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la concussione cerebrale
) SI (I ta e za : icin ) ciz SI di in On d e (I s In cu M a rts Fo ce & itat l epo e ien C n n R Sc tio ts ita or lC Sp na ur Jo V O L U M E 6 3 - S U P P L . 1 A L N. 3 - S E T T E M B R E 2 0 1 0 LA CONCUSSIONE CEREBRALE FEDERAZIONE MEDICO SPORTIVA ITALIANA in collaborazione con SOCIETA’ ITALIANA DI PNEUMOLOGIA DELLO SPORTz LA CONCUSSIONE CEREBRALE ROBERTO VAGNOZZI, STEFANO SIGNORETTI, BARBARA TAVAZZI, ANDREA VERZELETTI, GIUSEPPE LAZZARINO, MAURIZIO CASASCO FEDERAZIONE MEDICO SPORTIVA ITALIANA Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 MEDICINA DELLO SPORT III Autori ROBERTO VAGNOZZI Dipartimento di Neuroscienze, Università di Roma”Tor Vergata”, Roma STEFANO SIGNORETTI Divisione di Neurochirurgia Ospedale S. Camillo, Roma BARBARA TAVAZZI Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica, Università Cattolica, Roma ANDREA VERZELETTI Dipartimento di Specialità Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Medico Forensi Università di Brescia GIUSEPPE LAZZARINO Dipartimento di Scienze Chimiche, Laboratorio di Biochimica, Università di Catania MAURIZIO CASASCO Federazione Medico Sportiva Italiana, Roma Hanno collaborato MASSIMILIANO BIANCO Federazione Pugilistica Italiana - FMSI - Roma LUCIANO CRISTOFORI Ospedale Maggiore di Verona “Borgo Trento” ROBERTO FLORIS Università di Roma “Tor Vergata” VINCENZO M. IERACITANO Federazione Italiana Rugby - FMSI - Roma SIMONE MARZIALI Università di Roma “Tor Vergata” FRANCESCO PASTORE Università di Roma “Tor Vergata” IV MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 MEDICINA DELLO SPORT Vol. 63 Settembre 2010 Suppl. 1 al N. 3 La concussione cerebrale INDICE 1 6 Presentazione Patogenesi, fisiopatologia e biochimica 3 7 Introduzione Diagnosi clinica 3 9 Cenni di storia Il cervello vulnerabile e la sindrome da secondo impatto 4 La concussione nello sport: le proporzioni del fenomeno 11 4 12 Definizione e classificazione Concussione: quando si è guariti? Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 Ritorno all’attività MEDICINA DELLO SPORT V INDICE 15 22 Concussioni ripetute ed encefalopatia cronica Valutazione dei sintomi della concussione 16 23 Concussione in età pediatrica Lista dei sintomi 17 24 Note sulla normativa vigente Scheda per la valutazione di un atleta concusso VI MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 MED SPORT 2010;63(Suppl. 1 al N. 3) Presentazione Continua l’impegno della Federazione Medico Sportiva, in qualità di Società Scientifica, a favore della formazione e dell’aggiornamento professionale dei suoi tesserati. Un’attenzione particolare viene oggi rivolta alla concussione cerebrale per il ruolo importante che il medico sportivo svolge nella sua prevenzione e, quando essa dovesse occorrere, nella sua diagnosi e trattamento. I sintomi di un trauma cranico lieve possono sembrare “lievi”, ma possono condurre a disturbi di lunga durata che coinvolgono funzioni fisiche, cognitive e psicologiche. Una diagnosi tempestiva, un’appropriata gestione del paziente/atleta, la corretta conoscenza del problema da parte sia della famiglia che dello staff tecnico sono fondamentali per ottenere una guarigione completa e ridurre, se non evitare, il rischio di pericolose complicanze. Questa monografia nasce con l’intento di fornire ai medici sportivi le conoscenze e gli strumenti per una pronta diagnosi di concussione cerebrale e per la corretta gestione dell’atleta traumatizzato fino alla sicura guarigione. MAURIZIO CASASCO Presidente Federazione Medico Sportiva Italiana Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 ROBERTO VAGNOZZI Professore Associato di Neurochirurgia Università di Roma “Tor Vergata” MEDICINA DELLO SPORT 1 MED SPORT 2010;63(Suppl. 1 al N. 3) La concussione cerebrale Introduzione La concussione senza perdita di coscienza è la forma più comune di trauma cranico legata allo sport e la più difficile da diagnosticare tanto che, spesso, non viene riconosciuta. Essa è causata da un’improvvisa accelerazione-decelerazione dell’encefalo all’interno della scatola cranica e si manifesta con un’immediata, breve, alterazione delle funzioni neurali. E’ questo il motivo per cui sono i tecnici, gli allenatori, gli “uomini di campo” che devono saperla riconoscere e riferirla ai medici, ai quali invece spesso questi ragazzi non arrivano, proprio a causa del mancato riconoscimento del fenomeno traumatico. I dati di una recente ricerca confermano che in Italia il numero di concussioni subite dagli atleti e non riferite è elevato e che la conoscenza del trauma concussivo è ridotta. Ciò è particolarmente preoccupante alla luce del fatto che i rischi di concussioni singole o multiple sono ben noti e che i danni cognitivi a lungo termine sono sempre più frequentemente descritti. Questo dato è ancor più inquietante se si pensa, ad esempio, che dei circa 21 milioni di adolescenti che ogni anno praticano calcio, circa 2 milioni subirà almeno un trauma concussivo, e di questi, solo la metà giungerà all’attenzione del medico. Le ragioni principali per cui la concussione cerebrale non viene riportata sono principalmente legate al fatto che questo tipo di trauma viene considerato “non importante” e comunque “parte del gioco”, quindi accettato passivamente da atleti, tecnici e preparatori atletici. In realtà, i sintomi di un trauma cranico lieve possono sembrare “lievi”, ma possono condurre Finanziamenti. — Lo studio fa parte del progetto PRIN 2007JBHZ5 del MIUR. Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 a disturbi di lunga durata che coinvolgono funzioni fisiche, cognitive e psicologiche. Gli atleti moderni sono più potenti e più veloci e questa condizione li pone a rischio di impatti più gravi con rischi maggiori per il sistema nervoso. Inoltre non dobbiamo dimenticare i rischi di subire un trauma che corre il grande numero, difficilmente quantificabile, di persone che praticano sport ed attività ricreative al di fuori di ogni controllo, i cosiddetti “atleti della domenica”. Con questa monografia intendiamo, oltre ad offrire una panoramica di quanto si è fatto e di quanto ancora vi è da fare per chiarire i molti lati oscuri della fisiopatologia della concussione cerebrale, proporre quelli che attualmente vengono considerati i mezzi più idonei per la valutazione clinica e strumentale dell’atleta concusso e per un suo sicuro ritorno all’attività sportiva. Cenni di storia A giudicare dagli antichi trattati di medicina, così come dai miti e dalle leggende, dai testi sacri e dai poemi, appare chiaro che la concussione era conosciuta fin dall’antichità come una particolare forma di trauma cranico. Per non parlare dell’Antico Testamento e della caduta a terra di Golia colpito dalla pietra scagliata dalla fionda di Davide, già Ippocrate (460-370 a.C.) negli Aphorismi, pur non usando il termine moderno di concussione, descriveva una condizione clinica post-traumatica in cui il paziente cadeva a terra incapace di sentire e di parlare. Alla fine del primo millennio, il medico persiano Rhazes (853-929) per primo, nella sua clinica di Bagdad, usò il termine “concussione” per descrivere una situazione post-traumatica caratterizzata da un’anomalia fisiologica ben distinta e diversa da una lesione grave. MEDICINA DELLO SPORT 3 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Nel medioevo Guido Lanfranchi (1250 1306) fu il primo medico “moderno” a descrivere la concussione come entità a sé stante, conseguenza di uno “scuotimento del cervello” e caratterizzata da “sintomi che rapidamente scompaiono”. Berengario da Carpi nel 1518 descrisse la cosiddetta “commotio cerebri” come una lesione senza fratture o emorragie, mentre Ieronimo Fabrizio di Acquapendente (1578) notava che la commotio cerebri provocava letargia e vertigini e ne sconsigliava la terapia chirurgica. Nel 1792, Thomas Kirkland fece un’altra importante osservazione clinica a proposito del trauma cranico. Egli affermava che il sangue stravasato riscontrato nell’autopsia, era un fenomeno tardivo e che il meccanismo che rendeva inconsci dopo un colpo (che egli chiama concussione) era indipendente da qualsivoglia alterazione patologica evidenziabile. Tale concetto rifletteva la prevalente opinione che la concussione non fosse in realtà accompagnata da un danno cerebrale morfologico-strutturale. La visione tipica di questo periodo fu riassunta da John Bell che scrisse: “...La concussione è… un disturbo inconcepibile del cervello che qualche volta sussegue un colpo”. I pionieri dei moderni studi sulla concussione sono stati i neurologi neozelandesi guidati da Denny-Brown che per primi descrissero i fenomeni post-concussivi come dovuti a reazioni molecolari generalizzate, ma transitorie, provocate da uno “stress” di tipo meccanico subito dalla cellula nervosa. La Concussione nello sport: le proporzioni del fenomeno Il numero dei traumi cranici legati all’attività sportiva non può essere stimato con esattezza. Nel mondo l’incidenza del trauma cranico in generale è compresa in un range che va da 152 a 430 casi per 100.000 persone per anno; di questi una percentuale variabile tra il 3 ed il 25% sono legati allo sport. Si può, quindi, estrapolare che il tasso d’incidenza del trauma cranico nello sport sia compreso, teoricamente, tra i 5 ed i 68 casi per 100.000 persone per anno. Dei traumi cranici trattati in ospedale, circa l’11% sono legati ad attività sportiva e la maggior parte di questi coinvolgono bambini ed adolescenti. 