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La marca turistica - Università degli Studi di Urbino

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La marca turistica - Università degli Studi di Urbino
LA MARCA TURISTICA E TERRITORIALE,
di Betti Daniela, Forlani Fabio, Pencarelli Tonino *
Struttura del capitolo
3.1 Obiettivi del capitolo
3.2 La marca: definizioni, elementi costitutivi e funzioni
3.3 La gestione della marca (branding)
3.4 Dal brand al brand turistico e territoriale
3.5 Considerazioni conclusive
Bibliografia
p
p.
p.
p.
p.
p.
3.1 Obiettivi del capitolo
L’immagine di marca risulta un fattore critico di successo d’importanza
crescente anche nella competizione tra destinazioni turistiche, laddove i
processi di acquisto e di consumo sono fortemente condizionati dalla
reputazione e dai segnali di valore connessi al marchio-destinazione. Si
afferma pertanto la necessità di perseguire una corretta gestione della
marca (branding) da parte dei territori a vocazione turistica per
massimizzare il valore dell’offerta agli occhi dei turisti consumatori e dei
potenziali fruitori della destinazione.
La letteratura sul brand (Aaker, 1991; Kapferer, 1995; Kotler 2002; Keller,
2003; Cozzi e Ferrero, 2004; Collesei, Ravà, 2004; Keller, Busacca,
Ostillio, 2005; Pratesi e Mattia, 2006; Fiocca, Marino e Testori, 2007)
sottolinea che le componenti essenziali della marca sono l'identità di marca
(brand identity) e l'immagine di marca (brand image) e che gestire il brand
(branding) implica lo svolgimento dell’insieme di attività finalizzate a
minimizzare il divario tra brand identity e brand image, a partire dalle
scelte di posizionamento di marca (brand positioning).
Nel presente capitolo si sostiene che le attività di gestione del brand
usualmente utilizzate per le imprese, con opportuni e necessari
accorgimenti applicativi, possono essere utilizzate anche per la
valorizzazione delle destinazioni turistiche mediante la comunicazione
*
Il lavoro è frutto di riflessioni comuni. Tuttavia Daniela Betti ha scritto i § 3.2, 3.3, Fabio Forlani i
§ 3.1 e 3.4 e Tonino Pencarelli il 3.5.
1
1
turistica territoriale ed il destination branding (Anholth, 2006; Morgan,
Pritchard, Pride, 2006). Le destinazioni turistiche oggetto dello studio
vengono esaminate alla luce dell’approccio sistemico (Golinelli, 2000),
sottolineando così che esse agiscono all’interno di sistemi territoriali più
ampi e che si distinguono dai semplici luoghi in quanto si qualificano come
sistemi d’offerta e di produzione turistica capaci di allestire prodotti
turistici (Pencarelli e Forlani, 2005, 2002; Pencarelli e Splendiani, 2008) e
di attirare non solo spontaneamente flussi di clientela turistica.
L'adozione della prospettiva sistemica pone, inoltre, in evidenza una serie
di criticità nella gestione dei sistemi territoriali (Cerquetti, Forlani,
Montella e Pencarelli, 2007; Pencarelli e Forlani, 2005) con specifiche
implicazioni sui brand territoriali e turistici. La specificità dell'attività di
destination branding è determinata dalla complessità degli elementi che occorre
considerare in fase di progettazione, considerato che il successo dell'iniziativa
dipende dalla capacità dei decision maker territoriali di costruire consonanza fra
il brand di territorio e quelli aziendali e di network (vds. §3).
Sulla base di tali considerazioni, in questo capitolo, si prendono in esame le
problematiche concettuali ed operative connesse all’applicazione del branding
alla gestione del territorio in una prospettiva turistica. In particolare dopo
un’analisi della letteratura economico-manageriale volta a definire il brand, le
sue componenti e le sue funzioni, a partire dai modelli di creazione e di gestione
di successo implementati dalle imprese industriali e dei servizi, si è svolta una
disamina sulla letteratura turistico-aziendale al fine di comprendere specificità,
problematiche e criticità nella gestione dei brand di destinazione.
