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Le radici della Bioarchitettura

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Le radici della Bioarchitettura
Le radici della Bioarchitettura
Ugo Sasso
Architetto
A cura di Wittfrida Mitterer
Si ringraziano
tutti coloro
che hanno contribuito
con il loro pensiero
e il loro lavoro.
Editrice Universitaria A. Weger, 2011
Associazione Bioarchitettura®
Tutti i Diritti Riservati
Impaginazione grafica: Bruno Stefani
www.weger.net
INDICE
Ricordi
Pag.
3
L’ecologia è la scienza delle relazioni Pag. 114
Maestro e docente
Due progetti
Pag. 128
Opere pittoriche
Pag. 150
Biografia
Pag. 174
“Animula vagula blandula
hospes comesque corporis
que hunc abibis in loca
pallidula rigida nudula
nec ut soles dabis iocos”
(Piccola anima graziosa ed errabonda
ospite e compagna del corpo
che adesso te ne andrai in luoghi
pallidi, aspri e spogli
e più non avrai come ti era abitudine occasione di svago)
Imperatore Adriano (76 d.C.)
Mettere radici
Non ci hai lasciato scritto la tua ultima volontà, ma ci hai indicato e tracciato in tutti questi anni di intenso lavoro comune la giusta strada che noi perseguiremo con determinazione e fiducia.
Le nostre lacrime salate come l’acqua del mare saranno lacrime
per la pace e un mondo migliore in cui l’architettura umana e
amichevole, rispettosa della natura, metterà veramente radici.
Quando ti vediamo in Tv o sentiamo la tua voce durante le interviste recenti alla radio, sei così vicino, quasi da toccare con
mano.
Sei stato come il fuoco che anche adesso non si spegnerà e continuerà ad illuminarci con i tuoi insegnamenti.
Perché nulla è impossibile se è giusto. Il non riuscire sarà solo
un motivo per riprovarci ancora.
Sei e rimani un eroe dei nostri tempi. La nostra vita è segnata da
quello che tu hai ritenuto buono o cattivo, giusto o sbagliato.
Tu che non ti sei mai arreso, ti sei arreso alle forze della natura.
Importanti personaggi ti hanno apprezzato, ma io ho potuto toccare il calore della tua mano, incrociare il tuo sguardo. Se fossi
cieca ti riconoscerei attraverso il timbro inconfondibile della tua
voce anche in mezzo a una folla di gente.
Il tuo sorriso sempre solare e sapiente adesso è congelato. Ci è
stata improvvisamente levata la terra sotto i piedi. Non resta altro
che orientarci. Il tuo senso di profonda umiltà, di rinuncia e valutazione giusta della realtà ti hanno portato a guardare oltre, ad
essere un visionario concreto.
E noi continueremo a seguirti.
Wittfrida Mitterer
La qualità delle relazioni
La mia più affettuosa memoria di Ugo Sasso è di camminare con lui per le strade di Roma verso mezzanotte durante una calda notte d’estate.
Lungo il cammino della nostra passeggiata mi mostrava con grande entusiasmo come vari frammenti di torri medioevali erano stati assorbiti nell’architettura dei palazzi seicenteschi.
“Se vuoi capire il pensiero della gente di un’altra epoca,” mi disse, con gli occhi
brillanti d’emozione, “devi studiare le loro architetture. Perché nella costruzione
di un habitat intorno a sé l’uomo, in modo consapevole o inconscio, vi esprime
la propria visione del mondo.” Mi parlava del collegamento di un edificio con il
luogo e le persone; della nostra percezione intuitiva dello spazio che coinvolge
elementi emozionali, simbolici e metaforici per conseguenza delle responsabilità culturali e sociali dell’architetto.
E mentre parlava con voce assai animata, le vecchie pietre di Roma sembravano animarsi anche loro. “Certo”, mi confermò, “la cosa fondamentale è considerare l’edificio non più come un meccanismo, ma come un organismo, cioè,
una cosa che è più delle sue parti.” Fu lì che mi resi conto in che misura Ugo
ed io parlassimo lo stesso linguaggio. Continuando la nostra passeggiata notturna parlammo della qualità che nasce dalle relazioni; del pensiero sistemico
in termini di collegamenti, di schemi e di contesto; e dell’ecologia come scienza delle relazioni. “Appunto”, affermò Ugo con grande emozione, “l’architetto è
il professionista che sa gestire le relazioni.”
3
Fritjof Capra
Fisico quantistico, Center for Ecoliteracy, University of Berkeley (California)
Insegnare Bioarchitettura
Er war ein wunderbarer Mensch. Zusammensein mit ihm war einfach schön, intensiv bei gemeinsamer Arbeit - anregend beim Dinieren und Philosophieren
dazwischen und danach.
Wie kaum ein anderer war er in der Lage seinen Gedanken in Wort und Schrift
Ausdruck und Form zu geben, - aus dem Stand, "der Mund floss über, dessen
das Herz voll war" - deshalb war er als Lehrer und Mentor der Bioarchitettura
so überzeugend.
Reisen mit ihm, Städte durchstreifen, abseits der Touristenpfade, ganz entspannt, immer zu irgend welchen Seitenwegen bereit auf der Suche nach dem
Genus Loci, den Menschen und dem Leben, das sie führen - lauter Bilder die
zu meinen schönsten Erinnerungen zählen.
Er fehlt uns, weil das alles nun vorbei ist - ein weiteres Stück Leben. Was bleibt
ist viel lebendige Gegenwart in der Erinnerung. Davon zehren wir. Bleibt uns
auch, sein Vermächtnis zu erfüllen, soweit wir können, weiter zu tragen, was
ihm am Herzen lag.
Christian Schaller
Architetto, Colonia (D)
4
Senza amore non c’è sostenibilità
Ugo aveva il dono della parola e della comunicazione, strumenti con cui riusciva a renderti pienamente partecipe delle sue idee...
Ma soprattutto Ugo aveva il dono della visione, dono riservato a pochi, dono
con cui era capace di vedere oltre il presente e il contingente, dono che gli dava
il senso di quello che stava facendo, perché vedeva chiaramente la strada giusta e dove questa conduce, ancora...
Grazie a queste sue qualità uniche e straordinarie lui era capace di donarti
qualcosa che va oltre qualsiasi competenza professionale, oltre qualsiasi linguaggio progettuale...
Ugo è riuscito a restituire a me, e credo a molti di noi, il senso alto del nostro
operare su questa terra, il fine ultimo, carico di responsabilità e stimoli, che dobbiamo perseguire...
Ci ha ricordato che non esiste architettura senza etica, sostenibilità senza amore,
e che anche noi abbiamo un percorso, probabilmente ancora lungo, da fare.
Grazie Ugo
5
Fabio Baldo
Architetto, Prato
Navigare a vista
Dopo i tuoi insegnamenti il mio modo di ascoltare, di vedere, di toccare, di
annusare e di assaggiare ciò che ci circonda è cambiato.
È cambiato in meglio!
Non eri uno facile, sapevi sia ascoltare che decidere. D’altra parte non si può
essere buoni navigatori se non si è in grado di tenere la barra dritta.
La coerenza impone rigore e fermezza.
Non mi scorderò di te, vecchio pioniere!
Nando Bertolini
Architetto, S. Ilario d’Enza (RE)
6
Visioni concrete
Ormai sono trascorsi oltre vent’anni
da quell’incontro in piazza Mazzini
dove è fiorita l’amicizia nostra.
Io provenivo dal brutale impatto
con la realtà peggiore della vita,
di chi ha perso il non sostituibile.
Cercavo di trovarne una ragione
e allontanarmi dall’abisso folle
di quel che non riesci più a comprendere.
Poi sei comparso. Quasi un cavaliere
che errava nelle lande d’Ideale
lottando per un vivere migliore.
Mi spiegavi quanto fosse indifesa
l’umanità nei tanti pericoli
dell’abitare insalubre e insicuro.
Mi dicevi come fosse importante
che quelli che lavorano per l’uomo
abbiano coscienza del non nuocere.
C’è stato tra di noi, da quel momento,
un solido legame per portare
7
una nuova cultura tra la gente.
Considerati quasi visionari,
quel che avevamo chiaro fin d’allora
oggigiorno è patrimonio di tutti.
Ma adesso che hai pensato di partire
e andare a far progetti tra le nuvole,
immenso m’hai lasciato dentro un vuoto.
Così mi mancano il tuo ragionare,
piano e pacato, la tua capacità
di trasportarmi nel mondo dei sogni.
Però quando ripenso alla mia vita
m’accorgo che fai parte delle cose
tra le più positive che ho vissuto.
Per quello che m’hai dato ti rimanga
la mia gratitudine perenne. A me
resta il ricordo d’un amico caro.
Luigi Barbatano
Medico, Roma
8
Semplicità razionale
Ho conosciuto Ugo in occasione di un incontro conviviale. La passione per i
Suoi ideali e la percezione della Sua professionalità divennero subito patrimonio dei commensali.
Ma non fu che l’inizio.
Ricordo il Suo stupore dinanzi agli scorci ed alle prospettive del Territorio
Nemorense.
Nessuno di noi dimenticherà la semplicità con la quale trattava gli argomenti,
anche quelli più difficili, permettendone la comprensione a tutti.
Con razionalità, pacatezza e padronanza della materia ha reso sempre tutto più
facile.
Ha perso una sola scommessa… per il profondo rammarico di tutti coloro che,
a diverso titolo, lo hanno stimato.
9
Alessandro Biaggi
Avvocato, Nemi (RM)
Banzai Nippon!
Una frase mi ricorda in particolare Ugo.
Quando mi ammalai di linfoma nel lontano 1993, ci eravamo conosciuti da poco
più di un anno o forse due, mi ricordo che alla comunicazione della mia malattia mi disse: “Non ti preoccupare! Sei forte, ce la farai… BANZAI NIPPON!!!”
COSÌ È STATO!!! È grazie anche a Ugo e al suo incoraggiamento che ora sono
qui a raccontarlo.
Questo per sottolineare che il suo carattere di grande combattente ci ha dato la
possibilità di avere, oggi, un Istituto di Bioarchitettura apprezzato e stimato nel
mondo!
Giovanni Boni
Ingegnere, Puianello (RE)
10
Stare in compagnia
Fotogramma su fotogramma…il ricordo di Ugo è vivido come non mai. Il dolcissimo sorriso che la determinazione dei suoi occhi chiari non tradiva, la predisposizione naturale all’ascolto e alla guida che oggi mi appare a tratti profetica…
Mancano i suoi consigli pratici e le sue profondità filosofiche del vivere nel rispetto dell’ambiente. Lo sfogliare insieme il libro sugli edifici di cemento armato abbandonati nel deserto è stato più convincente di cento convegni, l’osservazione del
volto di una madonna di Bellini indimenticabile più di una lezione di storia dell’arte, al pari di quella sulle fasi di riciclo della plastica e dell’alluminio in una notte
davanti ai cassonetti.
Non dimenticherò mai la nostra conversazione sull’estetica del kitsch quando sdoganò la mia passione tutta teatrale per il velluto rosso o i lampi d’oro nell’arredo…
O quando comprese al volo la saudade che fin da bambina si insinuava nel mio
cuore al suono delle campane del vespro, sul limitare della notte, tra le montagne…
Gentiluomo d’altri tempi e affascinante conversatore, accompagnava sempre gli
amici verso le loro case nelle notti bolzanine, d’estate e d’inverno, chiacchierando
di facciate, di portoni, di illuminazione, della bellezza di vivere in borghi antichi dove
le persone sono in relazione fra loro come gli edifici, della necessità di un futuro
consapevole e non rinviabile per il bene di tutti… Sempre con questo modo antico
di stare in compagnia, fatto di passi e di parole, in cui le ore erano dense e profonde come l’amicizia.
Caro Ugo, l’ultimo ricordo di te è il più vivo. Mi mandasti, poco prima di morire, un
biglietto. Fu dopo la presentazione che ebbi l’onore di fare alla tua relazione di
Bioarchitettura all’Università di Innsbruck, davanti ad un pubblico di studenti affascinati. Tu, famoso architetto, mi scrivesti: “Grazie, mi hai fatto sentire davvero
importante”. Una modestia talmente grande che mi commosse, senza sapere che
presto avrei pianto ben altre lacrime assieme a quanti ti volevano bene.
11
Sandra Bortolin
Giornalista, Bolzano
Rugiada del futuro
Gabriella Cadel
Antropologa, Siena
12
Proporre e provocare
Giotto, Caravaggio e Tiepolo erano i suoi pittori preferiti. Per me, giovane pittore dal punto di vista anagrafico, ma con esperienza già decennale, fu un
maestro. Sto parlando, anzi ricordando Ugo Sasso, l'amico, l'intellettuale, il
bioarchitetto tragicamente scomparso ormai da due anni nelle acque del mar
dei Caraibi durante una vacanza sudamericana.
Conosceva il mondo dell'arte, gli artisti, i critici, il mercato e i suoi trucchi. Io
del mercato e delle sue leggi spietate non sapevo nulla o quasi, di certo non
ne conoscevo i segreti.
Era coltissimo, ma non astratto: era profondamente concreto e realista. “Per
arrivare al successo devi piazzare mille quadri in case di persone che contano, siano essi collezionisti, semplici amatori o mercanti”, mi disse una sera.
Ed io invece credevo che bastasse solo essere un bravo pittore, che avesse
fatto una scuola adeguata e che rispettasse i canoni dell'accademia per essere apprezzato e valutato come artista.
Ma la sua sensibilità artistica era pari al suo realismo. Lavorammo insieme
più volte nel suo atelier e mi dava consigli tecnici: sulla scelta dei colori,
riguardo alle dimensioni e alla impostazione del dipinto. Mi sollecitava ad
azzardare, ad uscire da me stesso, a superare i dettami scolastici dell'accademia, ad esprimere ciò che veramente volevo dire. Capiva le persone nel
profondo, gli interessava l'uomo, ciò che egli ha dentro, e per questo Sasso
era un grande ascoltatore.
Lavorava, scriveva, disegnava, progettava ed ascoltava ciò che gli dicevi. E
poi aveva una grande capacità di sintesi. Sapeva fare la valutazione precisa,
scolpita di una lunga argomentazione, oppure darti il consiglio di cui avevi
bisogno. Mi affascinava. Fu ciò che si dice una grande personalità, con lui si
parlava di tutto: di letteratura, di storia, di filosofia, di politica, di teologia.
13
Ma fu soprattutto nell'ambito della sua professione che Sasso mi aprì degli
scenari inimmaginabili. Io, figlio di un imprenditore edile, avevo sempre considerato la figura dell'architetto come ancillare rispetto all'ingegnere e all'imprenditore. L'architetto Sasso, che nel 1991 aveva fondato l'Istituto Nazionale
di Bioarchitettura a Bolzano, mi fece invece comprendere quanto fosse centrale il ruolo dell'architetto nell'edificazione del costruito.
L'architetto, che io avevo sempre visto chino sul tavolo da disegno, impegnato nella creazione di belle forme risultanti dal calcolo di superfici e volumi, non
era soltanto questo, mi spiegava Ugo, o meglio che non doveva essere soltanto questo. Mi convinse che l'architetto è l'esperto di numerose discipline
che egli, profondo conoscitore, riesce a manipolare al servizio dell'uomo in
modo tale che il risultato sia un costruito che giovi al benessere dell'uomo.
Era molto conosciuto in Italia, all'estero fino in America per le sue convinzioni a sostegno degli orientamenti che tengono conto oltre che della salute e
dello star bene degli abitanti, delle risorse ambientali e dei suoi equilibri ecologici, tanto quanto delle relazioni tra le persone e della loro cultura.
Per me Ugo Sasso fu una guida culturale e artistica. Un vero padre spirituale.
Claudio Calabrese
Insegnante e pittore, Merano (BZ)
14
Riprendere le fila
Ugo Sasso era solo di un anno maggiore di me, e compivamo gli anni più o
meno nello stesso periodo: forse per questo la notizia della sua scomparsa così
assurda mi colpì incredibilmente.
Lo conoscevo da qualche anno, dal Laboratorio progettuale cui partecipai nel
2002 a Rocca di Papa. Avevo trovato in lui un maestro, nel vero senso della
parola, uno dei pochi veri maestri che io abbia avuto la gioia di conoscere (chi
mi insegna davvero qualcosa ha la mia gratitudine per sempre).
Il suo studio, teso a ritrovare la dimensione umana dell’abitare, a riconnettere i fili
di una tradizione millenaria nell’architettura, ha dato voce, razionalizzandola, ad
una mia stessa aspirazione, che da sempre sentivo e da cui mi ero censurato.
Grazie Ugo, soprattutto per avermi aiutato a ritrovare i miei pensieri!
15
Massimo Carli
Architetto, Viareggio (LU)
L’arte della vita
Nella frescura all’imbrunire,
in una luminescenza variegata
fra il mare e il cielo,
scorgo il viso
il viso di Ugo.
Gli occhi penetranti e sicuri
il sorriso sincero
l’amore per l’arte
l’arte della vita
Il suo pensiero si dipana fra mille
il mio pensier conduce
al liceo artistico
la sua barba di sapore garibaldino
Ugo era attento sicuro
generoso nel forgiare
un nuovo artista
pittore scrittore
L’insegnante non si inventa
ma si diventa.
Trasposizione visiva del mondo fra Garibaldi e Ugo.
Il primo facendosi cosmopolita adotta l’umanità per difenderla con le armi...
Il secondo adotta lo spazio temporale fra l’uomo e la terra sulla quale vive per
instillare alle nuove generazioni l’equilibrio fra natura e umanità ovvero il bioequilibrio di sapore architettonico.
Ciao Ugo
Corrado Caruso
Impiegato e poeta, Bolzano
16
Condottiero
17
Sandro Cassigoli
Architetto, Firenze
Impegno e passione
Accade che nel corso della vita si incontrino persone con le quali inaspettatamente,
magari per occasioni di lavoro normalmente estranee alla propria attività, si crei un
rapporto di stima, fiducia e simpatia. Persone speciali con le quali senti di poter avere
un rapporto altrettanto speciale. Ugo Sasso per me era una di queste persone.
Ho conosciuto Ugo alcuni anni fa quando Wittfrida, direttrice del Curatorium per i
Beni Tecnici Culturali di Bolzano, mi propose di realizzazione assieme un impegnativo racconto sulla storia delle centrali idroelettriche in Alto Adige da esporre al pubblico presso la bellissima centrale di Cardano. In particolare l’evento, da allestire nella
sala macchine della centrale, si poneva come punto fondamentale per valorizzare
degnamente il tema e l’imponente lavoro di ricerca storica svolto dal Curatorium.
Servivano idee e proposte adeguate. È a questo punto che la mia occasione di
incontrare Ugo si presentò.
Armonia tra il racconto storico e il luogo dove effettuarlo, piattaforme sospese, piastre di luci, percorsi fotografici, concretezza e sintesi realizzativa, questi sono stati gli
aspetti attraverso i quali abbiamo iniziato a conoscerci.
Abbiamo, poi, avuto altre occasioni di vederci e discutere sui temi a lui cari: di una
nuova architettura orientata all’integrazione fra uomo e ambiente e sugli innovativi
percorsi universitari che si apprestava a realizzare.
Idee all’avanguardia, che raccontava con passione e convinzione coinvolgenti tali
che, alla fine di ogni incontro, rimanevo sempre con la piacevole sensazione di aver
potuto condividere un po’ del mio tempo con un amico di grande spessore umano
prima ancora che intellettuale.
È mancato all’improvviso, già due anni fa.
So che altri continueranno il suo percorso intellettuale, con analoga passione ed
impegno, mentre a me non rimane che il grande piacere di averlo conosciuto ed il
rammarico per le occasioni d’incontro che non potrò più avere. Ciao, Ugo.
Lorenzo Cattani
Ingegnere, Trento
18
Basta volere
Ho imparato da te che occorre semplicità per parlare di temi complessi come
quelli dell'ecologia.
Semplicità di linguaggio ma soprattutto semplicità di vita e di scelte perché
anche se la tecnica ci verrà in soccorso, a risolvere saranno sempre le scelte
individuali.
Ma le scelte personali sono anche frutto di capacità di relazioni e la tua arte nel
cercare architetture e materiali che potessero favorirle mi fa pensare ancora
adesso che spesso le soluzioni sono a portata di mano.
Occorrono però persone in grado di far capire, di far pensare... e a noi privi di
te manca un maestro.
19
Alfonso Cauteruccio
Presidente Greenaccord, Roma
Vedere l’invisibile
Ho conosciuto Ugo Sasso nei primi anni ‘90, quando la parola Bioarchitettura
era, ancora di fatto, sconosciuta ai più. Durante la mia presidenza alla sede di
Lecco dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, insieme abbiamo ideato e sperimentato numerose attività di formazione e corsi di tutti i livelli, fino ai primi workshop progettuali con Lucien Kroll. Ugo sapeva inevitabilmente di essere un
pioniere e tutto con lui aveva il fascino di una festa iniziatica, in cui si esploravano mondi nuovi, si apprendeva l’uso di strumenti inediti, si confrontavano
saperi diversi. Questa intesa sottile ci legava, irresistibilmente.
Ricordo un corso tenuto insieme ad Agerola (definita dagli autoctoni come “la
Svizzera napoletana”…), in cui Donatella Mazzoleni, docente della facoltà di
Architettura di Napoli, fece abbracciare ai partecipanti, divertiti e sgomenti, le
grandi colonne di una cattedrale barocca per interminabili minuti, affinché nel
silenzio ne sentissero la verticalità, percependo la gravità della pietra: a piedi
nudi e nel freddo autunnale del marmo del pavimento, i candidati uscivano, poi,
sulla terrazza antistante per chiamare, con i telefonini, parenti ed amici, raccontando essi stessi, increduli ed eccitati, la follia dell’esperienza appena vissuta.
Ugo, chiedendo gentilmente di passargli il cellulare, staccava loro le batterie,
dicendo ironicamente: “È inutile raccontare ad altri ciò che forse non si è noi
stessi ancora compreso, a meno che in questo caso specifico stiate parlando
con un cavatore di Carrara... La Bioarchitettura è anche inclusione del non visibile, ma solo se prima lo sapete percepire dentro voi stessi”.
In quel corso, la mia esercitazione a seguire si chiamava, appunto, “Vedere l’invisibile” e consisteva nel descrivere con aggettivi e immagini analogiche le percezioni sensoriali di uno spazio, ad esclusione della vista. Ugo era, con il suo
esempio militante al mondo dell’architettura, un agente infiltrato, ma di genere,
inevitabilmente, sempreverde.
Giulio Ceppi
Architetto, Milano
20
Maestro prezioso
Ti ringrazio per esserti fatto incontrare, per aver voluto convivere e condividere, con la tua umile generosità, una visione del mondo che va ben al di là dell’architettura.
Spesso mi rendo conto che inconsciamente sei presente in molte delle mie
scelte, nell’ambito professionale e ancor più in quello umano, quello delle relazioni che tu, meglio di chiunque altro, mi hai insegnato a comprendere mettendole al centro del mio vivere il presente e, soprattutto, il domani.
Per me sei stato l’ultimo ed prezioso Maestro, un dono gentile per affrontare
con sguardo lucido e sereno il Cammino che mi aspetta.
Ciao, Raffaello
21
Raffaello Ciabochi
Ingegnere, Roma
Contaminatore e filosofo
Ho incontrato per la prima volta Ugo Sasso nel 1997. Allora ero un giovane
assessore ai lavori pubblici, ingegnere, che affrontava per la prima volta temi
quali la partecipazione alla progettazione, il costruire in bioedilizia, i materiali
ecocompatibili, un approccio “ecologico” alla realizzazione di un nuovo edificio
scolastico. Ugo Sasso venne a Faenza assieme a Lucien Kroll.
Ero abituato, fino ad allora, a pensare alla realizzazione di una scuola in termini di costi, di esigenze didattiche, di sicurezza e strutture, diciamo più da ingegnere. Dopo l’incontro ricordo di aver chiesto ai miei collaboratori se le persone che avevamo incontrato erano veramente dei tecnici o piuttosto due filosofi
o due sociologi.
Oggi dopo tredici anni, con la scuola da poco inaugurata, posso dire di avere
avuto la fortuna di incontrare Ugo, che ha cambiato il modo di affrontare un progetto di lavori pubblici, non solo da parte mia, ma da gran parte dell’ufficio tecnico del Comune di Firenze, con più attenzione alle persone che fruiscono delle
opere pubbliche, a quello che pensano, a quello che si aspettano, e con più
attenzione e cura alla scelta dei materiali, al contenuto ecologico del progetto,
pensando anche al lungo periodo. Un modo moderno e responsabile di lavorare in una pubblica amministrazione, che ha contaminato tutti quelli che hanno
avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Ugo e che ho la pretesa di pensare abbia contribuito anche a migliorare la città.
Per questo Faenza lo ringrazia.
Luigi Cipriani
Ingegnere, Assessore Lavori Pubblici, Comune di Faenza
22
Solidarietà condivisa
Conobbi Ugo tanti anni fa al Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per
la cooperazione allo sviluppo, presso cui mi trovavo in posizione di fuori ruolo
con l'incarico di seguire le iniziative delle Regioni e delle Province Autonome
italiane.
Con quell’incontro emerse spontanea una sincera condivisione della necessità
di sviluppare la solidarietà tra le genti di tutte le nazioni e di tutte le razze.
Questa spontanea reciproca condivisione di poter svolgere nella società un
ruolo attivo per migliorare le condizioni di vita delle persone in generale, mi consentì di incontrarmi più volte con Ugo, insieme a mia moglie e a Wittfrida.
Ebbi modo, quindi, di seguire personalmente il suo impegno nella
Bioarchitettura, di cui ammirai anche l'intuizione di regalare un indice di cubatura suppletivo purchè venissero costruite case a misura d'uomo e a salvaguardia dell'ambiente.
Credo che sia, soprattutto per l'impegno di Ugo, che anche nella Regione Lazio
si parli oggi di Bioarchitettura.
23
Vittorio Ciufolini
Ex funzionario del Ministero degli Affari Esteri, Roma
Credere nella Bioarchitettura
Non posso dire di aver conosciuto bene Ugo, l’ho incontrato alcune volte con
Witti in occasione della nostra intervista all’interno della collana “Saper credere
in architettura”.
