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APPUNTI SUL TERRORISMO DI IERI In margine ad un libro di oggi

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APPUNTI SUL TERRORISMO DI IERI In margine ad un libro di oggi
APPUNTI SUL TERRORISMO DI IERI
In margine ad un libro di oggi
Ho cominciato a leggere il libro di A.Casazza: “Gli imprendibili” con interesse, considerandolo un utile
ripasso di un periodo drammatico della storia del nostro Paese e della nostra città, per ricordare meglio
avvenimenti, analisi e risultati. E finché l’autore fa il giornalista, fa un buon lavoro con una documentazione
ricca, la ricostruzione accurata di alcuni episodi, la descrizione (quasi dall’interno) della colonna genovese (e
non solo) delle BR. A questo proposito emerge dalla stessa analisi dell’Autore che la famosa colonna
genovese delle BR, soprattutto all’inizio, è in buona parte torinese o torinese-meridionale. Il reclutamento
successivo avviene principalmente all’università in un’area grigia sensibile al “fascino ideologico” più che al
richiamo di classe. Anche questa circostanza confermerebbe la difficoltà di proselitismo del terrorismo (e in
definitiva il suo fallimento) nel mondo produttivo genovese nonostante il precedente della XXII Ottobre (o
forse anche per questo?) e il grandissimo sforzo dell’organizzazione terroristica a Genova. È un punto
questo sul quale menar vanto e non dispiacersi.
A questa professionalità di giornalista però, si sovrappone presto nell’Autore la sua scelta di parteggiare
apertamente per un’area politica e questa prende il sopravvento. Purtroppo quindi, il procedere della
lettura mi ha portato sempre più a scoprire un libro fazioso che ripete ossessivamente una sua tesi e alla
fine profondamente “diseducativo”. Premetto che io, come molti altri, ho vissuto intensamente quel
periodo e non parlo per sentito dire. Non so, invece, dove fosse e che cosa facesse l’autore a quel tempo,
se e come, eventualmente, abbia vissuto quella stagione politica.
Sono arrivato a quel giudizio conclusivo sia per ciò che non c’è nel libro, sia per quello che vi è contenuto.
Cosa non c’è è facile da elencare. Non c’è mai un giudizio netto sul terrorismo e sulla scelta, come minimo
teorizzata da alcuni gruppi, della “lotta armata”. Non c’è mai una riga, una dichiarazione, un’intervista, un
volantino del sindacato, dei partiti, delle istituzioni, un articolo di un qualche giornale e giornalista. Stanno
tutti su un fondo nero, irriconoscibili. C’è, questa si, una lunga, critica, criticissima analisi di un importante
documento del Comitato regionale del PCI, pubblicato nel febbraio del 1979, con l’intenzione di stroncarlo
senza ricostruire la pienezza di quel periodo, senza contraddittorio e quindi sostanzialmente, senza capirne
molto. E così l’animosità politica non è più sotto controllo e pervade si sé, ormai, tutte le pagine, inficiando,
secondo me, e inquinando il lavoro del giornalista. Voglio solo ricordare che allora, nel 1979, apparvero
scritte e manifesti (e molto altro) anonimi quanto minacciosi di stampo terroristico, contro il PCI e quello
stesso documento. Quell’analisi politica e culturale contribuì invece alla lotta al terrorismo e la sua
riflessione di fondo conserva ancora oggi, in grande parte, la sua validità. Quella ricerca era fatta
soprattutto, per tentare di capire un fenomeno nuovo e si rivolgeva a tutti certo, ma in particolare al corpo
del partito, alla sinistra, per sollecitare una riflessione ed aiutare il contrasto al terrorismo, che era, per noi,
il nemico da battere per garantire un futuro al Paese. Quel documento era anche un richiamo forte alle
forze dell’ordine, alla magistratura, per un maggior coordinamento inteso a superare disorganizzazione ed
inefficienze gravi che si erano manifestate, e per combattere le complicità che si annidavano nella politica e
nello Stato e che, qualche volta, davano l’impressione di fermarsi di fronte alle organizzazioni terroristiche e
forse di volerle o poterle utilizzare ai loro scopi. Sono stato, assieme a molti altri, parte attiva dell’iniziativa
del PCI, nella quale quello scritto si colloca, contro il terrorismo, essendo allora nella segreteria regionale
del PCI e responsabile, tra l’altro, della sezione Problemi dello Stato. L’ho anche scritto al giornalista (per
due volte) dichiarandomi disponibile ad un confronto privato o pubblico, sia su quell’aspetto, sia sul suo
libro nell’insieme : non ho mai ricevuto risposta.
