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compositi a matrice polimerica
INTRODUZIONE COMPOSITI PLASTICI COMPOSITI A MATRICE POLIMERICA 4 7 11 POLIMERI:GENERALITA’ 14 COMPOSITI PARTICELLARI 17 METODI DI FABBRICAZIONE PARTICELLARI 22 CARBONATO DI CALCIO 24 TALCO 27 MICA 28 CARICHE DI FORMA SFERICA 30 SILICE 33 CARICHE METALLICHE 34 CARICHE NATURALI DI NATURA ORGANICA 36 PROPRIETA’ MECCANICHE E TERMICHE DEI COMPOSITI PARTICELLARI COMPOSITI CON FIBRE 38 45 GENERALITA’ 45 FIBRE DI CARBONIO 48 FIBRE ARAMMIDICHE 56 FIBRE CERAMICHE 58 FIBRE DI BORO 59 FIBRE DI VETRO 59 COMPOSITI A FIBRE CORTE PROPRIETA’ MECCANICHE COMPOSITI FIBRE LUNGHE MACROMECCANICA DELLA LAMINA 61 61 72 76 1 MICROMECCANICA DELLA LAMINA 86 CARICHI DI ROTTURA 90 MACROMECCANICA DEL LAMINATO 92 IDENTIFICAZIONE SUCCESSIONE LAMINE NEL LAMINATO 98 PROGETTAZIONE 101 IL CEDIMENTO STRUTTURALE DEI COMPOSITI 110 TECNOLOGIE DI FABBRICAZIONE 117 LAVORAZIONE A MANO-LAMINAZIONE (HAND LAY-UP E SPRAY-UP) 118 STAMPAGGIO SOTTO VUOTO O A PRESSIONE 119 AVVOLGIMENTO-FILAMENT WINDING 120 PRODUZIONE CONTINUA (PULTRUSIONE) 123 STAMPAGGIO PER TRASFERIMENTO 124 FABBRICAZIONE DI COMPOSITI A FIBRE CORTE 126 APPLICAZIONI CAMPO AEROSPAZIALE 128 128 TELAIO DI UNA VETTURA SPORTIVA IN MATERIALE COMPOSITO 133 FRENI A DISCO 137 VETRORESINA IN CAMPO NAUTICO 150 STRUTTURE A NIDO D'APE 155 2 3 INTRODUZIONE Con il termine “composito” in generale si intende un materiale ottenuto combinando due o più componenti in modo che il prodotto finale abbia proprietà diverse da quelle dei singoli costituenti. I compositi sono generalmente costituiti da almeno due componenti, chiamati anche fasi, combinati in varie proporzioni e forme: una delle fasi, la matrice, è in forma continua, e ha per lo più lo scopo di assicurare una certa forma al pezzo nonché quello di proteggere e trasmettere in modo uniforme il carico alla fase di rinforzo. L’altra, o le altre fasi, è rappresentata da un componente discontinuo: trattasi del rinforzo, carica o filler dir si voglia. L’idea di base dei compositi è quella di ottimizzare, in termini di caratteristiche meccaniche e leggerezza, le prestazioni dei materiali cosiddetti convenzionali. Combinando, infatti, un materiale con una certa proprietà (p.e. un polimero), con un altro di proprietà differenti (p.e. fibre di vetro), è possibile ottenere un materiale, composto dai due, che ne esalti le caratteristiche migliori. I materiali compositi risultano particolarmente interessanti in quanto offrono particolari combinazioni di diverse proprietà che non possono essere contemporaneamente presenti nei materiali tradizionali come le leghe metalliche, i ceramici ed i polimeri. Un materiale composito è infatti un materiale multifase creato artificialmente e diverso da quelli che si trovano in natura: in base al principio delle azioni combinate, l’ottimizzazione di una proprietà viene ottenuta mediante l’attenta e studiata combinazione di due o più materiali differenti a costo anche di peggiorarne alcune altre. La figura sottostante mostra il Principio delle Azioni combinate per la resistenza meccanica. 4 Materiali compositi complessi sono largamente presenti in natura: nel legno delle piante un polimero di natura fibrosa, la cellulosa è tenuta assieme da sostanze cementanti, come la lignina; nelle ossa degli animali il tessuto connettivo contiene particelle di idrossiapatite. L’utilizzo dei compositi come materiali da costruzione ha origini antichissime: già nell’antico Egitto era usanza preparare i mattoni partendo da una miscela di fango rinforzato con paglia ed essiccato al sole! La più importante caratteristica dei materiali compositi è che possono essere progettati e preparati partendo da opportuni componenti in modo tale da ottenere le proprietà finali desiderate. Quindi il concetto della progettazione è di fondamentale importanza: a differenza di quanto avviene per altri materiali, nei quali la struttura viene preparata dopo averne progettato la forma e calcolate le dimensioni, note le proprietà del materiale costituente, nel caso di materiali compositi la struttura può essere realizzata contemporaneamente al materiale che la costituisce, e il materiale progettato e fabbricato con le proprietà desiderate in funzione delle proprietà che si vogliono attribuire alla struttura. La progettabilità costituisce senz’altro la 5 caratteristica più "stimolante" di un materiale composito, unico tipo di materiale che può essere prodotto nella forma definitiva e con le proprietà volute mentre viene prodotto. Esistono diversi tipi di materiali compositi, classificabili a seconda dei materiali costituenti: in particolar modo in base al tipo di materiale di cui è costituita, la matrice assegna il nome ai vari tipi di compositi; avremo così compositi organici, metallici o ceramici a seconda che la matrice sia di materiale organico, metallico o ceramico. Tale distinzione, ancor prima che per motivi costruttivi o meccanici, si rende tanto più utile quanto più si risentono gli effetti della temperatura di esercizio. La matrice, infatti, deve poter rimanere allo stato solido e non viscoso per poter assicurare una certa tenuta tra le fibre di rinforzo. A tal proposito si può fare riferimento al seguente schema: Temperatura di esercizio max MATRICE ORGANICA <250 °C MATRICE METALLICA < 1000 °C MATRICE CERAMICA > 1000 °C I rinforzi, atti ad assorbire la maggior parte delle sollecitazioni meccaniche, possono a loro volta essere di varia natura e forma: o rinforzi fibrosi di diametro – 7-8 μm lunghezza qualche cm; o rinforzi particellari di diametro di qualche μm e lunghezza fino a 30-40 mm; o rinforzi whiskers di diametro - 10 μm lunghezza - 10-50 mm. I rinforzi possono essere inoltre di diversa natura: metallica, vetrosa, ceramica, organica ecc. Una classificazione sommaria è la seguente: 6 COMPOSITI PLASTICI I compositi plastici ricoprono una vasta gamma di accoppiamenti fibra-matrice. Essi sono il materiale più noto per merito della vetro-resina, il primo tipo ad essere prodotto, costituita da fibre di vetro inserite in una matrice termoindurente (come la poliestere e la epossidica) o in una matrice termoplastica. Le vetro-resine ricoprono una vasta gamma di applicazioni ma è doveroso dire che finora il loro uso raramente ha comportato, nella sostituzione di elementi strutturali meccanici, l'impiego di tecniche di progettazione sofisticate e tali da sfruttare al meglio le possibilità offerte dal materiale. Oggi assistiamo, è vero, allo sviluppo delle suddette tecniche progettuali ma non si può negare che il loro impulso è stato dato dalla necessità di ben utilizzare i nuovi tipi di fibre artificiali disponibili a costi interessanti. Sia le fibre policristalline (carbonio e boro) sia quelle perfettamente monocristalline (whiskers) raggiungono valori del modulo di Young e della resistenza a trazione che possono superare di gran lunga i relativi valori dei materiali usuali. Mentre l'uso dì whiskers (fibre corte discontinue come Al203, WC, SiC) comporta al momento notevoli difficoltà tecnologiche, le fibre di carbonio e boro hanno ormai superato la fase di sperimentazione e sono in uso per un crescente numero di 7 applicazioni industriali. Tutte le fibre fin qui accennate con l'aggiunta di quelle metalliche di berillio e di acciaio rientrano nella famiglia dei materiali inorganici (tab. I). Esistono anche le fibre organiche polimeriche di recente realizzazione la cui buona resistenza al calore e all’ossidazione raggiunge i circa 300°C. Il materiale poliammidico (Nomex) è già stato impiegato per fibre in alcune strutture “honeycomb” cioè strutture a sandwich, a strati; oggi la ricerca tende a valorizzare tali materiali. Più in dettaglio, osservando e commentando lo schema, possiamo dire che la matrice può essere costituita da: o una materia plastica (termoplastici come il nylon e l'ABS o termoindurenti come le resine epossidiche, le resine poliestere); o un metallo (generalmente alluminio, o titanio e loro leghe, più raramente magnesio o altri); o un materiale ceramico, generalmente carburo di silicio o allumina. All’interno della matrice è dispersa (in varie modalità) una fase discontinua (generalmente fibrosa, ma a volte anche particellare), detta rinforzo o carica, ed ha in genere il compito di assicurare rigidezza e resistenza meccanica, assumendo su di sé la maggior parte del carico esterno applicato al materiale. A questo scopo fondamentale è la cura dell'adesione interfacciale tra fibre e matrice. Le fibre più usate sono la fibra di vetro, la fibra di carbonio e le fibre aramidiche, come il kevlar, e il Nomex, anche se ne esistono numerose di altri tipi, tra cui anche ceramiche. Nella grande maggioranza dei casi le matrici sono polimeriche perché garantiscono bassa densità (e quindi leggerezza del materiale finale): hanno però il difetto di calare drasticamente le performances al salire della temperatura. I campi di interesse sono i più disparati: nella tabella seguente vengono elencati esempi corrispondenti a diversi settori industriali oggi maggiormente importanti. 8 SETTORE ESEMPI INDUSTRIALE AERONAUTICOAEROSPAZIALE parti di ali e code, fusoliere, antenne, pale di elicottero, carrelli di atterraggio, sedili, pavimenti, pannelli interni, serbatoi, involucri esterni e coni terminali di razzi e missili, tubi di lancio AUTOMOBILISTICO parti di carrozzeria, cabine per camion, spoilers, quadri comandi, alloggiamenti per pannelli luci, porta-strumenti, paraurti, molle per sospensioni, organi di trasmissione, ingranaggi, cuscinetti NAVALE - MARINO scafi, ponti, alberi, vele e relative stecche, profili strutturali, sagole di salvataggio, boe d'ancora, protezioni per motori, pannelli interni CHIMICO tubazioni, serbatoi, recipienti in pressione, tramogge, valvole, pompe, ventole e giranti, grate per pavimenti EDILE passerelle e ponti per traffico leggero, condotte sotterranee, recinzioni, profilati strutturali, zoccolini corrimano, ringhiere, grondaie, profili per finestre, elementi di rinforzo per il recupero edilizio ELETTRICO basette per circuiti stampati, pannelli, alloggiamenti, interruttori, isolatori, connettori, condotte porta cavi, scale isolate, corde, tralicci, 9 componenti per motori e trasformatori, utensili isolati AGRICOLO strutture per silos e serre, palificazioni per piantagioni, recintazioni, archetti per tunnels, scale, botti per alimenti SPORT E TEMPO LIBERO mazze da golf, racchette da tennis, elmetti protettivi, sci, tavole da surf e snow-board, archi e frecce, biciclette, canne da pesca, canoe, piscine, componenti per caravans e roulotte Nella presente trattazione ci soffermeremo a disquisire maggiormente circa i materiali compositi a matrice polimerica facendo solo qualche cenno ai compositi a matrice metallica e ceramica. 10 COMPOSITI A MATRICE POLIMERICA Il primo composito a matrice polimerica risale al 1908 ed era formato da resine fenoliche e fibre di cellulosa che, oltre all’azione rinforzante, avevano lo scopo di ridurre lo sviluppo di prodotti gassosi in fase di stampaggio a caldo. Da allora i materiali compositi hanno raggiunto lo status di commodity negli anni ’40 con le fibre di vetro in poliesteri insaturi. La tabella seguente mostra una ordinata cronologia dello sviluppo dei materiali compositi polimerici. Anno Materiale 1909 Compositi con matrice fenolo-formaldeide 1928 Compositi con matrice urea-formaldeide 1938 Compositi con matrice melamminica 1942 Compositi con fibra di vetroresina poliestere insatura 1946 Compositi a matrice epossidica 1946 Compositi nylon-vetro 1956 Compositi fenolica-asbesto 1964 Compositi con fibre di carbonio 1965 Compositi con fibre di boro 1969 Compositi ibridi carbonio-vetro 1972 Compositi con fibre arammidiche 1975 Compositi ibridi grafite-arammidiche Tabella 1.1 Cronologia dello sviluppo dei materiali compositi polimerici Molti materiali polimerici hanno la capacità di incorporare quantità anche rilevanti di cariche sotto forma di polvere fine, generalmente di natura inorganica (per esempio carbonato di calcio, talco sferette di vetro, silice, silicati, polveri metalliche, ossidi metallici, grafite, nerofumo); in alcuni casi vengono usati anche materiali di natura 11 organica ( per esempio cellulosa, farina di legno). I materiali che si ottengono in questo modo vengono detti compositi particellari a matrice polimerica: ad essi con un’opportuna formulazione possono impartirsi caratteristiche elettriche, termiche, magnetiche, che non sono proprie del materiale base, oppure si possono modificare sostanzialmente le sue proprietà. Dal punto di vista meccanico non si può affermare che l’incorporazione di cariche in polvere produca effetti sempre positivi: se il modulo elastico, la durezza e la resistenza all’usura possono migliorare, viceversa il carico di rottura e la duttilità peggiorano. In questo settore l’esperienza ha mostrato che le caratteristiche fisiche e meccaniche del composito dipendono, oltre che dalla proprietà dei singoli componenti, dalle dimensioni, dalla forma e dal grado di dispersione delle particelle, nonché dal grado dall’adesione tra queste e la matrice polimerica. Alcune proprietà sono valutabili a priori con sufficiente precisione, (modulo elastico), altre hanno andamenti imprevedibili perché sono influenzate anche dalle tecniche di lavorazione. La deformazione a rottura , per esempio è molto sensibile ai difetti che facilmente si introducono nel materiale in fase di lavorazione. Gli aggregati costituiscono inoltre un elemento di discontinuità del materiale, che determina il deterioramento di alcune importanti caratteristiche meccaniche, come la resistenza all’impatto;in fase di lavorazione se ne deve prevenire dunque la formazione. Nei compositi fibrosi vengono impiegate fibre corte e discontinue, oppure fibre lunghe e continue. A differenza di quanto accade nei compositi particellari, inoltre tali fibre possono essere disposte secondo orientazioni casuali od orientate in direzioni prestabilite (per esempio lungo la direzione del carico), in modo da ottenere manufatti con proprietà diverse nelle diverse orientazioni spaziali. Nel caso di fibre le proprietà sono determinate, oltre che dal tipo di fibra e di matrice, anche dalla lunghezza delle fibre e dalla loro orientazione nel manufatto. In generale incominciamo a dire sin da ora che le proprietà meccaniche dei compositi con fibre lunghe sono più elevate di 12 quelle di compositi con fibre corte, anche se la differenza tende a diminuire all’aumentare della lunghezza di queste ultime e del disallineamento di quelle lunghe rispetto alla direzione del carico applicato. Per determinate applicazioni è più conveniente ricorrere a compositi “ibridi”, contenenti cioè fibre di due o più tipi, disposti all’interno di lamine diverse, alternate secondo criteri di ottimizzazione delle proprietà progettate per la struttura complessiva. E’ il caso di compositi ibridi con fibre di carbonio e fibre di kevlar. Nella tabella che segue sono riportate le proprietà di alcune fibre utilizzate nei compositi a fibre lunghe. Fibra Diametro Densità Carico di rottura Modulo elastico tipico ρ σb E (µm) (g/cm2) (MPa) (GPa) Vetro E 10 2,54 2400 70 Vetro S 10 2,50 2600 85 1,44 3600 62 1,45 3600 131 2,0 1900 380 690 Aramide Kevlar 29 Kevlar 49 11,9 Carbonio P-55 P-100 10 2,15 2200 T-300 7 1,76 3200 228 38 0,97 2600 120 Polietilene Spectra 900 Tabella 1.3 Proprietà di alcune fibre utilizzate nei compositi a fibre lunghe Occorre precisare che, anche da un punto di vista prettamente economico, l’aggiunta di cariche siano esse fibre o particelle di vario tipo, non rappresenta sempre un vantaggio. L’aggravio che ne può derivare in termini di maggiore complessità dei cicli di lavorazione deve essere infatti compensato o da una riduzione 13 del costo del composito o da un deciso miglioramento di una qualche caratteristica che ne giustifichi il costo maggiore. Segue adesso qualche piccolo cenno sui materiali polimerici costituenti le matrici. POLIMERI: GENERALITA’ Segue qualche piccolo cenno sui materiali costituenti le matrici polimeriche. Un polimero (dal greco molte parti) è una macromolecola, ovvero una molecola dall'elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di piccole molecole (i monomeri) uguali o diverse (copolimeri) unite a catena mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame. Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi viventi (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi) siano polimeri, col termine "polimeri" si intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon). Esempi di monomeri possono essere il cloruro di vinile o l'etene: il primo dà origine al cloruro di polivinile, altrimenti detto polivinilcloruro, PVC, il secondo al polietilene detto anche politene. In generale possiamo distinguere: • polimeri termoplastici: sono un gruppo di materie plastiche che acquistano malleabilità, cioè rammolliscono, sotto l'azione del calore. In questa fase possono essere modellate o formate in oggetti finiti e quindi per raffreddamento tornano ad essere rigide. Questo processo,teoricamente,può essere ripetuto più volte in base alle qualità delle diverse materie plastiche; • polimeri termoindurenti: sono un gruppo di materie plastiche che, dopo una fase iniziale di rammollimento dovute al riscaldamento, induriscono per effetto di reticolazione tridimensionale. Nella fase di rammollimento per effetto combinato di calore e pressione risultano formabili. Se questi materiali vengono riscaldati dopo l'indurimento non ritornano più a rammollire, ma si decompongono carbonizzandosi. 14 Tra i primi il più comune fra tutte le materie plastiche è il polietilene detto anche politene. Il polietilene (o politene) è il più semplice dei polimeri sintetici ed è il più comune fra le materie plastiche. Viene spesso indicato con la sigla "PE", così come ad esempio si usa "PS" per il polistirene o "PVC" per il polivinilcloruro. Ha formula chimica (-CH2-)n dove n può arrivare fino ad alcuni milioni. Le catene possono essere di lunghezza variabile e più o meno ramificate. Il polietilene è una resina termoplastica, si presenta come un solido trasparente (forma amorfa) o bianco (forma cristallina) con ottime proprietà isolanti e di stabilità chimica, è un materiale molto versatile ed una delle materie plastiche più economiche; gli usi più comuni sono come isolante per cavi elettrici, film per l'agricoltura, borse e buste di plastica, contenitori di vario tipo, tubazioni, strato interno di contenitori asettici per liquidi alimentari ("brick") e molti altri. Il polietilene si sintetizza a partire dall’etene secondo la reazione: n CH2=CH2 → [-CH2-CH2-]n La molecola dell’etene è caratterizzata dal doppio legame fra gli atomi di carbonio che la rende particolarmente stabile. Il cloruro di polivinile, noto anche come polivinilcloruro o con la corrispondente sigla PVC, è il polimero del cloruro di vinile. È il polimero più importante della serie di quelli ottenuti da monomeri vinilici ed è una delle materie plastiche di maggior consumo al mondo. Puro, è un materiale rigido; deve la sua versatilità applicativa alla possibilità di essere miscelato anche in proporzioni elevate a prodotti plastificanti, quali ad esempio gli esteri dell'acido ftalico, che lo rendono flessibile e modellabile. Il PVC si sintetizza a partire dal cloruro di vinile secondo la reazione: CH2=CHCl --> ...-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl Viene prevalentemente usato per: finestre, serramenti esterni, giocattoli, bottiglie, contenitori, grondaie. 15 Il poliuretano, ma sarebbe meglio dire i poliuretani, è una famiglia di polimeri in cui la catena polimerica è costituita di legami uretanici. È largamente impiegato per produrre schiume rigide e flessibili, elastomeri, guarnizioni ed entra come componente anche nella produzione di alcuni tipi di vernici. Il polipropilene (PP) è un composto plastico che può mostrare diversa tatticità. Il prodotto più interessante dal punto di vista commerciale è quello isotattico, che è caratterizzato da un elevato carico a rottura, una bassa densità, una buona resistenza termica e all'abrasione. La densità è di 0,9 g/cm³ e il punto di fusione è di 165°C e oltre. Le proprietà chimiche, determinate nella produzione, comprendono la stereoregolarità, la massa molecolare e la distribuzione di massa molecolare.Il prodotto atattico si presenta invece come un solido dall'aspetto gommoso di scarso interesse commerciale (è stato usato solo come additivo). Il polipropilene ha conosciuto un gran successo nell'industria della plastica: molti oggetti di uso comune, dagli zerbini agli scolapasta per fare alcuni esempi, sono fatti di polipropilene. Di seguito sono mostrate le catene polimeriche del tipo isotattico e del tipo sindiotattico rispettivamente. Il nylon è una famiglia di polimeri sintetici (poliammidi), il cui capostipite - il nylon 6,6 - fu messo a punto il 28 febbraio 1935 da Wallace Carothers alla DuPont di Wilmington, Delaware (USA). I nylon sono usati soprattutto come fibra tessile e per produrre piccoli manufatti. Nylon 6,6: è il prodotto della polimerizzazione per condensazione di esametilendiammina e acido adipico; è il nylon per antonomasia ed è il più diffuso. Nylon 6: è il prodotto della polimerizzazione per condensazione del caprolattame. Di seguito il nylon 6 e il nylon 6.6. 16 Tra i materiali termoindurenti distinguiamo diversi tipi di resine. Con resina artificiale (o resina sintetica) si intende in genere un materiale viscoso, di aspetto simile alla resina vegetale, capace di indurirsi a freddo o a caldo. Si tratta in genere di un'ampia classe di differenti e complessi polimeri, che si possono ottenere con una grande varietà di metodi e materie prime. Fra le resine sintetiche più comuni citiamo le resine fenoliche, le resine epossidiche, le resine poliestere insature (UPR, Unsaturated Polyester Resin) e le resine vinil-estere (VE). Una resina sintetica non viene in genere commercializzata come tale, ma ne vengono venduti i suoi precursori, nella forma di due componenti separati, l'oligomero e l'agente reticolante, che vengono miscelati al momento dell'uso. La miscelazione innesca la reazione di reticolazione che trasforma l'oligomero, solitamente un liquido oleoso poco viscoso capace di adattarsi ai più piccoli dettagli dello stampo, nel polimero solido, una materia plastica solitamente trasparente che può venire successivamente lavorata, colorata e decorata. Gli usi delle resine artificiali sono i più disparati. Vari tipi di resine artificiali sono utilizzati come basi per adesivi; uno degli usi principali è per l’appunto quello nelle matrici di materiali compositi. Impieghi includono materiali edilizi (pannelli, condotte eccetera) oppure le resine a scambio ionico per la purificazione dell'acqua. Anche in campo artistico si usano tali resine (in genere resine poliestere), ad esempio nella produzione di figurine e statue in plastica come alternativa (più leggera e meno tossica) al piombo metallico. Di seguito qualche particolare sui diversi tipi di resina. o Resine fenoliche: Le caratteristiche dipendono dai materiali con cui sono mescolate. Sono una famiglia di polimeri ottenuti per reazione tra fenolo e 17 formaldeide; in funzione del rapporto tra i due reagenti si dividono a loro volta in novolacche e resoli. Una di esse, la bachelite, è considerata la prima materia plastica sintetica comparsa al mondo. Usi: settore casalingo, mobili per televisori. o Resine ureiche: dure e colorate. Hanno buone proprietà meccaniche e sono facilmente lavorabili. Usi: spine, prese, elettrodomestici, interruttori. o Resine melamminiche: buona resistenza alle alte temperature e all'umidità. Usi: Laminati, settore casalingo, arredamenti, vernici. o Resine epossidiche: eccellente adesività, resistenza al calore e chimica. Inoltre possiedono buone proprietà meccaniche e sono ottimi isolanti elettrici. Usi: vernici, rivestimenti, adesivi e materiali compositi. o Resine poliesteri insature: Sono leggere, facilmente lavorabili e resistenti agli agenti atmosferici. Usi: Piscine, coperture per tetti. Si è già detto che nel caso di materiali compositi le resine maggiormente utilizzate per matrici di materiali compositi sono le epossidiche, poliesteri insature, e le vinilestere. 18 COMPOSITI PARTICELLARI Le resine sintetiche non sono in generale adoperate allo stato puro ma, durante la lavorazione, vengono mescolate con quantità più o meno rilevanti di sostanze definite filler, riempitivi o cariche. Per ora diciamo che uno dei vantaggi dei compositi particellari a differenza di quelli rinforzati con fibre, è quello di avere un comportamento costitutivo generalmente isotropo. A tal proposito un aspetto molto importante, di cui finora non abbiamo parlato, è quello facente riferimento alla anisotropia dei materiali compositi. Infatti per la presenza di una fase continua (matrice ) ed una discontinua (rinforzo), i materiali compositi presentano spiccata caratteristiche di anisotropia sia da un punto di vista elastico che di resistenza meccanica. II grado di anisotropia potrà essere maggiore o minore a seconda della orientazione assunta dalle fibre nella matrice; più marcato nel caso di fibre disposte tutte parallelamente tra di loro, meno se orientate in maniera diversa o addirittura casuale. Per ottenere le più diverse orientazioni, si possono utilizzare dei veri e propri tessuti di fibre, oppure sovrapporre più lamine con le fibre orientate in maniera differente: di questo si parlerà ampiamente a proposito dei compositi fibrosi. I vantaggi dei compositi particellari possono riassumersi in: • minori costi di produzione; • facilità dei processi di formatura anche di forme complesse; • comportamento costitutivo isotropo: comportamento che in presenza di sbalzi di temperatura può risultare vantaggioso. Dell’ultimo punto ne abbiamo già discusso. Dei primi due se ne parlerà più avanti: diciamo ora in generale dei compositi particellari. I filler vengono adoperati sia nei polimeri termoplastici, sia nelle resine termoindurenti. A seconda dello scopo per cui vengono aggiunti si distinguono in riempitivi, rinforzanti e diluenti. I riempitivi sono materiali di basso costo e larga disponibilità, nella maggior parte 19 dei casi sotto forma di polveri (non metalliche). Vengono aggiunti in quantità molto rilevanti fino all’80% in volume. I rinforzanti sono invece materiali introdotti nel polimeri con lo scopo principale di migliorare le caratteristiche meccaniche (modulo elastico, carico di rottura, durezza superficiale, resistenza all’urto) e termiche (stabilità dimensionale a caldo, resistenza al calore e alla fiamma). I diluenti sono invece materiali aggiunti al polimero per rimpiazzare parzialmente additivi di maggior costo (per esempio pigmenti) oppure per migliorare la lavorabilità del composito. Alcuni filler sono di uso generale e vanno bene in pratica per qualunque polimero; altri invece trovano impiego per certe categorie di polimeri o sono addirittura specifici per un dato materiale polimerico. Tra i filler di uso generale ricordiamo il carbonato di calcio, oppure la bentonite entrambi usati in quasi tutti i termoplastici. Il nerofumo, è invece il filler rinforzante più indicato per le gomme. Molte cariche organiche, cometa farina di legno o i fiocchi di cotone, trovano il loro maggiore impiego nelle resine termoindurenti. Tra i diluenti si trovano la silice e vari silicati di calcio. In generale si può affermare che con una opportuna formulazione, si possono impartire caratteristiche elettriche, termiche, magnetiche, che non sono proprie del materiale matriciale. La tabella seguente contiene una classificazione funzionale delle cariche. Utilizzo Tipo di carica Usi generali Carbonato di calcio, silice, allumina, talco, mica, ossido di zinco, solfato di bario Ritardanti di fiamma Allumina triidrata, triossido di arsenico, ossido di antimonio, bicarbonato di ammonio Conducibilità elettrica Argento, rame, alluminio, grafite Rigidità dielettrica Allumina, silice, mica Resistenza all’abrasione Allumina, silice, carburo di silicio, metalli Resistenza all’impatto Gomme Tabella 1.2 Classificazione funzionale delle cariche 20 Molto importante è l’interazione tra il polimero e la carica. Alcune volte, quando si ha a che fare con polimeri non polari (per esempio polietilene, o altri polimeri caratterizzati da scarse proprietà di adesione nei confronti delle cariche), tale interazione è praticamente nulla e le particelle di filler si comportano come semplici inclusioni nella matrice. In questi casi la carica indebolisce la matrice e agisce da semplici diluente. In altri casi, grazie alla natura polare del polimero, (per esempio PVC) e alle caratteristiche superficiali delle cariche, si possono stabilire forze anche molto intense, e legami chimici veri e propri tra i due costituenti. In generale diciamo che è essenziale che le cariche vengano “bagnate” dal polimero costituente la matrice: questo è il motivo per cui per cui molte volte vengono trattate superficialmente con silani, stereati, o altri additivi bagnanti/accoppianti, studiati per il caso specifico. Fattori molto importanti nell’interazione polimero-carica sono: le dimensioni delle particelle, la forma delle medesime e la loro porosità. E’ stato trovato che, in linea generale, a parità di frazione volumetrica, l’effetto rinforzante migliora con il diminuire delle dimensioni delle particelle: per particelle di diametro sotto 0,2 micrometri il limite elastico e il carco di rottura crescono linearmente con il diminuire delle dimensioni delle particelle. Molta importanza può avere in certi casi anche la distribuzione delle dimensioni delle particelle, specialmente per quanto riguarda l’efficienza di “impaccahettamento” della carica. Per molte proprietà si osserva che aumentando la concentrazione in filler, si arriva a duna valore della frazione volumetrica in corrispondenza del quale si ha ottimizzazione della proprietà esaminata. Una particolare attenzione è posta al potere abrasivo della carica per il danneggiamento che la sua presenza nel composito potrebbe arrecare alle apparecchiature di miscelazione, lavorazione e formatura. Materiali a bassa durezza di Mohs, come il Talco, il Caolino, ed il carbonato di calcio, cono