1-3. Per comprendere la portata del fenomeno, negli Stati Uniti, così come in Europa, ogni anno un 4 milione di persone viene visitato al pronto soccorso per una concussione, quasi tutte conseguenza di attività sportivo-ricreazionali. In realtà il numero dei traumatizzati è molto maggiore ed oscilla tra 1,6 e 3,8 milioni. Accade purtroppo che, a causa dei sintomi sfumati, chi ha subito una concussione raramente ricorrere alle cure mediche; è altrettanto vero che spesso il medico non riconosce la patologia, col risultato che la concussione è, per lo meno nel nostro Paese, un evento clinico il più delle volte non diagnosticato 4. Come è facile intuire, la concussione si verifica con frequenza maggiore tra coloro che praticano soprattutto sport di contatto. Data la maggiore esposizione a questo rischio e dato che l’atleta che abbia subito una concussione ha più probabilità di subirne una seconda, la medicina dello sport a livello internazionale è alla ricerca di un approccio diagnostico affidabile sia per effettuare la diagnosi della concussione, sia per determinare il pieno recupero della funzionalità cerebrale. La finalità ultima è di permettere all’atleta concusso un ritorno all’attività sportiva privo di rischi. Definizione e classificazione La concussione è un trauma cranico lieve anche se, occorre precisare, non tutti i traumi cranici lievi sono concussioni. L’accezione del termine è però divenuta talmente comune che l’espressione “concussione cerebrale” viene frequentemente usata nel linguaggio clinico come sinonimo di “trauma cranico lieve”. In realtà solo da alcuni anni si è riusciti a raggiungere una definizione univoca di concussione, entità nosografica caratterizzata da una straordinaria confusione di terminologie e definizioni che si sono succedute nel corso degli anni. Il primo problema nasceva dall’uso dell’espressione “Commozione Cerebrale”, così definita dal Gozzano alla fine degli anni ’60: “Per commozione cerebrale si intende una sindrome neurologica che si istituisce istantaneamente al momento del trauma cranico, è rappresentata da perdita di coscienza per solito di breve durata e non è seguita da postumi permanenti gravi. La perdita di coscienza è quasi sempre completa.” 5. Di fronte ad una tale definizione la prima cosa che ci si domanda oggi è quale differenza esista tra una perdita di coscienza completa o incompleta. La definizione riportata dal Grande Dizionario Medico pochi anni dopo sembrava volerci aiutare da questo punto di vista recitando: “...La MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI commozione cerebrale è una condizione clinica caratterizzata da perdita di coscienza, che si verifica immediatamente dopo un trauma che abbia interessato il capo in modo diretto od indiretto (contraccolpo). Il soggetto, per effetto del trauma, subito perde i sensi, e rimane in tale condizione per un tempo variabile, che di solito non supera l’ora…” (Grande Dizionario Medico, Volume II, 1972). In questa definizione si stabilisce, almeno, che la perdita di coscienza è una sola e che ovviamente può avere una durata di tempo variabile. Ma le cose si complicarono inevitabilmente quando, agli inizi degli anni ’80, al termine commozione cerebrale si affiancava il termine più comunemente usato dalla letteratura anglosassone di “concussione cerebrale”, fino ad allora poco citato dagli autori italiani. Le due espressioni divengono così sinonimi e le definizioni che seguono possono far riflettere sul grado di confusione terminologica e sulle relative conseguenze nell’uso della pratica clinica. “La commozione cerebrale o concussione è caratterizzata dalla comparsa immediata di: disturbo dello stato di coscienza, diminuzione o abolizione della sensibilità agli stimoli, disturbi neurovegetativi…” 6. “La commozione cerebrale (meglio definita dagli autori anglosassoni come concussione) è quadro temporaneo e reversibile caratterizzato da: perdita di coscienza e disturbi mnesici” 7. “…La commozione o concussione cerebrale si definisce come un’ istantanea perdita di coscienza di durata variabile, rilasciamento muscolare, apnea, ipotensione, bradicardia…” 8. “La parola commozione o concussione è stata introdotta nella pratica medica nel XVI secolo per indicare il fatto che una violenta scossa impartita all’encefalo può provocare la sospensione temporanea delle funzioni del sistema nervoso con quella drammatica manifestazione che è la perdita di coscienza… Ancora oggi, il termine commozione cerebrale indica una disfunzione post-traumatica immediata caratterizzata da incoscienza, che di solito è reversibile, ma che può essere letale” 9. Il termine commotio cerebri o commozione cerebrale, così come l’espressione trauma commotivo o non commotivo, ad indicare l’avvenuta o meno perdita di coscienza, sono stati praticamente abbandonati nella moderna pratica clinica ed è oggi più corretto parlare semplicemente di concussione o trauma concussivo, di cui verrà riportata la moderna definizione universalmente accettata. Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 Da un punto di vista neurobiologico la definizione più condivisa di concussione cerebrale oggi è quella di “… un complesso evento fisiopatologico che colpisce l’encefalo, provocato dall’azione di forze biomeccaniche.” Il trauma concussivo è dunque il risultato dell’azione di una o più forze meccaniche che agiscono direttamente o indirettamente sulla testa. Un colpo diretto, un urto contro un altro corpo, statico od in movimento, oppure uno scossone subito a seguito di una spinta ricevuta o una brusca decelerazione del capo (colpo di frusta), sono tutti eventi che, producendo improvvisi e bruschi movimenti della testa, possono causare una concussione cerebrale. L’individuo che subisce una concussione cerebrale presenta una sequela di sintomi, immediati e tardivi, riassumibili come disturbi fisici, cognitivi, emozionali e del ritmo sonno-veglia. Quando a seguito dell’impatto si verifica una perdita di coscienza, la diagnosi di concussione è praticamente certa; tuttavia, la mancata perdita di coscienza non esclude la possibilità di aver subito un trauma “concussivo”. La durata dei sintomi può variare da pochi minuti a diversi giorni, settimane ed in casi meno frequenti anche mesi. Da un punto di vista clinico, la concussione viene definita come: “un’alterazione posttraumatica dello stato mentale, caratterizzata da stato confusionale ed amnesia a cui si può associare oppure no la perdita di coscienza”. Nel 1986 Robert Cantu propose una classificazione della concussione che per anni è stata alla base delle linee guida per il trattamento ed il ritorno all’attività di un atleta che avesse subito un trauma cranico lieve 10. Egli propose di suddividere la concussione in tre tipi, basandosi sulla presenza o meno della perdita di coscienza e sulla durata dei sintomi post-concussivi: —— concussione lieve: non si verifica perdita di coscienza; è presente amnesia post-traumatica inferiore a 30 minuti; —— concussione moderata: si documenta una perdita di coscienza di durata inferiore a 5 minuti oppure è presente amnesia posttraumatica superiore a 30 minuti; —— concussione grave: si documenta una perdita di coscienza di durata superiore a 5 minuti oppure è presente amnesia post-traumatica superiore a 24 ore. —— Negli anni successivi si sono tenute tre “Consensus Conference” dedicate alla concussione nello sport, a Vienna nel 2001 11 a Praga nel 2004 12 ed a Zurigo nel 2008 13, che hanno ulteriormente contribuito a meglio definire e MEDICINA DELLO SPORT 5 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE classificare questa particolare sindrome clinica. Alla ormai universalmente accettata definizione di concussione, intesa come espressione clinica di un “disturbo neuronale transitorio e funzionale”, si sono aggiunti, a completamento, una serie di concetti di tipo clinico, patologico e biomeccanico che possono meglio definire la natura dell’evento concussivo: 1. la concussione può essere provocata da un colpo diretto alla testa, faccia, collo o in qualunque altra parte del corpo da cui possa derivare una forza che viene trasmessa alla testa; 2. la concussione provoca la rapida insorgenza di una disfunzione neurologica di breve durata; 3. la concussione può anche provocare qualche modificazione neuropatologica, ma la sintomatologia acuta riflette soprattutto un disturbo funzionale e non un danno anatomico; 4. la concussione è causa di una serie di sindromi cliniche di diversa entità, che possono, oppure no, comprendere la perdita della coscienza. La risoluzione dei sintomi segue, di solito, un decorso sequenziale; 5. la concussione è tipicamente associata alla negatività degli esami neuroradiologici di immagine. Per quanto riguarda la classificazione, la raccomandazione più recente è stata quella di abbandonare le scale fino ad oggi proposte. La gravità di una concussione può essere, infatti, determinata solo a posteriori sulla base della negatività dell’esame neurologico, nonché sulla base del tempo necessario per ottenere la scomparsa dei sintomi soggettivi e il completo recupero delle funzioni cognitive. Gli atleti traumatizzati vanno quindi sottoposti a test neurocognitivi e a studi di neuroradiologia con tecniche sofisticate (PET, SPECT, RM funzionale, RM spettroscopica ecc.). Il trattamento medico prevede un approccio multidisciplinare, con il coinvolgimento del neurologo o del neurochirurgo. La concussione cerebrale o trauma cranico