3.2
La marca: definizioni, elementi costitutivi e funzioni
Secondo la definizione dell’American Marketing Association “la marca è un
nome, un termine, un segno, un simbolo o qualunque altra caratteristica che ha
lo scopo di far identificare i beni o i servizi di un venditore e di distinguerli da
quelli degli altri venditori”1.
Kotler (2002) afferma che il Brand “è un nome, termine, segno, simbolo o
disegno o combinazione di essi che viene usata per identificare i prodotti o
servizi di un venditore o gruppo di venditori e per differenziarli da quelli dei loro
concorrenti”, mentre Aaker (1991) sostiene che un brand “è un set di attività (o
passività) collegate ad un segno distintivo (marchio, nome, logo) che si
aggiungono (o sottraggono) al valore generato da un prodotto o servizio”.
1
Kotler P., Scott W.G. (2002), Marketing management, Isedi, Torino.
2
2
Il francese Séquéla propone il concetto di marca-persona, riconoscendo nel
brand il nome, ma soprattutto l’“anima del bene”; il nome di marca può essere
trasposto alle caratteristiche tangibili, mentre l’anima all’universo di valori
strettamente connessi.
Pratesi e Mattia (2006) affermano che “il brand ha una propria manifestazione
espressiva; è quindi un insieme di segni e simboli, tangibili e intangibili, che ne
connotano fisionomia e personalità, come accade per un individuo”.
Secondo Fiocca, Marino e (Testori, 2007) “La marca rappresenta per imprese e
consumatori un momento di attrazione e di congiunzione tra ciò che l’impresa è
in grado di offrire e ciò che i consumatori percepiscono e desiderano”
Secondo l’impostazione di Pratesi e Mattia (2006) la capacità espressiva della
marca si può ricondurre:
- all’identità (brand identity);
- all’immagine (brand image);
- al posizionamento (brand positioning).
La brand identity è determinata “dall’insieme degli elementi espressivi utilizzati
dall’azienda per veicolare le credenziali di una marca”2, mentre ciò che i
consumatori percepiscono della marca determina la brand image. Il brand
positioning consiste, invece, nella valorizzazione degli attributi distintivi della
marca agli occhi dei potenziali acquirenti3.
Tra le componenti che permettono alla marca di essere individuabile
visivamente, riconoscibile ed identificabile si ricordano:
• il nome (o brand name)4;
• il simbolo-logo (o brand mark)5
2
Van Gelder S. (2003), opera citata in Pratesi e Mattia (2006).
Un brand può essere posizionato in base:
agli attributi;
ai benefici;
al value for money;
al problem solving;
all’occasione d’uso.
Mentre Pratesi e Mattia (2006, pp. 29-34) sostengono che “il posizionamento serve a
delimitare il perimetro in cui la marca si muoverà, sposando l’impostazione di Pastore e Vernuccio
(2006, p. 111) si afferma che il brand positioning consiste in un processo per posizionare la marca
nella mente dei consumatori rispetto ai competitors.
4
Il nome (Valli, 2003) deve possedere una serie di caratteristiche determinanti quali: riconoscibilità;
memorabilità; distinguibilità; gradevolezza; emotività; creatività; difendibilità legale.
5
Il logo, definito da Pastore e Vernuccio (2006, p. 152) “come il complesso di elementi tipografici,
figurativi e plastici”, costituisce la principale componente della marca iconica.
3
3
3
•
il pay-off6.
Per quanto concerne le principali funzioni della marca, Achenbaum (1993) 7
sostiene che “ciò che distingue un prodotto di marca dai prodotti non di marca e
gli conferisce valore è la percezione complessiva sviluppata dai consumatori in
merito alle sue caratteristiche, al nome che lo identifica e al suo significato,
nonché all’azienda associata a quella marca”.