meno dannosi rispetto a materiali più duri come la silice o i feldspati: a 21 tal proposito si dice che si preferisce il filler per cui il “grado” a cui corrisponde il residuo più basso al setaccio a 325 mesh. La reattività chimica del filler può incidere sulle qualità superficiali del manufatto e sulla sua curabilità. Per esempio, cariche di carbonato di calcio (pH:9-10) rendono la superficie del composito alcalina e facilmente deteriorabile anche in ambiente debolmente acido. Dal punto di vista della resistenza chimiche invece la Barite è il più insolubile dei filler inorganici solitamente impiegati. Di notevole importanza è poi la morfologia delle particelle di filler: cioè la loro forma e il modo di aggregazione. Si può dire che esistono nei filler tante morfologie quanti sono i prodotti impiegati. Alcune cariche hanno forma arrotondata, forma assunta durante la macinazione a secco o a umido, per cui vengono smussati i loro spigoli. Altri filler sono invece sotto forma di lamelle (metalli, mica e talco). Rara è la morfologia acculare, cioè a foglia allungata, ad ago: questa si trova solo in certi tipi di minerali (Wollastonite e talco della California). METODI DI FABBRICAZIONE DEI PARTICELLARI Per quanto concerne le masse da stampaggio a base di materiali termoplastici caricati, vengono dapprima preparate miscelando la resina con le cariche e tutti gli altri agenti ausiliari (stabilizzatori, scivolanti, lubrificanti, ecc.) e successivamente granulate in determinate dimensioni. Per lo stampaggio a iniezione e per l’estrusione vengono consigliati granulati compatti, ben scorrevoli, di dimensioni da 2 a 5 mm. Per la granulazione “pre-miscele” di materie prime e agenti ausiliari vengono fuse ed omogeneizzate mediante grossi estrusori a vite, estrusori planetari oppure miscelatori a vite per i materiali di rinforzo. Le masse fuse vengono addotte, attraverso una testa con filiera multipla, a granulatori sommersi che, immediatamente all’uscita, scaricano in una corrente di acqua fredda granuli di forma diversa (da lenticolare a sferica) oppure vengono fatte passare attraverso bagni di raffreddamento e quindi frantumate 22 mediante granulatori ottenendo granuli cilindrici o cubici. Le figura seguenti mostrano un estrusore a vite, monovite e bivite. Nel processo di estrusione, plastica in forma di granuli o polvere (dry-blend) insieme alla carica vengono alimentati in un miscelatore riscaldato dove viti rotanti omogeneizzano il tutto. La massa fusa viene poi spinta attraverso una filiera per dare un prodotto finito o semi-finito. Per la preparazione di masse da stampaggio a base di resine termoindurenti contenenti filler si procede premiscelando le cariche a freddo dopo eventuale essiccazione con resina polverizzata ad un certo stadio di policondensazione, con coloranti e scivolanti; si procede quindi a plastificazione e omogeneizzazione su cilindri riscaldati. La resina, durante questo trattamento procede nella policondensazione portandosi alla viscosità opportuna per le ulteriori lavorazioni. I 23 compound vengono successivamente raffreddati, frantumati, macinati e messi in commercio come polveri da stampaggio. Vi sono chiaramente varianti e particolari tecnici di compounding (composizione), legati allo stato fisico della resina (liquida o solida) e alla natura del filler. Segue adesso una carrellata sulle principali cariche utilizzati nei compositi particellari. CARBONATO DI CALCIO Il carbonato di calcio (CC) è la carica maggiormente utilizzata nei composti particellari essendo caratterizzata da: o basso costo; o assenza di tossicità (adatto quindi ad articoli destinati a venire in contatto con alimenti); o colore bianco; o bassa durezza (circa 3 della scala Mohs, nessuna usura delle macchine); o facilità di trattamento superficiale; o carattere basico. I tipi di maggior uso sono quelli macinati:prima della macinazione di eliminano le impurezze quali gli ossidi di ferro e la silice. Si possono usare anche precipitati nel caso di elevate purezze richieste. Il trattamento superficiale viene effettuato prevalentemente mediante acido stereatico o stereato di calcio. Nel caso di PVC rigido, il CC può essere usato fino a tenori del 40% in peso, oppure a bassi livelli di concentrazione (fino al 5% con dimensioni di 2-3μm), se si tratta semplicemente di modificare il comportamento reologico della resina. Un esempio di CC in PVC rigido è quello utilizzato per le tubazioni rigide: nella tabella seguente vengono riportate le caratteristiche principali. 24 PVC 100 100 100 100 0 10 20 30 Modulo elastico (GPa) 2,9 3,1 3,4 3,8 Resistenza a trazione (MPa) 56 53 48 37 0,65 0,93 1 0,98 73 74 74 75 CC Resilienza IZOD Temperatura di distorsione (°C) Variazione di peso (14 gg. a 55 °C in H2SO4) Variazione di peso in olio ( 30 gg. a 23 °C) Tabella 2.1 -0,052 -0,061 -0,07 -0,09 0,03 0,11 0,09 0,08 Proprietà del PVC rigido per tubazioni Nel caso di PVC plastificato (flessibile) si possono raggiungere anche tenori molto elevati di CC, come 100 phr (parti di carica su 100 parti di polimero), con dimensioni medie delle particelle da 3-15 μm. Le particelle più fini causano aumenti considerevoli di viscosità. Applicazioni tipiche per questi compound sono manufatti per isolamento elettrico, pavimentazione e tubi flessibili. Seguono due tabelle con le caratteristiche riportate di compositi PVC plastificato per tubi flessibili e compositi a base di resine poliestere insature. CC 0 phr 36 phr 100 phr PVC/DOP 100/40 100/43 100/43 Carico di rottura (MPa) 15 15 12 Modulo secante (Mpa) (100%) 12 12 9 Allungamento a rottura (%) 300 290 270 Perdita in peso per abrasione (mg) (Taber) 20 63 93 Durezza (Shore A) 96 95 95 Tabella 2.2 Proprietà di PVC plastificato per tubi flessibili Nelle resine poliestere insature le applicazioni più importanti del CC si hanno negli SMC (Sheet Molding Compound: composizioni per stampaggio da lastre) e 25 BMC (Bulk Molding Compound: composizioni per stampaggio in massa). Negli SMC sono presenti anche fibre corte di vetro e modificatori di viscosità come MgO, agente di ispessimento. Il CC è usato anche nel polipropilene per masse da stampaggio fino a tenori di circa 60 parti in peso. Il polietilene non viene generalmente caricato con CC a causa della scarsa adesione reciproca. Componenti Parti in peso Premix BMC SMC Resina poliestere 100 100 100 CC (5 µm) 125 250 150 Ossido di magnesio -- -- -- Fibra di vetro (6 mm) 60 90 -- Fibra di vetro (5 cm) -- -- 125 70-95 90-100 180-210 Modulo elastico (GPa) 9-12 13-15 12-14 Resilienza IZOD 5-7 4,5-6,5 13-24 Durezza Barcol 60-70 60-70 60-70 Resistenza a flessione (MPa) Tabella 2.3 Proprietà di compositi a base di resine poliestere insature contenenti carbonato di calcio Parti in peso Polipropilene 100 100 100 CC 43 54 68 Modulo elastico (GPa) 2,9 3 3,2 Resistenza a trazione (MPa) 30 30 25 Resistenza IZOD (senza intaglio) 13 13 10 Tabella 2.4 Proprietà di compositi a base di polipropilene con carbonato di calcio per stampaggio a compressione 26 TALCO Chimicamente il talco è un silicato idrato di magnesio: 3MgO 4SiO2 H 2 O . La sua composizione può variare considerevolmente a seconda del luogo di estrazione. Il talco trova larga applicazione industriale; come materiale di carica viene usato nell'industria della carta, al fine di ottenere superfici lisce e bianche; come lubrificante secco, nell'industria tessile, per appesantire e lubrificare filati e tessuti; impastato con feldspato e argilla, formato e successivamente cotto a 1480°C, è usato come materiale refrattario, particolarmente resistente agli sbalzi termici. Viene adoperato inoltre in profumeria (ciprie e saponi); nella preparazione di anticrittogamici; nella brillatura del riso; nell'industria delle sostanze coloranti; e in quella dei pellami, degli esplosivi e dei prodotti farmaceutici. La morfologia del talco può essere lamellare o aciculare, anche se quello usato come filler a forma lamellare per le migliori caratteristiche meccaniche del composito risultante. Ha un elevato rapporto di forma per cui è un importante rinforzane oltre che diluente. I polimeri caricati con talco mostrano un aumento del modulo elastico E, e della resistenza al creep, rispetto a quelli caricati con CC. A causa dell’elevato rapporto di forma, è opportuno curare attentamente la fase di miscelazione. Per questo si usano talchi trattati, anche per limitare gli effetti di infragilimento che il talco induce. Viene utilizzato prevalentemente nel polipropilene:settore automobilistico e degli elettrodomestici. Le prestazioni meccaniche del polipropilene (PP) caricato con talco sono migliori di quelle del PP caricate con CC; tuttavia per concentrazioni superiori al 40 % in peso di elevata finezza è opportuno usare stabilizzanti. Infatti occorre prestare attenzione però alla stabilità ad alta temperatura: in generale nel caso di cariche con elevata superficie specifica la resistenza alla degradazione termica è bassa. 27 Non caricato 20% talco 40% talco Modulo elastico (GPa) 1,6 2,7 4,2 Carico di snervamento (MPa) 38 39 37 0,58 0,47 0,42 62 72 88 Resilienza IZOD (ft-lb/in) Temperatura di distorsione (°C) Tabella 2.5 Proprietà del polipropilene caricato con talco Polietilene (medio peso molecolare) Non caricato 40% talco PVC rigido Polistirolo antiurto Non 30% Non 40% caricato talco caricato talco Modulo elastico (GPa) 1,1 3,3 3,5 7,2 2,3 5,7 Carico di snervamento (MPa) 52 61 56 54 33 37 Resilienza IZOD (ft-lb/in) 3,7 3,7 0,6 0,23 2,75 0,45 Tabella 2.6 Proprietà di alcuni polimeri caricati con talco MICA La mica è un silicato di alluminio e potassio.A temperatura ambiente ha un aspetto lamellare, colore variabile grigio-giallognolo o nerastro luccicante, inodore. A causa della sua struttura laminare presenta sfaldatura "a foglietti", lungo piani paralleli alle lamine. Ti piamente le miche sono caratterizzate da due strati di tetraedri di Si 2 O5 e da uno ottaedrico di ioni Al 3+ , Mg 2 + , e OH- (spessore degli starti circa 10μ). Questi tre strati sono legati debolmente a strutture simili mediante cationi di K, Li, Na, Ca. Le miche commercialmente più importanti sono la flogopite e la muscovite. Durante la macinazione del materiale, si ha distacco tra gli strati, per cui si formano laminette estremamente sottili di dimensioni 1μ e trasversalmente dai 4 ai 100 μ. In seguito 28 all’elevato rapporto di forma (tipo HAR: high aspect ratio) e alla facilità con cui le laminette di mica si orientano le uno con le altre, possiamo ottenere compositi con diverse caratteristiche cambiando le tecnologie di lavorazione o semplicemente lo spessore dei manufatti: l’orientamento delle laminette nel fuso polimerico comporta grosse variazioni di resistenza alla frattura in presenza di intagli superficiali di profondità maggiore dello spessore della “pelle”. Gli incrementi del modulo elastico E sono particolarmente rilevanti. Materiale Modulo elastico (GPa) Resistenza a flessione(MPa) Polietilene 31 120 Polipropilene 38 170 Nylon 66 45 185 Nylon 66 (particelle non orientate) 18 85 Copolimero stirene-acrilonitrile (SAN) 53 200 Tabella 2.7 Proprietà meccaniche di polimeri termoplastici contenenti il 50% di mica L’introduzione della mica produce però un peggioramento della resilienza:l’infragilimento può essere evitato combinando alla mica, fibre di vetro. Laddove le caratteristiche di resilienza non siano importanti può essere usata la mica al posto delle fibre di vetro, molto meno costoso. Anche nel caso della mica è essenziale che la matrice bagni e aderisca bene alle particelle del filler, per cui è consigliabile un trattamento superficiale della carica con silani, e gli amminosilani. 20% vetro 50% mica 20% vetro 30% mica Modulo elastico (GPa) 5,3 18 16 Carico di rottura (MPa) 107 95 124 Resilienza IZOD (ft-lb/in) con intaglio 0,9 1,4 0,9 Resilienza IZOD (ft-lb/in) senza intaglio 7,7 4,1 7,5 Tabella 2.8 Proprietà di compositi nylon 66/mica/fibra di vetro 29 La mica trova impiego anche nei polimeri termoindurenti, come le resine fenoliche, per migliorarne il comportamento dielettrico. Una formulazione tipica è quella costituita da 100 parti di novalacca e 150 parti di mica, che mostra notevoli caratteristiche dielettriche alle elevate tensioni (per esempio negli spinterogeni del motore a scoppio). Grazie alla caratteristica dei termoindurenti di bagnare molto bene le cariche, si originano in tal caso compositi con elevate caratteristiche resistenziali (eccetto che per la resilienza). Modulo elastico Resistenza (GPa) (GPa) Resina poliestere 47 159 Resina epossidica 44 166 Resina fenolica 52 145 Resina fenolica (con mica a basso fattore di forma) 21 62 BMC (tipico) 13 100 Tabella 2.9 Proprietà di resine termoindurenti caricate con mica (50% in volume) CARICHE DI FORMA SFERICA Un tipo particolare di filler è costituito da particelle di forma sferica, caratterizzate dal più basso rapporto superficie/volume. Anche se esistono cariche di forma sferica di tipo diversissimo, il mercato è oggi dominato dalle sferette di vetro ( SiO2 72%, CaO 8%, Na 2 O 14%), con dimensioni variabili tra i 5 e i 700 μm, con o senza trattamento superficiale. I vantaggi delle sferette di vetro sono: o la loro regolarità; o la bagnabilità da parte del polimero fuso; o a parità di concentrazione sono quelle che causano il minor aumento di viscosità del composito; o si riducono le tensioni interne; 30 o si facilita lo stampaggio di forme complesse. Le caratteristiche meccaniche migliorano notevolmente se si usano le sferette di vetro insieme a fibre di vetro corte. Oltre a cariche di forma sferiche piene al loro interno, possiamo avere anche cave, prodotte di diversi materiali (carbonio, vetro, ceramiche, polimeri) ma soprattutto di vetro: esse hanno una densità di 0.3 g / cm 3 e dimensioni comprese tra 50 e 100 μ. Vengono utilizzate sia in polimeri termoplastici che in polimeri termoindurenti per ridurre il peso dei manufatti e la loro conducibilità termica; le sferette sono in grado inoltre di resistere a pressioni elevatissime (10MPa). In alcuni casi anch’esse vengono combinate con fibre di vetro per aumentare la leggerezza del manufatto. Importanti applicazioni in cui sono essenziali leggerezza, coibenza termica e stabilità termica sono rappresentate dagli schermi ablativi che proteggono i veicoli spaziali nella fase di rientro nell’atmosfera, si ha in tal caso una matrice fenolica epossidica, e dagli elementi di isolamento termico nei missili a combustibile solido. Nel settore nautico vengono impiegate le sferette per alleggerire gli scafi e coperte in vetroresina e nell’industria elettronica si usano formulazioni a base di resine epossidiche e microsfere cave per produrre materiali con bassi valori della costante dielettrica e del fattore di perdita. Le sferette di carbonio, aventi una densità molto bassa ( 0.006-0.25 g / cm 3 ) presentano un costo molto elevato: questo è il motivo per cui vengono utilizzate in specializzate produzioni come nei su citati schermi ablativi. Le particelle di carbonio cave favoriscono la formazione di uno strato carbonizzato scarsamente conduttore e di elevatissima resistenza termica. Una importante applicazione