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Voglio svegliare
VOGLIO SVEGLIARE L’AURORA (Sal 57,9) Pagine di Padre Giovanni Taneburgo Missionario Comboniano In occasione del 40° Anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale C’è un invito nella Sacra Scrittura che viene spesso rivolto da Dio al suo popolo; l’invito a ricordare sempre le opere meravigliose del Signore per la salvezza di tutti nel Suo amore. Ecco qualche versetto: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere.” Dt 8,2. “Ricorda tali cose, o Giacobbe, o Israele, poiché sei mio servo. Io ti ho formato, mio servo sei tu; Israele, non sarai dimenticato da me.” Is 44,21. “Fate questo in memoria di me.” Lc 22,19. Scrivendo queste pagine, ricordo il passato ed esprimo la mia gratitudine a Dio perché grandi sono state le manifestazioni del suo amore per me e, attraverso me, per tante altre persone. Quanta gioia e, allo stesso tempo, che senso di umiltà ho sperimentato molte volte nel sentirmi dire da tante persone: “Grazie per essere stato espressione dell’amore di Dio per noi.” Ho detto sempre dentro di me: 2 “Non inorgoglirti mai, Giovanni. Tutto è dono del suo Amore.” Ed ecco che mi racconto un po’ con semplicità. L’ultimo senso Le parole che scorrono tra i tratti di penna sono la vita di qualcuno che trova un modo per esprimersi. Tanta gente cercherà di leggere tra le righe per interpretare lo stato d’animo dell’autore, cogliendo in diversa maniera le parole espresse. Ma l’ultimo a dare il senso a ogni circostanza, a leggere dietro ogni riga partorita sei Tu, Signore, Dio mio. Questa poesia è di Jeannette Byamungu Kitambala, missionaria saveriana congolese; l’ho riportata qui perchè essa esprime molto bene i miei sentimenti nello scrivere queste pagine di testimonianze di vita. È Dio il primo che leggerà dietro ogni riga, perchè è stato Lui a dare il via alla mia avventura di Consacrazione per la Missione; è 3 Lui che mi ha sostenuto in essa; è Lui che tra queste righe leggerà la mia gratitudine verso di Lui per tutti i doni che ha riversato su di me perché li potessi apprezzare, gustare e condividere con gli altri. Riporto qui un’altra citazione di tono diverso da quello della citazione riportata sopra. La riporto perché esprime una mentalità, così diffusa nel mondo d’oggi e contro cui ho reagito sempre nel mio cammino di vita e nel mio ministero sacerdotale. È presa da un libro che ho letto tempo fa; è di Marco Baliani, attore, autore e regista. Si intitola PINOCCHIO NERO - Diario di un viaggio teatrale -, della Rizzoli. Parla di uno spettacolo nato da un progetto di ricupero dei ragazzi di strada di uno slum di Nairobi. A pagina sette e otto l’autore dice: “Come sono arrivato qui, su questo aereo diretto all’equatore, verso un altro mondo, a incontrare una realtà di cui fino a poco tempo fa ignoravo l’esistenza? Se provo a tornare indietro e a percorrere a ritroso la strada che mi ha portato a volare sopra questo deserto, non trovo vie disegnate su un filo netto. Vedo piuttosto una serie di crocicchi, di avvenimenti casuali, di sentieri presi per un momentaneo intuito, senza pensarci troppo. Come al solito la grande Ananke, la dea della necessità degli antichi, ha dispiegato davanti a me la sua rete intrecciata di corde e di fili, dentro cui galleggia l’universo nostro, e dandomi un colpo sulla testa mi ha risvegliato l’anima proprio nel momento in cui percorrevo uno dei nodi della rete, un colpo così netto e forte che ho aperto gli occhi in quel punto del Tempo e m’è sembrata una coincidenza quell’incontro e un’altra coincidenza l’incontro 4 successivo e così via fino a questo posto 23 C su un aereo delle Ethiopian Airlines. Non si può mai dire dove tutto è cominciato, possiamo inventarci l’inizio per tranquillizzarci sempre alla ricerca di una spiegazione e di un ordine, che invece non ci sono.” Questa citazione mi ha fatto specie perché non ho mai capito come una persona possa affidare la sua vita e la sua azione al caso, a coincidenze varie o a dee come Ananke. Non giudico nessuno, ma personalmente sono convinto che sono quel che sono e ho percorso il mio cammino di vita così come è stato, perché mi sono sentito avvolto dalla presenza e dall’amore di Dio; mi sono sentito animato dalla sua chiamata e dal Suo Spirito. Ed ecco allora che sto preparando il mio animo alla celebrazione del quarantesimo anniversario della mia Ordinazione Sacerdotale avvenuta il 28 giugno 1968, guardando al mio passato, così ricco di Misericordia di Dio, con un profondo senso di gratitudine a Lui, mettendo il presente nella potenza del suo Amore e affidando il futuro alla sua Provvidenza. Le tappe della mia vita: Nato a Bari l’8 maggio 1942, ultimo figlio di Carmela Lorusso e Basilio Taneburgo, trascorsi la mia fanciullezza a Sammichele, un paese a 28 km da detto capoluogo. Mia mamma morì nel 1951 e d’allora fino al 1957 vissi un periodo difficile; non accettavo la perdita di mamma e mi sembrava che tutte le attenzioni del mio papà e degli altri membri della mia famiglia, due fratelli e due 5 sorelle, non potevano alleviare la mia pena per la sua assenza. Ero inquieto e senza voglia di studiare. Un giorno ebbi un piccolo litigio con mia sorella, oggi Suor Carmela, missionaria in Zimbabwe. Fui ingiusto e aggressivo con lei. L’episodio mi fece rimanere scosso e mi portò a una riflessione seria: “Devo orientare bene le tante energie che ho in me per dare alla mia vita un significato creativo. Altrimenti che sarà della mia esistenza?” Decisi di andare a confessarmi per avere il perdono del Signore con insieme l’energia per andare avanti con quella fede di cui mamma era stata testimone e che continuava a regnare nella mia famiglia. In chiesa incontrai un Missionario Comboniano, P. Celso Duca, che era venuto in parrocchia per la promozione vocazionale tra i ragazzi. Con mia sorpresa, dopo il saluto, mi chiese se avessi mai pensato a una chiamata alla vita missionaria da parte di Dio, nell’Istituto Comboniano. Era la prima volta che sentivo parlare di questa Famiglia di consacrati per la Missione. Sentii una grande sfida dentro di me: diventare sacerdote missionario per fare fruttificare i tanti doni datimi da Dio e condividerli con gli altri, specialmente i più poveri e abbandonati. Dopo alcuni contatti con P. Celso e dopo aver riflettuto e pregato, decisi: “Diventerò apostolo secondo lo stile del Comboni.” Cominciai subito a sognare la mia vita in Africa e tutto il periodo di formazione fu tempo di vera trasformazione, disposto com’ero a pagare il prezzo perché i miei sogni potessero diventare realtà. Quando, 6 dopo il primo anno di seminario, tornai a casa, i miei amici, i miei compaesani e naturalmente i miei famigliari, mi videro trasformato. Il ragazzo che era stato a volte timido e chiuso, a volte tanto vivace, un po’ aggressivo e come perso, aveva lasciato che il Signore lavorasse su di lui. Ecco le tappe della mia formazione: i 2 anni di ginnasio a Sulmona, in Abruzzo; il liceo a Carraia, vicino Lucca; i due anni di noviziato a Gozzano, in provincia di Novara; i 4 anni di Teologia a Verona, presso l’Istituto Teologico San Zeno. Durante il cammino formativo, mi furono di ispirazione tanti missionari e missionarie impegnati con entusiasmo nella costruzione del Regno. Sentivo l’intercessione della Madonna e di molti santi e sante che vedevo come grandi fari di luce che illuminavano il mio cammino e mi comunicavano ottimismo. Sentivo la vicinanza di mamma che camminava al mio fianco e mi proteggeva; quella mamma di cui avevo sentito la mancanza da ragazzo, mi era diventata attivamente vicina nel mio cammino di vita. Sentivo la vicinanza del mio papà, uomo di grande fede e di preghiera, uomo di spirito profondamente eucaristico e mariano, come pure sentivo la vicinanza dei miei fratelli e delle miei sorelle. E quante persone mi seguivano e pregavano per me! Giugno 1968: ecco la tanta desiderata Ordinazione Sacerdotale a Bari. Il Vescovo ordinante: Mons. Enrico Nicodemo. La celebrazione toccò il mio intimo e fui inondato da sentimenti diversi: di piccolezza dinanzi a Dio, di gioia, di gratitudine a Lui e di sorpresa 7 che continuarono ad aleggiare nel mio cuore in modo forte, nelle settimane che seguirono l’Ordinazione; soprattutto quando vidi inginocchiati dinanzi a me il mio papà e mio fratello Vito. Le prime due persone che mi chiesero di confessarsi! Evitavo di fare tanti ragionamenti nel contesto di valutazioni umane, convinto come ero che i ragionamenti, quando sono troppi, diventano tortuosi e dannosi. Nella preghiera dicevo al Signore: “Signore, mi hai chiamato conoscendomi bene dentro e fuori. Mi hai preso per mano. Ti lodo, ti ringrazio. Dammi il dono della fedeltà per sempre.” Fui contento d’incontrare questa bella poesia di Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e grande teologo cristiano, ucciso dai nazisti nel 1945. Feci mia l’ultima frase: “Chiunque io sia, tu mi conosci, sono tuo, o Dio.” Chi sono io? Chi sono io? Spesso mi dicono che esco dalla mia cella disteso, lieto e risoluto come un signore dal suo castello. Chi sono io? Spesso mi dicono che parlo alle guardie con libertà, affabilità e chiarezza come spettasse a me di comandare. Chi sono io? Mi dicono anche che sopporto i giorni del dolore imperturbabile, sorridente e fiero come chi è avvezzo alla vittoria. 8 Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me? O sono soltanto quale io mi conosco? Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia, bramoso di aria come mi strangolassero alla gola, affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli, assetato di parole buone, di compagnia, tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina, agitato per l'attesa di grandi cose, preoccupato e impotente per l'amico infinitamente lontano, stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare, spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa? Chi sono? Sono questo o sono quello? Oggi sono uno, domani un altro? Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore e davanti a me uno spregevole, querulo vigliacco? O ciò che è ancora in me somiglia all'esercito sconfitto che si ritrae in disordine davanti alla vittoria già conquistata? Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione. Chiunque io sia, tu mi conosci, sono tuo, o Dio! 9 Dopo un breve periodo di vacanza con la mia famiglia, dovetti lasciare posti familiari per luoghi a me allora sconosciuti; dovetti affrontare piccoli sacrifici; ma chiedevo sempre al Signore la gioia dell’offerta della mia vita a Lui per la salvezza del mondo. Ecco dove mi portò il piano di Dio su di me: gli Stati Uniti d’America dove stetti dal 1968 al 1975; l’Uganda dove stetti dal 1976 al 1995; le Filippine con una permanenza di nove anni, e poi, nel 2005 lo Scolasticato Internazionale che, dopo essere stato a Roma per 40 anni, nel 2006 fu trasferito a Casavatore (Na) ove ora mi trovo. STATI UNITI Il mio impegno specifico qui fu innanzitutto per lo studio della lingua inglese e poi per un master alla Xavier University di Cincinnati; fu poi per il ministero della direzione spirituale e l’insegnamento nel nostro seminario di Monroe (Mi); e poi per la promozione vocazionale; non mancò mai l’apostolato in parrocchie e zone diverse. Come promotore vocazionale, soffrii molto per la scarsità e poi per la quasi totale mancanza di vocazioni alla consacrazione per la missione nel nostro Istituto Comboniano, come pure in altri istituti. Vedevo il motivo di tutto ciò nella società in cui quei valori che erano stati considerati solidi e non negoziabili, stavano diventando sempre più fluidi e senza forza. Ma mi pareva di vedere le radici della crisi anche nel nostro modo di vivere e presentare la missione. Sentivo poi un senso di inadeguatezza di fronte al grande compito della 10 promozione vocazionale che mi era stato affidato e sentivo fortemente il desiderio di partire per l’Africa. Nel capitolo 18° del suo libro intitolato, “DEFINING MISSION” – I Missionari Comboniani in America del Nord, l’autrice Patricia Durchholtz, nella sezione da pagina 244 a pagina 248, dice: “Il Consiglio Provinciale chiese ripetutamente alla Direzione Generale personale per la promozione vocazionale, definendo il bisogno come “il più urgente in provincia.” Quando la richiesta non potè avere una risposta positiva, P. Giovanni Taneburgo fu trasferito dal seminario di Monroe, nello stato del Michigan, all’ufficio per la promozione vocazionale in Cincinnati. Alle due sezioni del campo vocazionale estivo del 1973, presero parte 60 giovani, per lo più adolescenti… I Padri Biancalana e Taneburgo, aiutati da P. Bragotti, lavorarono per la promozione vocazionale nelle diocesi di Cincinnati, Chicago, Filadelfia, Newark, Trenton, Detroit e animarono ritiri vocazionali per adolescenti nella diocesi di Toledo… La giornata vocazionale dell’Archidiocesi di Cincinnati tenuta nel Seminario del Sacro Cuore, vide la partecipazione di 140 giovani, per lo più adolescenti. Si ebbe l’impressione che i giovani avessero ancora il desiderio di conoscere la volontà di Dio nella loro vita… P. Biancalana ritornò in Uganda… Nella primavera de 1974 P. Taneburgo riferì che più di 50 adolescenti avevano preso parte al campo vocazionale; ma il numero di studenti che poi entrarono in seminario, fu veramente basso… Durante il Consiglio provinciale dell’ottobre 11 1974, la richiesta di P. Taneburgo di partire per le missioni fu considerata.” Nelle pagine 247-248, Patricia Durchholz riporta uno studio fatto dal gesuita, P. John Standenmaier che fa vedere la crisi vocazionale come dato di fatto non solo per l’Istituto Comboniano, ma anche per gli altri Istituti e nella stessa Chiesa. Lo studio mette l’accento sulla mancanza di apertura a impegni permanenti in tutti i campi. Uno dei punti forza nel mio cammino di vita negli Stati Uniti, fu l’Eucarestia: la celebrazione Eucaristica e la spiritualità da essa derivante. Ecco i punti principali della mia concezione di questo grande dono del Signore. EUCARESTIA E VITA Parlando di Eucaristia, la Sacra Scrittura ha delle affermazioni autorevoli e cariche di significato in un’atmosfera di mistero. S. Paolo dice: “ Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio Corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice, dicendo: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue. Fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta, infatti, che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga”. (1Cor 11,23-26). 12 Il Vaticano II poi ha descritto l’Eucaristia come “la sorgente e allo stesso tempo l’apice di tutta la vita e di tutta l’attività della Chiesa.”Il popolo cristiano è un popolo eucaristico. L’Eucaristia ci definisce e perciò ci fa vivere ed agire come seguaci di Cristo. Nella celebrazione eucaristica è estremamente importante far memoria della potenza salvifica di Dio nostro Padre “in Cristo e mediante lo Spirito”, memoria che implica la nostra esigenza di aprirci a Cristo per essere salvati da Lui. Ecco una sfida: siamo noi consapevoli del bisogno che abbiamo di essere salvati da Dio giorno dopo giorno? Ci apriamo veramente a Lui per sperimentare la salvezza che Egli ci offre con amore infinito? Un altro aspetto importante della celebrazione eucaristica è quello del sacrificio: nell’Eucaristia Cristo si offre al Padre per la vita del mondo. Con Lui si offrono i suoi seguaci nella fede, diventando così offerta viva a Dio per la salvezza dell’umanità. A me stesso e a tutti quelli che incontro nel mio ministero chiedo: “Che consapevolezza abbiamo del martirio del cuore proclamato nella celebrazione eucaristica? Ogni volta che si celebra l’Eucaristia il fedele dice al Padre: “O Padre, mi offro a te; che la mia esistenza sia tutta spesa per la tua gloria e per il bene dell’umanità tutta. Non il mio piano che potrebbe essere meschino, non quello che voglio io, ma il tuo piano, quello che vuoi tu!” È questa proclamazione sentita e vissuta che costituisce ciò che ho chiamato martirio del cuore. Senza questa realtà di offerta totale a Dio, la nostra celebrazione 13 eucaristica è come monca e non trasforma la nostra esistenza. Importante è poi l’aspetto del banchetto: nell’Eucaristia il Padre ci offre il Cristo come nutrimento e Cristo si dona a noi non solo per il nostro bene, ma anche il bene degli altri. Infatti la volontà del Padre è questa: che noi, nutriti da Cristo, abbiamo ad essere come pane vivo benedetto da Lui, spezzato e donato per il bene di tutti. Ed ecco la sfida: qual è il nostro atteggiamento nei confronti del servizio agli altri nella Chiesa e nel mondo? Siamo consapevoli che siamo stati chiamati a rendere questo nostro mondo un mondo migliore attraverso la donazione di noi stessi agli altri? L’espressione “Ciascuno per sé e Dio per tutti” è la negazione di ciò che Dio vuol fare in noi mediante l’Eucaristia. Siamo gli uni per gli altri “nel Cristo e mediante lo Spirito”, Dio vuol renderci dono in un modo che sia sempre più profondo in significato e intensità. Tradire questo suo intento è tradire noi stessi perché nessuno può essere un’isola. Vivere in atteggiamento di donazione, è celebrare la nostra esistenza, è crescere nell’amore. Importante poi capire il significato della parola stessa Eucaristia: vuol dire ringraziamento; e attraverso tutto ciò che facciamo nella celebrazione eucaristica, rendiamo grazie à Dio per tutto il bene che è presente in noi, nella Chiesa e nel mondo; ringraziamo il Signore in una società dove le cose belle e buone sono spesso prese per scontate! 