Nella letteratura di marketing alcuni autori (Cozzi e Ferrero, 2004 e Lambin
2004) sottolineano che la marca svolge funzioni differenti a seconda che si
prenda a riferimento il cliente o il produttore.
Per il cliente finale B2C la marca svolge le funzioni di (Pastore e Vernuccio,
2006; Kapferer e Thoening 1991, 1995):
• identificazione;
• garanzia;
• orientamento;
• personalizzazione;
• simbolismo;
• ludicità;
• praticità;
• relazione.
Per il venditore B2C (Cozzi e Ferrero, 2004), invece, la marca assume le
funzioni di:
• protezione dalle imitazioni;
• posizionamento competitivo;
• arricchimento del prodotto;
• rafforzamento del potere di mercato;
• capitalizzazione;
• influenza nelle relazioni interne (dipendenti);
• influenza nelle relazioni esterne (stakeholder).
Secondo Codeluppi (2000) tali funzioni non esauriscono il ruolo del brand in
quanto “la natura relazionale posseduta dalla marca viene esercitata dalla marca
stessa in varie direzioni:
• verso l’impresa ed i suoi prodotti, cioè verso i soggetti che l’hanno
generata;
• verso i consumatori, operando come un ponte tra il prodotto ed i
consumatori;
6
Il pay-off o motto o slogan è la frase conclusiva di un annuncio o di un comunicato pubblicitario ed
è posta solitamente dopo il marchio (es. Nokia “Connecting people”).
7
Opera citata in Kotler P., Scott W.G. (2002), Marketing management, Isedi, Torino.
4
4
• tra consumatori e consumatori, cioè nelle relazioni che comunemente si
stabiliscono tra gli individui;
• verso le altre marche operanti sul mercato;
• verso l’immaginario sociale”.
3.3
La gestione della marca (branding)
Considerata l’importanza del brand, la sua fragilità8 e le caratteristiche del
contesto socio-economico attuale, si afferma la necessità di perseguire una
corretta gestione della marca, affinché si possano sfruttare appieno ed accrescere
le sue potenzialità. Ogni realtà aziendale gestisce la propria marca, o le proprie
marche, adottando la politica di branding che ritiene più appropriata in ragione
dell’offerta proposta, del contesto di riferimento e dell’immagine che si prefigge
di diffondere.
Con il termine branding Pratesi e Mattia (2006, pp. 36-37) intendono far
riferimento al “processo che serve a caricare la marca di significati,
trasformandola in un’entità “viva” con una propria capacità espressiva (…)
attraverso il quale si pianifica e si realizza un complesso coordinato di azioni nel
rispetto di un unico intento strategico: favorire la crescita durevole del business
grazie al consolidamento della reputazione e della distintività del brand”.
Le attività di branding possono essere ricondotte, a nostro avviso, alle seguenti
azioni:
• ideazione e progettazione;
• creazione, diffusione e gestione;
• tutela della proprietà e difesa giuridica della marca;
• “alimentazione” - sostegno economico e/o di attività;
• monitoraggio e controllo.
In base al livello di pianificazione e formalizzazione del processo attraverso cui
il brand ha origine e si consolida nel tempo, è possibile distinguere tra brand
deliberato9 e brand emergente10.
8
Pratesi e Mattia (2006, p. 13) sostengono che la fragilità della marca sia dovuta sia alla sua
difficoltà di auto sostentamento sia alla necessità di continui interventi volti ad evitare perdite di
valore e di credibilità da parte dei consumatori.
9
“I brand deliberati sono frutto di un processo consapevole e formalizzato, volto ad indurre nella
mente di tutti gli stakeholders del territorio una precisa percezione associata ad uno o più simboli
cognitivi prescelti” Pastore e Bonetti (2006, pp. 83-84).
10
I “brand emergenti sono il risultato di un processo cognitivo spontaneo che induce nella mente di
tutti gli stakeholders del territorio una percezione sintetica ed omogenea dello stesso Pastore e
Bonetti (2006, pp. 83-84).