delle sferette di vetro cave è quella delle schiume sintattiche: esse si ottengono miscelando microsfere di vetro resina fenolica o altro materiale con un resina fluida, in presenza di additivi e agenti di cura. Vengono molto utilizzate nel settore marino per la costruzione di galleggianti di profondità: le schiume polimeriche convenzionali hanno infatti scarsa resistenza compressione e non possono essere usate a forti profondità. Le schiume sintattiche vengono 31 adoperate per la stesura di cavi sottomarini, nell’estrazione del petrolio da fondali marini profondi e nei sommergibili di profondità. In generale rispetto alle convenzionali schiume polimeriche, le schiume sintattiche presentano questi vantaggi: o miglior caratteristiche meccaniche; o migliori caratteristiche meccaniche specifiche (resistenza/peso specifico); o miglior resistenza idrostatica; o minor assorbimento di umidità; o maggiore stabilità alle differenze di temperatura. Inoltre è molto importante nel determinare le proprietà meccaniche di una schiuma sintattica che le microsfere abbiano la distribuzione più omogenea possibile rispetto alla forma, alle dimensioni e alla resistenza. Le microsfere conferiscono alla schiuma sintattica un comportamento costitutivo macroscopico di un materiale isotropo e omogeneo. La foto seguente riporta una scansione al microscopio elettronico. Di seguito è riportata una tabella con le proprietà meccaniche. Microsfere di carbonio Microsfere di vetro FTD 202 (10-100 µm) Densità (g/cm3) 0,66 0,68 0,68 0,65 Modulo elastico a compressione (GPa) 2,1 2,1 1,9 1,8 Resistenza a compressione (MPa) 87 82 59 64 Carico massimo idrostatico (MPa) 136 128 108 95 Tabella 2.10 Proprietà meccaniche di schiume sintattiche epossidiche 32 SILICE La silice è sostanzialmente costituita da biossido di silicio amorfo in forma estremamente fine. Le applicazioni principali sono indicate nella tabella seguente. Scopo Settori Rinforzo Gomme (soprattutto siliconiche) Tissotropia Resine termoindurenti, plastisol vinilici Aumento di viscosità Vernici, inchiostri Reologia Cosmetici, prodotti farmaceutici Opacizzazione Vernici, polimeri vinilici Filler Polimeri Abrasivi Paste dentifricie Tabella 2.11 Applicazioni tipiche dei vari tipi di silice Il diametro medio delle particelle primarie è tipicamente di 0.01-0.1 μ con superfici specifiche di 50-800 m 2 /g. Esse difficilmente sono presenti singolarmente perché formano aggregati costituiti da molte decine di particelle primarie. Gli aggregati possono a loro volta impaccarsi per formare agglomerati di dimensioni maggiori. I tipi commerciali di silice sono classificati e noti come fumed, arc, gel, precipitated, a seconda del metodo di preparazione. Nella tabella seguente vengono specificate le proprietà. Fumed Arc Gel Precipitated Area superficiale (m2/g) 50-400 150-200 300-1000 60-300 Densità apparente (g/t) 90-120 120-150 90-160 160-200 Dimensioni medie agglomerati (µm) 0,8 4-8 4-10 1,5-10 Gruppi –OH superficiali (nm-2) 2-4 2-3 4-8 8-10 Tabella 2.12 Proprietà tipiche dei vari tipi di silice sintetica 33 La silice è utilizzata come rinforzo nelle gomme siliconiche e costituisce, in particolare il rinforzo più efficace per le gomme siliconiche HTV (high temperature vulcanization: vulcanizzazione ad alta temperatura). L’uso della silice si è affermato anche nella tecnologia del PVC, particolarmente per la preparazione di paste a base di polivinilcloruro contenenti plastificanti per la produzione di articolo semirigidi o flessibili (“organogel” o “organosol”). Nei manufatti con PVC rigido l’aggiunta di silice migliora le proprietà dielettriche. Aggiunta a molti materiali polimerici limita la tendenza dei manufatti ad aderire tra loro (particolarmente importante nella produzione di film o fogli) e riduce la facilità con cui i manufatti realizzati con alcuni polimeri, particolarmente le poliolefine, scivolano se impilati. Essa conferisce ai manufatti una superficie liscia e opaca che è apprezzata in molte applicazioni (industri automobilistica). CARICHE METALLICHE I solidi polimerici sono di solito materiale non conduttori dal punto di vista elettrico; tuttavia in molte applicazioni si richiedono materiali con resistività elettrica intermedia tra quella dei metalli e quella degli isolanti. L’uso di filler conduttori consente di formulare compositi a matrice polimerica, con resistività variabile tra i 10 −3 e i 10 6 Ωcm. Applicazioni tipiche si hanno nell’industria elettronica per la produzione di contenitori impermeabili alle radiazioni ad alta frequenza e in tutti quei settori nei quali la presenza di cariche elettrostatiche , che danno facilmente origine a scariche elettriche può risultare dannosa o addirittura pericolosa ( serbatoi per combustibili). I filler impiegati per questi scopi sono evidentemente materiali ad elevata conducibilità elettrica e quindi usualmente metalli (alluminio, alluminio, nichel, acciaio inox, argento). In alcuni casi si fa uso di fibre di vetro, grafite, nerofumo rivestite di nichel o alluminio. La dipendenza della resistività di una materia plastica caricata con un filler conduttore varia col contenuto del filler: si osserva che una 34 consistente diminuzione della resistività al di sopra di un valore critico della concentrazione in filler: tale valore dipende fortemente dalla forma delle particelle della carica e dal grado di dispersione piuttosto che dalla natura stessa della carica. Microfibrille e lamelle risultano più efficaci di quelle sferiche. Sono oggi disponibili compound fenolici ed epossidici fortemente caricate con alluminio. Dopo indurimento tali materiali possono essere lavorati con le stesse tecniche di lavorazione dei metalli. I termoplastici modificati (acrilonitrile-butadienestirene ABS; acetaliche; nylon; polietilene PE; polipropilene, PP; ecc) vengono lavorati invece con le tecniche convenzionali delle materie plastiche (estrusione, iniezione). Applicazioni di rilievo trovano gli adesivi conduttori, costituiti da soluzioni di polimeri termoplastici (per esempio acetato di cellulosa) o da resineepossidiche, fortemente caricati con polvere finissima di argento. La conducibilità elettrica è tale da consentire la riparazione di circuiti integrati danneggiati. Oltre all’aumento di conducibilità, le cariche metalliche aumenti di: o modulo elastico; o durezza; o peso specifico; o diminuzione del ritiro volumetrico (per resine termoindurenti); o diminuzione del coefficiente di dilatazione termica; o aumento della conducibilità termica. Esistono cariche aumentano la conducibilità elettrica senza aumentare quella termica viceversa. Per quest’ultima essenziale è la forma delle particelle. Forma delle particelle Resistività elettrica (Ωcm) Conducibilità termica(BTU/hr ft°F/ft) Polvere >10-6 0,25 Lamine 0,1 1,05 Tabella 2.13 Proprietà di una resina fenolica caricata con particelle di alluminio di forma diversa (Φ=0,4) 35 CARICHE NATURALI DI NATURA ORGANICA I tipi i compositi che abbiamo fino ad ora esaminati hanno lo svantaggio di non essere riciclabili a causa dell’intimo mescolamento dei componenti il composito, che li rende difficilmente separabili. Così l’uso di materiali di natura organica sembra essere una possibile soluzione: si tratta prevalentemente di materiali cellulosici contenuti spesso nella lignina. L’uso di queste particelle risale all’inizio del secolo: nel 1907 il dottor Leo Baekland preparò delle polveri da stampaggio addizionando le resine fenoliche di farina di legno. Oggi alla farina di legno vengono preferite fibre di cellulosa di elevata purezza ( più del 99%). E’ da notare come l’impiego di queste cariche non porta a sostanziali miglioramenti delle caratteristiche meccaniche dei manufatti e può favorirne la degradazione sia fotochimica che biologica. NEROFUMO Il particolato carbonioso (in ambito tecnico anche indicato con il termine inglese di soot) è una polvere nera (essenzialmente carbonio incombusto amorfo, più tracce di altri composti) che si può ottenere come sottoprodotto della combustione incompleta di una qualsiasi sostanza organica. Lo si può vedere facilmente osservando ad esempio la sottile polvere nera che si forma avvicinando una fiamma ad una superficie metallica fredda come quella di un cucchiaino. Si può comunque trovare facilmente su tutte le superfici esposte a fumi di combustione (ciminiere, condotti di scarico), in particolare in caso di combustione "ricca" di carbonio o comunque povera di ossigeno. Più nel dettaglio, esso è un agglomerato di particelle carboniose (dall'80% fino a circa il 96% di carbonio allo stadio finale, con percentuali variabili a seconda del tipo di combustione) di circa 1 μm di diametro, prodotte durante la combustione quando la quantità di ossigeno è insufficiente a bruciare completamente gli idrocarburi in CO2 e acqua (combustione "ricca"), oppure quando la temperatura di fiamma è bassa. Sebbene abbia alcuni 36 utilizzi industriali, generalmente è un componente "indesiderato" dei processi con fiamma, sia dal punto di vista tecnologico, sia da quello ambientale e relativo alla salute umana, in quanto riconosciuto come forte agente inquinante oltre che come "collettore" di diversi composti cancerogeni. Generalmente si conviene di definire nerofumo il particolato carbonioso di diametro particellare ben definito, prodotto per utilizzi industriali, mentre il nome "fuliggine" viene comunemente dato al particolato ottenuto come sottoprodotto "incontrollato" della combustione. Il diametro medio delle particelle varia tra i 10 e i 100 nm con superfici specifiche che arrivano a 1000 g/cm 3 . Sebbene venga utilizzato largamente come rinforzo nelle gomme il nerofumo non è propriamente una carica rinforzante. Esso conferisce una elevata resistenza ai raggi ultravioletti: l’azione protettiva si manifesta già a concentrazioni del 2-3%, è dovuta sia all’elevato potere assorbente della radiazione sia alla capacità del filler di catturare superficialmente i radicali liberi, che favoriscono le reazioni di scissione delle catene polimeriche. Da questo effetto trae vantaggio l’industria dei cavi coassiali per trasmissione di segnali. 37 PROPRIETA’ MECCANICHE E TERMICHE DEI COMPOSITI PARTICELLARI Il modulo elastico E di un composito può aumentare o diminuire con la quantità di carica presente a seconda che il rapporto tra il modulo della carica e quello del polimero sia maggiore o minore di uno E c / E p <> 1 . Nel caso si usino cariche minerali tale rapporto varia tra 20 a 100. Il modo più semplice di valutare il modulo elastico è quello di considerare le due condizioni estreme di sforzo assunto uguale nei due componenti (modello in serie, equazione 1) o di deformazione uguale (modello in parallelo, equazione 2): E c = (1 − Φ m )E m + Φ f E f (1) ⎛1− Φ f Φ f ⎞ ⎟ + Ec = ⎜ ⎜ E ⎟ E m f ⎝ ⎠ (2) dove abbiamo indicato con Φ f la frazione volumetrica della carica e con E c , E f , E m i moduli elastici di composito, particella e matrice rispettivamente. Queste relazioni sono state applicate anche ad altre proprietà come la conduttività termica o i fattori di perdita. Takayanagi ha proposto una relazione che in qualche modo combina le due precedenti e utilizza due parametri, ϕ e ψ che devono essere determinati sperimentalmente ( ϕψ = Φ f ): ⎛ ψ 1 −ψ + Ec = ⎜ ⎜ (1 − ϕ )E + ϕE Em m f ⎝ ⎞ ⎟ ⎟ ⎠ (3) Per tenere conto delle dimensioni e della forma delle particelle si presenta una delle più note equazioni, quella di Kerner: 38 Ec = 1 + ABΦ f (4) 1 − α f BΦ f Ef E B= m Ef con Em −1 e +A ⎛ 1 − Φ max ⎞ ⎟⎟Φ c 2 Φ max ⎠ ⎝ α f = 1 + ⎜⎜ dove A = parametro che dipende dalla forma delle particelle Φ max = massima frazione di impiccamento della carica. Forma delle particelle Sfere di uguale dimensione A Φmax 1,5 0,74 1,5 0,64 1,5 0,6 (impaccamento massimo) Sfere di uguale dimensione (impaccamento random) Sfere di uguale dimensione (impaccamento sciolto) Ellissoidi (impaccamento random) 1,58-2,08-2,8-4,93 0,68-0,6-0,53-0,42 con fattore di forma: 2-4-6-10 Tabella 2.15 Valori del coefficiente A e di Φmax nell’equazione di Kerner Deformazione a rottura A causa della rigidità delle particelle utilizzate la deformazione della matrice, più duttile, risulta maggiore della deformazione macroscopica del materiale composito. L’aggiunta di una carica comporta pertanto la diminuzione di duttilità. Usiamo la formula di Chow per valutare l’allungamento a rottura di u n composito particellare: 39 ε rott ⎡ ⎢ =⎢ ⎢ 2a (E m − E f ⎢ f (Z ) ⎣⎢ ⎤ ⎥ 12γ ⎥ ) ⎛⎜ Em − E f ⎞⎟ 2 ⎥⎥ ⎜1 + E ⎟Φ f m ⎝ ⎠ ⎦⎥ 0,5 con: π f (Z ) = ( ) 1 2 sin ϑ 1 + Z 2 − 1 sin 2 ϑ dϑ Z ∫0 dove: γ = energia interfacciale polimero-carica Z = fattore di forma (rapporto tra le dimensioni longitudinale e trasversale delle particelle di carica) a = dimensione minore delle particelle. Resistenza a trazione Per quanto riguarda la resistenza a trazione, in generale, se si realizza una buona adesione tra polimero e filler, il carico aumenta al decrescere della concentrazione della carica. Una relazione tra il carico di rottura e la concentrazione del filler che tiene conto anche della anisotropia di forma delle particelle, è la seguente: σu = 12γE m d ⎛ Em Φ f ⎜ +Φf ⎜E −E m ⎝ f ⎞ ⎟ ⎟ ⎠ Scorrimento viscoso sotto carico (creep) Per quanto riguarda il comportamento al creep, questo varia a seconda che si considerino piccole o grandi deformazioni. Nel primo caso la deformazione diminuisce (rispetto a quella del polimero non caricato) a causa dell’aumentata rigidità del materiale. Nel secondo caso, invece, la deformazione può aumentare se l’interfaccia polimero-carica si danneggia con conseguente formazione di microcavità. 