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infezione acuta da virus dell`immunodeficienza acquisita

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infezione acuta da virus dell`immunodeficienza acquisita
3° CLASSIFICATO EX-AEQUO
INFEZIONE ACUTA
DA VIRUS DELL’IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA
Stefano Qualizza, Francesco Bragantini e Angela Londero
Clinica di Malattie Infettive – A.O.U. S.Maria della Misericordia, Udine
Parole chiave: HIV, infezione acuta sintomatica, terapia antiretrovirle, profilassi post-esposizione
INTRODUZIONE
L’infezione acuta da HIV, definita come il periodo che intercorre tra l’infezione
virale e la completa sieroconversione, passa inosservata in oltre il 90% dei casi1. Le cause del mancato riconoscimento diagnostico precoce sono attribuibili al fatto che
1) l’infezione da HIV decorre asintomatica in oltre il 50% dei casi;
2) qualora l’infezione sia sintomatica l’aspecificità dei sintomi che la caratterizzano induce quasi sempre i medici che visitano per primi il paziente (quelli
di medicina generale o dell’area di emergenza, i dermatologi o gli otorinolaringoiatri) a confonderla con altre patologie infettive, soprattutto virali.
Normalmente la sintomatologia si risolve in 7-10 giorni, raramente in più di 14
giorni, e generalmente sono sufficienti il riposo ed eventualmente il ricorso a
farmaci antinfiammatori. Solo in rari casi può avere un’evoluzione severa con
sindromi neurologiche (come meningiti e mieolopatie) o, qualora venga indotta un’importante deplezione dei linfociti T CD4, infezioni opportunistiche (come polmonite da Pneumocystis carinii e la candidosi esofagea).
CASO CLINICO
Riportiamo il caso di un italiano di 58 anni, di razza caucasica, precedentemente sano, che si presentava in P.S. per profonda astenia, febbre (Tmax 39°C), cefalea, vomito, diarrea acquosa, rash cutaneo maculo-papulare a partenza dal volto, sudorazioni notturne. Il sospetto iniziale era di una tossinfezione con tossi-
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dermia, possibilmente scatenata dall’assunzione da parte del paziente di carne mal conservata quattro giorni prima della comparsa della sintomatologia.
Venivano eseguiti esami coproparassitologici e sierologie per adenovirus, rotavirus e astrovirus.
Durante il periodo di osservazione presso il P.S. una delle infermiere in servizio
incorreva in un’esposizione accidentale al sangue del paziente (schizzo di sangue a livello della congiuntiva), per cui veniva richiesto al paziente, come da
protocollo sulla profilassi post-esposizione, di sottoporsi ai test di screening
per ricerca di virus epatitici e HIV.
Il test rapido per HIV eseguito sul siero del paziente dava il seguente risultato:
la ricerca di anticorpi anti-HIV 1/2 e dell’antigene p24 nel siero risultava positiva mentre risultavano indeterminati in due controlli successivi i risultati del
Western-Blot.
Nel sospetto di sindrome da sieroconversione acuta il paziente giungeva alla
nostra attenzione; si presentava visibilmente sofferente e profondamente
astenico, presentava lesioni cutanee eritematose diffuse a tutto l’ambito cutaneo, compreso il palmo delle mani e la pianta dei piedi, alcune escoriate specie al volto e cuoio capelluto. A livello del cavo orale presentava lesioni vescicolari causa di importante faringodinia, odinofagia e conseguente inappetenza, vescicole e rash presenti anche a livello genitale, linfoadenomegalie laterocervicali e del cavo ascellare.
Gli esami ematochimici evidenziavano leucopenia (3190 cell/mm3), piastrinopenia (40.000/mm3), lieve aumento della PCR (4,4 mg/dL) e della AST-GOT (60
UI/L).
Si eseguivano durante il ricovero presso il nostro reparto la tipizzazione linfocitaria (CD4 496/mm3, pari al 41%, rapporto CD4/CD8 1,86), la viremia per HIV
(500.000 copie/mm3), i test di resistenze ai farmaci antiretrovirali (sensibilità a
tutti i farmaci testati) e la ricerca dell’antigene HLA-B5701 (negativo) per eventuale opzione terapeutica con abacavir.