14 Un’altra sfida: la lode è il centro non solo della preghiera ma anche di tutta la nostra esistenza. Siamo capaci di rimanere gioiosamente sorpresi di fronte ai doni di Dio? Tutto ciò che è buono viene da Lui: dono di Lui e del suo amore! Qual è la qualità del nostro rendimento di grazia a Lui? Se la realtà eucaristica non provoca entusiasmo e crescita in noi, vuol dire che è una realtà mortificata dalla nostra mancanza di fede viva. Quando veramente celebriamo l’Eucaristia, allora la nostra vita cresce e il nostro cuore si apre all’amore. Il piano di Dio diventa carne in noi e il mondo diventa migliore. Spiritualità eucaristica Dalla realtà eucaristica così come descritta, deriva una spiritualità che ci rende capaci di una esistenza veramente cristiana. Brevemente, ecco la concezione della spiritualità eucaristica così come la sento. È una spiritualità di PRESENZA. Nella celebrazione eucaristica Cristo Gesù diventa presente in mezzo a noi in un modo particolarmente sublime. La spiritualità eucaristica proclama questo messaggio: “Come Cristo si fa presente a noi nella celebrazione eucaristica, così noi dobbiamo farlo presente nel mondo”. Chi celebra l’Eucaristia in modo vero, diventa sacramento di Cristo, testimone del suo amore nel mondo, diventa come ostensorio di Cristo. “Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo…” Mt. 5,13-16. Quanti santi e 15 sante sono stati e sono come delle lettere vive inviate dal Padre all’ umanità di oggi. È una spiritualità che implica TRASFORMAZIONE. Nella celebrazione eucaristica il padre prende il pane e il vino offerti dalla Chiesa e, per un grande miracolo di amore, trasforma questi elementi nel corpo e nel sangue di Cristo. La spiritualità eucaristica ci dice che nella nostra vita di ogni giorno dobbiamo permettere al Padre di prenderci e trasformarci in Cristo mediante lo Spirito. La vita cristiana è profondamente dinamica: o noi cresciamo nel profondo del nostro essere, oppure cadiamo in letargo e diventiamo come morti. C’è una preghiera che mi aiuta molto e che esprimo così spesso per la mia crescita nel Cristo: “Signore, prendimi come sono e fammi come tu voi”. È una spiritualità di tensione verso il futuro: TENSIONE temperata dalla SPERANZA. L’eucaristia ci porta avanti. La spiritualità eucaristica ci fa camminare nella speranza con lo sguardo rivolto all’Eterno. Ecco allora l’ottimismo cristiano: la convinzione che Dio è con noi, che Dio ci dà la forza del suo Spirito e che la vittoria finale sarà non delle forze del male, ma di Dio e dei suoi fedeli. Nonostante i tanti elementi di male che affliggono il mondo, noi ci muoviamo non verso un futuro oscuro ma verso un futuro di luce: se solo ci apriamo a Cristo! Vedo il pessimismo di tante persone, e credo che una delle più belle testimonianze che un cristiano può dare nel mondo di oggi sia proprio quella dell’ottimismo. 16 Una spiritualità COMUNITARIA. La spiritualità eucaristica ci fa capire nel profondo del cuore che nessuna persona può essere un’isola. Nell’isolamento si muore. C’è un movimento che è necessario nella nostra vita: il movimento dello scambio dei doni che abbiamo, il movimento dell’aiuto vicendevole. Quando si tratta di vita nello Spirito, nessuno è così ricco da non avere bisogno degli altri; nessuno è così povero da non potere dare un contributo valido per la crescita di tutti. E ricordiamo che niente è piccolo quando è grande il cuore che dona. È una spiritualità di SALVEZZA. La spiritualità ci spinge a vivere e ad agire sempre in un contesto di salvezza per noi e per gli altri. Ci sono fin troppe espressioni di condanna nella nostra società d’oggi. Condannare e fermarsi alla condanna non serve. C’è bisogno di compassione. Anche per chi ha fatto del male (e chi di noi non ne ha fatto in un modo o nell’altro?), il desiderio deve essere: “Che si converta e viva”. È sempre questa l’intenzione del cuore di Dio. È una spiritualità di RINGRAZIAMENTO. La parola stessa Eucaristia vuol dire ringraziamento. E come non essere grati a Dio se è vero che “siamo perché Egli è” e che tutto ciò che è buono viene da lui? UGANDA A riguardo del tempo trascorso in questa nazione, mi piace condividere stralci di note e lettere che esprimono i miei sentimenti in circostanze piene di sfide. Li misi giù nel 1996 proprio prima di partire per le 17 Filippine perchè parenti e amici mi chiedevano qualche segno a ricordo della mia vita e azione missionaria in Africa. In occasione del mio 40° di Sacerdozio, ho sentito il desiderio di condividerli con più persone. Li ho intitolati: UNA VITA CHE CONTINUA 3 gennaio 1996 Carissimi, il 19 dicembre 1995 portavo a termine il mio ultimo compito in Uganda, concludendo così un periodo di 20 anni di vita trascorsa in Africa, con riconoscenza al Signore. Mentre ero sull’aereo che mi portava da Kampala verso Londra e Roma, una fiumana di sentimenti attraversava la mia mente e il mio cuore. A un certo punto mi chiesi: qual è stata l’esperienza più forte, più significativa durante i miei anni di vita, di apostolato in Uganda? Mi venne spontanea la risposta: senz’altro l’amore di Dio nella mia esistenza di ogni giorno. Quante volte negli anni trascorsi in Africa ho meditato sui due passi delle Sacre Scritture che vi propongo. “Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: ‘Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. 18 Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare perché io sono il Signore tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo’”. Is 43,1-4 “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.” Gv 15,15-17. Carissimi, l’amore di Dio ha toccato anche la vostra vita, e Dio si ripropone continuamente a voi per un’esperienza sempre più profonda della sua azione salvifica che sostiene e dà forza. Condivido con voi uno dei periodi della mia vita in Africa che hanno lasciato un forte segno nell’intimo del mio essere missionario. Presento queste note, stralci di mie lettere riguardanti quel periodo, in semplicità e umiltà, 19 sperando che possano farvi del bene dandovi ispirazione per vivere con fede e coraggio. In atteggiamento di apertura a Dio. Vi ricordo sempre con affetto soprattutto nella preghiera. Alokolum 21-2-‘87 Carissimi tutti, pace e ogni altro bene! Un augurio dal profondo del mio cuore. Ho trascorso questo sabato con la voglia di fare proprio niente e con tanti pensieri che si sono accavallati nella mia mente; pensieri riguardanti me stesso e gli altri, guerra e pace, speranza e pessimismo. Tramite radio-trasmittente, alle 13,30, abbiamo ricevuto una brutta notizia: i Padri, le Suore e tutti della missione di Alito hanno dovuto evacuare il posto. Stasera un’altra notizia:”al più presto tutti della missione di Aboke dovranno andare via di là per sfuggire ai pericoli che sembra si stiano avvicinando”. Al momento non possiamo avere una visione chiara di ciò che sta succedendo là; comunque la situazione è drammatica. A pensare che giorni fa furono evacuati ospedale e missione di Kalongo! Tanti comboniani e comboniane sono stati chiamati a pagare un contributo di sofferenza personale. Per che cosa secondo la mente di coloro che fanno il male? Credo che altri saranno chiamati a soffrire di persona. Da parte mia sono più che mai consapevole della scelta che ho fatto in risposta alla chiamata di Dio e sono sereno. E quando penso a coloro che sono stati colpiti dal male mi chiedo:”Perché loro e non io?”. Metto tutto nelle mani di Dio e prego che quando la sofferenza arriverà per me, io 20 sia capace di dare ad essa un significato redentivo! Possa io rimanere fedele agli ideali della Famiglia Comboniana! Carissimi, stiamo vivendo un momento particolare: non si tratta di cadere in un malinteso senso di eroismo: sarebbe esaltazione di poco conto e di poca durata. Non si tratta di abbandonare su due piedi per un senso di vaga paura: sarebbe vigliaccheria; È allora il momento di una testimonianza vera: per amore di Cristo e della nostra gente. È quello che voglio vivere Chiedo a tutti di pregare per me, i miei confratelli, e tutta la gente di qui. Che tutto si concluda presto, senza tanto spargimento di sangue, che regni la pace! Non sto a descrivere aspetti particolari della situazione: sarebbe cosa lunga e non opportuna, anche perché pochi sanno veramente cosa sta succedendo in questa Uganda martoriata da tanti anni ormai. Spero che nella mia prossima lettera sia in grado di darvi notizie più “leggere” e avrò così la possibilità di dirvi che la situazione è migliorata. Vi ho portati sempre nel cuore e continuerò a tenervi lì con tanto, tanto affetto. Tutti abbraccio e tutti benedico con un senso di grande pace interiore. 23-2-87 Carissimi, leggendo ciò che ho scritto due giorni fa, vi sarete forse chiesto: “Ma che cosa ha dato occasione a questa lettera?” Rispondo così: La consapevolezza della 21 situazione nella sua precarietà e la volontà di parteciparvi i miei sentimenti. Vi racconto un episodio del 19 u.s. “Quest’oggi è capitato qualcosa che mi ha fatto veramente riflettere sulla fragilità della vita. Una bomba è caduta sulla capanna di Elisabetta a circa 40 metri a ovest della nostra siepe. Ero in stanza, ho sentito il colpo, sono andato fuori, ho visto il fumo e poi le fiamme della capanna che bruciava. Per fortuna dentro non c’era nessuno. Elisabetta e famiglia erano con gli altri rifugiati da noi. Ho pensato che quella bomba sarebbe potuta cadere nel nostro recinto, sulla mia stanza. Circa due settimane fa ne cadde una proprio accanto alla cattedrale di Gulu. Può capitare di tutto mentre si è in casa, e ogni uscita è un rischio”. 25- 2- 87 Ho trascorso tutta la giornata a Gulu tra un ufficio e l’altro per ottenere cibo da dare ai rifugiati. Mi sono stati dati 20 sacchi di granoturco e 10 di fagioli, da distribuire tra le persone tribolate che sono con noi. Mi è stato promesso che gli aiuti continueranno ad essere dati in modo sistematico finché c’è l’emergenza. Comunque se la situazione non migliora, la pioggia non cade e la gente non può lavorare i campi, avremo problemi di fame. Domani faremo la distribuzione. Avendo preparato liste di nomi e descrizione della situazione ad Alokolum, in futuro sarà più facile ottenere aiuti. 22 Comunque oggi ho fatto l’esperienza del povero. È stata cosa un po’ dura, ma ho cercato di fare tutto per amore di questa gente e sono contento. 28- 2- 87 Oggi abbiamo avuto problemi con alcuni guerriglieri e giovinastri a causa della distruzione dei vestiti ai bisognosi; ne volevano anche loro a tutti i costi…, ma tra l’altro avevamo solo roba per donne e bambini. Anche aiutare è diventato un problema più grande che mai Con Padre Umberto mi sono chiesto: “Perché tante teste calde? Perché tante persone che creano un ambiente ostile alla speranza? Fino a quando, Signore?” 1 – 3 – 87 Carissimi, oggi la giornata è trascorsa con calma. Mi sono state di sostegno e di grande consolazione le parole del Profeta Isaia. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se una mamma si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai”. (Is 49,15) Che queste parole di Dio così ricche di amore, di tenerezza siano di conforto anche per voi! 9 - 3 – 87 Tra ieri e oggi ho avuto momenti di tristezza che mi ha ferito il cuore a causa di motivi diversi: acrobazie per 23 tenere buoni i guerriglieri che di tanto in tanto vengono a farci visite non tanto gradite per chiedere cose di vario genere; piccole incomprensioni tra la gente che è con noi; sforzo per aiutare in modo non paternalistico ma costruttivo; dolore per la sofferenza altrui. Un esempio: Ieri pomeriggio ero con la comunità nel mezzo dell’adorazione domenicale, quando abbiamo sentito colpi di tosse che venivano dalla veranda. Finita la preghiera siamo andati a vedere: per terra, sul pavimento di cemento, uno sconosciuto. Era venuto per morire da noi, si proprio così. Non reagiva più a nessuno stimolo, si percepivano solo lamenti che venivano dal suo intimo. Dalla carta medica che aveva in tasca abbiamo capito che stava andando all’ospedale di Lacor per controllo; sentendosi venire meno, si è fermato da noi. Una rifugiata ha fatto la parte dell’angelo: dopo averlo pulito, gli mise su i vestiti che le diedi per lui… con Umberto e tutti della comunità ho pregato per lui e l’ho portato in un posto tranquillo. È morto durante la notte. Così oggi abbiamo seppellito un fratello nella comune umanità e nel Cristo Redentore; il suo nome: Victor Olar. 15 –3 - 87 Sto leggendo con interesse il libro “Dagli Angoli Del mondo”. Quanti pensieri e quante invocazioni! Da pagina 291 a pagina 305 è narrata la storia di Luisa Guidotti, una dottoressa di Parma uccisa in Zimbabwe il 6 luglio 1979. Una Martire! A pag. 304, una cosa impressionante: “sulla strada una camionetta di soldati: uno di questi, un italiano, mercenario del regime, la 24 colpirà e la lascerà morire dissanguata, senza rispondere alle sue invocazioni.” Venire in Africa per essere uccisa da un italiano! Mi è venuto un altro pensiero. Nella storia del nostro Istituto Comboniano sono stati uccisi diversi confratelli. Sono forse stati uccisi con armi italiane? L’Italia si distingue (!?!) per la vendita di armi al terzo mondo; che peccato! 16 – 3 – 87 Sono andato in città ed ho visto Steve che, con la sua famiglia, ha dovuto lasciare casa. Tornarci è ancora impossibile. I ladri poi hanno cominciato a rubare: hanno già portato via l’intero salottino. Steve mi ha chiesto se posso portare in salvo la roba che rimane. Ma come fare senza correre pericoli anche seri? Per le persone rischierei la vita, ma per le cose per quanto preziose? Non si deve! 12 Aprile: Grande sparatoria in seminario subito dopo il mio arrivo in macchina. Lascio questa in un angolo, e vado al riparo in un piccolo corridoio: vengo a trovarmi con il rettore e tre ragazze della cucina. Rimaniamo lì per una mezz’ora. Quando tutto sembra calmo, vado fuori ed assieme a P. Umberto mi incontro con gli “OLUM” (così sono chiamati i guerriglieri nella nostra lingua). Ci parlano di frainteso: ci credo poco, e i particolari vadano con il vento. L’episodio descritto è avvenuto tra le 16 e le 16,30. veniamo ora alle 23,20: tutti sono già a letto e intorno c’è buio. Sto per andare a dormire mentre la stanza è illuminata da una lampada a petrolio. Mi ero fermato a leggere u po’, e stavo andando a letto non consapevole 25 della presenza di una 15na di uomini armati proprio fuori dalla mia porta. Avevano scavalcato il recinto. Il loro capo viene e bussa. Capisco e così vado da lui. Chiedo che venga mantenuta la calma e non si spari. Nel contesto di un breve dialogo mi chiede il furgoncino. Rifiutare sarebbe rischioso per me e la comunità intera. Viene Umberto e insieme acconsentiamo alla loro richiesta; apro il cancello, porto la macchina fuori dal recinto. Gli “amici” vanno via, senza neppure dire grazie. Che mancanza di buone maniere! 20 Aprile: Uomini armati vanno a Lacor Hospital e rubano vestiti e tanta altra roba dalle case dei dottori Corti, Mario e Umberto. Grande paura a causa di minacce e grandi perdite. Che peccato mettere in pericolo il buon funzionamento di una struttura ospedaliera così importante come Lacor! 21 Aprile: Un giovane viene ucciso sulla strada lungo la siepe del Postulato; ci viene detto che era una spia. 22 Aprile: A Lacor c’è un’aria pesante di smobilitazione. Diversi dottori e infermiere decidono di andare via: il futuro presenta tante incognite e tutti gli Ugandesi non appartenenti alla tribù Acoli hanno paura di stare in ospedale. 23 Aprile, 1987: Siamo in una situazione difficile definita da qualcuno come d’inferno. In clima pasquale non mi sento di usare gli stessi termini; infatti, nonostante tutto, sto facendo continuamente l’esperienza del Signore che opera per la salvezza mia e di tutti. Se solo ci aprissimo a lui. Trasformerebbe il deserto dei nostri cuori in un giardino fiorito. 