Mai titolo è stato più efficace per un architetto profondamente determinato a far
penetrare e divulgare le tematiche della Bioarchitettura soprattutto negli architetti italiani, ancora distanti dalla progettazione ecosostenibile che invece in
Europa era ed è in una fase molto più avanzata.
E lo faceva con una passione civile e un impegno quotidiano straordinario, che
vedevo nei suoi occhi buoni e nella sua forza dialettica. La sua tragica morte è
stata una perdita immensa per l’architettura italiana.
Gianni Cosenza
Architetto, Editore CLEAN, Napoli
24
Dalla parte della ragione
Penso sempre più spesso ad Ugo, ai momenti passati insieme, a quell'immenso bagaglio di esperienza acquisita durante il periodo in cui ho avuto la fortuna
di vivere e lavorare a stretto contatto con lui. Mentre progetto, quando discuto
con amici, se mi arrabbio e perfino mentre cucino mi scopro a ripetere o a ripetermi frasi di Ugo, ed inesorabilmente non posso fare a meno di sorridere. Mi
capita anche adesso, in questo momento.
Penso, anzi lo so per certo, sia un fatto comune a chiunque abbia avuto modo
di conoscerlo, anche solo superficialmente, perché Ugo conquistava le persone con la sua coerenza o, per dirla a modo suo, perché lui sapeva di avere
ragione.
25
Andrea Costantini
Ingegnere, Porto Valtravaglia (VA)
Utopia concreta
Non sono un architetto, poco o nulla so di Bioarchitettura, se non lo stupore
entusiasta degli occhi azzurri e spalancati di quell’architetto di utopie (così, in
fondo, l’ho sempre pensato) che era Ugo Sasso. E con utopia non alludo a
qualcosa di impossibile e lontano. Anzi. Ne ho sentita giusto ieri una bellissima
definizione, non ricordo purtroppo di chi: “utopia è quella cosa che quando facciamo un passo verso di lei si sposta di un passo, e se per inseguirla ne facciamo due, si sposta in avanti di due passi… e così via.” L’utopia, insomma, è ciò
che ci fa andare avanti.
La sua utopia Ugo Sasso la raccontava sempre così, come qualcosa appena lì
davanti, a un soffio da noi. Un sogno che era ad un attimo dal divenire presente, e quasi si meravigliava che per tutti così non fosse. D’altra parte bisognava
solo essere ciechi per non leggerlo tutto, l’oggi della sua utopia, nelle linee delle
sue iridi. Forse per questo spalancava sempre gli occhi, per farcelo entrare tutto
intero il paesaggio di quel suo sogno.
Ho conosciuto Ugo Sasso proprio il giorno di un suo compleanno. Di passaggio
a Roma insieme con Wittfrida. È arrivato nascosto dietro un grandissimo mazzo
di fiori. Erano lilium, lo ricordo ancora, bellissimi. Per la padrona di casa. Me li
ha porti con gesto da signori d’altri tempi, emozionante, raro…
Francesca De Carolis
Giornalista, Roma
26
Il sogno nel cassetto
L’incontro con Ugo Sasso fu per me una di quelle occasioni nelle quali i veli posti
davanti agli occhi, che non ti permettono di vedere la realtà delle cose, vengono
squarciati.
Non mi ero mai occupato prima di allora di architettura, tanto meno di Bioarchitettura.
Le questioni relative al bios le avevo, però, affrontate durante la lunga permanenza
quale componente del Comitato Nazionale di Bioetica. Si era trattata di una palestra
assai interessante, per sensibilizzare l’attenzione del giurista, per lo più rivolta alle
figure astratte create dal giure, con i fatti concreti della vita materiale. Per questo
motivo avevo promosso l’introduzione degli studi di bioetica e biogiuridici
nell’Università di cui sono Rettore, la Lumsa.
Il primo incontro con questo – per me – sconosciuto architetto fu per certi aspetti
sconvolgente. Nel senso che mi fece percepire immediatamente quanto il problema
bioetico fosse assai più articolato e complesso, rispetto ai paradigmi usuali che tendono a ridurlo entro i pur fondamentali contesti della biomedicina. Con l’asciuttezza
e l’essenzialità tipici del suo parlare, in poche parole Ugo Sasso mi portò a cogliere
le stringenti linee d’interconnessione tra bioetica e bioarchitettura, seguendo percorsi intellettuali che collegavano fenomeni e problematiche cognite, ma nella mia
mente non correlate: il depredamento del territorio, lo sfiguramento del paesaggio, lo
stravolgimento di equilibri naturali e di ecosistemi, l’irrazionale manipolazione della
natura, lo spreco energetico, l’espandersi di un’urbanistica non attenta alla dimensione della vivibilità umana: il tutto come risultato di una speculazione edilizia animata
solo dall’immediato interesse economico.
La calma nell’approccio, che mi parve subito un carattere saliente della sua personalità, non palesava – o almeno non palesava appieno - la forza di convincimento
che, invece, era radicata in profondi convincimenti interiori. Una sorta di “ecosistema”
personale rifletteva, attraverso le sue parole, l’equilibrio del progetto ideale di cui si
27
era in qualche modo fatto missionario in un Paese, quale è il nostro, ancora molto
poco sensibile ai postulati ed alle pratiche della Bioarchitettura, così come ancora –
nonostante tutto – acerbo nei confronti delle tematiche bioetiche, in cui vede prevalentemente un terreno di scontro politico ed ideologico più che di incontro a favore
dell’uomo e del creato.
Da quell’incontro nacque l’interesse per un progetto comune, diretto a pensare un’architettura per la sostenibilità, frutto non solo di impegno tecnico ma del convergere
di saperi e di esperienze. Un progetto diretto alla formazione di professionisti che,
assieme alle necessarie competenze dell’ingegneria e dell’architettura, avessero
consapevolezza della complessità dei problemi che la Bioarchitettura evoca e fossero aperti a imprescindibili forme di collaborazione interdisciplinare. Una collaborazione attenta all’organizzazione dello spazio, alla gestione delle risorse, all’ottimizzazione dei consumi energetici, alla scelta dei materiali, alla rilevazione delle necessità
dell’individuo, non presi singolarmente, ma realisticamente colti nella rete di relazioni sociali in cui sono inseriti, che sono necessari al suo divenire ed alla qualità della
sua vita. Con passione crescente venimmo a disegnare un progetto ambizioso ed
innovatore, in cui i percorsi formativi dei professionisti del costruire per l’uomo fossero integrati da competenze nuove, come in materia di sociologia urbana, di bioetica
e di biogiuridica. Punto focale del progetto era in definitiva quello di riportare l’etica
della vita al centro dell’architettura, facendo riscoprire a questa le ragioni più profonde della sua vocazione.
La scomparsa di Ugo Sasso, cioè del motore appassionato dell’iniziativa, ha fermato il progetto e lo ha riposto, come non di rado avviene, nel cassetto dei sogni. Non
so se, quando e chi potrà riprenderlo e portarlo a termine. So per certo, però, che
Ugo Sasso con la sua etica sensibilità, la sua passione per l’uomo ed il creato, in cui
si trova inserito, e la sua raffinata professionalità, non è passato invano tra noi.
Giuseppe dalla Torre del Tempio di Sanguinetti
Rettore Università LUMSA, Roma
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Salto logico
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50 passi. Sono solo 50 passi quelli che dividono il mio studio da quello di Ugo.
Già, perché Ugo per me è ancora lì. Lì nella rubrica del telefonino. Lì nella mailing list. Lì sul campanello al 71. Lì tra i banchi di Piazza delle Erbe. Insomma
è lì a 50 passi da me. Ancora oggi a distanza di tempo percorro quei pochi
passi. Alzo gli occhi, guardo quel portone in legno sempre aperto e rivedo Ugo.
Mi racconta di città e sostenibilità…
U.S.: L'uomo in questi anni ha concepito delle cose straordinarie. Pensa ad esempio all'automobile!
C.D.: All'automobile?
U.S.: Si certo hai capito bene! L'automobile. Bella, potente, sicura, economica…ora
anche ecologica. Insomma un concentrato di scienza e tecnologia incredibile.
Ve ne sono alcune che sfiorano la perfezione. Per non parlare del design.
Pazzesco. Mi segui?
C.D.: Si… ti seguo ma non immaginavo questa passione per le automobili.
U.S.: Allora ti propongo un salto logico. Da un lato abbiamo le macchine…bellissime. Dall'altro abbiamo i parcheggi. I parcheggi che ospitano le macchine. Per
la proprietà transitiva i parcheggi dovrebbero essere dei luoghi magnifici.
Contengono le macchine! Ergo sono il massimo. Se tu pensi ai parcheggi, a
quella distesa di macchine spesso infinita. Ecco, non potrai che concordare
con me che sono bruttissimi. Nove volte su dieci sono dei luoghi orrendi.
Allora cosa voglio dire con questo. Non è la somma di cose straordinarie,
posizionate con ordine, pulite e a basso consumo che rendono interessante
e bello uno spazio. Sarebbe troppo facile. L'architettura oggi la vedo un po'
così. Come un grande parcheggio. Un grande parcheggio dove si contano
tante casette con prestazioni certificate tutte uguali ma un po' diverse. Si prende nota di quanti chilometri si percorre con un litro di carburante e si urla
CasaClima. CasaClima A, Oro, Platino. Si affiancano prestazioni eccellenti a
design eccellenti e si fanno le città. Ma cosa rimane poi di tutte queste eccellenze? Un parcheggio. Non c'è dialogo tra le "cose". Case straordinarie si
affiancano a case straordinarie. Ma non c'è relazione. E' tutto slegato. Chiuso
nel proprio io. Ci sono Ferrari, Mercedes, Bmw e poi le imitazioni di Ferrari,
Mercedes, Bmw. I nostri colleghi vedono la città come un insieme di performance. Case costruite seguendo l'ordine, la geometria, il design, le prestazioni. Insomma quello che sto cercando di dirti è che stiamo perdendo la relazione con il territorio, con il mondo. La città è prima di tutto relazioni. Relazioni
che si sono materializzate. Via Bottai, Piazza delle Erbe. Hai mai visto Piazza
Clima? Guarda qui sotto. Potrebbe essere così questa piazza se non vendessero la frutta e la verdura? Avrebbe lo stesso fascino con i prodotti di
Dolce&Gabbana, Prada o Gucci? Eppure quello è il massimo. I prodotti
avrebbero un valore pari a mille volte quella banana che si vede laggiù. Sai
cosa ti dico? Nonostante la matematica dica meglio Prada, io penso che non
sarebbe la stessa cosa. L'unicità di questa piazza è nella quotidianità dei
gesti, degli odori delle relazioni. Oggi è sabato. Un giorno speciale. Un coacervo di relazioni complesse. Il territorio, il clima, le persone, gli animali. Per
molto tempo ci hanno fatto credere che l'architettura fosse un problema geometrico, poi che fosse un problema sanitario. Ora ci dicono che è un problema tecnico ambientale. C'è sempre una priorità da inseguire. Magari diventa
la giustificazione per demolire. Qualcuno vorrebbe farci credere che è più
sostenibile una CasaClima Oro rispetto a una casa del '600. Pazzi! Già la
sostenibilità. Un vero pasticcio. Ormai sono anni che ne parlo. Non c'è soluzione. Lo sai come la penso. Il destino è segnato. Consumiamo meno, ma
consumiamo di più. Quindi boom. Oggi venendo in studio ho fatto il giro da
via Streiter. Lì c'è il negozio di giocattoli. Quello dove abiti tu.
C.D.: Chi, Gutweniger?
U.S. Esatto Gutweniger. C'erano due giocattoli interessanti. Uno era in legno. Sulla
scatola una scritta diceva circa così: “giocattolo sostenibile, zero emissioni di
CO2”. Poco più in là, c'era un giocattolo in plastica. Simile. Sulla scatola era
scritto: “giocattolo sostenibile, zero alberi tagliati”. Vedi è un pasticcio. Legno e
plastica. Tutto è sostenibile. Niente è sostenibile. Si prendono le coscienze. Già
da bambini ti confondono. Ma, hai capito quello che voglio dirti? È importante.
Lo devi raccontare ai tuoi studenti. La città non è quella roba lì che vogliono
farci credere. La città è un insieme di relazioni. È un insieme di racconti che si
stratificano nell'abitare. E l'abitare altro non è che l'azione consolidata.
Insomma volevo dirti che forse scriverò un libro su "L'abitare non è un parcheggio". Ciao, salutami il piccolo. A presto.
Claudio De Luca
Prof. Arch. Facoltà di Design e Arti, Università di Bolzano
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Coltivare speranze
Nel nostro tempo sovreccitato e assordante Ugo Sasso ci ha insegnato a coltivare tranquille e salde speranze.
Rendere questo mondo degno e amabile, creare città e spazi di vita sani e
sostenibili; anche questo era il lavoro di tutta la suo vita. E non sono solo esempi costruiti; il suo merito è soprattutto l'impegno di diffusione di questi ideali e di
questo stile di vita.
Ugo in particolare ha ispirato le persone: molti in Italia e oltre confine sono stati
contaminati dalle iniziative di Ugo.
Conferenze, seminari, viaggi, pubblicazioni quali la stessa rivista
Bioarchitettura; Ugo non li ha mai fatti da solo, ma sempre insieme. Quando
penso ad Ugo Sasso, penso anche Wittfrida Mitterer. Questo binomio sembrava invincibile e incrollabile.
Vedo Ugo davanti a me con il suo sorriso tranquillo, all'apparenza in disparte,
ma di discreta e forte presenza e guida esperta. In tutti gli eventi in cui ho avuto
l'occasione di partecipare Ugo sapeva tirare le fila del discorso. Anche nelle
situazioni più difficili ha saputo guidare verso la visione d'insieme in modo amichevole e divertente, senza mai alterarsi, ma appunto in maniera sapiente e
curata, tutta italiana, indicando il percorso in avanti.
Il migliore modo per rendere onore ad Ugo sarà portando avanti i suoi obiettivi
e ideali con tutta la forza a nostra disposizione.
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Herbert Dreiseitl
Architetto paesaggista, Überlingen (D)
L’amicizia ritrovata
Primo incontro con Ugo: 1976, corso di abilitazione all’insegnamento per entrare nei ruoli dell’amministrazione scolastica statale. Con la mia automobile, la
mitica Fiat 500, una volta alla settimana ci si recava a Trento per partecipare al
corso. Nacque l’amicizia.
L’anno 1978 ricerca della casa. Ugo mi mette a disposizione il suo alloggio, da
cui traslocava per via Rosmini, tenendo però la disponibilità di una stanza dove
erano affissi i suoi quadri più significativi. Era una bellissima compagnia per il
sottoscritto ancora scapolo.
Ottobre 1978: tentativo di smettere di fumare con il metodo della riduzione programmata. Incontro con suo padre, figura minuta ma determinata. Mi diede il
consiglio: se vuoi smettere devi smettere, non ridurre. Mai consiglio fu migliore
e risolutivo.
Anno 1989, decisione storica: uscita dalla scuola per dedicare il tempo alla libera professione, anche Ugo prende la medesima decisione.
L’incontro professionale tra noi due prende un avvio incerto, perché da parte
mia manifesto scetticismo sul tema che poneva Ugo: il mondo della
Bioarchitettura, troppo lontano, all’epoca, dalla sensibilità di un ingegnere.
Dicembre 2008: dopo quasi venti anni, durante i quali le nostre strade, praticamente, non si incontrarono, ci si ritrova, si rinnova la stima reciproca ed il forte
desiderio di lavorare assieme. Nasce un piccolo ma importante e significativo
lavoro: il monumento rievocativo della storica vicenda della funivia del Colle.
Per la testa incominciarono a frullarci idee di grande interesse per la mobilità
della città di Bolzano, che purtroppo furono interrotte dalla improvvisa e tragica
vicenda.
Adriano Ferro
Ingegnere, Bolzano
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Funziona così...
Pragmatismo ideologico. In sintesi, la locuzione che meglio rappresenterebbe la figura di Ugo Sasso se si dovesse provare a riassumere le attitudini di colui che ha segnato, con la sua filosofia, la vita professionale di molti colleghi come me.
Ideologico nell’accezione più vicina al significato di ideologia quale scienza delle idee
e delle sensazioni. Ma anche pragmatico nel modus operandi, tutto teso all’invenzione di azioni, successioni, relazioni indirizzate al nuovo ed all’antico allo stesso tempo.
Era il Suo modo di affrontare d’istinto i fatti, di primo impatto, sia fossero convegni,
corsi, libri, progetti. Ecco quello che lo distingueva dalla maggioranza delle personalità che come lui si trovano avvolte nella vita, sia per caso che per destino, a dominare fenomeni culturali di larga scala come quello che Sasso propagò per il Paese tra
gli ottanta e i giorni nostri. Era la prima domenica di gennaio del 2009 quando, al cellulare, mi si comunicava dell’incidente che interruppe la fervida vitalità di un architetto
– giornalista che aveva fatto della Bioarchitettura la sua ragione di vita. Avevamo riflettuto lungamente qualche settimana prima sul senso che avrebbe dovuto assumere
l’imminente progetto di promuovere l’istituzione del primo premio nazionale di
Bioarchitettura. Ancora nel mio cassetto sta la lettera di un importante carica dello
Stato che avallandone l’ideazione si complimenta in attesa di sviluppi. Già allora sembrava tautologico premiare l’architettura se, o solo se, biologica. Lo sforzo sarebbe
consistito quindi nello sviluppare la complessità esistente tra biologico e logico, utile e
superfluo, bioarchitettonico e razionale: “Bottega” diceva in quei giorni, “è arrivato il
momento di riuscire a far crescere questo Istituto”, riferendosi al celeberrimo I.N.B.Ar.
E pensare che nel 2005 a Bologna proposi la creazione di una Commissione
Congressuale. Forse i tempi non erano ancora maturi e Ugo trasalì. Ne era passata
di acqua sotto i ponti anche da quando nel 2002 scese a Fontanarossa accompagnato da Lucien Kroll e io lo accolsi con il saluto militare… oltre 700 registrazioni ed un
migliaio di partecipanti al Convegno del 22 aprile di quell’anno “Habitat urbano e città
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paese” (AA.VV. a cura di Francesco Ferrara, Quaderni Bioarchitettura, A.B.TAT,
Catania, 2003). Fu uno shock per l’accademia locale, e motivo di preoccupazione
mista a curiosità per il mondo delle professioni, che per la prima volta assistevano ad
simile exploit mediatico con la partecipazione di Regione, Industriali, Costruttori,
Università. La bandiera era issata: si trattava di costituire la ciurma.
Mi sembra quindi questa l’occasione per attivare una fase rinviata ormai oltre ogni
tempo supplementare: re-inventare o ri-cominciare a pensare come negli anni Ottanta
quando Ugo coniò il suo neo-logismo Bioarchitettura. Ripartiamo così dalle sue ultime, inedite affermazioni di Agrigento nel 2008, quando affermò: “L’obiettivo è unico e
multiforme: noi non dobbiamo più progettare edifici, ma progettare relazioni… progettare edifici è standardizzabile… il lavoro dei futuri architetti sarà quello di recuperare
la realtà progettando relazioni… parrebbe che negli ultimi dieci anni ci sia mossi verso
una tensione ecologica… non è importate conoscere quanti soldi si possano risparmiare con un tetto fotovoltaico [piuttosto] è fondamentale sapere cosa ne facciamo di
quei soldi”.
E ancora, il paradosso del parcheggio: “Se pensiamo all’oggetto che oggi rappresenta meglio la nostra epoca non possiamo non riferirci all’automobile: quanta ricerca tecnologia nasconde! Design, innovazione, marketing; le automobili sono bellissime,
quanto però bruttissimi i parcheggi. Tanti oggetti bellissimi riuniti insieme, danno vita
ad un luogo orribile… come si migliora dunque un parcheggio? Non certo parcheggiando una Lamborghini, ma realizzando un tessuto connettivo: per esempio, semplicemente, con del verde. Il compito degli architetti è sperimentare, inventare e modificare? O semplicemente disegnare luoghi accoglienti. Il mandato della società qual è?
Quello di creare nuove forme o quello di fare in modo che un luogo sia vivibile... Quali
sono gli elementi che fanno di Agrigento, Agrigento?” Poi, quando il dubbio ti assaliva
e chiedevi a Ugo: e la Bioarchitettura? Lui esordiva con il fatidico: “Funziona così…”.
Francesco Ferrara
Architetto, Catania
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Umanità ed etica
Come non pensare ad Ugo ora che la Bioarchitettura, per la divulgazione della
quale lui ha fatto e lottato tanto, è diventata una disciplina quasi imprescindibile per qualsiasi nuova costruzione o intervento di risanamento.
Come non ricordare quegli espressivi occhioni azzurri così profondi e luminosi
come i suoi pensieri ma anche come il mare che lo ha improvvisamente ed
ingiustamente inghiottito.
Come non rimpiangere l’accrescimento morale ed intellettuale che lasciavano i
suoi incontri, come non ricordare l’umanità e l’etica di quel bell’uomo colto, simpatico, sempre disponibile capace di mettere tutti a proprio agio. Perché, perché, continuo a chiedermi, il destino si accanisce contro gli uomini migliori?
Ci ha lasciato un grande vuoto fisico ma intellettualmente è e sarà sempre con
noi. Quanto ha fatto e divulgato lo rende immortale; continua infatti a vivere nei
suoi libri nella rivista, negli allievi degli allievi…
Una cosa è certa sarà ricordato sempre con grande stima ed affetto oltre che
con il rimpianto per la sua avventura terrena durata troppo poco.
Ci accomunavano molte cose, eravamo entrambi allievi di Carlo Scarpa che
aveva fortemente inciso su entrambi.
Mi struggo pensando a quanto ancora avrebbe potuto raccontarci, insegnarci,
condividere…
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Barbara Fornasir
Architetto, Trieste
Semplicità genuina
Da bambino costruivo continuamente delle casette con il materiale edile dell’impresa di mio padre, però la mia passione era quella di costruirle sugli alberi e
quelle poche che realizzavo a terra erano fatte in argilla e ricoperte d’erba.
Da adulto ho sempre ricordato con limpidezza le miei costruzioni e mi sono
posto delle domande: perché le costruivo in quel modo e non utilizzavo tutti i
materiali industriali disponibili nel magazzino?
Ugo con la sua visione del mondo mi ha aiutato a dare una risposta: per me era
innata la ricerca di difendermi dalla natura con la natura.
Uberto Fortuna Drossi
Libero professionista, Gorizia
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Uno spazio speciale
Ero un ragazzo di 14 anni, terminate le scuole medie mi iscrissi alle superiori.
Lì conobbi il mio docente Ugo Sasso. Noi studenti avevamo pensato, fino a quel
momento, che la materia di disegno tecnico fosse un passatempo, nulla di difficile e poco importante.
Ricordo la prima volta che Ugo entrò in classe, un uomo alto, giovane, asciutto, un viso serio e sereno, una voce forte e decisa con una voglia di fare nuova.
Ci presentò il programma annuale parlando di proiezioni ortogonali di figure
piane e solidi, arabo per le nostre orecchie, ma capimmo subito che quell’insegnante, anche se giovane, era tosto e certamente non ci avrebbe permesso di
trascurare la sua materia d’insegnamento. Devo dire che di ore ne ho passate
tante attaccato al tecnigrafo, disegnando di notte, lasciando lo studio alle ore
diurne.
Allora Ugo era serio sul lavoro, comprensivo con chi non capiva, inflessibile con
i pochi alunni svogliati, ma quello che importa è che con il suo insegnamento
avevamo imparato a tenere in mano una matita, a capire i disegni e incominciato a disegnare con la china a mano. Lo ebbi come insegnante per due anni e
devo dire che grazie a lui riuscii a trovare come primo impiego un posto di disegnatore. Purtroppo, non lo rividi più per molto tempo.
Nel settembre del 2008, mentre ero in ufficio, ricevetti per lavoro una telefona
da un certo arch. Sasso, persona che riconobbi subito dalla voce come il mio
prof di disegno, ci dammo appuntamento nel mio ufficio per il giorno seguente.
Quel giorno, riconobbi Ugo subito, certo gli anni erano passati, qualche ruga in
più segnava il suo volto, molti i capelli in meno, il fisico sembrava quello di allora, ma quell’espressione di entusiasmo nel lavoro non gli era passata, sembrava essere il motore della sua vita. Ricordo che sorrisi dicendogli: “Prof, non ci
sarà mica un altro compito in classe di disegno, perché realmente non sono
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pronto, gli anni mi hanno arrugginito”. Lui rispose al mio sorriso e mi osservò
attentamente riconoscendomi.
Ricordammo insieme molto di allora, con gioia e allo stesso tempo con nostalgia, non per i ruoli che rivestavamo, ma per la giovane età che non c’era più. In
quei mesi abbiamo collaborato, in gruppo con altri, alla realizzazione di alcuni
progetti, stavamo ancora lavorando insieme quando un’onda nascose per sempre il suo viso, la sua voce, la sua voglia di vivere.
Lo porto nel cuore come molte altre persone, ma a lui ho lasciato uno spazio
speciale, quello riservato ad un vero amico.
Ciao prof, ciao Ugo.
Franco Forrer
Tecnico del Comune di Bolzano
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Definire e condividere
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Da molti anni le ricerche e gli interessi del nostro Dipartimento (Configurazione
e Attuazione dell’Architettura di Napoli) erano già orientati verso un chiaro obiettivo che, benché declinato da più parti secondo tendenze teoriche, studi scientifici e approfondimenti progettuali differenziati, si identificava nella scoperta di
un modo più ecologico di affrontare i temi complessi dell’architettura e del
costruire.
Nei ricordi, sin dai primi anni di studio presso la facoltà di Architettura di Napoli,
le mie scelte formative, consentite dagli ordinamenti universitari di allora, si
erano soffermate su alcuni corsi di insegnamento che miravano proprio allo studio e alla sperimentazione nel campo dell’architettura bioclimatica e della progettazione ambientale e, ancora giovanissima e desiderosa di confrontarmi con
quanti più aspetti possibile del mondo delle costruzioni, mi lasciai guidare da
Virginia Gangemi e da Gabriella Caterina - allora giovani professoresse di
Tecnologia dell’Architettura presso l’Università “Federico II” di Napoli - verso i
nuovi confini della casa solare passiva, degli insediamenti ecologici e del rapporto tra costruito e natura.