40 Proprietà termiche Le resine sintetiche sono caratterizzate da bassa conducibilità termica: questa, tuttavia, può essere convenientemente aumentata con l’incorporazione di cariche minerali. Per valutare l’effetto dei filler minerali sulla conducibilità termica K di un materiale polimerico,si può far uso della relazione di Lewis e Nielsen: 1 + ABΦ f K = K m 1 − BψΦ f con: Kf K B= m Kf Km dove: −1 +A ⎛ 1 − Φ max ⎞ ⎟Φ f 2 ⎟ Φ max ⎝ ⎠ e ψ = 1 + ⎜⎜ A = termine che dipende dalla forma delle particelle (vedi tabella, ove per completezza sono riportati anche valori relativi ad altre geometrie di carica). K m e K f = rispettivamente conduttività termica del polimero e della carica. Forma delle particelle Sfere A 1,5 Particelle irregolari 3 Fibre casualmente orientate (l/d = 4) 2,08 Fibre casualmente orientate (l/d = 15) 8,38 Lamelle (l/d = 40) Tabella 2.16 15-20 Valore del coefficiente A nell’equazione di Lewis-Nielsen 41 Il valore del parametro A può differire da quelli indicati soprattutto se la geometria della carica viene modificata durante la lavorazione. Per prevedere la conduttività di un composito particellare, può essere usata la relazione di Ziebland: ( ) ( ) log K c = Φ f log K *f + (1 − Φ f )log(K m ) Dove K *f è un termine determinato sperimentalmente misurando la conduttività termica del composito a composizione nota. Nel caso si usino particelle ad elevato rapporto di forma, occorre tener conto del fatto che la conduttività termica è, al pari del modulo elastico, una grandezza direzionale. Materiale Conduttività termica (W/m °K) Rame 400 Alluminio 230 Vetro comune 0,9 Polietilene (alta densità) 0,63 Polietilene (bassa densità) 0,33 Nylon 6 0,31 Polistirolo 0,15 Polistirolo (schiuma) 0,05 Resina epossidica 0,23 Resina epossidica/20% alluminio (peso) 0,92 Resina epossidica/Al2O3 (11% vol.) 0,5 Resina epossidica/Al2O3 (30% vol.) 1,0 Resina poliestere 0,2 Tabella 2.17 Conduttività termica di alcuni materiali usati come filler, di alcuni polimeri e di un composito particellare 42 Espansione termica Mediante l’introduzione di cariche minerali è possibile ridurre i coefficienti di espansione termica lineare e cubico λ , α di un polimero in modo da adeguarli a quelli di altri materiali con i quali i compositi dovessero essere solidalmente collegati. Coefficiente di espansione termica di volume (°K-1) x 105 Materiale Silice amorfa 0,05 Vetro comune 1 Ferro 1,2 Alluminio 2,5 Rame 1,5 Polistirolo 8 Polipropilene 10 Polipropilene + fibra di vetro 4 Resina poliestere 10 Resina poliestere (SMC) 2,5 Resina poliestere (DMC) 2,3-2,4 Resina epossidica 5-10 Resina fenolica + 40% α-cellulosa 2,9 Tabella 2.18 Coefficiente di espansione termica di volume Valori tipici del coefficiente di espansione cubico sono riportati nella tabella sottostante. Per prevedere i valori di α sono state proposte diverse relazioni. Per gli elastomeri vale la regola delle miscele: α c = (1 − Φ f )α m + Φ f α f Nella maggior parte dei casi, invece i valori reali risultano inferiori a quelli previsti da questa legge. Relazioni che possono essere utilmente usate sono quelle di Thomas e di Turner: 43 ( ) ( ) log α c = Φ f log α f + (1 − Φ f )log(α m ) αc = α f Φ f β f + (1 − Φ c )α m β m Φ f β f + (1 − Φ c )β m Dove i termini β i si riferiscono ai moduli di volume ( pressione/variazione di volume). 44 COMPOSITI CON FIBRE GENERALITA’ Nel caso dei compositi fibro-rinforzati la fase dispersa è composta da fibre, che hanno un alto rapporto lunghezza-diametro. Questi particolari materiali sono realizzati con fibre e matrici a bassa densità, i quali offrono eccellenti valori della resistenza e del modulo specifici. La matrice può essere metallica, polimerica o ceramica. Nei primi due casi la fibra ha il compito principale di rinforzare il materiale, specie nei polimeri; nell’ultimo caso, invece, le fibre migliorano le proprietà meccaniche e hanno tuttavia l’effetto predominante di incrementare la tenacità: i materiali ceramici, infatti, sono resistenti all’ossidazione ed al deterioramento ad alta temperatura e pertanto, se non fosse per la loro eccessiva fragilità, sarebbero senz’altro i candidati ideali per molte applicazioni ad elevate temperare e carichi. I materiali compositi più importanti per estensione di mercato sono quelli a matrice polimerica, mentre i compositi a matrice metallica e ceramica sono limitati a poche applicazioni di nicchia soprattutto a causa dell’elevato costo e della complessità delle tecnologie di trasformazione. Per quanto riguarda i materiali plastici usati come matrice si accenna a quelli normalmente più usati: le resine termoindurenti (poliesteri ed epossidiche, fenoliche, siliconiche, poliammidi). Sono tutte organiche tranne le resine siliconiche che vedono la sostituzione del C col Si. Volendo aumentare la rigidità delle resine (p. es. aggiungendo carbonato di sodio o silicato di alluminio nelle poliesteri e polvere di quarzo, talco o mica nelle epossidiche) si viene a diminuire la resistenza a flessione mentre la loro accresciuta 45 viscosità genera un difficile riempimento degli spazi tra le fibre. Un ulteriore aspetto è ricoperto dai sistemi compositi ibridi, che inglobano in una matrice di resina epossidica alcune coppie di fibre come vetro + boro, grafite+vetro, vetro+berillio. Con questi compositi si tenta di creare un comportamento ottimale, ma si ha sovente una non uniforme entrata sotto carico delle diverse fibre per via dei diversi moduli elastici. In base alla natura e al diametro, le fibre sono suddivise in tre gruppi principali: whisker, fibre e fili, come già precedentemente accennato. Il loro diametro varia da 5 a 15 micron, ma altre sono molto più spesse, come quelle ottenute per deposito di vapori su fibre, come le fibre di boro e di carburo di silicio (100-150 micron). I whisker sono monocristalli molto sottili e presentano un elevatissimo rapporto lunghezza-diametro. Grazie alle piccolissime dimensioni, essi sono in grado di raggiungere un elevato grado di perfezione cristallina e sono virtualmente privi di difetti, motivo per cui essi hanno resistenze meccaniche eccezionalmente elevate. I whisker sono infatti i materiali più resistenti che si conoscano. I materiali che sono classificati quali fibre possono essere sia policristallini che amorfi e mostrano piccoli diametri; le fibre sono generalmente realizzate in materiale polimerico o ceramico. Il diametro della fibra è critico rispetto alla resistenza: come tutti i materiali fragili, mostrano un incremento della resistenza al diminuire delle dimensioni trasversali. Le fibre in fiocco possono essere prodotte direttamente o attraverso il taglio di filamenti continui. Le fibre inorganiche, metalliche e non metalliche, sono più resistenti, più rigide, hanno un più elevato punto di fusione, resistono meglio al calore rispetto alle fibre tradizionali; sono inoltre del tutto ininfiammabili, per contro, eccetto le metalliche, sono fragili. La loro importanza tessile è quindi finora molto limitata mentre è grande l’impiego come rinforzo nei materiali compositi. Sono di norma eccellenti alle alte 46 temperature ed in ambiente corrosivo. Le fibre più utilizzate per la realizzazione di compositi sono quelle di vetro, di carbonio e arammidiche. Vengono utilizzate sia come fibre lunghe, sia come fibre corte della lunghezza di alcuni millimetri. Altri tipi di fibra, sia organiche (alcune fibre polimeriche, quali, ad esempio, le polietileniche) che inorganiche (metalliche e ceramiche), hanno impieghi più limitati. Le fibre al carbonio e le ceramiche sono prodotte a partire da fibre organiche, precursori che vengono degradati termicamente. I precursori sono preparati con le stesse tecnologie impiegate per preparare le fibre organiche convenzionali. Per alcune fibre si ricorre al CVD ( chemical vapor deposition), con un substrato di fibre alto-fondenti: SiC o B4C su boro, TiN, SiC su carbonio. Sia le fibre policristalline (carbonio e boro) sia quelle perfettamente monocristalline (whiskers senza dislocazioni o con una sola dislocazione centrale) raggiungono valori del modulo di Young e della resistenza a trazione che possono superare di gran lunga i relativi valori dei materiali usuali. Mentre l'uso dì whiskers (fibre corte discontinue come Al203, WC, SiC) comporta al momento notevoli difficoltà tecnologiche, le fibre di carbonio e boro hanno ormai superato la fase di sperimentazione e sono in uso per un crescente numero di applicazioni industriali. I fili sottili sono invece caratterizzati dall’avere maggiori diametri, in genere essi sono realizzati in acciaio, molibdeno e tungsteno. L’ottenimento di un significativo grado di rinforzo è possibile solo se il legame interfacciale fibra-matrice è forte. Tuttavia, in condizioni di carico, tale legame si annulla all’estremità delle fibre: la conseguenza di ciò è che in questi punti non vi è alcun trasferimento di sforzo. Pertanto per ottenere un effettivo rafforzamento ed irrigidimento della struttura è necessario che la fibra raggiunga almeno una certa lunghezza critica, che dipende dall’accoppiamento fibra-matrice. Le fibre per le quali la lunghezza è molto maggiore della lunghezza critica sono definite fibre continue, mentre quelle più corte di essa vengono chiamate fibre discontinue o fibre corte. In questo secondo caso la matrice si deforma intorno alle fibre in maniera tale che in 47 pratica non vi è nessun trasferimento di carico, né viene fornito alcun rinforzo da parte della fibra. In tal caso il composito diventa sostanzialmente un particellare. Anche la disposizione delle fibre risulta critica per le caratteristiche del composito. Le proprietà meccaniche di un composito con fibre continue ed allineate sono fortemente anisotrope. Il rinforzo e la conseguente resistenza raggiungono il massimo valore nella direzione di allineamento ed il minimo nella direzione trasversale. Infatti, lungo questa direzione l’effetto di rinforzo delle fibre è praticamente nullo e normalmente si presentano delle fratture per valori di carichi di trazione relativamente bassi. Per altre orientazioni del carico, la resistenza globale del composito assume valori intermedi. Quando su un piano sono presenti sforzi in più direzioni si realizzano spesso strutture multistrato ottenute sovrapponendo lamine di compositi unidirezionali secondo orientazioni differenti: queste strutture vengono chiamate compositi laminari. Nei compositi a fibre corte e discontinue le fibre possono essere sia allineate che distribuite casualmente. Per quelli con fibre allineate è possibile ottenere resistenze e rigidezze significative nella direzione longitudinale. Le proprietà dei compositi a fibre corte casualmente orientate sono invece isotrope a scapito, tuttavia, di alcune limitazioni sull’efficienza del rinforzo. FIBRE DI CARBONIO Le fibre di carbonio, scoperte nel 1878 da Edison e utilizzate per realizzare la prima lampada ad incandescenza, sono state prodotte commercialmente solo dal 1960 secondo un procedimento messo a punto da William Watt per la Royal Aircraft in UK, rappresentano il punto di separazione tra le fibre organiche e le fibre inorganiche in quanto prodotte per modificazione di fibre organiche o da peci organiche. Le fibre di carbonio possono essere prodotte per trattamento termico (pirolisi 48 controllata) di diversi precursori polimerici, materie prime contenenti carbonio, quali il rayon, il poliacrilonitrile (PAN), le poliammidi aromatiche e le resine fenoliche, ecc.. Recentemente sono state introdotte fibre di carbonio e di grafite ottenute da materiali peciosi, residui della distillazione del petrolio o del catrame (PITCH). Le fibre di carbonio hanno iniziato l’era dei materiali compositi per impiego inizialmente militare o aeronautico ed in seguito anche per prodotti dell’industria automobilistica e per il tempo libero. La struttura rigida delle molecole ad anelli ciclici a nastro o a scala a pioli, delle fibre di carbonio sia da PAN che da peci ha suggerito come costruire molecole organiche aromatiche per ottenere fibre ad elevate prestazioni. La terminologia fibre di carbonio si alterna, nella pratica comune, a quella di fibre di grafite. In realtà il primo termine dovrebbe essere applicato a fibre trattate fino a circa 2000 °C, riservando il termine “grafite” a quelle trattate ad almeno 2500 °C, anche se la struttura di queste ultime non corrisponde alla tipica struttura cristallina tridimensionale della grafite. FIBRE DI CARBONIO DA PAN Il precursore che in realtà ha iniziato l’era delle fibre di carbonio (1960), è la fibra di poliacrilonitrile, PAN, caratterizzata da una composizione chimica adeguata, da un particolare orientamento molecolare e da una certa morfologia; questo è il processo che ricopre attualmente il maggior interesse industriale. La composizione chimica è importante per moderare l’esotermicità della reazione di ciclizzazione dei —CN (ossidazione in aria), 18kcal/mole, condotta a 220 - 260 °C per alcune ore. La reazione di ciclizzazione porta ad un materiale ignifugo di colore nero, PAN ossidato, ma con proprietà meccaniche modeste, che viene utilizzato per 49 abbigliamento protettivo, per ovatte ignifughe o in compositi carbonio-carbonio, per freni ad elevate prestazioni (aerei, macchine da corsa e treni ad alta velocità). Il processo successivo di carbonizzazione (400-1000 °C) è generalmente condotto in atmosfera inerte o sotto vuoto e porta alla rimozione di atomi dalla struttura e allo sviluppo della struttura grafitica. Da 400 a 1000°C si sviluppano HCN, NH3 e N2; possono svilupparsi anche CO, CO2 e H2O in funzione della quantità di O2 che il precursore ossidato ha legato durante il trattamento a 220-260 °C in aria. Dopo il trattamento a 1000 °C la fibra contiene più del 90% di carbonio e circa il 5% di azoto. Proprietà Alta resistenza Diametro (µm) Alto modulo Modulo ultraelevato 5,5-8,0 5,4-7,0 8,4 1,75-1,80 1,78-1,81 1,96 Contenuto di carbonio (%) 92-95 >99 >99 Resistenza a trazione (MPa) 3105-4555 2415-2555 1865 Modulo tensile (GPa) 228-262 359-393 517 Allungamento a rottura (%) 1,3-1,8 0,6-0,7 0,38 3 Densità (g/cm ) Tabella 3.1 Proprietà di fibre di carbonio prodotte da PAN È molto importante controllare la ritrazione della fibra durante la fase di ciclizzazione a 220-260 °C, in quanto in questa fase viene determinato l’allineamento dei segmenti molecolari lungo l’asse della fibra, orientamento da cui dipende il modulo elastico finale. L’orientamento molecolare impartito alla fibra acrilica originale influenza la tenacità ed il modulo elastico della fibra finale. Un eccessivo orientamento è negativo perché introduce difetti superficiali all’interno della fibra. 50 E’ interessante notare come, nel caso di fibre prodotte da PAN, le proprietà meccaniche siano influenzate dalla temperatura di carbonizzazione: con l’aumentare di detta temperatura il modulo elastico cresce sempre mentre la resistenza raggiunge un massimo a circa 1500 °C. Le reazioni che avvengono per la formazione della fibra di carbonio sono le seguenti. Riscaldando il poliacrilonitrile, il calore fa ciclizzare i gruppi laterali ciano delle unità ripetitive e si formano degli anelli. Innalzando la temperatura di riscaldamento, gli atomi di carbonio perdono via i loro idrogeni rendendo gli anelli aromatici. 