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Fibrillazione atriale e scompenso cardiaco Rassegna
163 Rassegna Recenti Prog Med 2010; 101: 163-169 Fibrillazione atriale e scompenso cardiaco Alessandro Capucci, Maria Vittoria Matassini Riassunto. La fibrillazione atriale (FA) e lo scompenso cardiaco (SC) sono due condizioni ampiamente diffuse nella popolazione, soprattutto di età avanzata. Quando coesistono nello stesso paziente, come frequentemente accade, innescano lo sviluppo di un circolo vizioso di reciproco condizionamento che, drammaticamente, esita nel ridurre la qualità della vita e nell’aumentare il tasso di mortalità. La relazione tra FA e SC è da tempo nota ed ampiamente studiata: si tratta di un campo del sapere in continuo divenire poiché, accanto alle provate conoscenze, in particolare fisiopatogenetiche, si aprono nuovi orizzonti di ricerca, in quanto molti aspetti sono ancora oscuri. Questo limite, infatti, si riflette nella complessità del trattamento combinato della FA e SC nella pratica clinica. Spiega, inoltre, il persistere di una prognosi spesso infausta, nonostante i progressi terapeutici. In questa rassegna si ripercorrono le principali conoscenze sulla fisiopatologia che correla SC e FA; si forniscono alcuni dati epidemiologici, clinici e terapeutici, si sottolineano le nuove aree di ricerca, le acquisizioni più recenti, ed, infine, i quesiti ancora irrisolti. Summary. Atrial fibrillation and heart failure. Atrial fibrillation (AF) and heart failure (HF) are two conditions widespread on the population, especially in elderly people. When AF and HF coexist in the same patient, as frequently happens, they trigger a vicious circle of mutual influence, who dramatically hesitates in lower quality of life and in increased mortality. The relationship between AF and HF is long and vigorously investigated: it is an everchanging field of knowledge because alongside well known and proven results, especially the pathophysiological ones, there are new horizons of research since many aspects are still obscure. Hence, this limit is reflected in the complexity of the combined management of AF and HF in clinical practice. It also explains an ominous prognosis despite significant therapeutic advances. In this review we go over again the well-established knowledge about the pathophysiology binder HF and AF; we provide some epidemiological, clinical and therapeutic informations, we also highlight the new acquisitions, the new research areas and, finally, the still unresolved questions. Parole chiave. Cardiomiopatia indotta da tachicardia, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco. Key words. Atrial fibrillation, heart failure, tachycardia-induced cardiomyopathy. Introduzione Le due malattie condividono molti fattori di rischio: la cardiopatia ischemica, l’ipertensione, le valvulopatie, l’ipertrofia ventricolare sinistra, il diabete mellito sono solo alcune delle comuni condizioni che possono portare tanto allo SC quanto alla FA2,3. Inoltre, tra le due entità s’instaura un’intricata relazione di causa-effetto: lo SC rappresenta una nota condizione favorente lo sviluppo dell’aritmia, ma anche la FA può promuovere l’insufficienza cardiaca, in particolare se associata ad un’incontrollata ed elevata frequenza di risposta ventricolare. L’attivazione dei sistemi neurormonali, le modificazioni delle caratteristiche elettrofisiologiche e meccaniche dei tessuti cardiaci creano condizioni in cui lo SC predispone alla FA e in cui quest’ultima aggrava il primo. L’intreccio tra FA e SC è assimilabile ad un vero e proprio circolo vizioso, nel quale, come precedentemento espresso, può risultare non agevole individuare il punto di partenza3,5. La fibrillazione atriale (FA) e lo scompenso cardiaco (SC) sono due condizioni molto diffuse nella popolazione e pertanto quotidianamente riscontrate nella pratica clinica. Interessando in maggioranza la popolazione più anziana, esercitano un forte impatto sociale che è, di giorno in giorno, crescente, dato il progressivo invecchiamento della popolazione. La prevalenza è in aumento sia per la FA che per lo SC, considerati come singole entità, ma un analogo incremento si ha per tutti quei casi in cui le due patologie si associano. La presenza di entrambe le malattie non è frutto di una semplice coincidenza ma, al contrario, esse si condizionano e si favoriscono reciprocamente per cui, di fronte ad un paziente che presenti FA e SC, risulta difficile capire in che misura l’una è causa, l’altro è conseguenza o viceversa1. Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona. Pervenuto il 26 gennaio 2010. 164 Recenti Progressi in Medicina, 101 (4), aprile 2010 La relazione tra FA e disfunzione ventricolare si esprime in un eterogeneo continuum di possibilità, aventi ai due estremi le condizioni limite rappresentate dalla disfunzione ventricolare puramente dipendente dalla tachiaritmia e dalla disfunzione totalmente non correlata alla FA4. Tabella1 - Prevalenza della fibrillazione atriale distinta per classe funzionale NYHA. Classe NYHA Prevalenza FA % Studio I 4% SOLVD-prevention (1992) II-III 10-26% SOLVD-treatment (1991) CHF-STAT (1995) Scompenso cardiaco: causa di fibrillazione atriale? MERIT HF (1999) Tra i disturbi del ritmo che complicano lo SC, la FA svolge un ruolo predominante. Da un punto fisio-patogenetico, nei pazienti con SC sono presenti molti elementi favorenti la comparsa di FA. DIAMOND (1999) II-IV 12-27% Val-HeFT (2003) III-IV 20-29% Middlekauff (1991) Stevenson (1996) IN ACUTO • L’incremento dei volumi e delle pressioni atriali (secondari all’alterata funzione diastolica ventricolare): il sovraccarico atriale causa la dilatazione anatomica atriale e “stretch atriale” favorente l’insorgenza dell’aritmia3,5; • la diminuzione della frazione di svuotamento atriale e la riduzione del contributo dell’atrio sinistro al riempimento ventricolare sinistro. CHARM (2003) GESICA (1994) IV 50% CONSENSUS (1987) Legenda: SOVLD: Study Of Ventricular Left Disfunction; CHF-STAT: Survival Trial of Antiarrhytmic Therapy in Congestive Heart Failure;MeritHF: Metoprololo CR/XL Randomized Intervention Trial in Congestive Heart Failure; DIAMOND-CHF: Danish Investigations of Arrhytmia and Mortality of Dofetilide-Congestive Heart Failure; CHARM, Candesartan in Heart failure, Assessment of Reduction in Mortality and Morbidity;Val-HeFt: Valsartan Heart Failure Trail; GESICA: Grupo Estudio de la Sobrevida en la Insufficienca Cardiaca en Argentina;CONSENSUS: Cooperative North Scandinavian Enalapril Survival Study. IN CRONICO • Le alterazioni strutturali atriali (rimodellamento atriale) rappresentate dall’accumulo di collagene, dalla fibrosi interstiziale e dall’ipertrofia dei miociti, secondarie all’attivazione neurormonale mediata principalmente da catecolamine e angiotensina II; tali alterazioni rendono disomogenee le proprietà elettrofisiologiche delle cellule atriali, creando un substrato favorevole all’insorgenza dell’aritmia3,6; • le variazioni delle caratteristiche elettrofisiologiche atriali indotte dalla attivazione simpatica con secondaria stimolazione di foci ectopici necessari per l’iniziazione della FA; • l’accorciamento del periodo refrattario effettivo atriale favorito dai meccanismi neurormonali2,7,8; • la facilitazione della conduzione atrioventricolare ad opera dell’ipertono adrenergico3,9. Essa dipende dalla severità della sottostante patologia: è compresa tra 10% e 26% nelle forme moderate (classe funzionale NYHA II-III), mentre raggiunge il 30-50 % nei pazienti con malattia avanzata (classe NYHA IV)10, sottolineando un rapporto diretto tra aritmia e grado di compromissione funzionale2,7,9,11. Il sesso maschile, la lunga durata dello scompenso, la cardiomegalia e l’età avanzata sono fattori predittivi dell’insorgenza della FA7,12. Lo studio ALPHA ha riscontrato un maggior rischio di sviluppo della complicanza aritmica in presenza dei seguenti elementi: classe funzionale NYHA elevata, età avanzata, eziologia non ischemica dello SC, assenza di blocco di branca destro13. Lo sviluppo dell’aritmia nel quadro clinico dell’insufficienza cardiaca determina una serie di conseguenze: 1. peggioramento del quadro clinico; 2. causa di ri-/ospedalizzazione; 3. complessità del management terapeutico; 4. aumento della mortalità. Nello studio di Framingham la presenza di SC ha incrementato il rischio di FA di 4,5 volte nell’uomo e 5,9 nella donna8; anche la disfunzione ventricolare asintomatica è