Si eseguivano inoltre emocolture, esame coproparassitologico e colturale delle feci e sierologia per Treponema pallidum, Toxoplasma gondii, CMV e EBV risultati negativi.
Dall’anamnesi sessuale si faceva risalire l’ultimo rapporto eterosessuale non
protetto con persona a rischio al mese di marzo 2008.
Il paziente veniva sottoposto inoltre a puntura lombare per una più completa
stadiazione dell’infezione acuta da HIV (fuoriuscita di liquor limpido, HIV-RNA
nel LCR 10.639 copie/mL, non sostanziali alterazioni all’esame chimico-fisico).
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Per comparsa di tosse secca il paziente è stato sottoposto a Rx torace che
escludeva possibili opportunismi (quali polmonite da Pneumocystis carinii).
Il paziente, trattato con terapia di idratazione e farmaci sintomatici, otteneva
da subito un miglioramento della sintomatologia; si eseguiva counselling sull’infezione da HIV sottolineando la necessità di avere rapporti sessuali protetti.
Il paziente veniva dimesso dopo 5 giorni di ricovero con la diagnosi di “Sindrome da infezione acuta da HIV”.
Rivalutavamo il paziente in regime ambulatoriale a distanza di tre giorni dalla
dimissione e in tale occasione il paziente riferiva buone condizioni generali,
non episodi di diarrea e obbiettivamente si rilevava notevole miglioramento
del rash maculo-papulare al volto, in regione toracica e a livello palmo-plantare;
risultavano inoltre notevolmente ridotte anche le lesioni vescicolose al cavo
orale. In tale occasione si effettuava approfondimento anamnestico e si rilevava come unica possibile fonte di contagio riferita (da collocare presumibilmente non oltre gli ultimi sei mesi, e più probabilmente negli ultimi tre) rapporti
sessuali non protetti, nell’ambito di relazione della durata di due anni, con persona di sesso femminile a sierologia ignota per HIV; ultimi rapporti sessuali risalenti a circa quattro mesi prima. Si consigliava di valutare con la giusta considerazione l’opportunità di informare la persona interessata per le conseguenti
determinazioni (in particolare test HIV, per escludere o includere il soggetto
come possibile sorgente di infezione o come ipotizzabile contagio). Non altri
comportamenti a rischio riferiti, né altri eventi suscettibili negli ultimi sei mesi;
il paziente segnalava collateralmente colluttazione con persone di etnia africana circa sei mesi prima, con spandimento di materiale ematico.
Si ribadiva counselling comportamentale e si vagliavano con il paziente le attuali prospettive prognostiche e terapeutiche nel caso specifico, in particolare in
relazione al valore prognostico del set point virale al termine del periodo di sieroconversione, e alla teorica possibilità di intervenire attivamente (con terapia
anti-HIV) su tale set point nel tentativo di abbattere la carica virale, risparmiare
cloni linfocitari, preservare per quanto possibile organi e tessuti a maggior rischio di compartimentalizzazione di HIV. Si insisteva sulla natura empirica, non
supportata da dati scientifici incontrovertibili, di tale approccio terapeutico in fase di infezione acuta, ottenendo piena comprensione da parte del paziente.
Il paziente, reso edotto dei rischi e dei benefici inerenti, accettava di iniziare terapia anti-HIV di combinazione secondo schema massimamente efficace, dopo adeguato counselling e specifico trial di gestione della terapia iniettiva con
T20; si impartiva inoltre counselling specifico per la terapia con abacavir (per
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quanto il rischio fosse notevolmente ridotto dallo screening già effettuato per
la negatività di HLA B5701), informando debitamente sui sintomi di allarme
per la diagnosi precoce della sindrome da ipersensibilità.
Si informava il paziente che tale trattamento era da proseguire per un minimo
di sei mesi, in base a risposta e tossicità, sotto stretto monitoraggio clinico e
bioumorale nell’ambito di questa clinica. Il paziente veniva invitato a presentarsi regolarmente ai controlli programmati, a eseguire gli esami prescritti e a
informarci per via telefonica in caso di comparsa di effetti collaterali o eventi
imprevisti potenzialmente correlabili al trattamento.