5
5
L’esperienza maturata all’interno delle imprese insegna che una qualsiasi
organizzazione deve decidere quante e quali marche utilizzare, definendo così
l’architettura del brand o il sistema di brand11.
In altre parole si pone sempre il problema di definire se utilizzare la marca
dell’impresa anche per contrassegnare la gamma, le diverse linee e i prodotti
(per alcune tipologie o indistintamente per tutti i prodotti offerti)12 oppure se
creare marche diverse che contraddistinguano le diverse attività (portafoglio di
brand).
Le diverse tipologie di brand che costituiscono il sistema di brand13 sono:
• il corporale brand o marca aziendale: il quale rappresenta ed identifica
l’azienda nel suo complesso (sintesi della sua storia, dei suoi valori e della
sua cultura);
• il brand gamma: tale brand, di solito alternativo al corporate brand, viene
utilizzato dall’impresa per commercializzare prodotti appartenenti a diverse
categorie merceologiche;
• il brand linea: il quale, utilizzato congiuntamente al corporate brand, viene
apposto sui prodotti dell’impresa che presentano un certo grado di
complementarietà nella percezione dei consumatori;
• il brand prodotto: tale brand, infine, è volto all’identificazione delle
specificità di ciascuna tipologia di prodotto offerto dall’impresa.
Nella definizione dell’architettura del brand occorre considerare che, data
l’evidenza empirica delle esperienze maturate nelle pratiche aziendali, i livelli di
brand percepibili, associabili e memorizzabili dalle persone sono al massimo
tre14: corporate o gamma – linea - prodotto.
Fra le scelte connesse alla gestione della marca un accento va posto sulle
politiche di gestione del portafoglio di brand. A tale proposito in letteratura
vengono presentate due strategie alternative:
11
Secondo alcuni autori [Kotler, Phoertsch (2006, pp. 73-75, 178-181); Pastore, Vernuccio (2006,
pp. 154-155); Pratesi, Mattia (2006, pp. 40-43)] l’espressione brand architecture riassume il
rapporto gerarchico quali-quantitativo esistente fra due o più marche di un’impresa,
indipendentemente dall’appartenenza o meno alla stessa categoria di beni. Altri autori [Corti (2005,
p. 181) e Keller, Busacca, Ostillio (2005, pp. 299-300)] preferiscono invece parlare di “gerarchie di
marca”.
12
Sull’argomento si vedano inoltre Fiocca, Marino, Testori (2007, pp. 25-33); Kotler, Pfoertsch
(2006, pp. 79-91); Pastore, Vernuccio (2006, pp. 154-155); Pratesi, Mattia (2006, pp. 38-50);
Collesei, Ravà (2004, pp. 15-19); Cozzi, Ferrero (2004, pp. 354-356).
13
Sul sistema di brand si consultino Pratesi e Mattia (2006).
14
Keller (2003), citato in Mattia e Pratesi (2006, pp.307).
6
6
• Corporate brand, utilizzata come “marca ad ombrello”. L’impresa si avvale
del proprio nome per identificare l’intera offerta, trasformandolo così in una
vera e propria marca, massimizzandone l’estensione (brand extension)15.
Implementando questa politica, l’organizzazione tende a sfruttare la propria
immagine positiva come elemento di garanzia e credibilità per i vari
stakeholders, conseguendo economie di scala nella comunicazione e, al
tempo stesso, nella distribuzione. E’ però opportuno precisare che nella
gestione di un’unica marca gli effetti negativi dovuti a mutamenti della
domanda o ad un indebolimento del posizionamento del brand si
ripercuoteranno inevitabilmente sull’intera offerta e sull’attività svolta
dall’impresa.