risultata una condizione predittiva di sviluppo della complicanza aritmica. Inoltre, si è evidenziato come la presenza dello SC aumenti la probabilità di ricorrenza della FA dopo la cardioversione a ritmo sinusale7. La tabella 1 mostra la prevalenza dell’aritmia, riscontrata in alcuni studi, nei pazienti scompensati, distinti per classe funzionale NYHA. 1. Lo sviluppo della FA determina un’accentuazione della sintomatologia esitante nell’aumento della classe funzionale NYHA con peggioramento della qualità della vita del paziente11. La FA, pertanto, nel paziente scompensato non deve essere solamente considerata la conseguenza di una patologia cardiaca, di cui esprime la gravità, ma un elemento critico e incisivo nel favorire la progressione dell’insufficienza cardiaca. Lo studio ALPHA, a tale proposito, ha riscontrato che i pazienti con SC in FA presentano un significativo aumento dell’OR relativamente al peggioramento della classe funzionale NYHA13. A. Capucci, M.V. Matassini: Fibrillazione atriale e scompenso cardiaco 2. Lo SC rappresenta la più frequente causa di ospedalizzazione nella popolazione di età superiore ai 65 anni; la destabilizzazione clinica, che necessiti di cure ospedaliere, è il risultato dell’azione di un insieme di fattori responsabili di alterazioni emodinamiche e neuro-ormonali che contribuiscono alla progressiva disfunzione ventricolare14. Tra questi fattori rientra la FA, soprattutto negli stadi avanzati della malattia15. Stimare in che percentuale la FA sia il primum movens dello SC acuto non è facile, in quanto un’elevata frequenza di risposta ventricolare potrebbe non costituirne la causa, ma essere secondaria all’attivazione dei meccanismi di tipo compensatorio (ipertono adrenergico con increzione catecolaminergica). Tuttavia, attraverso l’irregolarità del ritmo cardiaco e l’incontrollata frequenza cardiaca, l’aritmia rende ancor più instabile il labile compenso emodinamico, portando ad un peggioramento del quadro clinico dello SC fino alla necessità di ospedalizzazione. In un recente studio15 è stato dimostrato che l’ospedalizzazione, richiesta per l’aggravarsi dello SC, è legata alla presenza di FA nella maggior parte dei pazienti. I pazienti scompensati con FA hanno un’ inappropriata e tachicardica risposta all’attività fisica o ad altri fattori “stressanti” che, protraendosi nel tempo, può condurre alla riacutizzazione dell’insufficienza cardiaca. Tale dato viene confermato dal riscontro della riacutizzazione dello SC solo nei pazienti non trattati con β-bloccanti (bucindololo), i quali hanno un ruolo fondamentale nel controllare la frequenza di risposta ventricolare sia a riposo che durante l’esercizio fisico. È stato evidenziato, inoltre, da un recente trial clinico randomizzato confrontante la strategia di rate control versus rhythm control16, che solo pochi pazienti fibrillanti e scompensati, appartenenti al gruppo “rate control”, richiedevano l’ospedalizzazione, sottolineando l’importanza della strategia di controllo della frequenza cardiaca adottata in tale gruppo. 3. Ad oggi esistono linee-guida separate per il trattamento della FA e dello SC; in entrambe le lineeguida vi sono paragrafi relativi al management delle due condizioni associate che, tuttavia, differiscono nelle raccomandazioni fornite, creando confusione di fronte ad una situazione complessa. La terapia raccomandata per lo SC e FA è rappresentata dalla combinazione di β-bloccante, ACE inibitore (ACE-I) o antagonista recettoriale dell’angiotensina II (ARBs) ed anticoagulanti orali. Lo studio Euro Heart Survey on Atrial Fibrillation17 per prima cosa conferma i dati dello studio AFFIRM sulla sovrapponibilità in termini di outcome tra la strategia di rate control e quella di rhythm control, in relazione al trattamento della FA nell’ambito dello SC. Dallo studio17 emerge come la frequenza di prescrizione della combinazione raccomandata di farmaci sia bassa: solo il 29% dei pazienti scompensati con FA assume correttamente il trattamento raccomandato. Tra i pazienti scompensati e fibrillanti coloro che con maggiore probabilità ricevono la terapia ottimale presentano le seguenti caratteristiche: iperlipemia, diabete, cardiopatia ischemica, primo episodio di FA parossistica o