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la concussione cerebrale

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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
FEDERAZIONE MEDICO SPORTIVA ITALIANA
in collaborazione con
SOCIETA’ ITALIANA DI PNEUMOLOGIA DELLO SPORTz
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
ROBERTO VAGNOZZI, STEFANO SIGNORETTI, BARBARA TAVAZZI, ANDREA VERZELETTI,
GIUSEPPE LAZZARINO, MAURIZIO CASASCO
FEDERAZIONE MEDICO SPORTIVA ITALIANA
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
MEDICINA DELLO SPORT
III
Autori
ROBERTO VAGNOZZI
Dipartimento di Neuroscienze, Università di Roma”Tor Vergata”, Roma
STEFANO SIGNORETTI
Divisione di Neurochirurgia Ospedale S. Camillo, Roma
BARBARA TAVAZZI
Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica, Università Cattolica, Roma
ANDREA VERZELETTI
Dipartimento di Specialità Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Medico Forensi
Università di Brescia
GIUSEPPE LAZZARINO
Dipartimento di Scienze Chimiche, Laboratorio di Biochimica, Università di Catania
MAURIZIO CASASCO
Federazione Medico Sportiva Italiana, Roma
Hanno collaborato
MASSIMILIANO BIANCO
Federazione Pugilistica Italiana - FMSI - Roma
LUCIANO CRISTOFORI
Ospedale Maggiore di Verona “Borgo Trento”
ROBERTO FLORIS
Università di Roma “Tor Vergata”
VINCENZO M. IERACITANO
Federazione Italiana Rugby - FMSI - Roma
SIMONE MARZIALI
Università di Roma “Tor Vergata”
FRANCESCO PASTORE
Università di Roma “Tor Vergata”
IV
MEDICINA DELLO SPORT
Settembre 2010
MEDICINA DELLO SPORT
Vol. 63
Settembre 2010
Suppl. 1 al N. 3
La concussione cerebrale
INDICE
1
6
Presentazione
Patogenesi, fisiopatologia e biochimica
3
7
Introduzione
Diagnosi clinica
3
9
Cenni di storia
Il cervello vulnerabile e la sindrome da
secondo impatto
4
La concussione nello sport: le proporzioni del
fenomeno
11
4
12
Definizione e classificazione
Concussione: quando si è guariti?
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
Ritorno all’attività
MEDICINA DELLO SPORT
V
INDICE
15
22
Concussioni ripetute ed encefalopatia cronica
Valutazione dei sintomi della concussione
16
23
Concussione in età pediatrica
Lista dei sintomi
17
24
Note sulla normativa vigente
Scheda per la valutazione di un atleta concusso
VI
MEDICINA DELLO SPORT
Settembre 2010
MED SPORT 2010;63(Suppl. 1 al N. 3)
Presentazione
Continua l’impegno della Federazione Medico Sportiva, in qualità di Società Scientifica, a
favore della formazione e dell’aggiornamento professionale dei suoi tesserati.
Un’attenzione particolare viene oggi rivolta alla concussione cerebrale per il ruolo importante che il medico sportivo svolge nella sua prevenzione e, quando essa dovesse occorrere, nella sua diagnosi e trattamento.
I sintomi di un trauma cranico lieve possono sembrare “lievi”, ma possono condurre a disturbi di lunga durata che coinvolgono funzioni fisiche, cognitive e psicologiche.
Una diagnosi tempestiva, un’appropriata gestione del paziente/atleta, la corretta conoscenza
del problema da parte sia della famiglia che dello staff tecnico sono fondamentali per ottenere una guarigione completa e ridurre, se non evitare, il rischio di pericolose complicanze.
Questa monografia nasce con l’intento di fornire ai medici sportivi le conoscenze e gli strumenti per una pronta diagnosi di concussione cerebrale e per la corretta gestione dell’atleta traumatizzato fino alla sicura guarigione.
MAURIZIO CASASCO
Presidente
Federazione Medico Sportiva Italiana
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
ROBERTO VAGNOZZI
Professore Associato di Neurochirurgia
Università di Roma “Tor Vergata”
MEDICINA DELLO SPORT
1
MED SPORT 2010;63(Suppl. 1 al N. 3)
La concussione cerebrale
Introduzione
La concussione senza perdita di coscienza è
la forma più comune di trauma cranico legata allo sport e la più difficile da diagnosticare
tanto che, spesso, non viene riconosciuta. Essa
è causata da un’improvvisa accelerazione-decelerazione dell’encefalo all’interno della scatola
cranica e si manifesta con un’immediata, breve,
alterazione delle funzioni neurali. E’ questo il
motivo per cui sono i tecnici, gli allenatori, gli
“uomini di campo” che devono saperla riconoscere e riferirla ai medici, ai quali invece spesso
questi ragazzi non arrivano, proprio a causa del
mancato riconoscimento del fenomeno traumatico.
I dati di una recente ricerca confermano che
in Italia il numero di concussioni subite dagli atleti e non riferite è elevato e che la conoscenza
del trauma concussivo è ridotta. Ciò è particolarmente preoccupante alla luce del fatto che
i rischi di concussioni singole o multiple sono
ben noti e che i danni cognitivi a lungo termine
sono sempre più frequentemente descritti.
Questo dato è ancor più inquietante se si
pensa, ad esempio, che dei circa 21 milioni di
adolescenti che ogni anno praticano calcio, circa 2 milioni subirà almeno un trauma concussivo, e di questi, solo la metà giungerà all’attenzione del medico.
Le ragioni principali per cui la concussione
cerebrale non viene riportata sono principalmente legate al fatto che questo tipo di trauma
viene considerato “non importante” e comunque “parte del gioco”, quindi accettato passivamente da atleti, tecnici e preparatori atletici.
In realtà, i sintomi di un trauma cranico lieve
possono sembrare “lievi”, ma possono condurre
Finanziamenti. — Lo studio fa parte del progetto PRIN
2007JBHZ5 del MIUR.
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
a disturbi di lunga durata che coinvolgono funzioni fisiche, cognitive e psicologiche.
Gli atleti moderni sono più potenti e più veloci e questa condizione li pone a rischio di impatti più gravi con rischi maggiori per il sistema
nervoso.
Inoltre non dobbiamo dimenticare i rischi di
subire un trauma che corre il grande numero,
difficilmente quantificabile, di persone che praticano sport ed attività ricreative al di fuori di ogni
controllo, i cosiddetti “atleti della domenica”.
Con questa monografia intendiamo, oltre ad
offrire una panoramica di quanto si è fatto e di
quanto ancora vi è da fare per chiarire i molti
lati oscuri della fisiopatologia della concussione
cerebrale, proporre quelli che attualmente vengono considerati i mezzi più idonei per la valutazione clinica e strumentale dell’atleta concusso
e per un suo sicuro ritorno all’attività sportiva.
Cenni di storia
A giudicare dagli antichi trattati di medicina,
così come dai miti e dalle leggende, dai testi
sacri e dai poemi, appare chiaro che la concussione era conosciuta fin dall’antichità come una
particolare forma di trauma cranico. Per non
parlare dell’Antico Testamento e della caduta a
terra di Golia colpito dalla pietra scagliata dalla
fionda di Davide, già Ippocrate (460-370 a.C.)
negli Aphorismi, pur non usando il termine
moderno di concussione, descriveva una condizione clinica post-traumatica in cui il paziente
cadeva a terra incapace di sentire e di parlare.
Alla fine del primo millennio, il medico persiano Rhazes (853-929) per primo, nella sua
clinica di Bagdad, usò il termine “concussione”
per descrivere una situazione post-traumatica
caratterizzata da un’anomalia fisiologica ben distinta e diversa da una lesione grave.
MEDICINA DELLO SPORT
3
VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Nel medioevo Guido Lanfranchi (1250 1306) fu il primo medico “moderno” a descrivere la concussione come entità a sé stante,
conseguenza di uno “scuotimento del cervello”
e caratterizzata da “sintomi che rapidamente
scompaiono”.
Berengario da Carpi nel 1518 descrisse la cosiddetta “commotio cerebri” come una lesione
senza fratture o emorragie, mentre Ieronimo Fabrizio di Acquapendente (1578) notava che la
commotio cerebri provocava letargia e vertigini
e ne sconsigliava la terapia chirurgica.
Nel 1792, Thomas Kirkland fece un’altra importante osservazione clinica a proposito del
trauma cranico. Egli affermava che il sangue
stravasato riscontrato nell’autopsia, era un fenomeno tardivo e che il meccanismo che rendeva inconsci dopo un colpo (che egli chiama
concussione) era indipendente da qualsivoglia
alterazione patologica evidenziabile. Tale concetto rifletteva la prevalente opinione che la
concussione non fosse in realtà accompagnata
da un danno cerebrale morfologico-strutturale.
La visione tipica di questo periodo fu riassunta
da John Bell che scrisse: “...La concussione è…
un disturbo inconcepibile del cervello che qualche volta sussegue un colpo”.
I pionieri dei moderni studi sulla concussione sono stati i neurologi neozelandesi guidati
da Denny-Brown che per primi descrissero i fenomeni post-concussivi come dovuti a reazioni
molecolari generalizzate, ma transitorie, provocate da uno “stress” di tipo meccanico subito
dalla cellula nervosa.