• Politica multimarca. Essa implica la creazione, l’utilizzo e la gestione da
parte di un’impresa di un insieme di brands che, all’interno di una stessa
categoria, sono destinati ad identificare e differenziare i diversi beni offerti
da un’impresa. Dal punto di vista operativo la gestione di un portafoglio di
marche (brand portfolio)16 risulta essere un’operazione piuttosto complessa
dal momento che è necessario che ogni brand venga considerato sia come
realtà a sé stante sia in funzione degli altri, al fine di ottenere vantaggi
concreti dalla politica posta in essere dall’impresa. L’adozione di una
strategia multibranding comporta la riduzione dei rischi legati alla gestione
di un’unica marca (monobranding), in quanto l’andamento negativo di un
brand non va ad influenzare l’andamento delle altre marche presenti in
portafoglio. Ci sono però anche altri aspetti positivi che spingono le imprese
ad adottare la soluzione multibrand.
La politica di gestione del portafoglio di brand si muove, in definitiva, lungo un
continuum i cui estremi sono rappresentati dal branded house e dall’house of
branded17. Il primo estremo presuppone che tutti i prodotti presenti in portafoglio
abbiano la stessa identità di marca e siano posti in posizione di dipendenza
15
Corvi (2007, p. 201) sostiene che per brand extension si debba intendere l’insieme dei prodotti
offerti sotto un’unica identificazione di marca. Per approfondimenti sul tema si consultino anche
Fiocca, Marino, Testori (2007, pp. 57-68); Pratesi, Mattia (2006, pp. 65-73); Collesei, Ravà (2004,
pp. 21-23); Marphy (1992, pp. 5-7).
16
L’espressione “brand portfolio” è utilizzata come sinonimo di insieme di marche di un’impresa da
Kotler, Pfoertsch (2006, pp. 188-191), Collesei, Ravà (2004, pp. 15-23), Cozzi, Ferrero (2004, pp.
354-356). Altri autori [Keller, Busacca, Ostillio (2005, pp. 40-42), Pratesi, Mattia (2006, pp. 39-40 e
pp. 49-54)] associano, invece, alla locuzione l’insieme di brands dell’impresa appartenenti ad una
stessa categoria. Nel corso del presente lavoro si utilizzerà l’espressione “brand portfolio” nella
seconda accezione.
17
Per approfondimenti sull’argomento si rinvia a Kotler, Pfoertsch (2006, pp. 188-189), Pratesi,
Mattia (2006, pp. 49-51) e Mauri (2004, p. 200).
7
7
rispetto al corporate brand, mentre il secondo estremo, al contrario, riconosce
l’indipendenza sia dei vari brands presenti in portafoglio, sia dei brands rispetto
al corporate brand.
3.4
Dal brand al brand turistico e territoriale
Provando a traslare le nozioni di brand elaborate nelle esperienze aziendali al
turismo è opportuno innanzitutto ricordare che l’impresa turistica è un sistema
(Golinelli, 2000) che, a motivo delle specificità del prodotto turistico 18, per
svolgere la sua funzione opera sempre in relazione con i seguenti sistemi:
• i sistemi d’offerta turistica19 che assieme ad essa co-producono20
l’esperienza di viaggio e soggiorno del turista;
• il sistema territoriale21 in cui essa è ubicata.
Inoltrandosi nel complesso fenomeno del turismo22 si ritiene per cui
indispensabile, per aver una maggior comprensione sulle dinamiche
d’interazione e di gestione dei vari brands, analizzare il ruolo dei network (o
sistemi d’offerta turistica) e dei territori(destinazioni) 23 e dei relativi brands.
Un sistema d’offerta turistica è un network (rete) di operatori turistici e non
(struttura) collegati fra loro attraverso un complesso di relazioni formali e
informali (schema organizzativo) che vengono attivate (processo) al fine di
produrre una o più esperienze turistiche (prodotto).
I sistemi d’offerta possono essere consapevoli o inconsapevoli, deliberati o
emergenti, formalizzati o non formalizzati, in generale essi si dotano di un brand
che ne specifichi l’identità quando le componenti (sub-sistemi) che lo
costituiscono hanno consapevolezza dell’esistenza del network e condividono i
fini e gli intenti strategici.