lieve è dunque, allo stesso tempo, il più frequente e forse il più intrigante tipo di lesione cerebrale post-traumatica proprio perché, a differenza degli altri tipi di trauma, non si ha mai evidenza del danno anatomico. Il lato oscuro della concussione non risiede solo nella difficoltà di diagnosi e in quella di stabilire i tempi di guarigione dei soggetti concussi, ma anche nella sua fisiopatologia. Infatti, gli studi sperimentali e clinici più recenti hanno evidenziato con chiarezza che, alla base della sintomato- 6 logia post-concussiva, si collocano una serie complessa di modificazioni biochimiche e molecolari, tutte transitorie, che alterano temporaneamente la funzionalità neuronale. Da qui la necessità, sempre più sentita dal mondo clinico, di trovare un marker biochimico affidabile da utilizzare per la diagnosi e il monitoraggio dei soggetti colpiti da concussione. Patogenesi, fisiopatologia e biochimica Dal punto di vista biomeccanico si possono riconoscere almeno quattro processi distinti in grado di provocare una concussione: 1. impatto violento della superficie cerebrale contro le ossa craniche in seguito a forze inerziali rotatorie; 2. trazione a carico dei neuroni del tronco cerebrale conseguenti ai movimenti inerziali degli emisferi cerebrali; 3. deformazione delle ossa craniche e conseguente deformazione del tessuto nervoso sottostante con formazione di onde di pressione intracranica che si propagano per via centripeta; 4. accelerazione della testa lungo l’asse del collo. Gli ultimi tre processi hanno in comune l’interessamento finale delle fibre del tronco encefalico con possibile coinvolgimento della sostanza reticolare. Tuttavia non è ancora stata completamente chiarita la biopatologia della concussione ed il motivo per cui, in seguito ad un trauma lieve, il cervello diviene così vulnerabile ad un eventuale secondo trauma. Dal punto di vista biochimico e molecolare, Hovda et al. 14, 15 hanno affrontato per primi il problema del “cervello vulnerabile” dopo una concussione, formulando l’ipotesi che, in seguito al trauma, le cellule cerebrali, pur non irreversibilmente danneggiate, sono soggette a complesse alterazioni biochimiche che compromettono temporaneamente la funzione del neurone 16. In breve, le forze biomeccaniche dell’evento traumatico causano uno stiramento delle membrane neuronali che ne modificano la permeabilità ionica. All’interno dei neuroni, si registra un cambiamento della concentrazione del calcio libero intracellulare in grado di alterare la funzionalità dei mitocondri 17. Quindi, per un periodo di tempo variabile, dopo la concussione i neuroni soffrono di una disfunzione mitocondriale che si traduce in un deficit energetico e in uno stato, appunto, di “vulnerabilità metabolica”. Ricordando che i mitocondri MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI possono essere definiti come la “centrale energetica cellulare” che provvede al continuo rifornimento di ATP, molecola indispensabile per tutti i processi energia-dipendenti, è facilmente comprensibile come il loro malfunzionamento porti a una diminuzione della produzione di ATP. Studi sperimentali condotti su modelli animali di trauma cranico lieve hanno evidenziato la reversibilità di questo periodo di squilibrio energetico, caratterizzato da una significativa diminuzione del contenuto cerebrale di ATP 18, 19. Nello stesso modello sperimentale, è stato anche dimostrato che l’N-acetilaspartato (NAA), il principale amminoacido N-acetilato di esclusiva localizzazione cerebrale, subisce anch’esso una diminuzione temporanea a seguito di un evento concussivo. Il collegamento tra ATP e NAA risiede non solo nel fatto che entrambi sono sintetizzati all’interno dei mitocondri, ma anche nel fatto che la sintesi di una molecola di NAA ha un costo complessivo indiretto di ben 12 molecole di ATP. Il legame tra queste due molecole e la correlazione temporale tra le diminuzioni di ATP e NAA fanno si che l’NAA rivesta un ruolo particolare quale potenziale marker biochimico in grado di misurare indirettamente lo stato energetico neuronale 20. Recentemente, è stato anche messo in evidenza che un evento concussivo è addirittura in grado di indurre modificazioni temporanee anche a livello genico. Infatti, è stato osservato che la concussione altera l’espressione di numerose proteine coinvolte nei più svariati processi vitali delle cellule neuronali, aprendo la strada alla cosiddetta trascrittomica della concussione che potrebbe avere importanti risvolti da un punto di vista delle possibili applicazioni farmacologiche 21. A rafforzare la correlazione tra ATP e NAA, e a sottolineare l’importanza che essi rivestono nei fenomeni concussivi, è stata la scoperta che se nel periodo di tempo susseguente a una concussione, in cui le cellule neuronali sono nello stato di “vulnerabilità metabolica”, si verifica un secondo evento concussivo, il danno risultante non è più di tipo lieve, cioè reversibile. Si verificano, piuttosto, modificazioni biochimiche e molecolari tali da tradursi in danni cellulari gravi ed irreversibili, evidenziabili da concentrazioni cerebrali molto ridotte (inferiori al 50% del valore pre-trauma) sia di ATP che di NAA 22. Le conoscenze acquisite dagli studi sperimentali più recenti si possono così riassumere: 1. la concussione altera transitoriamente la Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 Tabella I.—Sintomi della concussione cerebrale. Precoci (minuti/ore): — cefalea, vertigini, — — stato confusionale, amnesia, — — nausea, vomito. Tardivi (giorni/settimane): — cefalea lieve persistente — — difficolta’ di concentrazione — — disturbi della memoria — — facile stancabilita’ — — irritabilita’ — — disturbi del sonno funzionalità mitocondriale, con diminuzione temporanea, ma significativa, del contenuto cerebrale di ATP e NAA; 2. il periodo di tempo susseguente ad una concussione, durante il quale le cellule neuronali si trovano in tale stato, va considerato come un periodo di vulnerabilità metabolica cerebrale; 3. le alterazioni causate da una concussione sono essenzialmente di tipo biochimico (alterazioni metaboliche) e molecolare (alterazioni dell’espressione proteica); 4. una seconda concussione che avvenga durante la finestra temporale di vulnerabilità cerebrale è in grado di provocare danni metabolici irreversibili identici a quelli causati da un trauma grave (cumulabilità della concussione). Da queste considerazioni, appare evidente l’importanza di avere a disposizione il modo di stabilire con certezza che un soggetto che abbia subito una concussione sia al di fuori della finestra temporale di vulnerabilità cerebrale. L’interesse generato a livello clinico dagli studi sperimentali che indicano nell’NAA un marker biochimico utile per valutare indirettamente lo stato energetico cerebrale è ancor più accresciuto dalla considerazione che, tale composto, può essere misurato nell’uomo con la tecnica non invasiva della Risonanza Magnetica Spettroscopica (RMS). E’ evidente che la sua validazione clinica permetterebbe di avere uno strumento con cui misurare un parametro oggettivo (NAA) con cui valutare le alterazioni ed il recupero del metabolismo cerebrale in atleti che abbiano subito un evento concussivo. Diagnosi clinica I sintomi della concussione cerebrale sono molteplici e spesso assai sfumati. Ciò rende dif- MEDICINA DELLO SPORT 7 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE ficile una diagnosi di concussione, soprattutto durante le fasi concitate di una gara, ed ancor più difficile capire quando la sintomatologia sia completamente risolta. I sintomi vanno distinti in precoci e tardivi (Tabella I). I sintomi precoci che più frequentemente fanno seguito ad una concussione sono le alterazioni dello stato mentale (“confusione”), l’amnesia ed i lievi disturbi neurocognitivi. Purtroppo il concetto di “confusione mentale” non sempre viene applicato in modo corretto e troppo spesso viene usato per definire genericamente che “qualcosa non va come dovrebbe”. La neurologia comportamentale ha, invece, definito tre segni fondamentali della confusione mentale: 1. disturbo dell’attenzione, con difficoltà di concentrazione; 2. incapacità di mantenere una corretta linea di pensiero; 3. incapacità di eseguire una sequenza di movimenti che conducano ad uno stesso fine. Sono quindi la capacità di apprendimento, la memoria, la capacità di concentrazione, il tempo di reazione e le funzioni mnemoniche complesse a meglio definire le condizioni neurocognitive dell’atleta che ha subito un trauma cranico lieve. La presenza di perdita di coscienza e la durata dell’amnesia sono stati parametri usati nel passato per determinare la gravità della concussione e, troppo spesso tutt’ora, si considera che non vi sia trauma se questi sintomi non sono presenti e documentati. L’amnesia post-traumatica viene distinta in retrograda (quando l’atleta ha difficoltà a ricordare eventi avvenuti prima dell’impatto) o anterograda (riguarda fatti accaduti dopo il trauma; è quella più comunemente definita come “amnesia post-traumatica”, legata al deficit del meccanismo di memorizzazione ed immagazzinamento). In realtà oramai si è visto con certezza che molto spesso nello sport vi sono traumi concussivi senza perdita di coscienza, sfatando quindi il mito che non vi è stata lesione se l’atleta non ha subito un K.O. Anche la durata dell’amnesia ha perso valore diagnostico in quanto si è visto che la natura e la durata della sindrome post-concussiva