La Concussione nello sport: le
proporzioni del fenomeno
Il numero dei traumi cranici legati all’attività
sportiva non può essere stimato con esattezza. Nel mondo l’incidenza del trauma cranico
in generale è compresa in un range che va da
152 a 430 casi per 100.000 persone per anno;
di questi una percentuale variabile tra il 3 ed
il 25% sono legati allo sport. Si può, quindi,
estrapolare che il tasso d’incidenza del trauma
cranico nello sport sia compreso, teoricamente, tra i 5 ed i 68 casi per 100.000 persone per
anno. Dei traumi cranici trattati in ospedale,
circa l’11% sono legati ad attività sportiva e la
maggior parte di questi coinvolgono bambini
ed adolescenti. 1-3.
Per comprendere la portata del fenomeno, negli Stati Uniti, così come in Europa, ogni anno un
4
milione di persone viene visitato al pronto soccorso per una concussione, quasi tutte conseguenza
di attività sportivo-ricreazionali. In realtà il numero dei traumatizzati è molto maggiore ed oscilla
tra 1,6 e 3,8 milioni.
Accade purtroppo che, a causa dei sintomi sfumati, chi ha subito una concussione raramente ricorrere alle cure mediche; è altrettanto vero che
spesso il medico non riconosce la patologia, col
risultato che la concussione è, per lo meno nel nostro Paese, un evento clinico il più delle volte non
diagnosticato 4. Come è facile intuire, la concussione si verifica con frequenza maggiore tra coloro
che praticano soprattutto sport di contatto. Data la
maggiore esposizione a questo rischio e dato che
l’atleta che abbia subito una concussione ha più
probabilità di subirne una seconda, la medicina
dello sport a livello internazionale è alla ricerca di
un approccio diagnostico affidabile sia per effettuare la diagnosi della concussione, sia per determinare il pieno recupero della funzionalità cerebrale.
La finalità ultima è di permettere all’atleta
concusso un ritorno all’attività sportiva privo di
rischi.
Definizione e classificazione
La concussione è un trauma cranico lieve
anche se, occorre precisare, non tutti i traumi
cranici lievi sono concussioni. L’accezione del
termine è però divenuta talmente comune che
l’espressione “concussione cerebrale” viene frequentemente usata nel linguaggio clinico come
sinonimo di “trauma cranico lieve”. In realtà
solo da alcuni anni si è riusciti a raggiungere
una definizione univoca di concussione, entità
nosografica caratterizzata da una straordinaria
confusione di terminologie e definizioni che si
sono succedute nel corso degli anni.
Il primo problema nasceva dall’uso
dell’espressione “Commozione Cerebrale”, così
definita dal Gozzano alla fine degli anni ’60: “Per
commozione cerebrale si intende una sindrome
neurologica che si istituisce istantaneamente al
momento del trauma cranico, è rappresentata
da perdita di coscienza per solito di breve durata e non è seguita da postumi permanenti gravi.
La perdita di coscienza è quasi sempre completa.” 5. Di fronte ad una tale definizione la prima
cosa che ci si domanda oggi è quale differenza
esista tra una perdita di coscienza completa o
incompleta.
La definizione riportata dal Grande Dizionario Medico pochi anni dopo sembrava volerci
aiutare da questo punto di vista recitando: “...La
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
commozione cerebrale è una condizione clinica caratterizzata da perdita di coscienza, che si
verifica immediatamente dopo un trauma che
abbia interessato il capo in modo diretto od indiretto (contraccolpo). Il soggetto, per effetto del
trauma, subito perde i sensi, e rimane in tale
condizione per un tempo variabile, che di solito
non supera l’ora…” (Grande Dizionario Medico, Volume II, 1972). In questa definizione si
stabilisce, almeno, che la perdita di coscienza è
una sola e che ovviamente può avere una durata di tempo variabile.
Ma le cose si complicarono inevitabilmente quando, agli inizi degli anni ’80, al termine
commozione cerebrale si affiancava il termine
più comunemente usato dalla letteratura anglosassone di “concussione cerebrale”, fino ad
allora poco citato dagli autori italiani. Le due
espressioni divengono così sinonimi e le definizioni che seguono possono far riflettere sul grado di confusione terminologica e sulle relative
conseguenze nell’uso della pratica clinica.
“La commozione cerebrale o concussione è
caratterizzata dalla comparsa immediata di:
disturbo dello stato di coscienza, diminuzione o
abolizione della sensibilità agli stimoli, disturbi
neurovegetativi…” 6.
“La commozione cerebrale (meglio definita
dagli autori anglosassoni come concussione) è
quadro temporaneo e reversibile caratterizzato
da: perdita di coscienza e disturbi mnesici” 7.
“…La commozione o concussione cerebrale
si definisce come un’ istantanea perdita di coscienza di durata variabile, rilasciamento muscolare, apnea, ipotensione, bradicardia…” 8.
“La parola commozione o concussione è stata
introdotta nella pratica medica nel XVI secolo
per indicare il fatto che una violenta scossa impartita all’encefalo può provocare la sospensione temporanea delle funzioni del sistema nervoso con quella drammatica manifestazione che
è la perdita di coscienza… Ancora oggi, il termine commozione cerebrale indica una disfunzione post-traumatica immediata caratterizzata da incoscienza, che di solito è reversibile, ma
che può essere letale” 9.
Il termine commotio cerebri o commozione
cerebrale, così come l’espressione trauma commotivo o non commotivo, ad indicare l’avvenuta
o meno perdita di coscienza, sono stati praticamente abbandonati nella moderna pratica clinica ed è oggi più corretto parlare semplicemente
di concussione o trauma concussivo, di cui verrà riportata la moderna definizione universalmente accettata.
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
Da un punto di vista neurobiologico la definizione più condivisa di concussione cerebrale
oggi è quella di “… un complesso evento fisiopatologico che colpisce l’encefalo, provocato
dall’azione di forze biomeccaniche.” Il trauma
concussivo è dunque il risultato dell’azione di
una o più forze meccaniche che agiscono direttamente o indirettamente sulla testa. Un colpo
diretto, un urto contro un altro corpo, statico
od in movimento, oppure uno scossone subito
a seguito di una spinta ricevuta o una brusca
decelerazione del capo (colpo di frusta), sono
tutti eventi che, producendo improvvisi e bruschi movimenti della testa, possono causare
una concussione cerebrale. L’individuo che subisce una concussione cerebrale presenta una
sequela di sintomi, immediati e tardivi, riassumibili come disturbi fisici, cognitivi, emozionali e del ritmo sonno-veglia. Quando a seguito
dell’impatto si verifica una perdita di coscienza,
la diagnosi di concussione è praticamente certa;
tuttavia, la mancata perdita di coscienza non
esclude la possibilità di aver subito un trauma
“concussivo”. La durata dei sintomi può variare
da pochi minuti a diversi giorni, settimane ed in
casi meno frequenti anche mesi.
Da un punto di vista clinico, la concussione viene definita come: “un’alterazione posttraumatica dello stato mentale, caratterizzata
da stato confusionale ed amnesia a cui si può
associare oppure no la perdita di coscienza”.
Nel 1986 Robert Cantu propose una classificazione della concussione che per anni è stata
alla base delle linee guida per il trattamento ed
il ritorno all’attività di un atleta che avesse subito un trauma cranico lieve 10. Egli propose di
suddividere la concussione in tre tipi, basandosi
sulla presenza o meno della perdita di coscienza e sulla durata dei sintomi post-concussivi:
—— concussione lieve: non si verifica perdita
di coscienza; è presente amnesia post-traumatica inferiore a 30 minuti;
—— concussione moderata: si documenta una
perdita di coscienza di durata inferiore a 5 minuti oppure è presente amnesia posttraumatica
superiore a 30 minuti;
—— concussione grave: si documenta una
perdita di coscienza di durata superiore a 5 minuti oppure è presente amnesia post-traumatica
superiore a 24 ore.
—— Negli anni successivi si sono tenute tre
“Consensus Conference” dedicate alla concussione nello sport, a Vienna nel 2001 11 a Praga
nel 2004 12 ed a Zurigo nel 2008 13, che hanno
ulteriormente contribuito a meglio definire e
MEDICINA DELLO SPORT
5
VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
classificare questa particolare sindrome clinica.
Alla ormai universalmente accettata definizione
di concussione, intesa come espressione clinica
di un “disturbo neuronale transitorio e funzionale”, si sono aggiunti, a completamento, una
serie di concetti di tipo clinico, patologico e
biomeccanico che possono meglio definire la
natura dell’evento concussivo:
1.  la concussione può essere provocata da
un colpo diretto alla testa, faccia, collo o in qualunque altra parte del corpo da cui possa derivare una forza che viene trasmessa alla testa;
2.  la concussione provoca la rapida insorgenza di una disfunzione neurologica di breve
durata;
3.  la concussione può anche provocare qualche modificazione neuropatologica, ma la sintomatologia acuta riflette soprattutto un disturbo funzionale e non un danno anatomico;
4.  la concussione è causa di una serie di sindromi cliniche di diversa entità, che possono,
oppure no, comprendere la perdita della coscienza. La risoluzione dei sintomi segue, di solito, un decorso sequenziale;
5.  la concussione è tipicamente associata alla
negatività degli esami neuroradiologici di immagine.
Per quanto riguarda la classificazione, la raccomandazione più recente è stata quella di abbandonare le scale fino ad oggi proposte.
La gravità di una concussione può essere,
infatti, determinata solo a posteriori sulla base
della negatività dell’esame neurologico, nonché
sulla base del tempo necessario per ottenere la
scomparsa dei sintomi soggettivi e il completo
recupero delle funzioni cognitive.
Gli atleti traumatizzati vanno quindi sottoposti a test neurocognitivi e a studi di neuroradiologia con tecniche sofisticate (PET, SPECT,
RM funzionale, RM spettroscopica ecc.). Il trattamento medico prevede un approccio multidisciplinare, con il coinvolgimento del neurologo
o del neurochirurgo.