Un sistema d’offerta per poter essere gestito in ottica manageriale (Golinelli,
2000) deve assumere la forma organizzativa del sistema vitale24, per cui un
18
Pencarelli e Forlani (2002 e 2005); Forlani (2005).
Per approfondimenti vedasi: Pencarelli e Forlani (2002, 2005); Della Lucia, Franch, Martini,
Tamma, (2007) , Cerquetti, Forlani, Montella, Pencarelli, (2007), Martini (2005); Della Corte
(2000); Brunetti (1999); Rispoli e Tamma (1995).
20
Sulle modalità di co-organizzazione del prodotto turistico fra attori della domanda e dell’offerta
vedasi fra gli altri: Rispoli e Tamma (1995); Pencarelli e Forlani (2002); Forlani (2005).
21
Per approfondimenti vedasi Forlani (2005); Golinelli C.M. (2002); Vesci (2001); Gallucci (2003);
Valdani e Ancarani (2000); Caroli (1999).
22
Per l’analisi del rapporto fra attori del turismo, settore turistico e sistema turistico si rinvia a
Pencarelli (2003) e Pencarelli (2003b)
23
Per una analisi del concetto di destinazione vedasi: Pencarelli e Splendiani (2008) e Pencarelli,
Bellagamba, Brunetti, Vigolo (2007).
24
L’approccio sistemico vitale richiede:
19
8
8
brand di sistema (per poter essere l’elemento catalizzante dello stesso) deve
avere le seguenti specificità25:
• un sistema culturale, di valori, e un complesso di elementi grafici che ne
specifichi l’identità;
• un meccanismo di selezione degli elementi strutturali (carta qualità o
requisiti di adesione) che permetta di definire i confini del sistema (chi sta
fuori e chi sta dentro) e un meccanismo di controllo (certificazione) che
consenta la regolazione (feedback negativo) dello stesso;
• un processo vitale e degli output da esso generati a cui il brand deve essere
applicato e tramite il quale prende corpo e si rende tangibile. Il processo
d’emersione del sistema identificato dal brand genererà un complesso di
attività e di servizi per gli elementi sub-sistemici (output interni quali
l’applicazione del marchio al singolo aderente) e sovra-sistemici (output
esterni quali i prodotti nei networks che condividono dei prodotti).
Un brand di un sistema d’offerta o di network è quindi, in tale prospettiva, una
marca sovra-sistemica al sistema impresa (meccanismo di condivisione del
brand) che può fungere, ad esempio, da brand “ombrello” (gamma o linea) per
tutte le componenti sub-sistemiche.
Il brand territoriale, invece, può essere definito come “un nome e/o un simbolo
(logo o marchio) caratterizzante, che identifica un’area e la differenzia dai
•
•
La presenza di un organo di governo (leader);
La formalizzazione della struttura operativa (definizione degli elementi strutturali facenti
parte del sistema – determinazione dei confini), la specificazione dei ruoli delle singole
componenti (specificazione delle componenti strutturali e delle relazioni fra le stesse) e
l’implementazione di un meccanismo di monitoraggio (feedback negativo);
•
Un processo di emersione.
25
L’impostazione sistemica ha trovato riscontro anche nelle case history presentate nel convegno
“Prove per la costruzione di un network gastronomico tra i territori dell’Adriatico” tenutosi a
Cattolica (08/11/2007) (organizzato all’interno del progetto PadmaLab). In particolare Pollarini ha
evidenziato che:
a) I sistemi cooperativi per funzionare richiedono la presenza dei seguenti elementi:
•
leadership;
•
partecipazione coordinata degli attori;
•
ruolo di ciascun attore ben definito;
•
sistema di verifica dei risultati nel breve e nel lungo termine.
b) Le marche cooperative funzionano attorno a tre principi:
•
un sistema valoriale;
•
un sistema di input (carta qualità, regole di adesione al network, certificazione e
controllo);
•
un sistema di output (strumenti attuativi come l’applicazione del marchio, la
comunicazione, la commercializzazione di prodotti).