permanente.Il sesso femminile, la presenza di broncopneumopatia cronico-ostruttiva e di ritmo sinusale alla dimissione si associano, invece, ad una ridotta probabilità di ricevere la terapia raccomandata. Un altro aspetto da sottolineare è l’insufficiente controllo della frequenza cardiaca a riposo (<80/min) nel 40% dei soggetti con FA permanente, legato alla mancata combinazione del β-bloccante con un altro farmaco per il controllo della frequenza di risposta ventricolare (nello studio il 78% dei pazienti non assumeva la combinazione di β-bloccante e digitale e meno del 50% dei pazienti assumeva più di un farmaco anti-aritmico). Questi dati sottolineano come, nella pratica clinica, si sia lontani dal trattamento ottimale delle due patologie e come ciò contribuisca alla progressione delle stesse all’interno di quel circolo vizioso di reciproco deterioramento. Ne deriva la necessità di ulteriori studi prospettici per definire quale sia il trattamento migliore che modifichi positivamente la prognosi di tali pazienti. 4. Numerosi studi epidemiologici e clinici sullo SC hanno dimostrato con forte evidenza che la FA è un marker di aumentata mortalità. Nello studio di Framingham il rischio di morte è aumentato di 2,9 e di 1,6 volte rispettivamente nella donna e nell’uomo9; nello studio SOLVD prevention and treatment il rischio di mortalità per tutte le cause è risultato 1,34 volte maggiore ed è stato considerato legato alla progressione dell’insufficienza cardiaca a seguito dello sviluppo della FA18. Gli stessi risultati sono stati confermati da Middlekauff at al.19, dallo studio DIAMOND20, dallo studio DIG e CHARM21. Altri studi hanno sottolineato come la FA possa influenzare la mortalità in maniera differente a seconda della gravità dello SC; la FA è indipendentemente associata con un aumentata mortalità nei pazienti con funzione ventricolare maggiormente conservata. In coloro che presentano forme avanzate di insufficienza cardiaca, le variabili che interferiscono sulla mortalità sono numerose e complesse per cui l’impatto dell’aritmia non risulta significativo19,22,23. Quando l’aritmia complica lo SC, l’impatto prognostico addizionale dipende dal grado di compromissione funzionale: se l’aritmia si sviluppa in un setting di grave insufficienza cardiaca, il tasso di mortalità non ne risente significativamente22,23; se invece lo SC è lieve-moderato, è un fattore indipendente di aumentata mortalità. Middlekauff et al.19 hanno evidenziato una correlazione tra l’impatto prognostico della FA e la pressione di riempimento ventricolare sinistra: un valore inferiore a 16 mmHg è associato ad un’aumentata mortalità, mentre per valori superiori non vi sono effetti addizionali esercitati dall’aritmia. Pai et al., in maniera simile, correlano l’impatto prognostico della FA alla frazione di eiezione: se quest’ ultima è conservata, la mortalità cresce. 165 166 Recenti Progressi in Medicina, 101 (4), aprile 2010 Fibrillazione atriale: causa di scompenso cardiaco? La FA può determinare la disfunzione ventricolare attraverso tre meccanismi fondamentali: 1. la perdita della sistole atriale; 2. l’irregolarità del ciclo cardiaco; 3. l’elevata frequenza ventricolare. La perdita della contrazione attiva atriale nella fase telediastolica comporta una riduzione del 15-20% della portata cardiaca9,25,26. L’alterato riempimento diastolico può inoltre essere ulteriormente inficiato dalla brevità della fase diastolica, quando la frequenza risulti elevata. Anche l’irregolarità del ritmo può indurre disfunzione ventricolare indipendentemente dall’entità della frequenza cardiaca26-28. È stato dimostrato, dapprima sul cane (da Naito et al.26), poi sull’uomo (da Daoud et al.29) che l’irregolarità del ritmo causa una perdita della portata cardiaca con tre possibili meccanismi patogenetici: 1. l’incremento della portata che si osserva dopo gli intervalli lunghi non compensa completamente la riduzione che si osserva durante gli R-R corti; 2. l’aumento, durante stimolazione irregolare, della concentrazione del peptide natriuretico atriale5,30 e attivazione neuro-ormonale; 3. un effetto depressivo diretto sulla contrattilità miocardica per gli improvvisi cambiamenti della durata del ciclo cardiaco7,20. Le