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vito barresi marca territoriale
Provincia di Crotone
ASSESSORATO ATTIVITÀ PRODUTTIVE .
TURISMO . AGRICOLTURA .RISORSE NATURALI .
FORESTE . ACQUE . ENERGIA .
LINEE GUIDA DEL
PROGETTO MARCA TERRITORIALE
PER IL SISTEMA TURISTICO
PROVINCIA DI CROTONE
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Assessorato Provinciale
Attività Produttive . Turismo . Agricoltura .
Risorse Naturali . Foreste . Acque . Energia .
Assessore / Dr. Francesco Pugliano
Dirigente Settore 07/ Vito Barresi
Questa ricerca è stato effettuata per la Provincia di Crotone-Settore 07
da Key People, Milano, 2006
“Realizzazione di una Marca Territoriale per il sistema turistico della Provincia di Crotone”
Delibera Giunta Provinciale. n. 491 - 23.11.2005 / Determina Dirigenziale n. 2148 - 2005
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Brevi cenni sulla Marca territoriale crotonese.
Un progetto innovativo per l’immagine e la
comunicazione turistica della provincia.
Con il titolo “Marca Territoriale Crotonese ” si vuole indicare un “campo
aperto” (open field) di idee, confronti, linguaggi, approfondimenti tematici,
sociologici e storici, nonché tradizioni, luoghi, siti, percorsi, itinerari, economie,
paesaggi, geografie, mappe, saperi, gusti di una determinata area del
Mezzogiorno d’Italia e del Mediterraneo contemporaneo, ma anche un posto dove
il viaggiatore può cogliere, nel tempo della propria vacanza, “Tutto il piacere
del sud in un'unica provincia. Crotone.”
La “marca territoriale crotonese” è qui intesa come spazio strutturale e
strutturante (personal space/land space ) ove tutti i soggetti, singoli e associati,
accanto all’articolata presenza delle istituzioni, possano, in un quadro monitorato
di programmazione, governare insieme lo sviluppo locale, contribuendo alla
promozione dell’immagine turistica, agricola, naturale e produttiva del territorio
provinciale e dei suoi connessi sistemi locali.
La “marca territoriale crotonese” è un concreto snodo operativo, un contesto
progressivo in cui la Provincia, in quanto espressione della funzione pubblica
esercitata in tema di sviluppo locale, ha come proprio obiettivo la mediazione
comunicativa della soggettività territoriale (rappresentanza), con l’incarico di
trasmetterla all’esterno, promuovendo una competitività sostenibile e una
internazionalizzazione dialogale, al fine di valorizzare il patrimonio di intraprese,
produzioni, arte, cultura, accoglienza, artefatti e manufatti, oltre che la propria
identità storica di “provincia del pensiero” nella nuova dimensione globale e
multiculturale, avvalendosi di uno o più marchi di riconoscimento, tracciabilità e
rintracciabilità, in forma di simbolo ed eventualmente logotipo.
La “marca territoriale crotonese” potrà assumere anche forma di
associazione e di osservatorio tale che i soggetti protagonisti del sistema
provinciale delle imprese (pmi), della concertazione e della coesione sociale, gli
enti e le istituzioni aderenti nei diversi settori del turismo, agricoltura, agroalimentare, enogastronomico, attività produttive, acque, energia, caccia, pesca,
foreste, politiche di sviluppo territoriale, risorse naturali e tempo libero,
nell’ambito della specifica autonomia, potranno darsi una struttura e coordinare
le proprie attività in tema di politiche commerciali, logistica, politica del
consumatore, tutela dei marchi, questioni legali, scambi informativi, studi e
ricerche, formazione, con l’obiettivo di promuovere gli interessi di sviluppo
turistico, agroalimentare e di crescita del territorio provinciale e dei propri
sistemi locali.
Si dirà, in termini meno riduttivi, che la diversità metodologica e concettuale tra
la “marca territoriale” e i marchi si esprime sui piani di una differenziazione tra
la marca territoriale intesa come un “presidio”, una struttura funzionale di
comunicazione, un’osservatorio delle tendenze istituzionali, sociali, economiche,
culturali e relazionali e il marchio inteso come concrezione stilistica, coordinata e
stilizzata di segni ed emblemi, simboli e colori, espressione di appartenenza e di
identità che non si appiattiscono dentro l’angusta logica del mero blasone.
La Marca Territoriale Crotonese promuoverà studi, ricerche e progettualità
in tema d’immagine, sistema di segni locali, posizionamento mediale, innovazione
e internazionalizzazione, anche collegandosi e coordinando in materia le azioni
delle agenzie di sviluppo locale, quali ad esempio l’Agenzia Sviluppo Turistico
(Asvitur), l’Agenzia per la Promozione e la Tutela del Patrimonio
Agroalimentare Crotonese (Buona Terra Crotonese), raccordando le loro
politiche di marketing di prodotti, servizi, con i processi di
“internazionalizzazione” e competitività della cultura locale e territoriale.
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La “marca territoriale” va intesa in quanto strategia che si avvale di un progetto
comunicativo di identità forte, che si attiva esprimendo e manifestando i segni
basilari di un sistema di comunicazione (quali il marchio, i colori di bandiera e
ogni altra applicazione) collegato agli strumenti dell’informazione, della
conoscenza e della promozione di un marketing territoriale .
Attivare i processi di ideazione e “lavorazione” di un marchio territoriale,
realizzarlo e introdurlo nei circuiti della comunicazione e della fidelizzazione,
costituisce un fatto inedito che si estrinseca in varie innovazioni a livello sia di
processo deduttivo, determinativo e operativo che di “elaborazione” del prodotto
finale.
Da qui la necessità di mettere insieme politiche di marketing, riguardanti i
prodotti, intesi come “pacchetti turistici”, i servizi territoriali disponibili e fruibili
dall’utente viaggiatore (carta del turista, tutela del consumatore, standard
minimi di prestazione sanitaria, Asl, presidi medici infermieristici, informazioni e
pronto intervento, tempo libero, sport spettacoli, card di spesa culturale ecc.) e,
per questa via, il complesso della “commercializzazione” del prodotto locale e
ambientale nella gamma della sua interezza.
Tutto questo impone un alto livello di selettività, l’attivazione di competenze
adeguate allo sforzo di delineare l’immagine di uno specifico e originale luogo di
“destinazione”, inteso, percepito e “consumato” in quanto variabile
multidimensionale, fonte sia del benessere del singolo utente-turista sia di quello
della collettività territoriale che lo fabbrica, lo propone e lo scambia sui mercati
turistici nazionali ed esteri .
Molto più che nel passato, il turismo si è strutturato in quanto “fabbrica” di
servizi ad alto valore aggiunto, industria del tempo libero e della vacanza che
richiede procedimenti e componentistiche di filiera.
Non casualmente generare, nel ciclo continuo delle stagioni annuali, una logica
programmata di misure e azioni promozionali, richiede una raffinata capacità
previsionale, l’elaborazione intelligente di “un’agenda turistica” locale
provvista di una propria articolazione semantica di snodi, soste, eventi,
piattaforme e incontri. Cioè, un movimento turistico, un “sistema turistico
aperto”, chiamato ad una dialettica permanente con le istituzioni e il mercato, ma
anche a ” tarare” una continua sintonizzazione con i gusti e le mode predominanti
nelle borse di riferimento.
In sintesi, siamo di fronte a fattori strategicici e tecniche innovative per il
successo dell’impresa turistica, a cui devono essere affiancati atti direzionali e
impulsi manageriali specialisticamente rivolti al miglioramento degli indici di
qualità e alla salvaguardia dell’immagine del territorio.
Nei termini complessivi, indicizzabili e quantificabili, delle ricadute economico –
sociali – culturali e ambientali.
Vito Barresi
Dirigente Settore 07 Provincia di Crotone
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…Allorché fui sul punto di dare l’ultimo sguardo
verso il Mar Ionio, avrei desiderato peregrinare
all’infinito nel silenzio del mondo antico,
scordandomi del presente e di ogni suo rumore…
George Gissing 1897
“By the Ionian Sea”
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CAPITOLO 1
IL TERRITORIO TRA PIANTA E MAPPA
Analisi della situazione di partenza, dei bisogni e delle potenzialità
(Sociological Outline)
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1. Il territorio.
Uno spazio in tensione tra globale e locale.
Nelle dinamiche evolutive della vita contemporanea, il territorio oltre ad essere inteso secondo il convenzionale schema concettuale
della fisicità geografica - è analizzato (matematizzato e
computerizzato) come campo d’indagine, luogo in cui agiscono e si
muovono forze convergenti e divergenti; in quanto circolo di
mentalità, idee, procedure e modelli, vi si strutturano i rapporti
economici e sociali, astratti e operativi, i contesti attuativi delle
attività produttive ed ecologiche delle comunità che vi risiedono, non
solo stabilmente ma anche temporaneamente o di passaggio.
Con l’avvento delle nuove tecnologie informatiche e delle
multimedialità, il territorio è entrato nella nuova era di una spazialità
nomadica. Ragion per cui, se prima esso misurava e configurava il
rapporto d’equilibrio tra ordine e mutamento, terra e uomini,
geografia e politica, storia e memoria, oggi ha radicalmente cambiato
ruolo e connotazione.
Oltre ogni criticità, al di là di specifiche contraddizioni cicliche e di
fase, generate dal declino del vecchio ordine del libero mercato, al
territorio è stata assegnata la funzione di specchiare e strutturare
localmente la tendenza generale alla stabilità internazionale, nonché
il controllo periferico di ogni spinta, disfunzionale ed entropica, ai
danni del sistema e della centralizzazione delle decisioni e delle
sovranità.
Nel processo di assestamento di questa inedita dimensione
postmoderna della vita, l’ordine mondiale tende a consolidarsi su una
norma fondamentale di garanzia e di controllo, finalizzata al
sostegno e alla priorizzazione delle politiche di stabilità economica,
sicurezza internazionale dei flussi comunicativi, commerciali, politici
e militari. Questa norma si propone come un modello operativo,
munito di specifiche clausole di convergenza, per agire e svolgere
ogni legittima attività in una società in cui il rischio rappresenta una
realtà effettiva ed effettuale, la cui minaccia sull’ordine e la
tranquillità pubblica è costante ed incombente.
Terrorismo,
approvvigionamenti
energetici,
stati
canaglia,
manipolazioni tecniche, criminalità, disastri ecologici e naturali, crisi
economiche e commerciali, sono le variabili di un quadro multiplo e
multipolare di scenari entropici, in cui scatta il conflitto
incontrollato, la violenza prodotta e indotta da disfunzioni latenti e
manifeste, sia in sede di sovranità nazionale che in ambito di diritto e
relazioni internazionali.
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Il luogo nativo, il toponimo, lo spazio di collegamento tra sviluppo
della comunità entro cui tutto questo avviene, è inteso come limite,
sorgente di rischi e minacce, ma anche come baluardo, avamposto,
piattaforma dislocativa della sicurezza, dove allestire un sistema di
monitoraggio, basato sul controllo geografico ed anagrafico del
territorio e delle sue popolazioni.
Tuttavia, in questo sistema di controllo integrato e globale, il
territorio continua ad essere anche e più semplicemente un punto di
mediazione tra istituzioni intermedie e cittadinanza amministrata.
Proprio per questo, è ancora in atto una laboriosa opera di
ridefinizione concettuale del territorio.
Il punto di svolta, in termini di superamento dei tradizionali
paradigmi geopolitici del territorio, si è manifestato apertamente con
il poderoso balzo in avanti dei processi di globalizzazione.
La globalizzazione si è imposta, nella specificità di una propria
configurazione geofisica, in quanto spazio non derivato dal territorio,
situandosi al di fuori delle relazioni fra gli stati, per collocarsi dentro
una linea di interconnessione, ove si proclama e pubblicizza, un
proprio e autonomo territorio d’eccellenza, il luogo virtuale della
rappresentazione globale ormai da tutti conosciuto, attraversato e
praticato: la rete delle reti, Internet.
Con l’avvento di Internet, il territorio è apparso sempre più
minacciato nella propria fisicità, rapidamente travolto, oltre che dai
processi di omologazione culturale, anche e sopratutto da più
devastanti fenomeni di riduzione del proprio mondo e dei propri
riferimenti valoriali ad una sola dimensione.
L’unidimensionalità di segno globale (in parte coincidente con la fine
delle ideologie), la conclusione della logica dei blocchi e del
bipolarismo delle superpotenze, il superamento della guerra
convenzionale, l’avvento di nuovi aggregati di sovranità tra cui
l’Unione Europea, il conio della moneta unica, è certamente
all’origine della crisi del modello italiano, con il conseguente
ripiegamento e riflusso del “made in italy”.
La rottura dei vecchi assetti, ha generato un processo di
“periferizzazione” della vita italiana, che si è rinchiusa nella corte
difensiva di vaste aree metropolitane. Nel quadro di queste
trasformazioni, il territorio è divenuto una sorta di “not space”, un
“non luogo” ma anche una “contact-zone”, una zona di confine,
demarcazione e, dunque, di contatto tra globale e locale.
Il territorio è stato in questi decenni il luogo di una complessa
mediazione di questi effetti negativi.
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Per cui esso, superato questo convulso ciclo, torna a riproporre la
propria centralità non come sopravvivenza o resto del passato,
archeologia e vestigia dell’eredità culturale, ma in quanto circuito
agente, evento strutturante sia della contemporaneità che del
perdurante, luogo dello scambio e delle “performances” tra un già e
un non ancora.
La crisi (e per questa via anche il riscatto e il rinascimento del
sistema italiano) oltre ad essere la risultante della dissoluzione dei
tradizionali collegamenti (e delle relative contraddizioni) tra città e
campagna, centro e periferia, istituzioni e cittadinanza è anche il
prodotto della segmentazione delle memorie e delle identità
collettive sociali, nazionali, regionali e locali.
In questo senso il futuro di una realtà locale sarà duplice. Da un lato
essa è destinata ad autenticarsi, (a “marcarsi”, contrassegnarsi) in
quanto specifico e originale microambiente, nella nuova e dominante
rappresentazione dello spazio virtuale, della rete Internet, del web.
Dall’altro è chiamata a ridefinire e riqualificare la propria identità,
rimotivando con una nuova e specifica narrazione (nella forma e
nello stile dell’ipertestualità) la propria storia e le proprie memorie, i
segni e gli stemmi, i simboli e le marche di un luogo geograficamente
e territorialmente identificabile.
Per cui la tradizionale dimensione "locale", con i propri spazi di
strada, vicolo, quartiere, comunità, frazione, villaggio, paesino, sarà
esistente e reale solo se riuscirà a riemergere all'interno di questi più
ampi circuiti comprensivi.
Quando, ad esempio, i comuni dell’antico Marchesato crotonese, la
Provincia di Crotone con le proprie comunità dislocate tra le valli del
fiume Neto e del fiume Tacina, saranno in grado di ridefinirsi nei
termini di “marca territoriale”, potranno essere riconoscibili e
sintetizzabili al punto di tutelare la propria identità.
La nuova connotazione di marca, potrà così agevolare il ricentraggio
dell’identità locale aiutando il territorio a non disperdersi, favorendo
il suo inserimento nel circuito più complesso dell’innovazione, della
competitività, e della comunicazione.
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2. La marca come mediazione comunicativa.
Al giorno d’oggi il territorio è sempre più utilizzato, vissuto e
rappresentato come un vero e proprio bene di consumo.
Il territorio, inteso come un bene patrimoniale, materiale ed
immateriale, è sempre più sottoposto ai parametri ed agli indicatori
economici, sia per quanto riguarda gli standard di valutazione che
per quel che concerne ogni eventuale utilizzo delle sue strutture,
infrastrutture e risorse naturali e storico-culturali.
Tale valutazione tecnico-economica, si manifesta anche nella
consolidata tendenza a strutturarsi in specifiche quotazioni
economiche e di mercato, così come avviene nelle principali borse
nazionali ed internazionali del turismo, dei percorsi enogastronomici
e delle risorse naturali, ove si attua la “commercializzazione” del
territorio turistico, ricettivo ed insediativo da parte delle imprese,
anche usufruendo delle iniziative di promozione pubblica nazionale e
locale.
In questo mutato scenario nazionale e internazionale, le autonomie
provinciali che intendano definire una propria politica attiva e
concertata di sviluppo turistico del territorio, devono dotarsi di una
specifica certificazione di garanzia, rappresentata da una “marca
territoriale” turistica e agroalimentare, che sintetizzi gli obiettivi di
sistema che si intendono perseguire.
Tra tali obiettivi, assumono particolare rilevanza il processo di
destagionalizzazione del turismo provinciale, il riposizionamento
dell’offerta turistica territoriale e la sua immagine sui mercati
europei, la qualificazione dell’offerta ricettiva, commerciale e di
servizio, lo sviluppo territoriale secondo principi di sostenibilità e di
autocertificazione, la tutela del mare, dei fiumi e delle risorse naturali
quali fattori propulsivi e qualificanti del sistema turistico territoriale.
Pertanto definire una marca per il sistema economico e produttivo
della Provincia di Crotone, richiede l’attivazione e l’attuazione di un
processo nuovo ed originale, che abbia l’obiettivo di mettere insieme
politiche di marketing di prodotti e servizi, nonché la
“commercializzazione” di cultura locale e risorse naturali, in modo
che gli attori del sistema possano avere a disposizione uno strumento
di comunicazione territoriale, che veicoli la propria immagine ed i
propri programmi, che sia direttamente fruibile da tutti gli operatori,
in una logica di “business community” orientata all’ospite.
Proprio perché oggi i prodotti si possono clonare con facilità occorre
avvantaggiarsi di ogni differenziale competitivo, specie se
rappresentato dall’unicità del territorio, del suo patrimonio diretto e
derivato, nonché dal complesso delle proprie eredità culturali.
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La “marca territoriale crotonese” deve far diventare questa
provincia, cittadina del mondo.
La marca, se ben strutturata, possiede una identità deduttiva
chiaramente identificabile, in quanto oggetto di un costante “fine
tuning”.
Tuttavia, nella sensibilità contemporanea, la questione dell’identità
non può più presentarsi con il volto di una equivoca eticità, ma nella
dimensione dinamica di un innovativo e comprensivo
multiculturalismo, cioè un’identità che gioca la propria credibilità e i
propri valori nel perimetro di una “società aperta”, in cui l’identità
intesa come autenticità di un luogo, di un territorio, di una comunità,
può essere costantemente sottoposta alla verifica di una sua
falsificabilità e/o autenticazione, proprio attraverso una procedura e
un principio di autenticazione di marca.
Come ha osservato Giampaolo Fabris: “la marca deve conservare,
anche in giro per il mondo, una propria identità e fisionomia
adattandola però, costantemente alle culture locali. La marca deve
rinunciare alle velleità, con miopia e arroganza, in termini
monolitici:ignorando la dialettica sociale con i Paesi in cui intende
diffondersi. L’identità di fondo della marca non può che essere
messa in discussione soprattutto a fronte del nuovo consumatore
cosmopolita, socialmente mobile e/o cybernauta che non può certo
essere esposto ad opzioni molto diverse o contraddittorie.”