La concussione cerebrale o trauma cranico
lieve è dunque, allo stesso tempo, il più frequente e forse il più intrigante tipo di lesione
cerebrale post-traumatica proprio perché, a differenza degli altri tipi di trauma, non si ha mai
evidenza del danno anatomico. Il lato oscuro
della concussione non risiede solo nella difficoltà di diagnosi e in quella di stabilire i tempi
di guarigione dei soggetti concussi, ma anche
nella sua fisiopatologia. Infatti, gli studi sperimentali e clinici più recenti hanno evidenziato
con chiarezza che, alla base della sintomato-
6
logia post-concussiva, si collocano una serie
complessa di modificazioni biochimiche e molecolari, tutte transitorie, che alterano temporaneamente la funzionalità neuronale. Da qui la
necessità, sempre più sentita dal mondo clinico,
di trovare un marker biochimico affidabile da
utilizzare per la diagnosi e il monitoraggio dei
soggetti colpiti da concussione.
Patogenesi, fisiopatologia e biochimica
Dal punto di vista biomeccanico si possono
riconoscere almeno quattro processi distinti in
grado di provocare una concussione:
1. impatto violento della superficie cerebrale
contro le ossa craniche in seguito a forze inerziali rotatorie;
2. trazione a carico dei neuroni del tronco cerebrale conseguenti ai movimenti inerziali degli
emisferi cerebrali;
3. deformazione delle ossa craniche e conseguente deformazione del tessuto nervoso sottostante con formazione di onde di pressione intracranica che si propagano per via centripeta;
4. accelerazione della testa lungo l’asse del
collo.
Gli ultimi tre processi hanno in comune l’interessamento finale delle fibre del tronco encefalico con possibile coinvolgimento della
sostanza reticolare. Tuttavia non è ancora stata
completamente chiarita la biopatologia della
concussione ed il motivo per cui, in seguito ad
un trauma lieve, il cervello diviene così vulnerabile ad un eventuale secondo trauma.
Dal punto di vista biochimico e molecolare,
Hovda et al. 14, 15 hanno affrontato per primi
il problema del “cervello vulnerabile” dopo
una concussione, formulando l’ipotesi che, in
seguito al trauma, le cellule cerebrali, pur non
irreversibilmente danneggiate, sono soggette a
complesse alterazioni biochimiche che compromettono temporaneamente la funzione del
neurone 16. In breve, le forze biomeccaniche
dell’evento traumatico causano uno stiramento
delle membrane neuronali che ne modificano
la permeabilità ionica. All’interno dei neuroni,
si registra un cambiamento della concentrazione del calcio libero intracellulare in grado di
alterare la funzionalità dei mitocondri 17. Quindi, per un periodo di tempo variabile, dopo la
concussione i neuroni soffrono di una disfunzione mitocondriale che si traduce in un deficit
energetico e in uno stato, appunto, di “vulnerabilità metabolica”. Ricordando che i mitocondri
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Settembre 2010
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
possono essere definiti come la “centrale energetica cellulare” che provvede al continuo rifornimento di ATP, molecola indispensabile per
tutti i processi energia-dipendenti, è facilmente
comprensibile come il loro malfunzionamento
porti a una diminuzione della produzione di
ATP.
Studi sperimentali condotti su modelli animali di trauma cranico lieve hanno evidenziato
la reversibilità di questo periodo di squilibrio
energetico, caratterizzato da una significativa
diminuzione del contenuto cerebrale di ATP 18,
19. Nello stesso modello sperimentale, è stato
anche dimostrato che l’N-acetilaspartato (NAA),
il principale amminoacido N-acetilato di esclusiva localizzazione cerebrale, subisce anch’esso una diminuzione temporanea a seguito di
un evento concussivo. Il collegamento tra ATP
e NAA risiede non solo nel fatto che entrambi
sono sintetizzati all’interno dei mitocondri, ma
anche nel fatto che la sintesi di una molecola di NAA ha un costo complessivo indiretto
di ben 12 molecole di ATP. Il legame tra queste due molecole e la correlazione temporale
tra le diminuzioni di ATP e NAA fanno si che
l’NAA rivesta un ruolo particolare quale potenziale marker biochimico in grado di misurare
indirettamente lo stato energetico neuronale 20.
Recentemente, è stato anche messo in evidenza
che un evento concussivo è addirittura in grado
di indurre modificazioni temporanee anche a
livello genico. Infatti, è stato osservato che la
concussione altera l’espressione di numerose
proteine coinvolte nei più svariati processi vitali
delle cellule neuronali, aprendo la strada alla
cosiddetta trascrittomica della concussione che
potrebbe avere importanti risvolti da un punto
di vista delle possibili applicazioni farmacologiche 21.
A rafforzare la correlazione tra ATP e NAA,
e a sottolineare l’importanza che essi rivestono
nei fenomeni concussivi, è stata la scoperta che
se nel periodo di tempo susseguente a una concussione, in cui le cellule neuronali sono nello
stato di “vulnerabilità metabolica”, si verifica un
secondo evento concussivo, il danno risultante non è più di tipo lieve, cioè reversibile. Si
verificano, piuttosto, modificazioni biochimiche
e molecolari tali da tradursi in danni cellulari
gravi ed irreversibili, evidenziabili da concentrazioni cerebrali molto ridotte (inferiori al 50%
del valore pre-trauma) sia di ATP che di NAA 22.
Le conoscenze acquisite dagli studi sperimentali più recenti si possono così riassumere:
1. la concussione altera transitoriamente la
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
Tabella I.—Sintomi della concussione cerebrale.
Precoci (minuti/ore):
— cefalea, vertigini,
— — stato confusionale, amnesia,
— — nausea, vomito.
Tardivi (giorni/settimane):
— cefalea lieve persistente
— — difficolta’ di concentrazione
— — disturbi della memoria
— — facile stancabilita’
— — irritabilita’
— — disturbi del sonno
funzionalità mitocondriale, con diminuzione
temporanea, ma significativa, del contenuto cerebrale di ATP e NAA;
2. il periodo di tempo susseguente ad una
concussione, durante il quale le cellule neuronali si trovano in tale stato, va considerato come
un periodo di vulnerabilità metabolica cerebrale;
3. le alterazioni causate da una concussione
sono essenzialmente di tipo biochimico (alterazioni metaboliche) e molecolare (alterazioni
dell’espressione proteica);
4. una seconda concussione che avvenga durante la finestra temporale di vulnerabilità cerebrale è in grado di provocare danni metabolici
irreversibili identici a quelli causati da un trauma grave (cumulabilità della concussione).
Da queste considerazioni, appare evidente
l’importanza di avere a disposizione il modo di
stabilire con certezza che un soggetto che abbia
subito una concussione sia al di fuori della finestra temporale di vulnerabilità cerebrale.
L’interesse generato a livello clinico dagli
studi sperimentali che indicano nell’NAA un
marker biochimico utile per valutare indirettamente lo stato energetico cerebrale è ancor più
accresciuto dalla considerazione che, tale composto, può essere misurato nell’uomo con la
tecnica non invasiva della Risonanza Magnetica Spettroscopica (RMS). E’ evidente che la sua
validazione clinica permetterebbe di avere uno
strumento con cui misurare un parametro oggettivo (NAA) con cui valutare le alterazioni ed
il recupero del metabolismo cerebrale in atleti
che abbiano subito un evento concussivo.
Diagnosi clinica
I sintomi della concussione cerebrale sono
molteplici e spesso assai sfumati. Ciò rende dif-
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VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
ficile una diagnosi di concussione, soprattutto
durante le fasi concitate di una gara, ed ancor
più difficile capire quando la sintomatologia sia
completamente risolta. I sintomi vanno distinti
in precoci e tardivi (Tabella I).
I sintomi precoci che più frequentemente
fanno seguito ad una concussione sono le alterazioni dello stato mentale (“confusione”), l’amnesia ed i lievi disturbi neurocognitivi.
Purtroppo il concetto di “confusione mentale” non sempre viene applicato in modo corretto e troppo spesso viene usato per definire genericamente che “qualcosa non va come
dovrebbe”. La neurologia comportamentale ha,
invece, definito tre segni fondamentali della
confusione mentale:
1. disturbo dell’attenzione, con difficoltà di
concentrazione;
2. incapacità di mantenere una corretta linea
di pensiero;
3. incapacità di eseguire una sequenza di
movimenti che conducano ad uno stesso fine.
Sono quindi la capacità di apprendimento,
la memoria, la capacità di concentrazione, il
tempo di reazione e le funzioni mnemoniche
complesse a meglio definire le condizioni neurocognitive dell’atleta che ha subito un trauma
cranico lieve.
La presenza di perdita di coscienza e la durata dell’amnesia sono stati parametri usati nel
passato per determinare la gravità della concussione e, troppo spesso tutt’ora, si considera che
non vi sia trauma se questi sintomi non sono
presenti e documentati.
L’amnesia post-traumatica viene distinta in
retrograda (quando l’atleta ha difficoltà a ricordare eventi avvenuti prima dell’impatto) o anterograda (riguarda fatti accaduti dopo il trauma; è quella più comunemente definita come
“amnesia post-traumatica”, legata al deficit del
meccanismo di memorizzazione ed immagazzinamento).
In realtà oramai si è visto con certezza che
molto spesso nello sport vi sono traumi concussivi senza perdita di coscienza, sfatando quindi
il mito che non vi è stata lesione se l’atleta non
ha subito un K.O.