Tuttavia è stato dal brillante incontro del nostro gruppo di studio - cui nel frattempo avevo aderito una volta laureata - con Ugo Sasso, che si sono moltiplicate le potenzialità, verso il riconoscimento nazionale ed europeo, dei valori e
dei presupposti scientifici della Bioarchitettura: Ugo ci ha fornito la chiave di lettura di una serie di manifestazioni di sviluppo sostenibile, che pur altri seguivano secondo quanto avevo potuto osservare in seguito alla mia partecipazione,
sin dal 1982, ai convegni internazionali del PLEA, del REbuild, ecc; ci ha offerto la possibilità di riunire sotto un unico tetto i nostri obiettivi, le nostre ormai
consolidate competenze scientifiche e teoriche, i nostri più reconditi pensieri su
come l’architettura dovesse in qualche modo fare i conti con le risorse, con la
materialità e con la spiritualità del contesto, e non soltanto con la sua forma e
geometria. E a questo tetto ha dato un nome, che pur ricordando quello tedesco di Bau-biologie (Biologia della costruzione), assume tuttavia in italiano connotati più complessi, poiché contempla anche la forte risonanza del prefisso
bio, che in greco antico indicava la vita e che dunque richiama linee di percorso maggiormente legate ai principi del mondo vivente, al quale non solo apparteniamo noi esseri umani, ma una gran parte della terra stessa. In questo modo
le teorie ambientaliste più antiche insieme ai concetti più moderni di Ecological
Footprint (l’impronta ecologica, M. Wackernagel e W. Rees), di Carrying
Capacity (Carico ambientale, Hermann Daly) e di Global Warming (riscaldamento globale, IPCC, Intergovernamental Panel on Climate Change) rientrano
a gran voce all’interno del nostro mestiere, rendendo indispensabile, se non
impossibile da evitare, il confronto con la terra e con le sue componenti biotiche
e a-biotiche. Con la sua definizione di Bioarchietttura, Ugo ci ha dischiuso il
cammino verso un percorso da seguire in comune, poiché non solo ha consolidato e sistematizzato una serie di concetti che prima di lui venivano in Italia
raramente affrontati, in comunione con l’Europa, da illuminati studiosi (ad esempio Sergio Los a Venezia), ma soprattutto ha fondato un’Associazione, e ha
voluto condividere con tutti noi che abbiamo aderito con coraggio e grande interesse intellettuale alla sua iniziativa, il piacere di diffondere e sostenere i principi della cultura del costruire ecologico. Ancora il merito all’architetto Sasso,
quale grande maestro del nostro tempo, di aver contribuito a mettere luce sui
numerosi concetti che affiancano la produzione e la progettazione dell’habitat,
delineando in modo netto la distinzione tra ecosostenibilità e biocompatibilità,
col definire la prima come la capacità di sistemi costruiti alle varie scale di controllare le questioni globali dell’ambiente naturale e culturale e nell’identificare
la seconda con la sfera di opzioni progettuali che intende favorire, proteggere
e garantire tutte le esigenze dell’utenza e della sua vivibilità.
Infine vorrei ricordare a tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ma solo attraverso i suoi numerosi e illuminanti scritti, che la
sua personalità complessa, profonda, serena e disponibile al confronto e alla
condivisione, ma soprattutto piacevole e coinvolgente, ha reso il lavoro, la
discussione, la partecipazione alle attività insieme con Ugo, per me, come
momenti di estrema gioia e gradimento.
Dora Francese
Prof. Arch. Facoltà di Architettura, Università Federico II, Napoli
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Di primo mattino mattino
Ci siamo conosciuti nel 1999 con Ugo, in occasione della costituzione della
Sezione di Bioarchitettura di Firenze. Per conoscerlo meglio, ho partecipato ad
un “Viaggio”. Credo fosse il secondo, organizzato da Bioarchitettura.
Ci eravamo iscritti poco prima all’INBAR, non molto, eppure quando partimmo
da Bolzano per la Germania con il bus di Johannes era come se mi avesse
conosciuto da sempre.
Si parlò molto durante il viaggio, soprattutto la mattina presto. Mi svegliavo
all’albeggiare, gironzolando fuori dai luoghi di “posta” e a quell’ora spesso ci si
incontrava per scambiarci opinioni su molte cose: vari temi, da quelli architettonici all’ambientalismo, dalla morale all’etica, convenendo sulla necessità che si
potesse formare una nuova generazione di architetti, più preparati e più consapevoli dell’importanza del loro ruolo .
Ho ascoltato molto, apprezzando la pacatezza e i modi gentili del mio interlocutore, la grande disponibilità a discutere e la poca attitudine a cambiare idea
facilmente doti che ho apprezzato col tempo e che mi tornano spesso in mente
come le dissertazioni mattutine in terra “todesca”. Ricordi indelebili di un periodo tanto piacevole quanto breve.
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Ugo Sasso durante uno dei Viaggi di Bioarchitettura, 2005.
Piero Funis
Architetto, Firenze
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Fare architettura
Ho avuto la fortuna di incontrare Ugo Sasso e di lavorare per qualche tempo
con lui.
Come lo ricordo?
Era il convinto promotore di un processo formativo nell’architettura fondato
non solo sulla tecnica e sull’innovazione tecnologica ma anche sull’ecologia e
sulle scienze della vita: solo così l’architettura diventa capace di rendere più
umana la città, attraverso (innanzitutto) il recupero della sapienza della natura. Pur essendo fortemente attento alla dimensione culturale del progetto, non
lo interessava l’architettura “raccontata” ma quella effettivamente “fatta/realizzata”.
Persona tenace nel sostenere con convinzione le proprie idee, anche se in
modo attento ad altri punti di vista, e garbato, era più interessato all’essere
che all’apparire. Rifiutava formalismi e burocrazie, perché cercava la verità
essenziale delle cose.
Instancabile promotore di una visione della qualità fondata sulle relazioni e
sulle connessioni delle singole parti con il tutto, non solo nella
architettura/città ma anche nella vita, era il promotore di una visione sistemica del progetto di architettura, che non confligge con l’ecosistema, ma con
esso co-evolve, in modo dinamico ed adattivo: una visione di architettura
come un organismo vivente e non come una meccanica sommatoria di parti.
Con la sua improvvisa scomparsa è venuto meno un caro amico, capace di proporre energia e stimoli fecondi, in particolare per le più giovani generazioni.
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Luigi Fusco Girard
Prof. Arch. Facoltà di Ingegneria, Università Federico II, Napoli
Semplicità poliedrica
Ugo Sasso era Vicepresidente del Curatorium per i beni tecnici culturali sin
dalla sua fondazione.
Era una mente eccellente che con approfondita cognizione di causa sapeva
dare nuovi spunti di riflessione e di iniziative.
Ha accompagnato l’attività del Curatorium per quasi 20 anni con la sua attitudine di fare e di parlare in modo sovrano ed equilibrato.
Collaborare con lui era un piacere. Lavorava in modo intenso e stimolante.
Proprio la sua specializzazione in Bioarchitettura lo metteva in condizione di
esprimere il suo pensiero in modo convincente sia in forma parlata che per
iscritto.
Oltre alle sue precise formulazioni nella sua madrelingua riusciva spesso a dare
anche spunti determinanti per una esatta formulazione in lingua tedesca.
Era sempre in cerca di nuove vie e soluzioni, lontane da quelle tradizionali.
Ha mantenuto sempre la capacità di meravigliarsi e di rallegrarsi di fronte ad
aspetti sorprendenti ed inattesi della nostra esistenza.
Era una persona squisita, che ci mancherà per sempre.
Klaus Kemenater
Presidente Curatorium per i Beni Tecnici, Bolzano
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La pausa caffé
Non è facile parlare al passato di Ugo Sasso, amico tenero e presente, maestro instancabile e generoso.
Lo avevamo conosciuto nel settembre del 2003. Era il nostro primo vero lavoro dopo la laurea: per molti mesi abbiamo lavorato fianco a fianco nella sede
bolzanina dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, mesi durante i quali abbiamo imparato a conoscere umanamente e culturalmente un uomo dal fascino
non comune. Era instancabile: passava con abilità dalla progettazione alla
redazione di articoli, dalla direzione della rivista Bioarchitettura all’organizzazione di corsi, incontri e convegni. Era un architetto bravo e appassionato, un
bravo pittore, un oratore tenace, capace di condurti per ore attraverso le tesi e
la complessa filosofia dell’architettura che negli anni era andato elaborando.
Il momento più bello della giornata, al quale ripensiamo spesso con un sorriso
di malinconia, era la pausa caffè: Ugo trasformava quei pochi passi tra l’ufficio
e la caffetteria in una piccola lezione di architettura, scoprivamo vicoli, scorci,
simmetrie e asimmetrie degli edifici storici e poi ne discutevamo per ore. E dall’architettura si passava alla storia, alla filosofia, ai pensieri e ai racconti personali. Ugo sorrideva quando gli dicevamo che dopo quella greca c’era la sua
scuola peripatetica.
Tornati a casa nell’estate del 2005, dopo l’esperienza bolzanina, abbiamo passeggiato con Ugo per i vicoli di Napoli dove accompagnandolo a corsi e a conferenze e di Roma dove abbiamo partecipato con orgoglio al suo primo corso
bioclimatico post laurea, ma nello scrigno dei ricordi più belli rimane un’incantevole serata di fine estate a Sorrento. Quel giorno Ugo aveva avuto una serie
di appuntamenti a Napoli, noi andammo a prenderlo a via Monte di Dio e tutti
e tre assieme decidemmo di andare a Sorrento per una passeggiata e una
pizza. Gli mostrammo gli angoli più belli della nostra città delle vacanze, poi,
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sempre a piedi, raggiungemmo la marina Grande, il porticciolo dei pescatori.
Nessuno dei tre voleva andare via: rimanemmo per tanto tempo su quelle
scale a guardare il mare e a raccontarci ricordi e pensieri.
Ugo era l’amico che aveva sempre un consiglio saggio, una parola affettuosa,
un sorriso che ti accarezzava l’anima nei momenti di tristezza e in quelli di
gioia.
Per l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, la sua creatura, ci auguriamo che riesca a portare avanti i suoi ideali, la sua visione colta e sensibile dell’architettura, ma a noi stessi auguriamo che la patina del tempo non faccia mai sbiadire
la sua immagine e il suo sorriso.
Salvatore Gammella e Ginevra De Colibus
Architetti, Sarno (SA)
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Passione pionieristica
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Ho conosciuto Ugo Sasso agli inizi degli anni ‘90, e devo questo contatto ad
una brillante laureanda in Architettura, Elvira Tortoriello, che aveva in corso una
tesi di cui ero relatore, sui temi della Bioarchitettura. Nel corso dei suoi studi, la
giovane ebbe modo di assumere informazioni in merito all’attività di Ugo Sasso.
In quella occasione Ugo venne a conoscenza delle nostre attività presso
l’Università Federico II di Napoli in tema di tutela e progettazione ambientale, e
mi invitò così a tenere una lezione in un corso da lui organizzato a Bolzano.
Il mio viaggio a Bolzano rese possibile l’incontro con Ugo e Wittfrida. Fui immediatamente colpita dalla personalità carismatica di Ugo, dall’energia e vitalità di
Wittfrida e dalla loro complementarietà nello sviluppo del percorso che aveva
portato alla creazione dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura. Nacque con loro
un rapporto di profonda intesa e di condivisione che sfociò nell’attivazione, nel
1993, della sezione di Napoli dell’INBAR. Da quell’anno si rafforzò un rapporto
segnato da frequenti incontri, in occasione dei Convegni internazionali promossi con continuità a Napoli dalla nostra sezione con la sigla “Progetto Abitare
Verde”, nei quali la partecipazione di Ugo rappresentava un evento costante,
con l’apporto di Wittfrida che metteva in moto i meccanismi della comunicazione, per trasferire sulla stampa locale i risultati del Convegno, aiutandoci a vincere le pesanti inerzie dei media, con la sua professionalità e con la sua germanica determinazione.
Ugo e Wittfrida erano da noi percepiti come portatori di una cultura innovativa
che proveniva dal nord-Europa, ed aveva in quei luoghi a nostro parere una felice attuazione, dal momento che frequentemente nei nostri Convegni relazionavano progettisti di quei paesi che presentavano loro opere realizzate, nelle quali
si riflettevano pienamente i principi teorici e metodologici e le strategie che
erano già presenti nei nostri scritti, ma senza purtroppo riscontri significativi nei
nostri territori. Gli interventi di apertura dei Convegni, da noi promossi, tenuti da
Ugo Sasso, avevano la capacità di suscitare entusiasmo, soprattutto nei giovani, che coglievano nelle sue parole passione e competenza e comunque un
messaggio di speranza, anche per i nostri luoghi.
Le prime esperienze concrete che la nostra sezione riuscì a realizzare nei primi
anni hanno riguardato interventi di piccole dimensioni che tuttavia hanno assunto un significato simbolico particolarmente rilevante. Nell’area di Bagnoli, dalle
straordinarie qualità paesaggistiche e naturali, con un litorale purtroppo per
anni contaminato dagli altiforni dell’Italsider, (un complesso siderurgico sorto in
un luogo magico, deturpato dalla presenza di macrostrutture industriali e da
processi di inquinamento ambientale) ha inizio, a seguito della chiusura dello
stabilimento dovuta alla crisi del settore siderurgico, un processo di bonifica,
purtroppo a tutt’oggi ancora non definitivamente concluso.
Nei litorali, liberati dagli impianti industriali, nascono i primi stabilimenti balneari, che vogliono proporre, per quei luoghi, un’immagine nuova. Nel 1994, il
gestore di uno stabilimento balneare di Bagnoli, “l’Arenile”, chiese alla nostra
associazione di predisporre per la sua struttura una planimetria di progetto in
linea con i principi della Bioarchitettura. La nostra proposta di sistemazione dell’area prevedeva la costruzione di una struttura realizzata in legno, canne di
bambù e canapa, che ricopriva una gradinata in mattoni di laterizio assemblati
a secco, totalmente reversibile, in modo da smontarla nei mesi invernali e
rimontarla in estate. L’installazione, denominata “Torre del vento”, aveva la funzione di raffrescare la spiaggia, canalizzando con la sua particolare forma le
brezze marine. Per la realizzazione della struttura, riuscimmo ad ottenere la collaborazione di una ditta che costruì materialmente l’opera, accollandosene integralmente le spese. Una volta realizzato l’intervento, le fotografie della “Torre
del Vento”, segno del riscatto di un’area a forte vocazione turistica, impropriamente destinata a zona di sviluppo industriale, furono pubblicate da molti giornali e riviste. Questo progetto fruttò al suo autore, Cherubino Gambardella, il
premio “Opera prima 1996” promosso dalla Andil-Assolaterizi ed il premio di
Architettura “39” della Academy of Architecture di Los Angeles. Ho voluto ricordare in particolare questo intervento, legato alla fase della nascita della nostra
sezione, perché contrassegnato dalla stessa passione pionieristica che caratterizzava in quegli anni l’opera di Ugo Sasso, di cui avvertivamo pienamente la
vicinanza intellettuale.
Il nostro impegno attuale, per onorare la sua memoria, è essenzialmente rivolto nella direzione di non disperdere il patrimonio di idee e di risorse che ci ha
lasciato, augurandoci di poter proseguire un percorso che ci conduca a raggiungere traguardi che sarebbero stati da lui condivisi ed apprezzati.
Virginia Gangemi
Prof. Arch. Facoltà di Architettura, Università Federico II, Napoli
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Crescita professionale
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Conobbi Ugo Sasso nel 2000 a Gubbio, mi ero iscritto ad un corso di
Bioarchitettura e affascinato dalla materia mi recai appunto in quella città per
iniziare quella che dentro sentivo come una grande opportunità professionale.
Quel corso era diretto da Ugo Sasso e mi ricordo, come oggi, che nel giorno
della presentazione, dalle parole che Ugo disse per presentare i temi e i colleghi che avrebbero tenuto le lezioni, ebbi subito l’impressione di trovarmi davanti, prima ancora che un grande architetto conoscitore come pochi della materia,
una persona aperta al dialogo, dalle componenti umane eccezionali. Prima
ancora che un grande architetto Ugo era una persona che ti metteva a tuo agio
e insieme a te voleva intraprendere un percorso di studio, di ricerca, e nonostante la sua straordinaria padronanza della materia aveva la straordinaria
capacità di non stare sul piedistallo dell’insegnante e lasciarti in quello dell’alunno. Ugo ci seguì magnificamente in quel corso, e al di là dei validi insegnamenti dei docenti, le sue “interruzioni”, i suoi “suggerimenti”, le sue “riflessioni”, mi
aprirono un mondo professionale incredibile, quei concetti che Ugo Sasso con
semplicità, con chiarezza, ci aveva espresso durante i mesi del corso, segnarono profondamente il mio cammino professionale e non solo il mio ma credo
anche di tanti altri partecipanti al corso.
Decisi di proseguire la strada professionale che avevo iniziato a Gubbio e l’anno dopo mi iscrissi al laboratorio progettuale. Anche lì fu una sorpresa positiva
e continua, ascoltare Ugo che con semplicità ma con una straordinaria padronanza della materia ti apriva ogni volta un mondo nuovo, ricco di opportunità,
di nuove conoscenze.
Devo dire con tutta onestà che era sempre un piacere ascoltare le lezioni di
Ugo, mai noiose, i suoi semplici ma efficaci concetti ti aprivano un poco alla
volta ad un mondo di cui avevi sempre sentito parlare ma che mai nessuno così
efficacemente riusciva a spiegarti. Aveva la capacità, la grande capacità, di rendere semplice ciò che in realtà era il frutto di un grande e complesso meccanismo, di una grande cultura che stava alle spalle di quei semplici ed efficaci concetti, un nuovo mondo dell’abitare, un corretto fra le attività umane e l’ambiente circostante. Ogni volta che ascoltavo le lezioni di Ugo riflettevo che dietro
quei concetti espressi cosi efficacemente e comprensibili anche ai profani della
materia non poteva esserci solo e soltanto un percorso professionale seppur
importante, ma anche una diversa visione di ciò che ti stava intorno, insomma
una grande cultura che non era fatta solo di conoscenze tecniche e soluzioni
architettoniche rispettose dell’ambiente ma andava ben oltre a ciò che in quel
momento Ugo trasmetteva con le sue lezioni.
Ho un aneddoto bellissimo di quel periodo, un giorno insieme ad un collega
ingegnere riflettevamo sui temi del corso e venne spontanea ad entrambi que-
sta riflessione: “Certo che quelle cose che fino a qui abbiamo appreso, possono essere poche o tante, indipendentemente dalla validità dei docenti che fino
ad ora abbiamo ascoltato, portano la firma più di tutti di Ugo Sasso”. Era una
riflessione spontanea che avevamo ascoltato anche da altri colleghi partecipanti al corso.
Il rapporto con Ugo continuò anche dopo il termine del corso, cercai di coinvolgerlo in alcune attività della città dove operavo e nel frattempo cercai di seguirlo nei suoi convegni quando non erano troppo lontani da casa mia. Insieme ad
Ugo e ad altri colleghi lavorammo in particolare ad un grande progetto abitativo per la mia città e ad un innovativo regolamento di bioarchitettura sempre per
la mia città.
Quando appresi della sua morte e di come accadde, fu per me un grande dolore, capii che oltre ad un grande maestro era scomparso anche un amico ma un
po’ ironicamente pensai che il personaggio Ugo Sasso non poteva andarsene
come tutti e che anche nella morte come nella vita Ugo Sasso aveva lasciato
un segno indelebile della sua presenza.
Ancora oggi quando penso a Ugo, al suo lavoro, ai suoi insegnamenti fatti di
semplici e chiari concetti, alla sua umanità, alla sua amicizia, penso che quelle
tante o poche cose che so le ho apprese più di tutti da quel maestro che egli
era e questo è il ricordo più bello che ho di lui.
Maurizio Giannotti
Architetto, Gabicce Mare (PU)
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Vivere il proprio tempo
Il compianto architetto Ugo Sasso era un uomo che si era continuamente chiesto qual è il senso della vita, il senso del mondo, per quale lui come architetto
era chiamato a costruire delle case. Il mondo è grande casa della vita, per questo lui come professionista aveva fondato la Bioarchitettura, un’architettura per
la vita, che si chiede prima di progettare qualche costruzione cosa favorisce la
vita, cosa è al servizio dell'uomo, creato per coltivare e custodire il grande giardino della terra.
Nella lettura della Genesi ci vengono raccontate le prime quattro giornate della
Creazione. Sappiamo che non si tratta di un'esposizione scientifica, ma di un
testo didattico che ha lo scopo di approfondire il rapporto dell'uomo con Dio,
dell'uomo inserito nel contesto di tutta la Creazione, opera dell'amore divino.
Dopo ogni giornata è detto che Dio vide ed era cosa buona. Papa Giovanni
Paolo II l'aveva commentato così: ”Lo sguardo di amore di Dio riposa su tutto
ciò che ha creato. Dio con la Creazione ha assunto una relazione con ogni
creatura”. Per cui anche l'uomo, creato ad immagine di Dio e corona di tutto il
Creato, è chiamato a vivere in relazioni.
La prima cosa che Dio ha creato è la luce, perché Dio stesso è luce. L'occhio
umano è creato per la luce, e luce è il simbolo della bellezza. L'architetto è
chiamato a fare costruzioni belle, costruzioni sulle quali posa volentieri l'occhio
umano, dove l'uomo istintivamente dice: “Qui è bello, qui conviene stare.”
Proprio così come aveva esclamato Pietro quando era testimone della trasfigurazione di Cristo, quando ha visto il suo Signore e Maestro avvolto di luce.
La luce è anche l'elemento indispensabile per ogni vita, per la vita organica,
per il bios.
In aprile scorso l'architetto Ugo Sasso ed io abbiamo partecipato ad un convegno promosso della Conferenza Episcopale Italiana sul tema “Costruire bene
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per vivere meglio. L'edilizia del culto nella prospettiva della sostenibilità”.
Avevamo preparato insieme in una commissione questo grande congresso al
quale hanno partecipato 350 persone, in maggioranza architetti. Ugo Sasso ed
io eravamo fra i relatori del convegno.
Dopo la mia relazione Ugo Sasso mi avevo dato ragione, dicendomi che non
l'estetica e le soluzioni tecniche dovevano essere in primo piano nella progettazione di un edificio, ma la dimensione fondamentale dell'uomo, un essere
che vive nello spazio e nel tempo.
L'architetto deve quindi chiedersi in che modo l'uomo vive il suo spazio, in che
modo far entrare nelle sue costruzioni anche l'intero ambiente, ed in che modo
l'uomo vive il suo tempo: non un tempo accelerato come la nostra frenesia, ma
un tempo naturale in cui ci sia alternanza fra movimento e quiete, in cui si
rispettino delle stagioni. L’inserimento quindi dell'uomo nelle sue relazioni primordiali con tutto ciò che lo circonda, in cui l'essere umano possa aprirsi alla
relazione più fondamentale, quella dell'amore come risposta all'amore del
Creatore.
Karl Golser
Vescovo della Diocesi di Bolzano-Bressanone
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Anche oggi mi sei venuto in mente
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Il giorno della memoria è il modo dei vivi per festeggiare chi tra i vivi non è più
ed è prerogativa dei vivi il possedere la memoria. Penso che Ugo Sasso non
abbia bisogno della rievocazione che serbiamo ai defunti grazie alla viva ricchezza della sua ricerca dalla quale attingiamo quotidianamente. Proprio così,
la presenza di Ugo ci orienta a saper riconoscere la Bioarchitettura come arte
che ordina le relazioni tra le persone, lo spazio e il tempo nel rispetto dell’ambiente e delle risorse rinnovabili.
Seppur di breve durata, l’amicizia con Ugo si è rivelata così intensa e pregnante da farmi spesso sentire la mancanza di un confronto diretto con il suo essere uomo e architetto, magari seduti in un caffè, o chiusi in una macchina di ritorno da un laboratorio, o al telefono in audio conferenza; Ugo aveva il dono del
racconto capace di trasformare i problemi globali in pensieri di vita quotidiana,
di scomporre asettiche teorie in validi arnesi di lavoro senza mai assumere
atteggiamenti analitici di comodo nel rispetto della complessità organica dell’esperienza. Come non ricordare il concetto di perfettibilità semplificato con la
stalla trasformata in un ristorante; o quello di percezione illustrato con le mattonelle gialle di un bagno posate a regola d’arte, o la valorizzazione della stanza
elevata ad unità semantica dello spazio la cui effettiva qualità non è riconducibile alla somma dei suoi componenti ma alle relazioni tra di essi: le stanze costituiscono appartamenti, questi, condomini che formano quartieri, quindi città,
ovvero, tessuti urbani fatti di luoghi accoglienti e tra loro connessi. Per Ugo
Sasso l’accoglienza era la qualità fondante dell’architettura!
Avremmo voluto riscrivere la Storia dell’Architettura Moderna partendo dai due
principi universali della relazione e dell’accoglienza mettendo in discussione gli
stereotipi e le rigidezze ereditate dai Maestri del secolo scorso. Maestri che a
fatica Ugo assolveva anche se era pronto a riconoscerne la validità, come
accadde per quella riflessione sull’architettura integrata di Gropius che gli sottoposi: “[…] Ma il problema da cui in nessun modo vorrei apparire distaccato è
la comune condizione, in cui viviamo, di perdere il controllo della macchina del
progresso che la nostra èra ha creato e che sta cominciando a passarci sopra
e a schiacciarci. Intendo dire che il cattivo uso della macchina crea una mentalità di massa, che assimila le anime, che livella le disparità individuali distruggendo l’autonomia di pensiero e di azione. […]” (W. Gropius in Scope of Total
Architecture, 1955, traduzione italiana Architettura integrata, il Saggiatore, Mi
1963). “Vedi - mi dice ad un tratto - questo dimostra che abbiamo ragione e sai
qual è la cosa più bella? Non aver dovuto costruire molteplici edifici sbagliati per
comprenderlo”.