In origine la parola "marco" non aveva niente a che fare con la
moneta. Nella lingua antica tedesca 'marcha' significa confine,
delimitazione. Ancora oggi le parole "marcare" (in tedesco:
"markieren") testimoniano questa origine. "Markstein" è ancora oggi
il nome della pietra che indica il limite di un territorio. "Mark"
divenne poi il nome del territorio di confine, infatti da lì vengono
nomi come "Danimarca" (regione dei danesi), "Mark Brandenburg"
(nome tradizionale della regione tedesca di Brandeburgo) e anche "le
Marche". Le Marche erano infatti zona di confine con il Sacro
Romano Impero. I feudi che gli imperatori davano ai nobili da
condurre si chiamavano marchesati, da cui presero il nome la Marca
di Fano, la Marca di Camerino, la Marca di Ancona. Ecco perché oggi,
pur essendo una singola regione, la regione ha il nome al plurale.
“Marchese” in tedesco è “Markgraf”, cioè conte di una zona di
confine.
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3. Il Marchesato di Crotone
e le protomarche territoriali.
In questo senso la costruzione di una nuova marca richiederà
necessariamente un’ampia opera di ricognizione, scavo e sondaggio
nel campo aperto del vissuto territoriale.
Questa analisi, anche segmentata e diacronica, deve essere impostata
e intesa sopratutto come ricostruzione di nessi logici, variazioni
permanenze, rotture dei paradigmi culturali locali, rotazioni d’epoca,
sia del “parlato” territoriale che delle sue dislessie, sia del rumore di
fondo del cosmico silenzio che del fragore dello scontro di civiltà.
A tal punto che dentro la storia di lunga durata di una “città dei tre
millenni”, è già ipotizzabile individuare profili e colori di una marca
che si delinea nella trasparenza della prospettiva storica, seguendo
specifiche fasi:
a. un primo stadio, indistinto di paleomarca territoriale
rappresentato dalla Magna Grecia, epoca in cui il territorio viene
contrassegnato e distinto in termini archeologici (segni-simbolo,
monetazione, numismatica);
b. un secondo stadio, marcato dall’espandersi della religione-mondo
del cristianesimo con la fondazione del presidio territoriale cattolico
rappresentato dalla diocesi di Crotone e da altri vescovati locali
(segni simbolo, stemmi vescovili);
c. un terzo stadio, contraddistinto dalla marcatura geopoliticamilitare del crotonese nel contesto del Mediterraneo, con la
istituzione del Marchesato di Crotone,
la costruzione della
piazzaforte spagnola quale base dell’espansionismo imperiale nel
Mediterraneo di Carlo V;
d. un quarto stadio, contraddistinto dalla marcatura economicosociale del sistema agro-silvo-pastorale locale del latifondo che
definisce i contorni del rapporto tra costa e bosco, tra mare e
montagna;
e. un quinto stadio con la definitiva e nuova configurazione
dell’autonomia territoriale, avvenuta con l’istituzione della Provincia
di Crotone.
Una volta impostato tale schema sarà più evidente, ma non solo, il
collegamento soprattutto tra nuova marca territoriale e antico
“marchesato” e, dunque, con Crotone. Un legame forte e distintivo
tra i soggetti preposti al comando e il territorio da comandare.
Storicamente con il termine “marchesato” si individuava una signoria
territoriale controllata, nei secoli centrali del Medioevo, da una
famiglia che nei secoli precedenti era stata investita della carica e
delle funzioni di marchese.
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Non si differenziava da altre analoghe signorie territoriali se non per
la possibilità di legittimare questo potere in base al precedente
esercizio di funzioni pubbliche di governo.
Comprendeva diversi comitati, grazie all'assunzione diretta dei titoli
di conte da parte del marchese, o alla sottomissione dei titolari dei
diversi comitati.
Nella carica erano prevalenti le funzioni militari. Nuove famiglie vi
giunsero grazie all'opera di riforma di Ottone I e dei suoi successori
nella seconda metà del X secolo, particolarmente rilevante nell'Italia
settentrionale.
Le famiglie marchionali furono in seguito tra i principali protagonisti
del processo di profonda trasformazione delle istituzioni: basandosi
infatti su un ampio patrimonio, sulla forza militare e sul prestigio
derivante dal tradizionale esercizio di poteri pubblici, furono spesso
in grado di creare, tra XI e XII secolo, ampie signorie territoriali, che
assunsero, appunto, il nome di marchesati.
Il titolo nobiliare di marchese si conservò anche in età moderna. E’
come se tutto ciò che ci circonda ci stia suggerendo il percorso da
seguire, ed è ciò che proveremo ad indicare riempiendo di contenuti
tangibili il concetto di marca territoriale a cui aspiriamo.
A tal fine, per la mappatura storico-culturale della nostra provincia
devono essere tenuti in considerazione i seguenti elementi:
qualità del paesaggio
colture connotanti il paesaggio
presenza di sistemi infrastrutturali connotanti
particolari architettonici connotanti l'architettura e il paesaggio
rete storica delle strade
accessibilità e centralità storica
connessioni storiche tra centri vicini
presenza di fiere e mercati
riferimenti storici amministrativi e giurisdizionali
E' importante la connessione dei beni in sistemi territoriali, anche al
fine di preludere alla formazione di parchi tematici integrati.
Il territorio è un contesto che è diventato ormai maturo per
sviluppare nuove idee, per aiutare nuove professionalità e per
sostenere la crescita ed il consolidamento dell’economia. Il territorio
diventa fonte di creatività, dove le diverse espressioni dei tempi
possono prendere forma: economia, tecnologia, storia, arte,
tradizione, natura. Il marketing territoriale, ad esempio, è uno
strumento utile a tal fine.
Il Marchesato è già una “marca”, un segno riconoscibile, oltre che
riconosciuto, che si identifica in un territorio e identifica una
comunità.
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Un territorio ed una comunità generano, o possono generare,
“brand”: la comunità sostiene il brand con il modo di parlare, il modo
di vivere, il modo di vestire, i tratti somatici, la tradizione culinaria ed
il carattere della gente.
Nell’accezione meno comune il brand non è soltanto uno strumento
di comunicazione indotta, ma diventa l’elemento chiave di
identificazione del territorio e della comunità che lo popola, che deve
risultare riconoscibile in ogni circostanza e da ogni target audience a
cui si rivolge.
La marca territoriale deve essere uno strumento di comunicazione
immediato ed efficace, semplice da comunicare e univoco da
riconoscere, per costruire un’offerta integrata per il turista, che sia in
grado di orientarlo all’interno delle varie risorse del territorio.
L’analisi delle prassi storicamente strutturata della marcatura e ogni
sua
rappresentazione segnica e culturale permette anche di
inquadrare correttamente il rapporto di interessenza e di dipendenza
che si stabilisce tra marca e marchio ove quest’ultimo artefatto come
ha rilevato Giovanni Baule :
“non si ferma al segno in quanto tale, ma al contenuto, al senso
ultimo di questa operazione;il marchio riconduce proprio al segno
profondo che si imprime sulla carne viva e che ha un riscontro
’fisico’:è il lato profondo della comunicazione perché entra negli
immaginari, nei desideri, nei progetti collettivi e individuali e li
modifica in questo senso. In tal modo, l’essere brandizzati o
marchiati evoca una traccia indelebile che attraversa lo spessore dei
corpi e dele vite. La questione del marchio, anche per il progettista
visivo, non si ferma più all’ultima scheda o all’ultima pagina del
manuale di identità, ma tocca al cuore una delle sue principali aree
di intervento.”
Evitare
la
facile
trappola
del
rispecchiamento
e
dell’autoreferenzialità, significa soprattutto superare il rischio di
riprodurre un’immagine compiacente del territorio. Occorre
rappresentare il carattere della popolazione e lo stile del luogo
disegnandoli su una “mappa”, definendo un “territorio
immaginario” in cui si distribuiscono i soggetti dello sviluppo.
In questa prospettiva, è necessario saper inquadrare il territorio nel
lungo periodo, senza confonderne i piani differenziati della
tradizione, dell’identità e dell’autenticità, peraltro presenti nei
marchi e nei marchionimi, localmente storicizzati, della storia del
Mediterraneo.
Il tutto a partire da un’adeguata comprensione e ricollocazione dei
“marker” rappresentativi di culture-mondo, quali i castelli, la croce,
la mezzaluna.
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Nel contesto dell’economia globale, il Mediterraneo continua ad
essere il centro del sistema turistico internazionale.
La Provincia di Crotone usufruisce - in quanto inserita in questa
vasta area - di una posizione geografica di straordinaria centralità,
che in termini strutturali ed infrastrutturali resta ampiamente
sottovalutata e sottostimata, soprattutto per una carenza di stock
ricettivi da mettere a disposizione della domanda turistica.
Tutto questo è dovuto anche ad un’immagine non adeguatamente
conosciuta e qualificata, che fa da freno ed inibizione nei confronti di
concrete e oggettive chances di sviluppo dell’economia turistica
territoriale. Tenuto conto di questa oggettiva debolezza e di un
posizionamento penalizzante nell’immaginario turistico nazionale,
come pure delle difficoltà di immediata identificazione delle stesse
localizzazioni turistiche della provincia, si pone l’obiettivo di un
riposizionamento concettuale dei principali siti turistici
provinciali, per la riconoscibilità e rintracciabilità territoriale della
provincia nel contesto del mercato turistico nazionale.
La produttività e le ricadute positive di questa necessaria azione di
“ascolto” e analisi sociosemiotica del vissuto storico e contemporaneo
del territorio, appare tanto più importante alla luce delle osservazioni
del sociologo Giampaolo Fabris secondo cui:
“il primo passo del communication auditing è quindi quello di un
rigoroso inventario di tutte le espressioni della marca che hanno
potenziale comunicativo. E’ un’operazione che fornisce sovente
risultati inattesi. Nel senso che la marca realizza - come quel
personaggio di Moliere che si accorge di aver parlato in prosa tutta
la vita senza saperlo – che molte delle sue attività hanno un
importante risvolto comunicativo. Sovente inespresso o che si
esprime con un linguaggio non armonico e non sinergico con la
comunicazione intenzionalmente emessa. Si tratta di rivedere –
subspecie comunicativa – anzitutto gli strumenti del mix di
marketing per attribuire loro una funzione aggiuntiva.”
In questa prospettiva si può affermare che la Provincia di Crotone è
un territorio ricco di risorse paesaggistiche, enogastronomiche e
ambientali, con un patrimonio storico e artistico d’eccezione,
risalente fin dal periodo paleolitico, articolato in un’ampia e
stratificata eredità culturale che passa per le epoche e le civilizzazioni
della Magna Grecia, dell’Impero Romano, del Cristianesimo,
dell’intreccio multiculturale mediterraneo d’influsso arabo e turco,
nonché di realtà etno-linguistiche greco-albanesi.
Essa si trova ubicata in una posizione geografica originale e unica nel
contesto del Mediterraneo, quale ultima città di medie dimensioni,
urbanisticamente rilevante, situata all’estremità sud dell’areale geostorico del Golfo di Taranto.
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Quali propri obiettivi strategici, la Provincia di Crotone intende
realizzare programmi tendenti ad organizzare e razionalizzare la
domanda di servizi provenienti dalle imprese turistiche, agricole ed
agroalimentari italiane, in una logica di
successiva
internazionalizzazione del sistema.
Progettare e definire strategie di posizionamento internazionale per il
sistema turistico e agroalimentare provinciale, comporterà
coordinare le azioni a carattere internazionale nel sistema Fiere
nazionale, europeo e internazionale.
Serve inoltre progettare ed implementare, mediante intese
istituzionali con altre amministrazioni, un sistema di certificazione
delle scuole di cucina, di gastronomia, di enologia e dei corsi di
Sommelier; concorrere, anche giuridicamente, alla tutela delle
produzioni territoriali - procedendo alla registrazione dei marchi - e
delle denominazioni d’origine.
Crotone è una provincia con tradizioni agricole ed enogastronomiche
antiche, la cui offerta di prodotti e piatti della cucina tradizionale appartenenti al patrimonio agroalimentare provinciale e al comune
retaggio culturale del Mediterraneo - ben si integra con le risorse
artistiche, culturali e naturali del territorio e della città capoluogo.
Con l’obiettivo di scoprire e valorizzare questo giacimento di sapori
crotonesi, s’intende sviluppare ogni valida azione amministrativa atta
ad individuare un Paniere di prodotti tipici, originali, locali e
territoriali da collocare in nuovi percorsi enogastronomici, artigianali
e turistici, puntando all’identità del gusto territoriale, all’unicità dei
prodotti locali, alla tracciabilità, visibilità e riconoscibilità delle
nostre produzioni, alla realizzazione di politiche e iniziative
pubbliche integrate e programmate, all’individuazione di un marchio
promozionale delle produzioni e dei sistemi locali in cui queste sono
insediate.
Così letto e inteso, il territorio si presenta in quanto spazio
multifattoriale di una teatralizzazione dello sviluppo (scenario),
rendendo possibile la proliferazione di modi e forme di espressione
nuove, che per comunicare ricorreranno alla formalizzazione di un
contesto operativo composto da un cartellone annuale in quattro cicli
stagionali, da un palcoscenico degli eventi, dentro un determinato
tempo-spazio (cronoprogramma).
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19
4. La mappa territoriale.
Il territorio provinciale crotonese è tra i più variegati, dal punto di
vista geografico, dell’intera nazione. Mare e colline, campagna e
montagne, si alternano a breve distanza fra loro creando un senso di
discontinuità visiva del territorio.
Ma questa discontinuità, è effettivamente reale? Non si possono
individuare delle linee di contatto territoriali che portino a
riconsiderare la prima (e superficiale) visione? Proviamo ad
esplorarlo con lo sguardo di un viaggiatore: il viaggio è una delle
grandi esperienze della vita.
Seguendo un percorso, un itinerario, un cammino, anche il più
piccolo e insignificante momento diventa fonte di ricordo e poi di
memoria. Un viaggio nel sud, inoltrandosi nelle mappe di luoghi da
ritrovare e scoprire, rappresenta, tra ieri e oggi, una straordinaria
occasione per conoscere, divertirsi, ricaricarsi di inattese motivazioni
ma anche avvicinarsi a un modo di vivere e di pensare il
Mediterraneo.
Un viaggio attraverso la provincia di Crotone permette di cogliere
paesaggi diversi in archi temporali ridotti: dalle coste baciate dal
rossore delle albe alle campagne sfiorate da quello dei tramonti, dalle
colline verdi di uve ed ulivi ai monti imbiancati dalle nevi invernali.
Gli sguardi verso il cielo, le visioni delle argille agricole, i fuochi estivi
e i tenui tratti dell’autunno segnano il bordo di un mondo unico e
meridionale.
Il turismo è accoglienza fatta di persone, incontri, assorti momenti di
raccoglimento, festa collettiva, dialoghi di strada. I paesaggi e le
riviere sono solo apparentemente vuoti.
Quanto basta per comprendere che ogni angolo ha un proprio
significato, che ogni contrada rimanda a più antiche, profonde e
sussurrate storie. La popolazione crotonese è cresciuta insieme alla
storia dei luoghi.
Il mare, nel suo eterno fluire, ha sempre portato sulle nostre coste il
vento del nuovo e del differente, abituando la gente al contatto
umano, stimolandone la curiosità per lo sconosciuto, sollecitandone
una sorta di atavico ed ereditario senso di accoglienza.
Anche la fortezza sul mare di Le Castella, bastione dei misteriosi
aragonesi, nato in una logica di protezione della costa, è oggi un
punto di contatto, un afflato sussurrato sospeso tra occidente ed
oriente, e continua a recitare la sua poesia sul palcoscenico smosso
da maree alla ricerca di un’ isola di pace.
Qui il tempo non si ferma, ma sempre ricomincia nel suo segnacolo
eterno. Il mare intorno a noi è una grande risorsa di giovani
emozioni.
Segnate da questa speciale e originale caratura di luoghi, angoli e
panorami, i presidi e le attività turistiche, le tante iniziative di
accoglienza, risuonano istanti da vivere e ricordare.
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Crotone con il suo porto, il primo ad oriente per chi risale lo stivale
da sud, è strategicamente posizionato, in quanto riduce le distanze
tra i porti più vicini, di Taranto e Messina, consentendo lo
sfruttamento del c.d. doppio corridoio fra l’Adriatico a nord e il
Tirreno ad Est.
Oltre ad essere un punto di sosta importante per gli utenti turistici
del mare, il porto di Crotone è destinato ad acquisire sempre
maggiore rilevanza economica, nell’ambito di una attenta politica
infrastrutturale, in quanto è idoneo all’attracco di navi commerciali
di piccolo e medio cabotaggio. Dal punto di vista economico, giova
sottolineare che il tratto di mare al largo delle coste crotonesi è
oggetto di sfruttamento da parte dell’Eni, in quanto ricco di
giacimenti metaniferi.
La Provincia di Crotone inoltre, essendo geograficamente collocata
lungo la strada che collega la Puglia e la Sicilia, estremo lembo del
Golfo di Taranto, oltre che verso lo stretto di Messina guarda a nord,
verso Gallipoli e S. Maria di Leuca, e si presenta nell’immaginario di
chi la scopre come una linea azzurra di meridiane lontananze.
Crotone e provincia sono un mix di mare e montagna, forse unico in
Italia.
A pochi chilometri dalla costa… la Sila, austera, maestosa e
misteriosa, intrigante, generosa e difficile quanto i briganti che
l’hanno abitata. Eppure, anche qui, camminando tra i suoi boschi, il
rumore dell’acqua lo senti dappertutto, sgorga da copiose sorgenti,
scorre in limpidi corsi che arrivano al mare, dando l’idea del ciclo
della vita. I boschi sono alberghi naturali, dove viaggiare nel verde di
pini cantastorie, accompagnati dalla percezione di legno e nerume di
carbonelle. Sila e collina scendono a valle, dove cime di pini sono già
il vessillo di una regione attesa.
Non va trascurata la tradizione gastronomica provinciale, che risente
anch’essa del mix tra mari e monti che contraddistingue tutta l’area,
un giacimento di gusto e gastronomie raccolti in un cucchiaio. Cibi in
forma di pane, incavati e talvolta grezzi, ma con sapore pronunciato e
schietto.
Crotone, marca e provincia delle cucine pitagoriche. Da queste,
all’insegna del grano e del pesce, parte il percorso gastronomico, che
è una escursione di cultura materiale, uno stile di vita, una storia di
mestieri. I piatti tipici sono un piccolo universo, un osservatorio
gastronomico in cui si specchiano gli arcani del “mare nostrum”.
Dove si tocca, con le mani e il palato, tutto il piacere del sud in pochi
piatti: veri, abbondanti, autentici.
In che modo è possibile creare un continuum tra le immagini e le
suggestioni fin qui esplorate?
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Partendo inevitabilmente da Crotone in quanto capoluogo, cosa
mette in relazione il mare su cui la città si affaccia – con il suo porto,
le sue spiagge, la sua costa – e le montagne della Sila crotonese?
Cos’è che ha unito negli scorsi decenni i territori boschivi della Sila al
nucleo industrializzato della città di Crotone, le strade o i rapporti
umani e commerciali? Ad unire luoghi tanto diversi sono stati i mezzi
o i fini?
Se trascendiamo per un attimo dalla visione geografica strictu sensu,
interfacciandola con valutazioni di storia passata e (soprattutto)
presente, forse riusciremo ad individuare percorsi tanto trasparenti
da risultare quasi invisibili, se non guardati nell’ottica cui
appartengono.
Fin dall’antichità, risulta che i Romani fabbricassero le navi (che
venivano varate sulle coste ora appartenenti alla Provincia di
Crotone) utilizzando gli alberi della Sila, cosa che da il senso della
reale continuità tra la montagna e il mare, quasi che la montagna,
attraverso il suo legno e la sua gente, potesse scendere e vivere nello
“spazio liquido”, non nel mare inteso come massa d’acqua, ma come
fluire di storia e di popoli tra territori lontani.