Anche la durata dell’amnesia ha perso valore
diagnostico in quanto si è visto che la natura e
la durata della sindrome post-concussiva sono
più importanti della durata della singola amnesia.
La diagnosi precoce ed il rapido inquadramento sono alla base di una buona gestione
della concussione e sono essenziali per deci-
8
dere se l’atleta è in grado di proseguire la gara.
Anche la valutazione di un atleta che ha subito un trauma cranico lieve deve iniziare dai
parametri vitali: capacità di respiro spontaneo,
pervietà delle vie aeree, frequenza cardiaca;
in presenza di un’alterazione dello stato di coscienza va sempre trattato come un possibile
traumatizzato della colonna cervicale, nelle fasi
di soccorso e di trasporto è necessario, quindi,
porre un’attenzione meticolosa ai movimenti
del collo.
Negli sport in cui gli atleti indossano il casco
questo non andrebbe rimosso. Solo se si ritiene
di dover garantire una migliore pervietà delle
vie aeree si può procedere alla sua rimozione
facendo grande attenzione a mantenere il collo
in posizione neutra (né in flessione né in estensione).
Più difficile è riconoscere una concussione in
cui i sintomi siano molto sfumati. L’atleta, preso
dall’agonismo, non riferisce alcun disturbo; un
rapido, concitato e superficiale controllo medico
eseguito a bordo campo può non evidenziare le
alterazioni dello stato mentale e il giocatore tende a voler continuare l’incontro. A volte, in questi casi, solo gli errati movimenti sul campo di
gioco convincono l’allenatore e il medico che vi
sono alterazioni cognitive. L’atleta va quindi tolto
dal contesto della gara poichè la prontezza dei
riflessi si riduce ed il rischio di ricevere un altro
colpo aumenta. È stato infatti dimostrato che un
atleta che ha subito una concussione è sei volte
più a rischio di subirne una seconda rispetto ad
uno che non ha subito traumi 23.
Alla luce della difficoltà oggettiva di riconoscere una concussione i cui sintomi siano
molto sfumati, il medico, qualora presente,
deve porre particolare attenzione alle modalità con le quali il trauma si è verificato. Nel
dubbio dovrebbe richiedere che il giocatore venga allontanato temporaneamente per
consentirgli un’adeguata valutazione, senza
attendere che si verifichi la compromissione
nella prontezza dei riflessi, che rappresenta,
come detto, già una situazione di rischio per
una seconda concussione.
La sindrome post-concussiva è costituita
da una molteplicità di sintomi sfumati, fisici e
psichici (lieve cefalea, facile stancabilità, difficoltà di concentrazione, tendenza all’irritabilità
ed alla depressione) e rappresenta, da sempre,
materia di controversia tra i traumatologi. Negli
anni si sono formate due scuole di pensiero riguardo la fisiopatologia di questa discussa entità nosologica.
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
Tabella II.—Sintomi della sindrome post concussiva.
Sintomi fisici
Sintomi cognitivi
Sintomi emozionali
Disturbi del sonno
Mal di testa
Sensazione di “annebbiamento”
Irritabilità
Sonnolenza
Nausea
Sensazione di “rallentamento”
Tristezza
Tendenza a dormire
più del solito
Difficoltà di concentrazione
Tendenza a commuoversi
facilmente
Tendenza a dormire
meno del solito
Disturbi dell’equilibrio
Difficoltà a ricordare
Nervosismo
Difficoltà ad addormentarsi
Vertigini
Facilità a dimenticare informazioni o conversazioni recenti
Disturbi visivi
Confusione nella ricostruzione di
eventi recenti
Sensazione di spossatezza
Lentezza nella risposta alle domande
Vomito
Ipersensibilità alla luce
Tendenza a porre spesso le medesime domande
Ipersensibilità ai rumori
Stordimento
La prima, sostiene che i sintomi che la caratterizzano siano conseguenza della lesione cerebrale, la seconda, invece, ritiene che la sintomatologia sia di natura funzionale e rappresenti
la conseguenza psicologica ed emozionale del
trauma. Il ritorno all’attività è comunque sempre da evitare finché i sintomi non sono del
tutto scomparsi.
Schematicamente, per agevolare l’inquadramento di una tale variabilità di quadri clinici, i
segni ed i sintomi della concussione cerebrale
vengono riassunti in quattro categorie: sintomi
fisici, sintomi che riguardano la sfera cognitiva, sintomi derivati dall’alterazione del tono
dell’umore e delle emozioni, ed infine i disturbi
del ritmo sonno-veglia (Tabella II).
Il cervello vulnerabile e la
sindrome da secondo impatto
Quella che Saunders e Harbaugh nel 1984 24
definirono come sindrome da secondo impatto
(SSI) fu in realtà descritta per la prima volta da
Schneider nel 1973 25. La sindrome può insorgere quando un atleta che subisce un trauma
cranico, di solito lieve come una concussione,
va incontro ad un secondo trauma cranico prima che i sintomi legati al primo siano completamente risolti. Sebbene non sia nota l’incidenza
esatta della sindrome, essa è sicuramente più
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
frequente di quanto inizialmente si potesse ritenere. Alcuni autori, però, tuttora non la riconoscono come entità nosologica a sé stante, ma
preferiscono ricondurla ad un più generico rigonfiamento cerebrale postraumatico 26.
La maggior parte dei casi di SSI si è riscontrata nel football americano, ma in letteratura sono
riportati casi nella boxe 27, 28, hockey su ghiaccio
29, pallacanestro, sci alpino 30. Ben descritta, ma
fortunatamente rara, essa è caratterizzata da una
condizione di rigonfiamento cerebrale massivo
(swelling degli autori anglo-sassoni) che si ritiene sia, almeno in parte, la conseguenza di uno
stato di anomala reattività vascolare instauratosi
a seguito del primo trauma. Dopo il secondo
trauma, si verificherebbe la perdita completa
dell’autoregolazione cerebrale, congestione vasale ed ipertensione endocranica.
A questa ipotesi patogenetica di “ingorgo vascolare” da perdita di autoregolazione vasale, le
ricerche sperimentali già citate in precedenza 14,
22 hanno affiancato una seconda ipotesi secondo cui dopo un trauma, seppur lieve, vi sia una
fase in cui nelle cellule cerebrali esiste un’alterazione dello stato energetico, testimoniata dal
decremento del contenuto di ATP ed accompagnata dalla diminuzione di NAA. Ciò è dovuto ad un insieme di cause: disaccoppiamento
del metabolismo del glucosio dal flusso ematico cerebrale, danno mitocondriale, impegno
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VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Tabella III.—Schema di valutazione immediata di
Tabella IV.—Protocollo per il ritorno all’attività di
Orientamento
1. Nessuna attività e completo riposo fino a che sono
presenti i sintomi
un atleta con sospetta concussione cerebrale.
Chiedi all’atleta:
— In che stadio ci troviamo?
— In che città siamo?
— Contro chi stiamo giocando?
— Che mese è?
— Che giorno è?
un atleta che ha subito una concussione cerebrale.
2. Ripresa con esercizi aerobici leggeri quali il camminare o la cyclette
3. Allenamento specifico per lo sport praticato (per es:
corsa nel calcio, pattinaggio nell’hockey, ecc.)
4. Allenamento in gruppo senza contatti
Amnesia anterograda
5. Dopo controllo medico, allenamento completo
Chiedi all’atleta di ripetere le parole seguenti:
— Ragazza, cane, verde, casa.
6. Ritorno alla competizione
Amnesia retrograda
Chiedi all’atleta:
— Cosa è successo fino ad ora?
— Cosa ti ricordi prima dell’impatto?
— Qual è il risultato attuale?
— Ti ricordi il colpo?
Concentrazione
Chiedi all’atleta:
— Ripeti i giorni della settimana al contrario partendo
da oggi
— Ripeti questi numeri al contrario: 63 (corretto 36). 419
(corretto 914)
Amnesia anterograda
— Chiedi all’atleta di ripetere le 4 parole di prima (Ragazza, cane, verde, casa)
Ogni errore si deve considerare anormale. Consulta un
medico se sospetti una concussione cerebrale
delle residue riserve energetiche nei fenomeni
riparativi a cui le cellule non irrimediabilmente danneggiate dal primo trauma sono costrette a ricorrere. Un secondo trauma che dovesse
intervenire in questa fase, definita come “finestra temporale di vulnerabilità cerebrale”, troverebbe le cellule non energeticamente pronte
a contrastarlo, con conseguenze gravissime per
la loro stessa sopravvivenza. Incapaci infatti di
mantenere l’omeostasi energetica necessaria a
generare il corretto potenziale di membrana, i
neuroni andrebbero incontro ad una massiva
entrata di acqua intracellulare, con conseguente
edema cerebrale massivo. Da una parte dunque
i fenomeni di disregolazione vasale con aumento del volume ematico cerebrale (iperemia),
dall’altra l’aumento del contenuto d’acqua intracellulare (edema), contribuiscono all’instaurarsi
di una pericolosa sindrome da ipertensione endocranica acuta.
Per una situazione drammatica come quel-
10
la della SSI, in cui la prognosi è caratterizzata
da una mortalità che si avvicina al 50%, mentre quasi nella totalità dei casi saranno presenti danni permanenti, la prevenzione assume
un’importanza decisiva. La motivazione di ciò
risiede in quanto osservato nei paragrafi precedenti, laddove si è descritto il fenomeno della vulnerabilità metabolica e della cumulabiltà
della concussione. Pertanto, un atleta che ancora presenti i sintomi di una concussione non
deve essere riammesso, nella maniera più assoluta, alla pratica di sport in cui vi è rischio di
trauma cranico.