Provocazioni, spunti e modi differenti di pensare che oggi, più di ieri, tengono
insieme il mio essere architetto! L’affetto e la stima per Ugo Sasso si alimenta-
no giorno per giorno rivivendo gli schizzi elaborati insieme, gli appunti, i libri
scambiati, quelli da lui consigliati, i testi/testamenti che ha lasciato a noi tutti e
che sistematicamente prendiamo come riferimento per il nostro lavoro nel tentativo di realizzare un’architettura corretta. Scritti che sanno misurare i facili
entusiasmi ma lenire le sconfitte di chi continua in direzione ostinata e contraria. Non si tratta di “fare l’architetto”, mi diceva, ma imparare ad esserlo, come
intraprendere un viaggio simile alla lenta ricerca di una vita, poco propenso alle
lusinghe dei facili abbagli e alle celebrazioni per le composizioni confezionate
al di sopra delle reali necessità della gente. Quanto densa e complicata la tua
lezione! Quanta fatica a disimparare per ricondurre le persone e il loro bagaglio
di emozioni al centro dei nostri interessi architettonici, per seguire le tradizioni
millenarie dell’architettura e dei suoi valori sorridendo alle civetterie e agli affanni per emergere a qualunque costo.
Ora noi siamo in prima linea e abbiamo intrapreso questa irta strada, e Tu? Tu
come sempre ti proponi con originalità; non ci sono vuoti da colmare con la
memoria perché, come ieri, anche oggi mi sei venuto in mente senza impartire
soluzioni, con la solare leggerezza che ti connota. Pensieri critici come strumenti per combattere, non per resistere, con la necessaria lentezza che ci hai
insegnato atta a comprendere l’universo delle relazioni e a sostenere un cammino di intenti possibili.
A domani Ugo, a domani!
Ivan Petrus Iobstraibizer
Architetto, Padova
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Hommage
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Caro Ugo, mon ami…
Personne n'arrive à croire à ta disparition, on s'attend à te revoir subitement là, avec
quelques mots sur ton absence. Puis, de suite au boulot... Et, avec Wittfrieda, tu
reprendrais tes quatorze heures de travail par jour (et nuit) où tu les avais laissées...
Un rapide coup d'œil en arrière sur vingt-cinq ans d'intensité calme et puissante : à
écrire, à dessiner, à calculer, à discourir, à inventer des concepts (ce n'est que ça la
philosophie d'après Félix Guattari et Gilles Deleuze, ces écologiques...). Et surtout à
réfléchir, toujours en vue d'une action et celle-ci, toujours en liaison avec toutes les
autres : c’est le contexte. Et puis, expliquer, expliquer et convaincre… Et sa passion
d’enseigner sa vérité : elle est universelle et angoissée devant le sort que se réserve
l’humanité lorqu’lle ne décide de rien de grand et de lumineux.
Puis à s'arrêter pour rediscuter en parlant et en écoutant avec intensité et à ne prendre une voix forte que lorsque l’interlocuteur biaise… Et se faire une masse d’amis et
aussi quelques ennemis mais respectueux…
Et recommencer car ce n'est jamais gagné.
Depuis le Haut Adige, au sommet de la carte de l'Italie dans cette région multiculturelle, il a entendu l'écologie, en a saisi l'urgence tragique avant d’autres et s'est mis à la
répandre du haut en bas de la péninsule, créant des foyers amicaux. Avec Wittfrieda
Mitterer, en équipe inséparable…
Une oeuvre monumentale, impossible à cerner, toujours en chantier : que de projets
entamés et maintenant à moitié abandonnés… À la fois des philosophies et des pratiques d’architecture et d’urbanisme.
Une remarque de son crû : « Certains disent habiter Florence et on les imagine dans
ce paysage somptueux, hé non ! Ils habitent une banlieue triste au-delà de toute réparation, un milieu fait de mensonges, de médiocrité et de voracité, anti-écologique… ».
Et en évolution : sur tous les fronts : ils étaient partout...
Et sa sollicitude envers les « jeunes » de bonne volonté et sa lenteur de pédagogue
patient qui attend que « l’autre » comprenne spontanément, à demi-mot, complète luimême le raisonnement par son expérience personnelle et ne s’abandonne pas à une
obéissance passive.
La délicate attitude à adopter devant des « stagiaires » qui possèdent quelques certitudes parfois approximatives et un « quant à soi » obstiné et qui imposent leurs narcissismes encombrants.
Il m’avait proposé en 1996, de faire équipe avec lui à Reggio Emilia, pour conduire un
exercice postuniversitaire : « reconditionner » une petite rue quelconque mais quasi
vivante, en bon ordre, en bon désordre aussi, en la densifiant, une opération de plus
en plus fréquente pour épargner les bonnes terres des maraîchers périurbains.
D’abord, un bon exercice d’observation des comportements d’habitants à travers
leurs façons spontanées de construire leur paysage personnel. Une architecture indi-
viduelle de banlieusards sans architectes : c’est la réalité sincère, de bonne foi, peu
glorieuse qui est surtout une question de communication. Mais c’était difficile entre des
habitants moyens et des architectes qui ont été entraînés à rêver de palais modernes
glacés et d’urbanismes de discipline géométrique…
L’exercice demandait une compréhension mutuelle difficile entre ces deux « civilisations » aussi contradictoires. Aucun mépris ou ignorance n’était tolérable : le respect
du contexte physique et humain pouvait créer un projet compatible. C’est le problème
éternel.
Une partie des stagiaires étaient subitement partis vers une solution « héroïque » de
grand projet narcissique : moi, je n’ai pas réussi à les convaincre. J’ai appelé Ugo au
secours et j’ai admiré le calme de ses questions ouvertes, « socratiques » qui coinçaient les interlocuteurs dans une logique précise, vers un compromis acceptable,
sans douleur et sans anesthésie... La paix a été rétablie et le projet était redevenu
commun.
J’ai appris beaucoup, les stagiaires aussi.
Nous ne sommes pas dans la nostalgie, poursuivons dans d’autres circonstances
mouvantes, son attitude qui enseignait presque tacitement, par l’absurde, par son
exemple, sa solidité et sa mesure.
Ne soyons pas tristes…
Lucien Kroll
Architetto e Urbanista, Bruxelles (B)
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Il valore aggiunto
Ugo ha significato per me un valore aggiunto dato alla Bioarchitettura, dal
momento della fondazione dell'Istituto , che va ben oltre la logica della tecnologia dell'abitare e dei concetti generici di biocompatibilità e sotenibilità, per
diventare una via con un cuore di uomo fatto non solo di mente razionale, ma
di mente intuitiva e consapevole.
Nell'ultimo incontro a Sanremo, nel luglio del 2008, sempre ponendo l'uomo al
centro di un'azione armonica con la natura ci ha invitato a riflettere sul concetto di lavoro come fondamento della dignità della persona, pensiero più che mai
attuale su cui lavorare sia a livello individuale che sociale.
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Maria Carmen Lanteri
Architetto, Sanremo
Il pennino largo
Si sta avvicinando il Natale.
Ogni anno in questo periodo iniziano a giungere auguri di ogni forma e tipo, e
tra i tanti, quello da me più apprezzato, era il cartoncino augurale di Ugo.
Sempre originale, personale e rappresentativo della persona che lo inviava e
sigillato dalla sua firma con una penna ad inchiostro dal pennino largo simile
allo shodo giapponese.
Del resto Ugo è stato un architetto a tutto tondo che ha sempre voluto dare una
personale impronta estetica a tutte le sue idee.
Basti pensare alla veste grafica della rivista Bioarchitettura (vecchia maniera)
che è stata unica nel suo genere; alle locandine dei vari eventi, addirittura alla
forma dei blocchi di carta per prendere appunti.
Ugo era un grande anche per questo!
Vincenzo Lattanzio
Architetto, Andria (BT)
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Forza della natura
Ti ricordi Ugo il capodanno passato insieme nel 1996 a Venezia, l’abbondante
nevicata, le ore passate insieme a parlare delle origini della Bioarchitettura nata
dai movimenti nordici degli anni ‘60, dalla considerazione biologica dell’uomo e
dalle conseguenze dell’attività edificatoria post-industriale. Agli inizi degli anni ‘90
insieme con altri progettisti delineasti un’ipotesi di progettazione interdisciplinare
nella quale le elaborazioni degli scienziati costituissero un percorso obbligatorio,
per trasformare in parte integrante della cultura progettuale, tutti gli accorgimenti
atti a garantire una completa sintonia tra l’ambiente e l’uomo.
Sono tanti gli aneddoti che vorrei ricordare, uno per tutti.
Ti ricordi quando durante il viaggio-studio del 1995, eravamo in Francia, dovevamo raggiungere una località in Provenza dove erano ubicate delle case palafitte
che non trovammo, in quanto già abbattute dalla mano dell’uomo. Durante il viaggio, dopo un’ora che eravamo partiti dall’autogrill, un architetto si accorse che la
collega che gli era seduta accanto non era sul pullman. Dovemmo tornare indietro per riprenderla, quindi arrivammo a notte fonda all’agriturismo. Il proprietario
non solo ti chiese il pagamento in anticipo ma ti disse anche che ci saremmo
dovuti arrangiare per il servizio poiché i dipendenti erano già andati via. Invece,
fu una notte indimenticabile, la ricordo ancora per il clima giocoso e allegro della
compagnia.
A te, Ugo, dedico un pensiero affettuoso e commosso poiché eri una forza della
natura e riuscivi a catalizzare su di te l’attenzione di chi ti ascoltava, quando
sostenevi che la Bioarchitettura più che una filosofia progettuale è uno stile di vita.
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Carmine Lisi
Ingegnere, Foggia
Nuovi argomenti
Mi affaccio alla finestra della mia vecchia scuola e lo sguardo corre, come è
ormai uso a fare da tanti mesi, alle impalcature dietro alle quali cresce, con
tanta lentezza l’edificio del nuovo Ferraris: controllo le aperture, il tetto, gli operai che vi lavorano e un pensiero mi riporta a quando, sette anni fa, ho incontrato l’Architetto Ugo Sasso, che mi ha presentato il progetto.
Mi parlava di Bioarchitettura, ma nelle prime conversazioni credevo si trattasse
solo di un uso di materiali edili non artificiali, con l’impiego di energie rinnovabili.
Nel corso degli incontri successivi, Ugo, con la sua semplicità e il suo entusiasmo mi ha fatto comprendere il significato di un’architettura “sostenibile” ideata
dall’uomo, per l’uomo di oggi e per l’uomo di domani… Sì, credo sia questo il
messaggio più importante che Ugo ha saputo trasmetterci: progettare edifici,
luoghi pubblici, ambienti che non tolgono risorse e energia alle generazioni future, in cui ciò che conta non è solo vivere o lavorare in un ambiente che non ci
avvelena, ma che la salute passa anche dallo “starci” bene con sé stessi e con
gli altri.
Un’architettura che sa relazionarsi non tanto con una “natura sui generis” ma
con una natura umana, modificata da chi la abita, con partecipazione, comprensione e rispetto: un vivere bene dell’uomo con gli altri uomini, dove anche l’edificio o la piazza lo incoraggiano a cercare l’altro e non ad isolarsi.
Ringrazio di tutto cuore la sorte che mi ha dato la ventura di conoscerlo, perché
a me, come a tutti quelli che lo hanno conosciuto, ha aperto nuovi orizzonti.
Grazie Ugo!
Daniela Mancini
Preside Istituto Superiore “G. Ferraris e F. Brunelleschi”, Empoli (FI)
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Mettere insieme
C’eri il 19 ottobre 2010 al Consiglio Congressuale…un po-eta, un po-litico come
sempre sei stato. Nel nostro dialogare i “trattini giustapposti” ci sono sempre
piaciuti perché creavano ambiguità. Eravamo in fondo alla sala, lo scazzo in
essere non ci riguardava.
Ma …ti sovviene, Ugo, quando a Perugia, nel lontano 1986, eravamo commissari di esame per geometri mi chiedesti: “Giovannino, vogliamo interessarci alla
architettura eco….sostenibile…compatibile…bio…ecco, alla Bioarchitettura?”.
“Certo Ugo - ti risposi - ma non scomodare vocaboli radical chic, chiamiamola
architettura reale positiva.”
“…Ecco, ora Giovannino sei troppo un po-litico”.
“Ma no, Ugo, ascolta, la città è la società che si autodetermina. Ma la città è
anche sinonimo di architettura che, in tal senso, è produzione realistica, materiata, oltre che creazione dello spirito; l’architettura, portando in sé la consapevolezza critica, può essere assunta come modello dell’uomo stesso. Leggere
l’architettura che forma la città che struttura il territorio, è leggere la società che
si autodetermina. Parlare di architettura è parlare di territorio, di civiltà; parlare
di crisi dell’architettura è parlare di crisi del territorio, di crisi della società, delle
coscienze. Ed ancora, caro Ugo, l’urbanistica è la tecnica che serve per la pianificazione del territorio, inteso come realtà naturale ed antropica. È posta come
necessità – capacità di interpretare l’antico testo della città esistente, che ha per
matrice il proprio centro storico e che struttura il territorio, procedendo secondo
il metodo conservativo – evolutivo.”
“Ah, ora Giovannino sei tornato un po-eta! Ho capito allora, c’è la
Bioarchitettura e la biourbanistica : mettiamole insieme ed andiamo avanti!”
E così è stato: …il Direttivo nazionale …il Curatorium…i convegni…i corsi…la
partecipazione assidua… poi un po’ meno…l’ermetismo…le critiche e le diver-
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genze di altri…Poi, nel precedente Consiglio Congressuale, Sasso – Marinelli:
1 a 0 per Sasso.
Pian piano il mio allontanamento…
Ugo, non c’è stato più un dialogo da vicino tra noi, eppure avevo tanto da dire
e tanto avrei voluto fare. Perché non è stato possibile?
Ma ora, pensando a Witti, già presente a Perugia un po-musa, un po-ispiratrice e che nulla sarebbe stato senza di lei, dico a te, Ugo, al po-eta, al po-litico,
al po-testone, all’amico ritrovato, che ho tanta voglia di fare per onorare la
vostra opera, chiedimelo, ma subito, ti accontenterò.
Giovannino Lucarino
Architetto, Roma
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Scarabocchiando
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Ugo Sasso prende uno dei suoi pennarelli e comincia a tracciare delle curve
blu sul disegno. “Ci sono delle relazioni che fanno di un posto una città: scoprirle è il segreto per capire la buona architettura, l’architettura in cui si vive
bene”.
Era un piano particolareggiato, un disegno preciso, accurato eppure mancava
qualcosa: Ugo Sasso inizia a delineare dei legami tra un luogo e l’altro del
borgo, i nodi, individuati visitando la città ma anche osservando gli abitanti, il
traffico, il paesaggio.Nei tratti di pennarello c’erano bambini che percorrevano
di corsa una strada appena riconoscibile lungo un tratto di terreno incolto per
arrivare prima a scuola.
Prima ancora, su quel terreno, negli anni Quaranta, c’erano state le biciclette
delle operaie quando la grande fabbrica era ancora in funzione. Passavano su
un cammino che era stato livellato dal passaggio dei carri armati degli americani, ma che da sempre era servito ai pastori che facevano più in fretta passando di là.
Quasi tutti, ancora oggi, per andare al mercato passavano per quel terreno
incolto e non ci pensavano nemmeno a prendere Via Nuova, che era stata realizzata dopo l’approvazione del Piano regolatore.
Insomma c’era la storia degli uomini che abitavano e che avevano abitato quel
borgo stabilendo i percorsi: eccole, le relazioni!
Era evidente, insomma, che tutti passavano da quel prato abbandonato e non
dalla Via Nuova, che oltretutto era stata realizzata con dei bellissimi marciapiedi, lampioni di design eccetera, eccetera.
Ugo Sasso disegna un piccolo cerchio sulla planimetria. È al crocevia di tre vie
del borgo. “Qui c’era un vecchio lavatoio, ma ora è chiuso e nessuno lo usa
più. Gli anziani, però, continuano ad incontrarsi qui, nello slargo del vecchio
lavatoio. I più giovani si fermano qui e si siedono sopra ai motorini perché non
ci sono panchine, ma all’ombra degli edifici. È vicino ai negozi, alle pizzerie.
Nessuno attraversa la Provinciale per andare nella piazza realizzata
dall’Architetto Famoso. Eppure ci sono i sestini in cotto, le panchine di travertino, gli alberelli di ulivo che simboleggiano la pace. Ma è una piazza vuota”.
Perché costruire la Via Nuova senza tener conto delle distanze, delle abitudini degli abitanti, della comodità del tratturo che tutti si ostinano ad utilizzare per
andare al mercato?
Perché creare una piazza separata dal resto del paese, lontana dai negozi? È
ovvio che tutti preferiranno lo spiazzo del vecchio lavatoio dai muri scrostati
ma comodo, all’ombra, e facile da raggiungere!
La necessità di stabilire quali fossero gli elementi principali del luogo, quali fossero le relazioni tra di essi, come funzionassero e perché, è la grande lezione
di Ugo Sasso. Una lezione che pone l’uomo al centro di una progettazione
architettonica consapevole e sostenibile; una cosa che dovrebbe essere ovvia
ma che troppo spesso è dimenticata.
Nella modellazione del Territorio, scopriamo una rappresentazione simbolica
dei valori, della cultura, della storia di una popolazione.
Per questo il territorio, la città, con le sue strade, le sue torri, le sue piazze
entra a far parte della nostra storia anche interiore, è un punto di riferimento,
la materia della nostra memoria. Città è la città di oggi ma anche quella del
passato, da riconoscere ed in cui riconoscersi: è la storia.
Le tematiche sono affascinanti, di ampio respiro e rimandano a tante conversazioni avute nel corso degli studi con i nostri professori universitari, ma in
parte dimenticate nel corso della pratica professionale.
Soprattutto si traducono, da quel laboratorio in poi, attraverso il generoso insegnamento di Ugo Sasso, in progetti che parlano di un’architettura per l’uomo,
per il territorio, per l’ambiente, per il paesaggio. Bioarchitettura, come l’ha chiamata lui.
Anita Mancini
Architetto, Ceccano (FR)
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Amore per l’architettura
Non voglio ricordare Ugo Sasso per quello che ha detto e fatto nel nostro Paese
riguardo la Bioarchitettura, ma voglio ricordarlo per quello che mi ha lasciato a
livello umano.
L’ultima volta che l’ho visto è stato giovedì 18 giugno 2008.
Insieme a Witti e alla mia famiglia abbiamo cenato e conversato piacevolmente tutta la sera; è stato stupendo ascoltare Ugo mentre parlava di architettura
ad Alessandro, mio figlio, era palpabile l’amore con cui lo faceva.
Con lui ho riscoperto il piacere di parlare e fare nuovamente architettura, mi ha
stimolato al punto di ritrovare il bambino che è in me, non perché si debba essere ingenui, ma soltanto per riappropriarci dei nostri istinti perduti o assopiti.
Occorre riposizionare al centro l’Uomo, rivalutare le sue relazioni con gli altri,
con la casa, la città, il territorio, insomma tornare a dare un senso alla qualità
della vita, apparendo meno, ma essendo più presenti. Grazie Ugo.
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Elio Marchese
Architetto, Sanremo (IM)
Coerenza di pensiero ed emozione
I ricordi che ho di Ugo sono e sono stati un balsamo per me.
Tra gli episodi che ricordo…
Una sera a Bolzano eravamo tra colleghi. Dopo cena, qualcuno mi chiese se
desideravo un passaggio in albergo, ero vicina, e dissi: “Grazie, ma preferisco fare due passi.” Ugo disse “Silvana, guarda che qui, se dici no, ti lasciano e se ne vanno, non è come da noi che si dice no ma è sì, e si fanno cerimonie”. Il ricordo mi fa sorridere ancora.
Quando stavamo costituendo l’associazione di Bioarchitettura, alcuni volevano tenere per sé esperienze e conoscenze, volevano essere esclusivi, erano
timorosi di essere scavalcati, di non poter primeggiare e lui disse: “Più si
divulga e più i primi saranno spinti verso il vertice della piramide”; saggezza.
Intelligenza, onestà d’animo, semplicità di intenti, coerenza tra pensieri ed
emozioni, è ciò che ho sempre pensato di Ugo e per questo la sua amicizia e
il suo ricordo sono un balsamo per me, nella giungla dell’ipocrisia, della diffidenza, degli egoismi.
Silvana Masciopinto
Architetto, Bari
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Il lato umano dell’architettura
“Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei
un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. Queste sono dunque le tre
cose che rimangono: la fede, la speranza e l’amore. Ma di essa la più grande
è l’amore. Adesso vediamo Dio come in uno specchio in maniera confusa, allora lo vedremo faccia a faccia..”
(San Paolo, Prima lettera ai Corinzi 13,1)
Ciao amico Ugo, architetto, ecologo, filosofo, padre e nonno. Eravamo in pochi
quando, negli anni Novanta, abbiamo iniziato a parlare di Bioarchitettura, e ora
il nostro messaggio si sta sempre più radicando nella consapevolezza, ormai
acquisita, che la salubrità dei luoghi e delle architetture sono prioritari per la prevenzione e il diritto alla salute. Il tuo ruolo nell’ambito dell’Istituto Nazionale di
Bioarchitettura, da te ideato e fondato, è stato determinante come pure le intuizioni legate a valorizzare il lato umano dell’architettura.
Da queste premesse è nato un percorso ecologico, che aveva più fondamenti
poetici e filosofici che di ordine tecnico. Insieme a questo diverso approccio,
abbiamo condiviso obiettivi comuni, collaborato a progetti, dialogato: il tutto per
accrescere e trovare un’adeguata metodologia progettuale capace di perseguire la qualità dei luoghi e delle architetture, nonché di essere consapevoli della
necessità di sostituire qualità a quantità, e bellezza a bruttezza .
Non pochi ricordi riaffiorano alla mia mente: dagli indimenticabili viaggi del solito gruppo di Bioarchitetti che ogni anno partiva alla ricerca di villaggi ecologici
anche nei luoghi più sperduti dell’ Europa; e ancora le innumerevoli conferenze, i Corsi di Formazione, i Laboratori Progettuali con l’Università: ovunque il
rapporto umano era privilegiato e contribuiva ad agevolare lo scambio e la condivisione di strategie ed obiettivi.
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La casa come luogo dell’anima, la qualità che nasce dalle relazioni tra le parti,
il progettare luoghi accoglienti, la partecipazione, il mettere al primo posto sempre e comunque il benessere dell’individuo erano i nostri obiettivi, e con le tue
parole penetravi nel profondo e facevi emergere quelle necessità dell’anima
che spesso molti non riescono ad ascoltare.
Di te, resta in noi, la positività e l’ottimismo che riuscivi ad infonderci, anche nei
momenti meno facili, e con la stessa travolgente energia che mettevi nel manifestare le tue idee e i tuoi obiettivi, ci aiuterai a portarli avanti in tua memoria e
nel ricordo di tanti momenti trascorsi insieme.
Caro Ugo, CI SEI, sei presente, anche se ora fai parte di quella realtà in-visibile che ci circonda, che non appare ai nostri limitati sensi ma che c’è e che vive
con noi.
Patrizia Mazzoni
Architetto, Firenze
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Il sogno dell’ecologia per la città
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Il mio mestiere è quello di sociologo urbano e mi sono, dunque, sempre occupata di città.
La città è sempre stata storicamente ed è ancor più nella società contemporanea il luogo dove si produce l’innovazione e dove si definisce lo sviluppo economico. Ma essa è anche un sistema sociale e ecologico caratterizzato da
estrema complessità, nel quale si produce ricchezza e benessere, ma anche
contemporaneamente povertà, emarginazione e degrado materiale e ambientale. La città è motore di sviluppo e di cambiamento, ma anche luogo privilegiato di crisi ecologica, sociale e organizzativa.
Le città perdono la loro identità , le periferie occupano gli spazi verdi e il crescente consumo di suolo operato sia dalla città consolidata che dalle favelas e
bidonvilles rendono sempre più difficile il mantenimento di un equilibrio tra spazio e società.
Le città del XXI secolo dovrebbero ad un tempo ridurre il proprio impatto sull’ambiente globale mirando ad uno sviluppo denso e compatto, piuttosto che
lasciare che si definisca una crescita disordinata e sregolata. Attraverso la loro
forma fisica dovrebbero favorire una maggiore integrazione tra le persone e gli
spazi e superare le segregazioni e ampliare le potenzialità di sviluppo socioeconomico.
Individuando specifici interventi regolatori e sviluppando una nuova creatività
progettuale è nelle città che si dovrebbe ricostituire un ambiente sicuro, equo,
democratico e sostenibile. È nella città dunque, che si declina in modo emblematico il tema della sostenibilità. Ed è affrontando questo tema che ho incontrato Ugo Sasso e la Bioarchitettura.
Per Ugo la Bioarchitettura non riveste solo un carattere tecnico e specialistico,
anche se oggi ormai ineludibile, ma olistico. Ed è questo approccio che mi sembra costituisca l’aspetto più rilevante del contributo che egli ha dato a coloro che
hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di discutere con lui di sostenibilità urbana.
Infatti, una città sostenibile è una città ben costruita, accessibile e anche verde,
che può esprimere valenze ecologiche, ma anche educative, culturali e di coesione sociale.Il verde in particolare può svolgere una funzione di riequilibrio
ecosistemico e contribuire a ridare identità ai “luoghi” urbani.
Per andare oltre una città meccanizzata, degradata, e priva di qualsiasi interazione con l’ambiente che la circonda, è necessario ripristinare il rapporto che
sta alla base della vita urbana tra elementi antropici ed elementi naturali, ricostruire la relazione tra la città e il suo territorio.
In questo senso, la Bioarchitettura e il verde costituiscono elementi in grado di
ricomporre la frammentazione territoriale e il degrado naturale e possono restituire alla città la capacità di rigenerare se stessa e di ricollocarsi al centro dei
flussi materiali e immateriali che definiscono la società contemporanea.
Lo sviluppo della vegetazione in ambiente urbano svolge un’importante funzione di controllo ambientale e di salvaguardia del territorio, oltre a rendere più
salubre l’aria, influenzare il microclima, attenuare i rumori, assorbire polveri e
gas e contribuire alla conservazione della biodiversità.
Gli spazi verdi, così come le stratificazioni storiche, delle città contribuiscono
anche a orientare i comportamenti degli individui in una prospettiva di continuità spazio-temporale che produce senso di appartenenza e identificazione simbolica generando interazione sociale e rispetto ambientale.