conseguenze della perdita della sistole atriale e del ritmo caotico ventricolare possono variare in rapporto alla presenza o meno e al tipo di cardiopatia sottostante l’aritmia. Nei pazienti con disfunzione o ipertrofia ventricolare sinistra le conseguenze emodinamiche possono diventare molto importanti. Infine, laddove la FA si associ ad elevata frequenza ventricolare, si osservano modificazioni della struttura e della funzione cardiaca fino al realizzarsi di un quadro clinico-strumentale definito con il termine “cardiopatia indotta da tachicardia” o “tachicardiomiopatia”25,26. La tachicardiomiopatia (TIC) è una forma di cardiomiopatia dilatativa, conseguente a una tachiaritmia sostenuta nel tempo e ad elevata e/o irregolare risposta ventricolare, caratterizzantesi per la severa disfunzione ventricolare sinistra che può sfociare clinicamente nel quadro dello SC. La disfunzione ventricolare può regredire (completamente o talora parzialmente) con il ripristino del ritmo sinusale o con il controllo della frequenza ventricolare25,31-33. Lo sviluppo della tachicardiomiopatia può essere secondario ad aritmie atriali o ventricolari; le più comuni responsabili sono: la FA (la più frequente), il flutter atriale, la tachicardia atriale, le tachicardie sopraventricolari parossistiche, la tachicardia ventricolare, le extrasistoli ventricolari (bigeminismo)31,32,34. Molte forme, quindi, di tachiaritmie possono indurre la disfunzione ventricolare, ma l’insorgenza della cardiomiopatia dipende dalla frequenza di ri- sposta ventricolare elevata (>90-100 bpm a riposo) e della durata dell’aritmia, più che dal tipo di disturbo del ritmo33,35,36. Si possono distinguere due categorie: 1.“pure type”; 2.“impure type”33. La prima forma insorge in un cuore sano ed è reversibile con il trattamento della tachiaritmia; la seconda insorge in pazienti con malattia organica cardiaca e la regressione è solo parziale (la tachiaritmia ha indotto un danno irreversibile)30. Considerando la fibrillazione atriale quale causa di tachicardiomiopatia, la sua insorgenza determina inizialmente alterazioni emodinamiche per l’elevata frequenza e per la perdita del contributo atriale al riempimento diastolico. In seguito, la persistenza di frequenze ventricolari continuativamente superiori a 120 bpm causa modificazioni anche micro e macro-strutturali, come evidenziato da modelli sperimentali38. La cardiopatia indotta da tachicardia si caratterizza per la dilatazione ventricolare sinistra (aumento dei volumi tele-diastolici e tele-sistolici) con ipocinesia ed in assenza di ipertrofia, per l’incremento della pressione in arteria polmonare e della pressione di riempimento ventricolare e, infine, per la riduzione della frazione di eiezione cardiaca3,38. La funzione ventricolare sistolica, la portata cardiaca e i volumi ventricolari deteriorano progressivamente: il tempo di sviluppo della cardiopatia è lungo (settimane o mesi) e la gravità è in rapporto alla durata della tachiaritmia e alla sua frequenza ventricolare26. Nell’uomo senza sottostante cardiopatia, la tachiaritmia può essere tollerata per un lungo periodo di tempo con sintomatologia modesta. Dopo il suo controllo, il recupero emodinamico può essere completo o parziale; alcuni pazienti, però, traggono beneficio clinico solo dopo settimane o mesi. L’impatto della FA sulla funzione ventricolare è tanto più importante quanto più, già di base, ci sia un deficit della funzione sistolica o diastolica, ma una FA rapida e persistente che insorga in cuore originariamente privo di alterazioni può rappresentare il fattore causale unico di una disfunzione ventricolare che, se non riconosciuta e trattata, esita nello SC. Nello studio di Fenelon et al.39 sono stati proposti i seguenti criteri per la diagnosi: I. dilatazione ventricolare o SC; II. storia di aritmia (tachicardia sopraventricolare, FA, flutter atriale) cronica o molto frequente (durata dell’aritmia maggiore al 10-15% della giornata) con una frequenza atriale superiore del 150% rispetto a quanto previsto per l’età. La correttezza diagnostica deriva dall’osservazione della regressione dei sintomi e dal miglioramento della funzione sistolica dopo il ritorno al ritmo sinusale o dopo il controllo della frequenza