite con richieste di cose
varie: sapone, sale, medicine. Tanta pazienza e anche tanta
mancanza di questa!
27 – 6 – 87
Celebriamo la messa del Cuore Immacolato di
Maria. La prego: “Tutto hai e di tutto ho bisogno. Vieni,
agisci nella mia vita, siimi mamma!”
28 – 6 – 87
Celebrazione Eucaristica nella Chiesa di Holy
Rosary. È l’anniversario della mia Ordinazione
Sacerdotale: diciannove anni di benedizioni del Signore.
Ringraziamento e desiderio di gratitudine e dedizione
sempre più profonde.
29 – 7 – 1987
Carissimi,
Sono le 17,00. Stamattina ho celebrato la Messa di
S. Marta, e ancora ogni volta mi è stato di grande
ispirazione il passo evangelico (Gv. 11,19-27). Marta
40
parla col Signore in modo tanto spontaneo e addirittura,
sebbene indirettamente, si lamenta per il suo ritardo.
“Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe
morto”. Ma lui in ritardo non era arrivato. Provoca in lei
un atto di fede e quell’uomo che era nel sepolcro da
quattro giorni viene risuscitato. L’episodio mi ha ispirato
una preghiera per questa Uganda che è nella tomba di tanti
mali da così lungo tempo: “Signore, ridona la vita a questa
terra martoriata”. Ho pregato con tanta fiducia ma anche
con tanta sofferenza perché spesso dico a tanti che il
Signore vuol dare una vita piena. Il problema non è dalla
sua parte, ma dalla parte nostra, la parte dei testardi.
Ho avuto giorni pieni di tanto movimento e di
stanchezza. Forse è il risultato della corda troppo tesa? Ad
ogni modo sento il bisogno di fermarmi di più e lo farò.
Ho già cominciato, ed ecco perché scrivo. Metto giù
alcuni punti che vi daranno l’idea di come sono andate le
cose.
1 – 7 - 87
Nei giorni scorsi c’è stata abbastanza calma almeno
qui da noi. È una calma che comunque non significa
veramente pace. Infatti si sente sempre parlare di violenza
qua e là… non tanto lontano di qui. Assieme alle suore e
alla gente che ogni giorno si unisce con noi per la
preghiera, continuo a pregare per la vera pace.
6 – 7 – 87
Padre Umberto parte. Si fermerà alcuni giorni in
Italia prima di andare a Lomè, Togo per l’assemblea della
41
formazione comboniana in Africa. Rimango in Alokolum
con le persone che trovano rifugio da noi. Affido me
stesso e tutti al Signore.
11 – 7 – 87
In ospedale vedo la ragazza di cui sopra; ha un
mucchio di infezioni e altri problemi.
Reagisce pochissimo alle medicine e agli stimoli di ogni
altro genere. Sembra non ci sia niente da fare. Che
peccato: una giovane vita distrutta!
12 – 7 – 87
Viene da Kampala il Pro-nunzio per aprire
ufficialmente l’anno mariano nella diocesi di Gulu.
Presenta la Madonna come modello vivo di vita cristiana;
un modello attivo che intercede per noi.
Alle 18,45 vengono da me alcuni guerriglieri e mi
dicono che uno è stato ferito gravemente. Il malcapitato è
ad alcuni Km. da qui e ha le budella spappolate… Mi
obbligano ad andare con loro convinti che sia capace di
aiutare il malcapitato. A pochi chilometri dal campo arriva
uno con la notizia della morte del guerrigliero. Posso
tornare a casa senza aver dovuto cercare di fare la parte del
dottore.
Dopo la cena do inizio al ritiro con tre Diaconi e sei
suore. Tema: l’Eucaristia come vita in Cristo. Durata:
cinque giorni.
42
18 – 7 – 87
Il ritiro è andato benissimo. Tutti hanno preso una
parte veramente attiva. Io sono contento di essere
strumento nelle mani del Signore per la preparazione di tre
nuovi sacerdoti per la Diocesi di Gulu.
Il giorno 14, durante l’adorazione, ebbi una
crisi di pianto al pensiero della situazione… Passarono
dinanzi ai miei occhi bellissime istituzioni chiuse, gente
sofferente per colpa di un gruppo di scalmanati…, posti
che in passato erano pieni di vita e ora presentano uno
scenario di desolazione…
Che peccato! Spero stia facendo la mia parte perché
questa Uganda diventi presto un posto migliore.
19 – 7 – 87
Rischio per la sicurezza dei miei amici Catherine
and Steve…Mi va bene e ringrazio il Signore. E’ stata
ottima celebrazione per l’Ordinazione dei Sacerdoti.
Carissimi che mi leggete, diversi altri mesi
trascorsero con esperienze di vita simili a quelle descritte
sopra: Ci furono uccisioni un po’ dovunque nella zona in
cui mi trovavo. Fui testimone di tanta violenza e di tanta
sofferenza.
Quante volte mi chiesi :se venissi a trovarmi in una
situazione di morte personale, come reagirei? Con una
valanga di dubbi, di pensieri e di sentimenti nella mia
mente e nel mio cuore, trovavo forza nella preghiera e in
questa convinzione: il Signore sarà con me e mi darà
forza.
43
14 febbraio 1988. 20,30. Mi trovavo in una stanza
dove avevamo una radio-trasmittente che facevamo
funzionare a batteria. Ogni sera ascoltavo le notizie date
dalle diverse missioni e davo ai confratelli notizie di me
stesso e della mia zona. Ricordo che le ultime parole che
dissi quella sera a un mio confratello di Kampala, furono
queste: “per quanto sappia io, al momento tutto è
tranquillo”. Ciò non era vero. Una quindicina di
guerriglieri avevano scavalcato il recinto del postulato e
avevano chiuso in due grandi capanne i rifugiati, donne e
bambini. Avevano intimato loro assoluto silenzio, pena la
morte.
Finita la trasmissione mi recai alla porta e l’aprii.
Partì un colpo dalla pistola del guerrigliero che si trovava a
due metri da me... un proiettile mi passò tra il petto e il
braccio sinistro. Il guerrigliero mi diede una spinta. Caddi
all’indietro alquanto confuso. Mi caddero gli occhiali e mi
cadde pure dalla mano la lampada a petrolio. Gli chiesi di
aiutarmi a trovare gli occhiali dato che aveva una pila. Mi
fu risposto che di essi non avrei più avuto bisogno.
Fui circondato da tutti i guerriglieri. Il capo mi
ordinò di stendermi sul pavimento a petto in giù. Mi misi
in quella posizione. Il guerrigliero girò la mia testa verso
destra e mi mise la pistola sulla nuca premendo con certa
forza. Mi disse: se non ci dai tanti dollari e almeno
centomila shellini ugandesi, ti ucciderò. Risposi che non
avevo dollari e che avevo appena sette o ottomila shellini.
La sua risposta: se non hai quello che vogliamo, tra
qualche istante ti ucciderò.
In questo momento vorrei lodare il Signore per il
senso di pace che mi fece provare. Pregai: Signore,
44
prendimi, perdona chi sta per uccidermi, benedici tutti i
miei cari e la gente di qui. Aspettavo che il proiettile mi
entrasse nel capo, quando il guerrigliero mi diede un
piccolo calcio nel fianco e mi ordinò di alzarmi,
aggiungendo: “Non ti uccidiamo perché ci servi ancora”.
Mi ordinò di portare lui e gli altri guerriglieri nella mia
stanza.
Presero alcune cose a caso.
Dopo la loro dipartita, mi fu difficile avere una
risposta da parte dei rifugiati la cui attenzione cercavo di
attirare. Che paura dopo aver sentito il colpo della pistola!
Pensavano fossi morto e quindi credevano di sentire non la
mia voce ma quella di un fantasma.
Ad Aprile venni in Italia: avevo bisogno di riposo
fisico e soprattutto mentale. Mi ripresi bene così potetti
tornare in Uganda, terra tanto martoriata e da me tanto
amata.
La lettera che segue è quella che scrissi per il Natale
1988.
Carissimi tutti,
il libro della Genesi dice che Dio creò l’uomo a sua
immagine e somiglianza. Credo che, come ha detto
qualcuno, l’errore più madornale della storia sia stato
questo: l’uomo ha capovolto la Genesi e ha fatto Dio a sua
immagine e somiglianza.
Questa situazione continua. Così, per esempio,
l’uomo che è aggressivo pensa che anche Dio sia
aggressivo; l’uomo che crea delle situazioni di morte
pensa che Dio voglia la morte, e così via. È un disastro!
Ad ogni modo è paziente con la testardaggine
umana, e ogni volta che si avvicina il Natale, lo vedo che
45
dice: “Creature mie, io non sono come voi pensate.
Eccomi, sono il Dio della misericordia, il Dio della vita; io
sono il Dio Salvatore!”
Carissimi, i miei auguri di Natale e di Buon Anno
sono su questa linea: che tutti abbiate a fare l’esperienza
del vero Dio diventato uno di noi e uno come noi.
Quest’anno vi scrivo da Katigondo, una località a
15 Km. da Masaka e a circa 50 Km. a sud dall’Equatore.
La casa della Comunità Comboniana (19 postulanti, Padre
Umberto e io ) è a circa 250 metri dal Seminario
Nazionale. A causa della chiusura di Alokolum, tutti i 364
seminaristi Ugandesi del triennio filosofico sono qui: un
numero alto per un vero programma formativo. Ecco
allora la speranza che Alokolum possa essere riaperto
presto.
A quando? Non possiamo dare la risposta perché la
situazione del Nord è ancora confusa. Che contrasto! Qui
c’è pace e la natura parla sempre di vita: acqua e sole si
alternano; piantagioni di banane che forniscono il cibo
base per tutti di qui; scimmiotte vivaci e simpatiche;
uccelli bellissimi; tante cose meravigliose. In questo
contesto, un formicolio di gente che si muove, lavora, ha
voglia di vivere ad ogni costo. Nel Nord la situazione è
diversa: istituzioni saccheggiate, gente che continua a
soffrire a causa di azioni violente e disumane, raccolti
distrutti, soldati governativi a caccia di guerriglieri e ribelli
in giro affamati di cibo, di roba e di un po’ di piacere a
tutti i costi. Potete immaginare le scene tristi di ogni
giorno!
Vi sembrerà strano, ma quante volte, dopo il mio
ritorno dall’Italia, ho desiderato di poter essere lassù a
condividere le sofferenze e le difficoltà della mia gente, ed
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essere segno di consolazione e di speranza. Dopo tanti
anni di permanenza, mi sentivo incarnato nel Nord e
spesso ora ho la sensazione di essere uno che è in esilio.
Ad ogni modo un gruppo di missionari è ancora lassù nella
speranza di fare il bene. Io devo essere dove il Signore mi
vuole.
Speriamo in un futuro migliore per questa nazione
che ha visto tanta sofferenza e tanto sangue crudelmente
sparso. Segni di speranza non mancano.
Chiedo a tutti la carità della preghiera per i missionari e la
gente di qui. Pregate pure per gli altri angoli del mondo
come il Sud Sudan, il Sud Africa, il Burundi dove le forze
del male si esprimono con molta più intensità che qui.
Non molto tempo fa mi ha scritto Sr. Carmela dallo
Zimbabwe. Sta bene è molto attiva nella sua azione
missionaria, e saluta tutti. Assieme a lei vi ricordo con
affetto e vi invio un forte abbraccio fraterno.