Ugo Sasso era ben consapevole che architetture di elevata qualità ecologica e
spazi recuperati al verde e alla biodiversità, avrebbero potuto favorire un’integrazione tra ambiente naturale e costruito, ma che, tuttavia, ciò non sarebbe
bastato per realizzare una città sostenibile, che potrà dirsi tale solo quando verranno integrati gli aspetti ecologici con quelli economici e sociali.
Il ricordo che abbiamo di lui potrà aiutarci a procedere in tale direzione.
Fiamma Mignella Calvosa
Prof. Sociologia Urbana, Università LUMSA, Roma
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Missionario entusiasta
Quando incontrai per la prima volta Ugo Sasso avevo iniziato da poco ad occuparmi di edilizia bioclimatica, avendo ereditato la gestione di un corso di perfezionamento che si svolgeva da alcuni anni nel Dipartimento di cui ero direttore.
Alcuni miei colleghi studiavano da molto tempo questi problemi (a partire dal
SAIE del 1980, dedicato a “Il nodo energia”); anch’io avevo partecipato a quelle iniziative, ma come urbanista avevo affrontato soprattutto gli aspetti più generali riguardanti l’uso delle risorse e il territorio.
Ugo Sasso proponeva una collaborazione con il nostro Dipartimento, per offrire all’ambiente accademico italiano – in cui allora solo pochi specialisti lavoravano – una serie di notizie, esperienze e relazioni internazionali che la sua
Associazione, l’INBAR, aveva raccolto in anni di lavoro, collegandosi con centri di ricerca, atelier professionali e autorità regionali dei Paesi del centro-nord
Europa, dove già da anni si realizzavano edifici e insediamenti a basso consumo energetico, tecnologie per lo sfruttamento di energie alternative, sistemi per
l’uso ottimale delle risorse ambientali.
In quell’incontro si misero le basi di diverse iniziative comuni e, soprattutto,
cominciai a conoscere una persona affascinante, missionario entusiasta di
nuove idee, ma anche realizzatore concreto, eloquente sostenitore di un nuovo
modo di affrontare i rapporti fra l’uomo, l’architettura e l’ambiente, e insieme
professionista attento ad ogni dettaglio progettuale, come testimoniano molti
edifici che ha realizzato. Passione e razionalità, unite fra loro da una grande
capacità comunicativa, doti che gli hanno permesso di organizzare, insieme a
Wittfrida Mitterer, tante rilevanti attività di formazione, divulgazione, approfondimento tecnico e scientifico. Per quanto mi riguarda, in particolare, ho partecipato all’esperienza del Laboratorio progettuale nazionale di INBAR ed alla redazione del Manuale di Bioarchitettura, insieme a importanti colleghi europei.
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La nostra amicizia si è consolidata nel tempo; anche se tanti impegni non
consentivano incontri frequenti, ogni volta si proseguiva un discorso mai
interrotto e penso che in qualche modo ci siamo reciprocamente influenzati:
Ugo ha ampliato i suoi rapporti con gli ambienti universitari, ed io mi sono
sempre più impegnato per adeguare il modo di insegnare l’urbanistica e l’architettura, per progettare e realizzare edifici e insediamenti con un approccio
integrato ai problemi.
Oggi, come tanti altri amici, sento molto la sua mancanza, proprio nel momento in cui molti obiettivi sembrano raggiunti, essendosi diffuso largamente nell’opinione pubblica, nei mass media e nelle normative di ogni livello l’interesse per un nuovo modo di costruire, rispettando l’ambiente e risparmiando
risorse. In realtà questo tempo richiede un impegno forte come in passato,
per selezionare fra le tante iniziative più o meno attendibili quelle che meritano un sostegno. Per questo motivo è importante non disperdere l’eredità di
Ugo Sasso e possa continuare e sviluppare il suo lavoro chi ha condiviso la
sua esperienza.
Carlo Monti
Prof. Ing. Facoltà di Ingegneria, Università di Bologna
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La buona strada
Giorni fa, nello scorrere il sito dell’INBAR, rileggendo le parole di sconforto e
rimpianto che ti hanno dedicato negli ultimi due anni gli amici e i colleghi, ne ho
scoperto l’attualità, ed ho capito di non essere il solo a riprovare intera la sensazione di vuoto che la tua morte ha causato.
È difficile convincersi che tu non ci sia nella tua imponente fisicità: ciò accade
proprio perché rimani vivo nella nostra mente, e ne è prova la necessità continua di rapportarci con te, di legare a te la grandezza del messaggio che ci hai
trasmesso.
In realtà, chi ti ha seguito nell’ottica esistenziale della bioarchitettura aveva già
una coscienza etico-ecologica, ma sei stato tu a renderla viva e militante nella
realtà professionale e politica di ciascuno di noi, sei stato tu ad avere la grande
intuizione di dare una struttura organizzativa di grande prestigio alle nostre
istanze, coagulando e potenziando le nostre singole forze.
Dopo tanto impegno e anni in cui abbiamo divulgato le nostre idee e orientato
scelte e atteggiamenti verso il raggiungimento di un rapporto ottimale tra uomo
e natura, all’improvviso ci sei mancato, e in quel triste momento sembrava che
la nostra appassionata corsa si fosse fermata con te, ma non è stato così.
Il valore del tuo insegnamento rimane intatto, e ci consente di continuare e di
seguire la buona strada che ci hai indicato.
Ce la faremo, caro Ugo, per te, per noi e per i nostri figli.
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Cosimo Antonio Muci
Architetto, Nardò (LE)
Semplicità e concretezza
L’incontro con Ugo fu organizzato da un amico comune, l’architetto Pino
Graziani. Pensavo del tutto improbabile un rapporto con un architetto che dalla
lontana Bolzano doveva raggiungere una piccola cittadina del centro Abruzzo.
Ma l’insistenza dell’amico Pino mi spinse ad invitarlo, dando quindi il la ad una
proficua collaborazione, che da lavorativa divenne poi irrinunciabile sotto il profilo umano.
Il caro Ugo riusciva a rendere semplice ciò che in prima istanza pareva difficile, ha sempre trovato una soluzione alle problematiche urbanistiche più dibattute nella mia città, soluzioni apparse subito quasi scontate per la loro semplicità e condivisione da parte di tutti. Questo grazie alla sua genialità che lo rendeva unico nell’affrontare il suo lavoro.
La sua scomparsa è stata una perdita del valore incolmabile, sia per me che per
la città di Castel Di Sangro, essendo Ugo una persona squisita ed un vero
signore, dall’animo nobile e generoso e, soprattutto, un amico, oltre che un
architetto straordinario e unico nel suo genere, che si è rivelato importante per
il corretto sviluppo della mia città.
Umberto Murolo
Sindaco di Castel Di Sangro (AQ)
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Adolfo Natalini
Prof. Arch. Facoltà di Architettura, Università di Firenze
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Un tornado di emozioni
Nei miei pochi incontri con Ugo... poche parole... tante emozioni!!!
Con la sua carica di “energia” ho “acceso” tutti intorno a me e li ho trascinati ad
agire, a comunicare, a condividere... a realizzare i loro “sogni”.
Grazie Ugo
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Cecilia Neri
Architetto, Roma
Essere alla mano
Bioarchitettura, la creatura di Ugo, mi fu presentata da un conoscente che gestiva un
ristorante macrobiotico, e che una sera mi mostrò alcuni ritagli stampa, dicendomi:
questo ti può interessare, tu sei un architetto. Non capivo bene di cosa si trattasse,
l’impatto sulla salute umana delle strutture edilizie era una questione che non avevo
mai considerato, ma ero incuriosito. Poco tempo dopo ero a Bologna, ad un convegno organizzato da Ugo. Quanto si diceva era affascinante, ed alla fine del convegno andai a parlargli. Mi colpì la sua immediatezza, il suo essere alla mano anche
con uno sconosciuto. Mi parlò dei viaggi studio che organizzava, e decisi immediatamente di partecipare. Fu un’esperienza indimenticabile. Una cavalcata inarrestabile per mezza Europa, con trasferimenti massacranti, orari improbabili, ma con la sua
insuperabile passione che permeava tutto, e che ci permetteva di toccare con mano
bio-architetture realizzate e funzionanti. Venne poi la stagione dell’impegno nella
struttura direttiva dell’Istituto ed infine la collaborazione ai laboratori di progettazione,
gli anni si susseguivano ed Ugo proponeva sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che
portava Bioarchitettura sempre più avanti.
Quella mattina ho dovuto rileggere la mail del Direttivo cinque o sei volte, ogni volta
più incredulo, sto ancora dormendo e sogno, pensavo. Ma come, ci siamo lasciati
all’aeroporto pieni di progetti, di cose da fare al tuo rientro…non è possibile, non ci
credo. Non si può credere che un amico ci lasci, e quando purtroppo avviene, la sensazione di vuoto è insopportabile. Ugo è stato una persona speciale, una di quelle
rare persone che sanno immaginare il futuro, che hanno il dono di mostrare agli altri
nuove strade, e di chiamarli a percorrerle insieme. Per questo credo che Ugo non ci
abbia lasciati, ma sia ancora tra noi, perché le sue idee, il suo modo di intendere
Bioarchitettura, la sua garbata ironia nel rimettere sempre in discussione qualsiasi
conclusione, restano uno stimolo per tutti noi a proseguire il cammino che ci ha indicato, e in questo cammino Ugo sarà sempre al nostro fianco.
Claudio Pauselli
Architetto, Roma
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Abitare quotidiano
Caro Ugo, ci siamo presentati nel 2006 ma ti avevo conosciuto molti anni prima,
quando a metà degli anni ‘90 ho iniziato a seguire e a essere affascinato dai
temi della Bioarchitettura.
Uomo colto ed affascinante, riuscivi da grande comunicatore a far innamorare
i tuoi interlocutori dell’architettura, della natura, trasmettendo uno stile di vita
inevitabile per il futuro degli uomini.
Parlavi con il cuore e con la passione e sei riuscito a fare le cose di cui parlavi.
Pochi ci sono riusciti. Ho avuto una grande fortuna nella vita, quella di diventare in poche ore un tuo amico.
Nei nostri incontri abbiamo sempre parlato del futuro, di cosa potevamo fare nei
mesi successivi. Ero riuscito a farti innamorare della mia Livorno, del suo mare
e della sua gente, subito ti sei sentito a casa tua e avevamo deciso di fare qualcosa su progetti concreti da realizzare in questa città giovane ed antica allo
stesso tempo.
Una notte di agosto, dopo una giornata intensa e una serata meravigliosa con
una tua lezione alla premiazione di un concorso di idee, a bordo di una barca
facemmo il giro dei canali della Livorno medicea, recandoci poi in una piazza
dove stavamo realizzando il recupero di uno spazio urbano degradato. Lì sono
stati applicati quei concetti sulla partecipazione dei cittadini alle scelte di governo del territorio che Lucien Kroll ci ha insegnato in questi anni.
Ti piaceva quello spazio urbano e parlammo del “dialogo tra l’uomo e lo spazio
in cui quotidianamente abita”, che deve garantire l’armonia e la qualità del vivere, un bene che è la ragione stessa della vita e quindi i luoghi aggreganti devono rivestire una priorità assoluta, le aree aperte, le piazze, le strade, i parchi, i
giardini sono infatti il cuore pulsante di un contesto costruito nel quale la natura
é protagonista. Queste tue idee resteranno un punto di riferimento per tutti noi.
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Ti confidai la mia idea di dedicare questa piazza ad un poeta che anche tu
amavi tanto: Giorgio Caproni.
Volevi essere presente a quella inaugurazione, la vita non te lo ha permesso
ma sappi che quel giorno, il 14 febbraio del 2009 sapevamo di avere vicino un
amico come te.
Per salutarti Ugo permettimi di parafrasare una poesia che proprio Giorgio
Caproni dedicò al suo amico Pasolini e per questo anch’io voglio dedicarla a te,
caro mio amico Ugo.
Caro Ugo
La stima che ci volevamo
Lo sai – era pura
E puro è il mio dolore.
Non voglio pubblicizzarlo.
Non voglio, per farmi bello,
fregiarmi della tua morte
come di un fiore all’occhiello.
Maurizio Paolini
Geometra, Livorno
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Il progetto è nel cuore
Incontrai Ugo Sasso nel 2008, in due diverse occasioni a distanza di pochi giorni una dall’altra: prima ad un convegno nella nostra comune terra di origine, la
Puglia, e poi al Congresso mondiale degli architetti di Torino, dove ebbi modo
di parlargli con più calma e più a lungo.
Mi colpirono due aspetti della sua imponente personalità.
Il primo fu la passione intensa che animava il suo infaticabile impegno di vita,
oltreché la sua militanza professionale. Al punto da non poter distinguere tra le
due componenti: Ugo aveva fatto della sua vita la scena della sua azione professionale in favore dell’Architettura Sostenibile e della sua professione, tutta la
sua stessa vita. Mi parlò in quella occasione delle sue convinzioni in merito
all’architettura e fui colpito dalla apparente ovvietà delle sue argomentazioni.
Mentre stavo a sentirlo mi domandavo come fosse stato possibile per me, che
pure facevo progetti ecosostenibili già da 10 anni, non aver ancora aderito
all’Associazione che lui aveva fondato. In quella nostra conversazione più volte
sorpresi me stesso nel tentativo di studiare il pensiero di quest’uomo. Volevo
capire se egli fosse un’intelligenza concreta o piuttosto uno spirito visionario.
Dovetti pensarci a lungo, durante i giorni di quel Congresso, prima di concludere che il pensiero di Ugo Sasso era entrambe quelle cose: estremamente concreto proprio perché fortemente visionario.
Ebbi allora la certezza che egli fosse indubbiamente un maestro. Solo i grandi
infatti, riescono a far coincidere in sé stessi, senza forzature né strappi,
così…come se niente fosse, la vita appassionata e la professione appassionante, la didattica paziente e la sperimentazione più innovativa, la militanza entusiastica e la concretezza più visionaria. Mentre lo ascoltavo, lui dovette accorgersi che dentro di me cresceva un senso di profonda inadeguatezza rispetto
ai temi di cui mi parlava e qui fui colpito dal secondo aspetto della sua perso-
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nalità che lasciò dentro di me un segno ancora più profondo: fu la capacità che
aveva di incoraggiare quasi paternamente azioni, sperimentazioni, innovazioni,
tutto quello che secondo lui poteva servire alla causa della diffusione di un pensiero ecologista intelligente e applicato. Per lui il progetto è nel cuore del progettista e nella sua capacità di saper parlare al cuore della gente che abiterà
quel luogo o quell’edificio. Ed anche lui stesso parlava dritto al cuore del suo
interlocutore: riusciva ad interessarti, coinvolgerti, appassionarti, entusiasmarti,
infine incoraggiarti. Mi propose di organizzare un Convegno a Roma sui temi
dell’edilizia sostenibile ed io accettai, incoscientemente ma con entusiasmo,
appunto. Per questa occasione, ci incontrammo ancora diverse volte durante i
suoi viaggi a Roma e io potei così conoscere un maestro paziente, un didatta
prezioso, un architetto attento, un ecologista intelligente, un divulgatore capace, un militante esperto.
Molto presto ebbi modo di capire anche che Ugo Sasso era un uomo limpido e
un amico trasparente. Entrambe, doti non frequentissime.
La tragedia che lo sottrasse al nostro affetto credo sia la migliore metafora del
suo impegno esemplare in favore di quella natura per la cui tutela aveva speso
ogni sua energia.
Mi piace e mi commuove ancora, riconoscere ad Ugo, nell’ultimo dei suoi giorni, il privilegio di essere considerato una foglia leggera che ha abitato alberi
possenti dai quali l’ha strappata un soffio altrettanto leggero.
Carlo Patrizio
Ingegnere, Roma
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Stili di vita
Ci sono persone che incontri di rado, ma che ogni volta trasmettono nuova energia,
fanno riflettere, indicano temi, segnalano preoccupazioni, stimolano e nello stesso
tempo infondono serenità. La prima volta che le vedi sembrano amici di sempre, nel
tempo diventano solidi riferimenti, rifletti sul loro ruolo di maestri, sei felice ed hai
vero interesse nell’incontrarli. È nelle cose, che per lo più siano persone che hanno
un’età maggiore, qualche volta sono più o meno coetanee, passando gli anni anche
più giovani: qualche volta l’avventura della vita fa sì che si trasformino in ricordo, un
ricordo che -più che nostalgia- è stimolo a proseguire. Ugo Sasso ha immesso con
forza nella nostra cultura una diversa attenzione nel costruire e trasformare gli
ambienti di vita. Per lui non era concepibile che l’architettura potesse esaurirsi nel
“gioco sapiente, rigoroso e magnifico di volumi sotto la luce”: l’architettura si esprime attraverso forme che materializzano sistemi di scelte, coinvolgono stili di vita,
comportamenti, organizzazione ed etica al tempo stesso. In questo senso il suo
ragionare spaziava da concezioni di ampia scala fino a simultanei dettagli e minute
tecnologie, convinto che solo relazionando culture e dimensioni diverse fosse possibile dare senso e missione all’agire. Ugo è stato nodo di riferimento di una rete
articolata. Ha intrecciato dialoghi ricchissimi per sviluppare ed affermare idee, per
tracciare percorsi che incitassero a riflettere ed approfondire. Grazie alla sua azione ed alle iniziative che lo hanno visto in prima linea, in Italia la Bioarchitettura si
ridefinisce, si arricchisce di specificazioni ed intrecci ormai patrimonio comune nel
dibattito internazionale. La semplicità alla quale improntava ogni confronto non scalfiva la sua determinazione, aveva la rara capacità di saper ascoltare e di mantenere un ruolo da trascinatore. È stato portatore di visioni integrate: intrecciava aspetti
sociali, significati e forme dello spazio; considerava fondamentali le relazioni fra le
cose, le tensioni immateriali che le uniscono. Si era dato una missione da svolgere: la perseguiva con competenza, cultura ed anche con straordinaria umanità.
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Massimo Pica Ciamarra
Prof. Arch. Facoltà di Architettura, Università Federico II, Napoli
Condividere la rotta
È da dieci giorni che ci sto pensando ma non riesco ad esprimere del tutto il sentimento che provo a ricordare Ugo.
Il suo sorriso fermo e comprensivo, la sua determinazione accogliente, sono stati
essenziali a fargli raggiungere traguardi pratici ottenuti da pochi nel movimento
ecologista. In particolare il suo rapporto con la Lumsa, università libera ma confessionale, con cui ha avviato un master in bioarchitettura, ha seguito un’importante ipotesi di lavoro e cioè ottenere nel mondo cattolico dei pronunciamenti o
almeno cambiamenti di abitudini moralmente rilevanti che possano aiutare a
dare una nuova rotta all'occidente.
Non posso fare a meno di continuare a camminare sulla stessa via, anche se
non avrò lo stesso affetto che aveva lui per chi mi sta davanti.
Giannozzo Pucci
Editore “The Ecologist”, Fiesole (FI)
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Restano i nostri occhi
Con Ugo Sasso ci siamo incontrati una quindicina di volte. L’acqua di un mare
lontano ha cancellato il tempo per frequentarci più a lungo. Sarebbe successo,
ne sono sicuro, perché il suo entusiasmo contagioso, celato appena dalla
calma postura intellettuale, dal sorriso bonario e dal garbo dei suoi modi, emergeva dalle idee e dalle passioni che gli si agitavano dentro e che ne raccontavano la voglia mai sopita di balzi in avanti. Forgiata da amicizie e sodalizi,
l’umanità di Ugo sembrava quasi di toccarla.
Non abbiamo avuto modo di raccontarci per intero i rispettivi vissuti. Ma quando parlavamo di noi non avevamo bisogno di partire dall’inizio. I salti “logici” nei
ricordi comuni dicevano di una memoria tra noi condivisa. Non erano solo la
simmetria anagrafica e i trascorsi, gli impegni comuni a far saltare a pie’ pari
analisi interpretative e disquisizioni noiose. La cifra della sua sensibilità permetteva ai suoi interlocutori di assumere per acquisiti passaggi e spiegazioni, cruciali invece per altri. Improntati all’ascolto, il suo intuito e la sua arguzia erano
sostenuti da un corredo intellettuale solido. Lo intuivo. Ma, lui ancora tra noi, ne
fui cosciente quando mio figlio Paolo me lo fece notare dopo una visita che Ugo
e Witti, fecero nel suo studio di pittore. Ugo osservò i quadri di Paolo facendosi prendere dal segno, dalle tecniche, dai colori («Quanta luce nonostante i
neri», disse) e, senza conoscere il percorso artistico di mio figlio, ne rivelò intuitivamente i motivi conduttori e la tensione. I suoi giudizi, espressi in modo
dimesso, colpirono Paolo per la loro semplicità profonda.
Nei giorni di queste riflessioni su Ugo, anche mio figlio Paolo ci ha lasciati. Ora
restano i miei occhi a guardare il suo mondo come lui mi ha insegnato a leggerlo con i suoi quadri.
In settembre Paolo avrebbe dovuto inaugurare la stagione autunnale dei
"Martedì critici" di Alberto Dambruoso e in novembre aveva in programma una
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personale a Milano e una a Bolzano: ricordando la visita di Ugo nel suo studio,
mi aveva chiesto di invitare Witti sia all'apertura dell'incontro con i critici e il pubblico, del quale, con alcuni suoi quadri, sarebbe dovuto essere il protagonista
sia, soprattutto, alla mostra altoatesina.
Ci teneva a mantenere il filo tenue di contatto con la sensibilità di Ugo. Mi aveva
telefonato apposta. Forse avrebbe desiderato che almeno Witti “leggesse”
ancora i suoi lavori con l’animo di Ugo.
Paolo con i suoi pennelli, Ugo con la matita, mi hanno insegnato tanto. Di fronte a un palazzo, a un quartiere non posso che pensare ai materiali impiegati,
alle funzioni sociali di un progetto diventato materia. Come mi è ormai naturale
cercare (e trovare), in quegli assetti urbani, l’essenziale che forse avrebbe colto
mio figlio Paolo in un suo quadro.
Ora restano i nostri occhi, le nostre mani, la testa e il cuore di chi c’è ancora per
raccontare, ma, soprattutto per raccogliere la presenza intelligente e sensibile
di Ugo e di Paolo che con i loro occhi buoni, grandi e profondi ci hanno insegnato a leggere il mondo, con le sue “architetture”, per cambiarlo rendendolo
più umano.
Carlo Picozza
Giornalista, Roma
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A portata di mano
Quando nel mio cervello ritornano le immagini di Ugo lo vedo sempre chiaro,
aperto, semplice, che sia a casa a far colazione o a parlare con mio figlio
Andrea oppure al symposium di Bologna o al master a Roma a parlare delle
pratiche più efficaci di urbanistica partecipata.
Ugo per me rappresenta la Bioarchitettura a portata di mano. Con la massima
tranquillità eccolo davanti a Lucien Kroll o a Christian Schaller, a spiegare semplicemente che se ti costruisci un manufatto in cui stai bene, senza aver danneggiato né i luoghi naturali né le altre persone, hai creato un valido esempio
di Bioarchitettura. Il tutto senza formule cervellotiche o calcoli complicati. Non
credevo ai miei occhi quando mi invitò a salire su un pullman pieno di architetti che percorreva la tangenziale est, per spiegare loro cosa vogliamo noi cittadini del Pigneto quando proponiamo di eliminare la sopraelevata che entra con
le auto nelle nostre case.
Sempre pronto a tradurre in termini comprensibilissimi le nuove strategie sulle
energie compatibili e sui materiali isolanti più efficienti.
Witti ha sempre rappresentato il suo braccio operativo, forse fin troppo perché
con gran piacevolezza vedo Ugo bloccarla quando con troppa foga si attacca al
telefono per realizzare immediatamente quello di cui stiamo ancora parlando.
Peccato Ugo che non puoi venire a vedere quello che ho costruito in Calabria
dopo i tuoi preziosissimi consigli! Ci penseranno Witti, Lucien, Christian e tutti i
numerosissimi giovani che ti sono legati, a realizzare almeno una parte di tutto
quel ribollire di progetti e di idee che abbiamo potuto vedere noi che ti siamo stati
vicini (per troppo poco tempo, purtroppo!).
Dal Centro Sociale Ex Snia Viscosa e dal Comitato di Quartiere PignetoPrenestino l’impegno a far entrare in funzione il più presto possibile, nel Parco
Delle Energie, la Casa Del Parco con il Centro di Consulenza Gratuita per tutti
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i cittadini, che si occuperà delle ristrutturazioni biocompatibili delle abitazioni e
della diffusione delle energie alternative.
Questo Centro da te progettato, e che abbiamo deciso porterà il tuo nome, è
già pronto, anche se aspetta di superare le pastoie burocratiche di politicanti e
burocrati inetti contro cui tanto spesso abbiamo dovuto lottare.
Ciao Ugo!
Daniele Pifano
Roma
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Ascoltare e partecipare
Semplice con i semplici, umile tra le persone comuni, adorabile con chiunque,
fanciullo con i bambini, possiedi, tra le altre, la dote di far sentire importanti
coloro che incontri, interessandoti alla loro vita ed ascoltandoli riesci a renderti
partecipe della loro quotidianità; hai ascoltato le mie storie, i miei progetti, le mie
delusioni... i miei racconti, con quell’aria di complicità con la quale doni, a tutti
quelli che ti hanno conosciuto, serenità ed armonia.
Io non intendo ricordarti perché sei con me, come con tutti noi, e con tutti coloro i quali sentono di aver ricevuto tanto dall'Uomo unico che sei.
Non intendo ricordarti perché si ricordano le persone perdute ed io non ti ho
perduto, io ho trovato, diversi anni addietro, un amico, un maestro ed insieme
a te non potrò mai perdere quanto mi hai trasmesso senza la pretesa di insegnare, con l'umiltà che connota i grandi e la semplicità di chi possiede la ricchezza dell'Anima.
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Antonella Ricotta
Architetto, Alcamo (TP)
L’essenza dell’architettura
L'incontro con un maestro sconvolge sempre la vita, mette in discussione i pensieri e le idee che avevi di un percorso, ma ti apre una nuova strada.
Nel '92 studiavo all'ultimo anno di architettura e ho vinto una borsa di studio.