Tutti coloro che sono coinvolti in sport di
contatto (medici, tecnici, preparatori atletici)
devono sempre tenere presente il rischio di
una SSI ed impegnarsi nel prevenirla. Il rischio di incorrere in una SSI sta soprattutto
nell’inconsapevolezza di aver subito una concussione da parte dell’atleta e/o da parte del
team, nella difficoltà di valutazione oggettiva
della guarigione (sia da un punto di vista clinico, sia strumentale) e nel desiderio di rapido ritorno all’attività da parte dell’atleta e dell’intero
team.
Quanto su esposto ci porta ad affermare che:
LA COMPLICANZA PIU’ GRAVE
DI UN TRAUMA CRANICO LIEVE
E’ IL NON RICONOSCERLO
Un vademecum simile a quello rappresentato in Tabella III ed allegato in copertina può
essere di grande aiuto nella prima valutazione,
spesso eseguita a bordo campo ed in modo
concitato, per decidere se ci si trovi davanti ad
una concussione cerebrale e se l’atleta può continuare l’incontro.
Nel dubbio ricordarsi sempre che è meglio
perdere un incontro che pregiudicare una sta-
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
Figura 1. — Risonanza magnetica spettroscopica con metodica “single voxel”. La porzione esaminata è contrassegnata
dal quadratino bianco.
gione! E quindi è bene ricordare lo slogan degli
autori anglosassoni che recita…
IF IN DOUBT…
SEAT THEM OUT
Diverso, ma non meno importante per il medico sportivo, è decidere quando l’atleta che ha
subito una concussione cerebrale è guarito e
può tornare all’attività.
Ritorno all’attività
Il rischio di conseguenze drammatiche per un
atleta che dovesse subire due concussioni a distanza di tempo troppo breve, ha posto da tempo
al centro dell’attenzione dei neurotraumatologi il
problema del ritorno all’attività agonistica dopo
un trauma cranico lieve. Negli ultimi anni sono
state proposte una serie di scale per definire la
gravità di una concussione e conseguentemente
stilare le linee guida per il ritorno all’attività.
Più di recente, a Vienna nel 2001, a Praga nel
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
2004 e a Zurigo nel 2008 11-13, la classificazione
delle concussioni è stata semplificata e soprattutto, come già precedentemente accennato, è
stato introdotto il concetto della classificazione
della gravità a posteriori. In altre parole la gravità di una concussione può essere determinata
solo quando tutti i sintomi si sono risolti e sia
l’esame neurologico sia lo stato cognitivo sono
tornati nella norma. E’ evidente, quindi, che
anche le linee guida per la ripresa dell’attività
sportiva sono state modificate.
Per tale motivo, nella stessa sede, è stata proposta una scala basata sulla gravità dei sintomi
della sindrome post-concussiva sulla quale si
basa il nuovo protocollo per il ritorno all’attività
dopo una concussione (Tabella IV).
Nell’attuare questo rientro graduale l’atleta
procede al programma successivo se gli esercizi di quello precedente non hanno provocato la
ricomparsa della sintomatologia. Se ciò dovesse accadere dovrà riprendere dagli esercizi che
non gli procurano disturbi.
Una decisione di ritorno all’attività basata
semplicemente sulla sintomatologia clinica e
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VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Figura 2. — Risonanza magnetica spettroscopica eseguita con la metodica Multivoxel, chemical shift. L’area esaminata
è contrassegnata dal rettangolo bianco; il volume d’interesse è costituito da ciascuno dei quadrati bianchi.
sui test neurocognitivi non offre, però, sufficienti garanzie. Abbiamo visto come la sindrome
post concussiva sia caratterizzata da sintomi
non solo mal obiettivabili, ma anche estremamente sfumati. A ciò si aggiunga che nello sport
le pressioni esterne ed il desiderio del ritorno
alla competizione possono spingere l’atleta a
sottovalutare il suo stato di salute.
Proprio in questo contesto assume particolare rilievo una completa e dettagliata informazione che deve essere fornita all’atleta sui rischi
legati alla concussione ed alla sindrome da secondo impatto (SSI). Si deve peraltro ricordare
che il potere ostativo del medico alla partecipazione dell’atleta all’attività agonistica, finalizzato a tutelarne la salute, non viene superato
né dalla volontà dell’atleta stesso a proseguire
l’attività sportiva, né tanto meno da eventuali
soggetti esterni (allenatori, dirigenti di società
sportiva, ecc.).
Concussione: quando si è guariti?
L’esigenza di ricorrere ad indagini che forniscano dati oggettivi per determinare quando
12
si è guariti da una concussione ha fatto sì che
fossero introdotti test neurocognitivi sia cartacei
sia computerizzati. Attualmente tali test sono
molto utilizzati, soprattutto negli Stati Uniti, per
determinare i tempi di ritorno all’attività degli
atleti traumatizzati. Si è visto che in un atleta in
cui la scomparsa soggettiva dei sintomi avviene
in 4 giorni la normalizzazione dei test neuropsicologici avviene in una settimana. Più di recente sono state introdotte anche prove computerizzate per la valutazione dell’equilibrio 31.
Nessuno dei test utilizzati a tutt’oggi è però
adatto a determinare le variazioni dei parametri
metabolici alla base del fenomeno della vulnerabilità cerebrale.
Negli ultimi tempi, si è sentita, quindi, la
necessità di introdurre il concetto di “grading
biologico” della concussione, cioè la necessità di utilizzare marker biochimici e/o molecolari oggettivi, misurabili con strumentazioni e
metodiche analitiche di elevata precisione e
affidabilità. Il fine è quello di poter definire il
livello di compromissione metabolica delle cellule nervose e il loro recupero successivamente
ad un evento concussivo, in modo da poter se-
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
guire la dinamica di normalizzazione del corretto funzionamento dell’apparato metabolico
neuronale. Come visto in precedenza, infatti, in
seguito ad una concussione le cellule cerebrali
si vengono a trovare in uno stato di vulnerabilità, caratterizzata da deficit energetico da malfunzionamento mitocondriale, durante il quale
se subiscono un altro insulto sono a rischio di
danno irreversibile.
Non dobbiamo dimenticare che il concetto
di vulnerabilità cerebrale, che è alla base delle
complicanze drammatiche di un eventuale secondo trauma cranico lieve, è un concetto squisitamente biochimico, legato in gran parte allo
squilibrio energetico-metabolico in cui entrano
i neuroni dopo un trauma concussivo. Ma come
si fa a poter definire il grado di compromissione
metabolica e lo stato dei processi di riparazione cellulare? Come visto in precedenza, infatti,
la concussione è di solito associata alla negatività degli esami tradizionali di neuroimmagine
(TC, RM). Siamo quindi consapevoli di trovarci
di fronte ad un tipo di danno biochimicamente
ben definito, ma visibile solo grazie all’individuazione del giusto marker e monitorabile solo
grazie all’uso di opportune tecniche analitiche
capaci di analizzare il marker biochimico in oggetto.
La risonanza magnetica spettroscopica (RMS)
è attualmente l’unica metodica neuroradiologica in grado di analizzare le concentrazioni di
vari metaboliti cerebrali e di dimostrare come,
in alcune aree colpite da patologie neurologiche, i livelli di questi metaboliti differiscano
nettamente dalle aree sane. La metodica spettroscopica si avvale della stessa macchina usata
per ottenere un’immagine RM tradizionale e richiede semplicemente l’aggiunta di un software
che permetta di rendere “visibili” i metaboliti
cerebrali che si vogliono studiare per calcolarne
le loro concentrazioni. Infatti, una volta ottenuta
l’immagine cerebrale è possibile, all’interno della stessa, selezionare un determinato volume di
parenchima (tecnica del Single Voxel) oppure
ottenere una completa “mappatura” biochimica
dell’intera slice di risonanza (tecnica del multi
Voxel o Chemical Shift) (Figure 1, 2). L’analisi
spettroscopica è tecnicamente piuttosto semplice e richiede un tempo aggiuntivo, rispetto
alla durata di un esame RM tradizionale, di circa
dieci minuti.
Come già precedentemente discusso nel paragrafo di fisiopatologia e biochimica, il più
abbondante dei metaboliti cerebrali misurabili con la RMS è l’NAA, una molecola presente
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
Figura 3. — Variazione del rapporto dei metaboliti in 40
atleti concussi esaminati. Tra il primo ed il secondo controllo, benché solo in pochi il rapporto fosse ritornato
ad un livello compatibile con la normalità, tutti gli atleti
avevano dichiarato la scomparsa della sintomatologia.
Figura 4. — Concentrazioni dei metaboliti di 40 atleti
concussi sottoposti ad RMS. Si può notare come il recupero avvenga lentamente in una prima fase e più velocemente in seguito.
esclusivamente nelle cellule nervose, coinvolta
in numerosi processi omeostatici cellulari, che
possiede la particolarità di essere un marker
biochimico indiretto dello stato energetico del
neurone. Livelli diminuiti di NAA sono espressione di danno metabolico neuronale o, in caso
di livelli particolarmente bassi, di avvenuta
morte cellulare. Gli altri due metaboliti dosabili dalla RMS sono la colina (Cho), composto
fondamentale delle membrane biologiche, e la
creatina (Cr), anch’essa coinvolta nell’omeostasi
del metabolismo energetico.