sono più importanti della durata della singola amnesia. La diagnosi precoce ed il rapido inquadramento sono alla base di una buona gestione della concussione e sono essenziali per deci- 8 dere se l’atleta è in grado di proseguire la gara. Anche la valutazione di un atleta che ha subito un trauma cranico lieve deve iniziare dai parametri vitali: capacità di respiro spontaneo, pervietà delle vie aeree, frequenza cardiaca; in presenza di un’alterazione dello stato di coscienza va sempre trattato come un possibile traumatizzato della colonna cervicale, nelle fasi di soccorso e di trasporto è necessario, quindi, porre un’attenzione meticolosa ai movimenti del collo. Negli sport in cui gli atleti indossano il casco questo non andrebbe rimosso. Solo se si ritiene di dover garantire una migliore pervietà delle vie aeree si può procedere alla sua rimozione facendo grande attenzione a mantenere il collo in posizione neutra (né in flessione né in estensione). Più difficile è riconoscere una concussione in cui i sintomi siano molto sfumati. L’atleta, preso dall’agonismo, non riferisce alcun disturbo; un rapido, concitato e superficiale controllo medico eseguito a bordo campo può non evidenziare le alterazioni dello stato mentale e il giocatore tende a voler continuare l’incontro. A volte, in questi casi, solo gli errati movimenti sul campo di gioco convincono l’allenatore e il medico che vi sono alterazioni cognitive. L’atleta va quindi tolto dal contesto della gara poichè la prontezza dei riflessi si riduce ed il rischio di ricevere un altro colpo aumenta. È stato infatti dimostrato che un atleta che ha subito una concussione è sei volte più a rischio di subirne una seconda rispetto ad uno che non ha subito traumi 23. Alla luce della difficoltà oggettiva di riconoscere una concussione i cui sintomi siano molto sfumati, il medico, qualora presente, deve porre particolare attenzione alle modalità con le quali il trauma si è verificato. Nel dubbio dovrebbe richiedere che il giocatore venga allontanato temporaneamente per consentirgli un’adeguata valutazione, senza attendere che si verifichi la compromissione nella prontezza dei riflessi, che rappresenta, come detto, già una situazione di rischio per una seconda concussione. La sindrome post-concussiva è costituita da una molteplicità di sintomi sfumati, fisici e psichici (lieve cefalea, facile stancabilità, difficoltà di concentrazione, tendenza all’irritabilità ed alla depressione) e rappresenta, da sempre, materia di controversia tra i traumatologi. Negli anni si sono formate due scuole di pensiero riguardo la fisiopatologia di questa discussa entità nosologica. MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI Tabella II.—Sintomi della sindrome post concussiva. Sintomi fisici Sintomi cognitivi Sintomi emozionali Disturbi del sonno Mal di testa Sensazione di “annebbiamento” Irritabilità Sonnolenza Nausea Sensazione di “rallentamento” Tristezza Tendenza a dormire più del solito Difficoltà di concentrazione Tendenza a commuoversi facilmente Tendenza a dormire meno del solito Disturbi dell’equilibrio Difficoltà a ricordare Nervosismo Difficoltà ad addormentarsi Vertigini Facilità a dimenticare informazioni o conversazioni recenti Disturbi visivi Confusione nella ricostruzione di eventi recenti Sensazione di spossatezza Lentezza nella risposta alle domande Vomito Ipersensibilità alla luce Tendenza a porre spesso le medesime domande Ipersensibilità ai rumori Stordimento La prima, sostiene che i sintomi che la caratterizzano siano conseguenza della lesione cerebrale, la seconda, invece, ritiene che la sintomatologia sia di natura funzionale e rappresenti la conseguenza psicologica ed emozionale del trauma. Il ritorno all’attività è comunque sempre da evitare finché i sintomi non sono del tutto scomparsi. Schematicamente, per agevolare l’inquadramento di una tale variabilità di quadri clinici, i segni ed i sintomi della concussione cerebrale vengono riassunti in quattro categorie: sintomi fisici, sintomi che riguardano la sfera cognitiva, sintomi derivati dall’alterazione del tono dell’umore e delle emozioni, ed infine i disturbi del ritmo sonno-veglia (Tabella II). Il cervello vulnerabile e la sindrome da secondo impatto Quella che Saunders e Harbaugh nel 1984 24 definirono come sindrome da secondo impatto (SSI) fu in realtà descritta per la prima volta da Schneider nel 1973 25. La sindrome può insorgere quando un atleta che subisce un trauma cranico, di solito lieve come una concussione, va incontro ad un secondo trauma cranico prima che i sintomi legati al primo siano completamente risolti. Sebbene non sia nota l’incidenza esatta della sindrome, essa è sicuramente più Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 frequente di quanto inizialmente si potesse ritenere. Alcuni autori, però, tuttora non la riconoscono come entità nosologica a sé stante, ma preferiscono ricondurla ad un più generico rigonfiamento cerebrale postraumatico 26. La maggior parte dei casi di SSI si è riscontrata nel football americano, ma in letteratura sono riportati casi nella boxe 27, 28, hockey su ghiaccio 29, pallacanestro, sci alpino 30. Ben descritta, ma fortunatamente rara, essa è caratterizzata da una condizione di rigonfiamento cerebrale massivo (swelling degli autori anglo-sassoni) che si ritiene sia, almeno in parte, la conseguenza di uno stato di anomala reattività vascolare instauratosi a seguito del primo trauma. Dopo il secondo trauma, si verificherebbe la perdita completa dell’autoregolazione cerebrale, congestione vasale ed ipertensione endocranica. A questa ipotesi patogenetica di “ingorgo vascolare” da perdita di autoregolazione vasale, le ricerche sperimentali già citate in precedenza 14, 22 hanno affiancato una seconda ipotesi secondo cui dopo un trauma, seppur lieve, vi sia una fase in cui nelle cellule cerebrali esiste un’alterazione dello stato energetico, testimoniata dal decremento del contenuto di ATP ed accompagnata dalla diminuzione di NAA. Ciò è dovuto ad un insieme di cause: disaccoppiamento del metabolismo del glucosio dal flusso ematico cerebrale, danno mitocondriale, impegno MEDICINA DELLO SPORT 9 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Tabella III.—Schema di valutazione immediata di Tabella IV.—Protocollo per il ritorno all’attività di Orientamento 1. Nessuna attività e completo riposo fino a che sono presenti i sintomi un atleta con sospetta concussione cerebrale. Chiedi all’atleta: — In che stadio ci troviamo? — In che città siamo? — Contro chi stiamo giocando? — Che mese è? — Che giorno è? un atleta che ha subito una concussione cerebrale. 2. Ripresa con esercizi aerobici leggeri quali il camminare o la cyclette 3. Allenamento specifico per lo sport praticato (per es: corsa nel calcio, pattinaggio nell’hockey, ecc.) 4. Allenamento in gruppo senza contatti Amnesia anterograda 5. Dopo controllo medico, allenamento completo Chiedi all’atleta di ripetere le parole seguenti: — Ragazza, cane, verde, casa. 6. Ritorno alla competizione Amnesia retrograda Chiedi all’atleta: — Cosa è successo fino ad ora? — Cosa ti ricordi prima dell’impatto? — Qual è il risultato attuale? — Ti ricordi il colpo? Concentrazione Chiedi all’atleta: — Ripeti i giorni della settimana al contrario partendo da oggi — Ripeti questi numeri al contrario: 63 (corretto 36). 419 (corretto 914) Amnesia anterograda — Chiedi all’atleta di ripetere le 4 parole di prima (Ragazza, cane, verde, casa) Ogni errore si deve considerare anormale. Consulta un medico se sospetti una concussione cerebrale delle residue riserve energetiche nei fenomeni riparativi a cui le cellule non irrimediabilmente danneggiate dal primo trauma sono costrette a ricorrere. Un secondo trauma che dovesse intervenire in questa fase, definita come “finestra temporale di vulnerabilità cerebrale”, troverebbe le cellule non energeticamente pronte a contrastarlo, con conseguenze gravissime per la loro stessa sopravvivenza. Incapaci infatti di mantenere l’omeostasi energetica necessaria a generare il corretto potenziale di membrana, i neuroni andrebbero incontro ad una massiva entrata di acqua intracellulare, con conseguente edema cerebrale massivo. Da una parte dunque i fenomeni di disregolazione vasale con aumento del volume ematico cerebrale (iperemia), dall’altra l’aumento del contenuto d’acqua intracellulare (edema), contribuiscono all’instaurarsi di una pericolosa sindrome da ipertensione endocranica acuta. Per una situazione drammatica come quel- 10 la della SSI, in cui la prognosi è caratterizzata da una mortalità che si avvicina al 50%, mentre quasi nella totalità dei casi saranno presenti danni permanenti, la prevenzione assume un’importanza decisiva. La motivazione di ciò risiede in quanto osservato nei paragrafi precedenti, laddove si è descritto il fenomeno della vulnerabilità metabolica e della cumulabiltà della concussione. Pertanto, un atleta che ancora presenti i sintomi di una concussione non deve essere riammesso, nella maniera più assoluta, alla pratica di sport in cui vi è rischio di trauma cranico. Tutti coloro che sono coinvolti in sport di contatto (medici, tecnici, preparatori atletici) devono sempre tenere presente il rischio di una SSI ed impegnarsi nel prevenirla. Il rischio di incorrere in una SSI sta soprattutto nell’inconsapevolezza di aver subito una concussione da parte dell’atleta e/o da parte del team, nella difficoltà di valutazione oggettiva della guarigione (sia da un punto di vista