51 Innalzando ancora la temperatura a circa 400-600 oC le catene adiacenti si uniscono tra loro così: 52 Questo processo libera idrogeno gassoso e ci dà un polimero a nastro costituito da anelli uniti tra loro. Si porta la temperatura da 600 fino a 1300 oC; facendo i nostri nastri appena formati si uniranno tra loro per dare origine a nastri ancora più larghi come questi: Quando ciò accade si libera azoto gassoso. Come si vede il polimero che si ottiene ha atomi di azoto lungo i bordi, e questi nuovi larghi nastri possono quindi ancora fondersi per formare nastri ancora più larghi. Tanto più ciò avviene, tanto più viene espulso azoto. Giunti alla fine, i nastri sono davvero molto larghi e gran parte dell'azoto se ne è andata, lasciandoci dei nastri che sono per lo più puro carbonio nella forma di grafite. Ecco perché questi polimeri si chiamano fibre di carbonio. Si valuta che il 75% circa delle fibre di carbonio venga oggi utilizzato per applicazioni nel settore aeronautico: infatti, le elevate prestazioni meccaniche, ottenibili con compositi a fibre continue di carbonio, la loro provata affidabilità, il loro peso ridotto (a parità di proprietà meccaniche) e i minori costi hanno 53 determinato, proprio in tale settore, specialmente negli ultimi anni, un loro crescente uso. FIBRE DI CARBONIO DA PECE Il pitch, pece o residuo catramoso, è il residuo della distillazione del catrame o del petrolio e consiste di migliaia di idrocarburi aromatici che formano un sistema multieutettico con temperature di rammollimento tra 50 e 300 °C di gran lunga inferiori alle temperature di fusione dei componenti aromatici puri. Per trattamento termico tra 400 e 450 °C si forma una mesofase, ovvero cristalli liquidi aventi un ordine molecolare intermedio tra quello dei cristalli e quello di un liquido. Per il gradiente di scorrimento, durante l’estrusione dal fuso, si ottiene una fibra precursore di quella di carbonio; le molecole della mesofase vengono orientate lungo l’asse della fibra. Il processo di produzione di fibre di carbonio da mesofase della pece è così riassunto: il precursore pece o catrame viene trattato termicamente sopra 350 °C per essere convertito in mesofase contenente le due fasi isotropa ed anisotropa. Dopo estrusione, a circa 380 °C, la fase isotropa viene resa infusibile per termofissaggio in aria ad una temperatura al di sotto del punto di rammollimento a circa 300 °C. La fibra viene infine carbonizzata a 1000 °C o trattata a temperature superiori a 2000 °C per produrre fibre di grafite ad elevato modulo elastico. Proprietà Thornel P55S Thornel P75S Thornel P100 10 10 10 2,02 2,06 2,15 Contenuto di carbonio (%) 99 99 >99 Resistenza a trazione (MPa) 1895 2070 2240 Modulo tensile (GPa) 380 517 690 Allungamento a rottura (%) 0,5 0,4 0,3 Diametro (µm) 3 Densità (g/cm ) Tabella 3.2 Proprietà di fibre di carbonio prodotte da catrame 54 I vantaggi principali di questo processo è che non è richiesta alcuna tensione dei filamenti durante la fase di carbonizzazione e di grafitizzazione ed i tempi delle singole fasi che sono molto più brevi del processo da PAN. Si può notare, confrontando i dati caratteristici dei due tipi di fibre, che quelle ottenute da catrame presentano un elevato modulo elastico a scapito della resistenza, superiore per le fibre ottenute partendo dal poliacrilonitrile. 55 FIBRE ARAMMIDICHE Le fibre arammidiche, il cui sviluppo è iniziato negli anni ’50 ad opera di ricercatori della Du Pont, vengono ottenute da poliammidi aromatiche. La reazione tra 1,4-fenilendiammina (para-fenilendiammina) con il cloruro di tereftaloile da vita alla catena polimerica nota con il nome di Kevlar. Tra le fibre arammidiche, il Kevlar è quella attualmente più diffusa, prodotta in quattro diverse tipologie (Kevlar, Kevlar 29, 49, e 149), ma già da alcuni anni altre fibre della stessa famiglia vengono prodotte e commercializzate (Tab. 3.3). Il kevlar 29 viene impiegato nella fabbricazione di cavi, cordami, tessuti per vele e indumenti protettivi balistici, mentre il 49 è utilizzato come fibra di rinforzo nei laminati plastici. Il kevlar, dal caratteristico colore giallo-oro, offre ottime doti di leggerezza il suo peso specifico è quasi la metà di quello del vetro - e una elevata resistenza a trazione unita a un contenuto allungamento a rottura. Polimero Poli-m-fenilene isoftalammide Polibenzammide Poli-p-fenilene tereftalammide Politereftaloil-p-amminobenzidrazina Poliammidobenziimidazolo Tabella 3.3 Nome fibra Produttore Nomex du Pont Conex Teijin PRD 49 du Pont Kevlar du Pont Twaron AKzo X-500 Monsanto FVM Russia Nomi, produttori e composizione delle fibre arammidiche 56 Il processo di produzione di tali fibre è piuttosto complesso, prevedendo nel caso del Kevlar: estrusione in acqua di una pasta contenente il 20% di polimero in acido solforico (che presenta comportamento liquido-cristallino), neutralizzazione della fibra mediante NaOH, trattamenti termici e stiro. Una caratteristica tipica del Kevlar è la modalità di frattura, che avviene per sfibratura (splitting) in microfibrille, quando viene sottoposta a trazione, e con la formazione di zone di schiacciamento (buckling) e di attorcigliamento (kinking), quando è sottoposta a compressione. La cattiva resistenza agli sforzi di compressione è il motivo per cui il suo uso per la realizzazione di compositi è sconsigliato nel caso di strutture soggette a carichi di compressione o, per carichi di flessione, nelle zone nelle zone delle strutture soggette a compressione. La tipologia di frattura del Kevlar, con la formazione di fibrille, consente invece la dissipazione di elevate energie di frattura, impartendo al composito elevata resistenza all’impatto. Nel corso degli anni, questo tipo di fibra sintetica ha ricevuto miglioramenti notevoli in termini di resistenza meccanica. Fin dall'inizio essa si dimostrò promettente, con una resistenza rispetto all'acciaio, beninteso a parità di massa (non certo di spessore, perché la densità è molto più bassa), di oltre 2 volte. Questo era un risultato notevole, e ben presto comparvero materiali leggeri per la protezione dei soldati in Vietnam, sia individuale che per i velivoli. Con il tempo si è arrivati a prodotti ancora più resistenti, che offrono un rapporto di almeno 5:1 sull'acciaio. Ovviamente, questo riguarda la resistenza meccanica, ma non quella al logorio né tanto meno quella al calore: non esistono ingranaggi in kevlar, o parti di motore in tal materiale. Queste fibre presentano costi inferiori rispetto a quelle di carbonio. Vantaggi: o massa volumica molto bassa; o buona resistenza a rottura; o ottima resistenza all’impatto. 57 Svantaggi: o fortemente danneggiabili dall’umidità; o rapido calo delle proprietà meccaniche all’aumentare della temperatura d’esercizio; o resistenza a compressione molto più bassa, (circa un quarto) di quella a trazione. Alcune precisazioni sulla fibra Nomex. E’ stata commercializzata a metà degli anni sessanta. È disponibile in diverse forme: fiocco, filati, strutture laminari e cartoni. In tutte queste varianti presenta una resistenza stupefacente al calore e alla fiamma ed eccellenti caratteristiche di isolamento elettrico. Questa combinazione di proprietà la rende adatta a una vasta gamma di applicazioni. Sotto forma di fibra (fiocco e filati) viene impiegata principalmente per indumenti protettivi e come feltro o tessuto per la filtrazione di gas caldi; sotto forma di carta o cartone viene utilizzata per isolamento elettrico e come struttura a nido d'ape, a basso peso, per materiali compositi. Una piccola curiosità: i piloti automobilistici indossano tute in Nomex III (materiale composito contenente Kevlar) per le sue proprietà ignifughe. Sui circuiti di Formula 1, Niki Lauda e Gerhard Berger, tra i piloti più famosi, sono sopravvissuti agli incendi delle loro monoposto grazie alle tute in Nomex. FIBRE CERAMICHE Le fibre ceramiche sono impiegate soprattutto come fibre refrattarie per impieghi che superano i 1000 °C e sono caratterizzate da una struttura policristallina piuttosto che amorfa. Le fibre ceramiche refrattarie sono utilizzate soprattutto per l’isolamento termico ad alte temperature e per la realizzazione di compositi speciali. Si tratta di fibre aventi proprietà assolutamente eccezionali, di gran lunga superiori a quelle dell’acciaio e delle altre fibre normalmente usate; purtroppo il metodo stesso di fabbricazione pone dei problemi di costo, per cui questo tipo di fibra presenta un 58 costo elevatissimo il che la rende disponibile ancora in piccoli quantitativi per applicazioni speciali, come l’aerospaziale. FIBRE DI BORO Le fibre Boron si ottengono mediante un procedimento che prevede la deposizione di microgranuli di boro su una sottile fibra di tungsteno che fa da supporto per la deposizione, quindi anche la fibra può essere considerata un materiale composito. Tra le fibre di rinforzo, il boro è inoltre l'unico ad avere eccezionale resistenza non solo a trazione, ma anche a compressione e flessione, unitamente ad alto modulo e bassa densità. Le caratteristiche fisico-meccaniche del BORON sono: - densità 2,58 (g/cm3); - tenacità 13,6 (cN/dtex); - allungamento a rottura 0,8 (%); - temperatura di fusione 2.000 (°C). Oltre alle sopraindicate eccezionali resistenze a trazione e a temperatura, la fibra di boro presenta buona resistenza agli acidi e agli alcali, ottima resistenza ai solventi organici, ai raggi ultravioletti ed ai microrganismi. Si tratta di una fibra molto particolare, ottenuta con tecnologie sofisticate che comportano una produzione molto complessa: il suo costo è di conseguenza alto. D’altro canto il Boron trova applicazione quasi esclusivamente in nicchie ristrette come quella dei compositi in grado di resistere a temperature elevatissime. FIBRE DI VETRO Certamente quando si parla di fibre di vetro non si può fare a meno di ricordare l’uso più diffuso e praticato e cioè la “vetroresina”. Materiale composito formato da fibra di vetro e resina plastica, in genere a base di poliestere, vinilestere o epossidica. Le fibre si ottengono con un processo abbastanza rapido ed economico: il vetro fuso 59 ad alta temperatura viene stirato a elevata velocità attraverso una filiera e bruscamente raffreddato. Le fibre cosi’ ottenute, dette bavelle, hanno un diametro compreso tra i 5 e i 15 micron e vengono immediatamente riunite in un filato continuo. Quest'ultimo subisce poi una serie di trattamenti speciali di finitura che serviranno a proteggerlo durante la manipolazione futura e a facilitarne l'impregnazione in fase di laminazione. A seconda della purezza si possono ottenere diversi tipi di vetro; tra quelli più usati i vetri E, R e S; il primo è caratterizzato da buona resistenza e modesto modulo elastico. Migliori caratteristiche meccaniche hanno invece i tipi R e S, sviluppati nei primi anni '50 in seguito a richieste specifiche di numerose industrie. A partire dagli anni sessanta la vetroresina ha avuto molte applicazioni per la costruzione di oggetti esposti agli agenti atmosferici, in particolare imbarcazioni, grazie soprattutto alle doti di estrema leggerezza e di resistenza alla corrosione in ambienti basici come l'acqua marina. Era il primo materiale plastico composito, stampabile a freddo, senza pressione e che, adeguatamente rinforzato, migliorare notevolmente le caratteristiche di resistenza meccanica. Per simili motivi ha avuto molte applicazioni nell'edilizia sia industriale, sia civile, in particolare in seguito agli studi sugli effetti della respirazione delle polveri dell'Eternit, un materiale precedentemente sfruttato ampiamente nelle coperture industriali. In campo industriale essa è anche utilizzata per la realizzazione di serbatoi atmosferici per liquidi. Grazie ad un'altra proprietà, quale la scarsa conducibilità elettrica, la vetroresina è spesso usata per la costruzione di coperture di apparecchiature elettrotecniche. Presenta le seguenti caratteristiche o Resistenza a flessione: superiore a qualsiasi altro prodotto utilizzato per la costruzione di carrozzerie in genere; o Resistenza all’urto: grazie alla elevata flessibilità assorbe notevolmente gli urti riducendone gli effetti negativi sulla struttura e riducendo altresì i rischi per gli occupanti dell’abitacolo; 60 o Resistenza tecnica: una carrozzeria in vetroresina possiede un’ottima climatizzazione. In climi freddi la struttura ha una bassissima dispersione di calore interno. In climi caldi protegge dalle radiazioni solari. 61 COMPOSITI CON FIBRE CORTE PROPRIETA’ MECCANICHE Gli effetti dell’orientamento sono molto importanti nella valutazione delle caratteristiche meccaniche del materiale composito. Nella figura sottostante, vengono rappresentate fibre lunghe fibre corte disposte in modo casuale e fibre corte parallele e allineate tra loro. L’anisotropia è originata dall’orientazione indotta sulle particelle di rinforzo, la cui forma è prevalentemente allungata, dalle tecniche di formatura dei manufatti. Un caso estremo si ha nei materiali con fibre lunghe disposte parallelamente (prima figura a sinistra), il cui modulo elastico in direzione parallela a quelle delle fibre è molto maggiore che in direzione trasversale. Mentre nel caso di compositi a fibra lunghe è relativamente facile valutare le proprietà elastiche del composito in funzione dell’orientamento delle fibre, nel caso di compositi a fibre corte la cosa è un po’ più complessa. Nella figura sottostante è rappresentato l’andamento delle linee di forza di un composito contenente una fibra di lunghezza l e di diametro d, a riposo e in trazione. 62 Consideriamo dapprima il caso in cui tutte le fibre sono allineate tra di loro. Una sollecitazione applicata al materiale viene trasmessa a ogni singola fibra mediante sforzi di taglio all’interfaccia fibra-matrice; si determina in questo modo una sollecitazione tensile sulla fibra stessa. Partendo da queste considerazioni, e assumendo un comportamento elastico lineare della matrice e della fibra, Cox ha sviluppato un modello secondo il quale lo sforzo tensile medio σ f , sulla fibra di lunghezza l è dato dalla relazione seguente: ⎡ ⎛ l ⎞⎤ ⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥ ⎝ ⎠⎥ = E f ε f ⎢1 − ⎛ l ⎞⎥ ⎢ ⎢ cosh (ς )⎜⎝ 2 ⎟⎠ ⎥ ⎣ ⎦ _ σ f ⎡ ⎛ l ⎞⎤ ⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥ ⎝ ⎠ ⎥ prende il nome di fattore di efficienza della lunghezza. Il termine ⎢1 − ⎛ l ⎞⎥ ⎢ ⎢ cosh (ς )⎜⎝ 2 ⎟⎠ ⎥ ⎣ ⎦ Se assumiamo un impaccamento esagonale delle fibre, ς vale: ς2 = 16Gm ⎛ 2π E f d f ln⎜ ⎜ 3Φ f ⎝ ⎞ ⎟ ⎟ ⎠ Dove: d f = diametro delle fibre Gm = modulo di taglio della matrice. 