L’importanza dell’analisi spettroscopica sta
nel fatto che, in totale assenza di lesioni visibili con l’impiego delle tecniche di immagine
standard, è possibile individuare, con altrettanta
precisione anatomica, aree nettamente patologiche da un punto di vista biochimico. Studi
seriali nel tempo consentono di monitorare
l’eventuale recupero o peggioramento fornen-
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VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Figura 5. — Grafico che mostra i trends di recupero di
ogni singolo atleta.
Figura 6. — Diversi tempi di recupero dopo concussioni
di diversa gravità.
do, pertanto, informazioni preziose sullo stato
di salute metabolica del tessuto cerebrale che
si possono rivelare spesso fondamentali da un
punto di vista diagnostico e prognostico. Gli
studi ripetuti di RMS offrono infatti la possibilità non solo di quantificare numericamente
(oggettivamente) il danno biochimico altrimenti
invisibile, ma soprattutto di determinare la sua
localizzazione all’interno del parenchima cerebrale e di seguirne l’evoluzione temporale. Un
tale tipo di valutazione oggettiva del danno
biochimico neuronale consente di confrontare
il recupero metabolico cerebrale con quello di
specifiche abilità cognitive rivelate dai test neuropsicologici.
Proprio da quanto finora pubblicato in letteratura, si intuisce che sia la scomparsa della
sintomatologia soggettiva e dei segni di concussione, sia la completa normalizzazione dei test
neuropsicologici possono non coincidere con
il definitivo recupero del metabolismo cellulare, potendo questo concludersi definitivamente
14
anche parecchi giorni dopo che si sia dimostrata una guarigione clinico-cognitiva (Figura 3).
La RMS, in definitiva, provvede a documentare,
in modo oggettivo, una precisa guarigione del
danno biochimico post-concussivo alla base
della vulnerabilità metabolica cerebrale, contribuendo in modo sostanziale a meglio definire il
periodo di guarigione attraverso la misurazione
indiretta del metabolismo energetico cerebrale
(determinazione dell’NAA).
Le alterazioni documentabili alla RMS, pur in
presenza di un quadro clinico negativo, possono quindi configurare la sussistenza di un vero
e proprio stato di “malattia” dell’atleta (inteso
nella sua accezione penalistica come processo
evolutivo caratterizzato da alterazioni obiettivabili), indicativo del fatto che non è stata ancora
raggiunta la guarigione.
Dati recenti provenienti dai primi studi clinici
32, che hanno utilizzato la misurazione dell’NAA
mediante RMS, hanno permesso di stabilire che
gli atleti concussi subiscono una riduzione significativa del contenuto di NAA cerebrale, ben
evidente già dopo 72 ore dall’evento concussivo (-20% NAA, rispetto al contenuto misurato in soggetti sani di controllo) (Figura 4). Gli
stessi studi hanno evidenziato che la cinetica
del recupero del danno cerebrale metabolico di
un atleta concusso varia praticamente da caso
a caso, che non segue una logica lineare e che,
soprattutto, avviene a grande distanza dalla piena risoluzione della sintomatologia post-concussiva (2-3 settimane dopo) (Figura 5). Questo
significa che quando l’atleta, il medico e l’allenatore credono che la sindrome post-concussiva
sia risolta alla scomparsa dei sintomi, il danno
biochimico neuronale è ancora pienamente in
atto e la finestra temporale di vulnerabilità cerebrale è ancora aperta.
La rilevanza di tali risultati è legata alla possibilità di stabilire in modo oggettivo e affidabile
se si è verificato un danno concussivo, danno
che è misurabile attraverso la quantificazione di
parametri del metabolismo cerebrale. Inoltre, i
risultati dimostrano che il tempo necessario per
il recupero metabolico è variabile per ciascun
atleta, facendo presupporre una correlazione
tra la gravità del trauma concussivo e l’alterazione metabolica neuronale. Si può quindi affermare che l’analisi spettroscopica dell’NAA si
propone di diventare, nel prossimo futuro, lo
strumento per graduare biologicamente la concussione che risulterà tanto più grave quanto
più tempo sarà necessario per la normalizzazione di questo parametro biochimico collegato
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
al metabolismo energetico cerebrale. Il suo uso
su larga scala potrà dimostrarne l’importanza
quale strumento analitico d’elezione per guidare l’atleta concusso al reinserimento e regolare
svolgimento dell’attività sportiva. In Figura 6
sono riportati i dati di 4 casi significativi. Si può
rilevare come non sia il livello dell’alterazione
metabolica iniziale, ma il tempo di recupero a
determinare la gravità di una concussione.
Concussioni ripetute ed
encefalopatia cronica
La sempre maggiore diffusione degli sport
di contatto aumenta il numero degli atleti che
sono soggetti a traumi cranici e alle loro conseguenze, non solo acute, ma anche croniche 33,
34. Queste ultime sono legate all’effetto cumulativo, a livello del sistema nervoso, di concussioni ripetute; i danni si manifestano a distanza di
tempo, quasi sempre quando l’atleta ha oramai
cessato l’attività agonistica.
A tal proposito giova ricordare quanto detto
in precedenza: un atleta che ha subito una concussione o che abbia una storia di concussioni
nella sua attività, presenta un rischio 4-6 volte
superiore di subirne un’altra 23.
Sebbene questa condizione patologica, conosciuta come encefalopatia cronica post-traumatica, sia stata per la prima volta descritta nella
boxe, tanto che viene anche definita “demenza
pugilistica” o “punch drunk syndrome”, ne sono
affetti, seppur in forma più lieve, anche atleti di
altri sport di contatto quali il football americano,
l’hockey su ghiaccio, le arti marziali e, secondo
alcuni ricercatori, il calcio ed il rugby 35, 36.
Il quadro clinico dell’encefalopatia cronica è
stato descritto per la prima volta da Martland
nel 1928 25 che riportò il caso clinico di un ex
pugile di 38 anni, oramai ritiratosi dall’attività,
che presentava una grave sindrome parkinsoniana, atassia, disturbi piramidali e cambiamento del carattere. Attualmente i sintomi vengono
distinti in motori, cognitivi e psichici; basandosi
sull’epoca della loro comparsa essi vengono distinti in precoci, a medio termine, tardivi.
Sebbene fin dal 1963 La Cava 37 descrisse che
i sintomi psichici erano i primi a comparire, va
detto che molto spesso non è facile determinare
una modificazione della personalità e del comportamento, specialmente nelle fasi iniziali, soprattutto se l’esaminatore non aveva mai avuto
contatti in precedenza con l’atleta.
E’ evidente come alla difficoltà di una dia-
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
gnosi precoce sia legata la difficoltà di prevenire ulteriori concussioni, mediante la sospensione o addirittura il ritiro definitivo dell’atleta
dall’attività. Altrettanto difficile è però determinare il numero delle concussioni oltre il quale
l’atleta rischia concretamente la futura insorgenza dell’encefalopatia cronica. Tale difficoltà è legata non solo al numero di concussioni di per
sé, ma anche al tipo di concussione e allo sport
praticato, per lo stretto legame che vi è tra tipo
di danno e biomeccanica dell’impatto.
La fisiopatologia della sindrome è poco chiara. Si pensa che l’atassia sia legata a disturbi
cerebellari, mentre i deficit cognitivi e le alterazioni psichiche dipendano da modificazioni
strutturali dell’ippocampo, corpi mammillari e
fornice. Martland 38 ha ipotizzato che i colpi ripetuti possano provocare petecchie emorragiche multiple nelle zone più profonde dell’encefalo, che poi, col tempo, vengono sostituite da
tessuto gliale. In alcuni casi sono state trovate a
livello neuropatologico tangles di neurofibrille,
reperti simili a quelli che si riscontrano nel morbo di Alzheimer. Ciò ha aperto gli studi su una
predisposizione genetica al danno cronico post
traumatico. Purtroppo a tutt’oggi alla domanda
“quante concussioni sono troppe?” i ricercatori
non sono riusciti a dare una risposta.
Poiché la terapia dell’encefalopatia cronica
è estremamente limitata, per non dire inefficace, diviene fondamentale prevenirla limitando
l’esposizione ai traumi multipli quegli atleti più
a rischio, mediante l’uso di equipaggiamenti
adatti, attraverso la stretta osservanza dei regolamenti, migliorando la tecnica e la preparazione fisica e ricorrendo a frequenti controlli
medici.
I progressi della biologia molecolare degli ultimi decenni sono destinati ad introdurre
prepotentemente il fattore genetico nella predisposizione di un atleta a sviluppare particolari danni in seguito ad un trauma cranico. Ricerche recenti hanno evidenziato come il gene
che codifica per l’apolipoproteina E epsilon-4
(apoE-e4), già sospettato di essere implicato nel
morbo di Alzheimer, sembrerebbe associato ad
un più elevato rischio di encefalopatia cronica
nei pugili 39.
A supporto della tesi dell’influenza dei fattori genetici sull’entità del danno neurologico
in atleti affetti da concussioni, Teasdale et al.
40 hanno descritto un’associazione significativa
tra presenza di polimorfismo apoE-e4 e prognosi dopo trauma cranico acuto in pazienti
non coinvolti in attività sportive. Le scoperte
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15
VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
sulla predisposizione genetica ad una lesione
cerebrale sono importanti non solo per regolamentare la boxe e gli altri sport di contatto,
ma anche per capire meglio l’influenza della
suscettibilità genetica di fronte a determinati stimoli e la possibilità di estenderla ad altri
sport ed altri rischi che non siano del sistema
nervoso, ad esempio un’anomala fragilità di un
legamento del ginocchio.