9
9
territori concorrenti, rappresentando la sintesi degli elementi oggettivi, cognitivi,
valoriali, emozionali dell’offerta” (Pastore e Bonetti, 2006). Il brand territoriale
è quindi “frutto di un continuo e dinamico processo di costruzione nella mente
del fruitore del territorio che, pertanto, viene influenzato dalle esperienze, dai
ricordi e dai giudizi espressi dagli altri fruitori con i quali entra in contatto”
(Pastore e Bonetti, 2006)26. Un brand risulterà, pertanto, idoneo a rappresentare
in modo unitario le componenti di offerta di un territorio non soltanto quando
saranno opportunamente scelti gli elementi che costituiscono la marca, ma anche
quando il brand stesso sarà opportunamente veicolato e recepito dai destinatari
(Deutsch, Real, 2002)27.
Sulla base delle considerazioni fatte è possibile schematizzare la complessità
della gestione delle marche territoriali utilizzando la figura 1. Da tale figura
risulta chiaramente come per un impresa turistica o un organizzazione che opera
nel turismo deve essere capace di creare e gestire la propria marca in modo
consonante con quella dei network a cui aderisce (o in cui i clienti la inseriscono)
con quella del territorio in cui è insediata. La consonanza delle immagini di
brand potenzia infatti l'effetto comunicativo delle singole azioni attraverso un
sostegno reciproco. La mancanza di consonanza genera invece confusione e
incertezza sul posizionamento del territorio e conseguentemente delle offerte
dello stesso.
Fig. 1 - La complessità della definizione della marca territoriale
26
Il brand territoriale rappresenta, quindi, “una promessa ai potenziali fruitori di un’area,
un’aspettativa di performance ed un segno di integrità e reputazione (Travis, 2000).
27
Opera citata in Pastore e Bonetti (2006).
1
1
Fonte: nostra elaborazione
Essendo oramai chiara l'importanza che svolge l'immagine della destinazione
(destination image) sulle decisioni di acquisto dei turisti e l'importanza svolte da
forme aggregative (STL, club di prodotto, network di marchio ,ecc.) nella
competizione turistica (Sciarelli, 2007) il problema manageriale non è più se
creare o no dei brand di network e di territorio, ma stabilire chi lo deve fare e
con quali risorse. In altri termini il problema non è di destination branding , in
quanto tale attività può attingere e apprendere dalle esperienze aziendali, ma di
destination management. La letteratura manageriale turistica e territoriale28, a
tale proposito, evidenzia infatti le seguenti criticità:
• difficoltà nel delimitare con precisione i confini del territorio a vocazione
turistica al quale riferire il brand;
• difficoltà connesse all'individuazione dell'organo di governo preposto alle
attività di branding;
• coesistenza di diversi livelli di governo del territorio, ciascuno con obiettivi
e filosofie di branding differenti;
• natura esperienziale del processo di fruizione dell’area geografica
considerata;
28
Cfr anche Pastore e Bonetti (2006, pp. 81-83).
1
1
• difficoltà di sintetizzare, attraverso un unico brand, un portafoglio di attività
territoriali molto eterogeneo;
• presenza di molteplici stakeholder, con attese non sempre conciliabili e per
le quali non necessariamente la valorizzazione turistica del territorio
rappresenta una priorità.
• esistenza di marche geografiche e storiche consolidate29;
• necessità di convivenza tra brand pubblici e privati30.
In definitiva è possibile implementare una strategia di destination branding
all'interno di una più generale strategia di destination management.
Una volta chiarito questo aspetto si può, quindi, cercare di gestire la complessità
data dalla coesistenza obbligata dei brand aziendali, di network e territoriali,
attraverso un adattamento specifico delle buone pratiche di corporate branding.