Sono passati degli anni da quando scrissi queste
note e l’Uganda non ha ancora sperimentato una vera
primavera per tutta la popolazione che sento di poter
chiamare con affetto “la mia gente”.
Il 14 gennaio prossimo parto per le Filippine, e la
mia vita continuerà in un modo a me completamente
nuovo, con nuove sfide, con nuove prospettive ma con lo
stesso Signore che da forza e gioia.
In queste pagine ho inteso lodarlo in comunione
con la Madonna del Magnificat, con i miei cari defunti e
con il fondatore dell’istituto di cui faccio parte: Mons.
Comboni che sarà beatificato il 17 Marzo prossimo.
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Concludo chiedendo il vostro sostegno soprattutto
tramite la preghiera e vi assicuro che vi porto tutti nel mio
cuore...
Filippine.
L’Istituto dei Missionari Comboniani del Cuore di
Gesù fu fondato da Mons. Daniele Comboni, oggi santo,
per l’Africa. Si aprì poi all’America Latina e nel 1985
all’Asia. È in questo contesto che mi fu chiesto se ero
disposto ad andare nelle Filippine con l’incarico di Padre
Maestro. Accettai l’incarico come una nuova sfida e
rimasi nella nazione per nove anni impegnato nel campo
della formazione di giovani per l’Istituto e per la missione
nel mondo. Impegnato pure nella predicazione e
nell’animazione di ritiri spirituali, in conferenze e corsi
per la crescita di persone in diversi stati di vita; soprattutto
laici desiderosi di vivere secondo il vangelo e di operare
per la trasformazione cristiana della società filippina così
ricca di risorse umane. Ringrazio il Signore per la
ricchezza di tante persone diventate amiche che ancora
porto nel cuore e per cui prego. Ricordo in modo
particolare un gruppo di persone impegnate nel contesto
della Chiesa e della società. Si chiamano “Ladies of the
Holy Spirit.”
Un tema che mi ha affascinato durante la mia
permanenza in Asia, è stato quello della Vocazione
Personale. Questo grande dono del Signore ha arricchito la
mia vita e mi ha dato modo di creare entusiasmo anche
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nella vita degli altri. Condivido con voi il tema così come
l’ho sentito e lo sento.
LA VOCAZIONE PERSONALE
Introduzione:
Venni a conoscenza del tema “La Vocazione
Personale”, grazie prima di tutto alla lettura del libro del
gesuita indiano Herbert Alphonso, intitolato appunto “La
Vocazione Personale”; poi grazie ad alcuni incontri con il
gesuita stesso mentre presentava il tema a un gruppo di
miei confratelli, Missionari Comboniani. L’argomento mi
riuscì subito interessante e continua ad affascinarmi così
tanto, che ho sentito il bisogno di condividere con voi che
mi leggete la mia conoscenza ed esperienza di questo
grande dono di Dio.
Spero che, grazie all’aiuto di queste mie note e grazie
alle ispirazioni che il Signore vorrà concedere, ciascuno
potrà scoprire la propria Vocazione Personale e capire così
di essere come un’aquila reale chiamata a innalzarsi a
vette più alte di quanto si possa pensare. Spero che
ciascuno potrà aprire i propri occhi e il proprio cuore per
scoprire la realtà della propria grandezza e lasciarsi
attirare da Dio.
C’è una storia che è stata raccontata in due modi
diversi e con due conclusioni diverse. Vi presento quelle
due versioni “a modo mio”, così come le trovo tra le mie
note:
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Mentre vagava in una foresta, un uomo trovò un uovo
di aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si
schiuse insieme a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe
assieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che i
polli del cortile facevano, pensando di essere uno di loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti,
schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche
decimetro.
Trascorsero diversi anni e un giorno l’aquila vide sopra
di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che
planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti
d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. “Chi è
quello?” chiese. “È l’aquila, il re degli uccelli”, rispose il
suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo
alla terra, perché siamo polli.” E così l’aquila visse e morì
come un pollo, perché pensava di essere tale.
Quante persone vivono poveramente pensando di
essere povere, ignorando quindi la ricchezza che, senza
nessun dubbio, Dio ha messo dentro di loro.
Ma ecco l’altra versione della storia:
C’era una volta un contadino che, vagando in una
foresta, riuscì a catturare un aquilotto. Lo mise nel pollaio
assieme alle galline e lo nutrì a granoturco e becchime.
Dopo alcuni anni, quell’uomo ricevette a casa sua la visita
di un naturalista che vedendo quell’uccello nel giardino,
disse: “Quell’uccello non è una gallina; è un’aquila.” “È
vero,” rispose il contadino, “è un’aquila. Ma io l’ho
allevata come una gallina, e ora non è più un’aquila. È
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diventata una gallina come le altre, nonostante le sue
larghe ali.”
“No”, obiettò il naturalista. “È e sarà un’aquila; infatti
ha un cuore d’aquila, un cuore che un giorno la farà volare
verso le vette.”
“No, no”, insistette il contadino. “È diventata una
gallina e non volerà mai come un’aquila.”
Allora decisero di fare una prova. Il naturalista prese
l'animale, lo sollevò ben in alto e sfidandolo gli disse:
«Dimostra che sei davvero un'aquila, dimostra che
appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!»
L’aquila, appollaiata sul braccio teso del naturalista, si
guardava distrattamente intorno. Vide le galline là, in
basso, intente a razzolare dei chicchi. E saltò vicino a loro.
Il contadino commentò: «Te l'avevo detto, è diventata una
semplice gallina!»
«No», insistette di nuovo il naturalista. « È
un'aquila. E un'aquila sarà sempre un'aquila. Proviamo di
nuovo domani.»
Il giorno dopo, il naturalista salì con il rapace sul
tetto della casa. Gli sussurrò: «Aquila, ricorda quello che
sei, apri le tue ali e vola!»
Invece l'aquila, scorgendo in basso le galline
razzolare il terreno, spiccò un balzo e andò a unirsi a loro.
Il contadino sorrise e tornò alla carica: «Te l'avevo detto, è
diventata una gallina!»
«No», rispose deciso il naturalista. «È un'aquila,
avrà sempre un cuore d'aquila. Proviamo ancora una volta.
Domani la farò volare.»
Il giorno dopo, il naturalista e il contadino si
alzarono molto presto. Presero l'aquila, la portarono fuori
51
città, lontano dalle case degli uomini, in cima a una
montagna. Il sole nascente dorava i picchi delle montagne.
Con un gesto deciso, il naturalista sollevò verso
l'alto il rapace e gli ordinò: «Dimostra che sei un'aquila,
dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue
ali e vola!»
L’aquila si guardò intorno. Tremava come se
sperimentasse una nuova vita. Ma non volò. Allora il
naturalista la tenne ben ferma, puntata proprio nella
direzione del sole, in modo che i suoi occhi potessero
riempirsi del fulgore solare e della vastità dell'orizzonte.
In quel momento, lei apri le sue potenti ali, gracchiò
con il tipico verso delle aquile e si alzò, sovrana, al di
sopra di se stessa. Iniziò a volare, a volare verso l'alto, a
volare sempre più in alto. Volò... volò... fino a confondersi
con l'azzurro del cielo...
Spero che la meditazione sulla Vocazione Personale ci sia
di ispirazione facendoci capire che, nel mondo dello
Spirito, siamo come aquile chiamate a volare sempre più
in alto; non siamo come galline che rimangono per terra
annaspando e sollevando polvere che poi respirano anche.
La nota unica di ciascuna persona
Abbiamo sempre parlato di vocazioni come vie diverse
che possono essere seguite nella vita, a seconda della
chiamata del Signore. Ad esempio: matrimonio, vita
consacrata, sacerdozio.
La Vocazione Personale non è a questo livello. Noi
possiamo descriverla così: è lo spirito che anima una
52
determinata persona in qualsiasi stato di vita si trovi, è
il suo modo personale ed unico di essere e di aprirsi
agli altri in un contesto di donazione e di comunione.
Ecco allora che dobbiamo dire subito che la Vocazione
Personale non ha niente a che fare con l’individualismo e
l’isolamento. Essa infatti rende liberi e chi è libero non si
chiude in se stesso, ma si apre agli altri. Chi è libero sa
che si cresce e si matura, si diventa sempre più persone
responsabili, per mezzo delle relazioni interpersonali
responsabili. La Vocazione Personale è il modo unico e
irrepetibile con cui una persona si apre alla comunità e
alle diverse realtà della vita, alle responsabilità e agli
impegni sociali. Inoltre più che a livello dell’agire è a
livello dell’essere; cioè la Vocazione Personale è parte
integrale di ogni persona, definisce ogni persona nel suo
intimo e si manifesta in tutto l’agire della persona.
Prima di sviluppare il tema, presento alcune persone
che hanno vissuto la loro Vocazione Personale in modo
vivace e ricco di fede.
La Santa di Lisieux:
Nella “Storia di un’anima” di Santa Teresa del
Bambino Gesù, c’è una sezione bellissima che citeremo
subito. Essa ci introduce nella considerazione della
Vocazione Personale come la nota unica che Dio mette
in ciascuna persona, come il più profondo e vero IO di
ciascuno:
Ascoltiamo innanzi tutto la santa:
53
“Siccome le mie immense aspirazioni erano per me
un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per
trovarvi finalmente una risposta.
Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13
della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti
non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e
dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che
l’occhio non può essere contemporaneamente la mano.
Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei
desideri e di darmi la pace.
Continuai nella lettura e non mi perdetti d’animo.
Trovai così una frase che mi diede sollievo: “Aspirate ai
carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di
tutte” (1 Cor 12,31). L’apostolo infatti dichiara che anche
i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che
questa medesima carità è la via più perfetta che conduce
con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.
Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi
ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva
descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi
offrì il cardine delle mia vocazione. Compresi che la
Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in
questo corpo non può mancare il membro necessario e più
nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore
bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge
all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo
amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il
Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro
sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé
tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a
tutti i luoghi, in un parola che l’amore è eterno.
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Allora con somma gioia ed estasi dell’animo
gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia
vocazione. La mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il
mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o
mio Dio.
Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore
ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in
realtà”. (Liturgia delle Ore, Vol. IV Pagine 1336-1337).
San Daniele Comboni:
Un’altra persona che aveva la sua vocazione
personale, vissuta ed espressa in modo chiaro e pieno di
entusiasmo, è Daniele Comboni. Col suo grido: “Nigrizia
o Morte” potette esprimere la Sua Vocazione Personale
come amore profondo per la Nigrizia. Anche con questo
grande santo ci soffermiamo per qualche istante.
Nella lettera in cui papa Giovanni Paolo II
riconosce gli onori degli altari a Daniele Comboni, la
Nigrizia è nominata diverse volte: “…La carità
soprannaturale lo spinse a prodigarsi indefessamente per
l’evangelizzazione dell’Africa e una speranza incrollabile
ne guidò le molteplici opere intraprese, certo che la
Chiesa avrebbe finalmente annoverato tra i suoi figli
prediletti anche il popolo africano… Nel settembre del
1857, partecipava alla spedizione mazziana per l’Africa
centrale. Più che la brevità e l’apparente insuccesso di
questa, potè però il suo ardente desiderio di additare alla
Chiesa una nuova e più sicura via per portare il Vangelo
in Africa… Mentre il giorno 15 settembre 1864 pregava
presso il sepolcro dell’Apostolo Pietro, concepì nella sua
mente il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, ispirato
55
dal pensiero di “Salvare l’Africa con l’Africa”… Il
nostro predecessore Pio IX incoraggiò il Servo di Dio a
portare a compimento tale proposito, dicendogli, “Lavora
per l’Africa come un buon soldato di Cristo”.