In un passato più recente, il fiume Neto, che taglia diagonalmente
buona parte del territorio provinciale e lungo il quale avvenivano i
più frequenti passaggi di uomini e di merci ed i relativi scambi,
rappresentava quasi un’istmo che apriva in due un territorio aspro
geograficamente ed umanamente.
In epoca più attuale, le fabbriche crotonesi, in particolare la Cellulosa
Calabra, hanno sovente fatto fronte alle necessità di materia prima
attingendo al patrimonio boschivo, ricreando un flusso umano e
commerciale tra il mare e la montagna.
Sebbene individuata in maniera fisica, definita nei confini e nella
formalità istituzionale, una provincia trattiene in sé ricchezze ed
esperienze che esulano dai concetti finiti e definiti della storia sociale
di un paese. La “mappa” a cui si fa riferimento, nulla ha a che vedere
con l’indicazione territoriale in senso stretto, ma con un significato
storico e culturale, che richiama le origini guardando al futuro.
Una demarcazione, dunque, culturale, che richiama la natura stessa
del palcoscenico sul quale si alternano attori materiali e immateriali,
più o meno protagonisti di una sceneggiatura che abbiamo la
possibilità e la capacità di dirigere. La mappa territoriale è lo
strumento attraverso il quale poter inquadrare ed interpretare
qualsiasi fenomeno o caratteristica della popolazione e del territorio,
siano essi strutturali, piuttosto che relativi ad atteggiamenti e
comportamenti.
Si è imposto il concetto di nodo e, accanto a questo, quello di rete (di
rete delle reti), di LAN (Local Area Network).
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Tuttavia nella misura in cui il territorio perde in fisicità continua a
permanere la sua essenza di lunga durata, quella di un proprio
“simbolico”, da ricollocare nel vissuto contemporaneo. Questo
intreccio tra simbolico e vissuto, si esprime nella azioni di
valorizzazione (o nella
disvalorizzazione) della “texture
territoriale”, cioè di quella vera e propria tessitura qui intesa
come spazio di relazione in cui si struttura la comunicazione del
territorio verso il mondo esterno, nella realizzazione del teatro dello
sviluppo, in quanto promozione, valorizzazione e programmazione
dei rapporti economici e sociali in esso vigenti.
Per cui se la marca è qui intesa come la definizione comunicativa del
territorio, la sua progettazione dovrà avvenire nella forma di un
sistema d’identità sociale, un centro di comunicazione, una risorsa
strutturata a disposizione dei soggetti attivi nel territorio.
Disegnare la marca, delinearne gli aspetti grafici, comporta la
segnalazione dei confini fisici, simbolici e strategici, tracciando i
segni potenziali e progettuali del territorio. In questa logica la
progettazione e la definizione di una marca territoriale deve tenere
conto del:
a. carattere storico del territorio e per questo delle antiche
radici culturali del crotonese che attraggono creando valori
emozionali e distinzione ma anche cogliendo una sempre più diffusa
richiesta di ridefinizione dell’identità socio economica della
provincia, venuta meno con la crisi e il declino di vecchi modelli di
sviluppo industriale del secolo scorso. Il territorio della provincia di
Crotone è entrato in una nuova fase di sviluppo, in un ciclo
congiunturale complesso e articolato caratterizzato da una
accentuazione dei processi di globalizzazione, adeguamento e
convergenza fortemente accelerati dall’avvento della moneta unica
europea, l’Euro. Nel frattempo, a chiusura del trascorso secolo del
Novecento, nella provincia e nel suo capoluogo si è esaurita una
lunga fase di transizione, caratterizzata dalla definitiva scomparsa del
vecchio assetto industriale fordista e dall’affermazione di uno
sviluppo autocentrato sul territorio. In questo nuovo quadro
l’economia turistica (cfr. Anci-Upi, Il paese delle mille identità. I
valori dell’Italia irriproducibile e non delocalizzabile, Roma 2005),
l’industria dell’accoglienza, l’apertura e la realizzazione di una
provincia intesa come porta del dialogo mediterraneo, sono
divenuti l’orizzonte quotidiano ma anche lo stimolo a costruire il
cantiere e il laboratorio di una provincia futura che gioca la carta dei
servizi, della qualità della vita, della cultura, del mare e del paesaggio
da offrire ai visitatori che raggiungono questi luoghi.
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b. carattere semiologico che deve assumere la marca a partire da
una conoscenza dei consumatori e dalle relative strategie di nicchia
che il contatto consumatore-territorio suscita e determina. Da alcune
indagini di settore si desume che la potenzialità turistica della
Provincia di Crotone è molto elevata ma anche fortemente
sottostimata, scarsamente utilizzata, ampiamente inespressa.
Rilevazioni statistiche, studi specializzati e documenti di
pianificazione territoriale stimano che in larga parte il “turista” arriva
in Provincia di Crotone da altre regioni del centro-sud, specie dalla
Campania e dal Lazio. In termini di collocazione sociale appartiene la
ceto medio; il livello istruzione è medio-basso; conosce la Provincia
di Crotone attraverso canali informali quali amici, parenti e solo in
misura minore tramite consiglio o suggerimento di un’agenzia
turistica; la vacanza è prevalentemente di tipo familiare, il nucleo
familiare è composto da tre/quattro persone; il soggiorno oscilla da
un minimo di due a un massimo di tre settimane; le motivazione che
spingono il turista a scegliere questo territorio sono
molto
convenzionali; la dominante è rappresentata dal desiderio/bisogno di
mare, anche raccogliendo i consigli di amici e conoscenti i cui
resoconti delle loro passate vacanze rappresentano il soggiorno nella
provincia come un periodo rilassante, divertente e di mare pulito;
tale percezione è affiancata da altre motivazioni sub-dominanti quali
il desiderio di socializzazione, quello di natura e di cultura , della cura
di sé, del benessere e della salute; si tratta di sensibilità latenti che
occorre portare in superficie, intrecciandole con la propensione
manifesta a fruire del “vacuum”, appunto la vacanza “sole-mare”; il
turista che soggiorna a Crotone manifesta un basso interesse ad
attraversare e percorre il territorio in cui si colloca la struttura
ricettiva che lo accoglie; solo una parte esigua organizza itinerari e
mostra apertura alla pur bassa offerta di itinerari in sede di sistema
turistico locale. Nel contesto dell’economia globale, il Mediterraneo
continua ad essere il centro del sistema turistico internazionale. La
provincia di Crotone usufruisce - in quanto inserita nella più vasta
area del Mediterraneo che continua a rimanere il polo turistico più
rilevante
a livello globale - di una posizione geografica di
straordinaria centralità, che per ragioni strutturali ed infrastrutturali
resta ampiamente sottostimata e sottovalutata, soprattutto per una
carenza di stock ricettivi che l’offerta locale mette a disposizione della
domanda turistica. Tutto questo è dovuto anche ad un’immagine
non adeguatamente conosciuta e qualificata, che gioca un ruolo di
freno e inibizione nei confronti di concrete e oggettive chances di
sviluppo dell’economia turistica territoriale.
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c. carattere progettuale della marca territoriale che deve
protendere a innalzare l'orizzonte delle ambizioni e sviluppare una
visione su cosa vogliamo costruire per il futuro, effettuando scelte di
programmazione per rendere più solida la soggettività del territorio
in un quadro di scambi e alleanze; la mission della marca sarà
quella di: aumentare la produttività degli enti che agiscono sul
territorio, incentivare e inquadrare in un contesto di territorio,
distretto e filiera i programmi, le misure e le azioni per rendere la
provincia autosufficente e competitiva; agire sul sistema scolastico
provinciale in termini di divulgazione e formazione a questa
soggettività di territorio; indicare vettori di politica economica
territoriale quale punto di orientamento per le imprese.
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CAPITOLO 2
VALORE & VALORI DELLA MARCA
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1. Valore e valori della marca.
Non è un gioco di parole. La marca ha valore quando trasmette forti
valori. Nel suo lungo divenire storico – da semplice marcatore di
proprietà/identificazione a motore semiotico ed identità – la marca è
approdata adesso al variegato mondo dei valori e dell’etica. Valori
nell’interpretazione sociologica corrente, come aggregati di senso –
conditivi e affettivi - coerenti, duraturi, moralmente vincolanti,
capaci di guidare le scelte individuali per un periodo di tempo
sufficientemente prolungato. Sono elementi che fondano l’identità
sociale e la specificità individuale e di gruppo ma, allo stesso tempo,
sono i nuclei attraverso cui passano e si consolidano i processi di
differenziazione sociale. Che la marca abbia un valore – anzi, come si
legge sempre più spesso, nei testi di management, che “rappresenti
l’asset più importante di cui l’impresa dispone” – vi sono ormai
troppe evidenze per doverlo ancora documentare. Un valore che
prescinde anche dalle sue quote di mercato, dalla sua distribuzione
commerciale, dai suoi attributi più tangibili, dal valore delle sue
shares e che ha fatto spesso parlare di alchimia della marca. La
marca cioè come costruzione magica: come quando, in polverosi
laboratori, l’alchimista tentava la prodigiosa trasmutazione del
metallo in oro. Al limite la marca come un re Mida dei nostri giorni
che trasforma in oro tutto ciò che tocca. La metafora – anche se
seduttiva ed affascinante – è però solo parzialmente corretta.
Presupposto, infatti, perché la marca possa trasformarsi in
produttore di ricchezza è che comunque il materiale che firma non
sia un vile metallo: la vera conditio sine qua non perché la marca
possa esprimere il suo grande potenziale, trasformarsi in uno
straordinario moltiplicatore di valore è che si contrapponga ad un
buon prodotto o servizio. Esempi di marche che siano riuscite a
sopperire a vistosi deficit sul fronte delle performance – del contratto
cioè che la marca sottoscrive ontologicamente con il consumatore
garantendo il rispetto di queste ed una costanza poi di qualità – e ad
avere successo sono ben difficili da riscontrare. Al massimo si tratta
di affermazioni momentanee di fenomeni dell’ordine delle mode:
destinati cioè ad avere vita breve. Quando la marca – anche se
inadempiente sotto il profilo qualità - diminuisce la sua attrattività,
perde rapidamente di richiamo. A fronte di un consumo più
competente, esigente e demanding, il rispetto e l’acritica reverenza di
un tempo nei confronti della marca non trovano più spazi o ragion
d’essere.
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L’allure che la marca riesce a creare, anche se questa si è consolidata
nel tempo, non è sufficiente a contrastare le lacune sul fronte delle
performance. Pensiamo, ma vi è purtroppo solo l’imbarazzo della
scelta al proposito, a Jaguar – un nome mitico nel settore
dell’automobilismo – le cui prestazioni erano
andate
progressivamente indebolendosi, nel corso degli anni, sino a
scontentare fortemente i suoi utenti. Un’immagine consolidata da
decenni e di grande prestigio non è riuscita a supplire alle vistose
defaillance, e la marca ha perso rapidamente valore e quote di
mercato imboccando un poco dignitoso viale del tramonto. È solo con
l’intervento di Ford – che si fa massicciamente carico dell’attenuare
prima ed eliminare poi la difettosità della vettura – che Jaguar torna
ad essere una marca che genera valore: per i suoi azionisti e per la
sua utenza.
Tuttavia resta un’ombra sul suo blasone perchè le inadempienze,
anche se superate, lasciano sempre una traccia. Ma, una volta
adempiuto al rispetto a questa sorta di prerequisito rappresentato
dalla qualità, considerato a tutti gli effetti un must, è proprio la marca
che può attribuire caratteri totemici ai prodotti che firma. Per
conseguire il successo, per creare valore non è più sufficiente per
l’impresa avere buoni prodotti ad un prezzo equo: questo rappresenta
una condizione certamente essenziale ma non sufficiente.
Ci sono un’infinità di buoni prodotti e servizi sul mercato destinati a
restare in una sorta di limbo o a scomparire perché non vivificati
dall’affitto della marca. Di una marca che non sia pure denotazione,
non sia cioè entrata con maestria e determinazione, nel mondo della
connotazione.
Tra l’altro è noto come le differenze tangibili tra produttori diversi
tendano, all’interno dello stesso comparto, ad assottigliarsi sempre di
più ed a divenire progressivamente indistinguibili sotto il profilo dei
valori d’uso. Anche le innovazioni più sostantive, quelle che un tempo
costituivano una duratura rendita di posizione, adesso rischiano di
essere clonate quasi in tempo reale. Ferrero, una delle grandi marche
italiane dell’industria dolciaria per decenni ha avuto nel suo
portafoglio quei prodotti che l’imprenditore Michele Ferrero
definisce come “prodotti d’impresa”: vale a dire prodotti che da soli
possono costituire un’azienda e che è quasi impossibile riprodurre
alla stessa struttura di costi, che hanno quindi caratteristiche uniche
e differenzianti, che hanno una vita lunghissima e che sviluppano
imponenti fatturati. Si pensi, per tutti, a Nutella e Rocher. Eppure, in
tempi recenti, è stato sempre più difficile, per Ferrero, mantenere un
vantaggio competitivo basato sulle caratteristiche di unicità dei suoi
prodotti. Quando immette sul mercato un prodotto fortemente
innovativo come le merendine refrigerate questo viene riprodotto
dopo pochi mesi da una Centrale del Latte italiana. La marca invece è
impossibile da clonare.
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La marca, sempre meno, può fruire di rendite di posizione basate sia
su fattori distintivi strutturali od oggettivi sia sulla pregiudiziale
fedeltà del consumatore che, come vedremo più oltre, rivendica
invece una crescente autonomia, discrezionalità e sperimentalismo
pur continuando a guardare alla marca con interesse e
considerazione.
La marca deve costruirsi una propria equity di grande spessore e
costruire poi un fertile terreno di dialogo con il consumatore. Deve
continuamente elaborare, arricchire – mantenendo inalterati i suoi
significati di forno ed intervenendo costantemente sui significanti –
la propria identità se non vuol recitare un impotente soliloquio.
La metafora dell’alchimia, inoltre, ha un altro cotè debole:
l’alchimista è sovente, almeno nella comune accezione, più un mago
stregone che uno scienziato. Ed invece, perché la marca possa
produrre valore, questa necessita sino in fondo l’apporto della
scienza: se la creatività, l’immaginazione, la fantasia sono importanti
per attribuire protagonismo alla marca, pure queste si devono
coniugare ed essere comunque subordinate, ad un approccio
rigoroso, sistemico al branding. Ad un pensiero strategico, la lista di
marche che hanno equivocato il credito ottenuto in passato alla
stregua di un lasciapassare che garantisse legittimazione ad un modo
di procedere che prescindeva dai bisogni, desideri, aspettative del
consumatore, insensibile alle conseguenze del cambiamento sociale,
poco coerente con la propria mission o senza il necessario apporto
della ricerca, se non sono scomparse del mercato sono ancora intente
a curarsi le ferite.
Il forte credito del passato o di cui si gode attualmente non significa
certo “licenza di…”, e può essere dilapidato in poco tempo. La marca
deve essere consapevole del fatto che mette in gioco il proprio nome e
la propria reputazione tutti i giorni. L’arroganza o la miopia di chi
considera la marca – anziché una costruzione in progress a cui
dedicare cura, attenzione e dedizione – come una sorta di cash cow
da mungere e da spremere e da cui attingere soltanto profitti è stata
duramente punita. La lista dei continui insuccessi sul fronte della
marca non risparmia le più titolate. La marca sviluppa una equity
quando sia correttamente gestita nella piena consapevolezza del suo
valore e delle sue potenzialità. Altrimenti il concetto, recitato sempre
più spesso, della marca come capitale più prezioso per l’impresa si
svuota di contenuti. Sembra un paradosso ma sono poche le imprese
a dedicare alla marca – alla costruzione e gestione della sua equity –
quell’attenzione e quell’intelligenza strategica che mercati sempre più
iper-competitivi e complessi richiederebbero.
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La testimonianza la si trova con immediatezza nei brief delle
campagne pubblicitarie – che costituiscono da sempre uno degli
strumenti privilegiati per potenziare il valore della marca - il più delle
volte elusivi e generici; nella messa a punto di strategie di
comunicazione sovente delegate quasi interamente all’esterno; nelle
ricerche sulla marca che si basano ancora su dimensioni obsolete da
“paleo-marketing” come l’awareness, l’immagine, il posizionamento;
nell’assenza di un cruscotto – o di una cabina di regia – che indichi
velocità, direzione, possibili ostacoli, mappatura del territorio che la
marca intende percorrere e che sia davvero capace di generare
sinergie tra i tanti media con cui questa comunica elevare la sua
massa critica. Il branding, oggi, è diventato terreno fecondo di analisi
e costruzione scientifica: l’ampliarsi a dismisura della letteratura in
materia e il corpo sempre più consistente di ricerche condotte
supportano autorevolmente questa considerazione. Una accezione di
scienza – come tute le scienze umane, sociali e del comportamento –
diversa da quella delle scienze esatte ma anche da quelle economiche
che sovente millantano, grazie al ricorso ad un apparato statisticomatematico sempre più complesso, una pretesa oggettività ed
attendibilità che sono ben lungi dal possedere. Tra l’altro, sia detto
per inciso, il mondo dell’economia, macro e micro, ha sempre non
considerato o sottovalutato il ruolo della marca: guardandola più
come un fattore di disturbo che come un autonomo generatore di
valore. La marca ha valore se, e in quanto, riesce a sedimentarsi con
una identità chiara, distintiva e coinvolgente nella mente del
consumatore. Il concetto di customer oriented brand equità l’acronimo è COBE – parte proprio da questo assunto. La forza della
marca, la sua capacità di produrre ricchezza, la sua equity si basa in
realtà su ciò che il consumatore ha appreso, visto, sentito, percepito,
sperimentato personalmente nel tempo. La COBE si attiva quando il
consumatore elabora un elevato livello di conoscenza e familiarità
con la marca che riesce a sedimentare nella sua mente un ricco
patrimonio di associazioni positive in maniera consistente e
duratura. Potremo anche vedere la equità di una marca come un
sistema dinamico in continua evoluzione, fortemente interconnesso
come una piramide che ha alla base la salienza della marca (la sua
visibilità/awareness, la competenza nel settore in cui opera, la fiducia
che suscita).
Ad un livello immediatamente superiore si trovano gli attributi
frangibili, le caratteristiche oggettive e performative, i valori d’uso
della marca, le esperienze pregresse e, in parallelo, il patrimonio
associativo e simbolico che evoca, la sua immagine, il suo percepito ai
diversi livelli di consapevolezza.
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Ad un livello ancora superiore troviamo una tradizione in termini
valutativi dei valori d’uso, l’interesse per le performance attribuite, la
customer satisfaction, le convinzioni sulla superiorità performativa
della marca e – sullo stesso tempo – i sentimenti, le emozioni che
suscita, l’attualità che manifesta. Al cuore di questo cono si trova
l’essenza della marca (brand essente), il suo DNA, il suo patrimonio
genetico e fondativo come viene percepito dal pubblico. All’apice
della piramide del COBE vi è la relazione reale che la marca intesse
col suo pubblico, il commitment nei suoi confronti, la fedeltà che
genera. La marca senza questo presupposto è pura virtualità, una
empty box da divenire poi, agli occhi del mercato, così trasparente da
risultare invisibile.