clinico, sia strumentale) e nel desiderio di rapido ritorno all’attività da parte dell’atleta e dell’intero team. Quanto su esposto ci porta ad affermare che: LA COMPLICANZA PIU’ GRAVE DI UN TRAUMA CRANICO LIEVE E’ IL NON RICONOSCERLO Un vademecum simile a quello rappresentato in Tabella III ed allegato in copertina può essere di grande aiuto nella prima valutazione, spesso eseguita a bordo campo ed in modo concitato, per decidere se ci si trovi davanti ad una concussione cerebrale e se l’atleta può continuare l’incontro. Nel dubbio ricordarsi sempre che è meglio perdere un incontro che pregiudicare una sta- MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI Figura 1. — Risonanza magnetica spettroscopica con metodica “single voxel”. La porzione esaminata è contrassegnata dal quadratino bianco. gione! E quindi è bene ricordare lo slogan degli autori anglosassoni che recita… IF IN DOUBT… SEAT THEM OUT Diverso, ma non meno importante per il medico sportivo, è decidere quando l’atleta che ha subito una concussione cerebrale è guarito e può tornare all’attività. Ritorno all’attività Il rischio di conseguenze drammatiche per un atleta che dovesse subire due concussioni a distanza di tempo troppo breve, ha posto da tempo al centro dell’attenzione dei neurotraumatologi il problema del ritorno all’attività agonistica dopo un trauma cranico lieve. Negli ultimi anni sono state proposte una serie di scale per definire la gravità di una concussione e conseguentemente stilare le linee guida per il ritorno all’attività. Più di recente, a Vienna nel 2001, a Praga nel Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 2004 e a Zurigo nel 2008 11-13, la classificazione delle concussioni è stata semplificata e soprattutto, come già precedentemente accennato, è stato introdotto il concetto della classificazione della gravità a posteriori. In altre parole la gravità di una concussione può essere determinata solo quando tutti i sintomi si sono risolti e sia l’esame neurologico sia lo stato cognitivo sono tornati nella norma. E’ evidente, quindi, che anche le linee guida per la ripresa dell’attività sportiva sono state modificate. Per tale motivo, nella stessa sede, è stata proposta una scala basata sulla gravità dei sintomi della sindrome post-concussiva sulla quale si basa il nuovo protocollo per il ritorno all’attività dopo una concussione (Tabella IV). Nell’attuare questo rientro graduale l’atleta procede al programma successivo se gli esercizi di quello precedente non hanno provocato la ricomparsa della sintomatologia. Se ciò dovesse accadere dovrà riprendere dagli esercizi che non gli procurano disturbi. Una decisione di ritorno all’attività basata semplicemente sulla sintomatologia clinica e MEDICINA DELLO SPORT 11 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Figura 2. — Risonanza magnetica spettroscopica eseguita con la metodica Multivoxel, chemical shift. L’area esaminata è contrassegnata dal rettangolo bianco; il volume d’interesse è costituito da ciascuno dei quadrati bianchi. sui test neurocognitivi non offre, però, sufficienti garanzie. Abbiamo visto come la sindrome post concussiva sia caratterizzata da sintomi non solo mal obiettivabili, ma anche estremamente sfumati. A ciò si aggiunga che nello sport le pressioni esterne ed il desiderio del ritorno alla competizione possono spingere l’atleta a sottovalutare il suo stato di salute. Proprio in questo contesto assume particolare rilievo una completa e dettagliata informazione che deve essere fornita all’atleta sui rischi legati alla concussione ed alla sindrome da secondo impatto (SSI). Si deve peraltro ricordare che il potere ostativo del medico alla partecipazione dell’atleta all’attività agonistica, finalizzato a tutelarne la salute, non viene superato né dalla volontà dell’atleta stesso a proseguire l’attività sportiva, né tanto meno da eventuali soggetti esterni (allenatori, dirigenti di società sportiva, ecc.). Concussione: quando si è guariti? L’esigenza di ricorrere ad indagini che forniscano dati oggettivi per determinare quando 12 si è guariti da una concussione ha fatto sì che fossero introdotti test neurocognitivi sia cartacei sia computerizzati. Attualmente tali test sono molto utilizzati, soprattutto negli Stati Uniti, per determinare i tempi di ritorno all’attività degli atleti traumatizzati. Si è visto che in un atleta in cui la scomparsa soggettiva dei sintomi avviene in 4 giorni la normalizzazione dei test neuropsicologici avviene in una settimana. Più di recente sono state introdotte anche prove computerizzate per la valutazione dell’equilibrio 31. Nessuno dei test utilizzati a tutt’oggi è però adatto a determinare le variazioni dei parametri metabolici alla base del fenomeno della vulnerabilità cerebrale. Negli ultimi tempi, si è sentita, quindi, la necessità di introdurre il concetto di “grading biologico” della concussione, cioè la necessità di utilizzare marker biochimici e/o molecolari oggettivi, misurabili con strumentazioni e metodiche analitiche di elevata precisione e affidabilità. Il fine è quello di poter definire il livello di compromissione metabolica delle cellule nervose e il loro recupero successivamente ad un evento concussivo, in modo da poter se- MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI guire la dinamica di normalizzazione del corretto funzionamento dell’apparato metabolico neuronale. Come visto in precedenza, infatti, in seguito ad una concussione le cellule cerebrali si vengono a trovare in uno stato di vulnerabilità, caratterizzata da deficit energetico da malfunzionamento mitocondriale, durante il quale se subiscono un altro insulto sono a rischio di danno irreversibile. Non dobbiamo dimenticare che il concetto di vulnerabilità cerebrale, che è alla base delle complicanze drammatiche di un eventuale secondo trauma cranico lieve, è un concetto squisitamente biochimico, legato in gran parte allo squilibrio energetico-metabolico in cui entrano i neuroni dopo un trauma concussivo. Ma come si fa a poter definire il grado di compromissione metabolica e lo stato dei processi di riparazione cellulare? Come visto in precedenza, infatti, la concussione è di solito associata alla negatività degli esami tradizionali di neuroimmagine (TC, RM). Siamo quindi consapevoli di trovarci di fronte ad un tipo di danno biochimicamente ben definito, ma visibile solo grazie all’individuazione del giusto marker e monitorabile solo grazie all’uso di opportune tecniche analitiche capaci di analizzare il marker biochimico in oggetto. La risonanza magnetica spettroscopica (RMS) è attualmente l’unica metodica neuroradiologica in grado di analizzare le concentrazioni di vari metaboliti cerebrali e di dimostrare come, in alcune aree colpite da patologie neurologiche, i livelli di questi metaboliti differiscano nettamente dalle aree sane. La metodica spettroscopica si avvale della stessa macchina usata per ottenere un’immagine RM tradizionale e richiede semplicemente l’aggiunta di un software che permetta di rendere “visibili” i metaboliti cerebrali che si vogliono studiare per calcolarne le loro concentrazioni. Infatti, una volta ottenuta l’immagine cerebrale è possibile, all’interno della stessa, selezionare un determinato volume di parenchima (tecnica del Single Voxel) oppure ottenere una completa “mappatura” biochimica dell’intera slice di risonanza (tecnica del multi Voxel o Chemical Shift) (Figure 1, 2). L’analisi spettroscopica è tecnicamente piuttosto semplice e richiede un tempo aggiuntivo, rispetto alla durata di un esame RM tradizionale, di circa dieci minuti. Come già precedentemente discusso nel paragrafo di fisiopatologia e biochimica, il più abbondante dei metaboliti cerebrali misurabili con la RMS è l’NAA, una molecola presente Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 Figura 3. — Variazione del rapporto dei metaboliti in 40 atleti concussi esaminati. Tra il primo ed il secondo controllo, benché solo in pochi il rapporto fosse ritornato ad un livello compatibile con la normalità, tutti gli atleti avevano dichiarato la scomparsa della sintomatologia. Figura 4. — Concentrazioni dei metaboliti di 40 atleti concussi sottoposti ad RMS. Si può notare come il recupero avvenga lentamente in una prima fase e più velocemente in seguito. esclusivamente nelle cellule nervose, coinvolta in numerosi processi omeostatici cellulari, che possiede la particolarità di essere un marker biochimico indiretto dello stato energetico del neurone. Livelli diminuiti di NAA sono espressione di danno metabolico neuronale o, in caso di livelli particolarmente bassi, di avvenuta morte cellulare. Gli altri due metaboliti dosabili dalla RMS sono la colina (Cho), composto fondamentale delle membrane biologiche, e la creatina (Cr), anch’essa coinvolta nell’omeostasi del metabolismo energetico. L’importanza dell’analisi spettroscopica sta nel fatto che, in totale assenza di lesioni visibili con l’impiego delle tecniche di immagine standard, è possibile individuare, con altrettanta precisione anatomica, aree nettamente patologiche da un punto di vista biochimico. Studi seriali nel tempo consentono di monitorare l’eventuale recupero o peggioramento fornen- MEDICINA DELLO SPORT 13 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Figura 5. — Grafico che mostra i trends di recupero di ogni singolo atleta. Figura 6. — Diversi tempi di recupero dopo concussioni di diversa gravità. do, pertanto, informazioni preziose sullo stato di salute metabolica