Ascoltiamo il santo stesso: “Il primo amore della
mia giovinezza fu per l’infelice Nigrizia, e lasciando
quanto vi era per me di più caro al mondo, venni, or sono
sedici anni, in queste contrade per offrire al sollievo delle
sue secolari sventure l’opera mia. Successivamente,
l’obbedienza mi richiamava in patria, a causa della
cagionevole salute, ma tra voi lasciai il mio cuore.
Ed oggi finalmente, ritornando fra voi, ricupero il
mio cuore per dischiuderlo al sublime e religioso
sentimento della spirituale paternità, di cui volle Iddio che
fossi rivestito dal spremo Pastore della Chiesa cattolica il
Papa Pio IX.
Sì, io sono già il vostro padre, e voi siete i miei
figli, e come tali, vi abbraccio e vi stringo al mio cuore.
Vi sono riconoscente per le entusiastiche accoglienze che
mi faceste; esse dimostrano il vostro amore di figli, e mi
persuadono che voi vorrete essere sempre il mio gaudio e
la mia corona, come siete la mia parte e la mia eredità. Io
ritorno fra voi per non mai più cessare d’esser vostro, e
tutto al maggior vostro bene ho consacrato per sempre. Il
giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno
egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni; il
ricco e il povero, il sano e l’infermo, il giovane e il
vecchio, il padrone e il servo avranno sempre uguale
accesso al mio cuore. Io prendo far causa comune con
ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello,
in cui potrò dare la vita per voi”.
56
Contesto Biblico:
Specificando quanto detto in un contesto biblico, la
Vocazione Personale può essere descritta così: è la nota
unica che Dio ha messo in ciascuna persona. Ogni persona
può dire: “Per Dio, io non sono uno dei tanti nella folla.
Sono irrepetibilmente unico. La mia vocazione
personale è il mio più profondo e vero ‘IO’. È ciò che
esprime la volontà di Dio per la mia salvezza e pienezza di
vita. È il nome con cui Dio mi ha chiamato e mi
chiama: “Il Signore mi ha chiamato dal seno materno; sin
dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.” Is.
49,1.
Per la nostra riflessione e preghiera, lasciamoci
prendere dal seguente testo:
SEI UNICO
Molte persone sono scontente perché pensano di
non essere buone come dovrebbero essere e invece di
aprirsi allo Spirito in una tensione di crescita, che è
sempre temperata da speranza, diventano nervose e
paralizzate.
Altre persone sono scontente perché vorrebbero
essere diverse da come sono. Una persona è “così” e
vorrebbe essere “cosà”, dimenticando che Dio non chiede
a nessuno di essere come qualcun altro. Il Signore
desidera che ogni persona sia se stessa, facendo di sé il
meglio possibile.
57
Ci sono poi altre persone tormentate da un senso
d’inferiorità. Tendono a fare sempre paragoni su paragoni:
Gelsomino è più intelligente di me… Ermenegildo è più
forte e più simpatico… Carolina suona il piano così bene e
io non sono capace di schiacciare nemmeno un tasto… e
così via. Il gioco dei paragoni continua senza fine perché
ogni persona incontrata provoca un contesto di paragoni.
Il vero apprezzamento della nostra unicità
personale offre a ciascuno di noi la verità che ci rende
liberi dalla schiavitù da questi penosi contesti e ci rende
capaci di essere noi stessi.
A ciascuno di noi Dio dice:
“Tu sei unico. Da tutta l’eternità e per tutta
l’eternità non c’è stato e non ci sarà mai un altro
esattamente come te. Ti ho amato e ti amerò di un
amore eterno. Non ho il prurito di nuove idee e non
abbandono quelle che ho da sempre; il pensiero di te è
stato sempre nella mia mente. La tua immagine ha
sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Ti è
stato affidato un compito importante nel mondo. Tu hai
un messaggio unico da dare, un canto unico da cantare, un
atto unico d’amore da compiere. Quel messaggio, quel
canto, quell’atto di amore, è stato affidato
esclusivamente a te”.
Dio ci assicura:
“Ci sono molti altri possibili mondi che avrei
potuto creare. Avrei potuto creare un mondo senza di te.
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Ma non ti rendi conto che non ho voluto un mondo senza
di te? Un mondo senza di te sarebbe stato incompleto. Tu
sei la creatura del mio cuore, la gioia dei miei pensieri, la
pupilla dei miei occhi. Naturalmente avrei potuto crearti
diverso da quel che sei: più alto, più basso, con genitori
diversi dai tuoi, avrei potuto farti nascere in un posto
diverso e in una cultura diversa, avrei potuto darti doni
diversi da quelli che hai. Ma non ti ho voluto diverso. Io
amo te così come sei. Come ogni granello di sabbia sulla
spiaggia del mare e come ogni fiocco di neve che cade
d’inverno, hanno la loro unica struttura e composizione,
così tu hai una composizione ed una struttura che nessun
altro essere umano ha mai avuto o avrà. Sei tu che io amo,
sei tu che ho sempre amato e che sempre amerò. Se
dovessi scoraggiarti così tanto da pensare che sei il tipo
che solo una mamma può amare, ti prego, ricorda questa
mia promessa: “Anche se una mamma dimenticasse il suo
bambino, io non mi dimenticherò di te. Ecco, ti ho
scolpito sulle palme delle mie mani”. (Is. 49,15-16).
Dio ti ama così come sei. Questa è la buona notizia.
Gli Esercizi Spirituali:
Gli Esercizi Spirituali sono il tempo o il mezzo più
privilegiato per scoprire la Vocazione Personale o
meglio per avere la rivelazione di essa da parte di Dio.
Scopo degli Esercizi è la trasformazione della persona. E
la più profonda trasformazione nella vita di una persona, si
attualizza nella realizzazione piena della Vocazione
Personale.
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Negli Esercizi la persona affronta in pieno tutta la
propria vita per rivolgerla a Dio. Ecco allora che si parla
di conversione, di metanoia, di cambiamento di direzione;
ciò avviene attraverso “l’elezione” cioè il cercare e trovare
la volontà di Dio nel disporre, o ordinare oppure orientare
la propria vita per la salvezza. L’elezione è un diventare
consapevole, in una libertà sempre più profonda, del
disegno personale di Dio su di me, affinché io possa
accettarlo profondamente nella mia vita per poi viverlo
con fedeltà e generosità. La Vocazione Personale è
proprio questo: il disegno personale di Dio su di me
nella mia unicità che è dono del suo amore.
Il senso della vita:
Più approfondisco la mia comprensione della realtà
della Vocazione Personale, più mi accorgo che essa è
l’unico senso che Dio ha dato alla mia vita.
Nel suo libro “La ricerca dell’uomo per un
significato”, Victor Frankl presenta, in modo chiaro e
vivace, la “Logoterapia” cioè il sanare le persone
attraverso il dare senso alla propria vita. Nel campo di
concentramento di Auschwitz si accorse che i suoi
compagni prigionieri deperivano e morivano fisicamente
perché prima si erano lasciati deperire e morire
psicologicamente: non avendo più il “senso” della vita,
non reagivano più e si lasciavano schiacciare dalle
situazioni presenti nel campo. Se trovare un senso nella
vita, a livello di psicologia, fa rivivere la persona, quanto
più, a livello di spiritualità, la fa rivivere l’unico senso
dato da Dio. Quando questo viene scoperto, allora tutto
trova posto nella vita, anche un problema, per esempio.
60
Noi non possiamo disfarci di nessuna parte della nostra
vera storia. Ciò che è stato problematico nella nostra vita,
rimarrà sempre parte di noi stessi, e se non sarà più
problematico, non è perché ha cessato di far parte di noi
stessi e della nostra storia, ma perché ora quel fatto “fa
senso”, ha trovato il suo posto nella nostra vita, è stato
integrato in essa essendosi “smussato”.
Prospettive Cristologiche:
La Vocazione Personale di ognuno ha prospettive
cristologiche. Oggettivamente parlando, nessuno riceve
una chiamata da Dio se non in Gesù Cristo e nessuna
persona può rispondere alla chiamata di Dio se non nella
persona di Gesù Cristo. Egli infatti è l’unico mediatore:
“Vi è un solo Dio e vi è un solo mediatore tra Dio e gli
uomini, l’Uomo Cristo Gesù. (1Tim 2,5)
Tutte le vocazioni sono “in Cristo Gesù”. La
personalità di Cristo Gesù è così ricca che abbraccia tutte
le chiamate e le vocazioni, anche la Vocazione Personale.
Nel Battesimo ognuno di noi “assume” o “si
riveste” di Gesù Cristo in un modo unico e personale. Il
Padre, che non può compiacersi in nessun altro se non nel
Figlio suo Gesù, discerne il “volto” di Gesù in ciascuno di
noi e dice: “Tu sei il mio figlio prediletto. In te mi sono
compiaciuto” (cfr. Mc 1,11). Tutto il resto della nostra vita
cristiana – il progetto cristiano, per così dire – è per
ciascuno di noi il “rivestirsi” di questo Gesù unico e
personale fino alla statura di maturità. Poiché il piano di
Dio per ciascuno di noi è che “siamo conformi
all’immagine del Figlio suo” (Rom 8,29), e che “arriviamo
tutti… allo stato di uomo perfetto, nella misura che
61
conviene alla piena maturità in Cristo” (Ef 4,13) – non
solo in un modo generico, ma in un modo profondamente
personale ed unico per ognuno di noi.
È molto importante quindi affermare che la
vocazione personale non è soltanto un ideale astratto
personale. No, è una persona – la persona stessa di Cristo
Gesù in un modo profondamente unico. E allora, quanto a
me, in un senso dottrinale-teologico profondo, io posso in
verità parlare del “mio Gesù”, trasformando così tutta la
mia vita cristiana in un rapporto personale di amore tra
Cristo Gesù e me. Questo rapporto mi aprirà
efficacemente verso le mie responsabilità sociali e i miei
impegni di vita e testimonianza cristiana.
Scoprire la Vocazione Personale:
È la contemplazione di Gesù che offre a ciascuna
persona il mezzo per scoprire la propria Vocazione
Personale. La persona di Gesù è cosi ricca che possiamo
contemplarlo sotto nomi diversi: Via, Verità, Via, Amore,
Crocifisso, Risorto, Eucarestia, Parola fatta carne, Luce,
Gioia, Pace, Figlio prediletto, Maestro, Compagno di
viaggio, ecc.
Percorrendo il cammino della contemplazione, ci
rendiamo sempre più conto che c’è un aspetto di Gesù che
più di ogni altro attira il nostro cuore, chiama la nostra
attenzione, nutre la nostra preghiera, anima la nostra
vita. È attraverso quell’aspetto che Dio rivela a una
determinata persona la sua Vocazione Personale. Questa
poi deve essere confermata attraverso la preghiera e può
essere confermata attraverso persone amiche che ci
conoscono bene.
62
La Vocazione Personale in una vita vissuta alla sua
luce genera dei frutti di vasta portata nel cammino
esistenziale di ogni giorno e nel ministero:
- Il Discernimento: Orientato a prendere delle decisioni
giorno dopo giorno, il Discernimento è oggi parola chiave
per la nostra spiritualità. La Vocazione Personale, una
volta scoperta, diventa il criterio di discernimento per
ogni decisione anche nei dettagli quotidiani. Infatti la
Vocazione Personale indica per me la volontà di Dio, è la
sua chiamata a me come essere unico nel suo genere. È la
chiamata a “un più grande amore”, la chiamata del mio
Gesù personale nell’unico e specifico me. Il “magis” di S.