26 Tre giorni addietro Postulanti e Seminaristi sono andati via di qui per ragioni di sicurezza; la tensione creata da gruppi di sbandati armati era diventata di troppo. Adesso sono alloggiati presso la scuola di taglio e cucito “Santa Maria”, a circa 1 km da Gulu: aspettano che un convoglio militare sia organizzato: io ne farò parte per accompagnarli. Speriamo non ci siano attacchi da parte dei guerriglieri. Il rischio maggiore riguarda i primi 50km. del tratto Gulu-Kampala. Nella capitale mi fermerò solo qualche giorno. Dopo aver riflettuto, pregato ed essermi consigliato, ho cancellato il mio viaggio di predicazione e riposo offertomi dal gruppo statunitense. Nella situazione in cui ci troviamo non posso lasciare Padre Umberto da solo per motivi ovvii. È una rinuncia da parte mia, ma la faccio volentieri e la offro al Signore assieme ad altre perché la pace venga a questa nazione tribolata. Potrei scrivervi su tante, tante cose; mi limiterò a riportare alcuni episodi di questo mese di Aprile. 24 Aprile: Abbiamo avuto due giorni di calma, almeno in superficie. Preghiamo e speriamo bene. A Lacor sono venuti diversi soldati governativi per pattugliare la zona. La nostra speranza comunque non è nelle armi. Quando di sera tardi faccio la mia ultima preghiera del giorno dico: “Signore che questa notte sia calma. Che non venga nessuno a disturbarci”. Vi assicuro il mio ricordo e chiedo la vostra carità fatta di preghiera per me e per tutti di qui. 27 27 – 4 – 1987 Finalmente viene data la notizia: “Il convoglio con la scorta militare parte per Kampala oggi. Ecco la formazione: una camionetta con su una mitragliatrice girevole, tre camions pieni di soldati armati, una 15na di macchine civili tra cui la nostra e quelle che trasportano seminaristi, infermiere di Lacor Hospital e di varie scuole della nostra zona, altri camion militari e un’altra camionetta con mitragliatrice. Sono disturbato da tanti aggeggi e movimenti di violenza, di morte. Quattro ore per fare 57 km.! È inclusa una sosta con un po’ di sparatorie in un posto dove diversi sono morti negli ultimi mesi scorsi. Com’è brutta la guerra! È inutile! Al di là del posto di blocco sul Nilo il convoglio viene sciolto: ciascuno è libero di proseguire per conto proprio. Assieme ai postulanti che viaggiano con me vado e spendo la notte nella nostra missione di Kassala a 70 Km. da Kampala. 28 – 4 – 1987 Arrivo a Kampala, porto i postulanti alla stazione degli autobus, ed essi partono per trascorrere un po’ di tempo con le loro famiglie. Tutti eccetto uno che ha parenti nella capitale. Lo porto a casa. Grande sorpresa del fratello che ci vede arrivare. Non crede ai suoi occhi: pensava che tutti del Seminario di Alokolum fossimo stati uccisi o fossimo nelle mani dei guerriglieri. Ore 11.00: vado a Mbuya, una zona di Kampala dove ci sono due comunità comboniane. Accoglienza cordiale e distensione con un elemento però riuscitomi un 28 po’ pesante: il rispondere alle domande espresse da diversi confratelli man mano che arrivavano: “come stai? Come si sono svolte le cose da voi? Ci sono stati morti?” 1 – 5 – 1987 Parto per il Kenya in compagnia di due confratelli. Domani ci sarà la Professione Religiosa di quattro novizi, tre dei quali fecero il Postulato in Uganda. Un’ occasione di gioia e di speranza: “Che facciano bene. Che siano fedeli!”. Era grande desiderio del Comboni quello di salvare l’Africa con l’Africa. Sono uno degli strumenti per la realizzazione di questo sogno: sto formando giovani che eventualmente diventeranno sacerdoti e missionari comboniani. Ho già contribuito alla formazione di alcuni che sono “arrivati”. 3 – 11 maggio 1987 Attesa penosa per il mio ritorno ad Alokum. Non ci viene dato il permesso richiesto al governo dalla Croce Rossa per il volo Kampala-Gulu. Attesa penosa per vari motivi: - Umberto è da solo ed è stanco delle noie dei guerriglieri o ladri. In due è più facile andare avanti. Tante esperienze in una città che mi sembra una pentola che bolle: gente che cerca di sbarcare il lunario in un modo o nell’altro, gente che si muove senza sapere dove va, corruzione, soldati ovunque, tensione, individui che cercano di rubare ogni piccola occasione di piacere. E Dio che si cala continuamente in questo ambiente per redimere, per dare la vita. Un grande mistero! 29 Una nota bella: alla chiesa di Cristo Re nel cuore della città di Kampala, si celebra una messa quotidiana alle ore 13.00. La chiesa è sempre piena zeppa: gente che non ha soldi per un pranzetto da poco, sceglie di celebrare l’Eucarestia per il pane della vita. Naturalmente ci sono altre persone… e per tutti la celebrazione è il ristoro del mezzodì. 14 – 5 – 1987 Volo Kampala-Gulu. Che meraviglia! Sono seduto accanto al pilota. Per tutta la durata del volo sono assorbito dalla contemplazione della natura. Per diversi km. seguiamo il corso del Nilo: vegetazione intensa, animali, sole splendente e movimento di nuvole. Che calma! È proprio vero: più in alto si va e più si vede meglio e più si sperimenta la pace. Cosa vera, sia nell’ordine della natura che della grazia. Sorvoliamo Gulu e poi atterriamo con il piccolo aereo a 7 posti. Si ritorna a una visione in cui tanti elementi sono di fango: trincee, armi, tensione, tanto male. Mi ritrovo poi ad Alokolum assieme ad Umberto e ai rifugiati con le piccole e grandi difficoltà di ogni giorno. 18 – 5 – 1987 Porto in salvo il pulmino del seminario. È al di là della linea dei soldati governativi, e appena possibile sarà portato a Kampala dove ho lasciato quello del Postulato. Siamo rimasti con un motorino. Gli altri mezzi motorizzati o sono stati portati in salvo o sono stati rubati; la bella 30 moto di Umberto fu presa a mano armata durante la mia assenza. Il rettore del seminario e gli altri docenti con dimora in Seminario decidono di partire. Rimango qui con P. Umberto. Alcune donne tra i rifugiati piangono e dicono: “Almeno voi due rimanete!” Ci considerano come parafulmini. Sembra che gli sbandati hanno ancora un po’ di rispetto per noi. Uno dei principi che io e Umberto ci siamo dati è il seguente: “La vita al di sopra delle cose!”. Ho usato il verbo “chiedere”; che svista. Un fatto incredibile: all’entrata del Seminario ci sono una decina di giovanotti armati. Presso la cucina un uomo chiede una carriola per trasportare la carne di una mucca rubata e uccisa al mercato. Mentre fa l’operazione, un suo figliolo, salito su un albero per cogliere dei manghi, cade e si fa male. Dilemma: prendere cura del ragazzo o portare via la carne?… Quel tizio abbandona il ragazzo e va via con la carne. Dove siamo arrivati? Mancanza di umanità o che cosa? 19 – 5 – 1987 In Seminario abbiamo chiuso tutto per ragioni di sicurezza. Stamattina Umberto ha messo giù delle canne per dare l’acqua alle suore che si trovano tra noi e il Seminario. Abbiamo trasportato la radio trasmittente con antenna dalla nostra parte per non andare di là di sera tardi quando comunichiamo con Kampala e altri centri comboniani. 31 Mentre stavamo lavorando, ecco arrivare alcuni giovanotti armati con un mucchio di richieste a cui Umberto e io abbiamo risposto con un no fermo. Ci è andata bene, ma fino a quando? Speriamo in bene. Sono le 17.30. è appena andato via P. Rocco Mallardi venuto per farci una breve visita gradita. Fossero così tutte le visite di questi giorni! Chiudo chiedendo la carità della vostra preghiera soprattutto per questa intenzione: “Che le decisioni che io e Umberto siamo chiamati a prendere giorno per giorno siano secondo la Sapienza del Signore”. Vi assicuro il mio ricordo, vi benedico di cuore e vi abbraccio con affetto fraterno. 11 giugno 1987 Carissimi, dall’ultima volta che vi ho scritto, sono successe tante cose; ad ogni modo prima di presentarvi un po’ di cronaca, desidero invitarvi a ringraziare il Signore per la sua amorosa protezione su di me, P. Umberto, le suore e la gente che è con noi. Ho toccato la Sua azione con mano, ho constatato ancora una volta la potenza dell’intercessione della Madonna e ho provato in modo nuovo la gioia di essere cristiano. Con semplicità vorrei toccare due punti particolari. 1) Ho imparato a gustare i salmi in modo più personale. Costituiscono una preghiera profonda insegnataci da 32 Dio stesso, e prego che anche voi possiate gustare sempre più le parole del Signore. 2) Ho visto sempre meglio come ogni momento dell’esistenza quotidiana concreta, vissuta in un clima di fede, presenta un elemento misterioso del piano di Dio. A volte è difficile vederlo, ma c’è; spesso ho pregato il Signore perché aumenti la nostra fede per poterlo vedere. Dico “nostra” perché sempre vi ho tenuti presenti. Senz’altro questo periodo difficile della mia vita mi ha dato tanto. Ricorderò tante cose con riconoscenza al Signore. Ecco ora un po’ di cronaca: 19 – 5: Uomini armati scassano la porta di un garage del Seminario. Vanno via con una moto e alcuni bidoncini di benzina. A Gulu le autorità militari sequestrano due autobotti di carburante giunti da Kampala per la Diocesi dopo tante difficoltà. 20 – 5: Alcuni guerriglieri non mi permettono di andare in città. Mi parlano e agiscono in modo rude. È con me P. Maliardi. Ci viene quasi da ridere e facciamo marcia indietro con i nostri due motorini. 23 – 5: Altri due furti in Seminario. Nel pomeriggio una ventina di guerriglieri vengono al Postulato e disturbano me e Umberto. Alcuni sono ubriachi. Vanno via con alcuni pezzi di sapone e due paia di pantaloni. Che bravi: volevano un mondo di roba e si accontentano di poco! 25 – 5: Vandalismo in Seminario e nella zona. Al pomeriggio accade una cosa stranamente buona. Quattro 33 guerriglieri vengono a disturbarci mentre stiamo per iniziare il Rosario sotto la veranda; Umberto li invita ad andare via o a pregare con noi. Rimangono. Due sono passivi e due pregano. Che bellezza sentirli dire per ben 50 volte. “Prega per noi peccatori”. Dopo il rosario se ne vanno via tranquilli. Potenza della preghiera! 26 – 5: Ho la gioia di portare in salvo tre persone che temono di essere uccise dai guerriglieri.. Le prelevo dall’ospedale di Lacor e le porto via in ambulanza accovacciate giù e piene di paura. Operazione riuscita. Grazie Signore! 29 – 5: Di sera alcuni ladri vanno dalle suore e cominciano a rompere alcuni vetri. Le suore chiamano aiuto. Umberto, io e alcuni rifugiati giudichiamo che i ladri non sono armati. Con cautela marciamo verso il posto attaccato. I ladri scappano via! 30 – 5: Le quattro suore si spostano da noi e occupano due stanze dalla parte dei Postulanti. Assieme si sta meglio soprattutto se si è in situazioni di pericolo. 1 – 6: Un gruppo di guerriglieri rubano alla scuola del “Sacred Heart” e rapiscono pure sei ragazze con tutte le possibili conseguenze (sesso forzato, malattie veneree, AIDS…). Questa è tra le cose che mi danno più tormento. 4 – 6: Umiliazione all’aeroporto. Con tutte le carte in regola arriva un piccolo aereo da Kampala con il cibo e la posta di diverse settimane dall’Italia. Sono lì con altri quattro Padri. Si è contenti per la roba arrivata. Ad un tratto arriva un camion pieno di militari. Il pilota, P. Paolo e io veniamo portati alle vicine caserme. Tante parole e tanti sentimenti anti-bianchi. Conclusione: l’aereo parte per Kampala con tutto ciò che aveva portato. Piccologrande sacrificio soprattutto per la posta! 34 5 – 6: Bellissimo giorno di riflessione e preghiera in Cattedrale: Comboniani/e e Sacerdoti diocesani assieme. Predico io. Tutto bene, eccetto per un’oretta di preghiera rovinata dai guerriglieri, in cerca affannata di roba, che fanno irruzione in missione. 6 – 6: Dopo colazione Umberto e io decidiamo di andare in Seminario a fare un giro d’ispezione; fatto provvidenziale: infatti un gruppo di cinque giovinastri sta andando via portando con sé non solo gli ultimi 6 polli del pollaio, ma anche una ragazza. Interveniamo. Uno minaccia di sparare. Umberto fa da scudo alla ragazza... io cerco di far ragionare il tizio. Conclusione: i malviventi vanno via con le galline. La ragazza è salva. Portatala in Postulato, prendiamo cura di lei; era stata picchiata brutalmente per il rifiuto di andare. Ancora una volta travaglio interno e perdono! Di sera provo sentimenti strani. Mi sento stanco. Mi viene alla mente parte di una poesia di Mons. Pelloso che faccio mia: “Sono come la foglia che trema sul ramo e cadrà al primo alito di brezza. Raccoglimi Signore nel covo della tua mano”. 7 – 6: Sto per uscire e andare a celebrare l’Eucarestia nella parrocchia di “Holy Rosary”. Senza motivi specifici vengo preso da sentimenti di paura. Mi raccomando al Signore, chiedo la protezione di Maria… e tutto va’ bene. Almeno il giorno di Pentecoste! 9 – 6: Radio Uganda e la BBC riportano che Domenica scorsa furono uccise circa 200 persone a Cwero, 20-25 Km. da Gulu. Domanda: guerriglieri soltanto o anche donne e bambini? Morte, morte. Signore, pietà. Pomeriggio: ho la testa pesante. Ho trascorso quasi tutto il giorno leggendo e pregando. Umberto e io diciamo alla 35 Madonna che se potremo continuare ad Alokolum con il nostro programma formativo, costruiremo una Grotta in Postulato come segno di gratitiudine. 10 – 6: Qualche brava persona porta tanta posta da Kampala: che bellezza; ho parecchie lettere, alcune anche portate a “mano” dall’Italia. Sono contento. 12 – 6: È da cinque giorni che in giro abbiamo un po’ di pace. Speriamo in bene. Assieme a una benedizione speciale dal mio cuore di sacerdote, vi invio tanti affettuosi saluti con l’assicurazione che nonostante tutto, il mio fisico resiste meravigliosamente. È proprio vero quello che S. Paolo dice nella lettura di oggi: “…Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta. Siamo tribolati ma non schiacciati. Sconvolti ma non disperati. Perseguitati ma non abbandonati. Sempre veniamo esposti alla morte perché la vita di Gesù sia manifestata”. 14 – 6 – 1987: Festa della Santissima Trinità. Un bellissimo pensiero si fa presente così spesso al mio cuore durante la giornata. “Per conoscere l’oceano, la cosa migliore sarebbe spingersi fino a perdersi in esso. Lo stesso avviene quando si tratta di conoscere Dio”. È venuto a trovarmi un amico; appare abbattuto. Mi dice che alcuni anni fa un suo nipote uccise qualcuno. Ora dei parenti dell’ucciso chiedono per “compenso” 23 mucche e alcune capre. Se tale compenso non viene dato, ci sarà la morte per un parente dell’uccisore. Potrebbe essere il mio amico. Mi ha chiesto di pregare per lui. Che cose assurde succedono! Ho portato all’ospedale di Lacor una donna ferita e malamente conciata. Poverina, che pena! 36 15 – 6 – 87: Alle 7,45 viene data per radio la notizia del furto avvenuto nella casa delle suore adiacente a quella del Vescovo. Nella confusione Sr. Palma viene ferita. Un proiettile le attraversa la mano. Continua la sofferenza causata da cose insensate! Vado all’ospedale di Lacor: povera donna che ieri ho portat lì. Era incinta: un bambino di cinque mesi ucciso da una pallottola nel suo seno, l’utero spappolato, la milza lacerata. Spero la salvino. Suor Palma sta benino. Tornando a casa incontro due guerriglieri ubriachi. Può succedere di tutto. Prego il Signore che mi protegga, e tiro dritto... tirano dritto anche loro, cioè continuano nel loro procedere a zig-zag. Dopo pranzo, steso sul letto, penso ai tanti che soffrono a causa di cuori induriti, penso ai tanti che muoiono e ai tanti disordini in giro. Per alcuni giorni noi di Alokolum siamo stati come su un’isola di pace. Ma fino a quando? Tra le preghiere che faccio considero anche la morte e prego: “Signore, nell’ora della mia morte, chiamami”. Quante volte nei mesi scorsi mi sono sentito come se fossi in riva al mare e ho pregato. “Signore, rendimi pronto a salpare se chiamato a passare all’altra riva”. Ora, mentre scrivo, penso che questa dovrebbe essere una preghiera frequentemente espressa nella nostra vita! 17 – 6 – 87: Ho preso cura di un tizio ferito al piede con un grosso taglio. Mi dice di essersi fatto male mentre faceva un’opera buona. Un’ora dopo l’operazione di soccorso, vengo a sapere che era rimasto ferito durante la notte mentre rubava una tendina in Seminario. Roba da ridere o che? 37 19 – 6 – 87: Gli operai che abbiamo con noi sono rimasti senza tanto cibo. Vado in missione (Cattedrale) in bici, prendo una Fiat 127 e vado al centro catechistico. P. Archetti mi da un sacco di fagioli che porto al Postulato. Torno in missione con la 127 e poi a casa in bici. Una sudatina salutare, un pochino di rischio e tanta gioia! 20 – 6 – 87: Tra le mie note trovo un articolo della rivista inglese “The Tablet”, del 2 Novembre 1985. Che roba! La situazione ugandese non è per niente cambiata in meglio. L’articolo, si potrebbe dire, riflette la stessa situazione di adesso. Ho ripreso a leggere il libro del teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer ucciso dai nazisti nel 1945; è intitolato “The Cost of Discipleship”; credo che il libro tradotto in italiano sia intitolato: “Sequela”. Che ottimo seguace di Cristo! Una delle cose che facevano soffrire Bonhoeffer era questa: “Il Socialismo Nazionale Tedesco stava cercando di fare a tutti i costi una storia senza Dio”. È quello che molti stanno cercando di fare in Uganda? Questo autore mi ispira molto e molti dei suoi sentimenti li faccio miei. Un esempio: Egli scriveva: “Non avrò nessun diritto di prendere parte alla ricostruzione della vita cristiana in Germania dopo la guerra, se non prendo parte alla sofferenza del mio popolo nel tempo presente!” L’applicazione alla mia vita è semplice per quanto riguarda l’Uganda: “ Signore, rendi me e tutti i Comboniani sempre più capaci di martirio anche se non si tratta di morte fisica”. 