Non c’è neppure un cenno, in codesto libro, ai processi di rinnovamento e democratizzazione, contrastati e
parziali ma reali, avvenuti nella magistratura, nella polizia, nell’informazione. Non c’è un rigo sui tentativi di
riforma dello Stato, sulla legislazione dell’emergenza che, pur con qualche ombra, ha mantenuto ferma, in
quella situazione tremenda, la legalità e lo Stato di diritto. Non credo che valga l’argomento che non si può
scrivere tutto e che quei giudizi erano impliciti e scontati. Non è proprio così come si capisce leggendo il
testo, e d’altra parte, su 475 pagine, lo spazio si trova, se si vuole, tanto più su un argomento importante e
delicato come questo.
Il terrorismo, è bene ricordarlo a tutti, ha sconvolto il nostro Paese per molti anni, ha mostrato un volto
feroce, spietato, ingiustificato e ingiustificabile (ieri come oggi), ha lasciato una scia indelebile di sangue.
Solo per sintetizzare. Nel 1978 i diversi attentati sono stati rivendicati da 95 gruppi terroristici! Nel 1977 si
sono registrati più di 2000 attentati, con 31 morti e 377 feriti, nel 1978 si è arrivati a 2365 atti di terrorismo
con 37 morti e 871 feriti! Non credo che sia necessario proseguire.
Il minimo che si dovrebbe scrivere, in qualsiasi testo, è che la piaga del terrorismo e la predicazione della
“lotta armata”, per fortuna di tutti, sono stati sconfitti, in Italia. O no? (è d’accordo l’autore?). Molti hanno
merito in questa vittoria (parziale, perché i guasti sono stati comunque gravissimi): tra questi c’è stato
sicuramente il PCI e il sindacato. Altri invece, si sono sottratti a questa prova e per loro sarebbe necessaria,
ancora oggi, una seria riflessione autocritica. Mi riferisco in particolare all’area dell’Autonomia e prima
ancora a Potere Operaio ed anche a Lotta continua, anche se in questo caso una parte di questa
organizzazione forse cercò di differenziarsi. Non mi riferisco invece al gruppo di Faina, ai luddisti &
company, perché su questi ho oggi lo stesso giudizio di ieri. Una riflessione autocritica, a cominciare dalla
lezione che si doveva trarre dai fatti cileni e che ebbe due letture opposte: per la sinistra ed il PCI quello di
cercare di rafforzare la via democratica e pacifica, per alcuni gruppi minoritari (quelli stessi citati prima)
all’opposto, quella di indicare pericolosamente e velleitariamente, la via armata. Da quella lettura verrà,
per loro, la difficoltà di dare un giudizio sulla situazione in Italia e sul terrorismo, anche da lì discenderanno,
purtroppo, le ambiguità e, in qualche caso, le complicità da parte di alcuni di quei gruppi. Da lì verranno
quadri da reclutare per l’impresa terroristica: un canale di scorrimento era aperto da tempo dopo la metà
degli anni ’70 come tutti sanno.
Il terrorismo è stato sconfitto per merito di tanti e non solo con la repressione, come era necessario, ma
contrastando politicamente quelle analisi e quelle conclusioni, nel corpo vivo del Paese, nelle fabbriche,
negli uffici, nelle scuole, nei quartieri. Ma il terrorismo è stato sconfitto anche per i sui demeriti: perché era
un’impresa, letteralmente, pazzesca, senza capo né coda, senza uno straccio di progetto politico
comprensibile ed accettabile, se non quello di destabilizzare il Paese, ferendo ed uccidendo all’impazzata,
dominato solo da una pulsione di violenza e di sangue, e per questo utilizzabile da più parti e a diversi fini,
con una galleria di personaggi feroci sì, ma del tutto improbabili ai fini che dichiaravano. Più passava il
tempo, dopo lo stupore iniziale e anche qualche area di comprensione e simpatia, più diventava chiaro che
l’ipotesi del terrore e della lotta armata, contro chi e per che cosa nessuno lo capiva, doveva essere e fu
concretamente respinta da tutta la popolazione e non solo dai partiti e dalle istituzioni. Il rapimento e
l’uccisione di Aldo Moro prima, e l’assassinio di Guido Rossa poi, sono stati l’ultimo atto di questa
incredibile tragedia.