Ignazio ha a che fare con l’unicità qualitativa della
risposta di una persona particolare: è la Vocazione
Personale.
- Trovare Dio in tutte le cose: qualunque sia
l’esperienza umana che una persona stia vivendo, quella
persona può mettersi in contatto con il Signore nel suo
modo unico e personale di esperienza, cioè può trovare
Dio in tutte le cose ed essere contemplativo nella sua
azione.
- La Vocazione Personale diventa sempre più segreto di
unità e integrazione nel cuore della vita. Tutti noi
sospiriamo di avere unità e integrazione: le tante attività, i
tanti movimenti in armonia di vita: la Vocazione
Personale è come il perno intorno al quale tutto ruota.
- La Vocazione Personale diventa indice di formazione
continua. Il segreto e la sorgente di tutta la formazione (di
63
base e continua) di una persona risiedono nelle sue più
intime risorse dell’essere, cioè nell’irrepetibile “senso”
della sua vita. La Vocazione Personale libera e fa
emergere le ricche risorse interiori che dimorano in quella
persona, facendola crescere.
Due mezzi privilegiati, molto concreti e specifici,
per la crescita nella vita quotidiana attraverso la libertà
interiore, sono: l’esame di consapevolezza e l’esame
particolare.
L’Esame di Consapevolezza
L’esame di consapevolezza è l’esercizio quotidiano del
discernimento tipico del Nuovo Testamento perché
incentrato non sulla legge ma sull’amore. Esso è un
riorientamento del cuore, nella preghiera mediante il
ringraziamento e l’orientamento verso il Signore
accettando coscientemente tutta la propria esperienza di
vita , negativa o positiva che sia.
- Primo momento dell’esame di consapevolezza è il
Ringraziamento: riconosciamo la venuta, di Dio nella
nostra vita, i suoi doni, la sua grazia, la sua azione in
noi, e lo ringraziamo.
- Secondo momento è per diventare consapevoli di ogni
esperienza di vita concreta e per accettarla
incondizionatamente, cosi da mettere tutto e tutti alla
presenza del Signore.
64
L’Esame Particolare:
L’esame particolare è l’esame che è specifico,
unico per una persona individuale. Esso è il suo criterio di
discernimento cristiano nel vortice delle diverse
esperienze umane, il suo specifico modo di disporsi ad
incontrare il Signore in ogni situazione umana.
L’esame particolare è stato considerato spesso e da
molti come un esercizio di “contabilità spirituale”, un
esercizio giornaliero per segnare e sommare le mancanze
(per diminuirle) o gli atti di virtù (col proposito di
accrescerli) in riferimento al punto scelto per l’esame. A
causa dell’aridità di questa contabilità spirituale, esso è
stato quasi del tutto abbandonato. Possiamo dire che non
ha funzionato.
Nel contesto della Vocazione Personale invece,
l’esame particolare può essere considerato il momento o
l’esercizio privilegiato per sentire il polso della vita
spirituale, ed è specifico e unico per una determinata
persona concreta. Inoltre per esso non ci sono molti punti
da scegliere; c’è un solo punto ed è la Vocazione
Personale.
Casavatore
Questo è il campo dove il Signore mi ha chiamato a
operare quasi 3 anni fa. I primi mesi furono un po’ duri
per diversi motivi: lavori per la sistemazione della casa,
nuovo ambiente, qualche piccolo problema di salute poi
risolto e l’incontro con diverse sfaccettature di male e di
65
tanta sofferenza. Poi mi sono inserito nell’ambiente e vado
avanti ringraziando il Signore per le tante persone che mi
vogliono bene e con le quali cammino.
Sento il bisogno di dire con forza che mentre i mass
media parlano del napoletano sempre in termini negativi,
qui c’è anche tanto bene, cominciando da molti giovani
che si impegnano a vivere una vita cristiana senza
compromessi e da quelle persone adulte, papà e mamme,
che si sacrificano per dare ai figli la possibilità di una vita
dignitosa.
Un aspetto che sento forte nel mio ministero
sacerdotale è quello di ispirare le persone che incontro con
la presentazione dell’immagine di Dio così come Lui
stesso ce l’ha rivelata, bella e piena di misericordia, e con
la presentazione di un cristianesimo di gioia, di pace, di
comunione e di impegno.
Ecco alcune delle riflessioni presentate alla
comunità parrocchiale e agli amici di Casavatore:
L’AMICO DELLO SPOSO
- SAN GIOVANNI BATTISTA E SUE SFIDE PER IL
MONDO D’OGGI Nel quarto Vangelo, il Vangelo di Giovanni, il
Battista descrive se stesso come “l’amico dello sposo”.
Allo sposo egli sta vicino, l’ascolta attentamente ed è
66
ripieno di gioia per la sua voce. Questa gioia che è mia,
dice il Battista, ora è perfetta. (Vedi Gv. 3,29).
L’appellativo “amico dello sposo” esprime in modo
tanto vivace l’avventura della vita di San Giovanni
Battista ed esprime pure l’importante missione che a lui fu
affidata da Dio. Nel contesto del piano di salvezza per
tutta l’umanità, Giovanni fu chiamato da Dio ad essere un
grande profeta, fu chiamato a preparare le strade per la
venuta del Messia.
Nel prefazio della Messa della natività del Battista,
la liturgia proclama: “Fu chiamato a mostrare al mondo il
suo Salvatore e a battezzare Cristo, il datore del
Battesimo”.
Considerando la vita e il comportamento del
Battista, notiamo alcuni punti che indicano la sua
grandezza e che possono essere di grande ispirazione per
la nostra vita nel mondo d’oggi:
Eccone il primo: Egli era consapevole della
missione che Dio gli aveva affidato. Profondamente
consapevole e tutto preso da quella missione, Giovanni
Battista fu capace di sfidare e di scuotere quelli che
accorrevano a lui, mentre diceva con forza: “Convertitevi,
poiché vicino è il Regno dei cieli” (Mt. 3,2). Così, molti
“si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano,
confessando i loro peccati”. (Mt3,6).
Il Battista fu capace di orientare molti verso il
Messia ed oggi egli sfida anche noi portandoci a metterci
in discussione con questo scopo: poterci avvicinare più
intimamente a Cristo Salvatore.
Chiediamoci:
67
Siamo noi consapevoli che Dio è entrato nella
nostra vita così come entrò nella vita del Battista?
Siamo consapevoli che nella vita abbiamo una missione
da compiere, una missione che Dio affida a ciascuno di
noi, come l’affidò a lui? Se, nelle nostre menti e nei nostri
cuori, non abbiamo un senso vero di quella missione cioè
della nostra vocazione cristiana e della nostra vocazione
specifica nella Chiesa, allora destiniamo noi stessi ad
essere spiritualmente freddi e passivi. Se invece
manteniamo vivo il senso di quelle realtà, ecco che ci
mettiamo nella situazione giusta e favorevole per vivere e
per agire con la forza dell’entusiasmo; quell’entusiasmo
che ci viene dalla fede, dalla speranza e dall’amore di Dio
in noi.
Vedete, quando, nell’Istituto dei Missionari
Comboniani, mi consacrai a Dio con i voti di Castità,
Povertà e Obbedienza, e quando, quaranta anni fa, fui
ordinato sacerdote, provai un senso di meraviglia e di
sorpresa che poi divenne un’esperienza di profonda
umiltà. Esperienza dovuta al pensiero della mia piccolezza
dinanzi a Dio a confronto con la grandezza della sua
chiamata. Quante volte, perché quel senso di umiltà non
diventasse timidezza, ho meditato questo passo del Profeta
Geremia che ora propongo anche alla vostra meditazione:
“La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini:
‘Prima che io ti formassi nel grembo, ti ho conosciuto
e prima che tu uscissi dal seno, ti ho consacrato;
profeta per le genti ti ho costituito’.
Ma io risposi: ‘Ah! Signore Dio!
Ecco: non so parlare perché sono ragazzo’.
Il Signore mi rispose:
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Non dire: ‘sono ragazzo’,
perché ovunque ti invierò dovrai andare
e tutto ciò che ti ordinerò dovrai riferire.
Non temere di fronte a loro
perché con te ci sono io a salvarti’.
Oracolo del Signore!”
Poi il Signore stese la sua mano e toccò la mia bocca;
quindi il Signore mi disse:
‘Ecco: io ho messo le mie parole nella tua bocca.
Attento! Oggi ti ho stabilito
sopra le nazioni e sopra i regni
per sradicare e per demolire,
per abbattere e distruggere,
per edificare e per piantare.”
(Ger. 1,4-10).
In questa stagione della mia vita, sento spesso il
bisogno di andare indietro al tempo della mia prima
chiamata per rinnovare la mia consapevolezza di essa. E
tornare indietro per considerare la nostra prima chiamata
da parte di Dio e l’entusiasmo che avevamo allora per quel
grande dono, è cosa salutare e necessaria per tutti noi.
Infatti abbiamo bisogno di continua crescita; abbiamo
bisogno di rinnovare la consapevolezza della nostra
vocazione cristiana e della missione da Dio affidataci.
Padre Eduardo Farrel dice:
“Il nostro patrimonio comincia a disintegrarsi
quando cominciamo a prenderlo per scontato, quando non
è fatto più oggetto di riflessione e non è rinnovato. Nessun
valore umano o spirituale è acquisito una volta per sempre
nella nostra vita e nella vita della comunità. Il movimento
continuo del tempo e della storia è dinamico. Una verità o
un valore accolti nella nostra mente e nel nostro cuore,
69
quasi subito cominciano a sbiadire e ad essere dimenticati.
Il gocciolio di ogni giorno rompe la roccia più dura di
verità inalienabili. Tutto ciò che ha origine nell’uomo o in
Dio deve continuamente rinascere, essere riscoperto,
rigenerato, altrimenti diventa vecchio e inutile”.
Il secondo aspetto della grandezza di Giovanni
Battista è il coraggio. Fu coraggioso per la
proclamazione del Messaggio che gli era stato affidato e
per il compimento di tutta la sua missione, anche quando
la sua vita era in pericolo a causa della malvagità di
Erode. In realtà il Precursore fu ucciso per la sua fedeltà a
Dio e alla sua Parola. (Vedi Mt. 14,1-12).
Egli fu coraggioso anche quando ebbe dubbi a
riguardo di Gesù come Messia. Egli fu capace di
confrontare i suoi dubbi cercando risposte che potessero
venire da Gesù stesso. Mentre la fama di Gesù cresceva in
tutta la regione in cui si trovava per i grandi miracoli che
operava, la gente era piena di stupore e diceva: “Un
grande profeta è apparso tra noi. Dio è venuto a liberare il
suo popolo”. Quando il Battista venne a conoscere, in
prigione, le meraviglie operate da Gesù, mandò da lui
alcuni dei suoi discepoli per chiedergli: “Sei tu colui che
deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” La risposta
che Gesù diede ai messaggeri di Giovanni fu questa,
“Andate e annunziate a Giovanni ciò che udite e vedete: i
ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono
mondati, i sordi odono, i morti risorgono e ai poveri viene
annunciata la Buona Novella. Beato è colui che non si
scandalizza di me”. (Mt. 11,2-6).