63 In particolar modo ς è proporzionale al rapporto di forma tra la lunghezza della fibra e il suo diametro. Si tratta di un parametro critico nella trasmissione degli sforzi: per un migliore trasferimento del carico il rapporto di forma deve essere il maggiore possibile, quindi l maggiore il più possibile di d. La sollecitazione media in un composito si assume pari a: σ = Φ f σ f + (1 − Φ f )σ m − − Da cui il modulo elastico del composito: ⎡ ⎛ l ⎞⎤ ⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥ ⎝ ⎠ ⎥ + (1 − Φ )E E c = Φ f E f ε m ⎢1 − f m ⎛ l ⎞⎥ ⎢ ( ) ς cosh ⎜ ⎟ ⎢ ⎝ 2 ⎠ ⎥⎦ ⎣ Il modulo elastico del composito è così ricondotto a quello dei componenti, alla quantità di fibra e ai suoi parametri geometrici. Poiché il diametro delle fibre è costante in pratica, l’unica variabile geometrica è la lunghezza. La figura mostra la dipendenza del modulo elastico dalla lunghezza delle fibre nel caso di polipropilene contenente fibra di vetro. E’ importante far notare che buoni valori di rigidezza si ottengono anche con fibre corte, a volte anche molto corte, con il vantaggio di poter utilizzare per questi materiali li tradizionali tecnologie di formatura (estrusione e iniezione). Più complesso è determinare il modulo elastico in direzione ortogonale, E90 . Una 64 valutazione può essere effettuata utilizzando la relazione seguente: σ f 1− Φ f 1 = + E90 E f Em Poiché spesso la fibra è molto più rigida della matrice: E90 ≅ Em 1− Φ f Che è un valore non molto più elevato di quello della matrice. In pratica è difficile che si verifichi la condizione di perfetto parallelismo delle fibre; molto spesso anzi si producono durante lo stampaggio variazioni molto estese di orientazione. In questo caso il calcolo diventa molto più difficile sia perché l’efficienza di ciascuna fibra varia al variare dell’orientazione della fibra rispetto alla direzione del carico applicato, sia perché è necessario conoscere la reale distribuzione delle fibre in seno al materiale. ⎡ ⎛ l ⎞⎤ ⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥ ⎝ ⎠ ⎥ un termine η noto come Possiamo introdurre nell’espressione ⎢1 − ⎛ l ⎞⎥ ⎢ ⎢ cosh (ς )⎜⎝ 2 ⎟⎠ ⎥ ⎣ ⎦ fattore di orientamento di Krenchel, parametro adimensionale che varia da 0 ad 1 quando tutte le fibre sono parallele. Se si trascurano deformazioni trasversali il fattore di orientamento di Krenchel, può essere ricavato da un calcolo statistico sull’orientazione delle fibre: η = ∑ a n cos 4 Φ n n dove a n è la frazione di fibre orientate ad un angolo Φ n rispetto la direzione di orientazione del carico. Nel caso limite in cui le fibre sono orientate casualmente su di un piano si ottiene η = 0,375, se invece sono orientate casualmente in tre direzioni η = 0,2. Per esempio pin un composito laminare rinforzato con fibre più lunghe dello spessore della lamina ci si aspetta che le fibre siano disposte prevalentemente in due dimensioni η =0,375; il valore di η può deviare da quello previsto dal calcolo statistico a causa di fibre sporgenti dal piano o piegate. Quando si analizzano le proprietà meccaniche di un composito rinforzato con fibre 65 corte, un altro parametro fondamentale (oltre alla quantità, alla lunghezza, all’orientamento delle fibre) per ottenere l’effetto di rinforzo è l’adesione fibramatrice. In un composito sottoposto a trazione gli sforzi di taglio interfacciali τ i , sono massimi alle estremità delle fibre. Aumentando la deformazione, le estremità sono i punti in cui l’interfaccia cede per prima; quando τ i raggiunge il valore della frizione inizia il “debonding”, lo sfilamento delle fibre dalla matrice. Nella regione di debonding ( δ ), misurata dal centro della fibra, le fibre semplicemente scivolano dalla matrice. E’ definita lunghezza critica della fibra l c , come quella lunghezza al disotto della quale la regione di debonding si estende lungo tutta la fibra prima che il composito ceda. In questo caso le fibre non raggiungono il carico di rottura ma scivolano fuori dalla matrice e non si rompono. Riprenderemo il discorso più avanti. Per quanto riguarda la resistenza a rottura, una semplice stima può farsi secondo la legge delle miscele: ( ) σ b = Φ f σ fb + 1 − Φ f σ m' Dove σ fb = resistenza delle fibre; σ m' = sforzo applicato alla matrice al momento della rottura. Questa relazione in effetti sovrastima per vari motivi l’effetto della resistenza reale dei compositi. Una causa importante di cedimento è data dalla distribuzione non uniforme degli sforzi lungo le fibre ed è possibile utilizzare l’analisi di Cox già vista. Il carico medio massimo sostenibile da una fibra risulta cosi inferiore a quello massimo; la relazione che lega i due carichi è la seguente: − σ f max ⎛ l ⎞ = ⎜1 − c ⎟σ fb ⎝ 2l ⎠ dove l c (l > l c ) = lunghezza critica della fibra data da: lc = σ fb d 2τ i Dove: d = diametro della fibra; τ i = sforzo di taglio sostenibile dall’interfaccia. 66 Nel caso in cui la lunghezza delle fibre sia maggiore di quella critica la rottura del materiale comporta la rottura delle fibre a causa dello sforzo tensile ad esse applicato; la sollecitazione di rottura del materiale è pertanto: σb = τ il d Φ f + (1 − Φ f )σ m' Se invece le fibre sono molto corte, l c < l , la sollecitazione tensile sulla fibra sarà più bassa e pari a 2τ i / d ; la sollecitazione a rottura del materiale è allora: ⎛ σ b = σ fb Φ f ⎜1 − ⎝ Come si osserva dall’espressione l c = lc ⎞ ⎟ + (1 − Φ f )σ m' 2l ⎠ σ fb d , il valore della lunghezza critica 2τ i diminuisce all’aumentare della frizione interfacciale, perciò è inversamente proporzionale all’adesione fibra-matrice: maggiore è l’interfaccia fibra-matrice più corte possono essere le fibre per avere un rinforzo efficiente. Ovviamente nel caso in cui nel materiale ci sia una distribuzione di lunghezze delle fibre con un a certa frazione di lunghezza inferiore a quella critica, sarà necessario fare una media pesata tra le equazioni precedenti. Visto che tutte le lavorazioni dei compositi a fibra corta comportano una riduzione della lunghezza delle fibre è fondamentale avere elevati valori di τ i perchè risultino bassi i valori di l c , in modo che anche dopo la formatura del manufatto, una frazione consistente del rinforzo conservi una lunghezza maggiore di quella critica. I valori tipici della lunghezza critica per varie coppie fibra/matrice polimerica sono dell’ordine dei 100-300μm. Nel caso di perfetto allineamento delle fibre l’efficienza del rinforzo ha un andamento del tutto simile a quello già visto per il modulo elastico. Si può assicurare che già fibre 10 volte più lunghe di l c sarebbero in grado di assicurare rinforzi prossimi a quelli delle fibre lunghe. Nella realtà i carichi massimi sostenibili sono inferiori a quelli previsti dalle equazioni precedenti principalmente a causa di due fattori: 67 o orientazione casuale delle fibre; o effetto delle terminazioni delle fibre stesse. Quest’ultimo effetto è particolarmente deleterio e determina, a causa della concentrazione dello sforzo, il cedimento prematuro della matrice. Inoltre, la vicinanza relativa delle fibre (un fattore non considerato nella derivazione di tutte le relazioni proposte) impone sforzi supplementari alla matrice. Questo effetto da solo può bastare a ridurre meno del 50% la resistenza di un composito a fibre corte con l >> l c rispetto a uno a fibre lunghe. La resistenza massima diminuisce se il materiale viene sollecitato in una direzione che forma un angolo Θ non nullo nella direzione di allineamento delle fibre (assumendo che le fibre siano in effetti tutte allineate). E’ stato proposto che a seconda del valore dell’angolo, la resistenza del materiale sia data dalle relazioni seguenti: σ b = σ bo sen 2 Θ 68 σ b = 2τ i cos ec 2 Θ σ b = σ fb cos ec 2 Θ Rispettivamente per piccoli, intermedi e prossimi alla normalità valori dell’angolo. La figura seguente mostra che anche un lieve disorientamento delle fibre causa una grave perdita della resistenza del materiale. La resistenza a frattura, soprattutto in condizioni d’urto, è fondamentale per estendere il comportamento dei materiali compositi. In particolare, si richiede che il materile sia in grado di assorbire grandi quantità di energia senza che questo comporti un danneggiamento catastrofico (materiali impact tolerant). A tal fine è necessario inserire nel materiale meccanismi energeticamente dissipativi e che limitino gli effetti connessi con le concentrazione di sforzo causato dalle fibre stesse. Oltre ad 69 incrementare la tenacità della matrice è possibile intervenire sulla resistenza dell’interfaccia fibra/matrice indebolendola. Questo accorgimento è in contrasto con quanto visto in precedenza, per cui possiamo affermare che le resistenze in condizioni impulsive e in condizioni statiche sono proprietà contrapposte. Il frapporre sul cammino di un difetto un’interfaccia debole è un efficace mezzo per smussare l’apice del difetto diminuendone cosi’ la pericolosità (meccanismo di Cook-Gordon). Un altro efficace meccanismo di assorbimento di energia si determina favorendo lo sfilamento delle fibre dalla matrice (meccanismo di pull-out, espulsione) in modo da trasformare parte dell’energia di impatto in lavoro di estrazione. E’ evidente che se la lunghezza delle fibre è maggiore di quella critica le fibre si romperanno piuttosto che sfilarsi: anche in questo le condizioni per ottimizzare resistenze statiche e dinamiche divergono. E’ stato valutato che il lavoro di estrazione W, delle fibre con l < l c è pari a: W = Φ f τ i l 2 / 12d f mentre quello delle fibre lunghe l > l c è pari a: W = Φ f τ i l c / 12d f l f 3 Riportando in un grafico le due precedenti espressioni si nota che il massimo lavoro dissipato si ha quando la lunghezza delle fibre è uguale a quella critica: Se quindi per aumentare σ b oppure E, risulta necessario usare fibre per cui l ≅ 10l per aumentare la resistenza alla frattura occorre che l ≅ l c . Si possono cercare compromessi tra resistenza a trazione e resistenza alla frattura utilizzando contemporaneamente fibre di lunghezza diversa che soddisfino le condizioni viste. 70 A parità di quantità e di lunghezza della carica fibrosa la resistenza all’impatto, nel caso di fibre orientate, dipenderà dalla direzione di applicazione del carico, similmente quanto avviene per il modulo elastico. 71 COMPOSITI CON FIBRE LUNGHE I materiali compositi hanno peculiarità che li distinguono in modo netto dai tradizionali materiali dell'ingegneria strutturale. Mentre alcune caratteristiche infatti possono essere viste come variazioni del comportamento rispetto ai materiali convenzionali, altre sono completamente nuove e richiedono pertanto nuovi modelli analitici di descrizione del comportamento strutturale e appropriate procedure di analisi sperimentale. Un aspetto importante da mettere in evidenza, soprattutto con compositi a fibre lunghe, è la possibilità di realizzare, con fibre disposte nelle opportune direzioni, materiali con proprietà fortemente anisotrope, ma tale anisotropia può anche essere progettata in funzione delle direzioni e dei valori delle sollecitazioni esterne applicate, fino a giungere, con un’opportuna orientazione delle fibre o sequenza di laminazione, a materiali con proprietà approssimativamente isotrope. La figura seguente e la tabella 3.6 riportano, a titolo d’esempio, i moduli elastici, al variare dell’orientazione delle fibre, in una lamina, e le costanti elastiche di tre diversi laminati con diverse sequenze di laminazione. 72 Laminato* Ex = Ey (GPa) νxy Gxy (GPa) 0/90 92,46 0,038 4,5 [±45]s 16,4 0,829 44,5 [0/90/+45/-45/90/0]s 75,64 0,213 17,9 Tabella 3.6 Proprietà elastiche dei laminati L’aggiunta di fibre lunghe in genere migliora le proprietà meccaniche di un materiale composito. L’incremento di proprietà meccaniche dipende essenzialmente dalle proprietà delle fibre e della matrice, dalla loro frazione volumetrica, dalla geometria della struttura, dalle modalità di sollecitazione e dall’orientazione di applicazione del carico. In funzione dell’orientazione del carico e del tipo di proprietà meccanica considerata anche il tipo d’interfaccia e la qualità dell’adesione che si realizza tra fibra e matrice possono essere di importanza rilevante. Nel caso di compositi con particelle o fibre corte gli sforzi applicati al composito vengono trasmessi all’elemento di carica esclusivamente attraverso la matrice. Se la fibra è continua, una parte più o meno grande di tali sforzi può risultare direttamente applicata alla fibra, in funzione della direzione di applicazione del carico rispetto a quella di orientazione della fibra. La progettazione delle proprietà meccaniche di una struttura in materiale composito passa attraverso la determinazione delle proprietà di una lamina. Nel caso più semplice di una lamina con fibre unidirezionali e carico applicato alla struttura nella direzione delle fibre, fibre e matrice sopportano il carico applicato secondo aliquote che dipendono dal rapporto tra i moduli elastici di fibra e matrice e dalla frazione volumetrica delle fibre. La modellazione delle proprietà elastiche del composito, in questo caso, è semplice; considerando che fibre e matrice subiscono sotto l’applicazione del carico uguale deformazione, il modulo elastico del composito Ec può essere valutato attraverso la “regola delle miscele” che media i moduli elastici dei due componenti, Ef ed Em, attraverso le rispettive frazioni volumetriche: 73 Dai dati riportati nella seguente tabella si evince come, utilizzando fibre continue e disponendole tutte nella stessa direzione, è possibile ottenere materiali che nella direzione delle fibre presentano proprietà elastiche e resistenza anche di molto superiori a quelle di materiali tradizionalmente considerati forti (Eacciaio = 200 GPa). Fibra EL (GPa) ET (GPa) GLT (GPa) νxy σbL (MPa) σbT (MPa) Vetro E 45 12 4,4 0,25 1000 34 Kevlar 49 76 5,5 2,1 0,34 1380 28 Carbonio T-300 132 10,3 6,5 0,25 1240 45 Boron 274 15 52 0,25 1310 34 Al 2024-73 72,3 72,3 27,6 0,31 462 455 Acciaio 4130 207 207 82,7 0,25 655 655 Metallo Tabella 3.7 Proprietà meccaniche di compositi unidirezionali con Φf = 0,60 e i due metalli di riferimento La maggior parte dei materiali tradizionali possono essere descritti come materiali omogenei (con proprietà uniformi, non funzione della posizione), ed isotropi (con proprietà costanti in ogni direzione e in ogni punto, non funzione dell'orientazione). I materiali compositi sono invece spesso non omogenei (eterogenei) e non isotropi (anisotropi). Un solido eterogeneo ha proprietà non uniformi attraverso il corpo; le proprietà dipendono dal punto in cui si valutano. Un solido anisotropo ha le proprietà che sono differenti, in un punto del solido, in tutte le direzioni; non ci sono piani di simmetria delle proprietà del materiale ma le proprietà sono funzione dell'orientazione secondo cui si valutano. I materiali compositi sono generalmente materiali ortotropi. Un solido ortotropo è un materiale con proprietà che sono differenti in tre direzioni mutuamente perpendicolari tra loro; hanno quindi tre piani mutuamente perpendicolari di simmetria delle proprietà del materiale. A causa della natura eterogenea e del comportamento anisotropo dei materiali 74 compositi, il loro studio può essere intrapreso attraverso due punti di vista: la micromeccanica e la macromeccanica. La micromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito attraverso le interazioni dei suoi componenti (matrice e rinforzo) esaminati in scala macroscopica e porta alla valutazione di come tali componenti possano essere scelti, proporzionati e disposti per ottenere particolari caratteristiche meccaniche (fig. seguente). Questo tipo di analisi può essere applicato alla progettazione del materiale sotto forma perciò di una sola lamina isolata, ovvero di un singolo strato o elemento di materiale composito in cui tutte le fibre sono MATRICE LAMINA FIBRE La micromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito attraverso l'interazione della matrice e del rinforzo. parallele tra loro. Una lamina può essere considerata come materiale ortotropo. Nelle applicazioni industriali i compositi si trovano generalmente sotto forma di laminati; il comportamento dei laminati può essere valutato come composizione del comportamento macroscopico delle lamine e quindi, in scala più ampia, come omogeneo e caratterizzato da proprietà meccaniche apparenti, globali, attraverso considerazioni a livello di macromeccanica dei compositi (fig. sotto). LAMINE LAMINATO 75 La macromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito considerato come costituito da più lamine omogenee ortotrope caratterizzate da proprietà meccaniche globali apparenti. MACROMECCANICA DELLA LAMINA La lamina è il mattone fondamentale con cui sono costruiti i laminati. La conoscenza quindi del comportamento meccanico della lamina è fondamentale per prevedere e capire il comportamento dell'intera struttura in composito. Il comportamento macromeccanico di una lamina viene analizzato considerando solo le proprietà meccaniche globali apparenti del materiale supposto omogeneo ma non isotropo, prescindendo dalle interazioni