Individuare degli atleti potenzialmente più a
rischio di altri di subire particolari lesioni vuol
dire poterli aiutare eventualmente a scegliere
fin da giovani sport diversi da quelli a cui sono
particolarmente suscettibili.
I test genetici saranno sicuramente, con i progressi della biologia molecolare, una delle vie
future alla prevenzione, ma al momento il loro
ruolo deve essere ancora del tutto precisato.
Concussione in età pediatrica
Ogni considerazione riguardo i traumi cranici e le loro conseguenze nei bambini e negli
adolescenti deve tenere conto delle differenze
sostanziali che vi sono tra i giovani sportivi e gli
atleti adulti, soprattutto per ciò che riguarda i
normali processi di sviluppo e la loro influenza
sul tipo di lesione e sulla prognosi.
Non esistono molti studi a riguardo, ma sostanzialmente si può affermare che molte delle
linee guida utilizzate per gli atleti adulti non
sono applicabili in toto ai giovani sportivi; soprattutto i test neurocognitivi possono presentare delle variabili legate allo stato di apprendimento motivo per cui andrebbero somministrati
più volte al bambino prima di poter interpretare
correttamente lo stato psicologico post concussivo.
Dal punto di vista biomeccanico, la particolare configurazione della testa e dell’encefalo,
unita alle differenze della risposta fisiologica
alle sollecitazioni meccaniche, fanno sì che nel
bambino siano necessari stimoli più intensi che
nell’adulto per ottenere gli stessi sintomi. Di
contro, a fronte di questa maggior resistenza
all’evento traumatico, nel bambino e nell’adolescente possono presentarsi delle complicanze post traumatiche peculiari di quest’età, quali
una forma particolarmente grave di edema cerebrale (cosiddetto edema maligno).
Lo sviluppo psicofisico riveste grande importanza nel caso dei traumi nello sport e di quelli
del sistema nervoso in particolare. Nella prima
adolescenza vi è ancora la preoccupazione di
16
“farsi male” e quindi, anche se il ragazzo non
ha chiaro il rischio dei danni a distanza, ascolta i suggerimenti di chi gli è vicino e segue i
consigli dei tecnici e dei medici. Intorno ai 15,
16 anni l’influenza di coetanei e media diviene preponderante. Si praticano sport in modo
pericoloso, anche contro il volere degli adulti,
pervasi da un senso di invulnerabilità. L’attività
sportiva diventa il mezzo per farsi notare dagli amici e farsi accettare dalla società. E’ questa l’età tipica in cui un’eventuale sospensione
dell’attività sportiva a causa di un infortunio,
può provocare depressione e perdita di sicurezza. E’, in conclusione, il momento più delicato
per il giovane sportivo e di conseguenza ogni
decisione in caso di infortunio, deve essere presa con grande prudenza.
Nell’adolescenza tardiva, il ragazzo comincia
a capire il significato di una lesione cerebrale,
dei problemi che essa può presentare nell’immediato e a lungo termine. La partecipazione
all’attività sportiva non è più l’unico scopo della vita e quindi viene affrontata con maggiore
consapevolezza dei rischi che essa presenta.
Una puntuale e completa informazione sui
rischi della concussione e della sindrome da secondo impatto deve essere comunque garantita
ai genitori (dai quali non si può prescindere
in presenza di atleti minorenni). Riguardo agli
adolescenti, fermo restando il coinvolgimento
dei genitori, anche gli stessi dovranno essere
adeguatamente informati in modo che siano
resi consapevoli dei rischi a cui si espongono
e delle finalità di un’eventuale sospensione
dall’attività sportiva.
Con la crescita, l’aumento del peso e della
massa corporea provocano l’aumento delle accelerazioni al momento dell’impatto e quindi la
gravità della lesione post traumatica.
Recentemente si è visto che nei bambini e
negli adolescenti i tempi di recupero del danno
neurocognitivo dopo una concussione sono più
lunghi che nei giovani adulti, anche se la risposta ai test ripetuti risulta essere assai variabile
nei più giovani e quindi una diagnosi di risoluzione dei sintomi più difficile. L’idea che tanto
più un cervello è giovane, tanto migliori e più
efficaci sono i processi riparativi deve essere
però completamente abbandonata e rivalutata.
Da circa dieci anni una serie cospicua di studi sui meccanismi di plasticità neuronale hanno
dimostrato che il “cervello pediatrico” non può
essere considerato semplicemente come quello
di un “piccolo adulto” 41. Anche lievi fenomeni
perturbativi che si verificano dopo un trauma
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Settembre 2010
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
cranico possono innescare infatti processi riparativi di plasticità neuronale che non sempre si
concludono positivamente (“bad plasticity”) potendo comportare alterata neurotrasmissione,
alterazioni dei segnali molecolari, attivazione
di meccanismi di morte cellulare programmata (apoptosi) ed inibizione dei meccanismi di
apprendimento basati sull’esperienza. Gli effetti
tardivi di un trauma concussivo in età pediatrica possono includere disturbi cognitivi e comportamentali ed uno degli errori più frequentemente commessi nella pratica clinica è quello
di intervenire con una precoce stimolazione
cognitiva per anticipare il recupero. Ebbene si
è visto che è meglio posticipare il più possibile
tali stimoli in quanto i fenomeni di plasticità neruonale positivi (“good plasticity”) sono inizialmente inibiti ed il recupero dell’apprendimento
è tanto più efficace quanto determinati stimoli
sono ritardati nel tempo 42, 43.
Per questi motivi il ritorno all’attività dovrebbe essere il più conservativo possibile ed associato al cosiddetto “riposo cognitivo”. Nei casi di
concussione pediatrica, oltre alla sospensione
delle attività fisiche, andrebbe quindi osservata
una drastica riduzione anche di quelle attività
che impegnano troppo la mente nella vita di
tutti i giorni e nell’attività scolastica. Bisogna
informare correttamente genitori ed insegnanti
che, a seguito di una concussione, può verificarsi un possibile transitorio calo di performance scolastica del bambino, caratterizzato da
diminuita attenzione, difficoltà sia a ricordare
nozioni già acquisite, sia ad apprendere nuove
informazioni, tempi più lunghi a svolgere esercizi obiettivamente facili, comparsa di cefalea
durante lo svolgimento dei compiti. Il bambino può mostrare un’insolita irritabilità, una minore tolleranza alla fatica ed inizialmente non
dovrebbe andare a scuola, per poter poi essere gradualmente reinserito con orari inferiori,
meno compiti da svolgere a casa e senza essere
interrogato in classe.
Anche nel caso della concussione in età pediatrica e adolescenziale, è auspicabile che si
possa presto ricorrere all’uso routinario di una
valutazione biochimica oggettiva del danno
metabolico, allo scopo di individuare con precisione la chiusura della finestra temporale di
vulnerabilità cerebrale che rappresenta la “zona
d’ombra” durante il quale il soggetto postconcusso è a rischio. Studi in tal senso sono in
corso per verificare l’applicabilità della determinazione dell’NAA mediante RMS nei bambini e
negli adolescenti.
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
Note sulla normativa vigente
Non esistono attualmente in Italia norme
regolamentari universalmente accettate, volte
a disciplinare le modalità di rientro all’attività
sportiva di un atleta concusso, sia esso dilettante o professionista. Secondo l’articolo 1 della
legge 26 ottobre 1971, n. 1099, Sulla tutela sanitaria delle attività sportive (G.U. 23 dicembre
1971, n. 324), “... la tutela sanitaria delle attività
sportive spetta alle regioni ... secondo un programma la cui finalità e contenuti corrisponderanno ai criteri di massima fissati dal Ministero
della sanità, con il concorso delle regioni stesse... avvalendosi della collaborazione del Comitato olimpico nazionale italiano”.
Di fatto le normative ministeriali vigenti a cui
i regolamenti sanitari di ogni singola federazione sportiva possono far riferimento sono piuttosto generiche e poco specifiche in materia di
trauma cranico e vengono di seguito elencate:
D.M. 18/2/1982: “Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”.
D.M. 28/2/1983: “Integrazione e rettifica al
Decreto Ministeriale 18/2/82 concernente norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva
agonistica”.
D.M. 28/2/1983 “Norme per la tutela sanitaria
dell’attività sportiva non agonistica”.
D.M. 13/3/1995: “Norme sulla tutela sanitaria
degli sportivi professionisti”.
Nel D.M. 18/2/1982 (G.U. n. 63 del 5 marzo
1982), all’Allegato I, “Controlli sanitari e loro periodicità in relazione ai vari sport”, nelle Norme
Esplicative delle tabelle A e B, al punto E si
legge: “Ogni atleta che subisce un trauma cranico deve sospendere l’attività sportiva praticata
e sottoporsi a visita di controllo prima di riprenderla”.
Con esplicito riferimento al pugilato ed al
K.O. al punto D si legge: “Ogni pugile che abbia subito un “K.O.” per colpi al capo o che
abbia comunque subito una sconfitta prima del
limite (KO, abbandono, getto dell’asciugamano) deve sospendere l’attività pugilistica, anche
di allenamento, per un periodo minimo di 30
giorni. Il periodo di riposo inizierà automaticamente dal giorno del combattimento. Dopo il
periodo di riposo il pugile non può riprendere
in alcun modo l’attività agonistica se non dopo
essersi sottoposto a visita di controllo. Obbligatoriamente tra la data della visita medica di
controllo e quella del combattimento deve intercorrere un periodo di quindici giorni, necessario per l’idoneo allenamento. Ogni pugile che
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VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Figura 8. — Esempio di concussione.