Come possiamo notare in questo passo appena
citato, Gesù non dette una risposta diretta alla domanda di
70
Giovanni, ma fece un bellissimo elogio della sua fede.
Disse ai messaggeri di dire a Giovanni che i frutti dell’era
messianica erano evidenti nella vita e nelle azioni di Colui
che egli aveva battezzato nel Giordano. Gesù sapeva che
ciò sarebbe stato sufficiente per il Precursore. Forse non
avrebbe capito tutto della nuova realtà portata da Cristo,
ma senz’altro avrebbe creduto.
Questo punto è molto importante per noi perché
San Giovanni della Croce dice che “la notte dello spirito è
inevitabile per ottenere l’unione intima con Dio”. Tutti
abbiamo dubbi e difficoltà nella nostra vita di seguaci di
Cristo Gesù. Come ci comportiamo? Cerchiamo risposte e
forza nel Signore soprattutto attraverso una preghiera
semplice? Ci mettiamo in ascolto del Magistero della
Chiesa con un vero atteggiamento di umiltà che ci apre
all’accoglienza intelligente di ciò che viene preposto?
Oppure ci perdiamo in ragionamenti umani finendo col
rinunciare alla nostra fede e al nostro impegno di vita?
Il terzo punto su cui desidero mettere l’accento è
questo: Nel piano della salvezza del mondo da parte di
Dio, il Battista accettò pienamente il suo ruolo come
ruolo sussidiario.
Per l’affascinante forza carismatica che esprimeva
nella sua predicazione e nelle sue azioni, molte persone
pensavano che Giovanni il Battista fosse il Messia così
tanto atteso da Israele da lungo tempo. Ma il Precursore
conosceva benissimo la sua identità che aveva accettato
con libertà di spirito e non approfittò dei sentimenti facili
delle folle che andavano da lui.
Oggi il Battista ci insegna l’umiltà contro il
complesso del potere e del “potere ad ogni costo e
71
senza scrupoli” che schiavizza i cuori di tanti nella
società del nostro tempo. Egli ci insegna il modo migliore
per essere al servizio di Cristo Gesù e del Suo Regno con
libertà di spirito, per la gloria di Dio e per il bene di tutti.
Quanto importante e vitale è questo atteggiamento
per noi tutti: considerare noi stessi come strumenti vivi
di salvezza nelle mani di Dio e in dipendenza da Lui.
Con le nostre sole forze , con le alleanze umane,
soprattutto se di dubbio carattere, non salviamo niente e
non salviamo nessuno. La salvezza viene da Dio e soltanto
da Dio nel Cristo Gesù e per la potenza del suo Spirito.
Ciò che noi possiamo fare e siamo chiamati a fare, è
collaborare con Dio nella convinzione che, come dice un
bellissimo canto inglese: “Grandi cose avvengono quando
Dio si mescola con noi”, quando cioè l’iniziativa di Dio
incontra la nostra collaborazione. Capiamo allora che Dio
non è il “Grande Garzone” che ci aiuta quando lo
invochiamo nella preghiera. Egli è “il Grande Ingegnere”
del piano della salvezza dell’umanità, ed è colui che ci
sostiene e dà vita: siamo perché Lui è e possiamo fare il
bene perché Lui ci sostiene. È importante ricordare
sempre ciò che il Signore dice: “Rimanete in me come io
in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso,
se non rimane nella vite, così nemmeno voi, se non
rimanete in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi
rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto, perché
senza di me non potete far nulla”. (Gv. 15,4-5).
Il quarto punto è l’accoglienza piena da parte di
San Giovanni il Battista del suo “destino” umanamente parlando- così strano. Strano perchè si
presentava non con l’etichetta “successo assicurato”, ma
72
con la richiesta, da parte di Dio, dell’impegno senza
compromessi; impegno per la trasformazione del mondo,
accettato così com’era, in un mondo migliore. Nel suo
impegno il Battista fu sostenuto da una intensa gioia
spirituale. Due volte nella sua vita sussultò di gioia: prima
nel seno materno e poi quando, da uomo adulto, indicò la
presenza del Messia nel mondo. Così la vita del Battista fu
come un’arena di lotta spirituale in un mondo decaduto e
così sporco di peccato, con la visione però del mondo
salvato, trasformato dall’azione del Messia. La sua fu una
vita di fedeltà fino alla morte!
Se abbiamo incontrato veramente il Messia, Cristo
Signore, allora dobbiamo sapere che Egli non ci vuole
viandanti timidi e tristi che camminano per le vie del
mondo scontenti di come vanno le cose, ma viandanti che
accettano il mondo così com’è e si impegnano perché
diventi un mondo migliore per tutti. L’incontro col Cristo,
rinnovato ogni giorno, non ci estranea dal mondo, ma ci
dà una forte energia e una visione di speranza che ci
sostengono nell’impegno per un mondo migliore.
Ricordiamo che se non siamo impegnati nei nostri
campi di azione (parrocchia, scuola, famiglia, politica,
ecc.) per la trasformazione di ogni realtà, secondo il
piano di Dio, non è perché siamo cristiani, ma perchè
non lo siamo o non lo siamo abbastanza.
Il Battista ci invita a distinguerci in un mondo in
cui così facilmente si può diventare piatti e perdere quella
differenza qualitativa che il Vangelo mette dentro di noi.
Il Battista ci dice: Impegnatevi per rendere
questo mondo sempre migliore e:
73
mentre la società in genere ha messo Dio alla periferia
della vita, voi mettetelo al centro;
mentre nel mondo di oggi tutto è diventato fluido, come se
tutto fosse “usa e getta”, i vostri valori umani e cristiani
e i vostri impegni siano duraturi;
mentre la società di oggi cerca il potere , voi mettete la
fiducia nella forza che viene da Dio e dalla sua grazia;
mentre nel mondo di oggi si dice che il paradiso è soltanto
qui e adesso e ogni cosa è valutata entro i limiti
dell’esistenza terrena, voi camminate impegnati sulla
terra per costruire un mondo migliore; con lo sguardo
però sempre fisso sul Regno eterno e sperando, al di là
della morte, nella pienezza di vita, per sempre.
74
SAN DANIELE COMBONI E NOI
OGGI
In occasione della festa di San Daniele Comboni
(10 ottobre), il nostro desiderio è quello di considerare e,
direi, contemplare la figura di questo grande missionario.
Vedremo alcuni tratti delle sua spiccata personalità e della
sua azione apostolica che certamente fu e rimane tanto
efficace nella Chiesa, in Africa, nel mondo.
Facciamo questo, innanzi tutto perché San Daniele,
con tutta la sua vita e con tutta la sua straordinaria opera
missionaria, costituisce per noi una sorgente di grande
ispirazione ed energia; inoltre perché, come è stato detto
diverse volte ormai, dal giorno della sua canonizzazione
(5 Ottobre, 2003) ad oggi, San Daniele Comboni è un
grande dono non solo per la Famiglia Comboniana, ma
anche per la Chiesa e per il mondo intero.
Vogliamo conoscere meglio questo dono e
vogliamo celebrarlo.
Le tre sezioni che seguono formano come un
trittico che ce lo descrivono a beneficio della nostra vita e
del nostro operare per la costruzione del Regno di Dio.
1.- Il Comboni ci ispira, intercede per noi, ci attira.
a)
Egli ci ispira nella contemplazione del volto di
Dio con la sua bellezza e con i suoi tratti di misericordia;
proprio così come lo vediamo presentato vivacemente
nella Sacra Scrittura, ad esempio in Is. 43, 1-5; Is. 49, 1416; Gv 3,16.
75
Nel mondo di oggi ci sono tante immagini di Dio
che sono create da valutazioni e ragionamenti umani.
Queste immagini fanno tanto male perchè rendono Dio
lontano, esageratamente esigente o addirittura crudele.
In linea con la Sacra Scrittura, San Daniele ci
presenta il Dio di Cristo Gesù che vuole la salvezza di tutti
e per essa opera e chiama i seguaci del Figlio suo a
collaborare con Lui.
San Daniele ci ispira anche nel processo di
accettazione di noi stessi con tutto ciò che siamo e tutto
ciò che abbiamo; non un’accettazione passiva, ma
un’accettazione dinamica per un meraviglioso scopo:
offrirci al Signore per essere trasformati dalla forza del
suo Spirito; tenendo presente però che Egli chiede sempre
la nostra collaborazione.
Com’è bella la seguente preghiera!. Nella sua
semplicità l’ho trovata sempre tanto efficace: “Signore, ci
fidiamo di te, ci affidiamo a te, prendici così come siamo e
facci come tu vuoi”.
Mi pare che questa preghiera esprima molto bene lo
spirito della preghiera del Comboni per se e per gli altri.
Ascoltiamolo:
“Dio è tutto misericordia, carità e giustizia”.
(Scritti 6098)
“Tutta la mia fiducia è in Dio che vede tutto, che
può tutto e che ci ama”. (Scritti 172)
“Dio è un buon padrone, un fedele amico e un
padre amoroso” (Scritti 188)
“Gettiamoci nelle braccia di Gesù che ha molta
carità, talento e sa bene combinare le cose… Confidiamo
in Gesù; sono troppo felice di essere da Lui onorato con
76
tante croci che sono preziosi tesori della sua grazia”.
(Scritti 1782)
b)
Comboni intercede per noi perché possiamo
diventare sempre più aperti a Dio e al suo piano di
salvezza per l’umanità intera. Mentre possiamo cadere
nella tentazione di chiuderci in noi stessi o nel nostro
piccolo mondo, mentre possiamo cadere nella tentazione
di condannare i deboli e coloro che fanno il male, noi
esclusi naturalmente, San Daniele ci ispira col suo grande
amore per la Nigrizia e per l’umanità tutta. Egli ci fa
capire la necessità di non condannare mai nessuno e di
lasciare il giudizio a Dio. Ci fa anche capire un principio
di estrema importanza: “O è l’amore a cambiare le
persona e le strutture, o nessun’altra cosa può operare il
cambiamento voluto. Ascoltiamolo:
“Dal costato del Crocifisso esce la carità che
spinge il cattolico ad abbracciare tutta l’umanità”.
(Scritti 2742)
“…non doveva il Rolleri ritrattarsi presso di me
sulla calunnia fatta a carico di un prete innocente?
Eppure non l’ha ,fatto; lasciò correre la calunnia, e ciò in
‘coscienza’… che è sempre la sua parola. Insomma io ho
provato il martirio: ma sono contento, perché così ha
voluto il Signore, e perdono a tutti”. (Scritti 6100)
“Scrivi ciò che vuoi a S. Eminenza contro di me
(…). Ma io ti perdonerò sempre (…); basta che tu resti
sempre in missione (…) e tu sarai sempre mio caro
figlio”. (Scritti 6851)
“Io sto bene, benché abbia molto patito nell’animo;
ma ho sofferto per amore di Dio e pel bene delle anime, e
Dio mi consolerà facendo restare con tanto di naso chi fu
77
la causa ingiusta del mio soffrire. Pregate Gesù per
costoro, e allegri”. (Scritti5967)
c)
San Daniele è come un grande faro che illumina
il nostro cammino, è come un grande magnete che ci
attira e ci propone l’ottimismo della fede. L’ottimismo
cioè fondato non innanzi tutto su ciò che noi possiamo
compiere, ma su quello che Dio può fare e di fatto fa per
noi. Mi sembra sentire San Daniele dire così: “Dove sono
io, nel Regno Eterno, là siete chiamati ad essere anche voi.