ventricolare (sebbene talora questi obiettivi non siano completamente raggiungibili riflettendo uno stadio irreversibile della tachicardiomiopatia)34,38. A. Capucci, M.V. Matassini: Fibrillazione atriale e scompenso cardiaco La tachicardiomiopatia è considerata la più frequente causa non riconosciuta di SC, ma spesso la diagnosi non viene correttamente posta: in numerosi studi si sottolinea la necessità di individuare i pazienti con tale condizione, in quanto rappresenta una causa reversibile di scompenso nel caso sia adeguatamente e precocemente trattata in modo tale da prevenire il danno cardiaco strutturale irreversibile3,40. La difficoltà nel riconoscere nella pratica clinica la tachicardiomiopatia è imputabile alla difficoltà di stimare in quale percentuale la disfunzione contrattile presente in un paziente con FA a medio-alta risposta sia da imputare all’aritmia e quanto ad una causa primitiva3. Inoltre, se possono bastare fasi di tachicardia che coprono il 10-15% circa delle 24 ore per indurre disfunzione ventricolare39, talora anche frequenze non straordinariamente elevate (ma comunque inappropriate alle circostanze) possono esitare nello stesso effetto. Ciò è stato dimostrato in uno studio di Chew et al., che impiegava un pacing notturno a 80 bpm41. Esistono inoltre forme “mascherate” dovute a inadeguato controllo della frequenza ventricolare da sforzo (più spesso una tachicardia inappropriata) o nelle attività quotidiane4,42. La diagnosi di tachicardiomiopatia è, infine, spesso difficile da porre quando si è di fronte al quadro clinico-strumentale di scompenso acuto25,31,32,43, perché complessa e non sempre possibile ad una iniziale valutazione è la distinzione tra TIC e cardiomiopatia dilatativa: talora la diagnosi può essere posta o confermata solo retrospettivamente, dopo un adeguato periodo di follow-up, attraverso la dimostrazione ecocardiografica del miglioramento o della normalizzazione della funzione sistolica che avviene a distanza di mesi dal controllo della aritmia responsabile della TIC. Uno studio condotto da Fujino et al.25 ha individuato nelle dimensioni del ventricolo sinistro, nei pazienti con SC e a FA, un elemento chiave per differenziare la tachicardiomiopatia dalla cardiomiopatia dilatativa: nel gruppo di pazienti con diagnosi di TIC, le dimensioni ventricolari iniziali si sono rilevate nettamente inferiori (LVDd: 57,6+/7,2 e LVDs: 49,4+/-8,0) rispetto al gruppo con cardiomiopatia dilatativa (LVDd: 63,4+/-8,8 e LVDs:55,3+/-9,6, p< 0,05). Non significativa , invece , è risultata la differenza nei due gruppi tra i valori del BNP, della frazione di eiezione ventricolare e delle dimensioni atriali. Nella stessa direzione è andato lo studio condotto da Geong et al.34 che ha ribadito la differenza tra i valori dei parametri ecocardiografici, in particolare del LVDd, nei pazienti con TIC e in quelli con cardiomiopatia dilatativa idiopatica, risultando minori le dimensioni ventricolari nel primo gruppo ad una iniziale valutazione. Ha inoltre sottolineato come sia la strategia di rate-control sia quella di rhytm-control della FA abbiano efficacemente determinato l’incremento della frazione di eiezione nei pazienti con tachicardiomiopatia. Nei pazienti, invece, con cardiomiopatia dilatativa idiopatica non vi è stato alcun miglioramento della FE%. Molti punti sulla patogenesi della cardiomiopatia da tachicardia restano ancora oscuri; negli studi sperimentali condotti su animali resi fibrillanti è stato dimostrato che: 1. la stimolazione atriale e ventricolare ad elevata frequenza causa una severa disfunzione biventricolare e modificazioni emodinamiche importanti; 2. la gravità di tale disfunzione è in rapporto alla durata dell’aritmia e alla sua frequenza ventricolare; 3. la disfunzione ventricolare si manifesta appena si stimola il pacing ad alta frequenza; 4. la pressione in arteria polmonare e quella di riempimento ventricolare incrementano progressivamente fino a raggiungere uno “steady state” dopo una settimana; 5. la portata cardiaca, la funzione ventricolare sistolica, i volumi ventricolari deteriorano continuamente senza un plateau fino alla comparsa dopo circa un mese dello SC; 6. con l’interruzione della stimolazione, la pressione arteriosa