Al terrorismo e ai terroristi si è aperto di fronte il loro stesso baratro e vi sono precipitati dentro assieme a
tutti quelli che, pur diversi, lo hanno giustificato o fiancheggiato. Ecco perché sono scomparsi e spero
vivamente che non siano resuscitati.
E quello che c’è nel libro?
Date quelle premesse il libro, ovviamente, è tutto imperniato su due soli protagonisti: gli inquirenti e i loro
“complici” e i terroristi e alcuni gruppi extraparlamentari e in particolare l’area dell’Autonomia. La tesi
dell’autore, dalla prima pagina all’ultima, in senso letterale, è chiarissima. A pag. 7, prima pagina del testo,
si dice che il blitz di Dalla Chiesa del maggio 1979 (probabilmente suggerito dal PCI, come ripete decine di
volte e in modo ossessivo il “nostro”) che :” porterà all’arresto di una ventina di militanti della sinistra
extraparlamentare (ndr compresi quelli che, subito dopo, verranno riconosciuti o che confermeranno la
loro appartenenza alle BR?)…e decreterà l’atto di morte dell’area antagonistica genovese, quell’area che,
per tutti gli anni ’70 e sino a quella retata, si era posta come alternativa politica e sociale, sia all’azione del
Partito comunista – votata in quegli anni al raggiungimento del compromesso storico con la Democrazia
cristiana – (ndr, consiglio di leggere, con attenzione, i tre articoli di Enrico Berlinguer su Rinascita del 1973
per avere una percezione più completa di che cos’era la proposta del compromesso storico, non per essere
necessariamente d’accordo, ma per non ripetere una vulgata deformata di quella analisi e di quella
proposta politica) sia a quella armata delle Brigate Rosse, volta al rovesciamento dello Stato democratico
(ndr, compresi quelli che appartenevano alle BR e che praticavano o che predicavano la lotta armata
appunto, contro lo Stato democratico?).
E finisce, il libro, a pag. 475:(sempre quel famoso blitz del 1979):”….ha contribuito a sedare, con la
benedizione di tutti i partiti allora presenti in Parlamento, la partecipazione all’elaborazione di nuovi
progetti politici (?!). In questa prospettiva, il blitz del ’79 non solo ha tagliato fuori dalla vita politica
un’intera generazione (?!) , ha anche spento gli ultimi fuochi di rivolta giovanile, l’idea che sia possibile
costruire un mondo migliore.”. Niente di meno! Per chi vive a Genova e conosce fatti e persone delle quali
si parla l’espressione risulta pesantemente fuori misura e un po’ patetica.
Ciò che davvero offende e sul quale non mi sento proprio di fare ironia, nel libro di Casazza, è chiamare, più
volte, il PCI “i berlingueriani”, esattamente come facevano i terroristi nei loro fogli ( lo sa?). Non offende
quell’espressione, anzi, ma l’idea di offendere, e l’analisi che ne sta alla base, e cioè che una piccola
minoranza nel PCI (venduta, ovviamente), comandava, mentre la grande maggioranza (la base?) era contro
o quasi. Una balla colossale: si è visto come è finita!
Resisto alla tentazione di fare un florilegio delle affermazioni inattendibili, delle voci raccolte solo dalla
bocca dei terroristi, delle illazioni e del livore che emerge in alcune pagine, naturalmente soprattutto
contro il PCI. Ne cito solo pochissime perché esemplari. Perché la Cuba di Fidel Castro non accoglie la
richiesta di asilo politico per la banda XXII Ottobre, chiesta nel corso di una trattativa per la liberazione di
Sossi? Perché il PCI, ovviamente, convince Castro che non è “cosa”. E’ così potente che può ordinare alla
polizia di fare quello che chiede, e figurarsi se non lo può imporre a Cuba, e tutto ciò offrendo, in
contropartita, dice il “nostro”, sentendo un brigatista e senza ironia, un vantaggioso contratto per la
fornitura di trattori. Anche Castro venduto per un pugno di trattori e per colpa del PCI!