Allora reagite con forza a ogni tentazione di pessimismo,
di tristezza e di disperazione, e impegnatevi nell’azione
per la trasformazione del mondo, con lo sguardo sempre
fisso su Cristo Gesù e sulle realtà eterne.”
Negli Scritti del Comboni leggiamo:
“Coraggio e avanti che canteremo un giorno in
Paradiso le divine glorie”. (Scritti 6987)
“Non mi lasciò mai un istante la speranza
sull’esito finale del mio grande e sublime compito”.
(Scritti 4801)
“Che Dio faccia, e poi io, l’ultimo dei figliuoli
degli uomini, riuscirò”. (Scritti 987)
“Se vengono meno gli uomini, non verrà meno
Dio”. (Scritti 6815)
“Siamo i più felici della terra perché siamo
nelle mani di Dio”. (Scritti 5082)
2.- Nella vita del Comboni e in tutta la sua opera, vediamo
altre realtà creative che possiamo considerare sono come i
tre solidi pilastri della sua spiritualità missionaria:
78
a)
il Patto di Dio con l’umanità per la salvezza di
tutti: Dio si è donato e continua a donasi a tutti, in
particolare ai più poveri e abbandonati. È Lui che ha preso
e prende l’iniziativa per un piano di salvezza gratuita. San
Daniele ci fa capire che l’unica cosa che possiamo fare per
la nostra salvezza e quella degli altri è collaborare con Lui
con fede, entusiasmo e spirito di sacrificio.
Comboni si esprime così:
“Cristo in Croce raccolse tutto il mondo nella sua
Chiesa”. (Scritti 4974)
“Finalmente ci sorride nell’animo la più dolce
speranza che l’unità,la semplicità, e l’utilità del nuovo
disegno della Società dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per
la conversione della Nigrizia… troverà un’eco di
approvazione, ed un appoggio di favore e di aiuto nel
cuore dei cattolici di tutto il mondo investiti e compresi
dallo spirito di quella sovrumana carità, che abbraccia
l’immensa vastità dell’universo e che il divin Salvatore è
venuto a portare sulla terra”. (Scritti 843)
b)
la Koinonia cioè la comunione fra tutti, col Cristo
come legame.
Comunione di continenti, di popoli, di gruppi, di
cuori e di intenti sempre per il bene dei vicini e
dell’umanità intera. Per essere fedeli a Cristo e alla sua
chiamata, non basta non fare agli altri ciò che non
vogliamo sia fatto a noi stessi (Vedi Tb 4,15); non basta
amare gli altri come amiamo noi stessi (Vedi Lc 10,27).
La chiamata di Dio a noi è quella di amare gli altri come
Cristo ha amato e ama noi (Vedi Gv 15,12), e di tendere a
diventare con gli altri una cosa sola come Cristo è con il
Padre, (Vedi Gv 17,21).
79
Il Comboni si esprime così:
“Allora, trasportato egli dall’impeto di quella
carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota,
ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta
l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del
suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a
quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il
bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli”.
(Scritti 2742).
“Questo Istituto perciò diventa come un piccolo
Cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che
manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi
quanti sono i zelanti e virtuosi Missionari che escono dal
suo seno: e questi raggi che splendono insieme e
riscaldano, necessariamente rivelano la natura del Centro
da cui emanano”. (Scritti 2648).
c)
la Diakonia cioè il servizio nel contesto del dono
di se:
Il Comboni oggi chiede alla Chiesa, alla società, a noi di
ravvivare lo spirito di servizio. La spiritualità di San
Daniele esprime in modo forte l’icona di Gesù che lava i
piedi dei suoi discepoli. Egli ha ubbidito in pieno al
comando del Signore: “Vi ho dato l’esempio, perché come
ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). Ascoltiamo
San Daniele che per il servizio ‘con amore e per amore’
egli aveva una forte passione.
“Per l’Africa ho consacrato e mente e cuore e sangue e
vita”. (Scritti 5296).
“Il vero missionario non può avere paura delle difficoltà
e della morte”. (Scritti 390).
80
“Noi saremo lieti di consacrare le nostre deboli forze e
tutta la nostra vita per cooperare nella nostra infermità
alla grande opera… perché vi avremo riconosciuta la
suprema volontà del Cielo”.
3.- In questa terza sezione continuiamo col tema del
servizio considerandolo nel contesto della nostra società di
oggi: Il servizio offerto con amore che San Daniele visse
con dedizione totale; esso ci fa muovere contro corrente
nella nostra società dove regnano due filosofie negative e
tanto, tanto dannose:
a)
la filosofia dell’egoismo che si esprime così: “Ciò
che è mio è mio, e guai a chi lo tocca”. È la filosofia che
domina nella vita dell’uomo ricco della parabola che
troviamo in Lc 12,16-20. Nella vita di quell’uomo non c’è
posto né per Dio né per gli altri. È per questo motivo che
Dio lo chiama folle.
b)
la filosofia del ladro che proclama: “Ciò che è tuo e
mio e se non me lo dai me lo prendo anche con la
violenza, se necessario”. Questa è la filosofia descritta
nella prima parte della parabola del samaritano: “Un uomo
scendeva da Gerico a Gerusalemme e incappò nei briganti
che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono
lasciandolo mezzo morto.” Lc 10,30.
Nel nostro mondo d’oggi abbiamo tante persone che
vivono come vittime di questa filosofia; ci sono ladri di
cose materiali e, peggio ancora, ladri di realtà umanospirituali come la dignità e la pace.
81
Il Comboni ha vissuto alla luce di una filosofia
opposta alle due appena presentate: la filosofia evangelica
della generosità, che possiamo esprimere così, “Ciò che è
mio è anche tuo, e lo condivido con gioia. (Lc 10, 33-35).
È la filosofia praticata dal Samaritano nella seconda parte
della parabola di Luca (Vedi Lc 10,35), e che per essere
messa in pratica, richiede una rivoluzione forte e penosa
soprattutto per vincere la testardaggine e l’ingordigia,
l’egoismo e l’isolamento. Ma è la rivoluzione che l’amore
verso tutti richiede e di cui il nostro mondo di oggi ha
bisogno.
Gesù incarnò questa filosofia nella sua vita terrena
e la incarnò pure il Comboni. La pagina che segue, la
esprime in modo vivace:
“Il primo amore della mia giovinezza fu per
l'infelice Nigrizia, e lasciando quanto vi era per me di più
caro al mondo, venni, or sono sedici anni, in queste
contrade per offrire al sollievo delle sue secolari sventure
l'opera mia. Appresso, l'obbedienza mi ritornava in
patria, stante la cagionevole salute che i miasmi del
Fiume Bianco presso S. Croce e Gondocoro avevano reso
impotente all'azione apostolica. Partii per obbedire: ma
tra voi lasciai il mio cuore, e riavutomi come a Dio
piacque, i miei pensieri ed i miei passi furono sempre per
voi.
Ed oggi finalmente ricupero il mio cuore
ritornando fra voi per dischiuderlo in vostra presenza al
sublime e religioso sentimento della spirituale paternità,
di cui volle Iddio che fossi rivestito or fa un anno, dal
supremo Gerarca della Chiesa Cattolica, nostro Signore
82
il Papa Pio IX. Sì, io sono di già il vostro Padre, e voi
siete i miei figli, e come tali, la prima volta vi abbraccio e
vi stringo al mio cuore. Vi sono ben riconoscente delle
entusiastiche accoglienze che mi faceste; esse dimostrano
il vostro amore di figli, e mi persuasero che voi vorrete
essere sempre il mio gaudio e la mia corona, come siete la
mia parte e la mia eredità.
Assicuratevi che l'anima mia vi corrisponde un
amore illimitato per tutti i tempi e per tutte le persone. Io
ritorno fra voi per non mai più cessare d'essere vostro, e
tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre. Il
giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno
egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il
ricco e il povero, il sano e l'infermo, il giovane e il
vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale
accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le
vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa
comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni
sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi”.
Che San Daniele Comboni ci ottenga la grazia di
impegnarci con fede ed entusiasmo nell’opera di
evangelizzazione della nostra società, in tutti i settori della
vita. Che tutti, ispirati da lui abbiamo a saper “iniettare
nella società larghe dosi di idealità, di slancio e di
speranza, garantendo l’attenzione privilegiata alle fasce
deboli, assumendo nella vita pubblica la creatività, il
coraggio, la novità che viene dal Cristo vivente e risorto”.
(Giuseppe Pasini)
83
LE ULTIME PAROLE DI GESU’
Ho desiderato cominciare questa meditazione
condividendo un’esperienza molto personale fatta nel
lontano 1978; sono trascorsi tanti anni da allora, ma
quella esperienza è ancora così viva nella mia mente e
nel mio cuore.
Mio padre era ammalato in ospedale e, un
giorno, essendo da solo con lui, gli chiesi: “ Papà, hai
qualche desiderio da esprimere, un desiderio che poi
potrei far conoscere a tutti della nostra famiglia?” Lui
chiuse gli occhi e dopo una pausa di silenzio, aprì gli
occhi, mi guardò con tenerezza e disse: “Ho un solo
desiderio; Voglio vedere il Signore”.
Era tardi quella sera; la mattina del giorno dopo
mio padre morì, e subito sentii crescere in me una
grande fiducia: che il mio papà vedesse già, con
grande gioia, quel Signore che per tanti anni aveva
incontrato nella preghiera e in modo privilegiato
nell’Eucarestia.
Le parole di una persona a me così cara e
così vicina a morire! Le ricordo, e mi dicono così
tanto di mio padre, della sua vita e dell’eredità che
voleva lasciare ai suoi figli e ai suoi amici.
La Famiglia Comboniana di cui faccio parte,
ricorda le ultime parole del suo Fondatore, San
Daniele Comboni, come una raccomandazione da cui
prendere ispirazione e forza:
84
“Abbiate coraggio; abbiate coraggio in
quest’ora dura, e più ancora per l’avvenire. Non
desistete, non rinunciate mai. Affrontate senza paura
qualunque bufera. Non temete. Io muoio, ma la mia
opera non morirà”.
Sono convinto che meditare sulle ultime
parole di Gesù morente, ci aiuterà a capire meglio
l’eredità che Egli ha voluto lasciare a noi e a tutta
l’umanità; ci aiuterà nella nostra preghiera e
riflessione; ci sarà di ispirazione in tutto il cammino
della nostra vita.
Le ultime parole di Gesù agonizzante saranno
sempre per noi una grande sfida ad amare come lui ci
ha amato e ci ama.
“Padre, perdona loro perché non sanno
quello che fanno.” (Lc 23,34).
(Una preghiera per i suoi persecutori)
“Padre, perdona!” Le prime parole di Gesù
morente furono rivolte al Padre, e furono una
preghiera di perdono.
Perdono per coloro che lo deridevano e lo
insultavano in modo sadico e crudele, perdono per
Pilato, perdono per Erode, perdono per i soldati,
perdono per i discepoli pieni di paura, perdono per la
folla. Perdono per tutti!
85
Se fossimo stati noi al posto di Cristo, avremmo
potuto versare la nostra ira e frustrazione su quelle
persone così brutali. Avremmo potuto schiacciare i
nostri nemici con la forza della nostra potenza,
obbligandoli ad ammettere i loro errori, la loro ferocia
e a riconoscere Dio. Ma Gesù non lo fece. Egli non
scese dalla croce come fu invitato a fare.