del tessuto cerebrale che si possono rivelare spesso fondamentali da un punto di vista diagnostico e prognostico. Gli studi ripetuti di RMS offrono infatti la possibilità non solo di quantificare numericamente (oggettivamente) il danno biochimico altrimenti invisibile, ma soprattutto di determinare la sua localizzazione all’interno del parenchima cerebrale e di seguirne l’evoluzione temporale. Un tale tipo di valutazione oggettiva del danno biochimico neuronale consente di confrontare il recupero metabolico cerebrale con quello di specifiche abilità cognitive rivelate dai test neuropsicologici. Proprio da quanto finora pubblicato in letteratura, si intuisce che sia la scomparsa della sintomatologia soggettiva e dei segni di concussione, sia la completa normalizzazione dei test neuropsicologici possono non coincidere con il definitivo recupero del metabolismo cellulare, potendo questo concludersi definitivamente 14 anche parecchi giorni dopo che si sia dimostrata una guarigione clinico-cognitiva (Figura 3). La RMS, in definitiva, provvede a documentare, in modo oggettivo, una precisa guarigione del danno biochimico post-concussivo alla base della vulnerabilità metabolica cerebrale, contribuendo in modo sostanziale a meglio definire il periodo di guarigione attraverso la misurazione indiretta del metabolismo energetico cerebrale (determinazione dell’NAA). Le alterazioni documentabili alla RMS, pur in presenza di un quadro clinico negativo, possono quindi configurare la sussistenza di un vero e proprio stato di “malattia” dell’atleta (inteso nella sua accezione penalistica come processo evolutivo caratterizzato da alterazioni obiettivabili), indicativo del fatto che non è stata ancora raggiunta la guarigione. Dati recenti provenienti dai primi studi clinici 32, che hanno utilizzato la misurazione dell’NAA mediante RMS, hanno permesso di stabilire che gli atleti concussi subiscono una riduzione significativa del contenuto di NAA cerebrale, ben evidente già dopo 72 ore dall’evento concussivo (-20% NAA, rispetto al contenuto misurato in soggetti sani di controllo) (Figura 4). Gli stessi studi hanno evidenziato che la cinetica del recupero del danno cerebrale metabolico di un atleta concusso varia praticamente da caso a caso, che non segue una logica lineare e che, soprattutto, avviene a grande distanza dalla piena risoluzione della sintomatologia post-concussiva (2-3 settimane dopo) (Figura 5). Questo significa che quando l’atleta, il medico e l’allenatore credono che la sindrome post-concussiva sia risolta alla scomparsa dei sintomi, il danno biochimico neuronale è ancora pienamente in atto e la finestra temporale di vulnerabilità cerebrale è ancora aperta. La rilevanza di tali risultati è legata alla possibilità di stabilire in modo oggettivo e affidabile se si è verificato un danno concussivo, danno che è misurabile attraverso la quantificazione di parametri del metabolismo cerebrale. Inoltre, i risultati dimostrano che il tempo necessario per il recupero metabolico è variabile per ciascun atleta, facendo presupporre una correlazione tra la gravità del trauma concussivo e l’alterazione metabolica neuronale. Si può quindi affermare che l’analisi spettroscopica dell’NAA si propone di diventare, nel prossimo futuro, lo strumento per graduare biologicamente la concussione che risulterà tanto più grave quanto più tempo sarà necessario per la normalizzazione di questo parametro biochimico collegato MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI al metabolismo energetico cerebrale. Il suo uso su larga scala potrà dimostrarne l’importanza quale strumento analitico d’elezione per guidare l’atleta concusso al reinserimento e regolare svolgimento dell’attività sportiva. In Figura 6 sono riportati i dati di 4 casi significativi. Si può rilevare come non sia il livello dell’alterazione metabolica iniziale, ma il tempo di recupero a determinare la gravità di una concussione. Concussioni ripetute ed encefalopatia cronica La sempre maggiore diffusione degli sport di contatto aumenta il numero degli atleti che sono soggetti a traumi cranici e alle loro conseguenze, non solo acute, ma anche croniche 33, 34. Queste ultime sono legate all’effetto cumulativo, a livello del sistema nervoso, di concussioni ripetute; i danni si manifestano a distanza di tempo, quasi sempre quando l’atleta ha oramai cessato l’attività agonistica. A tal proposito giova ricordare quanto detto in precedenza: un atleta che ha subito una concussione o che abbia una storia di concussioni nella sua attività, presenta un rischio 4-6 volte superiore di subirne un’altra 23. Sebbene questa condizione patologica, conosciuta come encefalopatia cronica post-traumatica, sia stata per la prima volta descritta nella boxe, tanto che viene anche definita “demenza pugilistica” o “punch drunk syndrome”, ne sono affetti, seppur in forma più lieve, anche atleti di altri sport di contatto quali il football americano, l’hockey su ghiaccio, le arti marziali e, secondo alcuni ricercatori, il calcio ed il rugby 35, 36. Il quadro clinico dell’encefalopatia cronica è stato descritto per la prima volta da Martland nel 1928 25 che riportò il caso clinico di un ex pugile di 38 anni, oramai ritiratosi dall’attività, che presentava una grave sindrome parkinsoniana, atassia, disturbi piramidali e cambiamento del carattere. Attualmente i sintomi vengono distinti in motori, cognitivi e psichici; basandosi sull’epoca della loro comparsa essi vengono distinti in precoci, a medio termine, tardivi. Sebbene fin dal 1963 La Cava 37 descrisse che i sintomi psichici erano i primi a comparire, va detto che molto spesso non è facile determinare una modificazione della personalità e del comportamento, specialmente nelle fasi iniziali, soprattutto se l’esaminatore non aveva mai avuto contatti in precedenza con l’atleta. E’ evidente come alla difficoltà di una dia- Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 gnosi precoce sia legata la difficoltà di prevenire ulteriori concussioni, mediante la sospensione o addirittura il ritiro definitivo dell’atleta dall’attività. Altrettanto difficile è però determinare il numero delle concussioni oltre il quale l’atleta rischia concretamente la futura insorgenza dell’encefalopatia cronica. Tale difficoltà è legata non solo al numero di concussioni di per sé, ma anche al tipo di concussione e allo sport praticato, per lo stretto legame che vi è tra tipo di danno e biomeccanica dell’impatto. La fisiopatologia della sindrome è poco chiara. Si pensa che l’atassia sia legata a disturbi cerebellari, mentre i deficit cognitivi e le alterazioni psichiche dipendano da modificazioni strutturali dell’ippocampo, corpi mammillari e fornice. Martland 38 ha ipotizzato che i colpi ripetuti possano provocare petecchie emorragiche multiple nelle zone più profonde dell’encefalo, che poi, col tempo, vengono sostituite da tessuto gliale. In alcuni casi sono state trovate a livello neuropatologico tangles di neurofibrille, reperti simili a quelli che si riscontrano nel morbo di Alzheimer. Ciò ha aperto gli studi su una predisposizione genetica al danno cronico post traumatico. Purtroppo a tutt’oggi alla domanda “quante concussioni sono troppe?” i ricercatori non sono riusciti a dare una risposta. Poiché la terapia dell’encefalopatia cronica è estremamente limitata, per non dire inefficace, diviene fondamentale prevenirla limitando l’esposizione ai traumi multipli quegli atleti più a rischio, mediante l’uso di equipaggiamenti adatti, attraverso la stretta osservanza dei regolamenti, migliorando la tecnica e la preparazione fisica e ricorrendo a frequenti controlli medici. I progressi della biologia molecolare degli ultimi decenni sono destinati ad introdurre prepotentemente il fattore genetico nella predisposizione di un atleta a sviluppare particolari danni in seguito ad un trauma cranico. Ricerche recenti hanno evidenziato come il gene che codifica per l’apolipoproteina E epsilon-4 (apoE-e4), già sospettato di essere implicato nel morbo di Alzheimer, sembrerebbe associato ad un più elevato rischio di encefalopatia cronica nei pugili 39. A supporto della tesi dell’influenza dei fattori genetici sull’entità del danno neurologico in atleti affetti da concussioni, Teasdale et al. 40 hanno descritto un’associazione significativa tra presenza di polimorfismo apoE-e4 e prognosi dopo trauma cranico acuto in pazienti non coinvolti in attività sportive. Le scoperte MEDICINA DELLO SPORT 15 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE sulla predisposizione genetica ad una lesione cerebrale sono importanti non solo per regolamentare la boxe e gli altri sport di contatto, ma anche per capire meglio l’influenza della suscettibilità genetica di fronte a determinati stimoli e la possibilità di estenderla ad altri sport ed altri rischi che non siano del sistema nervoso, ad esempio un’anomala fragilità di un legamento del ginocchio. Individuare degli atleti potenzialmente più a rischio di altri di subire particolari lesioni vuol dire poterli aiutare eventualmente a scegliere fin da giovani sport diversi da quelli a cui sono particolarmente suscettibili. I test genetici saranno sicuramente, con i progressi della biologia molecolare, una delle vie future alla prevenzione, ma al momento il loro ruolo deve essere ancora del tutto precisato. Concussione in età pediatrica Ogni considerazione riguardo i traumi cranici e le loro conseguenze nei bambini e negli adolescenti deve tenere