Oppure a pag. 181 si legge:” parafrasando una ( infelice) sintesi dell’epoca, la scelta è: o con il PCI o con le
Brigate rosse (ndr. Mai sentita una sciocchezza simile!). Un aut aut dalle conseguenze nefaste: sarà proprio
nella disgregazione delle organizzazioni extraparlamentari di sinistra e nel conseguente spaesamento di
molti militanti che le BR troveranno terreno fertile per avvicinare ed arruolare nuovi elementi” . Insomma,
ancora una volta è colpa del PCI. L’Autore ignora o finge di ignorare che questo spaesamento di molti
militanti è in atto da molto tempo ben prima del 1979 ed è loro proprio, non è indotto da nessuno se non
dai gravi errori che compiono queste organizzazioni.
Cosa succede allora? Perché oggi viene scritto un libro di questo tipo, presentato, tra l’altro in pompa
magna, nella sala del minor Consiglio di Palazzo Ducale, qualche settimana fa, con la presenza e l’intervento
anche di un ex BR? Per fortuna non sono riuscito a partecipare a quell’appuntamento, come avrei voluto,
perché quel giorno i “forconi” (anche loro antagonisti?) hanno fermato anche il treno con il quale ritornavo
da Torino.
Probabilmente c’è una spiegazione più generale ed una più specifica. La prima è quella che chiamerei la
sindrome di riscrivere il passato secondo le proprie esigenze di adesso, sperando che, dopo tanti anni, non
ci sia più nessuno (o molto pochi e stanchi) testimoni di quel periodo che possano contrastare questo
ingiustificato e superficiale “revisionismo”. Insomma il passato come un grande spazio vuoto di memoria
(ma non è così per fortuna) sul quale esercitarsi senza fare i conti con ciò che si è detto, scritto o fatto
realmente in quel periodo. Anche la bibliografia contenuta in fondo al libro, è significativa: campeggiano
memorie di ex terroristi e analisi di esponenti dell’area extraparlamentare, con buona pace di tutto il resto!
(e cioè la grandissima parte).
La seconda, e cioè la spiegazione più specifica, potrebbe essere il tentativo più ambizioso, del quale questa
pubblicazione costituirebbe solo un tassello, di rivalutare un’area politica, che è stata sommersa da molto
tempo. Tentativo legittimo, ovviamente, ma a patto, credo io, di individuare e segnalare i propri errori e
possibilmente non ripeterli. Forse la “scomparsa” è dovuta a questi e non alla responsabilità di altri, come si
sostiene in questo libro, siano essi blitz, complotti, o manovre del sindacato, della sinistra, o, se si
preferisce, del solo PCI. Non può essere così, come dovrebbe essere chiaro ai più avvertiti e pensosi tra di
loro perchè altrimenti si imbocca una strada che non porta da nessuna parte.
Posso capire che vi fosse, allora, incertezza su democrazia, violenza, terrorismo, lotta armata, ma che
questa ci sia ancora, francamente, mi sembra incredibile.
Ho scritto, all’inizio, che questo libro è “diseducativo”. Credo di aver argomentato il perché:
sostanzialmente perché tende ad operare un rovesciamento di valore tra il terrorismo e chi, in qualche
modo, l’ha incoraggiato ed appoggiato e chi, invece, l’ha contrastato con forza e coerenza. È “diseducativo”
anche perché così svaluta il passato e i momenti più alti, come questi, di chi ha resistito e reagito. Aggiunge
quindi sfiducia a quella che già c’è nel presente e accumula di fronte ai nostri occhi solo macerie e
frustrazioni.
Mi colpisce che non ci sia mai, non dico un po’ di commozione ma almeno un omaggio a tutti coloro che
sono stati vittime del terrorismo e a quelli che, in mezzo a quella tempesta, hanno continuato a fare il loro
dovere. Mi stupisce che di Guido Rossa, l’Autore non colga il coraggio, la coerenza, l’esempio di dovere
civico e politico e che per lui utilizzi solo le parole virgolettate da altri.
Vale in conclusione ciò che scrivemmo nelle ultime tre righe della presentazione di quel documento del PCI
così strapazzato: “Il sabotaggio, l’insicurezza, e la paura di massa che vogliono diffondere non sono solo
delle armi per i terroristi ma rappresentano anche la loro visione della società, svuotata completamente dei
rapporti umani e sociali”.
Avremmo voluto leggere qualche cosa di simile nella sua pubblicazione ma non l’abbiamo mai trovata.
Roberto Speciale
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