Ascoltiamo ciò che Isaia dice:
“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le
vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo
sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre
vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.” (Is
55,8-9).
E così Gesù convince non schiacciando, ma
perdonando. Il perdono è la più bella espressione
dell’amore e Gesù sapeva molto bene che, ”O è
l’amore accolto e donato a cambiare una persona o
nessun altra cosa può cambiarla”. Ecco perchè Egli
rivendica la sua missione divina, missione d’Amore,
perdonando le cattiverie più grandi.
Gesù ha una tale profondità di amore che
redime, da essere capace persino di trovare
giustificazioni per i suoi persecutori: “Essi non sanno
quello che fanno”.
Nel comportamento di Gesù, notiamo i seguenti
punti così importanti per la vita di ciascuno di noi:
86
1. Se Gesù perdonò i suoi persecutori sul Calvario,
egli perdona anche noi.
E due grandi cose ci consolano:
- Il desiderio che Gesù ha di perdonarci è
infinitamente più grande del desiderio che noi
abbiamo di essere perdonati da Lui.
- Inoltre, non c’è situazione, per quanto disperata essa
possa apparire, che sia al di là della potenza di
Cristo che salva. Com’è stupenda e consolante
l’espressione di Santa Teresina del Bambino Gesù:
“Anche se avessi nel mio cuore i peccati di tutto il
mondo, non mi perderei di fiducia in Cristo mio
Salvatore, ma andrei da Lui e sono convinta che
tutti i miei peccati scomparirebbero nella sua
misericordia come una goccia d’acqua in un grande
fuoco.”
2. E inoltre, se Gesù perdonò i suoi persecutori e
l’umanità intera, anche noi dobbiamo perdonare.
Nella preghiera che ci ha insegnato, il “Padre nostro”,
Gesù ci presenta il significato e l’intensità del perdono
che siamo chiamati ad avere gli uni per gli altri e che
possiamo imparare solo da Dio. Il perdono reciproco
non è che l’espressione visibile del perdono di Dio
dentro di noi. Ciò vuol dire che se non facciamo
l’esperienza del perdono di Dio per noi, noi non
abbiamo la capacità di veramente perdonare gli altri.
87
La tragedia della mancanza di perdono è che
essa è così corrosiva eppure così comune. È possibile
incontrare persone che per anni hanno portato avanti
sentimenti amari nei loro cuori al punto che
l’amarezza è diventata parte di loro stessi. Hanno mai
chiesto al Signore di renderli capaci di perdono?
Quando manca questa capacità, c’è solo una cosa da
fare: mettersi davanti alla croce e rimanere lì, fermi,
guardando Gesù che muore.
È lì che il nostro trauma sarà guarito, è lì che
impareremo a perdonare. Luca dice “...da lui usciva
una forza che sanava tutti.” (Lc 6,19). E Giovanni
aggiunge “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò
tutti a me”. (Gv 12,32). Nel momento in cui Cristo sta
morendo, la forza risanatrice che fluisce da lui
raggiunge l’apice. Noi dobbiamo porre le nostre ferite
davanti al Dio morente la cui forza guarisce; solo
allora saremo capaci di perdonare. Può volerci del
tempo, l’amarezza può allontanarsi lentamente, ma
essa deve lasciarci se davvero vogliamo essere
seguaci di Cristo.
Preghiera
Signore, ti sono grato per la salvezza che il Padre
Misericordioso ha donato all’umanità “in Te”: Ti
prego, fammi questo dono: che io conosca la
grandezza, l’altezza e la profondità del tuo Amore
88
redentore sulla Croce. Rendimi capace di accettare le
tue sfide per amore. Fa che io mi apra per accogliere
Te e la tua misericordia e rendimi strumento vivo di
quella stessa misericordia per gli altri. Amen.
“Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23:43)
(La parola di trasformazione per un peccatore)
Il contesto della seconda parola di Cristo Gesù
sulla croce è quello di una scena drammatica:
“Gesù diceva: ‘Padre, perdonali, perché non
sanno quello che fanno. Dopo essersi divise le vesti, le
tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere, i capi
invece lo schernivano dicendo: ‘Hai salvato gli altri,
salva te stesso, se sei il Cristo di Dio, il suo eletto’.
Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano
per porgli dell’aceto, e dicevano, ‘Se tu sei il re dei
Giudei, salva te stesso’. C’era anche una scritta,
sopra il suo capo: ‘Questi è il re dei Giudei’”. (Lc 23,
34-43).
Probabilmente uno dei due malfattori crocifissi
con Gesù sentì la sua espressione implorante, “Padre,
perdona loro”, e riconoscendo un potere divino in
Lui, esclamò in forma di preghiera: “Gesù, ricordati
di me quando sarai nel tuo regno”. E con la parola
89
del Gesù morente, “In verità ti dico oggi sarai con me
in paradiso”, quel malfattore divenne un graziato.
“La parola di Dio è viva ed efficace” (Eb 4:12).
Essa è potente e quando viene pronunciata, essa
genera meraviglie. Come sul Calvario: “Oggi sarai
con me in Paradiso”. Non domani, ma oggi, perché
un uomo che sa pregare in quel modo, che è capace di
incontrare Cristo in quel modo, quell’uomo è pronto
per il regno di Dio. Cos’è che il buon ladrone fece per
ottenere la salvezza?
Egli si riconobbe peccatore.
Egli riconobbe Gesù come re e salvatore.
Egli si aprì a Cristo e alla sua azione salvifica.
E noi possiamo imitarlo.
Forse per il ladrone quella era la prima
preghiera della sua vita; eppure gli fu concesso di
accompagnare il Salvatore in paradiso. Un ladro che
ha rubato il paradiso? La risposta è No. Non è
possibile rubare il paradiso. Il paradiso fu, è e sarà
sempre un grande dono che viene dal cuore di Dio,
dalla sua misericordia.
Preghiera
Caro Gesù! La tua benevolenza verso il ladro
penitente mi riporta alle parole profetiche del Primo
Testamento: “Anche se i vostri peccati fossero come
90
scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero
rossi come porpora, diventeranno come lana.” (Is
1,18).
Nelle tue parole di perdono al ladro penitente,
posso capire ora il significato delle tue parole:” Non
sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.” (Mt
9,13).
Eccomi allora peccatore dinanzi a te, mio
Salvatore. Prendimi come sono e fammi come tu mi
vuoi. Amen.
“Gesù disse a sua Madre,
‘Donna, ecco il tuo figlio.’
Poi disse al discepolo:
‘Ecco la tua madre.’
E da quel momento
il discepolo la prese nella sua casa.”
(Gv 19:26-27)
(La Parola per un dono dal cuore di Gesù: Maria)
Cristo affida il suo discepolo Giovanni a sua
madre: “Donna, ecco è il tuo figlio”; e affida la sua
Madre al discepolo:”Ecco la tua madre”. Il
significato di quest’ultima parola è così profondo;
siamo di fronte a un dono che si estende ad ogni
discepolo. Si, nel piano del Padre, non basta che
Maria sia madre di Gesù; lei è la madre di ciascuno di
noi. E se vogliamo vivere imitando Cristo Gesù
91
secondo la nostra chiamata (Rom.8:29), allora
dobbiamo accogliere Maria come nostra madre, come
la madre di Cristo in noi. Con un’espressione
meravigliosa, è stato detto che la Madonna è
l’ostensorio più bello di Gesù; quindi guardando a
Maria, vediamo il Figlio. E quando ci apriamo a lei
con affetto filiale, Maria ci ispira nel nostro cammino
di discepoli di Cristo, Maria ci fa sentire la sua
intercessione per noi e lei diventa come un faro che
illumina e un magnete che ci attira con questo
messaggio; “Dove sono io, là siete chiamati ad essere
pure voi; nel Regno eterno di Dio.”
Abbiamo qui una grande sfida: Considerare
Maria, che è madre di Gesù nella storia, anche madre
di “Gesù in noi” e quindi madre nostra.
Preghiera
O Maria! Come Gesù è nato da te a Betlemme,
così io sono nato da te sul Calvario. Come Madre, mi
porti in un mondo nuovo di comunione spirituale con
Dio, Padre mio, e con Gesù, fratello mio.
Chiedi a Gesù che cambi l’acqua della mia
debolezza nel vino della sua forza. O Maria, tu che sei
il rifugio dei peccatori, prega per me peccatore adesso
e nell’ora della mia morte. Amen.
92
“Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”
(Mt 27:47)
(La Parola di chi si sente abbandonato da Dio)
Questa parola apre un abisso di sofferenza.
Durante tutta la sua vita Cristo aveva trovato la sua
forza nella consapevolezza della presenza del Padre,
aveva trovato il suo cibo nella sua volontà. Ma ora la
consapevolezza della presenza del Padre l’aveva
abbandonato. Era completamente spoglio di tutto.
Non era rimasto null’altro se non solitudine e
completo abbandono. L’aridità che possiamo provare
nella nostra preghiera è così piccola paragonata alla
desolazione dell’aridità del Cristo che prega sulla
croce. E comunque, ancora una volta, ci troviamo
faccia a faccia con il paradosso di Cristo, poiché dalle
sue parole noi impariamo come egli trasformò persino
la desolazione più amara in preghiera. Quando
sembrava che fosse completamente sconfitto da non
avere parole adatte ad esprimere le sue sofferenze,
egli fece ricorso alle parole del salmo. L’agonia del
calvario fu trasformata in preghiera. Un grido di
estrema sofferenza potette diventare profonda fiducia
nel Padre.
Preghiera
Signore Gesù, se consideriamo la tua agonia,
nessuno può dire che Dio non conosce la sofferenza
del cuore che si trova nell’abbandono, perché tu stesso
93
ti sei sentito abbandonato. Nessuno può dire che Dio
non conosce le ferite di un cuore che invoca la
presenza divina che non sente, perché anche tu ne hai
sentito l’assenza
Signore Gesù, insegnami a dire, ”Non la mia,
ma la tua volontà sia fatta.” (Lc 22,42).
Anche quando non ti vedo, dammi la grazia di
credere e di avere fiducia in te.
Ho sete (Gv 19:28)
(Passione per la salvezza del mondo )
Certamente sul calvario Cristo aveva tutti i
motivi per avere sete: perdita di sangue, ferite aperte
ed esposte al sole cocente di mezzogiorno e febbre
causata da quelle ferite. Eppure nonostante il terribile
bisogno di acqua, nonostante la terribile passione, la
vera sete che faceva soffrire Gesù, era la sete per la
salvezza dell’umanità, la sete dei nostri cuori.
Ed Egli, Salvatore ricco di misericordia,
consumato da una sete estrema, ci invita ad attingere
dalla sorgente dell’acqua viva che è il suo cuore
trafitto:
“O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha
denaro venga ugualmente! (Is 55,1).
In verità, Gesù morente, Gesù assetato, ci da lo
Spirito Santo, ci ispira sentimenti di pace, se con fede
e in silenzio ci poniamo in contemplazione di Lui
94
crocifisso e vediamo fluire dal suo costato il sangue e
l’acqua della vera vita. Allora, con la sua sete,
plachiamo la nostra sete ed è Pasqua per noi.
Preghiera
Signore Gesù, tu hai dato tutto per me, eppure
tante volte non ti ho dato nulla in cambio! Quante
volte hai bussato e la porta del mio cuore è rimasta
chiusa per te. Quante volte hai chiesto da bere ed io
non ti ho dato altro che aceto e fiele!