21 – 6 – 87: Solennità del Corpus Domini: Vedo l’Eucarestia come la più bella risposta data da Dio ai 38 bisogni delle sue creature: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. ( Lc. 24, 29). 22 – 6 – 87: Alcuni guerriglieri hanno portano una ragazza pelle ossa. Mi dicono di averla trovata nel bosco ammalata e di averla portata da noi avendo avuto compassione di lei. “Ora l’abbiamo portata da voi sicuri che qui potrà essere aiutata”. Vado all’ospedale di Lacor e porto la ragazza. 23 – 6 – 87: A Lacor mi viene detta la verità: due mesi fa circa, la ragazza fu presa da alcuni guerriglieri mentre era al mercatino di Lacor e portata con forza nel bosco. Immagino la sua sofferenza e come sia stata trattata e “usata” durante la sua prigionia. Immagino la sofferenza della sua famiglia. Che mondo balordo! 24 – 6 – 87: P. Archetti mi presta per leggerle tutte le opere di Kierkegaard. Faccio il proposito di leggere questo autore di Copenhagen. Ha pensieri bellissimi; non tutto quello che dice è oro colato, ma tanti messaggi sono profondi. Esempio: - l’impossibilità che l’uomo ha di redimere se stesso senza Dio. Chi crede così cade nella più grande illusione e nell’insensatezza dell’orgoglio umano. - la bellezza della passione della fede. - La necessità della crescita: nessuno è un cristiano completo. Siamo sempre in divenire. 39 26 – 6 – 87: Durante tutta la mattinata gli “amici del bosco” sono venuti a chiedere roba. Dico che non possiamo sostenere la guerra e rispondere ai loro bisogni. Discorso questo fatto anche da Umberto. Fiato sprecato, tempo perso. Dopo pranzo mi trovo stanco e teso. Non posso riposare a causa del chiasso dei bambini. Chiedo a loro di stare buoni (a dire il vero, non con tanta gentilezza). Riesco a riposare un po’. Deo gratis! Dopo il riposo altre visite con richieste di cose varie: sapone, sale, medicine. Tanta pazienza e anche tanta mancanza di questa! 27 – 6 – 87 Celebriamo la messa del Cuore Immacolato di Maria. La prego: “Tutto hai e di tutto ho bisogno. Vieni, agisci nella mia vita, siimi mamma!” 28 – 6 – 87 Celebrazione Eucaristica nella Chiesa di Holy Rosary. È l’anniversario della mia Ordinazione Sacerdotale: diciannove anni di benedizioni del Signore. Ringraziamento e desiderio di gratitudine e dedizione sempre più profonde. 29 – 7 – 1987 Carissimi, Sono le 17,00. Stamattina ho celebrato la Messa di S. Marta, e ancora ogni volta mi è stato di grande ispirazione il passo evangelico (Gv. 11,19-27). Marta 40 parla col Signore in modo tanto spontaneo e addirittura, sebbene indirettamente, si lamenta per il suo ritardo. “Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. Ma lui in ritardo non era arrivato. Provoca in lei un atto di fede e quell’uomo che era nel sepolcro da quattro giorni viene risuscitato. L’episodio mi ha ispirato una preghiera per questa Uganda che è nella tomba di tanti mali da così lungo tempo: “Signore, ridona la vita a questa terra martoriata”. Ho pregato con tanta fiducia ma anche con tanta sofferenza perché spesso dico a tanti che il Signore vuol dare una vita piena. Il problema non è dalla sua parte, ma dalla parte nostra, la parte dei testardi. Ho avuto giorni pieni di tanto movimento e di stanchezza. Forse è il risultato della corda troppo tesa? Ad ogni modo sento il bisogno di fermarmi di più e lo farò. Ho già cominciato, ed ecco perché scrivo. Metto giù alcuni punti che vi daranno l’idea di come sono andate le cose. 1 – 7 - 87 Nei giorni scorsi c’è stata abbastanza calma almeno qui da noi. È una calma che comunque non significa veramente pace. Infatti si sente sempre parlare di violenza qua e là… non tanto lontano di qui. Assieme alle suore e alla gente che ogni giorno si unisce con noi per la preghiera, continuo a pregare per la vera pace. 6 – 7 – 87 Padre Umberto parte. Si fermerà alcuni giorni in Italia prima di andare a Lomè, Togo per l’assemblea della 41 formazione comboniana in Africa. Rimango in Alokolum con le persone che trovano rifugio da noi. Affido me stesso e tutti al Signore. 11 – 7 – 87 In ospedale vedo la ragazza di cui sopra; ha un mucchio di infezioni e altri problemi. Reagisce pochissimo alle medicine e agli stimoli di ogni altro genere. Sembra non ci sia niente da fare. Che peccato: una giovane vita distrutta! 12 – 7 – 87 Viene da Kampala il Pro-nunzio per aprire ufficialmente l’anno mariano nella diocesi di Gulu. Presenta la Madonna come modello vivo di vita cristiana; un modello attivo che intercede per noi. Alle 18,45 vengono da me alcuni guerriglieri e mi dicono che uno è stato ferito gravemente. Il malcapitato è ad alcuni Km. da qui e ha le budella spappolate… Mi obbligano ad andare con loro convinti che sia capace di aiutare il malcapitato. A pochi chilometri dal campo arriva uno con la notizia della morte del guerrigliero. Posso tornare a casa senza aver dovuto cercare di fare la parte del dottore. Dopo la cena do inizio al ritiro con tre Diaconi e sei suore. Tema: l’Eucaristia come vita in Cristo. Durata: cinque giorni. 42 18 – 7 – 87 Il ritiro è andato benissimo. Tutti hanno preso una parte veramente attiva. Io sono contento di essere strumento nelle mani del Signore per la preparazione di tre nuovi sacerdoti per la Diocesi di Gulu. Il giorno 14, durante l’adorazione, ebbi una crisi di pianto al pensiero della situazione… Passarono dinanzi ai miei occhi bellissime istituzioni chiuse, gente sofferente per colpa di un gruppo di scalmanati…, posti che in passato erano pieni di vita e ora presentano uno scenario di desolazione… Che peccato! Spero stia facendo la mia parte perché questa Uganda diventi presto un posto migliore. 19 – 7 – 87 Rischio per la sicurezza dei miei amici Catherine and Steve…Mi va bene e ringrazio il Signore. E’ stata ottima celebrazione per l’Ordinazione dei Sacerdoti. Carissimi che mi leggete, diversi altri mesi trascorsero con esperienze di vita simili a quelle descritte sopra: Ci furono uccisioni un po’ dovunque nella zona in cui mi trovavo. Fui testimone di tanta violenza e di tanta sofferenza. Quante volte mi chiesi :se venissi a trovarmi in una situazione di morte personale, come reagirei? Con una valanga di dubbi, di pensieri e di sentimenti nella mia mente e nel mio cuore, trovavo forza nella preghiera e in questa convinzione: il Signore sarà con me e mi darà forza. 43 14 febbraio 1988. 20,30. Mi trovavo in una stanza dove avevamo una radio-trasmittente che facevamo funzionare a batteria. Ogni sera ascoltavo le notizie date dalle diverse missioni e davo ai confratelli notizie di me stesso e della mia zona. Ricordo che le ultime parole che dissi quella sera a un mio confratello di Kampala, furono queste: “per quanto sappia io, al momento tutto è tranquillo”. Ciò non era vero. Una quindicina di guerriglieri avevano scavalcato il recinto del postulato e avevano chiuso in due grandi capanne i rifugiati, donne e bambini. Avevano intimato loro assoluto silenzio, pena la morte. Finita la trasmissione mi recai alla porta e l’aprii. Partì un colpo dalla pistola del guerrigliero che si trovava a due metri da me... un proiettile mi passò tra il petto e il braccio sinistro. Il guerrigliero mi diede una spinta. Caddi all’indietro alquanto confuso. Mi caddero gli occhiali e mi cadde pure dalla mano la lampada a petrolio. Gli chiesi di aiutarmi a trovare gli occhiali dato che aveva una pila. Mi fu risposto che di essi non avrei più avuto bisogno. Fui circondato da tutti i guerriglieri. Il capo mi ordinò di stendermi sul pavimento a petto in giù. Mi misi in quella posizione. Il guerrigliero girò la mia testa verso destra e mi mise la pistola sulla nuca premendo con certa forza. Mi disse: se non ci dai tanti dollari e almeno centomila shellini ugandesi, ti ucciderò. Risposi che non avevo dollari e che avevo appena sette o ottomila shellini. La sua risposta: se non hai quello che vogliamo, tra qualche istante ti ucciderò. In questo momento vorrei lodare il Signore per il senso di pace che mi fece provare. Pregai: Signore, 44 prendimi, perdona chi sta per uccidermi, benedici tutti i miei cari e la gente di qui. Aspettavo che il proiettile mi entrasse nel capo, quando il guerrigliero mi diede un piccolo calcio nel fianco e mi ordinò di alzarmi, aggiungendo: “Non ti uccidiamo perché ci servi ancora”. Mi ordinò di portare lui e gli altri guerriglieri nella mia stanza. Presero alcune cose a caso. Dopo la loro dipartita, mi fu difficile avere una risposta da parte dei rifugiati la cui attenzione cercavo di attirare. Che paura dopo aver sentito il colpo della pistola! Pensavano fossi morto e quindi credevano di sentire non la mia voce ma quella di un fantasma. Ad Aprile venni in Italia: avevo bisogno di riposo fisico e soprattutto mentale. Mi ripresi bene così potetti tornare in Uganda, terra tanto martoriata e da me tanto amata. La lettera che segue è quella che scrissi per il Natale 1988. Carissimi tutti, il libro della Genesi dice che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. Credo che, come ha detto qualcuno, l’errore più madornale della storia sia stato questo: l’uomo ha capovolto la Genesi e ha fatto Dio a sua immagine e somiglianza. Questa situazione continua. Così, per esempio, l’uomo che è aggressivo pensa che anche Dio sia aggressivo; l’uomo che crea delle situazioni di morte pensa che Dio voglia la morte, e così via. È un disastro! Ad ogni modo è paziente con la testardaggine umana, e ogni volta che si avvicina il Natale, lo vedo che 45 dice: “Creature mie, io non sono come voi pensate. Eccomi, sono il Dio della misericordia, il Dio della vita; io sono il Dio Salvatore!” Carissimi, i miei auguri di Natale e di Buon Anno sono su questa linea: che tutti abbiate a fare l’esperienza del vero Dio diventato uno di noi e uno come noi. Quest’anno vi scrivo da Katigondo, una località a 15 Km. da Masaka e a circa 50 Km. a sud dall’Equatore. La casa della Comunità Comboniana (19 postulanti, Padre Umberto e io ) è a circa 250 metri dal Seminario Nazionale. A causa della chiusura di Alokolum, tutti i 364 seminaristi Ugandesi del triennio filosofico sono qui: un numero alto per un vero programma formativo. Ecco allora la speranza che Alokolum possa essere riaperto presto. A quando? Non possiamo dare la risposta perché la situazione del Nord è ancora confusa. Che contrasto! Qui c’è pace e la natura parla sempre di vita: acqua e sole si alternano; piantagioni di banane che forniscono il cibo base per tutti di qui; scimmiotte vivaci e simpatiche; uccelli bellissimi; tante cose meravigliose. In questo contesto, un formicolio di gente che si muove, lavora, ha voglia di vivere ad ogni costo. Nel Nord la situazione è diversa: istituzioni saccheggiate, gente che continua a soffrire a causa di azioni violente e disumane, raccolti distrutti, soldati governativi a caccia di guerriglieri e ribelli in giro affamati di cibo, di roba e di un po’ di piacere a tutti i costi. Potete immaginare le scene tristi di ogni giorno! Vi sembrerà strano, ma quante volte, dopo il mio ritorno dall’Italia, ho desiderato di poter essere lassù a condividere le sofferenze e le difficoltà della mia gente, ed 46 essere segno di consolazione e di speranza. Dopo tanti anni di permanenza, mi sentivo incarnato nel Nord e spesso ora ho la sensazione di essere uno che è in esilio. Ad ogni modo un gruppo di missionari è ancora lassù nella speranza di fare il bene. Io devo essere dove il Signore mi vuole. Speriamo in un futuro migliore per questa nazione che ha visto tanta sofferenza e tanto sangue crudelmente sparso. Segni di speranza non mancano. Chiedo a tutti la carità della preghiera per i missionari e la gente di qui. Pregate pure per gli altri angoli del mondo come il Sud Sudan, il Sud Africa, il Burundi dove le forze del male si esprimono con molta più intensità che qui. Non molto tempo fa mi ha scritto Sr. Carmela dallo Zimbabwe. Sta bene è molto attiva nella sua azione missionaria, e saluta tutti. Assieme a lei vi ricordo con affetto e vi invio un forte abbraccio fraterno. Sono passati degli anni da quando scrissi queste note e l’Uganda non ha ancora sperimentato una vera primavera per tutta la popolazione che sento di poter chiamare con affetto “la mia gente”. Il 14 gennaio prossimo parto per le Filippine, e la mia vita continuerà in un modo a me completamente nuovo, con nuove sfide, con nuove prospettive ma con lo stesso Signore che da forza e gioia. In queste pagine ho inteso lodarlo in comunione con la Madonna del Magnificat, con i miei cari defunti e con il fondatore dell’istituto di cui faccio parte: Mons. Comboni che sarà beatificato il 17 Marzo prossimo. 47 Concludo chiedendo il vostro sostegno soprattutto tramite la preghiera e vi assicuro che vi porto tutti nel mio cuore... Filippine. L’Istituto dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù fu fondato da Mons. Daniele Comboni, oggi santo, per l’Africa. Si aprì poi all’America Latina e nel 1985 all’Asia. È in questo contesto che mi fu chiesto se ero disposto ad andare nelle Filippine con l’incarico di Padre Maestro. Accettai l’incarico come una nuova sfida e rimasi nella nazione per nove anni impegnato nel campo della formazione di giovani per l’Istituto e per la missione nel mondo. Impegnato pure nella predicazione e nell’animazione di ritiri spirituali, in conferenze e corsi per la crescita di persone in diversi stati di vita; soprattutto laici desiderosi di vivere secondo il vangelo e di operare per la trasformazione cristiana della società filippina così ricca di risorse umane. Ringrazio il Signore per la ricchezza di tante persone diventate amiche che ancora porto nel cuore e per cui prego. Ricordo in modo particolare un gruppo di persone impegnate nel contesto della Chiesa e della società. Si chiamano “Ladies of the Holy Spirit.” Un tema che mi ha affascinato durante la mia permanenza in Asia, è stato quello della Vocazione Personale. Questo grande dono del Signore ha arricchito la mia vita e mi ha dato modo di creare entusiasmo anche 48 nella vita degli altri. Condivido con voi il tema così come l’ho sentito e lo sento. LA VOCAZIONE PERSONALE Introduzione: Venni a conoscenza del tema “La Vocazione Personale”, grazie prima di tutto alla lettura del libro del gesuita indiano Herbert Alphonso, intitolato appunto “La Vocazione Personale”; poi grazie ad alcuni incontri con il gesuita stesso mentre presentava il tema a un gruppo di miei confratelli, Missionari Comboniani. L’argomento mi riuscì subito interessante e continua ad affascinarmi così tanto, che ho sentito il bisogno di condividere con voi che mi leggete la mia conoscenza ed esperienza di questo grande dono di Dio. Spero che, grazie all’aiuto di queste mie note e grazie alle ispirazioni che il Signore vorrà concedere, ciascuno potrà scoprire la propria Vocazione Personale e capire così di essere come un’aquila reale chiamata a innalzarsi a vette più alte di quanto si possa pensare. Spero che ciascuno potrà aprire i propri occhi e il proprio cuore per scoprire la realtà della propria grandezza e lasciarsi attirare da Dio. C’è una storia che è stata raccontata in due modi diversi e con due conclusioni diverse. Vi presento quelle due versioni “a modo mio”, così come le trovo tra le mie note: 49 Mentre vagava in una foresta, un uomo trovò un uovo di aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse insieme a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe assieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che i polli del cortile facevano, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero diversi anni e un giorno l’aquila vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. “Chi è quello?” chiese. “È l’aquila, il re degli uccelli”, rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli.” E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale. Quante persone vivono poveramente pensando di essere povere, ignorando quindi la ricchezza che, senza nessun dubbio, Dio ha messo dentro di loro. Ma ecco l’altra versione della storia: C’era una volta un contadino che, vagando in una foresta, riuscì a catturare un aquilotto. Lo mise nel pollaio assieme alle galline e lo nutrì a granoturco e becchime. Dopo alcuni anni, quell’uomo ricevette a casa sua la visita di un naturalista che vedendo quell’uccello nel giardino, disse: “Quell’uccello non è una gallina; è un’aquila.” “È vero,” rispose il contadino, “è un’aquila. Ma io l’ho allevata come una gallina, e ora non è più un’aquila. È 50 diventata una gallina come le altre, nonostante le sue larghe ali.” “No”, obiettò il naturalista. “È e sarà un’aquila; infatti ha un cuore d’aquila, un cuore che un giorno la farà volare verso le vette.” “No, no”, insistette il contadino. “È