Il viaggio in Europa alle radici della Bioarchitettura è stato l'inizio del cammino:
vedere, conosce, capire, confrontarsi e discutere… sembrava tutto così logico,
così naturale, come disimparato...ma era quella la vera essenza dell'architettura.
Nelle lezioni e nel cantiere di Bolzano ci hai accompagnato con pazienza, qualcuno di noi rubava qualche ora alle lezioni per poter stare nel tuo studio a progettare e a discutere con te.
In quegli anni ho conosciuto la grande famiglia dell'Istituto, non ancora da iscritta, ma riuscendo comunque ad entrare nel dibattito.
Quell'incontro ha tracciato il mio lavoro di architetto: ho scelto di progettare per
l'uomo, ascoltando la natura e le radici dei luoghi. Gli insegnamenti della scuola
veneziana - il rispetto e il dialogo con la preesistenza storica, le tradizioni e il paesaggio - hanno assunto una nuova consapevolezza.
Se scegliamo di mettere radici dove il terreno è fertile, esso ci offrirà il suo nutrimento; ma in cambio ha bisogno di rispetto, nella speranza che possa nuovamente essere un rapporto alla pari.
Cristiana Rossetti
Architetto, Verona
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Il guru della Bioarchitettura
Ho conosciuto Ugo all’inizio degli anni Novanta. Era venuto in Regione assieme
a Witti. Ci prospettarono la partecipazione dell’Emilia-Romagna, all’organizzazione di uno dei primi Europa Symposium.
La sua carica, la sua capacità di comunicare, di trasmettere ottimismo, di coinvolgere soggetti diversi ci convinse a partecipare all’iniziativa che poi si ripeterà per
oltre un decennio, diventando punto di riferimento a livello nazionale ed europeo,
un momento di confronto anche culturale, di promozione per gli operatori edilizi
interessati alle tematiche di Birchitettura.
Fin dalle prime esperienze ci fu chiaro che era importante ed anche necessario
aprire il settore dell’edilizia residenziale ad un’architettura più attenta alla compatibilità ambientale, ed al risparmio delle risorse non solo energetiche, un’architettura più aderente alla storia e cultura del territorio: un’architettura che si sviluppasse dal basso, democratica, sensibile all’uomo ed all’ambiente in cui vive.
Grazie ad Ugo ed ai suoi dell’Istituto di Bioarchitettura entrò nella cultura degli
operatori del settore edilizio, non solo dell’Emilia-Romagna, un nuovo approccio
più attento, più consapevole.
Negli anni successivi il successo delle iniziative fu crescente: c’era un vera e propria fame di conoscenze ed Ugo Sasso rappresentava il “guru’” della
Bioarchitettura italiana.
I progetti comunitari (Energy link, Save,…), gli incontri con le altre realtà europee,
l’entusiasmo coinvolgente di Ugo Sasso, la sua ricerca e continua elaborazione
di nuove prospettive, ci hanno permesso una crescita professionale e culturale.
In questo contesto sono nate le normative per l’ecocompatibilità in architettura
che divennero fondamentali nello sviluppo della conoscenza e sensibilità per gli
operatori tecnici e funzionari pubblici.
Pensando ad Ugo Sasso, mi sono passati davanti tanti momenti vissuti insieme
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agli amici di Bioarchitettura, nei quali abbiamo condiviso esperienze, saperi, ideali, speranze, tutte occasioni per conoscerci, stimarci che mi hanno aperto e fatto
crescere. Tutto questo rimarrà con noi e niente potrà annullarlo.
Avrebbe potuto continuare. Mi sento un po’ in colpa perché ultimamente, anche
a seguito della cessazione della mia attività regionale, le occasioni di incontro
erano diventate più rare.
Ma, sempre, quando ci incontravamo mi sentivo vicino, desideroso di sentire, partecipare all’entusiasmo di Ugo nelle nuove attività, di condividere la soddisfazione per gli obiettivi raggiunti.
Quando qualcuno viene meno in modo repentino, resta il rammarico di non aver
sufficientemente cercato l’incontro, creato l’occasione per ascoltare, ricevere, trasmettere qualcosa.
La tristezza, il rammarico che ci pervade, forse nascono dalla consapevolezza dei
nostri limiti, dalla paura di aver perso ancora una volta qualcosa di importante,
che non ci potranno essere altre occasioni, dalla sensazione di vuoto che ci resta.
Ma voglio ricordare Ugo nei momenti migliori, nei nostri Simposi a Bologna ed in
Europa, quando con la sua capacità di comunicare e coinvolgere gli altri, riusciva
a trascinare anche me, spesso all’inizio restio o incerto.
E non posso dimenticare Witti per le sue indubbie doti di organizzatrice, la capacità di stimolare idee, di entrare in sintonia con gli altri.
Grazie per quello che avete fatto coinvolgendo anche me, mostrando nuovi orizzonti e nuove speranze. Chiedo scusa per quel poco che posso aver dato collaborando con voi.
Umberto Rossini
Ingegnere, Bologna
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Empatia ed entusiasmo
Ho conosciuto Ugo da quando ci siamo impegnati insieme per il Curatorium per
i Beni Tecnici Culturali.
Mi è rimasto impresso il suo modo pacato di ragionare, sempre rispettoso delle
idee altrui ma nel contempo pieno di empatia e di entusiasmo.
Riservo di lui un grande ricordo.
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Gernot Rössler
Avvocato, Bolzano
La cicatrice nei ricordi
Una sera d’inverno, pochi giorni prima che se ne andasse,
a passeggio in centro, argomentavamo del presente,
del passato e del futuro.
Improvvisamente tra noi calò un breve silenzio,
non per la mancanza di argomenti,
non per tensioni,
a causa di una sensazione forte come la vita,
che lascia la cicatrice nei ricordi,
… avevamo gli stessi ideali.
Sergio Sannicolò
Direttore Sapa Profili, Bolzano
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Visione prospettica
Ho conosciuto Ugo Sasso verso la metà degli anni ’90 in occasione di un convegno a Roma; dopo il suo intervento ho avuto la sensazione di averlo conosciuto da sempre, aveva risvegliato in me conoscenze e saperi in ombra, non
strutturati, esprimendoli così come io avrei voluto fare. Al termine del convegno
mi fermai a parlare con lui e scoprimmo affinità e convergenze.
Subito dopo entrai a far parte dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura e nel ’96
costituii la sezione INBAR di Potenza.
Nell’ottobre ’98 mi incoraggiò e mi aiutò ad organizzare a Potenza il convegno
“Territorio, ambiente e qualità della vita”; in quell’occasione la sala che ci ospitava, per quanto grande, non riusciva a contenere tutti i partecipanti, molti
sostavano in piedi nei corridoi. Il convegno era programmato per tutta la giornata con l’interruzione del buffet; ricordo che dopo questa pausa ero in difficoltà perché non riuscivo a far rientrare in sala il pubblico; allora Ugo mi sbalordì
perchè improvvisamente iniziò il suo intervento in assenza totale di uditori, dopo
pochissimi minuti la sala era di nuovo gremita, si erano tutti affrettati ad entrare in sala per ascoltarlo.
I concetti affermati nel ’98 a Potenza sono sempre più attuali e ci indicano il percorso da seguire senza lasciarci ammaliare dalle sirene perché “…vanno bene
le cellule fotovoltaiche, vanno bene i pannelli solari, va bene la difesa contro il
radon, ma tutto ciò va inserito – è fondamentale – in un’idea culturale, in una
visione prospettica. Quello che ci manca nella nostra epoca non è la tecnologia; se noi avessimo bisogno dei mulini a vento della nuova generazione, li
potremmo comprare, se avessimo bisogno del sistema per depurare le acque
con le piante, potremmo prendere un libro, studiare come si fa ed applicare
questo sistema. Quello di cui abbiamo assolutamente ed urgentemente bisogno è una visione prospettica, è una visione di quello che vogliamo, di dove
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vogliamo andare, di cosa vogliamo fare. La bioarchitettura non è la scienza
della tecnologia, non è una scienza nuova : la Bioarchitettura e l’ecologia sono
proprio i territori di confine.”
Il mio ricordo di Ugo come uomo di profonda e vasta cultura che, affabulando
concetti complessi, ci ha aiutato a comprendere il nostro essere uomini prima
ancora di essere architetti, che ci ha lasciato in eredità un ambizioso progetto
politico e ideologico del vivere e non dell’abitare, che ci ha insegnato come il
complesso mestiere dell’architetto è intimamente connesso alla vita e che quindi ha bisogno di conoscenze provenienti da altri settori disciplinari .
Il mio ricordo dell’ amico Ugo capace di comprendere e di intuire, disposto ad
ascoltare, con il quale era facile parlare ed ascoltare, con il quale era facile parlare non solo di bioarchitettura.
L’ultimo ricordo la telefonata per gli auguri del suo compleanno. Capricorno
come mia figlia Maria Libera. Abbiamo parlato di questo segno zodiacale, delle
sue affinità caratteriali con mia figlia.
È difficile dire chi era Ugo a chi non l’ha conosciuto, io l’ho avuto come amico.
Maria Grazia Santoro
Architetto, Lagonegro (PZ)
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Incantatore di platee
Ho conosciuto Ugo, architetto, seguendo i corsi INBAR che lui stesso ha divulgato attraverso la collaborazione di esperti nazionali e internazionali e le università,
volendo io, anche architetto, approfondire le tematiche relative alla sostenibilità e
in particolare la Bioarchitettura, come lui l’ha coniata insieme alla sua Witti.
Ugo mi ha subito conquistata professionalmente e umanamente rivelandosi un
maestro eccezionale. L’ho conosciuto per la prima volta a Gubbio nel 2000 e ho
subito avvertito che davanti a me c’era un grande architetto e un grande uomo.
Capace di farti sentire che anche tu contavi, che ti ascoltava e che con te voleva
condividere un percorso che costruiva insieme a te. Era un divulgatore eccellente, incantava la platea e chiunque lo avvicinava. Ricco di esperienze, di contatti,
di amore per la Bioarchitettura e tutto ciò che questa rappresenta: la storia, la
società, il sociale il passato e il futuro, la vita. Ti trasportava e ti coinvolgeva impregnandoti di sapori nuovi di gioia ed entusiasmi che ancora oggi ho vivi dentro di
me e coltivo quotidianamente, oggi sono parte di me.
Ugo era persona nobile e gentile dai modi semplici, che ti permettevano di avvicinarlo senza timori. Così con il tempo abbiamo proseguito a sentirci a mantenere i contatti e quando era possibile, a frequentarci, instaurando un rapporto di amicizia che ancora oggi continua grazie a Wittfrida, donna stupenda e amica che
molto umilmente ma con coraggio ed energia infinita prosegue il cammino intrapreso.
Ugo ha segnato profondamente la mia crescita professionale e nella vita, tanto da
riuscire a trasferire un po’ dei suoi insegnamenti nella mia città, a Pesaro, dove
con la collaborazione di colleghi che con me hanno intrapreso lo stesso percorso, siamo riusciti a portare una sensibilità nuova e sempre più presente sul nostro
territorio. Ugo mi manca ma per fortuna è sempre presente in ciò che faccio e
continuo a ricordarlo con la gioia di averlo incontrato.
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Annarita Santilli
Architetto, Responsabile per l’energia e la sostenibilità, Comune di Pesaro
Capacità di sintesi
Poche volte ho avuto la fortuna di poter incontrare Ugo. Ma ogni incontro mi è
rimasto impresso. In privato si poteva ridere e scherzare con lui, dove invece si
trattava di ambiti professionali, le cose dette da lui erano pensate e di una verità che colpiva.
Riusciva a fare il punto della situazione con riflessioni profonde.
Nonostante questa sua grande capacita e professionalità è rimasto sempre
umano e umile. Volentieri ricordo Ugo e nel pensiero mi rimane vicino.
Markus Scherer
Architetto, Merano (BZ)
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Accogliere la casualità
L'amicizia con Ugo nacque durante un incontro quando lavoravo per il
Comune di Roma. Disse che quel giorno le cose dovevano andare bene perché era anche il suo compleanno. Gli chiesi se aveva già deciso dove festeggiarlo. Mi rispose di no e così lo invitai, con Wittfrida, a festeggiarlo a casa
mia. Accettò entusiasta soprattutto per l'imprevedibilità di quella offerta. Mi
fece capire che interpretava proprio la casualità dell'invito come un segno di
buon augurio.
Da quel giorno ci frequentammo con una certa assiduità quando veniva a
Roma, ed ebbi modo di conoscerlo meglio come uomo, come architetto,
come docente e uomo di cultura. I suoi pensieri e comportamenti erano
segnati dal rifiuto di modelli precostituiti, dalla tensione verso una ricerca di
architetture e stili di vita non separabili tra loro, verso architetture non ridotte
a tipologie edilizie e tecnicismi bioclimatici, verso stili di vita ecologici concreti, privi di forzature ideologiche.
C'era in lui una tensione ideale verso quella che Bateson definisce “ecologia
della mente”, una visione olistica che richiede la consapevolezza del tutto se
si vuole costruire bene una parte.
Quando guardò i progetti di alcuni allievi di un corso di bioarchitettura nel
quale mi coinvolse come docente, espresse giudizi severi sul lavoro di chi,
progettando una scuola dentro il parco di S. Sebastiano, si era limitato a replicare una tipologia edilizia senza indagare sul genius loci, e di chi si era limitato a introdurre apparecchi bioclimatici come se fosse una semplice addizione di elementi.
Una visione olistica che era anche uno stile di vita, fatto di grandi aperture culturali e di gioiosa curiosità. Quando ci trovammo a Barcellona a passare insieme un Capodanno, capitammo in un locale dove fummo forniti di cappellini
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colorati e trombette. Non ho mai avuto la consuetudine di festeggiare il
Capodanno come in alcuni film americani e capii che anche lui non aveva
quella consuetudine. Mi vide perplesso, mi guardò e con il suo sorriso seduttore disse: “Perché no?”.
Che si ha da perdere se per un attimo ci si immerge nella vita degli altri, in
una consuetudine diversa, in un gioco che non conosciamo? Se la prendiamo con leggerezza forse è divertente e comunque capiremo qualcosa in più.
Mario Spada
Architetto, Roma
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La musica dell’architettura
Passavo spesso dallo studio di Ugo Sasso, lo trovavo sempre impegnato, in
fondo al suo ufficio a sistemare testi, elaborare concetti e sviluppare progetti.
Una sera era impegnato nella progettazione della struttura per l’esposizione
della Funivia del Colle a Bolzano, oggi esposta lungo la statale del Brennero.
Parlando di urbanistica gli chiesi: “Secondo te qual è segreto di buona architettura urbana?”
Alzando gli occhi dai fogli di carta mi portò alla finestra indicandomi la piazza
Erbe, cuore della Bolzano storica: “Lascia perdere la teoria! Guarda qui! Questa
è la vera architettura urbana, progettata dall’uomo per l’uomo! Una sinfonia di
volumi, decori, aperture e volte, che dettano il ritmo di un’architettura legata al
luogo e allo spirito, al tempo e allo spazio, alla geografia e alla storia. Un pezzo
di città che nessuno vuole stranamente riproporre, indirizzando i nuovi progetti
verso un agglomerato di tristi periferie.”
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Gerd Staffler
Giornalista e regista, Bolzano
Guardare il futuro
Ugo Sasso l’ho conosciuto e posso asserire che ora se ne sente la mancanza!
La Bioarchitettura è stata la sua creatura che ha fondato, fatto crescere con
determinazione e capacità.
Come spesso succede alle persone capaci, Ugo ha precorso i tempi avvertendo con intuito e anticipo i cambiamenti che hanno poi interessato e continuano
a interessare il nostro modo di vivere e perciò l’architettura.
Sarebbe stata ancora necessaria la sua presenza, la sua capacità, la sua perseveranza: tutte doti che lo caratterizzavano e lo facevano un termine di confronto per molti, certamente per me.
Piero Svegliado
Architetto, A.D. Celenit, Onara di Tombolo (PD)
102
L’amico al telefono
Ho conosciuto Ugo nel lontano 1991... per telefono. Per caso su una rivista di
attualità trovai un minuscolo trafiletto che parlava della Bioarchitettura e lo citava per una iniziativa sull'argomento. Gli telefonai e diventammo subito amici:
sembrava ci fossimo conosciuti da sempre, parlavamo lo stesso linguaggio e,
fin dalle prime battute, ci volemmo bene.
Questo era per me Ugo: più di un amico, una persona vicina al mio cuore, al
mio sentire e al mio pensare, il fratello che non ho mai avuto.
Nei momenti belli o difficili della mia vita Ugo c'era, con una telefonata...”Hey
Chris...”, un biglietto, una mail... sempre toccante, affettuosa, presente come
sapeva esserlo lui. E sempre propositivo, sempre proteso verso un mondo futuro da progettare, da migliorare, da vivere con partecipazione senza risparmiarsi mai, anche passando sopra o, meglio, vincendo ostacoli, debolezze e fragilità. Lui che non si ammalava mai, aveva sempre una partecipe preoccupazione
per la mia salute, standomi vicino, anche a tanti chilometri di distanza, in un
periodo di malattia. Ma, nonostante questa distanza, appena era possibile veniva a trovarmi, con la scusa di un incontro, un seminario, un'iniziativa sulla bioarchitettura alla quale partecipava insieme a Witti sempre con entusiasmo,
anche solo per incoraggiarci in momenti di stanchezza o di disimpegno.
Stare insieme a lui, anche solo per un giorno, una sera, qualche ora, era sempre una festa, un regalo, una ricchezza che ti lasciava e che ti impegnava a
centuplicare.
I viaggi dell'INBAR in giro per l'Europa erano, poi, un sovraccarico di conoscenza, scoperte, amicizia, emozioni e...stanchezza che, per fortuna, avevo tutta
l'estate per metabolizzare!
Da Ugo ho imparato tanto e ho avuto tanto. Ugo mi manca: come collega e
maestro, ma ancor di più come… Ugo.
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Cristina Tealdi
Architetto, Imperia
La dignità di essere architetto
Ho incontrato per la prima volta le parole di Ugo Sasso nell'ormai lontano 1995.
Erano scritte sul secondo numero della rivista Bioarchitettura. Titoli:
- Disarmiamo il cemento, intorno e dentro le ragioni di un dissidio;
- Sognando l'IBA, i materiali dell'ecologia: motore del recupero urbanistico e
sociale.
Avrebbero potuto essere state scritte ieri e non quindici anni fa, ancora attuali
e cariche di senso civico e professionale.
Dopo un breve periodo di diffidenza e presa di distanza da quei ragionamenti
che minavano le mie poche certezze, quelle parole non mi hanno più abbandonato, mi sono entrate dentro, sono diventate mie.
Successivamente si sono arricchite dei tanti contributi che Ugo ci ha lasciato: i
corsi, gli scritti e, soprattutto, per me, la rivista Bioarchitettura. Un appuntamento con la dignità di una professione socialmente utile, ma sempre più screditata e votata ad un facile, quanto falso e dannoso, entusiasmo economico.
Cinque anni dopo il primo incontro è stato il tempo del corso, ed alle parole è
seguito l'incontro con la persona; la forza delle idee e dei ragionamenti erano
perfettamente rappresentati da quello sguardo vivo e profondo.
Le sue parole sono state, per me, le parole di un maestro; mi ha completamente ribaltato il sistema delle certezze e conoscenze acquisite nel tempo dell'università e della prima, timida, pratica professionale, regalandomi la consapevolezza della necessità di un approccio olistico a quella splendida professione che
mi era dato di praticare.
Frequentare la sua intelligenza critica mi ha consentito di imparare ad usare
quel pensiero parallelo, spesso ignorato, che consente di contemplare non solo
le azioni, ma anche le conseguenze che queste portano.
Grazie Architetto, grazie Maestro.
Norberto Vaccari
Architetto, Reggio Emilia
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Fare rete
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Quando un architetto, abbandona questo mondo lascia comunque un’eredità materiale, ma a pochi eletti è concesso anche un lascito immateriale ovvero una: creazione dello spirito umano, che appartiene a titolo originario a chi l'ha prodotta. Ugo
Sasso c’è riuscito e l’ha chiamata BioArchitettura. La forza dell’idea è nella scelta
epocale in cui solleva il dibattito e nelle azioni professionali che mette in campo quali
paradigmi etici verso un’architettura amica. Un aforisma popolare dei sardi per qualificare le persone, direbbe in lingua italiana: “Non è tanto importante svegliarsi presto, quanto indovinare l’ora”. Quando Ugo Sasso coniava il termine Bioarchitettura,
Giancarlo De Carlo scriveva: “non avrebbe mai dovuto succedere che si parlasse
di ecologia, …ma sono contento che ad un certo punto qualcuno ...abbia sollevato
il problema. Che cos'è l'architettura se non è ecologica? Non mi riesce neanche di
pensarla”. Un’osservazione magistrale che inquadra la dimensione storico-culturale italiana che mi permette di fare un pezzo di strada assieme ad Ugo.
Trovo il tempo di iscrivermi all’INBAR nel 1998, subito dopo aver co-diretto il primo
corso nazionale per divulgare l’uso delle volte in terra cruda, e realizzato allo scopo
un’apposita architettura dimostrativa. L’anno successivo avrò l’occasione di pubblicare un articolo su “Bioarchitettura”, che a Cagliari, forse proprio perché rivista speciale, capitava raramente di poter anche solo sfogliare. Un incontro-scontro avuto
sul finire degli anni Settanta con le avvisaglie dell’edilizia ecologica mi ha reso diffidente in materia e quindi per il mio “pezzo” sceglierò provocatoriamente il tema più
complesso per l’Architettura in terra cruda, quello che da urbanista ho trattato in una
conferenza a Rabat, Marocco, nel 1996. Nessuna specifica costruttiva ma solo
Storia aliena delle piccole Città sarde in làdiri (adobe). Il n°13 della rivista, pubblicata nel febbraio 1999, sarà per me la scoperta che nel nostro Paese è nuovamente
possibile parlare di arte del costruire. Diventa chiaro che la genesi greca di bios
davanti ad architettura, riconduce l’intera azione progettuale al fine ultimo della Vita
sul pianeta e il benessere dell’Uomo. Sono concetti di un’architettura sociale che mi
è facile condividere con il coordinatore scientifico della rivista: Ugo Sasso.
Nel 2001 nasce l’Associazione Nazionale Città della terra cruda e anche in Italia
riparte l’attenzione per questa materia costruttiva, tanto che tre anni dopo siamo ad
una prima Proposta di Legge specifica. Il n°35 di Bioarchitettura, febbraio/marzo
2004, tratta quasi in modo monografico i temi dell’INBAR, mentre gli Atti della partecipazione all’udienza Ministeriale e al Convegno propositivo sono pubblicati in
Modus vivendi, supplemento al mensile di scienza natura e stili di vita, n° 8 Spedalgraf, Roma - settembre 2005.
Difficile dimenticare anche il rapporto interpersonale con Ugo Sasso e in modo particolare una mia telefonata in cui lamento lo sconforto di giacere in un letto di ospedale. Dall’altra parte, non ricevo le classiche parole di consolazione, ma una carica
vitale di cui ancora oggi mi avvalgo. Persino in veste di amico di telefono, Ugo era
l’uomo delle parole giuste al momento giusto. Forse è per questo che qualunque
progetto sostenibile raccontato da lui diventava immediatamente durable, come
più correttamente usano dire i francesi. Questo è uno dei tanti processi immateriali che occorre indagare per ricostruire l’eredità culturale che ci ha lasciato.
Vedo la Rivista come lo spazio virtuale in cui sedimentare con fini divulgativi i
risultati materiali e i processi immateriali usati, risolvendo così ciò che Ugo
segnala come: “Le ragioni profonde del mestiere di progettista che vengono di
raro indagate”. Occorre poi soddisfare un altro aspetto: “L’attuale sistema formativo dà per scontate le finalità dell’agire... e mentre tutto corre, il progettista è
preso dall’obbligo continuo di compiere scelte”. Sarà importante pubblicare
molte esperienze in merito; essendo questo il naturale conflitto della professione di architetto che già Vitruvio, nel suo Primo libro, lascia presagire. Oggi lo
chiamiamo sentimento schizoide perchè, da un lato ti fa sentire autore soddisfatto dell’opera realizzata, dall’altro ti ricorda di essere l’unico individuo qualificato
a giudicare i risultati di quel procedimento seguito per realizzarla. Penso infine
che le sezioni provinciali dell’Inbar, debbano diventare i nodi territoriali della rete
nazionale dell’associazione ovvero essere i luoghi fisici in cui consumare il confronto sociale con ogni categoria di persone interessata al confronto dialettico. È
sempre Ugo Sasso che ne indica la necessità in “Spazio, Tempo,
Bioarchitettura”, quando afferma: “La qualità non nasce dalla somma di qualità
ma attraverso le relazioni instaurate. Così come qualunque linguaggio, anche in
architettura sono i nessi, cioè le connessioni, che consentono l’accesso al significato”. Riuscire a soddisfare nel breve termine suddetti elementi consentirà di
condividere la soddisfazione di Ugo, quando davanti alla crescente domanda
perlomeno quantitativa di edilizia ecologica in Italia, scrive: “Il processo verso
un’architettura amica è stato avviato”.
Alceo Vado
Architetto, Cagliari
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Bioarquitectura
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“Me satisface estar en Barcelona, una ciudad tan vital y tan importante, para
formular una nueva visión de la arquitectura basada en la cultura y la ecología”. Estas fueron las primeras palabras que nos dedicó el entrañable Ugo
Sasso cuando le invité a participar en nuestro VIII Simposium “Una Sola Terra”
dedicado al pensamiento ecologista y a la arquitectura solar como ejemplo
práctico de esta filosofía holística.
Mis encuentros con él fueron breves pero intensos en compañía de Witti
Mitterer, cuyo destino hizo que fuese testimonio de su trágica muerte en una
playa de la isla Margarita. Pasaba unas breves vacaciones en el Caribe de
tránsito a Berkeley donde tenía previsto entrevistarse con Fritjof Capra
(Viena, 1939), discípulo de Iván Illich (Viena, 1926 - Bremen, 2002), y uno de
los pensadores críticos más lúcidos de la sociedad industrial. Sólo el que
conozca la labor intelectual de Capra puede imaginarse las consecuencias
creativas que hubiese podido dar aquel encuentro entre el arquitecto y el
pensador ecologista.