Gesù, la mia storia è la triste storia di un rifiuto
a rispondere al tuo cuore con il mio cuore, al tuo
amore con il mio amore. Dammi al di sopra di ogni
altro dono, il dono dell’amore per te. E dammi questa
grazia: Che ogni mia azione e ogni mia speranza siano
in armonia con la sete che tu hai di me e io ho di te.
Amen.
“Tutto è compiuto” (Gv 19,30)
(Una Parola che esprime completezza)
Ciò che i profeti avevano preannunciato, è stato
realizzato: i suoi trenta anni di vita nascosta, i suoi tre
anni di vita pubblica, i suoi tre giorni di passione, le
sue tre ore di agonia; e in tutto Gesù ha glorificato il
Padre suo. Ora è tempo che il Padre glorifichi il
Figlio.
95
Io ti ho glorificato sopra la terra compiendo
l’opera che mi hai dato da fare.
Ora, Padre, glorificami davanti a te con quella
gloria che avevo presso di te prima che il mondo
fosse. (Gv 17:4-5).
Da queste parole di Cristo Gesù si capisce che il
termine ‘gloria’ ha un significato ed un cammino tutto
speciale nel Vangelo. Nel vangelo la gloria viene
attraverso la croce e attraverso la morte. Il chicco di
grano deve morire perché porti frutto. Non c’è altra
strada per la gloria, non c’è altra strada per una vita
ricca di frutti e per un apostolato fecondo. Non è che
Dio ci voglia vedere soffrire e piangere; al contrario,
Egli ci vuole felici. Non è che Egli provi gusto a
vederci morire. Il fatto è che nella nostra situazione
umana, il piano di Dio può essere realizzato solo
attraverso la sofferenza e la morte. È solo così che il
male del mondo, che è male anche dentro di noi, può
essere sconfitto. Dio, ad ogni modo, ci garantisce che
se noi ci impegniamo così come Egli vuole, la vittoria
finale sarà nostra e il suo Regno si realizzerà in noi e
nel mondo.
Possa questa parola del Signore morente darci
la forza di compiere la nostra missione, portando a
compimento tutto quello che il Padre ci ha chiesto di
fare.
96
Preghiera
Caro Gesù, insegnami questa importante
lezione: se non c’è un Venerdì Santo nella mia vita,
non ci sarà un Sabato Santo e non ci sarà la Pasqua.
Se non mi farò piccolo davanti a te, non vestirò mai
gli abiti della luce. Se non avrò la mia corona di spine,
non ci sarà mai il corpo glorioso. Senza una lotta, non
ci sarà mai una vittoria; senza la sete, non ci sarà mai
il “Ristoro Celeste”; senza la croce, non ci sarà mai
una tomba vuota. Insegnami, o Gesù, che per essere
tuoi seguaci è giusto che si debba soffrire per entrare
nella gloria. Amen.
“Gesù, gridando a gran voce, disse:‘Padre, nelle
tue mani consegno il mio spirito’.
Detto questo, spirò”. (Lc 23,46)
(Una Parola di totale abbandono)
Queste ultime parole pronunciate da Gesù
morente sono probabilmente le più belle di tutte.
Egli conclude la sua vita terrena, così come l’ha
cominciata, parlando direttamente con il Padre. Più
che da tutte le altre parole, possiamo imparare tanto
da queste. Possiamo ripetere questa preghiera di
Cristo in tutte le circostanze della nostra vita: quando
siamo ansiosi, disturbati dentro, timorosi, sconfitti,
feriti, abbandonati; possiamo sempre rimettere il
nostro spirito nelle mani del Padre. L’abbandono nelle
97
mani del Padre suo, è stata la chiave di tutta la vita del
Cristo. Ecco allora che non poteva esserci nessun altro
atteggiamento nel completamento della sua opera che
quello dell’abbandono.
Queste parole sono state interpretate in modo
efficace da un artista tedesco in un dipinto in cui due
mani stringono delicatamente un passerotto. Sono le
mani del Signore che ‘afferrano’ coloro che a Lui si
affidano. (Sal 139,10)
Se siamo lì, in quelle mani, siamo al sicuro e
assolutamente liberi. Nessuno può rapirci dalla mano
del Padre. (Cfr. Gv 10,29). E lì siamo veramente
sereni.
Preghiera
“Padre, mi abbandono nelle tue mani, fa di me
quello che vuoi. Ti ringrazio per qualunque cosa tu
faccia. Sono pronto a tutto, accetto tutto, se è la tua
volontà che si compie in me e in tutte le tue creature;
non desidero altro, mio Dio. Nelle tue mani consegno
il mio spirito; ti dono la mia anima con tutto l’amore
del mio cuore. Perchè ti amo, mio Dio e ho bisogno di
donarmi, di arrendermi completamente a te con
fiducia, aldilà di ogni misura, perché tu sei mio
Padre”. ( Charles de Foucauld).
98
Condivido ora con voi i sentimenti espressi in
occasione del mio 25° di Sacerdozio. Lo faccio perché
essi sono ancora presenti nel mio cuore in modo ancora
più profondo.
Orgoglio
C'è un tipo d'orgoglio contro cui dobbiamo
combattere perché sfasa la prospettiva della vita. Ci fa
mettere su di un piedistallo e ci fa guardare agli altri con
un senso di superiorità o addirittura di disprezzo; ci fa
credere che tutto ciò che c'è di buono nella nostra vita è
frutto soltanto del nostro sforzo, del nostro lavoro. Questo
tipo di orgoglio può addirittura arrivare a farci credere che
possiamo vivere ed agire senza Dio.
Dall'altra parte c'è un tipo di orgoglio che è positivo
è che vuol dire contentezza, riconoscenza verso Dio e
verso tanti per quello che si è, per quello che si ha e per
quello che si è capaci di fare. È questo l'orgoglio che, per
esempio, abbiamo in mente quando diciamo a uno: "siamo
orgogliosi di te.” Cosa vogliamo dire. Ecco: “siamo
contenti per quello che sei e per quello che fai. Ti
incoraggiamo; va avanti così. Ringraziamo il Signore per
te.”
Mi presento a voi in questa occasione del mio
venticinquesimo di sacerdozio con questo tipo di orgoglio
che per me è gioia di vivere. Sono contento del mio
sacerdozio: guai se non lo fossi! Sono entusiasta della mia
vita missionaria e per tutto quello che il Signore mi ha
99
dato; ha effuso su di me tanti doni, tanto amore, e mi è
stato sempre fedele. Ho il cuore pieno di gioia!
25 anni di sacerdozio e di vita missionaria; sette
anni negli Stati Uniti e 18 anni in Uganda. Anni di
formazione e di crescita per me, e anni di mio lavoro
apostolico per gli altri. Una realtà meravigliosa con tanti
elementi che sono doni di Dio e del suo amore.
Mi è stato chiesto diverse volte: qual è l'esperienza
più bella che hai fatto durante i 25 anni di sacerdozio e di
vita missionaria? Senza dubbio ho sempre risposto che
l'esperienza più bella è stata quella della presenza di Cristo
nella mia vita: è lui che mi ha dato forza ed è lui che con il
suo amore misericordioso ha toccato il mio cuore
continuamente. Dio mi è stato sempre fedele.
L'esperienza di Cristo ha generato una realtà
meravigliosa nella mia vita: il bisogno di comunicare agli
altri i doni da lui ricevuti, soprattutto ai giovani, ai poveri
e agli abbandonati.
Ho risposto alla chiamata del Signore prendendomi
come sono; con le mie doti e i miei limiti, con i miei
successi e i miei fallimenti. Ho risposto con una preghiera
sempre viva nel cuore: Signore prendimi come sono e
fammi come tu vuoi. Ho risposto con fiducia nell'amore
misericordioso di Cristo, convinto che, quando ci fidiamo
di Cristo, non possiamo essere delusi.
C'è una preghiera e c'è un desiderio nel mio cuore:
continuare a dire con la mia vita che Lui, il Signore Gesù,
100
è il centro del mio cuore, il centro della mia esistenza.
Continuare a dire il mio si a Lui per giocare il resto della
mia vita per lui: nella fedeltà al mio sacerdozio, e nella
fedeltà al carisma comboniano che mi vuole apostolo
sempre e dovunque.
La mia preghiera per voi è che tutti abbiate ad avere
una forte esperienza di Cristo Salvatore per gustare la
gioia di essere suoi seguaci e per essere strumenti di vita
nelle sue mani.
Il mondo ha tanto bisogno di salvezza; il mondo ha
tanto bisogno di Cristo. Cristo poi ha voluto avere bisogno
di noi e ci ha chiamati ad essere strumenti di salvezza:
testimoni del suo amore perché il mondo creda ed abbia la
vita. Possiamo dire tutti insieme il nostro si con un cuore
solo e un'anima sola!
Vi invito a pregare: Signore, rendici strumenti della
tua pace: dove c'è l'errore e dove c’è il dubbio facci
portare la fede. Dove c'è disperazione, facci portare la
speranza. Dove c'è l’odio, facci portare l'amore. Dove c'è
il rancore, facci portare il perdono. Dove c'è la tristezza
facci portare la gioia.
O Dio, dacci la grazia di cercare più di capire che di
essere capiti, più di amare che di essere amati; perché è
dando che si riceve, e perdonando che si è perdonati, ed è
morendo a noi stessi che nasciamo a vita nuova nello
Spirito.
Vi benedico di cuore e vi auguro ogni bene.
101
Concludo con tre mie piccole composizioni
VISIONE
Camminavo su una strada
In questo mondo ferito.
Vidi gente nel dolore
Per l’egoismo di tanti!
Fui tentato di rabbia,
fui inondato da lacrime.
Mi guardai intorno
E detti una mano.
Mi mossi per aiutare
E donai un sorriso.
Guardai verso il cielo,
e vidi il Signore:
mi dette il suo Spirito,
mi dette una luce.
Quel sentiero di morte
Diventò sentiero di vita.
IN CAMMINO
Ho lasciato la spiaggia
e mi trovo in alto mare.
Ho una visione chiara e sicura;
me l’ha data il Signore.
Sull’altra riva
verso cui mi muovo,
c’è un fuoco e c’è Lui.
Ha del pesce pronto
e ha del pane.
Il Signore mi attira
ed ha sulle labbra un invito:
102
“Vieni, nutriti e sii felice.”
Con me. Per sempre.
SALVE REGINA
In monastero: le claustrali
Hanno cantato la Salve Regina.
Provo un senso di pace profonda.
Chiare come cristalli,
lacrime mi bagnano il viso.
Riconoscenza mi arde nel cuore:
ho una mamma
così piena d’amore!
Quelle lacrime:
espressioni di pace,
gioia di crescita.
103
Mamma Carmela
Papà Basilio
P. Giovanni a 15 anni.
104
Un momento dell’Ordinazione.
Nella missione di Aboke.
105
Con Papa Giovanni Paolo II in Uganda – 1993.
Con un gruppo di giovani aspiranti - Gulu, Uganda.
106
Preparazione al Capitolo delle Suore di M.I.
Dopo la Messa di conclusione
Capitolo delle Suore di M.I.
107
In Etiopia per un ritiro spirituale 1992.
Professione religiosa – Noviziato di Calamba, Filippine.
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Celebrazione Eucaristica nelle Filippine.
Con il Cardinale Sepe e Don Pasquale.
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