media, la portata cardiaca e le resistenze vascolari sistemiche ritornano ai livelli basali entro 48 ore. La funzione ventricolare sinistra si normalizza dopo 1-2 settimane; tutte le altre variabili emodinamiche tornano a livello normale solo dopo 12 settimane, mentre ancora dopo 12 settimane la funzione contrattile miocitaria ed i volumi ventricolari restano alterati. Tali risultati non possono essere del tutto estrapolati al modello umano, in quanto il cuore degli animali è normale prima della procedura, la frequenza di stimolazione sperimentale del pacing è più elevata di quella che si rileva nelle tachiaritmie nell’uomo ed inoltre la stimolazione è continua, mentre nell’uomo la frequenza ventricolare varia in rapporto alle variazioni neurormonali7. Gli studi condotti nell’uomo finalizzati a valutare come si sviluppino le modificazioni emodinamiche rilevate nei modelli animali sono ancora piuttosto esigui. I fattori responsabili delle modificazioni strutturali ed emodinamiche ventricolari indotte dalla tachiaritmia sono diversi e non ancora ben definiti; tra questi si annoverano: • riduzione della risposta miocardica alla stimolazione catecolaminergica con aumento dei livelli di adrenalina e noradrenalina, conseguente ad una diminuzione della densità dei recettori β-adrenergici33; • aumento dei livelli dell’ANP, dell’attività reninica plasmatica, dell’aldosterone e dell’endotelina3,25,44; • diminuzione del tessuto contrattile legato alla perdita di miociti, soprattutto a livello subendocardico, attraverso fenomeni di apoptosi e di necrosi3; • riduzione dell’attività della pompa Na-K ATPasi33; 167 168 Recenti Progressi in Medicina, 101 (4), aprile 2010 • riduzione della contrattilità dei miociti con riduzione della densità dei tubuli T e dei canali del calcio di tipo L (anomalia responsabile dell’alterato accoppiamento eccitazione-contrazione)3,33,36,45; • riduzione della densità dei canali di Ito (transient potassium outward current)30; • accumulo di glicogeno nei cardiomiociti; • alterazioni della struttura del citoscheletro miocitario e riduzione delle miofibrille3,33; • alterazioni a carico della matrice extracellulare con fibrosi interstiziale e malallineamento delle fibre (responsabile di rimodellamento ventricolare)3,33; • deplezione delle scorte energetiche (in particolare dei fosfati energetici) con anomalo utilizzo delle fonti di energia25,33. Conclusioni Pur essendo oggetto di notevole interesse della comunità scientifica nonché argomento estesamente dibattuto, l’associazione scompenso cardiaco e fibrillazione atriale presenta ancora alcuni elementi oscuri che ne rendono difficile la gestione, soprattutto terapeutica. In questo intricato puzzle mancano ancora alcuni importanti tasselli; nel corso di questa trattazione sono emersi alcuni quesiti aperti. Ricordiamo i principali: • la discordanza in diversi studi dell’impatto prognostico della FA nel paziente scompensato; • la complessità della condotta terapeutica e l’assenza di specifiche linee-guida; • la non aderenza alle terapie; • l’incapacità di modificare il circolo vizioso che correla le due malattie favorendo l’irreversibile progressione delle stesse; • le difficoltà diagnostiche e interpretative della tachicardiomiopatia. La comprensione più sottile dei meccanismi fisiopatogenetici (neurormonali, elettrofisiologici, morfologici, ecc.) e dei fattori accomunanti le due entità (non solo quelli universalmente riconosciuti come l’ipertensione e la cardiopatia ischemica, ma anche nuovi fattori emergenti, quali i disturbi respiratori nel sonno) potrebbe fornire nuove chiavi di lettura, facendo luce sulle possibili modalità di prevenzione dello sviluppo delle due patologie simultaneamente, sulle modalità per evitare il consolidarsi di tale associazione e reciproco condizionamento ed infine potrebbe individuare strategie terapeutiche innovative e più efficaci nel contrastare una prognosi spesso infausta. Bibliografia 1. Ben Morrison T, Jared Bunch T, Gersh BJ. Pathophysiology of concomitant atrial fibrillation and heart failure: implications for management. Nat Clin Pract Cardiovasc Med 2009; 6; 46-56. 2. Van De Berg MP, Tuinenburg AE, Crijns HJGM, et al. 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