conto delle differenze sostanziali che vi sono tra i giovani sportivi e gli atleti adulti, soprattutto per ciò che riguarda i normali processi di sviluppo e la loro influenza sul tipo di lesione e sulla prognosi. Non esistono molti studi a riguardo, ma sostanzialmente si può affermare che molte delle linee guida utilizzate per gli atleti adulti non sono applicabili in toto ai giovani sportivi; soprattutto i test neurocognitivi possono presentare delle variabili legate allo stato di apprendimento motivo per cui andrebbero somministrati più volte al bambino prima di poter interpretare correttamente lo stato psicologico post concussivo. Dal punto di vista biomeccanico, la particolare configurazione della testa e dell’encefalo, unita alle differenze della risposta fisiologica alle sollecitazioni meccaniche, fanno sì che nel bambino siano necessari stimoli più intensi che nell’adulto per ottenere gli stessi sintomi. Di contro, a fronte di questa maggior resistenza all’evento traumatico, nel bambino e nell’adolescente possono presentarsi delle complicanze post traumatiche peculiari di quest’età, quali una forma particolarmente grave di edema cerebrale (cosiddetto edema maligno). Lo sviluppo psicofisico riveste grande importanza nel caso dei traumi nello sport e di quelli del sistema nervoso in particolare. Nella prima adolescenza vi è ancora la preoccupazione di 16 “farsi male” e quindi, anche se il ragazzo non ha chiaro il rischio dei danni a distanza, ascolta i suggerimenti di chi gli è vicino e segue i consigli dei tecnici e dei medici. Intorno ai 15, 16 anni l’influenza di coetanei e media diviene preponderante. Si praticano sport in modo pericoloso, anche contro il volere degli adulti, pervasi da un senso di invulnerabilità. L’attività sportiva diventa il mezzo per farsi notare dagli amici e farsi accettare dalla società. E’ questa l’età tipica in cui un’eventuale sospensione dell’attività sportiva a causa di un infortunio, può provocare depressione e perdita di sicurezza. E’, in conclusione, il momento più delicato per il giovane sportivo e di conseguenza ogni decisione in caso di infortunio, deve essere presa con grande prudenza. Nell’adolescenza tardiva, il ragazzo comincia a capire il significato di una lesione cerebrale, dei problemi che essa può presentare nell’immediato e a lungo termine. La partecipazione all’attività sportiva non è più l’unico scopo della vita e quindi viene affrontata con maggiore consapevolezza dei rischi che essa presenta. Una puntuale e completa informazione sui rischi della concussione e della sindrome da secondo impatto deve essere comunque garantita ai genitori (dai quali non si può prescindere in presenza di atleti minorenni). Riguardo agli adolescenti, fermo restando il coinvolgimento dei genitori, anche gli stessi dovranno essere adeguatamente informati in modo che siano resi consapevoli dei rischi a cui si espongono e delle finalità di un’eventuale sospensione dall’attività sportiva. Con la crescita, l’aumento del peso e della massa corporea provocano l’aumento delle accelerazioni al momento dell’impatto e quindi la gravità della lesione post traumatica. Recentemente si è visto che nei bambini e negli adolescenti i tempi di recupero del danno neurocognitivo dopo una concussione sono più lunghi che nei giovani adulti, anche se la risposta ai test ripetuti risulta essere assai variabile nei più giovani e quindi una diagnosi di risoluzione dei sintomi più difficile. L’idea che tanto più un cervello è giovane, tanto migliori e più efficaci sono i processi riparativi deve essere però completamente abbandonata e rivalutata. Da circa dieci anni una serie cospicua di studi sui meccanismi di plasticità neuronale hanno dimostrato che il “cervello pediatrico” non può essere considerato semplicemente come quello di un “piccolo adulto” 41. Anche lievi fenomeni perturbativi che si verificano dopo un trauma MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI cranico possono innescare infatti processi riparativi di plasticità neuronale che non sempre si concludono positivamente (“bad plasticity”) potendo comportare alterata neurotrasmissione, alterazioni dei segnali molecolari, attivazione di meccanismi di morte cellulare programmata (apoptosi) ed inibizione dei meccanismi di apprendimento basati sull’esperienza. Gli effetti tardivi di un trauma concussivo in età pediatrica possono includere disturbi cognitivi e comportamentali ed uno degli errori più frequentemente commessi nella pratica clinica è quello di intervenire con una precoce stimolazione cognitiva per anticipare il recupero. Ebbene si è visto che è meglio posticipare il più possibile tali stimoli in quanto i fenomeni di plasticità neruonale positivi (“good plasticity”) sono inizialmente inibiti ed il recupero dell’apprendimento è tanto più efficace quanto determinati stimoli sono ritardati nel tempo 42, 43. Per questi motivi il ritorno all’attività dovrebbe essere il più conservativo possibile ed associato al cosiddetto “riposo cognitivo”. Nei casi di concussione pediatrica, oltre alla sospensione delle attività fisiche, andrebbe quindi osservata una drastica riduzione anche di quelle attività che impegnano troppo la mente nella vita di tutti i giorni e nell’attività scolastica. Bisogna informare correttamente genitori ed insegnanti che, a seguito di una concussione, può verificarsi un possibile transitorio calo di performance scolastica del bambino, caratterizzato da diminuita attenzione, difficoltà sia a ricordare nozioni già acquisite, sia ad apprendere nuove informazioni, tempi più lunghi a svolgere esercizi obiettivamente facili, comparsa di cefalea durante lo svolgimento dei compiti. Il bambino può mostrare un’insolita irritabilità, una minore tolleranza alla fatica ed inizialmente non dovrebbe andare a scuola, per poter poi essere gradualmente reinserito con orari inferiori, meno compiti da svolgere a casa e senza essere interrogato in classe. Anche nel caso della concussione in età pediatrica e adolescenziale, è auspicabile che si possa presto ricorrere all’uso routinario di una valutazione biochimica oggettiva del danno metabolico, allo scopo di individuare con precisione la chiusura della finestra temporale di vulnerabilità cerebrale che rappresenta la “zona d’ombra” durante il quale il soggetto postconcusso è a rischio. Studi in tal senso sono in corso per verificare l’applicabilità della determinazione dell’NAA mediante RMS nei bambini e negli adolescenti. Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 Note sulla normativa vigente Non esistono attualmente in Italia norme regolamentari universalmente accettate, volte a disciplinare le modalità di rientro all’attività sportiva di un atleta concusso, sia esso dilettante o professionista. Secondo l’articolo 1 della legge 26 ottobre 1971, n. 1099, Sulla tutela sanitaria delle attività sportive (G.U. 23 dicembre 1971, n. 324), “... la tutela sanitaria delle attività sportive spetta alle regioni ... secondo un programma la cui finalità e contenuti corrisponderanno ai criteri di massima fissati dal Ministero della sanità, con il concorso delle regioni stesse... avvalendosi della collaborazione del Comitato olimpico nazionale italiano”. Di fatto le normative ministeriali vigenti a cui i regolamenti sanitari di ogni singola federazione sportiva possono far riferimento sono piuttosto generiche e poco specifiche in materia di trauma cranico e vengono di seguito elencate: D.M. 18/2/1982: “Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”. D.M. 28/2/1983: “Integrazione e rettifica al Decreto Ministeriale 18/2/82 concernente norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”. D.M. 28/2/1983 “Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva non agonistica”. D.M. 13/3/1995: “Norme sulla tutela sanitaria degli sportivi professionisti”. Nel D.M. 18/2/1982 (G.U. n. 63 del 5 marzo 1982), all’Allegato I, “Controlli sanitari e loro periodicità in relazione ai vari sport”, nelle Norme Esplicative delle tabelle A e B, al punto E si legge: “Ogni atleta che subisce un trauma cranico deve sospendere l’attività sportiva praticata e sottoporsi a visita di controllo prima di riprenderla”. Con esplicito riferimento al pugilato ed al K.O. al punto D si legge: “Ogni pugile che abbia subito un “K.O.” per colpi al capo o che abbia comunque subito una sconfitta prima del limite (KO, abbandono, getto dell’asciugamano) deve sospendere l’attività pugilistica, anche di allenamento, per un periodo minimo di 30 giorni. Il periodo di riposo inizierà automaticamente dal giorno del combattimento. Dopo il periodo di riposo il pugile non può riprendere in alcun modo l’attività agonistica se non dopo essersi sottoposto a visita di controllo. Obbligatoriamente tra la data della visita medica di controllo e quella del combattimento deve intercorrere un periodo di quindici giorni, necessario per l’idoneo allenamento. Ogni pugile che MEDICINA DELLO SPORT 17 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Figura 8. — Esempio di concussione. Figura 7. — Esempio di concussione. subisce due KO consecutivi deve osservare, a decorrere dall’ultimo, un periodo di riposo di tre mesi, dopo il quale deve sottoporsi a visita di controllo”. Infine, al punto F si legge. “Per tutte le altre norme pertinenti ma non contemplate nel presente allegato, si fa riferimento ai regolamenti sanitari delle Federazioni Sportive Nazionali ed Internazionali”. I successivi D.M. presi in esame non aggiungono