diventata una gallina e non volerà mai come un’aquila.” Allora decisero di fare una prova. Il naturalista prese l'animale, lo sollevò ben in alto e sfidandolo gli disse: «Dimostra che sei davvero un'aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!» L’aquila, appollaiata sul braccio teso del naturalista, si guardava distrattamente intorno. Vide le galline là, in basso, intente a razzolare dei chicchi. E saltò vicino a loro. Il contadino commentò: «Te l'avevo detto, è diventata una semplice gallina!» «No», insistette di nuovo il naturalista. « È un'aquila. E un'aquila sarà sempre un'aquila. Proviamo di nuovo domani.» Il giorno dopo, il naturalista salì con il rapace sul tetto della casa. Gli sussurrò: «Aquila, ricorda quello che sei, apri le tue ali e vola!» Invece l'aquila, scorgendo in basso le galline razzolare il terreno, spiccò un balzo e andò a unirsi a loro. Il contadino sorrise e tornò alla carica: «Te l'avevo detto, è diventata una gallina!» «No», rispose deciso il naturalista. «È un'aquila, avrà sempre un cuore d'aquila. Proviamo ancora una volta. Domani la farò volare.» Il giorno dopo, il naturalista e il contadino si alzarono molto presto. Presero l'aquila, la portarono fuori 51 città, lontano dalle case degli uomini, in cima a una montagna. Il sole nascente dorava i picchi delle montagne. Con un gesto deciso, il naturalista sollevò verso l'alto il rapace e gli ordinò: «Dimostra che sei un'aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!» L’aquila si guardò intorno. Tremava come se sperimentasse una nuova vita. Ma non volò. Allora il naturalista la tenne ben ferma, puntata proprio nella direzione del sole, in modo che i suoi occhi potessero riempirsi del fulgore solare e della vastità dell'orizzonte. In quel momento, lei apri le sue potenti ali, gracchiò con il tipico verso delle aquile e si alzò, sovrana, al di sopra di se stessa. Iniziò a volare, a volare verso l'alto, a volare sempre più in alto. Volò... volò... fino a confondersi con l'azzurro del cielo... Spero che la meditazione sulla Vocazione Personale ci sia di ispirazione facendoci capire che, nel mondo dello Spirito, siamo come aquile chiamate a volare sempre più in alto; non siamo come galline che rimangono per terra annaspando e sollevando polvere che poi respirano anche. La nota unica di ciascuna persona Abbiamo sempre parlato di vocazioni come vie diverse che possono essere seguite nella vita, a seconda della chiamata del Signore. Ad esempio: matrimonio, vita consacrata, sacerdozio. La Vocazione Personale non è a questo livello. Noi possiamo descriverla così: è lo spirito che anima una 52 determinata persona in qualsiasi stato di vita si trovi, è il suo modo personale ed unico di essere e di aprirsi agli altri in un contesto di donazione e di comunione. Ecco allora che dobbiamo dire subito che la Vocazione Personale non ha niente a che fare con l’individualismo e l’isolamento. Essa infatti rende liberi e chi è libero non si chiude in se stesso, ma si apre agli altri. Chi è libero sa che si cresce e si matura, si diventa sempre più persone responsabili, per mezzo delle relazioni interpersonali responsabili. La Vocazione Personale è il modo unico e irrepetibile con cui una persona si apre alla comunità e alle diverse realtà della vita, alle responsabilità e agli impegni sociali. Inoltre più che a livello dell’agire è a livello dell’essere; cioè la Vocazione Personale è parte integrale di ogni persona, definisce ogni persona nel suo intimo e si manifesta in tutto l’agire della persona. Prima di sviluppare il tema, presento alcune persone che hanno vissuto la loro Vocazione Personale in modo vivace e ricco di fede. La Santa di Lisieux: Nella “Storia di un’anima” di Santa Teresa del Bambino Gesù, c’è una sezione bellissima che citeremo subito. Essa ci introduce nella considerazione della Vocazione Personale come la nota unica che Dio mette in ciascuna persona, come il più profondo e vero IO di ciascuno: Ascoltiamo innanzi tutto la santa: 53 “Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l’occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace. Continuai nella lettura e non mi perdetti d’animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: “Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte” (1 Cor 12,31). L’apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace. Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine delle mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i luoghi, in un parola che l’amore è eterno. 54 Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà”. (Liturgia delle Ore, Vol. IV Pagine 1336-1337). San Daniele Comboni: Un’altra persona che aveva la sua vocazione personale, vissuta ed espressa in modo chiaro e pieno di entusiasmo, è Daniele Comboni. Col suo grido: “Nigrizia o Morte” potette esprimere la Sua Vocazione Personale come amore profondo per la Nigrizia. Anche con questo grande santo ci soffermiamo per qualche istante. Nella lettera in cui papa Giovanni Paolo II riconosce gli onori degli altari a Daniele Comboni, la Nigrizia è nominata diverse volte: “…La carità soprannaturale lo spinse a prodigarsi indefessamente per l’evangelizzazione dell’Africa e una speranza incrollabile ne guidò le molteplici opere intraprese, certo che la Chiesa avrebbe finalmente annoverato tra i suoi figli prediletti anche il popolo africano… Nel settembre del 1857, partecipava alla spedizione mazziana per l’Africa centrale. Più che la brevità e l’apparente insuccesso di questa, potè però il suo ardente desiderio di additare alla Chiesa una nuova e più sicura via per portare il Vangelo in Africa… Mentre il giorno 15 settembre 1864 pregava presso il sepolcro dell’Apostolo Pietro, concepì nella sua mente il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, ispirato 55 dal pensiero di “Salvare l’Africa con l’Africa”… Il nostro predecessore Pio IX incoraggiò il Servo di Dio a portare a compimento tale proposito, dicendogli, “Lavora per l’Africa come un buon soldato di Cristo”. Ascoltiamo il santo stesso: “Il primo amore della mia giovinezza fu per l’infelice Nigrizia, e lasciando quanto vi era per me di più caro al mondo, venni, or sono sedici anni, in queste contrade per offrire al sollievo delle sue secolari sventure l’opera mia. Successivamente, l’obbedienza mi richiamava in patria, a causa della cagionevole salute, ma tra voi lasciai il mio cuore. Ed oggi finalmente, ritornando fra voi, ricupero il mio cuore per dischiuderlo al sublime e religioso sentimento della spirituale paternità, di cui volle Iddio che fossi rivestito dal spremo Pastore della Chiesa cattolica il Papa Pio IX. Sì, io sono già il vostro padre, e voi siete i miei figli, e come tali, vi abbraccio e vi stringo al mio cuore. Vi sono riconoscente per le entusiastiche accoglienze che mi faceste; esse dimostrano il vostro amore di figli, e mi persuadono che voi vorrete essere sempre il mio gaudio e la mia corona, come siete la mia parte e la mia eredità. Io ritorno fra voi per non mai più cessare d’esser vostro, e tutto al maggior vostro bene ho consacrato per sempre. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni; il ricco e il povero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre uguale accesso al mio cuore. Io prendo far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi”. 56 Contesto Biblico: Specificando quanto detto in un contesto biblico, la Vocazione Personale può essere descritta così: è la nota unica che Dio ha messo in ciascuna persona. Ogni persona può dire: “Per Dio, io non sono uno dei tanti nella folla. Sono irrepetibilmente unico. La mia vocazione personale è il mio più profondo e vero ‘IO’. È ciò che esprime la volontà di Dio per la mia salvezza e pienezza di vita. È il nome con cui Dio mi ha chiamato e mi chiama: “Il Signore mi ha chiamato dal seno materno; sin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.” Is. 49,1. Per la nostra riflessione e preghiera, lasciamoci prendere dal seguente testo: SEI UNICO Molte persone sono scontente perché pensano di non essere buone come dovrebbero essere e invece di aprirsi allo Spirito in una tensione di crescita, che è sempre temperata da speranza, diventano nervose e paralizzate. Altre persone sono scontente perché vorrebbero essere diverse da come sono. Una persona è “così” e vorrebbe essere “cosà”, dimenticando che Dio non chiede a nessuno di essere come qualcun altro. Il Signore desidera che ogni persona sia se stessa, facendo di sé il meglio possibile. 57 Ci sono poi altre persone tormentate da un senso d’inferiorità. Tendono a fare sempre paragoni su paragoni: Gelsomino è più intelligente di me… Ermenegildo è più forte e più simpatico… Carolina suona il piano così bene e io non sono capace di schiacciare nemmeno un tasto… e così via. Il gioco dei paragoni continua senza fine perché ogni persona incontrata provoca un contesto di paragoni. Il vero apprezzamento della nostra unicità personale offre a ciascuno di noi la verità che ci rende liberi dalla schiavitù da questi penosi contesti e ci rende capaci di essere noi stessi. A ciascuno di noi Dio dice: “Tu sei unico. Da tutta l’eternità e per tutta l’eternità non c’è stato e non ci sarà mai un altro esattamente come te. Ti ho amato e ti amerò di un amore eterno. Non ho il prurito di nuove idee e non abbandono quelle che ho da sempre; il pensiero di te è stato sempre nella mia mente. La tua immagine ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Ti è stato affidato un compito importante nel mondo. Tu hai un messaggio unico da dare, un canto unico da cantare, un atto unico d’amore da compiere. Quel messaggio, quel canto, quell’atto di amore, è stato affidato esclusivamente a te”. Dio ci assicura: “Ci sono molti altri possibili mondi che avrei potuto creare. Avrei potuto creare un mondo senza di te. 58 Ma non ti rendi conto che non ho voluto un mondo senza di te? Un mondo senza di te sarebbe stato incompleto. Tu sei la creatura del mio cuore, la gioia dei miei pensieri, la pupilla dei miei occhi. Naturalmente avrei potuto crearti diverso da quel che sei: più alto, più basso, con genitori diversi dai tuoi, avrei potuto farti nascere in un posto diverso e in una cultura diversa, avrei potuto darti doni diversi da quelli che hai. Ma non ti ho voluto diverso. Io amo te così come sei. Come ogni granello di sabbia sulla spiaggia del mare e come ogni fiocco di neve che cade d’inverno, hanno la loro unica struttura e composizione, così tu hai una composizione ed una struttura che nessun altro essere umano ha mai avuto o avrà. Sei tu che io amo, sei tu che ho sempre amato e che sempre amerò. Se dovessi scoraggiarti così tanto da pensare che sei il tipo che solo una mamma può amare, ti prego, ricorda questa mia promessa: “Anche se una mamma dimenticasse il suo bambino, io non mi dimenticherò di te. Ecco, ti ho scolpito sulle palme delle mie mani”. (Is. 49,15-16). Dio ti ama così come sei. Questa è la buona notizia. Gli Esercizi Spirituali: Gli Esercizi Spirituali sono il tempo o il mezzo più privilegiato per scoprire la Vocazione Personale o meglio per avere la rivelazione di essa da parte di Dio. Scopo degli Esercizi è la trasformazione della persona. E la più profonda trasformazione nella vita di una persona, si attualizza nella realizzazione piena della Vocazione Personale. 59 Negli Esercizi la persona affronta in pieno tutta la propria vita per rivolgerla a Dio. Ecco allora che si parla di conversione, di metanoia, di cambiamento di direzione; ciò avviene attraverso “l’elezione” cioè il cercare e trovare la volontà di Dio nel disporre, o ordinare oppure orientare la propria vita per la salvezza. L’elezione è un diventare consapevole, in una libertà sempre più profonda, del disegno personale di Dio su di me, affinché io possa accettarlo profondamente nella mia vita per poi viverlo con fedeltà e generosità. La Vocazione Personale è proprio questo: il disegno personale di Dio su di me nella mia unicità che è dono del suo amore. Il senso della vita: Più approfondisco la mia comprensione della realtà della Vocazione Personale, più mi accorgo che essa è l’unico senso che Dio ha dato alla mia vita. Nel suo libro “La ricerca dell’uomo per un significato”, Victor Frankl presenta, in modo chiaro e vivace, la “Logoterapia” cioè il sanare le persone attraverso il dare senso alla propria vita. Nel campo di concentramento di Auschwitz si accorse che i suoi compagni prigionieri deperivano e morivano fisicamente perché prima si erano lasciati deperire e morire psicologicamente: non avendo più il “senso” della vita, non reagivano più e si lasciavano schiacciare dalle situazioni presenti nel campo. Se trovare un senso nella vita, a livello di psicologia, fa rivivere la persona, quanto più, a livello di spiritualità, la fa rivivere l’unico senso dato da Dio. Quando questo viene scoperto, allora tutto trova posto nella vita, anche un problema, per esempio. 60 Noi non possiamo disfarci di nessuna parte della nostra vera storia. Ciò che è stato problematico nella nostra vita, rimarrà sempre parte di noi stessi, e se non sarà più problematico, non è perché ha cessato di far parte di noi stessi e della nostra storia, ma perché ora quel fatto “fa senso”, ha trovato il suo posto nella nostra vita, è stato integrato in essa essendosi “smussato”. Prospettive Cristologiche: La Vocazione Personale di ognuno ha prospettive cristologiche. Oggettivamente parlando, nessuno riceve una chiamata da Dio se non in Gesù Cristo e nessuna persona può rispondere alla chiamata di Dio se non nella persona di Gesù Cristo. Egli infatti è l’unico mediatore: “Vi è un solo Dio e vi è un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l’Uomo Cristo Gesù. (1Tim 2,5) Tutte le vocazioni sono “in Cristo Gesù”. La personalità di Cristo Gesù è così ricca che abbraccia tutte le chiamate e le vocazioni, anche la Vocazione Personale. Nel Battesimo ognuno di noi “assume” o “si riveste” di Gesù Cristo in un modo unico e personale. Il Padre, che non può compiacersi in nessun altro se non nel Figlio suo Gesù, discerne il “volto” di Gesù in ciascuno di noi e dice: “Tu sei il mio figlio prediletto. In te mi sono compiaciuto” (cfr. Mc 1,11). Tutto il resto della nostra vita cristiana – il progetto cristiano, per così dire – è per ciascuno di noi il “rivestirsi” di questo Gesù unico e personale fino alla statura di maturità. Poiché il piano di Dio per ciascuno di noi è che “siamo conformi all’immagine del Figlio suo” (Rom 8,29), e che “arriviamo tutti… allo stato di uomo perfetto, nella misura che 61 conviene alla piena maturità in Cristo” (Ef 4,13) – non solo in un modo generico, ma in un modo profondamente personale ed unico per ognuno di noi. È molto importante quindi affermare che la vocazione personale non è soltanto un ideale astratto personale. No, è una persona – la persona stessa di Cristo Gesù in un modo profondamente unico. E allora, quanto a me, in un senso dottrinale-teologico profondo, io posso in verità parlare del “mio Gesù”, trasformando così tutta la mia vita cristiana in un rapporto personale di amore tra Cristo Gesù e me. Questo rapporto mi aprirà efficacemente verso le mie responsabilità sociali e i miei impegni di vita e testimonianza cristiana. Scoprire la Vocazione Personale: È la contemplazione di Gesù che offre a ciascuna persona il mezzo per scoprire la propria Vocazione Personale. La persona di Gesù è cosi ricca che possiamo contemplarlo sotto nomi diversi: Via, Verità, Via, Amore, Crocifisso, Risorto, Eucarestia, Parola fatta carne, Luce, Gioia, Pace, Figlio prediletto, Maestro, Compagno di viaggio, ecc. Percorrendo il cammino della contemplazione, ci rendiamo sempre più conto che c’è un aspetto di Gesù che più di ogni altro attira il nostro cuore, chiama la nostra attenzione, nutre la nostra preghiera, anima la nostra vita. È attraverso quell’aspetto che Dio rivela a una determinata persona la sua Vocazione Personale. Questa poi deve essere confermata attraverso la preghiera e può essere confermata attraverso persone amiche che ci conoscono bene. 62 La Vocazione Personale in una vita vissuta alla sua luce genera dei frutti di vasta portata nel cammino esistenziale di ogni giorno e nel ministero: - Il Discernimento: Orientato a prendere delle decisioni giorno dopo giorno, il Discernimento è oggi parola chiave per la nostra spiritualità. La Vocazione Personale, una volta scoperta, diventa il criterio di discernimento per ogni decisione anche nei dettagli quotidiani. Infatti la Vocazione Personale indica per me la volontà di Dio, è la sua chiamata a me come essere unico nel suo genere. È la chiamata a “un più grande amore”, la chiamata del mio Gesù personale nell’unico e specifico me. Il “magis” di S. Ignazio ha a che fare con l’unicità qualitativa della risposta di una persona particolare: è la Vocazione Personale. - Trovare Dio in tutte le cose: qualunque sia l’esperienza umana che una persona stia vivendo, quella persona può mettersi in contatto con il Signore nel suo modo unico e personale di esperienza, cioè può trovare Dio in tutte le cose ed essere contemplativo nella sua azione. - La Vocazione Personale diventa sempre più segreto di unità e integrazione nel cuore della vita. Tutti noi sospiriamo di avere unità e integrazione: le tante attività, i tanti movimenti in armonia di vita: la Vocazione Personale è come il perno intorno al quale tutto ruota. - La Vocazione Personale diventa indice di formazione continua. Il segreto e la sorgente di tutta la formazione (di 63 base e continua) di una persona risiedono nelle sue più intime risorse dell’essere, cioè nell’irrepetibile “senso” della sua vita. La Vocazione Personale libera e fa emergere le ricche risorse interiori che dimorano in quella persona, facendola crescere. Due mezzi privilegiati, molto concreti e specifici, per la crescita nella vita quotidiana attraverso la libertà interiore, sono: l’esame di consapevolezza e l’esame particolare. L’Esame di Consapevolezza L’esame di consapevolezza è l’esercizio quotidiano del discernimento tipico del Nuovo Testamento perché incentrato non sulla legge ma sull’amore. Esso è un riorientamento del cuore, nella preghiera mediante il ringraziamento e l’orientamento verso il Signore accettando coscientemente tutta la propria esperienza di vita , negativa o positiva che sia. - Primo momento dell’esame di consapevolezza è il Ringraziamento: riconosciamo la venuta, di Dio nella nostra vita, i suoi doni, la sua grazia, la sua azione in noi, e lo ringraziamo. - Secondo momento è per diventare consapevoli di ogni esperienza di vita concreta e per accettarla incondizionatamente, cosi da mettere tutto e tutti alla presenza del Signore. 