Il paziente, rivalutato a distanza di quindici giorni dall’introduzione della terapia
antiretrovirale, riferiva ottima compliance e buona tolleranza soggettiva; gli
esami ematochimici non rilevavano tossicità d’organo o metabolica. Sono attualmente in corso gli esami per determinazione dei dati viroimmunologici e di
tossicità del trial terapeutico.
Sintomi
%
Nostro Caso
Febbre
>80-90
+
Astenia
>70-80
+
Rash
>40-80
+
Cefalea
30-70
+
Linfoadenopatia
40-70
+
Faringodinia
50-70
+
Mialgia/Artralgia
50-70
-
Nausea, vomito o diarrea
30-60
+
Sudorazioni notturne
50
+
Meningite asettica
20
-
Ulcere del cavo orale
10-20
+
Ulcere genitali
5-15
+
Splenomegalia
5-10%
-
Candidosi orale
5-10%
+
Polmonite da Pneumocystis C.
0-5%
-
Trombocitopenia
45
+
Leucopenia (40)
40
+
Incremento enzimi epatici
20
+
Tabella 1. Frequenza dei sintomi e quadri clinico-laboratoristici
associati a infezione acuta da HIV
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Genere
Maschio
Età
58
Orientamento sessuale
Eterosessuale
Modalità di trasmissione dell’HIV
Sessuale
3
WBC (/mm )
3190
Hb (g/dL)
13,4
Piastrine (/mm3)
40.000
Linfociti (/mm3)
1070
CD4 (%)
496 (41%)
CD4/CD8 (cell/μ)
1,86
GOT/GPT (U/L)
60/27
HbsAg
Negativo
Anticorpi anti-HCV
Negativo
Anticorpi anti-HIV iniziale:
ELISA
Positivo
Western-Blot
Indeterminato
Viremia HIV iniziale (copie/mL)
> 500.000
Follow-up anticorpi HIV:
ELISA
Positivo
Western-Blot
–
Outcome
–
Tabella 2. Caratteristiche cliniche e laboratoristiche riassuntive
Viremia
CD4
14/07/08
> 500.000
496
25/8/08
In corso
In corso
Tabella 3. Andamento CD4 e viremia
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Figura 1.
Figura 2.
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Premio HeRAClEs 2008
Figura 3.
Figura 4.
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CONCLUSIONI
L’infezione acuta da HIV si manifesta dopo un periodo di incubazione che va da
alcuni giorni a qualche settimana finanche a qualche mese, come nel caso descritto. Questa può avere diverse forme di presentazione, può essere totalmente asintomatica, paucisintomatica o presentarsi con quadri clinici che richiedono il ricovero ospedaliero.
Il nostro paziente aveva molti sintomi tipici dell’infezione acuta (Tabella 1), sintomi comuni a quelli di patologie come la mononucleosi, l’infezione acuta da
CMV, la sifilide secondaria, la toxoplasmosi, patologie che abbiamo escluso attraverso le opportune indagini sierologiche.
In uno studio recentemente pubblicato da Hecht et al.2 la presenza di febbre e
malessere generalizzato ha dimostrato la maggiore sensibilità per la diagnosi
di infezione acuta, mentre la presenza di calo ponderale e ulcere orali hanno
dimostrato elevata specificità. In questo studio i sintomi febbre ed eruzione
cutanea (soprattutto in combinazione), seguite da ulcere orali e faringite hanno
dimostrato il più elevato fattore predittivo positivo per la diagnosi di infezione
acuta da HIV-1. In un altro studio di Daar et al.3 i fattori predittivi più significativi
di infezione si sono dimostrati essere la presenza di febbre, eruzione cutanea,
mialgie, artralgie e sudorazione notturna.
L’infezione acuta da HIV è a tutt’oggi molto difficile da diagnosticare e
spesso, come descritto nel caso da noi riportato, avviene in modo del tutto
accidentale.