Assai meno caratterizzante, invece, il diffuso luogo comune secondo
cui “la marca conta per i prodotti che contano”: nel senso che
sarebbero quelle decisioni d’acquisto realmente coinvolgenti il
consumatore – per l’esborso economico elevato che comportano o
per le forti implicazioni emotive che mettono in moto (due
dimensioni talvolta coincidenti, molto spesso no) – a valorizzare il
ruolo e l’importanza della marca. Mentre, per i prodotti più
banalizzati o di routine la marca sarebbe poco rilevante o del tutto
irrilevante, esaurendosi nel suo significato primario prettamente
identificativo. Anche se c’è un fondamento di varietà in questa teoria,
crediamo che non si possa parlare di una legge invariabile e
definitiva. Infatti, vi sono marche fortissime nel settore dei prodotti
commodity, come pure beni di grandissimo valore per i quali il brand
è sovente assente (ad esempio gran parte dei gioielli venduti risultano
unbranded). Pensiamo nel primo caso a Barilla: vi è una continua
ricorrenza di ricerche, condotte dalle fonti più disperate, a mettere in
rilievo come questa marca sia al primissimo posto in Italia quando si
studia l’empatia ed il commitment dei consumatori verso una marca.
Eppure Barilla, sino ad un recentissimo passato, firmava
esclusivamente il più basico dei prodotti nel nostro Paese: un
prodotto acquistato di routine, poco costoso – e un tempo assai poco
emozionalmente investito – come la pasta alimentare. Un tempo:
perché nel corso degli anni, mano a mano che Barilla costruiva la sua
equity di marca, la pasta da consumo povero e dimesso, socialmente
poco qualificante e nutrizionalmente poco corretto (questi erano gli
stereotipi che le venivano attribuiti, destinati inevitabilmente a
mitigare la elevata gratificazione orale comunque riconosciutale) si è
trasformata in un prodotto moderno e postmoderno, salutare,
naturale, semplice e buono. Una singola marca è cioè riuscita –
un’impresa solitamente ardua da conseguire – a divenire
protagonista nell’affollatissimo empireo delle marche, oltre a
bonificare un intero comparto merceologico trasformando la product
image della pasta alimentare.
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2. Che cos’è il valore della marca?
Il valore della marca è innanzitutto valore per il consumatore mutato
dalla capacità della marca di attribuire un cuore ed un’anima al
mondo degli oggetti, di trasformare una mera prestazione d’uso in
comportamento dotato di senso, di cambiare una transazione
economica di una relazione (o almeno in una speranza di questa: la
marca è largamente inadempiente su questo fronte); di prestarsi a
divenire una nuova forma di linguaggio con cui comunicare a se
stessi ed agli altri: di veicolare significati, mondi, valori che si
condividono e di cui ci si compiace. Si viene così a fondare una sorta
di contratto sociale, non scritto ma non per questo meno cogente, tra
il pubblico e la marca. La marca deve essere cioè all’altezza delle
aspettative e delle promesse e i consumatori le restituiranno, in
cambio, fiducia e credibilità: un do ut des ben al di là della
tradizionale asimmetria che ha sempre caratterizzato i rapporti tra
produzione e consumo. Restituzione sotto forma anche di atti di
acquisto e, laddove la equity sia davvero importante, fedeltà come
premessa per una long lasting relationship. Il valore della marca per
il consumatore può divenire così elevato da generare qualcosa di
simile a ciò che si verifica, in medicina, con l’effetto placebo quando
una sostanza inerte, avallata però dall’autorevolezza di un medico,
dimostra di realizzare effetti terapeutici. In uno studio pubblicato dal
British Medical Journal è segnalata una ricerca in cui i pazienti che
usavano come antidolorifico la propria marca ottenevano effetti assai
più consistenti di quando veniva solo somministrato un analgesico
che pure aveva la stessa consistenza chimica ma privo della marca. Il
valore della marca, se questa è correttamente gestita, genera per
l’impresa un utile che eccede largamente i tradizionali indicatori.
Il valore della marca per l’impresa quindi come moltiplicatore del suo
valore oggettivo in caso di vendita; come maggior prezzo che riesce a
scontare sul mercato, sovente in un’area premium price.
3. Esistenza e divenire della marca.
La marca, nel suo divenire storico, ha interpretato ruoli e funzioni
estremamente differenti, ogni volta incorporando ruoli e funzioni
estremamente differenti, quasi avesse vissuto molteplici e distinte
esistenze. E non è casuale: figlia del mercato e della comunicazione,
portatrice di significati e di valori, contaminata dallo spirito del
tempo e dai mutamenti di una società in continua evoluzione, la
marca è soggetta al cambiamento e, come ogni altro soggetto che vive
nella storia, è destinata a mutare se vuole sopravvivere.
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Tuttavia, questa continua evoluzione a fronte del cambiamento –
lungi dall’essere il frutto di una condizione fragile ed incerta, oppure
la risultante di un vagare provvisorio e debole – si rivela come un
preciso dovere per la marca: una storta di percorso obbligato verso la
modernità, l’attualità, il contatto/relazione quotidiani con i
consumatori. Nondimeno, accanto alla vocazione al mutamento, la
marca deve sempre riaffermare la propria coerenza e la propria
stabilità.
È una sfida, perché richiede – da parte del management – una
straordinaria attitudine ad affrontare la perenne tensione tra
continuità e rottura, tra conservazione e crescita, tra classicità e
contemporaneità. È proprio in nome di questa sfida che la marca
moderna, nella sua esistenza, ha attraversato una serie di fasi e nuove
aperture. Abbiamo ricostruito questo cammino per tappe, facendo
luce su ciascun passaggio che non annulla ogni volta l’esperienza
passata, ma la contiene e la tramanda. Otto momenti, otto “età”
importanti che descrivono un iter che pare cercare una progressiva
“affinità elettiva” con gli individui, dopo aver conquistato l’attenzione
e la fiducia dei consumatori:
memorabilità e awareness _ fiducia _ goodwill_
posizionamento _ commitment _ emozioni_
attualità culturale _ valori
a. Memorabilità e awareness: il trademark.
Da tempo la marca s’è emancipata dal ruolo originario di mero
marcatore della produzione, così come dall’iniziale equivalenza tra
visibilità/notorietà e successo commerciale.
La necessità di segnalare l’appropriazione e l’identificazione del bene
di consumo – che emerge visibilmente con l’avvento della rivoluzione
industriale e acquista pieno significato con la produzione di mass – si
trasforma in esigenza di differenziazione non appena il mercato
dominato dalle merci volge in mercato dominato dalle marche.
Diviene necessità inderogabile nel periodo storico in cui si passa
dallo sfuso o dall’artigianale al confezionato e all’industriale.
Farsi riconoscere, e riuscire a distinguersi rispetto alla concorrenza
appare come un’esigenza imprescindibile e una missione inevitabile
della marca nella sua accezione moderna, industriale: una sorta di
primum vivere. Diventa necessario, allora, rendere distinguibile e
memorabile il trademark, il marchio di fabbrica, con il suo verbo e le
sue icone, sviluppando la diffusione del nome e del logo e puntando
sul ricordo. Coerente a questa fase è quindi perseguire la
memorabilità e la notorietà presso il consumatore.
34
Si tratta di un parametro di sicura importanza in tutti quei mercati in
cui la marca deve entrare in un paniere o trovare legittimazione in
una determinata categoria merceologica: una premessa necessaria
ma assolutamente non sufficiente.
Il mondo del marketing e quello della pubblicità hanno
tradizionalmente utilizzato una serie di parametri interpretativi e di
test sul consumatore per stabilire la portata e la natura della
relazione (una relazione basica ed elementare) tra il pubblico e la
marca. La marca che viene citata per prima, all’interno di una
categoria merceologica, è detta top of mind. È certamente, questa, la
dimensione più significativa nell’ambito degli studi sul ricordo della
marca. Gli altri indicatori afferenti al ricordo sono il ricordo
spontaneo (tutte le marche evocate spontaneamente sulla base della
sollecitazione che fa riferimento al prodotto) e il ricordo aiutato: di
fatto il riconoscimento del nome della marca. Un indicatore troppo
vago, quest’ultimo, per dar conto della presenza della marca
nell’immaginario collettivo. Molte marche che fanno ormai parte del
cimitero degli elefanti – marche un tempo affermate ma di cui resta
solo una debole traccia nella memoria –ottengono solitamente scores
elevati a questo tipo di sollecitazione. L’awareness è il primissimo
step nel rapporto tra la marca e il suo pubblico, il traguardo iniziale
della marca che vuole entrare a far parte di uno scenario competitivo,
che intende stabilire una connessione, un legame, tra marchio e
classe di prodotto. È l’obiettivo del branding in un’epoca di “primo
approccio” alla comunicazione d’impresa.
Grazie agli effetti congiunti di pubblicità, pubblicizzazione,
distribuzione e packaging – ma soprattutto con il ricorso alla prima –
la marca può farsi conoscere in questa fase di start up, può apparire
visibilmente e permanere nella mente del consumatore: una sorta di
imprinting. Non è casuale che questa fase della marca, osservata in
una prospettiva di tipo genetico-biologico, sia stata paragonata alle
prime impressioni degli animali alla nascita. Sono sufficienti pochi
secondi per incidere permanentemente, nella memoria di un animale
appena nato, l’identità del suo genitore.
Allo stesso modo, è necessario un buon esordio affinché una marca
possa essere accettata favorevolmente e definitivamente nella
coscienza degli individui. La presenza nella memoria del
consumatore è certamente un importante presupposto per la
creazione di una relazione. Una volta che la marca s’è moltiplicata in
una miriade di segni e di insegne, una volta che ha garantito visibilità
alla produzione commerciale, una volta che ha costruito solidità e
riconoscibilità del nome, la sua missione inizia ad assumere un
nuovo, ben altro, spessore.
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La marca si trova adesso a muoversi in spazi fisici e semiotica dove
beni e servizi paiono aumentare di densità, e, al contempo,
caratterizzarsi per relativa fungibilità. Nomenclatura, etichette e
sembianti memorabili, rischiano ora di perdersi e confondersi nel
rumore di fondo.
Si rende allora necessaria la formulazione dell’addizione di contenuti
e significati. La marca appare spesso obbligata a definire il suo ruolo
strategico: il perseguimento della notorietà, non più variabile
discriminante e missione essenziale del branding, cede ora il passo
alla ricerca di fiducia e benevolenza.
La marca denotativa, quella del trademark della notorietà, quella che
identifica il prodotto cede gradatamente il passo alla marca
connotativa, depositaria di significati e valori. La marca, come
funzione segnica, s’investe – grazie all’azione del tempo, alla
memoria del consumo, alla stratificazione della comunicazione – di
un contenuto proprio e – per certi versi – ereditario.
b. Fiducia: dal trademark al trustmark.
Il lungo iter evolutivo della marca prosegue nel tempo,
emancipandosi dai contenuti originari e dalle missioni tipiche degli
esordi. L’identificazione, il riconoscimento, la visibilità, la notorietà,
vanno gradualmente ad iscriversi nel codice genetico del branding.
Tendono, cioè, a divenire parametri tautologici e piuttosto marginali
in termini di progettazione e pianificazione strategica. Il secondo
momento “storico” della marca vede un decisivo spostamento di
obiettivi: dalla visibilità alla fiducia. Una volta acquisita notorietà e
riconoscibilità, ormai protagonista di mercati densi e competitivi, la
marca tende a divenire garante della competenza specifica in quel
settore, della buona qualità del bene che connota e della sua costanza
nel tempo. Conferisce al prodotto la rassicurazione di saper svolgere
bene, al meglio, le prestazioni che il consumatore si attende. È
piuttosto significativo, a questo proposito, che il marketing
anglosassone distingua i semplici trademarks dei ben più solidi
trustmarks. I marchi di fabbrica dai marchi fiduciari.
Dunque non basta un marchio registrato per ricevere la confidenza e
il favore del pubblico. Non è sufficiente una buona dose di notorietà
per guadagnarsi il credito dell’individuo consumatore. È proprio il
termine fiducia/conferire fiducia, quello che meglio esprime
l’obiettivo strategico della marca in questa fase. A cui corrisponde, da
parte del consumatore, un atteggiamento di generico apprezzamento,
capace però di orientare le scelte.
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Questa esigenza di legittimazione sul mercato, in particolare verso il
target di riferimento, si esprime attraverso standard di qualità,
innovazione e servizio superiori rispetto alla concorrenza unbranded.
Il prodotto di marca assicura migliori prestazioni, buone
performance e un risultato imbattibile. In questo modo la marca può
stipulare una sorta di contratto di fiducia, come credito per il futuro.
La preoccupazione nella gestione del brand, è ora quella di conoscere
in che modo si è percepiti. Diventa fondamentale che il pubblico
riceva una “buona impressione” dalle insegne e dalle etichette. Spetta
dunque al consumatore definire la marca e il suo contenuto. È
evidente che questo approccio non prevede la messa a punto di un
“progetto di marca”, né la costruzione di una sua identità o di
coerenza nel tempo. Siamo in una fase piuttosto acerba della gestione
della marca: potremmo definirla una fase adolescenziale. Prima
ancora di sapere chi si è, ci si preoccupa di come si è percepiti. Prima
di avere ben chiara la propria verità, la propria essenza, la propria
missione al mondo ci si preoccupa di quello che pensano gli altri.
Queste marche paiono così incapaci di enunciare chiaramente il
proprio ruolo ed i propri valori. Né di definire e comunicare la
relazione con gli altri attori dello scenario competitivo, i propri tratti
salienti e distintivi, la propria singolarità e, infine, il proprio
“mestiere”. L’immagine, allora, arriva prima dell’identità. È giusto in
questa fase che prende corpo il concetto del goodwill.
c. Il goodwill.
Dopo gli anni del trademark, la marca trustmark si fa garante della
qualità e s’impegna nella costruzione di rispettabilità e fiducia.
Obiettivo della ricerca, del marketing e delle strategie è il
perseguimento del goodwill. Il goodwill è una attitudine psicologica
favorevole, una predisposizione alla benevolenza, da parte del
consumatore (ma anche del distributore e di tutta la filiera
distributiva) nei confronti della marca: una sorta di sintesi valutativa
dell’immagine. Nient’altro che una simpatia preziosa, un sentimento
da capitalizzare, in quanto fonte potenziale di benefici futuri.
Il goodwill diventa un obiettivo strategico nella costruzione di solide
architetture di marca. Non è ancora l’atteggiamento o lo stato
d’animo che orienterà la scelta, ma certamente si tratta di una
importante predisposizione. Punto di ancoraggio di tutte le
impressioni del consumatore, memoria storica delle esperienze d’uso
del prodotto, la marca attraversa e percorre gli anni del goodwill. E
infine li supera, fino a divenire forte, affidabile, confidenziale. Per
approdare alla fase del commitment: un sentimento persistente e
durevole. Più solido della stessa fedeltà.
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Talvolta una vera e propria rendita di posizione, una fiducia
consolidata, capace di agire a lungo termine, come un’antica
memoria. Una reputazione che non evapora nel tempo, resiste agli
andamenti del mercato e ai flussi della comunicazione.
Un traguardo importante, comunque, quello del goodwill perché la
marca è un concentrato di informazioni e di conoscenze: il suo valore,
alla nascita, può dirsi pressoché nullo.
A parte il costo dei depositi giuridici e gli onorari degli studi legali e
dei grafici, gli esordi della marca sono privi di ascendenze ereditarie e
di stratificazioni simboliche. Dal punto di vista commerciale, gli
albori dell’insegna sono ricchi di potenzialità ma poveri di storia. La
marca giovane è debole. È soltanto col tempo – grazie agli
investimenti economici e umani, mediante l’incessante ricerca della
qualità, dell’innovazione e del servizio, attraverso l’adattamento alle
nuove aspettative del consumatore e la prossimità del pubblico – che
acquista valore. A differenza della pubblicità, col suo messaggio
effimero, destinata all’oblio e a un rapido sorpasso, la marca resta
nella memoria del consumatore con le sue promesse e i suoi risultati,
con le sue parole ed il suo mondo. Una volta conquistata notorietà,
memorabilità e fiducia presso il suo pubblico, la marca si appresta a
“posizionarsi”: a presidiare, cioè, uno spazio unico, distintivo e
caratteristico nella mente del consumatore. Alla marca viene
collegato un insieme di associazioni, di rappresentazioni simboliche
che ne costituiscono una sorta di prodromo di identità.
d. Posizionamento: la scelta del target.
Nella vita della marca, nella sua inquieta e mutevole esistenza, esiste
una fase, quella del posizionamento, che pare rappresentarne, per un
lungo periodo, una sorta di conditio sine qua non per l’affermazione
ed il successo. A partire dalla prima metà degli anni Settanta, la
competizione crescente, la perdita di caratteri differenziali oggettivi
tra le marche stesse e lo spostamento operato dal consumatore nel
cercare la distintività a livello simbolico, rende il problema del
posizionamento assolutamente cruciale e prioritario per l’impresa. Si
delineano, cioè, la necessità di dare un senso alle strategie di
marketing e comunicazione, l’urgenza di definire un progetto rispetto
a ciò si trasmette all’esterno: alla marca devono essere attribuite
caratteristiche uniche, facilmente riconoscibili, persistenti nel tempo,
rilevanti per il consumatore. Si tratta di costruire, all’interno della
personalità della marca, un segno forte e caratterizzante; quasi si
volesse riprodurre, a livello simbolico, quelle differenziazioni
strutturali che un tempo, agli albori dei mercati di massa,
connotavano le prime marche.
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S’intuisce, cioè, che il posizionamento, se sufficientemente forte e
intenso, può divenire il vero patrimonio della marca: saranno infatti
le sue caratteristiche di unicità a differenziarla rispetto alle altre
proposte del mercato.
La comunicazione di marca cessa di indicare il mero prodotto ed
inizia ad evocare e suggerirne attributi. In maniera esplicita,
attraente, chiara. La “legge del posizionamento”, in questa fase,
postula che occorre, nell’ambito delle possibili prestazioni ricercate
in un prodotto, impossessarsene di una (al massimo due) capace di
stabilire associazioni forti con il marchio.
Cercare di appropriarsi di più caratteristiche rilevanti appare
problematico e rischia di produrre generici goodwill anziché generare
una chiara fisionomia di marca.
L’obiettivo è quello di creare una relazione sinonimica, diretta tra
brand e performance. Ovvero, attribuire alla marca tratti di unicità e
forte definizione, per renderla distintiva in un affollato scenario
competitivo, associandola a specifici consumer benefit. In altre
parole, si tratta ora di elaborare significati atti a qualificare la
produzione. Di mettere a fuoco proporre con grande efficacia,
caratteristiche, vantaggi e benefici che siano unici, distintivi, rilevanti
per il consumatore e facilmente riconoscibili. Tutta la problematica
del posizionamento – il presidio di un preciso spazio mentale
nell’immaginario dei consumatori, la creazione di propri attributi
esclusivi – è riconducibile a questa fase della storia della marca. La
fase del posizionamento è quella che vede la marca ampliare i propri
orizzonti in una prospettiva nuova: i prodotti ora sembrano incarnare
discorsi, caratteristiche e funzioni in relazione allo scenario
competitivo e a quello di consumo.
Il marchio autocratico, chiuso nel proprio perimetro circoscritto
entro la propria immagine ed i propri benefici è destinato a
soccombere. È necessario, ora, osservare il contesto e comprendere
che tutte le scelte del consumatore sono di tipo comparativo.
Benefici, attributi e prestazioni, possono dirsi determinanti e
motivanti, unicamente in rapporto agli altri attori del mercato. Non
solo: un posizionamento efficace è quello che gode di una lunghezza
di vantaggio rispetto alla concorrenza, quello che per primo
individua, occupa e tutela un campo definito nei bisogni e nei
desideri dell’audience.