64 L’Esame Particolare: L’esame particolare è l’esame che è specifico, unico per una persona individuale. Esso è il suo criterio di discernimento cristiano nel vortice delle diverse esperienze umane, il suo specifico modo di disporsi ad incontrare il Signore in ogni situazione umana. L’esame particolare è stato considerato spesso e da molti come un esercizio di “contabilità spirituale”, un esercizio giornaliero per segnare e sommare le mancanze (per diminuirle) o gli atti di virtù (col proposito di accrescerli) in riferimento al punto scelto per l’esame. A causa dell’aridità di questa contabilità spirituale, esso è stato quasi del tutto abbandonato. Possiamo dire che non ha funzionato. Nel contesto della Vocazione Personale invece, l’esame particolare può essere considerato il momento o l’esercizio privilegiato per sentire il polso della vita spirituale, ed è specifico e unico per una determinata persona concreta. Inoltre per esso non ci sono molti punti da scegliere; c’è un solo punto ed è la Vocazione Personale. Casavatore Questo è il campo dove il Signore mi ha chiamato a operare quasi 3 anni fa. I primi mesi furono un po’ duri per diversi motivi: lavori per la sistemazione della casa, nuovo ambiente, qualche piccolo problema di salute poi risolto e l’incontro con diverse sfaccettature di male e di 65 tanta sofferenza. Poi mi sono inserito nell’ambiente e vado avanti ringraziando il Signore per le tante persone che mi vogliono bene e con le quali cammino. Sento il bisogno di dire con forza che mentre i mass media parlano del napoletano sempre in termini negativi, qui c’è anche tanto bene, cominciando da molti giovani che si impegnano a vivere una vita cristiana senza compromessi e da quelle persone adulte, papà e mamme, che si sacrificano per dare ai figli la possibilità di una vita dignitosa. Un aspetto che sento forte nel mio ministero sacerdotale è quello di ispirare le persone che incontro con la presentazione dell’immagine di Dio così come Lui stesso ce l’ha rivelata, bella e piena di misericordia, e con la presentazione di un cristianesimo di gioia, di pace, di comunione e di impegno. Ecco alcune delle riflessioni presentate alla comunità parrocchiale e agli amici di Casavatore: L’AMICO DELLO SPOSO - SAN GIOVANNI BATTISTA E SUE SFIDE PER IL MONDO D’OGGI Nel quarto Vangelo, il Vangelo di Giovanni, il Battista descrive se stesso come “l’amico dello sposo”. Allo sposo egli sta vicino, l’ascolta attentamente ed è 66 ripieno di gioia per la sua voce. Questa gioia che è mia, dice il Battista, ora è perfetta. (Vedi Gv. 3,29). L’appellativo “amico dello sposo” esprime in modo tanto vivace l’avventura della vita di San Giovanni Battista ed esprime pure l’importante missione che a lui fu affidata da Dio. Nel contesto del piano di salvezza per tutta l’umanità, Giovanni fu chiamato da Dio ad essere un grande profeta, fu chiamato a preparare le strade per la venuta del Messia. Nel prefazio della Messa della natività del Battista, la liturgia proclama: “Fu chiamato a mostrare al mondo il suo Salvatore e a battezzare Cristo, il datore del Battesimo”. Considerando la vita e il comportamento del Battista, notiamo alcuni punti che indicano la sua grandezza e che possono essere di grande ispirazione per la nostra vita nel mondo d’oggi: Eccone il primo: Egli era consapevole della missione che Dio gli aveva affidato. Profondamente consapevole e tutto preso da quella missione, Giovanni Battista fu capace di sfidare e di scuotere quelli che accorrevano a lui, mentre diceva con forza: “Convertitevi, poiché vicino è il Regno dei cieli” (Mt. 3,2). Così, molti “si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”. (Mt3,6). Il Battista fu capace di orientare molti verso il Messia ed oggi egli sfida anche noi portandoci a metterci in discussione con questo scopo: poterci avvicinare più intimamente a Cristo Salvatore. Chiediamoci: 67 Siamo noi consapevoli che Dio è entrato nella nostra vita così come entrò nella vita del Battista? Siamo consapevoli che nella vita abbiamo una missione da compiere, una missione che Dio affida a ciascuno di noi, come l’affidò a lui? Se, nelle nostre menti e nei nostri cuori, non abbiamo un senso vero di quella missione cioè della nostra vocazione cristiana e della nostra vocazione specifica nella Chiesa, allora destiniamo noi stessi ad essere spiritualmente freddi e passivi. Se invece manteniamo vivo il senso di quelle realtà, ecco che ci mettiamo nella situazione giusta e favorevole per vivere e per agire con la forza dell’entusiasmo; quell’entusiasmo che ci viene dalla fede, dalla speranza e dall’amore di Dio in noi. Vedete, quando, nell’Istituto dei Missionari Comboniani, mi consacrai a Dio con i voti di Castità, Povertà e Obbedienza, e quando, quaranta anni fa, fui ordinato sacerdote, provai un senso di meraviglia e di sorpresa che poi divenne un’esperienza di profonda umiltà. Esperienza dovuta al pensiero della mia piccolezza dinanzi a Dio a confronto con la grandezza della sua chiamata. Quante volte, perché quel senso di umiltà non diventasse timidezza, ho meditato questo passo del Profeta Geremia che ora propongo anche alla vostra meditazione: “La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: ‘Prima che io ti formassi nel grembo, ti ho conosciuto e prima che tu uscissi dal seno, ti ho consacrato; profeta per le genti ti ho costituito’. Ma io risposi: ‘Ah! Signore Dio! Ecco: non so parlare perché sono ragazzo’. Il Signore mi rispose: 68 Non dire: ‘sono ragazzo’, perché ovunque ti invierò dovrai andare e tutto ciò che ti ordinerò dovrai riferire. Non temere di fronte a loro perché con te ci sono io a salvarti’. Oracolo del Signore!” Poi il Signore stese la sua mano e toccò la mia bocca; quindi il Signore mi disse: ‘Ecco: io ho messo le mie parole nella tua bocca. Attento! Oggi ti ho stabilito sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e per demolire, per abbattere e distruggere, per edificare e per piantare.” (Ger. 1,4-10). In questa stagione della mia vita, sento spesso il bisogno di andare indietro al tempo della mia prima chiamata per rinnovare la mia consapevolezza di essa. E tornare indietro per considerare la nostra prima chiamata da parte di Dio e l’entusiasmo che avevamo allora per quel grande dono, è cosa salutare e necessaria per tutti noi. Infatti abbiamo bisogno di continua crescita; abbiamo bisogno di rinnovare la consapevolezza della nostra vocazione cristiana e della missione da Dio affidataci. Padre Eduardo Farrel dice: “Il nostro patrimonio comincia a disintegrarsi quando cominciamo a prenderlo per scontato, quando non è fatto più oggetto di riflessione e non è rinnovato. Nessun valore umano o spirituale è acquisito una volta per sempre nella nostra vita e nella vita della comunità. Il movimento continuo del tempo e della storia è dinamico. Una verità o un valore accolti nella nostra mente e nel nostro cuore, 69 quasi subito cominciano a sbiadire e ad essere dimenticati. Il gocciolio di ogni giorno rompe la roccia più dura di verità inalienabili. Tutto ciò che ha origine nell’uomo o in Dio deve continuamente rinascere, essere riscoperto, rigenerato, altrimenti diventa vecchio e inutile”. Il secondo aspetto della grandezza di Giovanni Battista è il coraggio. Fu coraggioso per la proclamazione del Messaggio che gli era stato affidato e per il compimento di tutta la sua missione, anche quando la sua vita era in pericolo a causa della malvagità di Erode. In realtà il Precursore fu ucciso per la sua fedeltà a Dio e alla sua Parola. (Vedi Mt. 14,1-12). Egli fu coraggioso anche quando ebbe dubbi a riguardo di Gesù come Messia. Egli fu capace di confrontare i suoi dubbi cercando risposte che potessero venire da Gesù stesso. Mentre la fama di Gesù cresceva in tutta la regione in cui si trovava per i grandi miracoli che operava, la gente era piena di stupore e diceva: “Un grande profeta è apparso tra noi. Dio è venuto a liberare il suo popolo”. Quando il Battista venne a conoscere, in prigione, le meraviglie operate da Gesù, mandò da lui alcuni dei suoi discepoli per chiedergli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” La risposta che Gesù diede ai messaggeri di Giovanni fu questa, “Andate e annunziate a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono e ai poveri viene annunciata la Buona Novella. Beato è colui che non si scandalizza di me”. (Mt. 11,2-6). Come possiamo notare in questo passo appena citato, Gesù non dette una risposta diretta alla domanda di 70 Giovanni, ma fece un bellissimo elogio della sua fede. Disse ai messaggeri di dire a Giovanni che i frutti dell’era messianica erano evidenti nella vita e nelle azioni di Colui che egli aveva battezzato nel Giordano. Gesù sapeva che ciò sarebbe stato sufficiente per il Precursore. Forse non avrebbe capito tutto della nuova realtà portata da Cristo, ma senz’altro avrebbe creduto. Questo punto è molto importante per noi perché San Giovanni della Croce dice che “la notte dello spirito è inevitabile per ottenere l’unione intima con Dio”. Tutti abbiamo dubbi e difficoltà nella nostra vita di seguaci di Cristo Gesù. Come ci comportiamo? Cerchiamo risposte e forza nel Signore soprattutto attraverso una preghiera semplice? Ci mettiamo in ascolto del Magistero della Chiesa con un vero atteggiamento di umiltà che ci apre all’accoglienza intelligente di ciò che viene preposto? Oppure ci perdiamo in ragionamenti umani finendo col rinunciare alla nostra fede e al nostro impegno di vita? Il terzo punto su cui desidero mettere l’accento è questo: Nel piano della salvezza del mondo da parte di Dio, il Battista accettò pienamente il suo ruolo come ruolo sussidiario. Per l’affascinante forza carismatica che esprimeva nella sua predicazione e nelle sue azioni, molte persone pensavano che Giovanni il Battista fosse il Messia così tanto atteso da Israele da lungo tempo. Ma il Precursore conosceva benissimo la sua identità che aveva accettato con libertà di spirito e non approfittò dei sentimenti facili delle folle che andavano da lui. Oggi il Battista ci insegna l’umiltà contro il complesso del potere e del “potere ad ogni costo e 71 senza scrupoli” che schiavizza i cuori di tanti nella società del nostro tempo. Egli ci insegna il modo migliore per essere al servizio di Cristo Gesù e del Suo Regno con libertà di spirito, per la gloria di Dio e per il bene di tutti. Quanto importante e vitale è questo atteggiamento per noi tutti: considerare noi stessi come strumenti vivi di salvezza nelle mani di Dio e in dipendenza da Lui. Con le nostre sole forze , con le alleanze umane, soprattutto se di dubbio carattere, non salviamo niente e non salviamo nessuno. La salvezza viene da Dio e soltanto da Dio nel Cristo Gesù e per la potenza del suo Spirito. Ciò che noi possiamo fare e siamo chiamati a fare, è collaborare con Dio nella convinzione che, come dice un bellissimo canto inglese: “Grandi cose avvengono quando Dio si mescola con noi”, quando cioè l’iniziativa di Dio incontra la nostra collaborazione. Capiamo allora che Dio non è il “Grande Garzone” che ci aiuta quando lo invochiamo nella preghiera. Egli è “il Grande Ingegnere” del piano della salvezza dell’umanità, ed è colui che ci sostiene e dà vita: siamo perché Lui è e possiamo fare il bene perché Lui ci sostiene. È importante ricordare sempre ciò che il Signore dice: “Rimanete in me come io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso, se non rimane nella vite, così nemmeno voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. (Gv. 15,4-5). Il quarto punto è l’accoglienza piena da parte di San Giovanni il Battista del suo “destino” umanamente parlando- così strano. Strano perchè si presentava non con l’etichetta “successo assicurato”, ma 72 con la richiesta, da parte di Dio, dell’impegno senza compromessi; impegno per la trasformazione del mondo, accettato così com’era, in un mondo migliore. Nel suo impegno il Battista fu sostenuto da una intensa gioia spirituale. Due volte nella sua vita sussultò di gioia: prima nel seno materno e poi quando, da uomo adulto, indicò la presenza del Messia nel mondo. Così la vita del Battista fu come un’arena di lotta spirituale in un mondo decaduto e così sporco di peccato, con la visione però del mondo salvato, trasformato dall’azione del Messia. La sua fu una vita di fedeltà fino alla morte! Se abbiamo incontrato veramente il Messia, Cristo Signore, allora dobbiamo sapere che Egli non ci vuole viandanti timidi e tristi che camminano per le vie del mondo scontenti di come vanno le cose, ma viandanti che accettano il mondo così com’è e si impegnano perché diventi un mondo migliore per tutti. L’incontro col Cristo, rinnovato ogni giorno, non ci estranea dal mondo, ma ci dà una forte energia e una visione di speranza che ci sostengono nell’impegno per un mondo migliore. Ricordiamo che se non siamo impegnati nei nostri campi di azione (parrocchia, scuola, famiglia, politica, ecc.) per la trasformazione di ogni realtà, secondo il piano di Dio, non è perché siamo cristiani, ma perchè non lo siamo o non lo siamo abbastanza. Il Battista ci invita a distinguerci in un mondo in cui così facilmente si può diventare piatti e perdere quella differenza qualitativa che il Vangelo mette dentro di noi. Il Battista ci dice: Impegnatevi per rendere questo mondo sempre migliore e: 73 mentre la società in genere ha messo Dio alla periferia della vita, voi mettetelo al centro; mentre nel mondo di oggi tutto è diventato fluido, come se tutto fosse “usa e getta”, i vostri valori umani e cristiani e i vostri impegni siano duraturi; mentre la società di oggi cerca il potere , voi mettete la fiducia nella forza che viene da Dio e dalla sua grazia; mentre nel mondo di oggi si dice che il paradiso è soltanto qui e adesso e ogni cosa è valutata entro i limiti dell’esistenza terrena, voi camminate impegnati sulla terra per costruire un mondo migliore; con lo sguardo però sempre fisso sul Regno eterno e sperando, al di là della morte, nella pienezza di vita, per sempre. 74 SAN DANIELE COMBONI E NOI OGGI In occasione della festa di San Daniele Comboni (10 ottobre), il nostro desiderio è quello di considerare e, direi, contemplare la figura di questo grande missionario. Vedremo alcuni tratti delle sua spiccata personalità e della sua azione apostolica che certamente fu e rimane tanto efficace nella Chiesa, in Africa, nel mondo. Facciamo questo, innanzi tutto perché San Daniele, con tutta la sua vita e con tutta la sua straordinaria opera missionaria, costituisce per noi una sorgente di grande ispirazione ed energia; inoltre perché, come è stato detto diverse volte ormai, dal giorno della sua canonizzazione (5 Ottobre, 2003) ad oggi, San Daniele Comboni è un grande dono non solo per la Famiglia Comboniana, ma anche per la Chiesa e per il mondo intero. Vogliamo conoscere meglio questo dono e vogliamo celebrarlo. Le tre sezioni che seguono formano come un trittico che ce lo descrivono a beneficio della nostra vita e del nostro operare per la costruzione del Regno di Dio. 1.- Il Comboni ci ispira, intercede per noi, ci attira. a) Egli ci ispira nella contemplazione del volto di Dio con la sua bellezza e con i suoi tratti di misericordia; proprio così come lo vediamo presentato vivacemente nella Sacra Scrittura, ad esempio in Is. 43, 1-5; Is. 49, 1416; Gv 3,16. 