Antes de que viajara a Barcelona le visité en Bolzano, lo que me permitió ver
algunas de sus obras y tener información directa de su proyecto de extender la
bioarquitectura en toda la ecoregión mediterránea, impulsar el Istituto
Nazionale de Bioarchittetura (INB) y divulgar la revista “Bioarchittetura”. Fue
una maravillosa ocasión de conocer los excelentes vinos del Alto Adige y los
lagos y picos de los Dolomitas.
Su presencia en Barcelona, del 14 al 16 de abril de 2004, para dar una conferencia y participar en un coloquio tuvo un gran impacto, especialmente entre las
jóvenes generaciones de arquitectos. Algunos de ellos, como Felip PichAguilera, Teresa Batlle y Toni Solanas, animados por la labor desarrollada en
Italia por el INB han impulsado un primer congreso de bioarquitectura que se
celebrará la primavera de 2011 en el Colegio de Arquitectos de Cataluña y que
intentará dar una visión humanista y ecológica de la construcción.
Las teorías de Ugo Sasso son hoy un faro y una alternativa ante la grave crisis
que afecta al sector de la construcción. La bioarquitectura, con la incorporación
de la energía solar y el ahorro energético, representa una revolución cultural y
económica que tendrá una repercusión extraordinaria en las formas de vida y
consumo de este siglo. Los pueblos mediterráneos no podemos desaprovechar
liderar este cambio del que Ugo Sasso será un referente, tanto por su capacidad de comunicar como por su reivindicación de una cultura ecológica transversal. “Estoy convencido que la arquitectura contemporánea es la cosa más
decadente y miserable que haya producido jamás nuestra sociedad”, nos dijo
en Barcelona (Ugo Sasso, “Per una arquitectura ecològica i humanista”, “El
pensament ecologista. Projectes solars a Catalunya”, Una Sola Terra/Diputació
de Barcelona, 2006). También tuvo el coraje de criticar la arquitectura-espectáculo de los Santiago Calatrava, Ricard Bofill, Jean Nouvel, Norman Foster,
Oriol Bohigas, Alvaro Siza… “La arquitectura no es espectáculo sino emoción… No se trata de hacer una arquitectura bonita y elegante, sino una arquitectura justa y correcta, que establezca una relación con el medio ambiente y
el hombre. Una arquitectura que haga que Barcelona pueda continuar llamándose Barcelona. Si es importante que Cataluña hable la lengua catalana y se
viva y coma de una determinada manera, también lo es que se construya de
una cierta manera. Una manera que reconozcamos que estamos en Cataluña.
Desgraciadamente, la globalización nos lleva a la uniformización de las formas
de construir”. Esta reflexión podría extenderse también a todas bioregiones
mediterráneas y es una defensa radical de la autonomía cultural de los pueblos.
La estela de la asociación que impulsó Ugo Sasso en Italia, que ha contribuído decisivamente en crear conciencia colectiva de los problemas ambientales
y energéticos relacionados con la construcción y sus materiales, ha llegado a
Cataluña. Trabajaremos para que su mensaje llegue a la opinión pública y
pueda contribuir a regenerar la arquitectura de nuestro país.
Santiago Villanova
Architetto, Presidente Associazione Una Sola Terra, Sant Feliu De Guixols (E)
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Pensiero positivo
La tragica scomparsa di Ugo Sasso per me, come per il Curatorium per i Beni
Tecnici e per tutti quelli che lo conoscevano, è stato un grande shock e una perdita incolmabile. Nella sua veste di architetto, Ugo era consulente prezioso e
persona capace di convincere con le sue idee innovative con caparbietà e sensibilità anche chi inizialmente fosse di opinione diversa.
Da grande lavoratore ha dato dimostrazione della bontà d'intenti in occasione
della grande mostra “La parabola della meccanica -Zeitzeichen der Technik”
presso la stazione a valle della Funivia del Renon (BZ).
Il Curatorium per i Beni Tecnici gli deve oggi moltissimo e farà anche in futuro
tesoro del suo sempre pensiero positivo. Peccato che non sia più tra di noi.
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Martin Christoph von Tschurtschenthaler
Direttivo Curatorium Beni Tecnici, Bolzano
Prima uomo, poi professionista
Quando sono entrata, da novellina nella sezione INBAR di Milano nel 2002, il
nome e la figura di Ugo era già consolidata; la curiosità di conoscerlo di persona
aumentava ogni volta che ne sentivo parlare da colleghi e amici, ognuno che
riportava un aspetto, un lato del carattere o una inclinazione professionale.
Finalmente, in occasione dei Dialoghi organizzati presso la Triennale di Milano,
l’incontro.
Rimasi stupita dalla sua semplicità ed affabilità; pensavo mi sarei trovata di fronte ad un uomo “popolare”, impegnato in rapporti e pubbliche relazioni, con poco
tempo per gli altri; pensavo che avrei dovuto sgomitare per riuscire a stringergli la
mano.
Invece ho trovato l’uomo prima che il professionista, capace di relazionarsi con
tutti e di dare uguale attenzione a progettisti di fama, giornalisti o….nuovi soci.
In realtà la cosa all’istante mi lasciò perplessa, come se questa dote suonasse più
come un difetto;
Poi gli incontri si sono susseguiti, e a poco a poco ho capito….il fondamento della
Bioarchitettura che pensavo puro tecnicismo.
La Bioarchitettura è fatta di scambi, di relazioni, di arricchimento che può venire
da chiunque e spesso, da chi meno te lo aspetti.
L’interdiscipliarietà, a cui lui si riferiva e che io solo ora inizio a capire e ad apprezzare, è quella miscela fatta soprattutto di uomini, di persone, di individui che vivono, non per consumare ma per provare emozioni, per relazionarsi, e che per farlo
hanno bisogno di spazi, di luoghi di costruzioni che siano al suo servizio. Se si
perde di vista l’uomo, rimangono solo infrastrutture a volte pesanti ed inutili.
Questo l’insegnamento grande che mi ha lasciato e che spero, con la mia passione ed il mio lavoro di mettere in pratica ogni giorno fuori e dentro l’Istituto.
Grazie Ugo, ci ho messo otto anni, ma l’ho capita!
Donatella Wallnofer
Architetto, Milano
110
L’arte del costruire
Ci siamo incontrati per motivi di lavoro, obiettivi reali quelli che ci hanno fatto
sognare, teorici e pedagogici. Witti, la tua guida logistica, mi ha mobilitato con
tutta la sua capacità persuasiva fino a quando ho accettato a venire ad insegnare al master alla Lumsa, l’Università Cattolica a Roma.
Hai individuato in me lo spirito comune, un’anima gemella. La tua visione dell’ambiente costruito armonico era aperta e interdisciplinare. Dopo il nostro primo
incontro era immediatamente evidente, che l’impegno appassionato per un
mondo migliore veniva vissuto da entrambi in maniera entusiasta e autentica.
L’obiettivo della tua vita era chiaro. Hai lottato per l’attuazione più umana delle
tecniche edilizie cercando attraverso un’espressione estetica e di qualità percettiva di porre l’architettura al centro dell’agire umano: l’architettura come veicolo e
supporto dell’arte del costruire come lo era durante tutta la storia dell’uomo, fino
a poco tempo fa.
Hai sviluppato con energia invidiabile, profondo sapere e verve retorica, strategie
e metodi mirati all’attuazione dei tuoi obiettivi: un instancabile maestro in tanti convegni, ricerche, pubblicazioni e lezioni universitarie.
La tua competenza e il tuo carisma hanno posto al di là della tua tragica scomparsa legami duraturi tra tutti coloro che ti hanno sin qui seguito e che ti seguiranno.
Ti siamo grati per il tuo impegno e la tua fede a favore di un futuro migliore.
Soluzioni progettuali per Calenzano.
Rob Krier
Architetto, urbanista, Berlino (D)
112
Ugo Sasso,
maestro e docente
“La città, tra ecologia della tecnica
ed ecologia dei segni”
tratto dal ciclo di conferenze
"Italia e Italie",
Università di Innsbruck,
5 novembre 2008
Gestire le risorse, scegliere i materiali,
ottimizzare le energie, organizzare lo spazio,
prestare attenzione ai veri bisogni della
società attuale, mantenendo la
preoccupazione per quelle future, è impegno
urgente e non cancellabile, al quale la cultura
progettuale è tenuta ad adeguarsi.
114
La città, tra ecologia della tecnica ed ecologia dei segni
Parlare di ecologia è ormai entrato a far parte del pensiero progettuale globale,
accentrando sempre con maggiore attenzione la focale su argomenti quali l’inquinamento, la produzione di CO2, il clima, l’energia nucleare. Tuttavia il dibattito corre assieme a logiche opportuniste, l’odore del business, la speculazione
e le leggi del mercato che spesso ne pregiudicano la corretta applicazione.
Due sono i parametri fondamentali attraverso cui si conquista l’ecologia: la biocompatibilità (mantenere attenzione alla salute delle persone nel corso dell’intero processo, dalla produzione alla dismissione) e l’ecosostenibilità (cioè la
consapevolezza che non è giusto né opportuno sprecare energia e risorse).
L’utilizzo sempre maggiore di nuovi materiali (in edilizia oggi se ne usano fino a
15.000 tipi differenti), prodotti dalla sintesi di composti petroliferi, impedisce lo
smaltimento in tempi brevi degli impatti sul sistema natura, con l’aggravarsi dei
danni ambientali. Lo sfruttamento delle risorse è un tema molto affrontato, tuttavia spesso si limita a considerarne solo l’aspetto dell’utilizzo, tralasciando i
costi ambientali alla produzione e allo smaltimento. Ne è un esempio il proliferare delle installazioni fotovoltaiche, a cui vengono attribuite doti che garantirebbero l’ecologicità dell’intero edificio, prodotte con celle in silicio amorfo, di cui è
ancora del tutto ignorato l’aspetto inquinante a ciclo di vita ultimato. Allo stesso
modo il polistirolo, il polistirene, il polipropilene, dal costo di produzione competitivo nel mercato degli isolanti termici, non vengono valutati per l’aspetto altamente inquinante in fase di produzione. Sono prodotti derivanti dallo stirene,
sostanza altamente reattiva, tossica, infiammabile e pericolosa, che ogni giorno
circola liberamente, ad esempio, in 24 vagoni che percorrono giornalmente la
tratta ferroviaria che attraversando il Passo del Brennero, da Ravenna giunge
fino a Francoforte: un danno ambientale incalcolabile in caso di incidente.
Soggiogati dalle logiche di mercato, l’economia soffoca le leggi della natura.
Accade così che non vengano più piantate querce per la produzione di sughero, in quanto la produzione ottimale si otterrebbe dopo 40 anni, un limite inaccettabile per la società contemporanea del “tutto e subito”.
Un concetto che prevede una continua espansione dello sfruttamento energetico per evitare l’implosione del sistema economico globale. Ad oggi un terzo
della popolazione mondiale, il cosiddetto “Occidente”, consuma i due terzi delle
risorse, mentre il 70% della popolazione si deve accontentare di quanto ne
116
Ugo Sasso con il professor Palmonari
del Polo Ceramico, durante una
conferenza a New York.
rimane. Una logica che, se condivisa anche dai Paesi in via di sviluppo come
India e Cina, giustificati dal comportamento energetico dell’Occidente, porterebbe a serie problematiche ambientali. È necessario dunque porre un freno
ai consumi globali, che certamente non si attua attraverso la riduzione del
consumo di un singolo elemento. Ogni volta infatti che si abbatte il consumo
per unità di prodotto, o di servizio, ne aumenta proporzionalmente il suo consumo: l’auto, che oggi consuma la metà rispetto a una decina di anni fa, è
venduta in numero doppio rispetto al passato. Il piano dunque deve essere un
altro, ovvero quello della percezione e della qualità indipendente dal consumo. Si tratta di un atteggiamento ormai improcrastinabile che dovrebbe caratterizzare ogni azione, ogni intervento, ogni trasformazione della realtà. Tali
aspetti risultano fondamentali anche nella progettazione di un edificio.
Se è vero che oggi più che mai c’è bisogno di aggregazione, di stare insieme,
117
di dialogare, di riconoscersi nei luoghi per imparare a conoscere se stessi,
diventa allora indispensabile fare i conti con il contesto, con l’insieme, con i
rapporti che ogni elemento stabilisce, lo si voglia o no, con tutto il resto. Si
Ugo Sasso e Fritjof Capra durante la conferenza “Relazioni
spaziali” a Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Duecento, 31
marzo 2007.
tratta di relazioni che si determinano sempre, sia nei casi in cui vengono progettate e gestite, sia che ne ignoriamo la centralità concentrandoci sui singoli obiettivi specifici. Per cui, prima ancora di pensare ad una struttura funzionalmente organizzata o un’architettura elegante e piacevole, o ancora ad un
insieme spettacolare capace di catalizzare sulla bioarchitettura dotti consensi, l’attenzione va focalizzata sullo sforzo di attribuire organicità ad uno spazio su cui insistono molteplici forme e volumi, aggregatisi in tempi diversi.
L’attenzione dunque va riposta nella qualità globale, stabilita attraverso le
relazioni che si compongono tra progetto e ambiente, e non nella specificità
ed eccezionalità del singolo elemento. La qualità non è mai la somma di tante
qualità. Per convincere anche i soggetti più integrati nel sistema (che risultano quindi più tenacemente abbarbicati all’idea di una modernità plausibile)
basta portarli a riflettere su quanta distanza intercorre tra due “oggetti architettonici” moderni che ritengono significativi e quanta eleganza, grazia, garbo,
umanità si concentri invece in un qualunque luogo spazialmente definito più
di 100 anni or sono.
118
Il mito della funzionalità e della forma legata alla funzione, teoria elaborata dalla
Bauhaus inizialmente per oggetti di design e applicata in seguito all’architettura (si pensi alla “macchina per abitare” concettualizzata da Le Corbusier), ha
portato a esempi che sono tutt’oggi sotto i nostri occhi: il Coviale a Roma, la
nuova Berlino, astrusità, deformazioni mentali, monumenti autocelebrativi del
progettista o della tecnica.
Quella che appare oggi come criticità, cioè la scarsa vocazione del “complesso
all’accoglienza”, non è ovviamente determinata dal poco o tanto valore dei singoli elementi costitutivi presenti, quanto dal fatto che ciascuno di essi si sforza
di rispondere ad una logica interna, autistica, autoreferente, a seconda dei casi
razionalista, organica, analitica, strutturale, ecc.; nonostante (proprio perché)
ogni intervento ha cercato la soluzione in assoluto più efficace, funzionale, logica, sommamente rispondente alle richieste, le varie proposte finiscono per
119
esprimere stridore reciproco.
Il caso è applicabile anche alle architettura che sorgono con un’etichetta di ecosostenibilità che appare più come operazione di marketing che di progettazio-
Alcuni momenti del Laboratorio di Bioarchitettura, organizzato a
Calenzano nel 2007.
ne a sostegno delle ragioni ambientali. Un insieme di volumi aprioristicamente
determinati dal movimento del sole o conformati secondo l’obiettivo vincolante e
prioritario del contenimento dei consumi energetici, sono impossibilitati a stabilire una relazione reciproca e sono quindi condannati nei secoli a rimanere periferia, cioè elementi slegati e privi di reciproca connessione. Per attribuire natali
nobili a tale impostazione si riportano però spesso studi teorici sui sistemi aggregativi spontanei, si citano le case arroccate contro il sole nel Magreb, le torri del
vento persiane, i pueblos costruiti dai messicani nel cono d’ombra della montagna, i microclimi consentiti dai cortili dell’area mediterranea, i giardini d’inverno
dei Paesi nordici e così via. Nessuno mai che alzi lo sguardo in una strada di un
qualunque nucleo storico, sempre straordinario nella sua espressione di vuoti e
di pieni, di luci ed ombre, nel racconto vibrante di storie passate ed emozioni presenti; potrebbe con facilità controllare come la percentuale delle aperture sul lato
destro e sinistro della strada risultino sempre percentualmente identiche! Cosa
significa? Che anche in assenza di petrolio ed elettricità, e quindi quando riscaldarsi e raffrescarsi era davvero impegnativo, al rapporto con il sole gli uomini
120
Ugo Sasso durante un viaggio studio di
Bioarchitettura presso uno stand
interattivo all’Expò di Hannover, 2000.
hanno sempre preferito quello con la strada, la piazza, il vicino, la veduta interessante. Dovunque, che sia rivolto a nord o a sud, sull’Adriatico, il Tirreno o nel
cuore delle Alpi, se c’è uno specchio d’acqua - un lago, la riva del mare, un fiume
- le case sempre lo hanno assunto come riferimento organizzativo. Più del sole
veniva invece tenuta in considerazione l’azione del vento: in una strada ventosa
non si può passeggiare e fermarsi sotto il portone a chiacchierare.
Un rapporto troppo stretto con una realtà esterna (in questo caso il sole) porta
infatti inevitabilmente ad allentare il rapporto reciproco tra gli edifici e di questi
con il territorio. Va abbandonata dunque ogni pretesa meccanicistica e insieme
ogni speranza di trovare la soluzione in un’equazione per quanto complessa.
Per altro, una volta raggiunta, nell’importante confronto con la macroscala, la
consapevolezza di aver a che fare con un organismo complesso, si sarà maturata una nuova visione generale dei problemi che metodologicamente si riflette
121
su ogni singolo, per quanto piccolo, intervento.
Il problema che oggi sovrasta e sconquassa l’architettura è la totale mancanza
di obiettivi, intenti, propositi, finalità e strategie condivisi: più soggetti, magari tutti
animati dal desiderio di fare il meglio a favore della collettività, dinanzi allo stesso problema giungono a risultati tendenzialmente opposti. E questo non in base
a caratterizzazioni ideologiche, politiche, culturali, intellettuali, di formazione,
ecc. ma in maniera del tutto casuale e imprevedibile. Non vige alcuna chiarezza
circa il corretto e lo scorretto, il legittimo e l’illegittimo, il gusto ed il disgusto, la
regola e la sregolatezza: ogni valutazione si muove a caso assumendo volta per
volta coordinate quali la capacità di esprimere la contemporaneità, la dimostrazione di aver contenuto il consumo di suolo, l’abilità nel pronosticare un ipotetico futuro o di aver conseguito una distribuzione razionale, una forma ascetica o
magniloquente, l’organizzazione funzionale alla cantierizzazione o la facilità di
smontaggio e di riciclaggio, ecc. ecc. in una babele di segni e comportamenti in
cui il valere (o non valere) tutto e il contrario di tutto rende scivoloso il raffronto,
impraticabile la ragionevolezza, inapplicabile il criterio, vanificato il senso. Ad
esempio se fissato il luogo, la destinazione, la volumetria, la spesa e gli altri dati
vincolanti, venisse dato distinto incarico ad un gruppo di progettisti di disegnare
il progetto più idoneo, obiettivo, elegante, significativo e pertinente di cui sono
capaci; ed ad un altro gruppo di professionisti altrettanto coscienziosi e preparati l’incarico di disegnare un volume rispondente alle necessità edificatorie ma
intrinsecamente scorretto, capotico, inelegante, insignificante e per nulla pertinente; ebbene: garantita la realizzabilità e mescolati i disegni, né il profano né il
tecnico né il docente universitario né lo storico dell’architettura sarebbero in
grado di distinguere l’intenzione che li ha originati. Programmaticamente giusti e
deliberatamente sbagliati si confonderebbero in maniera indistricabile secondo
dinamiche di tragica equivalenza. Si ha così la dimostrazione dell’assurdità della
situazione attuale, la evidenziazione dell’assoluta mancanza di relazione da
parte dell’architettura con le ragioni (esistono, e sono reali e cogenti!) del suo
essere ma anche la inderogabile necessità di porci un sistema di quesiti fondanti che dinanzi a ipotesi divergenti consentano un minimo di orientamento; di porci
obiettivi appunto “edificanti” attraverso la condivisione di alcuni criteri strategici
di base capaci di metterci d’accordo su alcune grandi priorità da cui partire per
ri-costruire quel concetto di architettura di cui la società ha assoluto bisogno.
Stabilito cioè che l’intervento oggi non può non tendere all’ecologia, tra i quesiti
che vanno alla radice del fare architettura se ne possono individuare alcuni di
122
123
Ugo Sasso, dicembre 2008.
Nella pagina accanto, con Cristina Tealdi a Berlino, sotto la
Cupola del Parlamento tedesco.
particolare efficacia rispetto a cui graduare l’attenzione, l’impegno e le risorse.
Un progetto ecologico dunque in quanto teso a migliorare la qualità diffusa dell’ambiente e della vita senza ricorrere a esibizionismi e senza spreco di risorse.
Ma anche “ecologico” perché capace di coinvolgersi positivamente nella realtà a
tutti i livelli senza distinguere tra becera attività quotidiana ed estetica opera
magistrale. Ecologico perché avvicinabile e accessibile a tutti i progettisti che
senza inseguire le chimere dell’impossibile possono guidare le proprie azioni
verso obiettivi chiari e semplici che fanno riferimento al rispetto per le persone,
incentivano l’aggregazione e quindi consentono all’ideatore di sentirsi integrato
nella società, propongono situazioni adottabili dagli abitanti attuali e futuri e quindi più consone, mantenibili e trasformabili.
Se è vero dunque, come è vero, che l’ecologia è la scienza delle relazioni, dell’insieme, dei rapporti, degli scambi, non si fa architettura ecologica se non attraverso l’accoglienza e la cura delle piccole e grandi sinergie tra le parti - spesso
anche spontanee, naturali, immediate - che se tuttavia non vengono strenuamente cercate e gestite, oggi ci si rivoltano contro.
124
Bioarchitettura: una definizione
L’ecologia, ormai, è nel nostro orizzonte. Si fanno sempre più ricorrenti i termini:
architettura ecologica, bioedlizia, bioclimatica, Bioarchitettura, edilizia sostenibile,
ecc. Anche se spesso usati come sinonimi, ciascuno di essi cela diverse correnti di
pensiero. Bioclimatica è il termine più maturo per età, riflessioni e applicazioni.
Introdotto negli anni ‘70 assieme alle tecnologie solari “attive” (collettori solari, pannelli captanti, ecc.) sviluppò in seguito una visione solare “passiva” dell’edificio nel
suo complesso (superfici captanti, masse di accumulo, serre, gestione moti convettivi dell’aria, muri di Trombe, ecc.). Oggi si orienta verso valutazioni prestazionali,
controllo dei parametri, tecnologie integrate, sistemi di riscaldamento / raffrescamento, incremento della luce naturale e simili, ponendo in relazione l’edificio con gli
elementi quantificabili esterni. L’attenzione che si sposta dal processo costruttivo
alle sue finalità, è di matrice tedesca, con la Baubiologie, in italiano bioedilizia, che
distingue tra due parametri, non sempre convergenti: il problema energetico (ecosostenibilità, comprendente anche i materiali) e il problema della salute umana (biocompatibilità). I quali, come nel frattempo aveva definito la nozione di sostenibilità,
vanno declinati “dalla culla alla tomba” e “garantendo le generazioni future”.
Se l’ingegneria verde, con la fuga in avanti connessa con l’adesione tecnologica è
di stampo anglosassone, la Bioarchiettura è accezione maturata in ambito sostanzialmente italiano. Vede l’essenza dell’ecologia nella durata del manufatto, perseguibile più che attraverso stratagemmi tecnologici, mediante l’attribuzione di significati. Per trasformare una sommatoria di tecnologie e materiali - ovviamente biocompatibili ed ecosostenibili - nella casa dell’uomo, è necessario coinvolgersi nelle tradizioni, nei codici, nei linguaggi, adottando un’ottica complessiva (inevitabilmente
urbana) che richieda scelte consapevoli e responsabili. La razionalistica coerenza
tra forma e funzione perde di significato, sostituita dalla verifica circa la facilità di
antropizzazione dello spazio, la percezione del “sentirsi a casa”, la possibilità di mettere radici. Si tratta di una sorta di “nuovo umanesimo” che pone la vita e la sua qualità come obiettivo primario del progetto. “Tempo e spazio”, riferimenti classici dell’architettura, vengono letti come necessità di adesione alla storia e alla geografia,
cioè alle “persone ed ai luoghi”. La rottura con il funzionalismo (la casa come macchina per abitare e il territorio come superficie indifferente) e con il formalismo (autoreferente e spettacolare) è divenuta ideologica.
Ugo Sasso
126
Ugo Sasso,
architetto
Complesso per abitazioni e negozi
Bolzano, 1993-1995
Progetto ITI Ferraris
Empoli, 2003-2011
Tendere verso un’architettura che privilegi la
relazione e l’incontro, il benessere e
l’uguaglianza vuol dire attuare una strategia
culturale che coniughi percezione e
sostenibilità, valutazione e partecipazione,
tecnica e organizzazione.
Vuol dire preferire la qualità alla quantità.
128
Complesso per abitazioni e negozi a Bolzano
L’intervento commissionato nel 1993 dall’Istituto per l’Edilizia Sociale, il principale operatore di edilizia abitativa della Provincia di Bolzano, è uno dei primi progetti realizzati in Bioarchitettura da un ente pubblico in Italia. L’area in oggetto fa
parte di un quartiere edificato durante il periodo fascista con una serie di case
quadrifamigliari, denominate semirurali, con orto annesso, destinate ai lavoratori
delle industrie trasferitesi a Bolzano. Oggi il quartiere delle semirurali è stato quasi
del tutto abbattuto e destinato ad edilizia popolare o cooperative, mantenendo
solamente due di questi edifici, uno come residenza e uno come museo. L'intero
quartiere pertanto ha subito una forte quanto rapida trasformazione che ha in
alcuni casi modificato il carattere tipico dell'èdilizia altoatesina. L'obiettivo raggiunto dal progetto di Ugo Sasso era fin da subito quello di riuscire a riportare in un
luogo dall'edilizia "anonima" un elemento rappresentativo, che fosse a prima vista
un ricongiungimento con l'architettura storica della città. Il tutto realizzando un
fabbricato plurifamiliare che si differenziasse da quelli tradizionali per la riduzione
delle fonti di inquinamento interno, che modificano la qualità dell'aria, producono
campi elettromagnetici artificiali o generano emissioni dannose.