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40
e. Commitment, coinvolgimento,
rappresentazione di sé, relazione.
Apparentemente una fase evoluta della fase di goodwill, una sorta di
goodwill potenziato, in realtà questo nuovo step implica un netto
scarto di marcia. Dalla simpatia, al sorriso, ad una predisposizione
favorevole si passa all’empatia, all’identificazione, al legame, alla
rappresentazione sociale del sé. La marca diviene un’amica fidata,
con cui si sta volentieri in compagnia, che fa parte del nostro cotè
affettivo ed emozionale, che offre agli altri una buona
rappresentazione di ciò che siamo o vogliamo essere, quasi una sorta
di biglietto da visita.
Il coinvolgimento è la risultante di tutto il variegato plesso di attributi
in cui si può dipanare la marca, ma le emozioni che questa suscita ne
costituiscono l’asse portante. In realtà il commitment dell’adozione –
da parte della marca – anche delle dimensioni.
f. Emozioni.
Se c’è un’emergenza su cui gli osservatori del cambiamento sociale
concordano è quella di un inedito protagonismo, nel vivere sociale,
delle emozioni. Sempre più ci affidiamo alle emozioni nelle relazioni
con gli altri, per valutare quello che abbiamo intorno, per indirizzare i
nostri comportamenti. Persino il mondo dell’economia –
tradizionalmente diffidente nei confronti di tutto ciò che si discosti
dalla razionalità –sembra riconoscere, adesso, l’importanza di questo
nuovo paradigma. Tuttavia, il rilievo della componente emotiva negli
atti di acquisto non rappresenta certo una novità.
Già alcuni decenni fa, con la nascita delle ricerche motivazionali, si
era presa consapevolezza del ruolo delle emozioni nelle decisioni di
consumo. Ma da qua a sottolinearne, come adesso accade, l’assoluta
centralità nella costruzione e nell’identità della marca, la differenza è
davvero sostantiva. Gli attributi intangibili stanno acquisendo uno
spesso crescente: diventano dimensioni “motivanti” e desiderabili per
il consumatore contemporaneo. Ed entrano, a pieno titolo, nella
dimensione e nel mondo dei valori della marca. Nondimeno i
tangibile asseta, lungi dall’essere abbandonati dal marketing
contemporaneo, risultano comunque sempre più marginali, forse
parametri tautologici o inscritti in forma genetica nella sostanza del
brand.
Nelle strategie di marca le emozioni stanno assumendo un ruolo del
tutto prioritario. Nel senso che – in questo periodo storico - le
marche debbono, per rapportarsi efficacemente al mercato, essere in
grado di suscitare esperienze altamente emotive.
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Devono riuscire a dialogare con le emozioni del consumatore con
altrettanta incisività ed immediatezza con cui, tradizionalmente,
hanno saputo comunicare con altri livelli della vita affettiva e
mentale. In altre parole, si tratta adesso di enfatizzare quelle che gli
americani chiamano le human connections between corporations and
consumers. È una sorta di branding delle emozioni e delle sensazioni:
un nuovo paradigma per stabilire un fertile dialogo e autentici punti
di contatto tra gli individui e le marche di largo consumo. Un cocktail
dinamico fatto di antropologia, immaginazione, sensorialità,
esperienze, passione, desiderio. Nel suo divenire, la marca, ormai
definitivamente assolta la funzione identificativa legata ad un
approccio meramente cognitivo, ha dovuto sviluppare nuove, inedite,
dimensioni. Il passaggio dalla fase della ricerca di memorabilità
(awareness) alla costruzione di relazioni ed emozioni è lento e
graduale.
La marca, s’è via via impossessata di consumer benefit esclusivi, di
valori riferiti al settore merceologico di riferimento e, in alcuni casi,
di grandi valori sociali. Tuttavia, l’obiettivo che ha attraversato la
mutazione del branding negli ultimi 15/20 anni, è rimasto lo stesso:
creare una identità esclusiva, fortemente caratterizzata, una
personalità diversa da tutte le altre per competere con successo in
uno scenario, anche semiotico, sempre più denso ed affollato.
La priorità diviene quindi, adesso, di riscaldare la marca perché
questa possa traslare calore e colore alle merci. Parlare un linguaggio
che non solo non è razionale ma nemmeno verbale. Il linguaggio delle
emozioni parla al cuore più che alla mente, ai sentimenti più che alla
ragione. È un codice capace di forgiare relazioni profonde e durature,
di individuare punti di contatto vivi e vitali tra imprese ed individuo,
di trascendere la soddisfazione materiale e orientarsi verso mete
aspirazionali e motivazioni umanissime. La marca deve essere in
grado di flirtare col mondo magico dell’immaginazione, dei
sentimenti, dell’affettività e della sensibilità. Per ottenere una
risposta forte e chiara dal consumatore essa deve poter creare delle
vibrazioni, un mood positivo, esprimere un linguaggio che parli –
pure all’interno di un medesimo spartito – alla globalità dei sensi.
Persino il servizio, se non arricchito da un dialogo centrale e
costitutivo col consumatore, se non investito di una nuova e più
ampia significazione appare una dimensione asfittica e riduttiva. Si
parla sempre più spesso, oggi, di marca relazionale.
42
Se venisse realmente intesa e interpretata per quello che è, o può
divenire, rappresenterebbe davvero la nuovo frontiera della marca:
purtroppo appare l’argomentarne più una sorta di tributo, di
ossequio ad una problematica di moda e culturalmente attuale che
sintomo di un reale impegno – da parte del branding – ad
avventurarsi su questi fronti. La quasi totale assenza di internet – un
mezzo in cui l’interattività non solo è possibile ma rappresenta anche
la dimensione più qualificante – nei siti delle marche di rapporti
personalizzati one-to-one, di reali feedback ne è una vistosa
testimonianza.
Relazione
significa
interazione,
scambio,
condivisione, dialettica, reale confronto: significa transizione dal
broadcasting al narrow casting. È allora che subentra il commitment,
che la marca assume il significato di “per me” e non “per tutti”, che si
antropomorfizza in un reale – e non allucinatorio e mistificato – e
caldo rapporto tra simili.
g. Attualità culturale e valori.
La marca deve essere strettamente connessa con quella che è
l’attualità culturale e rappresentarne valori e abitudini. Deve cioè
diventare uno specchio in cui il consumatore riesce a riflettere le
proprie motivazioni, credenziali e opinioni fino a trovare una
compenetrazione tra almeno due di queste aree. I valori sono
l’aspetto più intrinseco nella personalità di un individuo e che più ne
condizionano il comportamento e ne determina le scelte. Nel
momento in cui il consumatore nota una corrispondenza tra la
propria base di valori e ciò che la marca rappresenta, ci sarà una
naturale attrazione tra le due entità.
4. Costruire l’identità di marca oggi.
Grazie all’identità la marca prende forma, s’investe di un contenuto,
si rende concreta, vitale ed afferrabile. Permanenza nel tempo,
coerenza dei segni emessi e realismo, diventano allora i presupposti
di una nuova fase della marca, quella dell’identità. Un momento
moderno, un concetto recente ed essenziale. L’identità della marca
non è una dimensione cristallizzata, inerte, chiusa. È soggetta ad una
significazione dinamica. Si configura attraverso i continui discorsi
della marca, assume spessori sempre nuovi. È in perenne evoluzione,
pur rimanendo coerente e a se stessa.
43
Il problema dell’identità della marca trascende i tradizionali concetti
di immagine e posizionamento per assumere uno spessore
sconosciuto in passato. L’identità della marca è il frutto di una
sapiente alchimia tra valori di prodotto, contenuti emotivi, valori
sociali e cultura d’impresa. È la risultante di una consapevole e
coerente regia di quell’articolato sistema di segni con cui essa si
rapporta all’esterno. Segni che, il più delle volte, parlano invece
linguaggi incoerenti. Ecco perché il processo di costruzione
dell’identità vede la marca impegnata su fronti diversi. Anzitutto nel
presidio di valori di prodotto che rappresentano la legittimazione
stessa dell’esistenza della marca. La sua capacità di saturare nella
maniera più compiuta, i bisogni che il consumatore si attende
vengano soddisfatti con l’atto di consumo. Sono quei valori d’uso che
erano stati messi in ombra nel recente primato attribuito
all’immagine, privilegiando più la loro apparenza che le oggettive
performance.
Fra queste, è necessario che alcune abbiamo caratteri di assoluta
eccellenza e di esclusività entrando a far parte del patrimonio
genetico della marca. Nell’ambito quindi delle tante componenti che
concorrono alla qualità, alcune dovranno assumere nella promozione
dell’identità, uno statuto del tutto speciale. Divenire patrimonio
esclusivo della marca.
5. La Marca come una persona.
Che la marca possa essere interpretata in chiave umana, vista cioè
come se fosse una persona, non è una cosa nuova. Tra le tante
metafore applicate (ed applicabili) alla marca, quella che la vede
come antropomorfa e pensante, pare rilevarsi la più naturale, la più
evidente, la più intelligibile. E non è casuale. La marca è un
organismo vivente, è un territorio, è un racconto, è un generatore
semiotico: ma, più di ogni altra cosa, è un soggetto animato da una
vitalità emozionale, razionale, relazionale. Non si tratta soltanto,
dunque, di un’istanza biologica che nasce, cresce, si riproduce, lotta
per sopravvivere e per difendersi dalle minacce dell’ambiente
esterno. Non solo dimensione geografica, definita ed abitata,
circoscritta ed omogenea, con una bandiera, un inno e una cultura.
Soprattutto, la marca è una personalità ben precisa, che al di là del
sembiante – con i suoi tratti fisionomici, il suo portamento, l’aspetto
complessivo – ha anche uno sguardo sul mondo, interagisce con
l’Altro, ha il dono della parola sensata, ha un’anima e persino un
cuore.
44
E’ dunque una persona a tutti gli effetti. Capace di provare ed evocare
emozioni, di incarnare stati d’animo ed assumere atteggiamenti
differenti a seconda del contesto o del suo stesso carattere. Se c’è
un’area di debolezza nella metafora della marca-persona è che la
marca, se ben gestita, a differenza degli uomini può essere
immortale. Fanno ormai parte della più sedimentata letteratura
manageriale e pubblicitaria i celebri psicodrammi utilizzati da Ernest
Dichter, uno dei padri fondatori della ricerca qualitativa e
motivazionale, che nei suoi test chiedeva alle persone di identificarsi
in un prodotto:”immaginate di essere Ivory soap. Che età avete? Siete
uomo o donna? Che tipo di personalità avete? Quali sono i vostri
hobby?”. Nondimeno, oggi, non c’è istituto di ricerca che non utilizzi
la metafora della persona per studiare ed interpretare la marca.
Descrivendo una marca come fosse una persona riesce più facile a chi
risponde condensare i tratti più salienti della personalità di una
marca che non riferendosi in astratto. Grazie al processo di
antropomorfizzazione si calano nella concretezza e nella fisicità della
persona descritta le dimensioni peculiari della marca. E’ un semplice
test proiettivo di facile decodifica che può anche essere
somministrato sotto forma di scale. Nella marca la gente ricerca
quelle affinità, quelle concordanze, quella simpatia, tipiche delle
relazioni amicali, affettive, familiari. Il punto centrale che muove
l’operazione di trasferimento delle caratteristiche di una persona in
quelle di un marchio di largo consumo è da ricercarsi nel
fondamentale concetto di associazioni di marca: è associabile alla
marca tutto ciò che nella mente del consumatore risulta collegato ad
essa.
Le associazioni di marca offrono un ricco ventaglio di metafore e
possibilità, di allegorie e simbolismi, di tratti peculiari ed elementi di
differenziazione. Il tutto si presta ad una formidabile declinazione in
chiave umana. Non va assolutamente dimenticato, inoltre, che la
forte spinta all’individualità, il rifiuto crescente del conformismo, la
ricerca dell’autenticità e della propria verità che caratterizzano le
istanze dell’individuo e del consumatore postmoderno, offrono ampie
possibilità di traslazione anche nell’ordine del branding. In altre
parole, persino nelle marche, così come nelle persone, oggi si è a
caccia dell’unicità, della distintività, della personalità forte,
accattivante, che non sia omologata o “normalizzata”, alla massa
indistinta.
Siamo nell’ ”era dell’uno”, della “singolarità” e dell’”alta definizione”.
La gente cerca relazioni dirette, one-to-one, dense di contatto e
vibranti di senso. In ogni settore del consumo le marche riconoscibili
per tratti distintivi e forte singolarità hanno sempre avuto successo
rispetto a quelle con caratteristiche vaghe, indefinite e multiformi. La
tendenza del mercato andrà un questa direzione.
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Il branding sarà sempre più orientato all’affermazione, alla difesa, e
al potenziamento della diversità della marca.
Soltanto attraverso la costruzione di questa peculiarità – che è anche
ricchezza e spessore di significati, profondità, poesia, complessità,
autenticità – la marca potrà dirsi davvero “amica”. Una marca dotata
di una forte personalità, ma anche di una psicologia tutta sua e
persino di un proprio senso della vita: una marca pensante ed
effettiva, dunque una marcapersona, che avrà la probabilità di
incontrare un’altra persona, l’individuo consumatore. Alla base della
metafora della marca-persona sta dunque la relazione: uno scambio
interlocutorio e umano, tra il soggetto e l’oggetto del consumo, tra il
pubblico e la marca, tra produttore e consumatore. Si tratta di un
orientamento piuttosto recente del branding e della gestione dei
marchi, che abbraccia una vastissima estensione di significati: dalla
ricerca affannosa di un life-long relationship tra marca e cliente, alla
nuova poligamia del consumo, fino ad arrivare a sentimenti come la
stima, la familiarità, l’amicizia che un tempo appartenevano alla sfera
dell’umano e ora contaminano massicciamente i discorsi delle
aziende e le strategie commerciali. Basti pensare fedeltà, tema caldo
del marketing contemporaneo, accezione che – fino ad un recente
passato – era saldamente inscritta degli umanissimi discorsi.
Nondimeno si parla oggi di stato di salute della marca, di anamnesi e
terapie, di cure ricostituenti e guarigioni prodigiose. Stiamo passando
dalla brand personalità alla brand psichology.
a. Il volto.
Come ogni persona anche la marca ha un volto. Per la marca è tutto
ciò che si vede. Si tratta del luogo in cui s’addensano quei frequenti
fremiti vitali e discorsivi che mettono in relazione il soggetto col
mondo esterno. Lo sguardo è l’occhio degli altri e sulle cose,
l’espressione più vera e più umana dell’individuo, l’indicatore di gioia
o di tristezza, di cinismo o di bontà, di allegria o di preoccupazione.
La bocca, sede della parola e del sorriso, del desiderio e dell’oralità,
accesso al nutrimento, portatrice di emozioni e stati d’animo. E poi il
naso, segno di personalità e carattere; la fronte, del pensiero e
dell’intelletto, della storia e dei segni del tempo; l’incarnato pallido e
delicato, coriaceo o bruciato dal sole. Ogni frammento del volto
partecipa all’espressione, alla comunicazione di sé, allo scambio di
informazioni e passioni con altre persone, col contesto, con la realtà, i
sentimenti: con la vita.
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È, probabilmente, l’ambito in cui avviene il riconoscimento della
persona. Non a caso ogni documento d’identità riporta l’effigie del
volto. Esso contiene i connotati e le caratteristiche salienti di
ciascuno di noi, garantisce l’unicità e la distintività del singolo.
La dimensione della marca che più si approssima al volto è il suo
patrimonio iconico: quelle immagini che affiorano nella mente del
consumatore quando evoca una marca: i colori pastello e il
coccodrillo per Lacoste: il fiore e il pay off “ti colora la vita” di
Deborah; l’apparecchio e le cabine telefoniche per Telecom con i suoi
negozi, i servizi brandizzati, le immagini delle sue più fortunate
campagne pubblicitarie. L’icona del volto è quella che noi usiamo per
riconoscere una persona, per evocarne il ricordo o la presenza se non
è con noi: alla stessa stregua delle icone della marca. Non quelle che
esistono astrattamente ma quelle che si sono impresse nella mente
del consumatore. Il volto della marca è l’immagine istantanea ove
avviene il riconoscimento. È il primo ordine del discorso: visivo, ma
anche simbolico. La faccia: è il manifesto dell’identità e condensa il
carattere della marca. Qui ritroviamo quegli stilemi, quei codici e
quei tratti unici e particolarissimi che alludono all’anima (la marca
persona ne ha una) e che evocano la sostanza, la vera natura del
brand (mostrate il vero volto). Il volto è, in buona sostanza,
l’immagine mentale che arriva al consumatore ogni volta che questi
pensa alla marca. Non accade forse lo stesso quando pensiamo ad
una persona? La prima cosa che affiora è il suo viso, il suo sorriso, il
suo sguardo. Può trattarsi del nome, del simbolo o dello slogan,
quando uno di questi sia particolarmente forte e memorabile, capace
di produrre un’immagine mentale. Oppure il prodotto-simbolo, il
prototipo, il progenitore. Il volto di Look sono gli attacchi da sci,
anche se oggi il celebre marchio francese s’è avventurato nel mercato
della bici da corsa. Il volto di Ferrero è Nutella.
Il volto di Mulino Bianco è con tutta probabilità il luogo bucolico e
rurale: il casale tinteggiato di bianco con le pale per la macina del
frumento, da sempre accompagnato dalle spighe di grano coi
papaveri. Nondimeno, è un volto che assume le sembianze del
prodotto da forno, sia esso frollino, merendina o cracker.
Per McDonald’s è dato da un insieme di colori e di atmosfere e, più di
tutti, da una componente del menù che pare incarnare il marchio per
esteso: Big Mac con patatine. In ogni angolo del globo, tutta la
comunicazione pubblicitaria McDonald’s insiste su queste pietanze:
non si tratta soltanto di pane, carne trita e frittura di solanacee,
piuttosto di un menù altamente semiotico, capace di racchiudere il
valore e i valori del marchio. Ma nel volto di McDonald’s troviamo
anche il pagliaccio Ronald, gli archi dorati, le scritte luminose, la
policromia del neon: insomma le icone che la marca ha impresso nei
suoi consumatori.
47
b. I caratteri fisionomici.
La straordinaria estensione di significati cui si presta la marca
consente di introdurre –all’interno della metafora della persona – un
nuovo tentativo epistemologico - la fisiognomica applicata al
branding. Sappiamo che i physco-gnomici cercavano di intuire il
carattere di un uomo confrontandone le caratteristiche fisiche con
certi tipi di animali di cui si supponeva nota la natura morale (il più
antico trattato di fisiognomica risale ad Aristotele). Tra l’altro
l’associazione di una marca ad un animale, che ha condensato
nell’immaginario collettivo una serie di stereotipi (il cane la fedeltà, il
leone la forza, la volpe l’astuzia, la gazzella la flessibilità e via
dicendo), è una tipologia di test a cui si fa abitualmente ricorso negli
studi sulla marca. Cercare di svelare i tratti della personalità
attraverso i lineamenti del viso, della struttura del corpo e più in
generale dell’aspetto fisico, è una operazione singolare e per certi
versi contraddittoria. È mossa da una duplice tensione interna: da un
lato si tratta di un ragionamento altamente intuitivo, nel senso che
potrebbe sembrare infondato, arbitrario, creativo; dall’altro appare
come un’analisi profondamente rigorosa, perché senza una
sistematizzazione scientifica ed una osservazione analitica delle
ricorrenze e degli indici statici, nessuna teoria è verificabile. Questa
apparente contraddizione non fa altro che legittimare la nostra
bizzarra metafora, perché incarna la stessa dualità che caratterizza la
marca: da un lato essere discorsivo, imprevedibile, cangiante ed
elastico, opera aperta, pronta ad accogliere varianti, libere
interpretazioni, mutamenti di senso, contaminazioni socioculturali;
dall’altro soggetto razionale, modello analitico, prevedibile,
complesso ma non caotico, sottoposto alle leggi del mercato e a quelle
di una equity valutabile.