75 Nel mondo di oggi ci sono tante immagini di Dio che sono create da valutazioni e ragionamenti umani. Queste immagini fanno tanto male perchè rendono Dio lontano, esageratamente esigente o addirittura crudele. In linea con la Sacra Scrittura, San Daniele ci presenta il Dio di Cristo Gesù che vuole la salvezza di tutti e per essa opera e chiama i seguaci del Figlio suo a collaborare con Lui. San Daniele ci ispira anche nel processo di accettazione di noi stessi con tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo; non un’accettazione passiva, ma un’accettazione dinamica per un meraviglioso scopo: offrirci al Signore per essere trasformati dalla forza del suo Spirito; tenendo presente però che Egli chiede sempre la nostra collaborazione. Com’è bella la seguente preghiera!. Nella sua semplicità l’ho trovata sempre tanto efficace: “Signore, ci fidiamo di te, ci affidiamo a te, prendici così come siamo e facci come tu vuoi”. Mi pare che questa preghiera esprima molto bene lo spirito della preghiera del Comboni per se e per gli altri. Ascoltiamolo: “Dio è tutto misericordia, carità e giustizia”. (Scritti 6098) “Tutta la mia fiducia è in Dio che vede tutto, che può tutto e che ci ama”. (Scritti 172) “Dio è un buon padrone, un fedele amico e un padre amoroso” (Scritti 188) “Gettiamoci nelle braccia di Gesù che ha molta carità, talento e sa bene combinare le cose… Confidiamo in Gesù; sono troppo felice di essere da Lui onorato con 76 tante croci che sono preziosi tesori della sua grazia”. (Scritti 1782) b) Comboni intercede per noi perché possiamo diventare sempre più aperti a Dio e al suo piano di salvezza per l’umanità intera. Mentre possiamo cadere nella tentazione di chiuderci in noi stessi o nel nostro piccolo mondo, mentre possiamo cadere nella tentazione di condannare i deboli e coloro che fanno il male, noi esclusi naturalmente, San Daniele ci ispira col suo grande amore per la Nigrizia e per l’umanità tutta. Egli ci fa capire la necessità di non condannare mai nessuno e di lasciare il giudizio a Dio. Ci fa anche capire un principio di estrema importanza: “O è l’amore a cambiare le persona e le strutture, o nessun’altra cosa può operare il cambiamento voluto. Ascoltiamolo: “Dal costato del Crocifisso esce la carità che spinge il cattolico ad abbracciare tutta l’umanità”. (Scritti 2742) “…non doveva il Rolleri ritrattarsi presso di me sulla calunnia fatta a carico di un prete innocente? Eppure non l’ha ,fatto; lasciò correre la calunnia, e ciò in ‘coscienza’… che è sempre la sua parola. Insomma io ho provato il martirio: ma sono contento, perché così ha voluto il Signore, e perdono a tutti”. (Scritti 6100) “Scrivi ciò che vuoi a S. Eminenza contro di me (…). Ma io ti perdonerò sempre (…); basta che tu resti sempre in missione (…) e tu sarai sempre mio caro figlio”. (Scritti 6851) “Io sto bene, benché abbia molto patito nell’animo; ma ho sofferto per amore di Dio e pel bene delle anime, e Dio mi consolerà facendo restare con tanto di naso chi fu 77 la causa ingiusta del mio soffrire. Pregate Gesù per costoro, e allegri”. (Scritti5967) c) San Daniele è come un grande faro che illumina il nostro cammino, è come un grande magnete che ci attira e ci propone l’ottimismo della fede. L’ottimismo cioè fondato non innanzi tutto su ciò che noi possiamo compiere, ma su quello che Dio può fare e di fatto fa per noi. Mi sembra sentire San Daniele dire così: “Dove sono io, nel Regno Eterno, là siete chiamati ad essere anche voi. Allora reagite con forza a ogni tentazione di pessimismo, di tristezza e di disperazione, e impegnatevi nell’azione per la trasformazione del mondo, con lo sguardo sempre fisso su Cristo Gesù e sulle realtà eterne.” Negli Scritti del Comboni leggiamo: “Coraggio e avanti che canteremo un giorno in Paradiso le divine glorie”. (Scritti 6987) “Non mi lasciò mai un istante la speranza sull’esito finale del mio grande e sublime compito”. (Scritti 4801) “Che Dio faccia, e poi io, l’ultimo dei figliuoli degli uomini, riuscirò”. (Scritti 987) “Se vengono meno gli uomini, non verrà meno Dio”. (Scritti 6815) “Siamo i più felici della terra perché siamo nelle mani di Dio”. (Scritti 5082) 2.- Nella vita del Comboni e in tutta la sua opera, vediamo altre realtà creative che possiamo considerare sono come i tre solidi pilastri della sua spiritualità missionaria: 78 a) il Patto di Dio con l’umanità per la salvezza di tutti: Dio si è donato e continua a donasi a tutti, in particolare ai più poveri e abbandonati. È Lui che ha preso e prende l’iniziativa per un piano di salvezza gratuita. San Daniele ci fa capire che l’unica cosa che possiamo fare per la nostra salvezza e quella degli altri è collaborare con Lui con fede, entusiasmo e spirito di sacrificio. Comboni si esprime così: “Cristo in Croce raccolse tutto il mondo nella sua Chiesa”. (Scritti 4974) “Finalmente ci sorride nell’animo la più dolce speranza che l’unità,la semplicità, e l’utilità del nuovo disegno della Società dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per la conversione della Nigrizia… troverà un’eco di approvazione, ed un appoggio di favore e di aiuto nel cuore dei cattolici di tutto il mondo investiti e compresi dallo spirito di quella sovrumana carità, che abbraccia l’immensa vastità dell’universo e che il divin Salvatore è venuto a portare sulla terra”. (Scritti 843) b) la Koinonia cioè la comunione fra tutti, col Cristo come legame. Comunione di continenti, di popoli, di gruppi, di cuori e di intenti sempre per il bene dei vicini e dell’umanità intera. Per essere fedeli a Cristo e alla sua chiamata, non basta non fare agli altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi stessi (Vedi Tb 4,15); non basta amare gli altri come amiamo noi stessi (Vedi Lc 10,27). La chiamata di Dio a noi è quella di amare gli altri come Cristo ha amato e ama noi (Vedi Gv 15,12), e di tendere a diventare con gli altri una cosa sola come Cristo è con il Padre, (Vedi Gv 17,21). 79 Il Comboni si esprime così: “Allora, trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli”. (Scritti 2742). “Questo Istituto perciò diventa come un piccolo Cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanti sono i zelanti e virtuosi Missionari che escono dal suo seno: e questi raggi che splendono insieme e riscaldano, necessariamente rivelano la natura del Centro da cui emanano”. (Scritti 2648). c) la Diakonia cioè il servizio nel contesto del dono di se: Il Comboni oggi chiede alla Chiesa, alla società, a noi di ravvivare lo spirito di servizio. La spiritualità di San Daniele esprime in modo forte l’icona di Gesù che lava i piedi dei suoi discepoli. Egli ha ubbidito in pieno al comando del Signore: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). Ascoltiamo San Daniele che per il servizio ‘con amore e per amore’ egli aveva una forte passione. “Per l’Africa ho consacrato e mente e cuore e sangue e vita”. (Scritti 5296). “Il vero missionario non può avere paura delle difficoltà e della morte”. (Scritti 390). 80 “Noi saremo lieti di consacrare le nostre deboli forze e tutta la nostra vita per cooperare nella nostra infermità alla grande opera… perché vi avremo riconosciuta la suprema volontà del Cielo”. 3.- In questa terza sezione continuiamo col tema del servizio considerandolo nel contesto della nostra società di oggi: Il servizio offerto con amore che San Daniele visse con dedizione totale; esso ci fa muovere contro corrente nella nostra società dove regnano due filosofie negative e tanto, tanto dannose: a) la filosofia dell’egoismo che si esprime così: “Ciò che è mio è mio, e guai a chi lo tocca”. È la filosofia che domina nella vita dell’uomo ricco della parabola che troviamo in Lc 12,16-20. Nella vita di quell’uomo non c’è posto né per Dio né per gli altri. È per questo motivo che Dio lo chiama folle. b) la filosofia del ladro che proclama: “Ciò che è tuo e mio e se non me lo dai me lo prendo anche con la violenza, se necessario”. Questa è la filosofia descritta nella prima parte della parabola del samaritano: “Un uomo scendeva da Gerico a Gerusalemme e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto.” Lc 10,30. Nel nostro mondo d’oggi abbiamo tante persone che vivono come vittime di questa filosofia; ci sono ladri di cose materiali e, peggio ancora, ladri di realtà umanospirituali come la dignità e la pace. 81 Il Comboni ha vissuto alla luce di una filosofia opposta alle due appena presentate: la filosofia evangelica della generosità, che possiamo esprimere così, “Ciò che è mio è anche tuo, e lo condivido con gioia. (Lc 10, 33-35). È la filosofia praticata dal Samaritano nella seconda parte della parabola di Luca (Vedi Lc 10,35), e che per essere messa in pratica, richiede una rivoluzione forte e penosa soprattutto per vincere la testardaggine e l’ingordigia, l’egoismo e l’isolamento. Ma è la rivoluzione che l’amore verso tutti richiede e di cui il nostro mondo di oggi ha bisogno. Gesù incarnò questa filosofia nella sua vita terrena e la incarnò pure il Comboni. La pagina che segue, la esprime in modo vivace: “Il primo amore della mia giovinezza fu per l'infelice Nigrizia, e lasciando quanto vi era per me di più caro al mondo, venni, or sono sedici anni, in queste contrade per offrire al sollievo delle sue secolari sventure l'opera mia. Appresso, l'obbedienza mi ritornava in patria, stante la cagionevole salute che i miasmi del Fiume Bianco presso S. Croce e Gondocoro avevano reso impotente all'azione apostolica. Partii per obbedire: ma tra voi lasciai il mio cuore, e riavutomi come a Dio piacque, i miei pensieri ed i miei passi furono sempre per voi. Ed oggi finalmente ricupero il mio cuore ritornando fra voi per dischiuderlo in vostra presenza al sublime e religioso sentimento della spirituale paternità, di cui volle Iddio che fossi rivestito or fa un anno, dal supremo Gerarca della Chiesa Cattolica, nostro Signore 82 il Papa Pio IX. Sì, io sono di già il vostro Padre, e voi siete i miei figli, e come tali, la prima volta vi abbraccio e vi stringo al mio cuore. Vi sono ben riconoscente delle entusiastiche accoglienze che mi faceste; esse dimostrano il vostro amore di figli, e mi persuasero che voi vorrete essere sempre il mio gaudio e la mia corona, come siete la mia parte e la mia eredità. Assicuratevi che l'anima mia vi corrisponde un amore illimitato per tutti i tempi e per tutte le persone. Io ritorno fra voi per non mai più cessare d'essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il povero, il sano e l'infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi”. Che San Daniele Comboni ci ottenga la grazia di impegnarci con fede ed entusiasmo nell’opera di evangelizzazione della nostra società, in tutti i settori della vita. Che tutti, ispirati da lui abbiamo a saper “iniettare nella società larghe dosi di idealità, di slancio e di speranza, garantendo l’attenzione privilegiata alle fasce deboli, assumendo nella vita pubblica la creatività, il coraggio, la novità che viene dal Cristo vivente e risorto”. (Giuseppe Pasini) 83 LE ULTIME PAROLE DI GESU’ Ho desiderato cominciare questa meditazione condividendo un’esperienza molto personale fatta nel lontano 1978; sono trascorsi tanti anni da allora, ma quella esperienza è ancora così viva nella mia mente e nel mio cuore. Mio padre era ammalato in ospedale e, un giorno, essendo da solo con lui, gli chiesi: “ Papà, hai qualche desiderio da esprimere, un desiderio che poi potrei far conoscere a tutti della nostra famiglia?” Lui chiuse gli occhi e dopo una pausa di silenzio, aprì gli occhi, mi guardò con tenerezza e disse: “Ho un solo desiderio; Voglio vedere il Signore”. Era tardi quella sera; la mattina del giorno dopo mio padre morì, e subito sentii crescere in me una grande fiducia: che il mio papà vedesse già, con grande gioia, quel Signore che per tanti anni aveva incontrato nella preghiera e in modo privilegiato nell’Eucarestia. Le parole di una persona a me così cara e così vicina a morire! Le ricordo, e mi dicono così tanto di mio padre, della sua vita e dell’eredità che voleva lasciare ai suoi figli e ai suoi amici. La Famiglia Comboniana di cui faccio parte, ricorda le ultime parole del suo Fondatore, San Daniele Comboni, come una raccomandazione da cui prendere ispirazione e forza: 84 “Abbiate coraggio; abbiate coraggio in quest’ora dura, e più ancora per l’avvenire. Non desistete, non rinunciate mai. Affrontate senza paura qualunque bufera. Non temete. Io muoio, ma la mia opera non morirà”. Sono convinto che meditare sulle ultime parole di Gesù morente, ci aiuterà a capire meglio l’eredità che Egli ha voluto lasciare a noi e a tutta l’umanità; ci aiuterà nella nostra preghiera e riflessione; ci sarà di ispirazione in tutto il cammino della nostra vita. Le ultime parole di Gesù agonizzante saranno sempre per noi una grande sfida ad amare come lui ci ha amato e ci ama. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.” (Lc 23,34). (Una preghiera per i suoi persecutori) “Padre, perdona!” Le prime parole di Gesù morente furono rivolte al Padre, e furono una preghiera di perdono. Perdono per coloro che lo deridevano e lo insultavano in modo sadico e crudele, perdono per Pilato, perdono per Erode, perdono per i soldati, perdono per i discepoli pieni di paura, perdono per la folla. Perdono per tutti! 85 Se fossimo stati noi al posto di Cristo, avremmo potuto versare la nostra ira e frustrazione su quelle persone così brutali. Avremmo potuto schiacciare i nostri nemici con la forza della nostra potenza, obbligandoli ad ammettere i loro errori, la loro ferocia e a riconoscere Dio. Ma Gesù non lo fece. Egli non scese dalla croce come fu invitato a fare. Ascoltiamo ciò che Isaia dice: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.” (Is 55,8-9). E così Gesù convince non schiacciando, ma perdonando. Il perdono è la più bella espressione dell’amore e Gesù sapeva molto bene che, ”O è l’amore accolto e donato a cambiare una persona o nessun altra cosa può cambiarla”. Ecco perchè Egli rivendica la sua missione divina, missione d’Amore, perdonando le cattiverie più grandi. Gesù ha una tale profondità di amore che redime, da essere capace persino di trovare giustificazioni per i suoi persecutori: “Essi non sanno quello che fanno”. Nel comportamento di Gesù, notiamo i seguenti punti così importanti per la vita di ciascuno di noi: 86 1. Se Gesù perdonò i suoi persecutori sul Calvario, egli perdona anche noi. E due grandi cose ci consolano: - Il desiderio che Gesù ha di perdonarci è infinitamente più grande del desiderio che noi abbiamo di essere perdonati da Lui. - Inoltre, non c’è situazione, per quanto disperata essa possa apparire, che sia al di là della potenza di Cristo che salva. Com’è stupenda e consolante l’espressione di Santa Teresina del Bambino Gesù: “Anche se avessi nel mio cuore i peccati di tutto il mondo, non mi perderei di fiducia in Cristo mio Salvatore, ma andrei da Lui e sono convinta che tutti i miei peccati scomparirebbero nella sua misericordia come una goccia d’acqua in un grande fuoco.” 2. E inoltre, se Gesù perdonò i suoi persecutori e l’umanità intera, anche noi dobbiamo perdonare. Nella preghiera che ci ha insegnato, il “Padre nostro”, Gesù ci presenta il significato e l’intensità del perdono che siamo chiamati ad avere gli uni per gli altri e che possiamo imparare solo da Dio. Il perdono reciproco non è che l’espressione visibile del perdono di Dio dentro di noi. Ciò vuol dire che se non facciamo l’esperienza del perdono di Dio per noi, noi non abbiamo la capacità di veramente perdonare gli altri. 87 La tragedia della mancanza di perdono è che essa è così corrosiva eppure così comune. È possibile incontrare persone che per anni hanno portato avanti sentimenti amari nei loro cuori al punto che l’amarezza è diventata parte di loro stessi. Hanno mai chiesto al Signore di renderli capaci di perdono? Quando manca questa capacità, c’è solo una cosa da fare: mettersi davanti alla croce e rimanere lì, fermi, guardando Gesù che muore. È lì che il nostro trauma sarà guarito, è lì che impareremo a perdonare. Luca dice “...da lui usciva una forza che sanava tutti.” (Lc 6,19). E Giovanni aggiunge “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv 12,32). Nel momento in cui Cristo sta morendo, la forza risanatrice che fluisce da lui raggiunge l’apice. Noi dobbiamo porre le nostre ferite davanti al Dio morente la cui forza guarisce; solo allora saremo capaci di perdonare. Può volerci del tempo, l’amarezza può allontanarsi lentamente, ma essa deve lasciarci se davvero vogliamo essere seguaci di Cristo. Preghiera Signore, ti sono grato per la salvezza che il Padre Misericordioso ha donato all’umanità “in Te”: Ti prego, fammi questo dono: che io conosca la grandezza, l’altezza e la profondità del tuo Amore 88 redentore sulla Croce. Rendimi capace di accettare le tue sfide per amore. Fa che io mi apra per accogliere Te e la tua misericordia e rendimi strumento vivo di quella stessa misericordia per gli altri. Amen. “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23:43) (La parola di trasformazione per un peccatore) Il contesto della seconda parola di Cristo Gesù sulla croce è quello di una scena drammatica: “Gesù diceva: ‘Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno. Dopo essersi divise le vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: ‘Hai salvato gli altri, salva te stesso, se sei il Cristo di Dio, il suo eletto’. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgli dell’aceto, e dicevano, ‘Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso’. C’era anche una scritta, sopra il suo capo: ‘Questi è il re dei Giudei’”. (Lc 23, 34-43). Probabilmente uno dei due malfattori crocifissi con Gesù sentì la sua espressione implorante, “Padre, perdona loro”, e riconoscendo un potere divino in Lui, esclamò in forma di preghiera: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. E con la parola 89 del Gesù morente, “In verità ti dico oggi sarai con me in paradiso”, quel malfattore divenne un graziato. “La parola di Dio è viva ed efficace” (Eb 4:12). Essa è potente e quando viene pronunciata, essa genera meraviglie. Come sul Calvario: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Non domani, ma oggi, perché un uomo che sa pregare in quel modo, che è capace di incontrare Cristo in quel modo, quell’uomo è pronto per il regno di Dio. Cos’è che il buon ladrone fece per ottenere la salvezza? Egli si riconobbe peccatore. Egli riconobbe Gesù come re e salvatore. Egli si aprì a Cristo e alla sua azione salvifica. E noi possiamo imitarlo. Forse per il ladrone quella era la prima preghiera della sua vita; eppure gli fu concesso di accompagnare il Salvatore in paradiso. Un ladro che ha rubato il paradiso? La risposta è No. Non è possibile rubare il paradiso. Il paradiso fu, è e sarà sempre un grande dono che viene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia. Preghiera Caro Gesù! La tua benevolenza verso il ladro penitente mi riporta alle parole profetiche del Primo Testamento: “Anche se i vostri peccati fossero come 90 scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana.” (Is 1,18). Nelle tue parole di perdono al ladro penitente, posso capire ora il significato delle tue parole:” Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.” (Mt 9,13). Eccomi allora peccatore dinanzi a te, mio Salvatore. Prendimi come sono e fammi come tu mi vuoi. Amen. “Gesù disse a sua Madre, ‘Donna, ecco il tuo figlio.’ Poi disse al discepolo: ‘Ecco la tua madre.’ E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.” (Gv 19:26-27) (La Parola per un dono dal cuore di Gesù: Maria) Cristo affida il suo discepolo Giovanni a sua madre: “Donna, ecco è il tuo figlio”; e affida la sua Madre al discepolo:”Ecco la tua madre”. Il significato di quest’ultima parola è così profondo; siamo di fronte a un dono che si estende ad ogni discepolo. Si, nel piano del Padre, non basta che Maria sia madre di Gesù; lei è la madre di ciascuno di noi. E se vogliamo vivere imitando Cristo Gesù 91 secondo la nostra chiamata (Rom.8:29), allora dobbiamo accogliere Maria come nostra madre, come la madre di Cristo in noi. Con un’espressione meravigliosa, è stato detto che la Madonna è l’ostensorio più bello di Gesù; quindi guardando a Maria, vediamo il Figlio. E quando ci apriamo a lei con affetto filiale, Maria ci ispira nel nostro cammino di discepoli di Cristo, Maria ci fa sentire la sua intercessione per noi e lei diventa come un faro che illumina e un magnete che ci attira con questo messaggio; “Dove sono io, là siete chiamati ad essere pure voi; nel Regno eterno di Dio.” Abbiamo qui una grande sfida: Considerare Maria, che è madre di Gesù nella storia, anche madre di “Gesù in noi” e quindi madre nostra. Preghiera O Maria! Come Gesù è nato da te a Betlemme, così io sono nato da te sul Calvario. Come Madre, mi porti in un mondo nuovo di comunione spirituale con Dio, Padre mio, e con Gesù, fratello mio. Chiedi a Gesù che cambi l’acqua della mia debolezza nel vino della sua forza. O Maria, tu che sei il rifugio dei peccatori, prega per me peccatore adesso e nell’ora della mia morte. Amen. 92 “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” (Mt 27:47) (La Parola di chi si sente abbandonato da Dio) Questa parola apre un abisso di sofferenza. Durante tutta la sua vita Cristo aveva trovato la sua forza nella consapevolezza della presenza del Padre, aveva trovato il suo cibo nella sua volontà. Ma ora la consapevolezza della presenza del Padre l’aveva abbandonato. Era completamente spoglio di tutto. Non era rimasto null’altro se non solitudine e completo abbandono. L’aridità che possiamo provare nella nostra preghiera è così piccola paragonata alla desolazione dell’aridità del Cristo che prega sulla croce. E comunque, ancora una volta, ci troviamo faccia a faccia con il paradosso di Cristo, poiché dalle sue parole noi impariamo come egli trasformò persino la desolazione più amara in preghiera. Quando sembrava che fosse completamente sconfitto da non avere parole adatte ad esprimere le sue sofferenze, egli fece ricorso alle parole del salmo. L’agonia del calvario fu trasformata in preghiera. Un grido di estrema sofferenza potette diventare profonda fiducia nel Padre. Preghiera Signore Gesù, se consideriamo la tua agonia, nessuno può dire che Dio non conosce la sofferenza del cuore che si trova nell’abbandono, perché tu stesso 93 ti sei sentito abbandonato. Nessuno può dire che Dio non conosce le ferite di un cuore che invoca la presenza divina che non sente, perché anche tu ne hai sentito l’assenza Signore Gesù, insegnami a dire, ”Non la mia, ma la tua volontà sia fatta.” (Lc 22,42). Anche quando non ti vedo, dammi la grazia di credere e di avere fiducia in te. Ho sete (Gv 19:28) (Passione per la salvezza del mondo ) Certamente sul calvario Cristo aveva tutti i motivi per avere sete: perdita di sangue, ferite aperte ed esposte al sole cocente di mezzogiorno e febbre causata da quelle ferite. Eppure nonostante il terribile bisogno di acqua, nonostante la terribile passione, la vera sete che faceva soffrire Gesù, era la sete per la salvezza dell’umanità, la sete dei nostri cuori. Ed Egli, Salvatore ricco di misericordia, consumato da una sete estrema, ci invita ad attingere dalla sorgente dell’acqua viva che è il suo cuore trafitto: “O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente! (Is 55,1). In verità, Gesù morente, Gesù assetato, ci da lo Spirito Santo, ci ispira sentimenti di pace, se con fede e in silenzio ci poniamo in contemplazione di Lui 94 crocifisso e vediamo fluire dal suo costato il sangue e l’acqua della vera vita. Allora, con la sua sete, plachiamo la nostra sete ed è Pasqua per noi. Preghiera Signore Gesù, tu hai dato tutto per me, eppure tante volte non ti ho dato nulla in cambio! Quante volte hai bussato e la porta del mio cuore è rimasta chiusa per te. Quante volte hai chiesto da bere ed io non ti ho dato altro che aceto e fiele! Gesù, la mia storia è la triste storia di un rifiuto a rispondere al tuo cuore con il mio cuore, al tuo amore con il mio amore. Dammi al di sopra di ogni altro dono, il dono dell’amore per te. E dammi questa grazia: Che ogni mia azione e ogni mia speranza siano in armonia con la sete che tu hai di me e io ho di te. Amen. “Tutto è compiuto” (Gv 19,30) (Una Parola che esprime completezza) Ciò che i profeti avevano preannunciato, è stato realizzato: i suoi trenta anni di vita nascosta, i suoi tre anni di vita pubblica, i suoi tre giorni di passione, le sue tre ore di agonia; e in tutto Gesù ha glorificato il Padre suo. Ora è tempo che il Padre glorifichi il Figlio. 95 Io ti ho glorificato sopra la terra compiendo l’opera che mi hai dato da fare. Ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. (Gv 17:4-5). Da queste parole di Cristo Gesù si capisce che il termine ‘gloria’ ha un significato ed un cammino tutto speciale nel Vangelo. Nel vangelo la gloria viene attraverso la croce e attraverso la morte. Il chicco di grano deve morire perché porti frutto. Non c’è altra strada per la gloria, non c’è altra strada per una vita ricca di frutti e per un apostolato fecondo. Non è che Dio ci voglia vedere soffrire e piangere; al contrario, Egli ci vuole felici. Non è che Egli provi gusto a vederci morire. Il fatto è che nella nostra situazione umana, il piano di Dio può essere realizzato solo attraverso la sofferenza e la morte. È solo così che il male del mondo, che è male anche dentro di noi, può essere sconfitto. Dio, ad ogni modo, ci garantisce che se noi ci impegniamo così come Egli vuole, la vittoria finale sarà nostra e il suo Regno si realizzerà in noi e nel mondo. Possa questa parola del Signore morente darci la forza di compiere la nostra missione, portando a compimento tutto quello che il Padre ci ha chiesto di fare. 96 Preghiera Caro Gesù, insegnami questa importante lezione: se non c’è un Venerdì Santo nella mia vita, non ci sarà un Sabato Santo e non ci sarà la Pasqua. Se non mi farò piccolo davanti a te, non vestirò mai gli abiti della luce. Se non avrò la mia corona di spine, non ci sarà mai il corpo glorioso. Senza una lotta, non ci sarà mai una vittoria; senza la sete, non ci sarà mai il “Ristoro Celeste”; senza la croce, non ci sarà mai una tomba vuota. Insegnami, o Gesù, che per essere tuoi seguaci è giusto che si debba soffrire per entrare nella gloria. Amen. “Gesù, gridando a gran voce, disse:‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’. Detto questo, spirò”. (Lc 23,46) (Una Parola di totale abbandono) Queste ultime parole pronunciate da Gesù morente sono probabilmente le più belle di tutte. Egli conclude la sua vita terrena, così come l’ha cominciata, parlando direttamente con il Padre. Più che da tutte le altre parole, possiamo imparare tanto da queste. Possiamo ripetere questa preghiera di Cristo in tutte le circostanze della nostra vita: quando siamo ansiosi, disturbati dentro, timorosi, sconfitti, feriti, abbandonati; possiamo sempre rimettere il nostro spirito nelle mani del Padre. L’abbandono nelle 97 mani del Padre suo, è stata la chiave di tutta la vita del Cristo. Ecco allora che non poteva esserci nessun altro atteggiamento nel completamento della sua opera che quello dell’abbandono. Queste parole sono state interpretate in modo efficace da un artista tedesco in un dipinto in cui due mani stringono delicatamente un passerotto. Sono le mani del Signore che ‘afferrano’ coloro che a Lui si affidano. (Sal 139,10) Se siamo lì, in quelle mani, siamo al sicuro e assolutamente liberi. Nessuno può rapirci dalla mano del Padre. (Cfr. Gv 10,29). E lì siamo veramente sereni. Preghiera “Padre, mi abbandono nelle tue mani, fa di me quello che vuoi. Ti ringrazio per qualunque cosa tu faccia. Sono pronto a tutto, accetto tutto, se è la tua volontà che si compie in me e in tutte le tue creature; non desidero altro, mio Dio. Nelle tue mani consegno il mio spirito; ti dono la mia anima con tutto l’amore del mio cuore. Perchè ti amo, mio Dio e ho bisogno di donarmi, di arrendermi completamente a te con fiducia, aldilà di ogni misura, perché tu sei mio Padre”. ( Charles de Foucauld). 98 Condivido ora con voi i sentimenti espressi in occasione del mio 25° di Sacerdozio. Lo faccio perché essi sono ancora presenti nel mio cuore in modo ancora più profondo. Orgoglio C'è un tipo d'orgoglio contro cui dobbiamo combattere perché sfasa la prospettiva della vita. Ci fa mettere su di un piedistallo e ci fa guardare agli altri con un senso di superiorità o addirittura di disprezzo; ci fa credere che tutto ciò che c'è di buono nella nostra vita è frutto soltanto del nostro sforzo, del nostro lavoro. Questo tipo di orgoglio può addirittura arrivare a farci credere che possiamo vivere ed agire senza Dio. Dall'altra parte c'è un tipo di orgoglio che è positivo è che vuol dire contentezza, riconoscenza verso Dio e verso tanti per quello che si è, per quello che si ha e per quello che si è capaci di fare. È questo l'orgoglio che, per esempio, abbiamo in mente quando diciamo a uno: "siamo orgogliosi di te.” Cosa vogliamo dire. Ecco: “siamo contenti per quello che sei e per quello che fai. Ti incoraggiamo; va avanti così. Ringraziamo il Signore per te.” Mi presento a voi in questa occasione del mio venticinquesimo di sacerdozio con questo tipo di orgoglio che per me è gioia di vivere. Sono contento del mio sacerdozio: guai se non lo fossi! Sono entusiasta della mia vita missionaria e per tutto quello che il Signore mi ha 99 dato; ha effuso su di me tanti doni, tanto amore, e mi è stato sempre fedele. Ho il cuore pieno di gioia! 25 anni di sacerdozio e di vita missionaria; sette anni negli Stati Uniti e 18 anni in Uganda. Anni di formazione e di crescita per me, e anni di mio lavoro apostolico per gli altri. Una realtà meravigliosa con tanti elementi che sono doni di Dio e del suo amore. Mi è stato chiesto diverse volte: qual è l'esperienza più bella che hai fatto durante i 25 anni di sacerdozio e di vita missionaria? Senza dubbio ho sempre risposto che l'esperienza più bella è stata quella della presenza di Cristo nella mia vita: è lui che mi ha dato forza ed è lui che con il suo amore misericordioso ha toccato il mio cuore continuamente. Dio mi è stato sempre fedele. L'esperienza di Cristo ha generato una realtà meravigliosa nella mia vita: il bisogno di comunicare agli altri i doni da lui ricevuti, soprattutto ai giovani, ai poveri e agli abbandonati. Ho risposto alla chiamata del Signore prendendomi come sono; con le mie doti e i miei limiti, con i miei successi e i miei fallimenti. Ho risposto con una preghiera sempre viva nel cuore: Signore prendimi come sono e fammi come tu vuoi. Ho risposto con fiducia nell'amore misericordioso di Cristo, convinto che, quando ci fidiamo di Cristo, non possiamo essere delusi. C'è una preghiera e c'è un desiderio nel mio cuore: continuare a dire con la mia vita che Lui, il Signore Gesù, 100 è il centro del mio cuore, il centro della mia esistenza. Continuare a dire il mio si a Lui per giocare il resto della mia vita per lui: nella fedeltà al mio sacerdozio, e nella fedeltà al carisma comboniano che mi vuole apostolo sempre e dovunque. La mia preghiera per voi è che tutti abbiate ad avere una forte esperienza di Cristo Salvatore per gustare la gioia di essere suoi seguaci e per essere strumenti di vita nelle sue mani. Il mondo ha tanto bisogno di salvezza; il mondo ha tanto bisogno di Cristo. Cristo poi ha voluto avere bisogno di noi e ci ha chiamati ad essere strumenti di salvezza: testimoni del suo amore perché il mondo creda ed abbia la vita. Possiamo dire tutti insieme il nostro si con un cuore solo e un'anima sola! Vi invito a pregare: Signore, rendici strumenti della tua pace: dove c'è l'errore e dove c’è il dubbio facci portare la fede. Dove c'è disperazione, facci portare la speranza. Dove c'è l’odio, facci portare l'amore. Dove c'è il rancore, facci portare il perdono. Dove c'è la tristezza facci portare la gioia. O Dio, dacci la grazia di cercare più di capire che di essere capiti, più di amare che di essere amati; perché è dando che si riceve, e perdonando che si è perdonati, ed è morendo a noi stessi che nasciamo a vita nuova nello Spirito. Vi benedico di cuore e vi auguro ogni bene. 101 Concludo con tre mie piccole composizioni VISIONE Camminavo su una strada In questo mondo ferito. Vidi gente nel dolore Per l’egoismo di tanti! Fui tentato di rabbia, fui inondato da lacrime. Mi guardai intorno E detti una mano. Mi mossi per aiutare E donai un sorriso. Guardai verso il cielo, e vidi il Signore: mi dette il suo Spirito, mi dette una luce. Quel sentiero di morte Diventò sentiero di vita. IN CAMMINO Ho lasciato la spiaggia e mi trovo in alto mare. Ho una visione chiara e sicura; me l’ha data il Signore. Sull’altra riva verso cui mi muovo, c’è un fuoco e c’è Lui. Ha del pesce pronto e ha del pane. Il Signore mi attira ed ha sulle labbra un invito: 102 “Vieni, nutriti e sii felice.” Con me. Per sempre. SALVE REGINA In monastero: le claustrali Hanno cantato la Salve Regina. Provo un senso di pace profonda. Chiare come cristalli, lacrime mi bagnano il viso. Riconoscenza mi arde nel cuore: ho una mamma così piena d’amore! Quelle lacrime: espressioni di pace, gioia di crescita. 103 Mamma Carmela Papà Basilio P. Giovanni a 15 anni. 104 Un momento dell’Ordinazione. Nella missione di Aboke. 105 Con Papa Giovanni Paolo II in Uganda – 1993. Con un gruppo di giovani aspiranti - Gulu, Uganda. 106 Preparazione al Capitolo delle Suore di M.I. Dopo la Messa di conclusione Capitolo delle Suore di M.I. 107 In Etiopia per un ritiro spirituale 1992. Professione religiosa – Noviziato di Calamba, Filippine. 108 Celebrazione Eucaristica nelle Filippine. Con il Cardinale Sepe e Don Pasquale. 109