In tal senso molto utile risulta essere in contributo di Pastore e Bonetti (2006)
che individua quattro strategie distinte:
• strategia di brand unico, che consiste nella scelta di utilizzare un unico
marchio per veicolare l’immagine di un intero territorio rispetto a tutti i
target e/o a tutti i tematismi dell’azione di marketing;
• strategia di brand unico con varianti, che consiste nella scelta di declinare
un brand unico rispetto alle diverse sub-aree di cui si compone il territorio
oppure in riferimento ai tematismi territoriali rilevanti;
• strategia di brand individuale con richiamo, che consiste nella scelta di
promuovere brand specifici e diversi tra loro collegati ad un brand
territoriale unificante;
• strategia di brand individuale che consiste nella scelta di promuovere brand
specifici e diversi tra loro per ognuna delle sub-aree e/o dei tematismi che
esistono in un’area.
29
Tutti i territori hanno delle “marche storiche” più o meno affermate, dovute al sedimentarsi degli
avvenimenti e del vissuto dei territori stessi. Ad esempio Roma o Firenze sono famose in tutto il
mondo sia per le attrazioni strutturali (monumenti, musei e opere d’arte) sia per la storia. A questo
proposito i libri di storia e di geografia sono, infatti, i primi divulgatori delle marche territoriali.
30
A differenza delle marche aziendali e di network che sono “privatistiche” e possono essere gestite
in chiave manageriale, i brands territoriali sono “beni pubblici” e per tale motivo la loro gestione va
demandata alle istituzioni territoriali di riferimento.
1
1
3.5
Considerazioni conclusive
Il capitolo ha messo in evidenza che il concetto di marca è applicabile ad una
destinazione turistica ed a un territorio, seppure con opportuni accorgimenti, che
devono tenere conto della maggiore complessità che una destinazione possiede
rispetto ad un’impresa, per quanto grande e complessa essa sia.
Come sottolineato nel capitolo introduttivo del volume, la sfida per i decision
maker territoriali è in primo luogo di trovare soluzioni in grado di soddisfare le
attese degli stakeholder del territorio concepito non solo in quanto destinazione
turistica. Ciò significa inserire il destination branding all'interno di percorsi di
gestione strategica del territorio-destinazione e sviluppare azioni di capaci di
soddisfare gli attori territoriali attirando sia turisti (destination management), sia
capitale umano qualificato, sia nuovi investimenti nei comparti compatibili con
la vocazione turistica assegnata al territorio. La comunicazione turistica pubblica
deve pertanto trovare il giusto bilanciamento tra le attività di branding collegate
direttamente alla destinazione e le attività di branding riferite a network di
produttori o al portafoglio prodotti che la destinazione è capace di offrire al
mercato turistico, coordinando le proprie iniziative con quelle degli altri attori
turistici.
Il destination branding necessita quindi di importanti adattamenti alle specificità
culturali, sociali, economiche, storiche, politiche, giuridiche ed organizzative dei
sistemi territoriali turistici, imponendo processi di comunicazione pubblica
molto più raffinati e complessi della semplice comunicazione commerciale
d’azienda. Questo sebbene risulti evidente che la marca, anche quando applicata
ai sistemi turistici, non si sottrae dallo svolgere le funzioni tradizionali che le
competono, ossia identificazione, orientamento, garanzia, personalizzazione,
ludicità e praticità, assicurando equilibrio tra aspetti materiali ed immateriali,
funzionali e evocativi e simbolici.
Del resto, la marca territoriale e turistica alimenta valore sia sul fronte dei consumatori che sul fronte dell’offerta, generando benefici economici (brand equity) a
tutti gli attori territoriali, a prescindere dal loro diretto contributo in termini di risorse ed attività.
Emerge in definitiva che per comunicare efficacemente una destinazione turistica non è sufficiente attivare risorse finanziarie e trasferire acriticamente modelli
di gestione della marca delle imprese ai territori: occorrono competenze manageriali e politiche, capaci di porre in essere strategie di destination management, di
costruire consenso all’interno del sistema territoriale e di veicolare l’identità ed
i valori della destinazione turistica ai mercati turistici domestici ed internazionali.
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