Anche se studi recenti hanno confermato che c’è scarsa relazione tra
misurazioni somatiche, proporzioni corporee e caratteristiche
psicologiche, dimostrando una sostanziale infondatezza del sistema,
noi crediamo che quello della fisiognomica possa essere considerato
un utile modello di riferimento per intraprendere una lettura della
marca a partire dalle sue manifestazioni esteriori.
Non c’è dubbio: la marca è un costrutto culturale, un essere
discorsivo, un generatore di senso. Tuttavia, essa si offre al mondo
del consumo con un sembiante che non è mai casuale, non è mai un
rivestimento cosmetico o un empaquetage alla Christo. Riprendendo
la linguistica di de Suassurre, potremmo dire che – in quanto segno –
la marca non può prescindere dal significante.
48
E dunque, l’ordine del suo discorso s’innesta sulla sua visibilità: la
sua “faccia”, il suo sguardo. “I fisionomici sostenevano che si potesse
ricostruire il carattere di un individuo da tratti specifici del suo
aspetto, specialmente da quei tratti che non erano soggetti a
mutamenti nel tempo [come] il mento e la fronte. Sull’esempio di un
curioso maialetto anglosassone dal titolo “Character Reading from
the Face”, anche noi, siamo tentati qui di leggere il carattere della
marca dalla sua faccia, dal suo volto. Non è certo un caso che
Lombroso sia nato in Italia. E anche noi crediamo che le dimensioni
che consentono questo tipo di interpretazione siano quelle
immutabili, quelle che non variano al variare delle mode e dei
mercati, dei climi socioculturali e delle tendenze del momento. Ma a
cosa corrispondono, per la marca, il mento, la fronte, il naso, la
bocca? Sono i tratti originari, quelli che accompagnano la marca nel
suo continuo divenire, senza partecipare allo stesso inevitabile ed
incessante mutamento, conservando stabilità e coerenza. Il nome, il
logo, il simbolo grafico, il payoff, non sono altro che le manifestazioni
esteriori di un’anima, di una brand essente o una brand personality
che è inscritta nel profondo. Ecco allora la fisionomica che si incontra
col marketing. Prendiamo Nike e consideriamo – come se fossero la
struttura ossea del cranio, l’apertura dell’angolo facciale, il naso, la
bocca.. – lo swoosh (il logo), il “just do it” (il pay off) e il nome.
Disegnato per soli 35 dollari nel 1971 da Carolyn Davidson,
studentessa di Belle Arti di Eugene, nell’Oregon, lo swoosh convive
con le 4 lettere del marchio Nike fino al 1992. L’emancipazione
avviene quando, dopo una serie di performance travolgenti, Andrè
Agassi vince il torneo di Wimbledon. È il 1992 ed Andrè indossa un
berretto nero, con ricamato lo swoosh, senza alcuna scritta
aggiuntiva. La sua foto appare su tutte le copertine e le prime pagine
del mondo: nel giro di poche settimane cappellini come quello
diventano popolarissimi e richiestissimi.
Se fosse una parte del volto umano, lo swoosh forse sarebbe un naso:
un naso aquilino, sintomo di un carattere forte, di dinamismo e
volontà. Ma anche di dedizione, lealtà, senso di missione. Lo swoosh
è uno di quei segni che produce un discorso in assenza della parola,
una sorta di immagine sacra dotata di aura, uno dei marchi più
potenti della nostra epoca. Dunque un logo che consente uno
straordinario ragionamento fisionomico. In possesso di una singolare
capacità metonimica, lo svolazzo Nike evoca il tutto attraverso una
parte. La sua forma assomiglia a quella di un boomerang. Somiglia al
segno di well done che si usa – nel rapporto tra maestra e allievo –
nella scuola anglosassone. È una specie di linea curva, una sorta di
scarabocchio applicato con nonchalance, come quando si controlla
un elenco segnando ciascuno dei dati che sono stati vistati, puntati.
Come quei check-sign, segni di conferma o di “visto” che si fanno
accanto ad un testo approvato, un compito corretto, una lista
verificata.
49
Ma è uno scarabocchio che produce senso. È l’emblema dello sport e
dell’atleta che c’è in ognuno di noi, è l’immagine di campioni eroici e
di festa mitiche, è il simbolo di uno stile di vita e di un’azienda che
porta il nome della dea greca della vittoria: Nike. E proprio
dell’olimpo dei marchi e dei logo sembra venire questo swoosh.
Forse, in origine contrazione grafica dell’ala piumata della divinità
vincente. Naomi Klein racconta che la sua amica Monica “dice che
suo figlio di sette anni non segna i compiti con asterischi o altro ma
con piccoli loghi rossi della Nike.”
Lo swoosh sembra suggerire l’idea di movimento e di dinamicità,
sembra dire “muoviti, alzati e cammina!”. Una voce intensa, piena di
significato e di corpo, “una costante globale che parte dai manifesti
del centro città ai berretti degli operai immigrati del Terzo mondo.
Lo swoosh è stato definito un “folletto egoista” per la sua vocazione a
comparire da solo, a bastarsi da sé, in completa autosufficienza,
senza bisogno di parole o di nomi. Una figura fondata sulla
sostituzione tra un segno grafico e un’azienda globale. Se un marchio,
come motore semiotico, è tanto più potente quanto meno è obbligato
a parlare di sé stesso, allora lo swoosh è dotato di una forza
propulsiva e di un potere discorsivo senza precedenti nella storia
della comunicazione. Segno muto eppure straordinariamente
eloquente, lo swoosh possiede autonomia e notorietà non comuni. “il
culto della marca si è trasformato in culto dei segni, dotato di vita
propria, e non più indice servile. E ancora, proviamo ad applicare il
nostro ragionamento fisionomico al “just do it”: il “you can do it” è un
modo di dire colloquiale, molto usato in inglese, una sorta di “forza,
puoi farcela”.
Un payoff divenuto ormai un motto feriale, amalgamato al nostro
dire quotidiano: tre parole che sembrano un concentrato di Nike, che
ne racchiudono tutta la vocazione al movimento, all’intraprendenza,
alla semplicità dello sport come gesto individuale e volontario.
La leggenda vuole che nel 1988 un pubblicitario, parlando
dell’azienda ai dipendenti Nike, urlò: ”you Nike guys, you just do it”.
Era un appello all’azione, allo spirito d’iniziativa, al dinamismo. Era
un grido che parlava di sport ma anche di vita, che invitava a
muoversi, in ogni senso, col corpo e con la mente. Darsi da fare.
Incitava a sognare e a credere nei propri sogni, perché non ci sono
scuse quando vuoi qualcosa veramente. Devi farlo e basta, senza
ascoltare la tua pigrizia, le tue giustificazioni, le voci degli altri. Una
sorta di licenza ad essere creativi, coraggiosi, un po’ irriflessivi. Un
invito a fare tutto ciò che ti passa per la testa e per il cuore, perché lo
puoi fare se ne sei davvero convinto. Niente è impossibile. Devi
soltanto farlo. Ecco allora un segno esteriore, componente silenziosa
del sembiante di Nike, che evoca un intera ideologia dello sport, che
condensa tutto spirito dell’aziende dell’Oregon.
50
Un inno all’ottimismo e alla fiducia in se stessi. Potremmo accostarlo
ad una fronte spaziosa ed ampia: indice di un carattere volitivo.
Energico, ma anche costante e sognatore, amante della libertà e del
successo individuale. Moltiplicato e riprodotto su cartelloni
pubblicitari e filmati televisivi, sopra felpe e t-shirt, questo motto
incarna il volto di Nike dunque rimanda alla facoltà dell’animo, alla
vista intellettuale, al carattere e alla missione originaria del marchio.
E poi c’è il nome. Nike: come una bocca dalle labbra carnose, che si
accompagna ad una volontà imperiosa e a un ideale di vittoria e
libertà, di riuscita individuale e capacità imprenditoriale. Queste
quattro lettere che evocano la dea greca della vittoria sembrano
contenere i tratti fondamentali dell’essenza del marchio. Una dea
alata, ispirata da grandi missioni e alti ideali, come quelli dello sport,
appunto. Una nomenclatura non casuale, dunque, perché
condensazioni di segni e significati, meccanismo semiotico, chiave
d’accesso ad un mondo possibile. Dietro questi tre segni: nome,
payoff, e simbolo, è possibile intravedere il valore ed i colori del
marchio. Tre dimensioni capaci di indicare un verso, un
orientamento, uno sguardo sul mondo. Come lineamenti del volto
umano, questi tratti fondamentali della marca, suggeriscono un
legame indissolubile tra significante e significato, tra corpo e anima,
tra parola e contenuto. Forse, ha ragione Corrigan quando scrive che
“è la cultura dei consumi che ha reso universale il ragionamento
fisionomico”.
c. L’età/il sesso.
Esistono marche giovani e marche meno giovani, marche
sorprendentemente agili e dinamiche nonostante l’età avanzata e
marche anagraficamente in fase puberale e tuttavia già miopi, già
provate da fastidiosi acciacchi, da malanni stagionali o da serie
compromissioni dello stato di salute. Marche inesperte, adolescenti,
banderuole ed instabili e marche mature, solide, con una propria
missione, un percorso già avviato, delle esperienze sedimentate. La
storia del marketing e quella del consumo insegnano che per la marca
l’età anagrafica non conta. La biografia commerciale di marchi e
imprese di successo dimostra ampiamente che lo spauracchio del
ciclo di vita – famigerata parabola alla quale nessun umano può
sottrarsi – può essere cancellato. Certi prodotti di culto, alcune
longseller brand, una serie di marche sempreverdi, sono l’esempio
che per la marca esiste l’elisir di lunga vita, e dunque, si può
sconfiggere la morte.
51
L’invecchiamento a cui sono soggetti i marchi commerciali
contemporanei appartiene all’ordine dell’usura semantica. Una
marca che voglia attraversare indenne il proprio percorso esistenziale
dovrebbe aggiornare costantemente ed incessantemente i propri
significati. Adattarsi all’ambiente. Rivedere i propri discorsi. Nutrirsi
dell’attualità culturale. Ascoltare le molteplici istanze di una società
cangiante e frammentata. Sintonizzarsi col consumatore. Non è
facile, ne siamo consapevoli. Ma è l’unico modo con cui le imprese
possono oggi sopravvivere agli scenari densi di insidie, ai mercati ad
altissima complessità ed altissima competizione che si trovano ad
affrontare. Questo non significa che la marca sia destinata ad un
frenetico mutamento di senso, ad un nevrotico susseguirsi di
personalità e caratteri, pena l’estinzione. Il rinnovamento semantico
prevede che la marca osservi una certa coerenza interna nei propri
discorsi e che – a lungo termine – non perda di vista la propria
essenza, il proprio nocciolo centrale, il senso profondo della sua
identità. È soltanto attraverso questo ordine di significati
permanente, stabile, sedimentato che è possibile innovare senza
distruggere, cambiare d’abito senza travestirsi.
In alcuni casi eccezionali – nel settore della moda giovanile, della
telefonia mobile, dell’abbigliamento sportivo, delle sneakers – il
turnover semantico è così frenetico ed inarrestabile che certe marche
si trovano a pianificare l’obsolescenza dei propri prodotti. Un paio di
calzature Nike Air Jordan acquistate due anni fa, pur nella loro
integrità funzionale, oggi sono assolutamente demodè. Le stesse air
Jordan oggi si offrono al consumatore nella versione stilisticamente
più attuale, più up-to-date.
Lo stesso vale per i prodotti ad alto contenuto tecnologico, dalla
telefonia ai computer, in cui ogni minima variante stilistica. Ogni
infinitesimale aggiustamento qualitativo, determina il sorpasso
rispetto al modello precedente. Non parliamo poi del pret à porter,
della jeanseria, degli articoli sportivi. In altri casi la marca sembra
guardarsi allo specchio ed assistere ad un lento ma progressivo
invecchiamento. Invecchiamento di chi? Invecchiamento di cosa?
Può accadere, per certe marche tradizionali, storiche, diciamo pure
delle “mature signore” del branding, che ad invecchiare siano i
clienti. È quello che è capitato a Mercedes quando agli inizi degli anni
Novanta dovette constatare che la sua clientela stava invecchiando.
Persino i possessori del modello più “utilitario”, quello di dimensioni
ridotte, la classe C, avevano un’età avanzata. Mercedes allora si
convinse che occorreva sradicare rapidamente questa tendenza
pericolosa che l’avrebbe condotta ad una eccessiva connotazione del
proprio mercato, l’avrebbe portata a crearsi una nicchia di
ultracinquantenni: un’oasi sicura e stabile, ma pur sempre una
nicchia. Mercedes si rese conto che era necessario abbandonare certi
tratti d’immagine da sempre inscritti nella stella a tre punto: lusso,
vettura di grandi dimensioni, auto-blu diplomatica.
52
Occorreva adesso proporre segni e discorsi nuovi: parlare di
edonismo, empatia e dinamismo. Mercedes crea così la nuova classe
A, una piccola 4x4, monovolume, densa di freschezza, glamour,
innovazione e brio. Come osserva Kapferer: ”l’esempio Mercedes
insegna che, per ringiovanire, la marca deve creare dei nuovi
prototipi”. Quello della Classe A costituisce a tutti gli effetti un
prototipo, in quanto è il prodotto più rappresentativo in una
determinata fase del mercato. Esso incarna un condensato di segni e
significazioni talmente potenti da riscrivere l’identità di marca, da
proporsi come nuovo stemma familiare, nuovo blasone. Mercedes
classe A, ha esordito accompagnata da uno straordinario successo,
inscrivendosi nello spazio mentale di nuovi segmenti di consumatori,
presidiandone l’immaginario e l’immagine di marca. “per cambiare
l’immagine di una marca bisogna creare un nuovo prototipo. Tenuto
conto delle difficoltà di rimpiazzare una rappresentazione con
un’altra presso uno stesso cliente, questo nuovo prototipo si fisserà
più facilmente nella memoria dei nuovi target”.
L’innovazione di prodotto si rivela come una delle condizioni
necessarie al ringiovanimento della marca. Accanto ad essa, un
rinnovamento del bacino semantico della marca, ovvero un turnover
di segni e significazioni, il linea con l’attualità socioculturale. Infine,
un continuo fine tuning col consumatore.
Brand come Dior, Gucci, Ferragamo, Chanel, insegnano che l’età
anagrafica può diventare un dettaglio insignificante quando l’impresa
riesce a cavalcare l’attualità culturale, rivedere l’immagine e i
significati della marca, “pensare” e comunicare attraverso i segni e gli
stilemi dello Spirito del Tempo.
La marca ha un’età e un sesso. Esistono marche femminili – e quindi
stereotipicamente più dolci, gentili, accuditive, ma anche più fragili –
e marche maschili – che lo stereotipo vuole, appunto, più forti
energetiche, prepotenti ma anche rigorose e affidabili. A monte sono
spesso rintracciabili i due tipi di figure genitoriali che ci ha descritto
la psicoanalisi: la madre generosa che nutre e cura, disinteressata e
affettuosa che niente (o poco) chiede in cambio e il padre severo e
castratore. Una sorta di inflessibile super-ego che impone, vieta, a cui
si deve ubbidire, che si rispetta ma non si ama. Una figura
inquietante per la marca, sovente impersonata dalle marche
pubbliche e monopoliste. Ma anche per il percepito della marca come
donna può suscitare paure o ambivalenza: in qualche caso – sempre
in termini di psicologia del profondo – l’archetipo della vagina
dentata è sempre lì, dietro la porta.
53
d. Il carattere.
Anche una marca, così come una persona possiede un carattere.
Possiede, cioè, una serie di tratti unici e particolari che e configurano
il modo di esprimersi, di rapportarsi agli altri, di manifestare i propri
stati d’animo. Nondimeno, anche una marca, così come una persona,
possiede un’indole: allegra o melanconica, estroversa o chiusa,
socievole o solitaria, effervescente o pacata, ipercinetica o tranquilla,
amichevole o scostante. Una carattere forte, singolare, riconoscibile,
conferirà alla marca qui connotati di distintività e peculiarità così
necessari per emergere e competete negli affollati scenari
contemporanei. Pensiamo ad una marca come Virgin:
anticonformista, trasgressiva e allo stesso tempo straordinariamente
aperta all’attualità culturale, open-minded, mobile e dinamica. Il suo
carattere è chiaro: estroverso, socievole, sperimentatore, amante del
rischio. Virgin è capace di passare con grande disinvoltura dalla
discografia ai soft drink. Senza dimenticare le compagnie aeree. Certo
non è da tutti. Il suo è un carattere chiaro e deciso, che le permette di
estendersi nei comparti merceologici più disparati senza perdere di
credibilità. Forse fra tutte le marche – data la fortissima presenza e
caratterizzazione del suo padrepadrone Richard Branson – quella in
cui è in realtà la figura dell’imprenditore a venir tratteggiata nella
descrizione della marca-persona.
Diversamente, una marca che manifesti un carattere incerto,
nebuloso, non ancora definito, o peggio ancora contraddittorio ed
ambiguo, rischia di appannare e sgretolare la propria identità.
Marche camaleontiche ed opportuniste, che paiono mutare
radicalmente i propri tratti caratteriali al cambiare delle stagioni o
delle mode, sono destinate alla perdita di fiducia da parte del
pubblico.
La relazione col cliente, necessaria ad una salda fedeltà, ad una
amicizia durevole, necessita di solidità caratteriale. Come fidarsi di
un soggetto (marca o persona) imprevedibile, scostante, incoerente?
Il carattere della marca è simbiotico alla sua identità. Esso partecipa
alla generazione di senso e alla creazione di una essenza di marca.
e. La cultura.
Ogni marca possiede una propria cultura: che non corrisponde
necessariamente ad una erudizione dotta, ad una istruzione
accademica o tradizionale. Per cultura di marca noi intendiamo un
condensato di esperienza ed i saperi, di vicissitudini imprenditoriali
ed umane, di contaminazioni sociali e di valori aziendali, di
sensibilità e di influenze ambientali.
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Si tratta di un humus culturale più che di una cultura nell’accezione
più condivisa del termine. Nient’altro che una stratificazione di
conoscenze e di storie, comprensiva di radici, senso delle origini e
della missione. Ma cultura è, per la marca, anche innovazione e
tecnologia, sapere produttivo ed eccellenza performativa. Cultura è
anche attualità socioculturale, sintonia col core target, immersione
totale nello Zeitgeist. Nescafè, ad esempio, è un marchio che detiene
il primato di una straordinaria cultura produttiva. Non a caso nel
1996 la Nestlè è una delle prime imprese a controllare
industrialmente la liofilizzazione: un procedimento di essiccazione a
freddo che permette di ottenere una polvere solubile senza perdere le
caratteristiche di aroma e sapore del prodotto originario. Nasce il
Nescafè liofilizzato, che grazie al modernissimo (e allora
costosissimo) sistema di fabbricazione, conserva al meglio i gusti
Arabica e Colombia, qualità di caffé dall’aroma particolarmente
intenso ma allo stesso tempo sensibile e fugace. Si tratta di una
formidabile innovazione di prodotto figlia della cultura
imprenditoriale e del sapere produttivo del marchio. L’esclusivo
know-how tecnologico dell’azienda.