Figura 7. — Esempio di concussione.
subisce due KO consecutivi deve osservare, a
decorrere dall’ultimo, un periodo di riposo di
tre mesi, dopo il quale deve sottoporsi a visita
di controllo”.
Infine, al punto F si legge. “Per tutte le altre
norme pertinenti ma non contemplate nel presente allegato, si fa riferimento ai regolamenti
sanitari delle Federazioni Sportive Nazionali ed
Internazionali”.
I successivi D.M. presi in esame non aggiungono sostanziali modifiche al suddetto protocollo da adottare in caso di trauma cranico.
Spinte dalla necessità di rendere più univoco il percorso assistenziale dell’atleta che abbia
subito una concussione, alcune Federazioni, di
propria iniziativa e nel solo ambito dei rispettivi regolamenti sanitari, hanno lodevolmente
aggiunto ulteriori modifiche alle norme ministeriali vigenti.
Ad esempio, la Federazione Italiana Rugby,
adottando una normativa stabilita dall’art. 10 del
regolamento dell’International Rugby Board, in
merito al giocatore che vada incontro a traumi
commotivi, ha stabilito che: “... in presenza di
18
Figura 9. — Esempio di concussione.
Figura 10. — Esempio di concussione.
trauma al giocatore che presenti uno o più dei
seguenti sintomi: perdita della memoria, perdita
di coscienza, stato confusionale e/o disorientamento temporo-spaziale, vertigini o instabilità,
vomito, diplopia, l’arbitro dovrà: su richiesta del
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
medico di campo, oppure a suo insindacabile
giudizio, far allontanare dal campo l’infortunato
che dovrà essere trasferito ad un centro Ospedaliero per gli accertamenti del caso.
Al termine della gara, informare l’accompagnatore della squadra su quanto riporterà nel
referto, relativamente agli infortuni da trauma
commotivo ad un suo giocatore.
Il giocatore che abbia subito un trauma commotivo sarà sospeso dal medico federale dall’attività per almeno tre settimane (non dovrà pertanto prendere parte né ad allenamenti né a gare).
Il giocatore potrà essere riammesso all’attività
solamente dopo tale termine e dopo essersi sottoposto ad un controllo clinico-neurologico appropriato che ne abbia attestato la guarigione.
Il medico federale revocherà il provvedimento di sospensione solamente dopo la decorrenza di almeno tre settimane e dopo aver ricevuto
via fax copia del certificato di guarigione.
Nel regolamento sanitario della Federazione
Italiana Basket (delibera del maggio 2009) all’
articolo 13 “Idoneità alla pratica sportiva agonistica” si legge quanto segue: “... Il giocatore
o l’arbitro a cui venga diagnosticato un trauma
cranico, deve sospendere l’attività sportiva ed
essere sottoposto a Risonanza Magnetica Nucleare cranica e visita di controllo prima di riprendere l’attività sportiva”.
Da quanto esposto si evidenziano ancora una
volta, da una parte l’assoluta necessità di una
terminologia corretta atta a definire quanto più
univocamente possibile la condizione di trauma cranico concussivo, dall’altra la mancanza
di criteri oggettivi necessari a confermare o ad
escludere, che l’evento traumatico, in caso di negatività degli esami neuroradiologici tradizionali,
abbia comunque prodotto un danno cerebrale.
Poiché il DM 18/2/1982 fa esplicito riferimento al KO, ritenendolo il tipico esempio di
trauma concussivo, giova ancora una volta ricordare che è oramai universalmente accettato
il concetto che vi può essere concussione cerebrale anche senza perdita di coscienza.
Per quanto riguarda il ritorno all’attività una
volta scomparsi i sintomi, ci sentiamo di ribadire
che soltanto il monitoraggio nel tempo dei parametri metabolici inizialmente alterati e successivamente normalizzati, potrà permettere all’atleta
un ritorno alla pratica sportiva in condizioni di
relativa sicurezza. Il recupero ottimale, a questo
punto, potrebbe verificarsi ben prima dei trenta
giorni previsti dalla normativa ministeriale, come
pure, qualora l’evento avesse prodotto danni
metabolici tali da richiedere un tempo superiore per il completo ripristino delle condizioni fisiologiche, un rientro a distanza di trenta giorni
potrebbe non essere sufficientemente prudente.
Autore di contatto: Roberto Vagnozzi, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Roma “Tor Vergata”.
E-mail: [email protected]
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3
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VAGNOZZI
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
Appendice
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 63, Suppl. 1 al N. 3
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Valutazione dei sintomi della concussione
Osservati dallo staff
Riferiti dall’atleta
•Appare confuso e disorientato
Cefalea
•Si estranea dal gioco
Nausea
•Incerto sul punteggio e gli avversari
Disturbi dell’equilibrio
•Si muove in modo impacciato
Disturbi visivi
•Risponde lentamente alle domande Sensibilità a luce e rumore
•Ha perso brevemente conoscenza
Sensazione di annebbiamento
•Mostra cambiamento di comportamento
Disturbi del sonno
•Non ricorda episod\i avvenuti prima
del trauma (Amnesia retrograda)
Difficoltà di concentrazione
•Non ricorda episodi avvenuti dopo il trauma (Amnesia anterograda)
Disturbi della memoria
I sintomi si possono aggravare con la fatica.
Un atleta non dovrebbe tornare all’attivita’ fintanto che i sintomi non si sono
completamente risolti.
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LA CONCUSSIONE CEREBRALE
VAGNOZZI
LISTA DEI SINTOMI
Denuncia un incremento rispetto al normale dei sotto elencati sintomi ?
INDICARE LA PRESENZA DI QUESTI SINTOMI ( 0 = NO - 1 = SI)
FISICI (10)
Cefalea
0
1
Nausea
0
1
Vomito
0
1
COGNITIVI (4)
Mentalmente annebbiato
Rallentato
0
1
0
1
Difficoltà a con0
1
centrarsi
Difficoltà a
0
1
ricordare
COGNITIVI Totale (0-4) ..........
Emozionali (4)
Irritabilità
0 1
Tristezza
0
1
Problemi di equi- 0
1
librio.
Stordimento
0
1
Problemi di vista 0
1
Fatica
0
1
Sensibilità alla
0
1
luce
Sensibilità al
0
1
Maggiore emo0
1
rumore
tività
Torpore/ formi0
1
Nervosismo
0 1
colio
FISICI Totale
EMOZIONALI Totale
(0-10) ..........
(0-4) ..........
Punteggio totale dei sintomi (0-22) ____
DEL SONNO (4)
sonnolenza
0
1
Dormire meno
0
1 N/A
del solito
Dormire più del
0
1 N/A
solito
Difficoltà ad ad0
1 N/A
dormentersi
DEL SONNO Totale (0-4) ..........
Ripresa delle attività: i sintomi
peggiorano con:
Attività fisica:
...... SI ...... NO ...... NON SO
Attività cognitiva
...... SI ...... NO ...... NON SO
Considerazioni generali:
— quanto è differente il comportamento della persona rispetto al
solito?
Normale 0 1 2 3 4 5 6 molta
differenza
Presenza di fattori di rischio per tempi di recupero prolungati
Precedenti concussioni?
Anamnesi di cefalea?
Anamnesi dello sviluppo
SI- NO
SI - NO
Quante? 1 2 3 4 5 6+
Precedenti terapie
Difficoltà di apprendimento
per cefalea?
Durata del sintomo più
Anamnesi di emicranie:
Deficit dell’attenzione,
persistente
.......... personali
iperattività
Giorni ..........
.......... familiari
settimane ..........
mesi .......... anni ..........
In caso di concussione
Altre malattie in stadio
ripetuta: questo impatto
evolutivo
è stato più lieve dei precedenti? SI ..........NO ..........
Anamnesi psichiatrica
Ansia
Depressione
Disturbi del sonno
Altri disordini psichiatrici
Elenco di patologie associate e/o di assunzione di farmaci (ad es: ipotiroidismo, epilessia, etc)
..................................................................................................................................................................................................
Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 63, Suppl. 1 al N. 3
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VAGNOZZI
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
Scheda per la valutazione di un atleta concusso
CARATTERISTICHE DEL TRAUMA: data del trauma
TESTIMONE: .................... Paziente .................... genitori .................... marito/moglie ....................
altro ....................
Descrizione del trauma: ........................................................................................................................
..................................................................................................................................................................
..................................................................................................................................................................
1. Si è verificato un colpo violento diretto o indiretto alla testa?
SI .................... NO .................... NON SI SA ....................
1. Si riscontra una ferita o una frattura del cranio
SI .................... NO .................... NON SI SA ....................
1. LOCALIZZAZIONE DELL’IMPATTO:
.................... frontale .................... temporale SX .................... temporale DX ....................
parietale SX .................... parietale DX .................... occipitale .................... collo ....................
forza indiretta ....................
2. CAUSA ( sportiva) ................................................................................................................................
3. AMNESIA RETROGRADA: ci sono stati degli eventi poco PRIMA del trauma ( anche brevi) che
il soggetto non ricorda?
SI .................... NO .................... DURATA ....................
4. AMNESIA ANTEROGRADA: ci sono stati degli eventi poco DOPO del trauma (anche brevi) che
il soggetto non ricorda?
SI .................... NO .................... DURATA ....................
5. PERDITA DI COSCIENZA: il soggetto ha perso conoscenza?
SI .................... NO .................... DURATA ....................
6. SEGNI RECENTI:
.................... appare stordito ....................
è confuso sugli eventi .................... risponde lentamente alle domande ....................
ripete le domande .................... dimentica
7. CRISI EPILETTICHE: sono state osservate crisi?( dettagli) .................................................................
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