130
Pianta del piano-tipo degli appartamenti.
Nella pagina accanto, schizzo del prospetto sud.
L'edificio risulta compatto, formato da due blocchi ortogonali che presentano
altezze differenti, da 4 a 5 piani fuori terra, allineati sui due fronti stradali che delimitano l'area, è composto da 12 appartamenti, 3 negozi ed un bar.
Il piano interrato comune è destinato a cantine e magazzini per i negozi. In ogni
blocco, dal primo al terzo piano, due appartamenti per piano sono organizzati
attorno al vano scala, al piano terra si trova un appartamento per persone diversamente abili, mentre un appartamento sviluppato su due livelli occupa gli ultimi
due piani. I negozi ed il bar si trovano al piano terra, in corrispondenza del porticato continuo, che si affaccia sulla via principale, la più affollata (il porticato riprende lo stile tipico dei portici del centro città e tende a stabilire uno spazio di relazione per i passanti). Gli esercizi commerciali ed il bar - che fruisce di una terrazza
all'aperto da utilizzare nella buona stagione - sono progettati per diventare centro
delle relazioni del quartiere; lo spazio scoperto è articolato in zone dedicate e per-
131
corsi, dove risultano modulati i diversi ambiti pubblico - semi pubblico - privato, di
un'area verde collettiva. All'interno dell'isolato i corpi di fabbrica delimitano una
zona verde comune. L'edificio ed il giardino sono pensati per formare un organi-
smo unitario in cui si articola la vita sociale. Nel progetto si è teso a riassumere
una complessa rete di obiettivi di natura sociale, culturale e tecnica tra loro correlati, allo scopo di ottenere un sistema di relazioni attorno all’abitazione, che si producano in effetti positivi dal punto di vista dell’ecologia e del miglioramento della
qualità della vita, associata ed individuale.
L'approccio al progetto ha coinvolto una serie di interazioni che caratterizzano il
sistema edificio-salute-ambiente prevedendo l'integrazione di importanti obiettivi
ecologici in relazione alle specificità del contesto insediativo e climatico. Molti
degli obiettivi ecologici ricercati trovano soluzioni compatibili con le risorse disponibili e con modalità costruttive e tecniche artigianali in grado di assicurare buoni
livelli di qualità.
Le innovazioni tecniche bioecologiche più rilevanti apportate in questo progetto
fanno parte di gruppi omogenei definiti come segue.
Responsabilità ambientale:
- uso di materiali da costruzione dal ciclo di vita a basso consumo energetico,
ricavati preferibilmente da risorse locali;
132
- utilizzo minimo di materiali derivanti da risorse non rinnovabili;
- esclusione di materiali e prodotti realizzati con sostanze dannose per lo strato
di ozono stratosferico o che siano stati estratti distruggendo risorse naturali
importanti.
Limitazione dell'impatto sull'ambiente locale del nuovo intervento edilizio e di ottimizzazione delle risorse:
- eco-gestione delle risorse energetiche (utilizzo di fonti di energia rinnovabile,
adozione di misure per la conservazione dell'energia);
- recupero dell'acqua piovana, filtraggio e riutilizzo negli scarichi dei WC;
- impiego di materiali da costruzione facilmente riciclabili.
Miglioramento del comfort ambientale e prevenzione dei danni alla salute degli
abitanti:
- esclusione di tutti i materiali e prodotti sintetici contenenti metalli pesanti o formaldeide, causa di emissioni pericolose per l'uomo;
- impiego di materiali naturali, sani, privi, una volta installati, di emissioni pericolose;
- ricorso minimo a materiali di origine sintetica con relativo impiego per quello a
minor grado di nocività o con prestazioni complementari vantaggiose (ad
esempio polipropilene o polietilene al posto del polivinilcloruro);
- incremento del comfort idrometrico degli ambienti interni e del grado di permeabilità al vapore delle pareti;
- incremento del comfort interno relativo alla qualità dell'aria, tramite utilizzo di
ventilazione naturale, e dell'illuminazione, (luce naturale);
- prevenzione dell'inquinamento elettromagnetico tramite impianti elettrici
schermati;
- adozione di schemi costruttivi al piano interrato che permettono un naturale
smaltimento delle emissioni di gas radon dal terreno tramite ventilazione naturale comunicante con l'esterno (nonostante la concentrazione del gas radioattivo nel terreno non fosse rilevante).
La scelta di un sistema costruttivo semplice, realizzato in muratura portante in
blocchi di laterizio alveolato, gioca un ruolo determinante organizzando la distri-
133
buzione dei vani interni e consentendo all'edificio di reagire in modo scatolare alle
sollecitazioni, evitando così l'impiego di strutture a telaio in cemento armato (con
elevato dispendio di energia per la messa in opera e l'alterazione dei campi
Schizzo di studio del prospetto nord sul giardino e sezione di progetto.
magnetici naturali dovuti all'acciaio). La rigidità del sistema è completata da solai
in legno, costituiti da travetti portanti e tavolato. Il tetto a capriate, sempre in legno,
ha un doppio tavolato con intercapedine per la ventilazione, uno strato di freno al
vapore e il manto in coppi di laterizio. Le canalizzazioni per la raccolta dell'acqua
piovana sono in rame. L'impianto elettrico, dotato di disgiuntore automatico di corrente per la linea luce, è realizzato mediante un canale montante centrale posto
lontano da camere e soggiorni, distribuito radicalmente nei vari locali, senza anelli o circuiti chiusi. I cavi passanti nelle zone più importanti inoltre sono schermati
per evitare la diffusione di campi elettrici. L'impianto idrico ha distribuzione stellare, con condutture in polipropilene e scarichi in ghisa, a differenza degli scarichi
in PVC utilizzati comunemente oggi.
Gli alloggi presentano una distribuzione interna ottimizzata in relazione all'orientamento, con gli ambienti di vita esposti per quanto possibile a sud, camere e servizi a nord. L'esposizione contrapposta consente la ventilazione trasversale degli
ambienti. Il comfort igrotermico nel periodo invernale è ottenuto consentendo economie di gestione grazie alla combinazione di diversi fattori:
134
Dettaglio della copertura in legno con doppia
ventilazione, sopra e sotto il manto impermeabilizzante. A sinistra, sezione verticale del
muro di Trombe. In basso, schizzo di studio
del prospetto ovest.
Nella pagina accanto la facciata sud sulla
strada.
135
- forte inerzia termica assicurata dalla muratura portante in laterizio;
- isolamento termico maggiorato delle pareti perimetrali esposte a nord mediante
rivestimento isolante a cappotto, realizzato con pannelli di sughero intonacati;
- isolamento termico del tetto mediante l'intercapedine formata dalla struttura a
capriate e dal manto di copertura ventilato;
- riduzione dei ponti termici strutturali mediante rivestimenti esterni in fibra di
legno;
- utilizzazione della rete di riscaldamento urbana e predisposizione per l'installazione di stufe a legna in funzione complementare, per ogni unità abitativa;
- utilizzazione dell'apporto solare passivo negli ambienti della zona giorno;
- controllo del tasso di umidità relativa interna grazie alla permeabilità al vapore e
perciò all'azione traspirante delle murature in laterizio, che svolgono contemporaneamente funzione portante e di articolazione distributiva.
I fronti affacciati verso sud e verso la strada presentano aperture più ampie, logge
arretrate e muri di Trombe. In inverno, per migliorare le condizioni ambientali della
zona soggiorno-cucina, è quindi prevista l'utilizzazione del contributo solare pas-
136
Il complesso dal lato nord sul giardino e dettaglio dei balconi in legno appesi con cavi d’acciaio.
Nella pagina accanto, il prospetto est lungo la strada secondaria.
137
sivo che forniscono le logge vetrate (per effetto serra) e dei muri di Trombe (per
irraggiamento e convezione). Le prime sono costituite da una veranda vetrata che
è in grado sia di captare, mediante un muretto basso, i raggi solari nella loro inclinazione invernale, sia di attenuare, grazie alla doppia chiusura trasparente, gli
sbalzi termici. I secondi, funzionando come pannelli solari, trasferiscono l'aria
riscaldata nell'intercapedine all'interno degli ambienti, mediante un moto convettivo naturale. Il porticato al piano terra; infine, rappresenta un tradizionale sistema
di protezione dalle temperature esterne dei giorni più caldi dell'estate.
Complesso per abitazioni e negozi, Bolzano, via Bari
Committente: Istituto per l’Edilizia Sociale della Provincia di Bolzano
Progetto architettonico: Ugo Sasso
Statica: Alberto Ardolino
Impianti: Enzo Zadra, Luigi Beggiato
Superficie: 4775 m2
Costo: 1.800.000 €
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Nuovo Polo Scolastico, Istituto Superiore Ferraris, Empoli
Rendering di progetto. Attualmente il complesso è in fase di costruzione.
Due sono i parametri fondamentali attraverso cui si conquista l'ecologia: la biocompatibilità (mantenere attenzione alla salute delle persone nel corso dell'intero processo, dalla produzione alla dismissione) e la ecosostenibilità (cioè la consapevolezza che non è giusto né opportuno sprecare energia e risorse). Si tratta di un
atteggiamento ormai improcrastinabile che dovrebbe caratterizzare ogni azione,
ogni intervento, ogni trasformazione della realtà. Non impegnarsi nel salvaguardare l'ambiente e l'uomo con esso, è semplicemente stupido.
Questo può risultare tuttavia non sufficiente, soprattutto nel caso in cui il compito
che si pone dinanzi è progettare una scuola, cioè un luogo nel quale i giovani
apprendono il complesso mestiere della vita. Se è vero che oggi più che mai c'è
bisogno di aggregazione, di stare insieme, di dialogare, di riconoscersi nei luoghi
per imparare a conoscere se stessi, diventa allora indispensabile fare i conti con il
contesto, con l'insieme, con i rapporti che ogni elemento stabilisce, lo si voglia o
no, con tutto il resto.
Si tratta di relazioni che si determinano sempre, sia nei casi in cui vengono progettate e gestite, sia che ne ignoriamo la centralità concentrandoci sui singoli obietti-
140
141
Planimetria di progetto del giardino con i nuovi volumi posti a sinistra sul lato ovest.
Nella pagina accanto, pianta del piano terra.
vi specifici. Per cui, prima ancora di pensare ad una struttura funzionalmente organizzata o una architettura elegante e piacevole, o ancora ad un insieme spettacolare capace di catalizzare sulla bioarchitettura dotti consensi, nel Complesso
Scolastico di Empoli l'attenzione è stata focalizzata sullo sforzo di attribuire organicità ad uno spazio su cui insistono, un po' alla rinfusa, alcuni edifici scolastici via
via aggregati in tempi recenti e che ora accolgono circa duemila persone.
Quella che appare oggi come criticità, cioè la scarsa vocazione del Complesso
all’accoglienza, non è ovviamente determinata dal poco o tanto valore dei singoli
elementi costitutivi presenti, quanto dal fatto che ciascuno di essi si sforza di
rispondere ad una logica interna, autistica, autoreferente, a seconda dei casi razionalista, organica, analitica, strutturale, ecc.; nonostante (proprio perché) ogni intervento ha cercato la soluzione in assoluto più efficace, funzionale, logica, sommamente rispondente alle richieste, le varie proposte finiscono per esprimere stridore reciproco.
Detto in altre parole, nel nostro caso l'obiettivo è stato non solo calibrare il nuovo
"oggetto" rispetto all'assolvimento corretto di esigenze ecologiche e gestionali ma
142
143
Prospetti e sezioni dei tre nuovi volumi, uniti da due serre per il controllo climatico invernale.
Nella pagina accanto, pianta del primo piano.
144
145
Rendering di progetto. Nella pagina accanto, dettagli della palestra (non realizzata).
anche e prioritariamente pensare la situazione come felice, fortunata opportunità
concessa dalla collettività alla collettività per collegare e rendere complessivamente accogliente, cioè significante, un luogo oggi disadorno e ingrato. Un intervento
di cucitura che si pone contemporaneamente e inevitabilmente anche come riflessione più generale sul ruolo che l'architettura è chiamata a svolgere rispetto ad un
patrimonio immobiliare privo in maniera manifesta di connessioni e organicità e
che pertanto si presenta nell'insieme tristemente inanimato ed estraneo (penso ad
una qualunque periferia in una qualunque parte del mondo... ).
In tale ordine viene superata l'idea che gli spazi possano o debbano trovare speranza di qualificazione nell'aderenza alla propria matrice funzionale; oppure, al
contrario, sia la liberazione da legami e strettoie funzionaliste a consentire la qualificazione dell'intorno mediante presenze scultoree e monumentali. Si tratta, in
entrambi i casi, di atteggiamenti concentrati sul contenuto di cui l'elemento è portatore e che quindi pongono in secondo piano, trascurano, i nessi (cioè i significati) della visione complessiva.
Se è vero, come è vero, che l'ecologia è la scienza delle relazioni, dell'insieme, dei
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rapporti, degli scambi, non si dà architettura ecologica se non attraverso l'accoglienza e la cura delle piccole e grandi sinergie tra le parti - spesso anche spontanee, naturali, immediate - che se tuttavia non vengono strenuamente cercate e
gestite, oggi ci si rivoltano contro.
Nuovo Polo Scolastico, Istituto Superiore Ferraris, Empoli
Committente: Provincia di Firenze
Progetto architettonico: Ugo Sasso
Statica: Massimo Vivoli
Impianti: Gianni Paolo Cianchi, A. Badii
Volume costruito: 5.550 m3
Costo: 4.050.000 €
Il cantiere durante diverse fasi di costruzione, dalle murature in laterizio
portante, al rivestimento isolante, fino alla copertura in legno, dicembre 2010.
Nella pagina accanto, dettagli realizzati a mano della palestra.
148
Ugo Sasso,
pittore
Le opere presentate sono state
realizzate prevalentemente tra l’inizio
degli anni ‘80 e la fine del 2008.
A parte i primi panorami dal molo di
Molfetta, risalenti agli anni ‘60,
dall’apparente astrattismo espresso
dalle forti e suggestive pennellate
sulle grandi tele, appaiono scorci,
paesaggi, movimenti organici e
pieni di vita.
La rilevanza sociale e culturale
dell’architettura risiede nella convinzione che
la conformazione dello spazio incida sulla
percezione del mondo. Oltre ad individuare
tecnologie, materiali e forme capaci di
accoglienza e socializzazione, dobbiamo
chiederci cosa si intenda per società.
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Meandri urbani
1982
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Meandri urbani
Dettaglio
1982
153
Meandri urbani
Dettaglio
1982
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Meandri urbani
Dettaglio
1982
155
Meandri urbani
Dettaglio
1982
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Meandri urbani
Dettaglio
1982
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Meandri urbani
Dettaglio
1982
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Tempesta
1983
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Dopo la tempesta
1983
160
Paesaggi
1982
161
Paesaggi
1982
162
163
Mare
2008
164
165
Mare
2008
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Dietro il molo di Molfetta
1965
167
Mare
2002
168
Arcobaleno
2002
169
Pandora
1998
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Città dall'alto
1979
171
Porta Paradiso
1993
172
Ugo Sasso,
Biografia
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Ugo Gaetano Sasso
P. Carabellese, Verso Terlizzi, 1951.
Nato ad Asmara (Etiopia) il 13 gennaio 1947, Ugo Sasso nel 1971 si laurea in
Architettura a Venezia con relatore Carlo Scarpa. Iscritto all’Ordine degli
Architetti della provincia di Bolzano e alla Architektenkammer di Dortmund, praticava presso lo studio nel cuore storico della città di Bolzano, in Piazza delle
Erbe.
Dal 1986 inizia la collaborazione con alcuni dei nomi più importanti nel mondo
della progettazione ecologica (tra gli altri, Lucien Kroll, Per Krusche, Leon Krier,
Peter Huebner, Christian Schaller, Herbert Dreisetl).
Numerosi sono gli interventi ecologicamente caratterizzati. Per conto
dell'Istituto per l’Edilizia Abitativa Agevolata di Bolzano, nel 1994 progetta il
primo condominio pubblico ecologico in Italia, composto da 12 appartamenti e
alcuni negozi su 5 piani fuori terra con struttura in laterizio e solai in legno, che
vincerà il premio Aniacap nel 2002 per l’innovazione.
Nel 1995, su incarico del Comune di Bolzano, progetta il nuovo Centro
Ambientale al Colle (promontorio nei pressi di Bolzano) situato in un antico
maso ristrutturato per ospitare una struttura museale, per ricerca, mostre e con-
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ferenze, con annesso ostello ed impianto di fitodepurazione.
Nel 1998 inizia la progettazione della ristrutturazione del Centro Sociale ex Snia
Viscosa a Roma, per la realizzazione del primo centro di formazione e informazione sulla Bioarchitettura. Per il Comune di Roma progetta nel 1999 il recupero abitativo di una ex scuola occupata in via Saredo e, nel 2002, la riqualificazione cromatica di 5 edifici scolastici (presso il Municipio X).
Ad Asola (Mantova) progetta nel 1999 un complesso ecologico di 17 unità destinate ad uffici e alloggi. Sempre nello stesso anno, per il Comune di Jesi
(Ancona) disegna il Centro Ambientale nell'Oasi di Ripabianca del WWF.
Per la Provincia di Firenze, nel 2003 inizia la progettazione per il completamento del complesso per l’Istituto di Istruzione Superiore “Ferraris-Brunnelleschi” a
Empoli, mentre per il Comune di Scandicci (Firenze) progetta, a partire dal
2004, il nuovo Asilo nido, con Scuola materna e ludoteca.
Insieme all’amico Lucien Kroll, padre dell’architettura partecipata in Europa, ha
steso il progetto preliminare del Nuovo Teatro Comunale di Montesilvano
(Pescara), ha sviluppato nel 2002 il primo complesso scolastico in architettura
partecipata a Faenza, la Scuola Don Milani (25 aule, laboratori, mensa, laboratori e uffici) e un nuovo quartiere residenziale a Cesena (con la collaborazione
anche di Herbert Dreiseitl).
Ha collaborato alle valutazioni di impatto ambientale per la realizzazione della
nuova strada provinciale della Val Badia nel 1997.
Si ricordano inoltre gli arredi progettati per il Centro Ambientale a Bolzano e i
vari suggestivi allestimenti per mostre ed esposizioni, tra le quali “Megawatt e
resistenze” organizzata nel 2004 presso la Centrale idroelettrica dell’Enel a
Cardano (Bolzano) dal Curatorium per i Beni Tecnici Culturali.
Eco-normative
Quale esperto di Bioarchitettura, ha elaborato, per la Provincia di Firenze, l’aggiornamento ecologico del Prezziario Provinciale per le opere edili e pubblicato nell’aprile 2004. Ha inoltre steso per il Comune di Pesaro la definizione delle
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Norme di Attuazione in Bioarchitettura per il Piano Regolatore Generale, mentre per il Comune di Rimini le Linee Guida Ecologiche per interventi edili.
Ha svolto consulenze per l'adeguamento ecologico della normativa alla
Porta dell’acqua. Composizione di
recupero, 1998.
Regione Marche. Su incarico della Regione Friuli Venezia Giulia ha definito le
procedure didattiche per l'ordinamento regionale del Corso di formazione per
esperti in Architettura Ecologica. Per la Regione Emilia Romagna entra a far
parte del Gruppo di lavoro incaricato della realizzazione delle Linee guida per
la Disciplina generale dell’intervento pubblico nel settore abitativo.
Cariche
Inserito nell'Elenco esperti del Ministero degli Esteri, settore architettura, è stato
tra i fondatori della Vereinigung für Baubiologie (1987) e successivamente, nel
1991, lo storico fondatore dell'Istituto Nazionale di Bioarchitettura, di cui è stato
Direttore Generale per sei anni e Presidente Nazionale.
È stato inoltre membro del Comitato Scientifico della Fiera Sana di Roma.
Ha fondato e guidato, come Direttore Scientifico, dal 1992 la rivista bimestrale
Bioarchitettura, la prima in Italia ad occuparsi di progettazione ecosostenibile e
biocompatibile e del vivere sano, informando sulle nuove ricerche, scoperte e
tecnologie applicate all’ecologia del costruire.
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Primo convegno di Bioarchitettura,
organizzato a Bari il 20 ottobre 1990.
Conferenze e seminari
Ha partecipato a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive di emittenti
pubbliche e private.
Ha tenuto conferenze e relazioni in oltre 150 importanti convegni nazionali ed
internazionali, tra cui si ricordano la quarta edizione del 1995 a Dortmund, la
settima nel 1998 ad Aachen, la decima a Vienna nel 2001 e l’undicesima nel
2002 a Bruxelles dell’Europa Symposium, appuntamento annuale che raccoglie
i massimi esponenti di sostenibilità a livello mondiale e organizzati dai principali Ministeri dell'Edilizia europei.
Nel 2000, su invio del Governo Italiano, a New York ha relazionato all'ltalian
Style 2000, mentre a Barcellona, nel 2004 è stato tra i relatori al VII Congresso
Internazionale “Una sola Terra”.
Della sua intensa attività professionale si è occupata la stampa specializzata ed
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a larga diffusione nonché programmi radio e Tv. I suoi progetti sono stati esposti a Firenze, presso Palazzo della Signoria, nel 1999 e S. Verdiana nel 2002,
e a Milano, al Palazzo della Permanente nel 2000.
Consulenze progettazioni ecologiche
Notevole anche l’attività di consulenza per la Bioarchitettura, ad esempio nel
1998 per l’impianto fotovoltaico Elio 1 del Centro Servizi di Cupello (Vasto), o
per la scuola media Don Milani di Faenza assieme a Lucien Kroll. Ancora per
la progettazione di un Asilo con Scuola materna a Trieste (2001) e per i Piani
particolareggiati di Pesaro e Faenza.
È stato Coordinatore responsabile dei Laboratori di Progettazione realizzati in
convenzione con le Amministrazioni di Reggio Emilia, Oria, Faenza, Cesena,
Ugnano Mantignano (FI), Rocca di Papa (RM) e Roma. Varie anche le consulenze per programmi comunitari nel settore ambientale come per i Centri di
Formazione tedeschi (Zip) e austriaci (Ibis). Nel 2001 è stato chiamato in audizione dalla Commissione Ambiente della Camera nella definizione della Legge
Quadro sull'Urbanistica.
Formazione
Ha tenuto numerose lezioni presso diverse Università italiane. A partire dal
1999 ha co-diretto il Laboratorio di Specializzazione post laurea in Bioarchitettura presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Bologna. Nel 2000 è stato
Coordinatore Scientifico del Corso di Perfezionamento post laurea in
Bioarchitettura alla Facoltà di Scienze Ambientali dell'Università di Urbino.
In questi anni nasce l’idea di realizzare una vero e proprio percorso di studi universitari dedicato alla sostenibilità, con l’istituzione di una Facoltà di
Bioarchitettura. Dai primi rapporti con l’Università LUMSA di Roma, nascono i
primi cicli di conferenze, fino alla costituzione del Master universitario di II livello “CasaClima-Bioarchitettura”, di cui è direttore durante l’Anno Accademico
2008-2009.
Ha tenuto inoltre interventi e relazioni presso le Università di Venezia, Napoli,
Bologna, Urbino, Reggio Emilia, Ferrara, Firenze, alla Cornell University, New
York e alla Domus Academy di Milano. Ha progettato e coordinato l’attuazione
di numerose azioni con componenti formative nell’ambito di programmi
Comunitari (Youthstart, Adapt, Save) finalizzati al recupero ambientale ed al
risparmio energetico in edilizia. Dal 1998 al 2000 ha coordinato i Ministeri per
l'Edilizia di Olanda e Danimarca nonché gli Assessorati del Land Nordrhein-
180
Pescherecci fermi sulla spiaggia, Ugo Sasso, 4 gennaio 2009.
Westfalen e della Regione Emilia Romagna nell'ambito del Progetto Europeo
Energylink.
Pubblicazioni
Sono circa 300 gli articoli scientifici apparsi su riviste tecniche ed ecologiche,
tra le quali Riabita, Costruire in Laterizio, Aam Terranuova, Ambiente Risorse
Salute, Presenza Tecnica Giardini, Studi Economici e Sociali, Recuperare,
Notiziario Industriale, il Nuovo Cantiere, Bioarchitettura, ecc.
Ha tenuto una rubrica fissa sui mensili Nuova Ecologia e Vita e Salute.
È coautore dei primi testi italiani sull'argomento: "Bioarchitettura: impegno per
una progettazione ecologica" (1992) e "Bioarchitettura: un'ipotesi di bioedilizia
(Ed. Maggioli, 1995). Sua la presentazione dei volumi: "L'Ambiente Risanato"
(Ed. Scientifiche Italiane, 1999), "Edilizia Ecologica" (Ed. GB, Padova 2001),
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"Architettura Bioclimatica - Fondamenti di geometria solare" (Edimond, Città di
Castello 2003).
Importanti anche i suoi interventi su importanti volumi di settore, tra cui la trilo-
In ricordo di Ugo, Isola di Margarita, Venezuela.
gia: "Costruire Sostenibile" (Ed. Alinea – Saie, 2000-01-02) "Edilizia
Residenziale Pubblica Ecocompatibile" (Luciano Editore, Napoli 2002);
"Esperienze innovative per la configurazione del Paesaggio rurale" (Luciano
Editore, Napoli 2003). Ha coordinato i testi "Progettare col Sole" e "Qualità,
Recupero, Nuove utenze" (Ed. Direct, 1998) con interventi dei maggiori esperti europei.
La Clean Edizioni nel 2003 gli ha dedicato il volumetto "Quarantasette domande a Ugo Sasso", all’interno della collana “Saper credere in architettura”.
Per Alinea pubblica nel 2004 "Isolanti si, Isolanti no" con la presentazione di
Enzo Tiezzi e "Bioarchitettura: forma e formazione" con la presentazione di
Fritjof Capra, quindi, nel 2006 "Dettagli di Bioclimatica".
Per la Mancosu Editore ha curato nel 2007 il "Nuovo Manuale Europeo di
Bioarchitettura", primo manuale del suo genere in Italia.
Infine si ricorda l’ultimo suo testo, eredità di concetti e ricco di spunti per un futuro di sostenibilità, raccolto nel libro “Spazio, Tempo, Bioarchitettura”, uscito per
Alinea Editrice nell’aprile 2009.
182
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