Ha contaminato l’intero comparto merceologico. In breve tempo,
Nescafè s’è trasformata, grazie al pionierismo industriale di Nestlè e
alla sua incessante ricerca sul miglioramento della qualità del
prodotto, in marca dominante, l’unica marca ricordata da una
percentuale elevata di intervistati all’interno di una determinata
categoria merceologica.
Nescafè è un ottimo esempio di marca colta: marca, cioè che ha
messo a frutto le proprie conoscenze e la propria esperienza in
materia di innovazione di prodotto e di sistema. Che è stata in grado
di unire capacità industriale, ricerca e comunicazione.
Oggi la produzione di caffé solubile è accessibile a molte industrie.
Ma Nescafè ha saputo accumulare knowhow negli anni. E,
contemporaneamente è stata in grado di rinnovare i significati del
suo caffé, adeguandolo costantemente alla propria epoca e alle
aspettative dei propri consumatori. Infatti, dal primissimo Nescafè,
nato nel 1938, sino a quello di oggi, la marca è rimasta la stessa, ma il
prodotto è cambiato, in quanto costantemente rinnovato. La ricerca
di base applicata, la conoscenza tecnologica sui metodi di
fabbricazione e trasformazione delle molecole del caffé costituiscono
l’importante calore aggiunto del marchio Nescafè. Nato, all’origine,
grazie al procedimento di disidratazione che utilizza gli zuccheri per
fissare la polvere di caffé, il prodotto è stato migliorato a partire dal
1954, data in cui i progressi tecnologici hanno premesso di eliminare
il gusto caramellato dello zucchero dal sapore originale e di ottenere
la polvere solubile con la sola polverizzazione grazie ad aria calda.
55
Nel 1962 prosegue la ricerca verso la riconquista e la conservazione
degli aromi. Nel 1966 il prodotto viene rivoluzionato a seguito del
nuovo processo di liofilizzazione.
Nel 1976 vengono isolate le fragranze più rappresentative del caffé
fatto in casa e del caffé appena torrefatto. Nel 1981 Nescafè riesce a
diversificare i profili di gusto e a proporre una segmentazione
aromatica. Nel 1985 il processo di liofilizzazione viene perfezionato e
viene lanciata una nuova miscela di caffé d’Africa e del Brasile.
L’esempio di Nescafè è particolarmente significativo: questo lungo ed
incessante percorso verso l’eccellenza qualitativa ed il miglioramento
delle prestazioni organolettiche è segnato da tappe “industriali” che si
sono tradotte in altrettanti fasi del marketing. Peccato che queste non
siano state all’altezza delle straordinarie innovazioni di prodotto e
Nescafè, in Italia, ha sempre avuto quote di mercato marginali, da
comprimario, che non danno ragione della elevata qualità del
prodotto.
Anche Nike possiede una cultura, ma è una cultura differente. Più che
di un sapere industriale si tratta di una conoscenza diretta,
umanissima e popolare, dello sport e degli sportivi. Bill Bowerman,
ex allenatore di mezzofondisti e maratoneti e Phil Knight ex runner,
sono i soci fondatori di Nike. Jeff Johnson ex podista, è il primo
dipendente. Come loro Belson Farris, Geoff Hollister e tanti altri
dirigenti ed impiegati, autentici pionieri dell’impresa Nike sono stati
atleti. E non è casuale. Lo spirito dello sport per lo sport è quello che
ha da sempre guidato questa impresa dell’Oregon. E che, in
particolare, ha rappresentato la missione aziendale nel primo
decennio di marketing e comunicazione. Per questo Nike si definisce,
da sempre, un’impresa “ispirata da atleti” che “ascolta gli atleti e
risponde direttamente dall’anima dello sport”.
Questa è dunque la cultura di Nike, una cultura profondamente
radicata nel senso più profondo dello sport, potremmo dire una
cultura fatta di allenamenti, sudore e di fatica da mezzofondista. Una
cultura “da spogliatoio”. Ma se questa è la cultura delle origini di
Nike, non va dimenticato che in un secondo tempo, quasi dieci anni
dopo, l’azienda di Bowerman e Knight s’investe di un altro sapere,
un’altra conoscenza. Pur rimanendo nell’ordine “della gente per la
gente”, della straordinaria sintonia col consumatore, Nike questa
volta si sposta dalle piste d’atletica ai suburbi delle metropoli
statunitensi. Negli anni Ottanta. La vera fonte di idee, di stili, di
tendenze è, per l’industria delle sneaker, il ghetto. Per sondare gli
atteggiamenti dei giovani consumatori, per analizzare il gradimento
rispetto a nuovi prodotti e modelli o per tracciare l’andamento della
moda, le grandi aziende Nike in primis, sguinzagliano dei veri e
propri “cacciatori di tendenze” nei suburbi delle grandi metropoli
americane.
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Per esempio, la regola empirica della Reebok è che se ai ragazzini di
Harem e Bronx, o a quelli delle periferie di Chicago o Detroit, piace
una determinata scarpa, questa sarà sicuramente un successo.
I designer e gli uomini del marketing Nike realizzano autentiche
incursioni nelle strade di New York, Chicago, Philadelphia. I primi
per sondare le reazioni dei ragazzini del ghetto a cui fanno provare
campioni e nuovi modelli. I secondi, per capire come e dove va a
definire il loro prodotto.
Una cultura di strada dunque, quella di Nike nella seconda metà degli
anni Ottanta, perché il Bronx ispira, gli afro-americani offrono
suggestioni stilistiche, la cultura hip-hop contamina l’intera
produzione.
f. La professione.
Che ruolo ha una determinata marca nell’agire di consumo
dell’individuo? A cosa serve? Quale delle sue funzioni è
maggiormente presente? Orientamento? Identificazione? Ludica?
Etica? Garanzia? Esistono marche problem solving e marche
affettive, marche stile di vita e marche rassicuranti. Ogni marca ha
una professione, una missione, un incarico da svolgere. Si tratta di un
impegno preciso nei confronti del consumatore, ma anche
l’espressione di un talento di una naturale vocazione. La professione
è oggi assai meno discriminante ai fini della definizione dell’identità
sociale di un individuo di quanto accadesse un tempo. La professione
era l’indicatore più espressivo del ruolo sociale dell’individuo e
consentiva una precisa collocazione di rank sociale: non è certo un
caso che la sociologia abbia elaborato una mole imponente di studi e
teorie sul rapporto identità, classe e professione, adesso quando
accade qualcosa di simile alla generazione dei nostri studenti è assai
più importante – per inquadrare l’Altro – conoscere i suoi gusti
musicali, la frequentazione di certi locali, attività di tempo libero.
Anche per la marca l’importanza della professione ai fini di una sua
definizione va scemando: sono più importanti semmai gli stili di vita.
Marche, ad esempio, come Sperry Top Sider, Polo Ralph Lauren,
BMW sono state a lungo associate con la tipologia sociale degli
yuppies.
g. La biografia.
Ogni marca, lo abbiamo visto, possiede una storia. Così come per una
persona anche per il brand è possibile tracciare una biografia
individuale che è frutto di una stratificazione di vicende e di eventi, di
segni e di esperienze.
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Si tratta dell’epopea dei pionieri che hanno costruito il successo e la
leggenda di tanti fenomeni commerciali moderni, come pure dei fatti
e delle fortune economiche di tante imprese, della saga di certe
famiglie che hanno incarnato la discendenza di un sapere
manageriale e produttivo. Chi non conosce, almeno per grosse linee,
la biografia di Coca-Cola, nata sul finire del 1800 nel retrobottega del
dott. Pemberton, farmacista di Atlanta, in Georgia? E chi non associa
automaticamente la storia del marchio FIAT, con le vicende umane
ed imprenditoriali della famiglia Agnelli? Addirittura per il caso della
marca Absolut, la celeberrima vodka svedese, è stata scritta una vera
e propria biografia.
La storia di Absolut vodka, infatti, è la perfetta dimostrazione di un
successo straordinario ed impensabile costruito attraverso la
modalità espressive dall’advertising e della comunicazione creativa.
Tuttavia, esiste una fondamentale differenza tra la biografia di un
essere umano e quella di una marca. Se la narrazione delle vicende
umane può prevedere un ciclo di vita, una parabola comprensiva di
nascita, giovinezza, maturità, senescenza, morte, quella della marca –
lo abbiamo già sottolineato più volte – dovrebbe esserne immune. In
altre parole, se ben gestita, una marca dovrebbe trasformarsi in
evergeen, e permanere in un perenne stato di giovinezza. Dunque
una
biografia
assolutamente
anomala,
o
se
vogliamo
particolarissima, quella del brand, in cui il tempo dovrebbe sfuggire
alle leggi dell’umana senescenza e – forse – abbracciare quelle del
mito. Non è azzardata, allora, la teoria di George Lewi, il quale
individua tre grandi periodi nel ciclo di una marca:”eroismo,
saggezza e mito”.
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CAPITOLO 3
I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA MARCA
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Nell’immaginario collettivo per secoli la città di Crotone è stata
spesso associata alla sua antica tradizione greca - che ha fortemente
influenzato la cultura e il folklore locali - e alla scuola di Pitagora, che
qui ha avuto la sua sede.
La valorizzazione di tali dati, di indubbio fascino e rilevanza, è andata
spesso a discapito di altri elementi di ordine culturale, geografico e
antropologico, religioso e artistico che offrono a loro volta spunti di
riflessione assai interessanti e terreno fertile per l’elaborazione di una
marca davvero innovativa e originale.
Basti pensare al suo bel litorale, che accoglie bellezze di ordine
paesaggistico e naturale, al parco archeologico di Capo Colonna, alla
Madonna di Capo Colonna, protettrice della città, al castello di
Crotone e al porto, testimonianza del passato glorioso della città e
scalo commerciale di grande importanza.
Immagine e posizionamento geo-turistico di una località sono gli
elementi costitutivi di un vero e proprio marchio territoriale, quale
segno-sintesi strategico in un programma di marketing territoriale e
di differenziazione dell’offerta locale .
Le fonti informative, il progetto immagine di una località, la
ridondanza e la sedimentazione degli attributi di una marca
territoriale, producono una specifica accentazione per quel che
riguarda le scelte di comunicazione e di cooperazione fra i diversi
soggetti interessati, stakeholders, operatori commerciali, istituzioni,
popolazione residente, turisti.
Tuttavia, la marca territoriale resta concettualmente diversa dal
marchio così com’è ordinariamente inteso tout-court.
Il marchio, e i marchi connessi, oltrepassando la linea di
demarcazione tra ogni parzialità e specifica sfaccettatura del teatroterritorio, potrà esporsi e presentarsi nella sua peculiare
configurazione di tratto sintetico, segno-simbolo, nell’interezza della
sua tipicità unitaria e nella completezza delle sue qualità integrate,
solo quando è una diretta derivazione della marca territoriale.
In questa accezione la marca territoriale rappresenta una vera e
propria innovazione di processo e di percorso che s’inquadra
nell’ambito di quella transizione dallo specifico storico, ormai
tradizionale e convenzionale, delle autonomie istituzionali degli enti
provinciali a quello di una nuova “autonomia funzionale”.
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Come hanno osservato Giuseppe De Rita e Luca Diotallevi:
”negli anni recenti sono state due le linee… la strada del
rafforzamento delle ‘istituzioni pivotali’, di quelle strutture cioè che
fanno snodo di relazione fra cittadini e amministrazione, fra sfera
pubblica e sfera privata, fra poteri di vertice e territorio, fra sedi
decisionali e rappresentanza d’interessi; dall’altro lato c’è stata in
Italia, una promettente stagione delle cosiddette “autonomie
funzionali”, di quelle strutture cioè che si qualificano per la loro
specifica operatività e non per la loro collocazione nella gerarchia
della piramide statuale… Non sfugge infatti a nessuno la forza dei
concetti che stanno alla loro base: quella della relazione, che
innerva l’idea che le istituzioni devono promuovere e regolare le
relazioni tra i soggetti sociali e non promuovere e regolare se stesse;
e quello di “autonomie funzionali”, dove si combinano le dimensioni
di autonomia cioè di sganciamento dall’antica unitaria macchina
dello stato e una dimensione di funzione sociale, quasi che i poteri
possano e debbano essere riconosciuti solo in quanto esercitino con
efficienza ed efficacia ruoli che vengano incontro ai bisogni dei
cittadini visti come utenti, come “customers”. La strada per uscire
dalla crisi è a nostro avviso proprio quella di esaltare il ruolo
relazionale e quello funzionale delle istituzioni, addirittura di
promuovere istituzioni relazionali (o pivotali per citare l’esperienza
inglese) e istituzioni funzionali, più o meno autonome.”
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1. Scopi nella creazione della marca.
Molto di frequente per riferirsi alla marca si utilizza una parola
anglosassone la cui origine è quanto mai curiosa ed esplicativa. Il
brand – termine tecnico derivato dal norvegese brandr (in italiano,
“bruciare”), è un segno di identificazione che viene impresso a fuoco
su un oggetto attraverso un ferro o un legno incandescenti. Un segno,
quindi, immediatamente visibile e indelebile.
La funzione assolta dal brand è quindi più che mai coerente con la
sua etimologia: cioè quella di contribuire a creare una impressione
immediatamente percepibile, e, a voler essere letterali, “impressa a
fuoco” sull’oggetto di cui si intende creare un’immagine
universalmente condivisa. La Provincia ha scelto di elaborare un
nuovo stemma per comunicare alla cittadinanza una volontà di
rinnovamento, di avvicinamento ai bisogni della comunità, un
obiettivo di rappresentatività e trasparenza che caratterizza l'idea ,
anche del legislatore, di un ente locale che sia effettiva "casa" della
comunità che rappresenta.
La marca della provincia di Crotone dovrà rappresentarne quindi
l’anima e tenere conto degli elementi che maggiormente la
rappresentano. Dovrà rispondere all’esigenza di fidelizzare il turista e
il cittadino ad un’immagine unica e condivisa, che ne renda
immediata la diffusione e il riconoscimento anche al di fuori del
territorio d’origine. Per conseguire questo risultato la marca dovrà
avere una sua ben precisa personalità, dovrà suscitare emozioni e
incarnare veri e propri stati d’animo, dovrà tendere
all’individualismo, all’unicità, rifiutare ogni tipo di conformismo e di
omologazione, abbandonando obsoleti retaggi di ordine istituzionale
e burocratico e coniugando la scelta di nuovi elementi di ispirazione
ad una spiccata abilità creativa.
La Marca può essere ricondotta a quattro diverse aree, anche
interagenti tra loro che rappresentino non solo il biglietto da visita di
Crotone, ma anche il suo abito, il suo corpo, le sue idee. Che rendano
evidenti le risorse facilitanti della città per chi la abita, per chi ci
lavora, per chi la visita, per chi la attraversa, per chi la comunica. Di
seguito vengono riportate le quattro aree.
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1.culturale
Rientrano in questa categoria elementi di ordine storico, artistico,
religioso e quelle tradizioni strettamente legate al territorio immediatamente riconoscibili tanto all’interno che all’esterno della
comunità - che rappresentano per la stessa motivo di vanto e
orgoglio. La Provincia sostiene le attività e le iniziative culturali,
finalizzate principalmente allo svolgimento di attività di promozione
culturale nell'ambito del territorio provinciale come iniziative teatrali
e musicali di pregio artistico, iniziative di valorizzazione delle opere
d'arte, delle bellezze naturali e monumentali, delle biblioteche,
pinacoteche, musei, delle tradizioni storiche, culturali e sociali che
costituiscono patrimonio della comunità provinciale.
Sempre in questo ambito vanno inserite le celebrazioni solenni di
anniversari, ricorrenze civili, religiose e politiche oltre
all'organizzazione nel territorio provinciale di convegni, mostre,
esposizioni, rassegne aventi finalità culturali, artistiche, scientifiche,
sociali, che costituiscono rilevante interesse per la comunità e
concorrono alla sua valorizzazione.
2. relazionale
Gli aspetti relazionali afferiscono al comune rapportarsi dei cittadini
tra loro, all’insieme di valori condivisi nella comunità, alle
consuetudini, alle mentalità e agli aspetti emozionali
che
condizionano i comportamenti. Ad esempio, la solarità,
l’estroversione, l’ospitalità, il dinamismo, la simpatia. Per descrivere
elementi astratti di tal sorta, assume un ruolo decisivo l’uso dei colori
- caldi, limpidi, luminosi – unito all’abilità di umanizzare la marca,
perché sia lo specchio in cui l’utente rivede se stesso e gli altri.
La combinazione di tali elementi deve emozionare ed entrare nei
cuori di target estremamente eterogenei e differenziati: dai turisti agli
investitori, non dimenticando le istituzioni, i cittadini e gli “user”.
Sarà quindi fondamentale calibrare il tono, individuare i valori visivi
da enfatizzare e racchiudere in un segno nuovo, ma che diventi subito
amico, che sia condiviso e sia riconosciuto proprio, nel minore tempo
possibile
3. naturalistico
Sono elementi geografici e territoriali che possono dare utili
indicazioni tanto della fisionomia del territorio, tanto degli aromi, dei
colori e dei sapori che la caratterizzano.
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La terra crotonese offre infatti numerosi spunti da questo punto di
vista: basti pensare al centro medievale di S. Severina, un borgo
molto ben conservato, da cui è possibile ammirare la vallata del
Neto, al capo di Punta Alice ed ai primi vigneti che fanno verdi le
colline già molto prima di Cirò nota non solo per il vino eccezionale
ma anche per i resti del tempio di Apollo Aleo.
Molto suggestivo dal punto di vista naturalistico è anche Capo
Colonna, a cui si arriva dopo aver attraversato la città di Crotone,
dove spicca il tempio di Hera Lacinia.
In altre terre, ad esempio, hanno una forte carica rappresentativa
l’Etna a Catania, la laguna a Venezia, le mele in Trentino, i campi di
girasoli in Toscana.
4. istituzionale
Sono tutti quegli elementi che individuano una funzione specifica o
un servizio all’interno della Provincia e che la rappresentano in forma
visiva. Devono quindi perseguire in primo luogo l’obiettivo di rendere
riconoscibile un’attività, e quindi hanno solitamente una fisionomia
caratterizzata in funzione da esplicitare il senso di organizzazione e
struttura. Esprimono una necessità comunicativa molto significativa,
fanno conoscere la Provincia, ma sempre riconducendola alla identità
del servizio o della funzione proposta. Sono questi gli strumenti
attuativi della promozione urbana, che possono al tempo stesso
esprimere una potenzialità comunicativa che oltrepassa lo specifico
da rappresentare.
Bisogna quindi tenere conto che il marchio rappresenta il dato visivo
di un vero e proprio brand: è la forma visiva, la dote comunicativa di
un prodotto che non è solo la Provincia nella sua forma
amministrativa, e neppure solo in quella performativa del turismo o
di altre strategie economiche, ma è molto di più.
È l’insieme di tutte queste risorse, ma anche e soprattutto il loro
essere valori spendibili per la distinzione, la riconoscibilità, la
concorrenzialità. Il “nome” visivo si trasforma in un vero e proprio
prodotto, la Provincia diventa una marca, il centro di una strategia di
marketing ad ampio spettro.