sostanziali modifiche al suddetto protocollo da adottare in caso di trauma cranico. Spinte dalla necessità di rendere più univoco il percorso assistenziale dell’atleta che abbia subito una concussione, alcune Federazioni, di propria iniziativa e nel solo ambito dei rispettivi regolamenti sanitari, hanno lodevolmente aggiunto ulteriori modifiche alle norme ministeriali vigenti. Ad esempio, la Federazione Italiana Rugby, adottando una normativa stabilita dall’art. 10 del regolamento dell’International Rugby Board, in merito al giocatore che vada incontro a traumi commotivi, ha stabilito che: “... in presenza di 18 Figura 9. — Esempio di concussione. Figura 10. — Esempio di concussione. trauma al giocatore che presenti uno o più dei seguenti sintomi: perdita della memoria, perdita di coscienza, stato confusionale e/o disorientamento temporo-spaziale, vertigini o instabilità, vomito, diplopia, l’arbitro dovrà: su richiesta del MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI medico di campo, oppure a suo insindacabile giudizio, far allontanare dal campo l’infortunato che dovrà essere trasferito ad un centro Ospedaliero per gli accertamenti del caso. Al termine della gara, informare l’accompagnatore della squadra su quanto riporterà nel referto, relativamente agli infortuni da trauma commotivo ad un suo giocatore. Il giocatore che abbia subito un trauma commotivo sarà sospeso dal medico federale dall’attività per almeno tre settimane (non dovrà pertanto prendere parte né ad allenamenti né a gare). Il giocatore potrà essere riammesso all’attività solamente dopo tale termine e dopo essersi sottoposto ad un controllo clinico-neurologico appropriato che ne abbia attestato la guarigione. Il medico federale revocherà il provvedimento di sospensione solamente dopo la decorrenza di almeno tre settimane e dopo aver ricevuto via fax copia del certificato di guarigione. Nel regolamento sanitario della Federazione Italiana Basket (delibera del maggio 2009) all’ articolo 13 “Idoneità alla pratica sportiva agonistica” si legge quanto segue: “... Il giocatore o l’arbitro a cui venga diagnosticato un trauma cranico, deve sospendere l’attività sportiva ed essere sottoposto a Risonanza Magnetica Nucleare cranica e visita di controllo prima di riprendere l’attività sportiva”. Da quanto esposto si evidenziano ancora una volta, da una parte l’assoluta necessità di una terminologia corretta atta a definire quanto più univocamente possibile la condizione di trauma cranico concussivo, dall’altra la mancanza di criteri oggettivi necessari a confermare o ad escludere, che l’evento traumatico, in caso di negatività degli esami neuroradiologici tradizionali, abbia comunque prodotto un danno cerebrale. Poiché il DM 18/2/1982 fa esplicito riferimento al KO, ritenendolo il tipico esempio di trauma concussivo, giova ancora una volta ricordare che è oramai universalmente accettato il concetto che vi può essere concussione cerebrale anche senza perdita di coscienza. Per quanto riguarda il ritorno all’attività una volta scomparsi i sintomi, ci sentiamo di ribadire che soltanto il monitoraggio nel tempo dei parametri metabolici inizialmente alterati e successivamente normalizzati, potrà permettere all’atleta un ritorno alla pratica sportiva in condizioni di relativa sicurezza. Il recupero ottimale, a questo punto, potrebbe verificarsi ben prima dei trenta giorni previsti dalla normativa ministeriale, come pure, qualora l’evento avesse prodotto danni metabolici tali da richiedere un tempo superiore per il completo ripristino delle condizioni fisiologiche, un rientro a distanza di trenta giorni potrebbe non essere sufficientemente prudente. Autore di contatto: Roberto Vagnozzi, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Roma “Tor Vergata”. E-mail: [email protected] Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 MEDICINA DELLO SPORT 19 VAGNOZZI References/Bibliografia 1) Hillier, SL, Hiller, JE, Metzer, J. Epidemiology of traumatic brain injury in South Australia. 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Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI Appendice Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 63, Suppl. 1 al N. 3 MEDICINA DELLO SPORT 21 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Valutazione dei sintomi della concussione Osservati dallo staff Riferiti dall’atleta •Appare confuso e disorientato Cefalea •Si estranea dal gioco Nausea •Incerto sul punteggio e gli avversari Disturbi dell’equilibrio •Si muove in modo impacciato Disturbi visivi •Risponde lentamente alle domande Sensibilità a luce e rumore •Ha perso brevemente conoscenza Sensazione di annebbiamento •Mostra cambiamento di comportamento Disturbi del sonno •Non ricorda episod\i avvenuti prima del trauma (Amnesia retrograda) Difficoltà di concentrazione •Non ricorda episodi avvenuti dopo il trauma (Amnesia anterograda) Disturbi della memoria I sintomi si possono aggravare con la fatica. Un atleta non dovrebbe tornare all’attivita’ fintanto che i sintomi non si sono completamente risolti. 22 MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010 LA CONCUSSIONE CEREBRALE VAGNOZZI LISTA DEI SINTOMI Denuncia un incremento rispetto al normale dei sotto elencati sintomi ? INDICARE LA PRESENZA DI QUESTI SINTOMI ( 0 = NO - 1 = SI) FISICI (10) Cefalea 0 1 Nausea 0 1 Vomito 0 1 COGNITIVI (4) Mentalmente annebbiato Rallentato 0 1 0 1 Difficoltà a con0 1 centrarsi Difficoltà a 0 1 ricordare COGNITIVI Totale (0-4) .......... Emozionali (4) Irritabilità 0 1 Tristezza 0 1 Problemi di equi- 0 1 librio. Stordimento 0 1 Problemi di vista 0 1 Fatica 0 1 Sensibilità alla 0 1 luce Sensibilità al 0 1 Maggiore emo0 1 rumore tività Torpore/ formi0 1 Nervosismo 0 1 colio FISICI Totale EMOZIONALI Totale (0-10) .......... (0-4) .......... Punteggio totale dei sintomi (0-22) ____ DEL SONNO (4) sonnolenza 0 1 Dormire meno 0 1 N/A del solito Dormire più del 0 1 N/A solito Difficoltà ad ad0 1 N/A dormentersi DEL SONNO Totale (0-4) .......... Ripresa delle attività: i sintomi peggiorano con: Attività fisica: ...... SI ...... NO ...... NON SO Attività cognitiva ...... SI ...... NO ...... NON SO Considerazioni generali: — quanto è differente il comportamento della persona rispetto al solito? Normale 0 1 2 3 4 5 6 molta differenza Presenza di fattori di rischio per tempi di recupero prolungati Precedenti concussioni? Anamnesi di cefalea? Anamnesi dello sviluppo SI- NO SI - NO Quante? 1 2 3 4 5 6+ Precedenti terapie Difficoltà di apprendimento per cefalea? Durata del sintomo più Anamnesi di emicranie: Deficit dell’attenzione, persistente .......... personali iperattività Giorni .......... .......... familiari settimane .......... mesi .......... anni .......... In caso di concussione Altre malattie in stadio ripetuta: questo impatto evolutivo è stato più lieve dei precedenti? SI ..........NO .......... Anamnesi psichiatrica Ansia Depressione Disturbi del sonno Altri disordini psichiatrici Elenco di patologie associate e/o di assunzione di farmaci (ad es: ipotiroidismo, epilessia, etc) .................................................................................................................................................................................................. Vol. 63, Suppl. 1 al N. 3 63, Suppl. 1 al N. 3 MEDICINA DELLO SPORT 23 VAGNOZZI LA CONCUSSIONE CEREBRALE Scheda per la valutazione di un atleta concusso CARATTERISTICHE DEL TRAUMA: data del trauma TESTIMONE: .................... Paziente .................... genitori .................... marito/moglie .................... altro .................... Descrizione del trauma: ........................................................................................................................ .................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................. 1. Si è verificato un colpo violento diretto o indiretto alla testa? SI .................... NO .................... NON SI SA .................... 1. Si riscontra una ferita o una frattura del cranio SI .................... NO .................... NON SI SA .................... 1. LOCALIZZAZIONE DELL’IMPATTO: .................... frontale .................... temporale SX .................... temporale DX .................... parietale SX .................... parietale DX .................... occipitale .................... collo .................... forza indiretta .................... 2. CAUSA ( sportiva) ................................................................................................................................ 3. AMNESIA RETROGRADA: ci sono stati degli eventi poco PRIMA del trauma ( anche brevi) che il soggetto non ricorda? SI .................... NO .................... DURATA .................... 4. AMNESIA ANTEROGRADA: ci sono stati degli eventi poco DOPO del trauma (anche brevi) che il soggetto non ricorda? SI .................... NO .................... DURATA .................... 5. PERDITA DI COSCIENZA: il soggetto ha perso conoscenza? SI .................... NO .................... DURATA .................... 6. SEGNI RECENTI: .................... appare stordito .................... è confuso sugli eventi .................... risponde lentamente alle domande .................... ripete le domande .................... dimentica 7. CRISI EPILETTICHE: sono state osservate crisi?( dettagli) ................................................................. 24 MEDICINA DELLO SPORT Settembre 2010