La principale causa delle difficoltà diagnostiche è da attribuirsi alla aspecificità
dei sintomi che la caratterizzano, infatti come già detto qualora questi siano
presenti, sono facilmente confondibili per modalità di presentazione e andamento clinico con quelli dell’infezione da EBV e da influenza virus. Solo raramente il quadro di presentazione è severo e può richiedere l’ospedalizzazione.
Proprio perché la sintomatologia è sfumata nella maggior parte dei casi il paziente non si rivolge al medico curante.
Teniamo presente inoltre che i pazienti sintomatici nella quasi totalità dei casi giungono all’attenzione di medici non specialisti in malattie infettive, che
talvolta non sono aggiornati sulle nuove strategie diagnostiche e su quelle
terapeutiche antiretrovirali, medici che per mancanza di abitudine o per pudore spesso non approfondiscono dettagli anamnestici importanti-quali
comportamenti voluttuari e sessuali a rischio, fattori che emersi potrebbero
costituire, in associazione alla clinica, un potenziale campanello d’allarme
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che induce il medico a richiedere un approfondimento diagnostico.
Inoltre, nella fase precoce dell’infezione non è possibile evidenziare la presenza di anticorpi specifici per HIV-1.
In molti casi infine succede che nonostante il medico abbia sospettato l’infezione acuta da HIV e abbia suggerito dei test diagnostici corretti e una valutazione infettivologica, sia la mancata compliance del paziente a vanificare tutto.
L’infezione acuta si associa a elevati livelli di viremia che sono responsabili della disseminazione del virus a livello degli organi linfoidi e del depauperamento
dei linfociti T CD4 infettati. Un basso numero di CD4 dopo l’infezione acuta
sembrerebbe correlare con un andamento più rapido verso l’AIDS. È dunque
necessario ridurre al più presto la viremia per ridurre lo spread virale nei vari
tessuti e organi cosiddetti santuario del virus.
Mentre sull’utilità di un trattamento precoce dell’infezione acuta da HIV al fine
di diminuire la rapidità di progressione della malattia verso l’AIDS, vi sono ancora pareri discordanti4,5, vi è una maggiore coesione sull’importanza di somministrare quanto prima un’efficace terapia antiretrovirale al fine di limitare la
diffusione dell’infezione in una fase in cui le alte viremie la rendono particolarmente contagiosa5. È inoltre importante sottolineare come in certi casi la
TARV oltre che ad azzerare la viremia iniziale riesce a mantenere bassi livelli di
replicazione virale nel tempo contribuendo a conservare una popolazione virale più omogenea.
Nel caso esaminato si è deciso di iniziare una terapia antiretrovirale aggressiva6 con quattro farmaci7 da continuare fino a ottenere un persistente azzeramento della viremia HIV (<50 copie/mm3) e un buon recupero dell’immunità
linfocitaria T CD4 (500-700 cell/μL). L’azzeramento della viremia secondo alcuni recenti lavori presenti in letteratura7 avverrebbe dopo un tempo medio di
trattamento antiretrovirale di 13 settimane (9-16); la nostra esperienza ci porta
però a continuare la TARV per un periodo di 6 mesi al fine di consentire un controllo viroimmunologico stabile. Il paziente a questo punto diviene un portatore cronico di HIV completamente asintomatico (fase di latenza clinica) che assumerà nuovamente la terapia antiretrovirale in un secondo momento come
da indicazioni collaudate.
Di fronte alla carenza di chiare linee guida sulla gestione dell’infezione acuta da HIV causata dalla scarsità di studi di controllo randomizzati, sarebbe
opportuno pensare di unire le forze e l’esperienza di vari centri universitari
e ospedalieri italiani nella realizzazione di un ampio studio per la formulazione di linee guida nazionali da diffondere sul territorio in modo da aumen-
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tare l’attenzione del personale medico in particolare dei medici di base, ridurre la diffusione dell’infezione, consentire lo screening di patologie HIV
correlate (patologie sessualmente trasmesse, epatiti, tubercolosi) e infine
per limitare la spesa sanitaria.
Bibliografia
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