Diventa anche “sigillo di qualità” per i comportamenti degli attori
locali, per le molteplici azioni di promozione e per le infinite gamme
di articoli e merci che possono essere prodotti. In questa direzione il
volto del marchio deve esprimere una notevole capacità sintetica,
offrire con grande efficacia una sintesi dei possibili scenari visivi della
città, ma soprattutto deve possedere una grande espressività.
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2. Criteri esecutivi.
Di seguito abbiamo indicato alcuni criteri da tenere in considerazione
nella ideazione delle diverse proposte di marchio.
Tutte le proposte di marchio presentate dovranno osservare alcuni
requisiti:
1. Non contenere lo stemma araldico ufficiale della Provincia di
Crotone, riservato alla comunicazione istituzionale.
2. Prevedere un grado di versatilità affinché il marchio possa essere
declinato su tutte le aree dell’Amministrazione.
3. Il marchio dovrà avere caratteristiche di originalità e innovazione e
potrà essere composto da elementi grafici e alfabetici.
4. Essere adatto a qualunque media utilizzato.
5. Essere distintivo, originale, riconoscibile e rappresentativo delle
caratteristiche distintive della Provincia di Crotone.
6. Essere riproducibile mantenendo la sua efficacia in qualsiasi
dimensione, dal molto grande (p.e. manifesti), al molto piccolo (p.e.
biglietti da visita)
7. Rispondere efficacemente ai criteri strategici dell’Amministrazione,
che ne ha ispirato la realizzazione.
8. Il marchio deve avere una forte valenza innovativa visto
l’orientamento della Provincia al futuro e alla dinamicità che si
distacca dalla storia e dalle tradizioni.
9. Il marchio dovrà essere rappresentativo anche se non accompagnato
dalla scritta e realizzato considerando come target principale i
cittadini della Provincia di Crotone.
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CAPITOLO 4
MARCA TERRITORIALE,
MARCHIONIMI, MARCHI E
IMMAGINE COORDINATA DELLA
PROVINCIA DI CROTONE
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1. Marca, marchionimi e immagine coordinata.
Si riporta un’indicazione riguardo le azioni da intraprendere e gli
strumenti da utilizzare per comunicare in modo ottimale la nuova
immagine della provincia di Crotone. Si consiglia la stesura di un
Manuale della Marca Territoriale di Crotone, approvato con
deliberazione di organo preposto, concettualmente suddiviso in tre
sezioni:
- Manuale d’uso della Marca territoriale Crotone;
- Regolamento per la disciplina d’uso della Marca territoriale
Crotone;
- Manuale di immagine coordinata;
2. Manuale d’uso della Marca.
Il Manuale d’uso della Marca contiene le tavole con la costruzione ed
i rapporti grafici degli elementi che la compongono; il simbolo ed
eventualmente il logotipo. Di questi devono essere indicate:
- I colori pantone e le rispettive percentuali in quadricromia;
- Le percentuali di colore nero per la versione in bianco e nero;
- Le percentuali di colore per la versione monocromatica;
- I colori pantone e le rispettive percentuali per la versione in
negativo;
- I rapporti di riduzione in positivo e in negativo;
- Il carattere tipografico del logotipo;
- Le versioni (orizzontale e verticale) diversi dalla versione
originale del Marchio, laddove lo spazio utile di posizionamento
dello stesso ne precluda l’identificazione visiva e la leggibilità.
Ulteriori aspetti che saranno sottolineati:
- Il marchio non deve essere alterato, le sue proporzioni sono
invariabili per qualsiasi utilizzo o metodo di riproduzione;
- Non è consentito l’utilizzo di cromie non idonee a valorizzare o
rafforzare la percezione visiva del marchio quale elemento visivo
del territorio e delle sue risorse.
Verranno inoltre riportati alcuni esempi di applicazione scorretta od
erronea dell’uso della marca.
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3. Regolamento per la disciplina d’uso della Marca.
Il regolamento per la disciplina d’uso della marca contiene tutte
quelle indicazioni che sono indispensabili per definire le condizioni e
le modalità per l’ammissione alla MARCA TERRITORIALE
CROTONESE e alla concessione in uso dei marchi. Il documento,
suddiviso in articoli, avrà la struttura in bozza sotto indicata.
Articolo 1
Ambito di applicazione
Con il termine “MARCA CROTONESE ” si intende il progetto
immagine e comunicazione turistico-territoriale, agro-silvopastorale, enogastronomico, paesistico, archeologico monumentale,
parchi, foreste, energia… ecc. del territorio della Provincia di
Crotone, che si avvale di uno o più marchi di riconoscimento,
tracciabilità e rintracciabilità, in forma di simbolo ed eventualmente
logotipo, che costituisce l’oggetto del presente regolamento. Il
Marchio è stato elaborato dal vincitore del Concorso d’idee… con
deliberazione numero … del … e depositato presso l’ufficio del
Dirigente Settore 07 della Provincia di Crotone. La struttura
geometrica e morfologica del marchio è rappresentata nel manuale
d’uso della Marca facente parte integrante del presente manoscritto.
Le norme volte a regolare il rilascio, l’utilizzo e la revoca del detto
marchio sono dettate dal presente regolamento.
Articolo 2
Registrazione della marca e dei marchionimi
La registrazione della marca territoriale e dei suoi marchi e
marchionimi avviene ai sensi della normativa vigente.
Articolo 3
Utilizzo della marca e del marchio
La marca territoriale e i suoi marchionimi sono utilizzati dalla
Provincia di Crotone come strumento di comunicazione turistico
territoriale e istituzionale secondo le indicazioni del Manuale di
immagine coordinata parte integrante del Manuale della Marca. Si
distingue inoltre con il marchio la partecipazione provinciale ad
iniziative comunicative intraprese da altri soggetti.
Articolo 4
Autorizzazione all’utilizzo della marca e del marchio
L’utilizzo da parte di un soggetto esterno (di seguito indicato
“Licenziatario”), è preventivamente autorizzato dall’organo preposto,
al quale dovrà essere sottoposta l’istanza. La domanda di
autorizzazione dovrà essere recapitata al Protocollo Generale della
Provincia e nella stessa dovranno essere indicate le finalità della
richiesta e le modalità d’uso.
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Le manifestazioni patrocinate dalla provincia, organizzate in
collaborazione o per le quali è stato concesso un contributo, si
intendono implicitamente autorizzate all’utilizzo del marchio. In ogni
caso, prima di procedere alla stampa, le bozze dovranno essere
vistate dal Dirigente del Settore 07, per verificarne il corretto utilizzo.
A seguito dell’autorizzazione all’utilizzo, il marchio potrà essere
acquisito dal Licenziatario in forma cartacea o digitale, quest’ultimo
anche attraverso il sito ufficiale della Provincia.
Articolo 5
Obblighi del Licenziatario
Il Licenziatario si impegna a fare uso della Marca e del Marchio con
continuità nelle proprie attività di realizzazione, pubblicità e
promozione. Il Licenziatario non può cedere la licenza, concedere
sub-licenze, o altrimenti disporre del Marchio nei confronti di terzi. Il
Licenziatario non può usare il Marchio parzialmente o con modifiche,
ma deve sempre usarlo nella sua interezza, così come risulta dal
relativo manuale d’uso. Il Licenziatario può usare il Marchio sia da
solo, sia affiancato a propri marchi. Il Licenziatario si impegna a non
depositare e a non utilizzare marchi, insegne, ragioni o
denominazioni sociali e altri segni distintivi che possano dar luogo a
rischio di confusione con il Marchio o con singoli elementi dello
stesso.
Articolo 6
Controlli e vigilanza
L’Ufficio del Dirigente Settore Provinciale 07, vigila sull’osservanza
del presente regolamento e sull’utilizzo del Marchio da parte di
soggetti terzi. Qualora si riscontrasse la non conformità
dell’utilizzazione del marchio al regolamento d’uso ed alle
prescrizioni dei disciplinari, si diffiderà il Licenziatario dall’utilizzo
in maniera irregolare del marchio, invitandolo ad adeguarsi al
presente regolamento.
4. Manuale di immagine coordinata.
Il Manuale di immagine coordinata è uno strumento che regola, in
modo organico e vincolante, l’uso degli strumenti di comunicazione,
dal marchio del progetto immagine “Marca Crotonese” alla
impostazione grafica della carta intestata, buste da lettera, biglietti da
visita, cover fax ecc.. Il Manuale deve interpretare e rappresentare
l’Ente comunicandolo in modo efficace ai destinatari, affinché il
valore degli elementi che compongono l’immagine si conservi integro
e inalterato nel tempo. Le specifiche riportate su questa guida pratica
devono essere rigorosamente rispettate senza possibilità di
adattamenti e di interpretazioni personali.
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Il Manuale è anche uno strumento di controllo della qualità del
prodotto. La vastità e la varietà della materia trattata non consentono
di prevedere tutti i casi reali possibili. Tuttavia, l’impostazione
assegnata è tale però da permettere agevolmente le integrazioni che
si dovessero rendere necessarie, senza compromettere le regole
definite. Il rispetto delle indicazioni, la correttezza della loro
applicazione e la cura della qualità delle realizzazioni sono le regole
fondamentali affinché si possa tradurre in realtà il sistema di identità
visiva, ottimizzandone i benefici.
L’immagine coordinata è costituita dai seguenti elementi:
- Stemma in quadricromia;
- Font e colori;
- Proporzioni;
- Esempio di leggibilità e limite di riproduzione;
- Stemma in scala di grigi;
- Stemma colore grigio;
- Stemma in negativo;
- Carta da lettera;
- Segui foglio;
- Carta intestata;
- Biglietto da visita;
- Busta;
- Block Notes,
- Modello Cover Fax;
- Manifesto per eventi turistici, enogastronomici, economici;
- Invito per eventi turistici, enogastronomici, economici;
- Esempi di cartelline porta documenti;
- Ordinanza;
- Supporti per l’informatica (Esempio: CD-Rom);
- Supporti audiovisivi (Esempio: Videocassette);
- Personalizzazione mezzi (Esempio: Autoveicoli);
- Segnaletica esterna ed interna (Esempio: Cartelli turistici stradali,
attività produttive, caccia, pesca, agricoltura, foreste, risorse
naturali, energia, allestimento spazi, targhe uffici)
- Omogeneità grafica delle pagine al sito internet;
- Realizzazione della guida ai servizi provinciali con coordinate
grafiche simili a manifesti e sito.
Per facilitare l’uso dell’immagine coordinata si consiglia la creazione
di modelli di documento da installare su ogni PC. I modelli
consentono
di mantenere l’omogeneità dell’immagine
e
dell’impostazione grafica, permettendo tuttavia la personalizzazione
con i dati indicativi dei singoli assessorati/settori/uffici secondo
indicazioni prefissate. I modelli danno inoltre la possibilità di
eliminare i prestampati.
73
5. Il livello di gradimento dei cittadini.
Per il conseguimento degli obiettivi di efficacia del piano di
rinnovamento dell’immagine e della comunicazione della Provincia
di Crotone, si consiglia una valutazione, ancorché empirica, del grado
di percezione della qualità e valenza dell’immagine e degli strumenti
di comunicazione turistica e territoriale verso la popolazione. In ogni
rapporto di comunicazione, infatti, ciò che viene in rilievo è il
“feedback” all’emissione del segnale da parte dell’Ente: in altri
termini, il cuore del rapporto della comunicazione di un’immagine
rinnovata è la verifica dell’effettiva ricezione del messaggio stesso e la
reazione del ricevente allo stimolo. La risposta, nel nostro caso, deve
considerare, in particolare:
- Le abitudini dei cittadini del territorio provinciale circa l’accesso
agli strumenti dell’informazione con riferimento all’attività della
Provincia;
- La qualità percepita circa i differenti strumenti di comunicazione
utilizzati;
- Il grado di conoscenza ed apprezzamento (chiarezza, reperibilità,
completezza delle informazioni, ecc.) ed al livello di affidabilità
che i cittadini attribuiscono ai diversi mezzi di comunicazione sia
dell’Ente che privati (radio-tv, giornali, ecc.).
Le azioni da intraprendere per l’indagine di customer satisfaction
sono:
- sondaggio sul sito della Provincia di Crotone mediante
compilazione di apposita form anonima;
- indagine mediante invio postale di un questionario ad un panel di
cittadini selezionati del territorio provinciale.
In tale contesto assume particolare valore l’impegno ad uniformare e
coordinare la comunicazione pubblica istituzionale della Provincia di
Crotone che deve rispondere alla necessità di fornire ai cittadini
un’immagine univoca e quindi meglio riconoscibile dall’Istituzione
Provincia. Il miglioramento e l’affermazione dell’identità di
un’Istituzione si conseguono, infatti, solo se l’attenzione alla
comunicazione diventa uno stile, un vero e proprio modo di essere
dell’intera struttura della Provincia di Crotone e non solo un’attività
aggiuntiva ed opzionale, o peggio ancora casuale. L’univocità del
messaggio e dello stile del medesimo è, in questo senso, essenziale.
74
Repertori e Letteratura
Giovanni Baule
L’ossessione del marchio
LineaGrafica, 350, 2.2004 ,pag.15
Transizioni della marca
LineaGrafica, 331, 1.2001,pag. 20
I volti delle istituzioni
LineaGrafica,4.2001 pag.18
Logo/no Logo
LineaGrafica,335, 5.2001, pag.16
Mappe dell’invisibile
LineaGrafica,337,1.2002, pag.18
Vito Barresi
Luoghi di Magia
Italia Turistica, Padova, .2002
Materiali per le Linee Guida del PIS Rete Centri Storici Eccellenza Calabria
Regione Calabria documento del 23.01.2002
Il territorio delle nuove mafie
il Crotonese,
Valeria Bucchetti
La Brand Silenziosa
LineaGrafica, 348, 6.2003, pag. 32
Giuseppe De Rita - Luca Diotallevi
Istituzioni come pivot per far giocare la società
Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2006
Giampaolo Fabris
La gestione della marca è ancora troppo tradizionale, Il Sole 24 Ore
Dopo gli yuppies, ecco i “Bobos”. Così cambiano gli stili di vita, Il Sole 24 Ore
Il lusso ha problemi di qualità, Il Sole 24 Ore
La nuova parola d’ordine:recupero (selettivo) dei valori del passato, Il Sole 24 ore
Perché gli italiani non spendono più, Il Sole 24 Ore
C’era una volta il “Paese delle meraviglie”, il cliente è cresciuto, Il Sole 24 Ore
La rivincita dei valori femminili apre nuovi mercati, Il Sole 24 Ore
La marca deve adattarsi alle culture locali, Il Sole 24 Ore
La marca globale è più forte delle ideologie, Il Sole 24 Ore
La marca scopre la comunicazione a tutto campo, Il Sole 24 Ore
Marco Fortis
Il Made in Italy nel “nuovo mondo”: protagonisti,sfide, azioni
Ministero delle Attività Produttive, 2005
Gallarza M.G. - Saura I.G. - Garcia H.C.
Destination image. Towards a conceptual framework
Annals of Tourism Research, vol.29. 2002, n.1, pp.56-78
Gnoth J.
Branding Tourism Destinations
Annals of Tourism Research, vol.25, n.3, 1998, pp.758-760
75
Roberto Monachesi
Marchio
Lupetti & Co., 1993, Milano
Morgan N. - Pritchard A.
Tourism Promotion and power. Creating images, creating identities
Wiley, 1999, Chichester, England
Ministero Attività Produttive
La posizione competitiva dell’Italia nell’economia internazionale
Area studi dell’ICE, Roma, 2005
Provincia di Crotone
Scenari di sviluppo
Saskia Sassen
Globalizzazione? Un progetto tutto da creare
il manifesto, 5/01/2001
Atlante di un'altra economia
manifestolibri, Roma.
UnionCamere
Sistema/Italia Rapporto 2004 sulle economie e le società locali
Franco Angeli, 2005, Milano
Illustrazioni
Jacques Benoit,
tratte da Agrisiel Rapporto di Gruppo 1993
76
INDICE
Brevi cenni sulla Marca territoriale crotonese.
Pag. 4…………………………………………….….Un progetto innovativo per l’immagine e la comunicazione turistica della
provincia.
CAPITOLO 1
Pag. 8……………………………….……………….……………………………………………IL TERRITORIO TRA PIANTA E MAPPA
Pag. 9……………………………..……….……………………………...1. Il territorio. Uno spazio in tensione tra globale e locale.
Pag. 12.………………………….……………….…………………………………………. 2. La marca come mediazione comunicativa.
Pag. 14………………………….………….…………………………….. 3. Il Marchesato di Crotone e le protomarche territoriali.
Pag. 20..………………………..…………………….…………………………………………………………………. 4. La mappa territoriale.
CAPITOLO 2
Pag. 27………………………………………………….……………………………………………..VALORE & VALORI DELLA MARCA
Pag. 28………………………………………………….………………………………………………………… 1. Valore e valori della marca.
Pag. 33……………………….……………………….……………………………………………………. 2. Che cos’è il valore della marca?
Pag. 33……………………..……………………….…………………………………………………… 3. Esistenza e divenire della marca.
Pag. 34……………………….…………………..…………………………………………… a. Memorabilità e awareness: il trademark.
Pag. 36……………………….…………………..………………………………………………... b. Fiducia: dal trademark al trustmark.
Pag. 37………………………..…………………………….………………………………………………………………………...... c. Il goodwill.
Pag. 38…………………………………………….………………………………………………... d. Posizionamento: la scelta del target.
Pag. 41...………………………………..…………………. e. Commitment, coinvolgimento, rappresentazione di sé, relazione.
Pag. 41………………………………………………………..…………………………………………………………………………… f. Emozioni.
Pag. 43……………………….………………………..…………………………………………………………. g. Attualità culturale e valori.
Pag. 43……………………….……………………..………………………………………………….. 4. Costruire l’identità di marca oggi.
Pag. 44……………………….……………………….……………………………………………………….. 5. La Marca come una persona.
Pag. 46………………………….…………………………….……………………………………………………………………………… a. Il volto.
Pag. 48………………………………………………….………………………………………………………………. b. I caratteri fisionomici.
Pag. 51………………………..……………………………………………………………………………………………………... c. L’età/il sesso.
Pag. 54……………………..…...………………………….………………………………………………………………………….. d. Il carattere.
Pag. 54.…………………………...……………………………………………………………………………………………………… e. La cultura.
Pag. 57…………………………..…………………………………………………………………………………………………. f. La professione.
77
Pag. 57...………………………...………………………….………………………………………………………………………… g. La biografia.
CAPITOLO 3
Pag. 60…………………………..………………….…………………………………………..I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA MARCA
Pag. 64…………………………..………………….………………………………………………….. 1. Scopi nella creazione della marca.
Pag. 67…………………………………………………….…………………………………………………………………….. 2. Criteri esecutivi.
CAPITOLO 4
MARCA TERRITORIALE, MARCHIONIMI, MARCHI E IMMAGINE COORDINATA DELLA
Pag. 69…..……………………………………………..…………………………………………………………..PROVINCIA DI CROTONE
Pag. 70……………………………………………………………………….…………. 1. Marca, marchionimi e immagine coordinata.
Pag. 70…………………………..……………………………………………….……………………………… 2. Manuale d’uso della Marca.
Pag. 71.………………………….……………………………………….……….. 3. Regolamento per la disciplina d’uso della Marca.
Pag. 72.……………………………………………………………………….………………………... 4. Manuale di immagine coordinata.
Pag. 74……………………………………………………………………….……………………... 5. Il livello di gradimento dei cittadini.
Pag. 75………………………..…………………………………………………..…………………………………...… Repertori e Letteratura.
Pag. 77…………………………………………………………………………………….…………………………………………..………….. Indice.
78
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