tra i componenti. La legge Hooke per un materiale anisotropo omogeneo è data da: σi = Cij εj dove i termini i,j = 1,..., 6 (3.1) i sono espressi in forma semplificata per esprimere: σ1 = σ11 σ4 = τ23 σ2 = σ22 σ5 = τ31 σ3 = σ33 σ3 = τ33 dove: ∂u ε1 = ∂x γ12 = ∂u ∂v + ∂y ∂x ; ∂v ε12= ∂y ; γ31 = ; ∂w ε3= ∂z ∂w + ; ∂x γ23= ∂v ∂u + ∂z ∂y 76 La matrice di rigidezza Cij è di 36 elementi ma si può dimostrare che è simmetrica, pertanto Cij = Cji ; le costanti di rigidezza indipendenti diventano pertanto 21. Se il materiale è ortotropo le costanti di rigidezza non nulle diventano 9: ⎧ σσ12 ⎫ ⎪ σ3 ⎪ ⎨τ23⎬ ⎪τ31⎪ ⎩τ12⎭ = ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ C11 C12 C13 0 0 0 0 C12 C22 C23 0 0 0 0 C13 C23 C33 0 0 0 0 0 C44 0 0 C55 0 0 0 0 0 0 C66 0 0 0 ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎧ εε12 ⎫ ⎪ ε3 ⎪ ⎨γ23 ⎬ ⎪ γ31 ⎪ ⎩ γ12 ⎭ Una singola lamina, si può ritenere che abbia uno spessore trascurabile rispetto alle altre dimensioni e pertanto si può pensare ad uno stato piano di tensione in cui si pone: σ33 = 0 , τ23 = 0 , τ31 = 0 e quindi si ha: ⎧ σ1 ⎫ ⎨ σ2 ⎬ ⎩τ12⎭ = ⎪ Q11 ⎪Q12 ⎪ 0 Q12 0 ⎪ 0 ⎪ Q22 0 Q66⎪ ⎧ ε1 ⎫ ⎨ ε1 ⎬ ⎩γ12⎭ dove i termini Qij sono le costanti di rigidezza ridotte e possono essere espresse attraverso le costanti ingegneristiche: E11 Q11 = 1 - ν12ν21 ν12 E22 ν21 E11 Q12 = = 1 - ν12 ν21 1 - ν12 ν21 77 Q22 = E22 1 - ν12 ν21 Q66 = G12 dove le direzioni 1 e 2 sono quelle principali di ortotropia del materiale. In tabella sono riportate le proprietà elastiche tipiche di alcuni materiali compositi. ___________________________________________________________ A B C D _____________________________________________________________ GRAFITE /VETRO E/BORO/GRAFITE/ PROPRIETA' EPOXY EPOXY EPOXYALLUMINIO _____________________________________________________________ E1 (GPa) 137.5 42.7 206.8 124.1 E2 (GPa) 14.5 11.7 14.5 24.8 0.21 0.27 0.21 0.3 G12 (GPa) 5.9 4.1 5.5 22.1 Q11 (GPa) 138.6 43.6 211.7 126.2 Q12 (GPa) 3.1 3.2 3.0 7.6 Q22(GPa) 14.5 11.9 14.5 25.3 Q66 (GPa) 5.9 4.1 5.5 22.1 ν12 ___________________________________________________________ Proprietà elastiche di alcuni compositi Dalle relazioni, si vede subito che: E11 ν12 = E22 ν21 Per avere l'espressione dello stato di tensione riferito invece ad un sistema di 78 riferimento qualunque sul piano x, y, orientato dell'angolo θ rispetto a x (fig. seguente), si opera la rotazione degli assi 1 X θ Y 2 Sistemi di riferimento sulla lamina. ⎧ σx ⎫ ⎨ σy ⎬ ⎩τxy⎭ = ⎪ M2 ⎪ N2 ⎪MN N2 -2MN ⎪ M2 2MN ⎪ -MN M2-N2⎪ ⎧ σ1 ⎫ ⎨ σ2 ⎬ ⎩τ12⎭ dove M = cos θ e N = sin θ, che in forma compatta può essere scritta come: {σx;y;xy} = |T|-1 {σ1,2,12} dove con l'apice -1 si indica la matrice inversa. 79 |T|-1 = ⎪ M2 ⎪ N2 ⎪MN N2 -2MN ⎪ M2 2MN ⎪ -MN M2-N2⎪ Si può dimostrare anche che: ⎧ εεxy ⎫ ⎨γxy⎬ ⎩2⎭ = |T|-1 ⎧ εε12 ⎫ ⎨γ12⎬ ⎩2⎭ e definendo |R| = ⎪1 ⎪0 ⎪0 0 0⎪ 1 0⎪ 0 2⎪ dove ⎧ ε1 ⎫ ⎨ ε2 ⎬ ⎩γ12⎭ ⎧ εx ⎫ ⎨ εy ⎬ ⎩γxy⎭ = |R| ⎧ εε12 ⎫ ⎨γ12⎬ ⎩2⎭ = |R| ⎧ εεxy ⎫ ⎨γxy⎬ ⎩2⎭ ricordando che: ⎧ σ1 ⎫ ⎨ σ2 ⎬ ⎩τ12⎭ = ⎧ ε1 ⎫ |Q| ⎨ ε2 ⎬ ⎩γ12⎭ Si può ottenere: 80 ⎧ σx ⎫ ⎨ σy ⎬ ⎩τxy⎭ = |T|-1 ⎧ σ1 ⎫ ⎨ σ2 ⎬ ⎩τ12⎭ = |T|-1 |Q| |R| |T| |R|-1 ⎧ εx ⎫ ⎨ εy ⎬ ⎩γxy⎭ Si può dimostrare che |R| |T| |R|-1 = |T|T dove l'apice T indica la trasposta della matrice, e ponendo _ |Q | = |T|-1 |Q| |T|T si ha: ⎧ σx ⎫ ⎨ σy ⎬ ⎩τxy⎭ _ = |Q | ⎧ εx ⎫ ⎨ εy ⎬ ⎩γxy⎭ = ⎪Q_11 ⎪Q_ ⎪ _ 12 ⎪Q16 _ Q12 _ Q22 _ Q26 _ Q16 _ Q26 _ Q66 ⎪ ⎧ εx ⎫ ⎪ ⎨ εy ⎬ ⎪ ⎩γxy⎭ ⎪ _ che rappresenta l'equazione costitutiva della lamina e dove: i termini Q ij formano la matrice di rigidezza della lamina riferita ad un sistema di riferimento x-y, tale che la direzione x forma un angolo θ con la direzione 1. _ Q 11 = Q11 cos4 θ + 2 (Q12 + 2Q66) sin2 θ cos2 θ + Q22 sin4 θ _ Q 12 = (Q11 + Q22 - 4 Q66) sin2θ cos2θ + Q12 (sin4 θ + cos4 θ) 81 _ Q 22 = Q11 sin4 θ + 2 (Q12 + 2Q66) sin2 θ cos2 θ + Q22 cos4 θ _ Q 16 = (Q11 - Q12 - 2Q66) sin θ cos3 θ + (Q12 - Q22 + 2Q66) sin3 θ cos θ _ Q 26 = (Q11 - Q12 - 2Q66) sin3 θ cos θ + (Q12 - Q22 + 2Q66) sin θ cos3 θ _ Q 66 = (Q11 + Q22 - 2Q12 - 2Q66) sin2 θ cos2 θ + Q66 (sin4 θ + cos4 θ) In tabella sono riportati i valori dei termini della matrice di rigidezza riferita a sistemi di riferimento orientati secondo alcuni angoli rispetto alle direzioni principali di ortotropia, per il materiale "A" di tab. 3.I. _____________________________________________________________ θ _ Q 11 _ Q 12 _ Q 16 _ Q 22 _ Q 26 _ Q 66 (GPa) (GPa) (GPa) (GPa) (GPa) (GPa) _____________________________________________________________ 0° 138.5 3.1 0 14.6 0 5.9 45° 45.7 33.9 30.1 45.7 30.1 36.7 90° 14.6 3.1 0 138.5 0 5.9 _____________________________________________________________ Matrice di rigidezza riferita a sistemi di riferimento orientati secondo alcuni angolirispetto alle direzioni principali di ortotropia. (materiale A di tab.3.I) Per conoscere completamente il comportamento strutturale di una lamina ortotropa, supposto sempre che svolga la sua funzione in condizioni di stato piano di tensioni, è necessaria la conoscenza di quattro parametri elastici (E1, E2, G12, ν12) e tre limiti a rottura (R1, R2, R12,). Per la valutazione di tali parametri è stata messa a punto una procedura basata su prove di trazione su provini prelevati, da una piastra unidirezionale, in tre direzioni: 82 paralleli alla direzione delle fibre, perpendicolari alla direzione delle fibre e in una direzione intermedia (generalmente a 45°) come riportato nella figura seguente. La geometria dei provini, stabilita dalla normativa ASTM D 3039, è riportata nella figura a pagina seguente. Lo spessore, non definito dalla normative, non deve essere inferiore a 1.5 mm per evitare di avere provini poco maneggevoli. 0° 45° 90° 228.7 152.4 38.1 25.4 83 Alle estremità dei provini debbono essere incollate piastre che consentano una uniforme distribuzione dei carichi tra afferraggi e provini. Tali piastre possono essere realizzate in alluminio o in composito. Per il rilievo delle deformazioni nel corso della prova, i provini debbono essere strumentati con estensimetri elettrici. E' buona norma scegliere estensimetri con le dimensioni delle griglie sensibili massime compatibilmente con le dimensioni del provino per poter ottenere misure globali che non risentano dell'eterogeneità del materiale della prova. Gli estensimetri dovranno comunque essere applicati su entrambe le facce del provino per poter valutare la componente dovuta alla trazione, depurandola della eventuale componente flessionale dovuta ad un non perfetto allineamento del provino durante la prova di carico, che in ogni caso dovrà essere contenuta entro definiti limiti (ASTM D 3039). Sui provini tagliati nella direzione delle fibre 1, devono essere rilevate le deformazioni sia nella direzione longitudinale che in quella trasversale ε1 e ε12). Si potranno quindi ottenere: Ε1 = σ1 ε1 ν12 = - , ε12 ε1 Conducendo la prova fino alla rottura dei provini si ottiene il valore del carico di rottura: R1 = σ1 max Sui provini tagliati nella direzione perpendicolare alla direzione della fibre "2", devono essere rilevate le deformazioni nella direzione longitudinale (ε2). Viene valutato: E2= σ2 ε2 84 e limite a rottura R2 = σ2max Sui provini tagliati nella direzione a 45° rispetto a quella delle fibre vengono misurate le deformazioni nella direzione longitudinale ε(45°) e trasversale ε*(45°) necessarie per il calcolo del modulo tangenziale G12 (ASTM D 3518); infatti G12 = dove τ12 = τ12 γ12 P 2ab con P carico sul provino e ab area della sezione del provino e γ12 = ε(45°) -ε*(45°) Risultati analoghi si possono ottenere dalla G12 = 1 ⎛ 4 ⎜E ⎝ (45°) - 2ν12⎞ 1 1 + E1 E2 E1 ⎟⎠ Portando a rottura il provino e ricordando che: τ12 = σx sin θ cos θ = 1 σ 2 (45°) si può ottenere il valore del taglio massimo: R12 = 1 R 2 (45°) 85 MICROMECCANICA DELLA LAMINA Oltre a poter essere determinate sperimentalmente, le proprietà di una lamina possono essere definite in modo analitico in base alle proprietà dei materiali costituenti. E' possibile quindi "prevedere" il comportamento strutturale di una lamina attraverso procedure di micromeccanica. L'obiettivo dell'approccio micromeccanico è la valutazione dei moduli elastici e dei carichi di rottura del composito attraverso la conoscenza dei moduli elastici e dei carichi di rottura delle fibre e della matrice che lo costituiscono. I termini della matrice di rigidezza del composito sono: Cij = Cij (Ef; νf; Vf; Em; νm, Vm) dove Ef = Modulo di Young delle fibre νf = Coefficiente di Poisson delle fibre νm = Coefficiente di Poisson della matrice con analoghe definizioni si descrivono i coefficienti relativi alla matrice. Analogamente per i carichi di rottura valgono considerazioni simili: Xi = Xi (Xif, Vf, Xim, Vm) dove Xi = R1, R2, R12 carichi di rottura del composito Xif = R1f, R2f, R12f carichi di rottura delle fibre e analoghe definizioni per le caratteristiche della matrice. Negli sviluppi successivi della trattazione micromeccanica dei compositi 86 vengono fatte alcune ipotesi. In particolare la lamina viene considerata macroscopicamente omogenea, a comportamento lineare elastico e inizialmente scarica. Le fibre sono omogenee, a comportamento lineare elastico, isotrope, spaziate regolarmente e perfettamente allineate. La matrice è omogenea, a comportamento lineare elastico e isotropa. Si suppone inoltre che non esistano vuoti nel composito. Si consideri un elemento fondamentale di volume della lamina come in figura seguente. Il composito è sottoposto a deformazione ε1 nella direzione delle fibre. La fibra sarà sollecitata con una tensione σf = Ef ε1 mentre la matrice sarà soggetta ad una tensione σm = Em ε1. 2 σ1 σ1 1 fibra matrice L ΔL Volume elementare di lamina caricato secondo 1. La sezione A del composito è soggetta ad una tensione globale σ1 tale che: 87 P = σ1 A = σf Af + σm Am ma σ1= E1 ε1 si ha quindi E1 = Af Am σ1 = Ef + Em = Ef Vf + Em Vm A A εi Questa formulazione del modulo di Young attraverso la micromeccanica è nota come regola delle misture e rappresenta una variazione lineare del modulo di Young E1, dal valore Em al valore Ef quando Vf passa da 0 a 1. (fig. seguente). Il modulo di Young nella direzione 2 si può valutare considerando lo stesso elemento fondamentale di volume della lamina, caricato con una sollecitazione σ2. E f E1 E m 0 V 1 f Andamento del modulo di Young al variare della percentuale in volume delle fibre. 88 2 σ2 1 W fibra matrice σ2 Volume elementare di lamina caricato secondo 2. La deformazione nella direzione 2 cui è soggetta la matrice vale: εm = σ2 Em mentre le fibre sono soggette ad una deformazione ε f= σ2 Ef la dimensione trasversale su cui agisce la εf è approssimativamente VfW mentre la εm agisce su una porzione VmW. La deformazione trasversale totale vale: ε2W = VfWεf + VmWεm ovvero: ε 2 = V f ε f + V mε m 89 e sostituendo ε2 = V f σ2 Ef + Vm σ2 Em ma σ2 = E2 ε2 = E2(Vf σ2 Ef + Vm σ2 ) Em e infine, il valore del modulo di Young nella direzione 2 vale: E2 = σ2 Vf Em + Vm Ef σ2 Ef Em = E f Em Vf Em + VmEf Con considerazioni simili si possono ricavare i valori dei coefficienti di Poisson e del modulo tangenziale: ν12 = Vf νf + Vm νm ; G12 = G m Gf Vf Gm + Vm Gf I CARICHI DI ROTTURA Nel caso più generale, un composito unidirezionale si deforma all'aumentare del carico secondo quattro fasi, in funzione delle relative fragilità e duttilità di fibre e matrice. a) fibre e matrice si deformano elasticamente; b) le fibre si deformano ancora elasticamente ma la matrice comincia a deformarsi plasticamente; c) fibre e matrice si deformano plasticamente; d) si verifica la rottura delle fibre, seguita dal cedimento di tutto il composito. Naturalmente, nel caso di comportamento fragile delle fibre, la fase c) non si 90 verifica. Se è la matrice ad essere fragile non avvengono la fase b) e la c). In caso di fibre e matrice fragili, il cedimento del composito si raggiunge quando le fibre raggiungono un allungamento pari al loro allungamento a rottura. In tal caso il carico di rottura del composito è dato da: Rc = Rf Vf + R(f)m (1-Vf) Ovviamente lo scopo delle fibre nel composito è quello di incrementarne le proprietà meccaniche rispetto a quelle della matrice e quindi: Rc > Rm Esiste comunque un limite minimo alla percentuale in volume di fibre nel composito per ottenere un miglioramento nelle proprietà: RfVf + R(f)m (1-Vf) > Rm da cui Rm - R(f)m Rf - R(f)m Vf > σ σf FIBRA MAX MATRICE σ m MAX ( σm ) ε fMAX εf MAX εm ε MAX Andamento schematico delle curve tensione deformazione per fibra e matrice. 91 MACROMECCANICA DEL LAMINATO Un laminato è costituito da due o più lamine tra loro perfettamente aderenti che agiscono come un unico elemento strutturale. Le direzioni principali delle lamine sono orientate in modo da ottenere un elemento strutturale in grado di svolgere definite funzioni strutturali in definite direzioni. Le rigidezze di una data configurazione del materiale composito sono valutabili attraverso procedure che tengono conto del numero, del tipo, dell'orientazione e della mutua posizione delle lamine che costituiscono il laminato. 1 2 3 4 z2 h zk k z0 z1 z n-1 zn n Posizione delle lamine in un laminato. Ai fini della valutazione del comportamento strutturale del laminato, è essenziale poterlo considerare come se fosse omogeneo e con caratteristiche globali equivalenti. Per poter effettuare questo passaggio sono necessarie alcune ipotesi semplificative che vanno sotto il nome di Classica Teoria della Laminazione (CLT). E' necessario supporre il materiale come costituito da lamine perfettamente aderenti tra loro con spessore di incollaggio nullo; le lamine inoltre mantengono il loro comportamento lineare elastico sia isolate che inserite nel laminato. 92 Simili ipotesi comportano che, in un laminato sottile, un'asse perpendicolare al piano medio del laminato, qualora quest'ultimo venga deformato, rimane rettilineo e perpendicolare allo stesso piano medio e lo spessore del laminato rimane costante (fig. 3.18); ciò equivale a porre nulle le deformazioni angolari nei piani perpendicolari al piano medio e la deformazione nella direzione perpendicolare al piano stesso. Si può notare che questa serie di ipotesi è analoga a quella di Kirchhoff per le piastre e di Kirchhoff-Love per i gusci e pertanto la trattazione del laminato nel suo complesso può essere riferita in parte a quella delle piastre e gusci che soddisfano le suddette ipotesi. X Nx Nxy Nyx Y Ny Mx X Myx My Mxy Y Forze e momenti su un laminato. In un laminato si individuano un sistema di riferimento del laminato stesso e i sistemi di riferimento delle singole lamine. Tali sistemi vengono generalmente riferiti alle direzioni principali di ortotropia delle rispettive lamine, definite coincidenti con le direzioni delle fibre, e le loro normali nel piano delle lamine stesse . Con le ipotesi della CLT si considerano i carichi specifici e i momenti specifici (per unità di larghezza agenti sul laminato) come gli integrali delle tensioni e dei momenti delle 93 tensioni agenti sulle lamine, valutati sullo spessore totale h delle laminato. h/2 Ni = ⌠ σi dz ⌡ -h/2 (i = x;y;xy) h/2 Mi = ⌠ ⌡ σi z dz -h/2 Si può dimostrare che: ⎧⎪ ε°x ⎫⎪ ⎪B11 ° ⎨ ε y ⎬ + ⎪B12 ⎪ ⎪⎩γ°xy⎪⎭ ⎪B16 ⎧⎪ Nx ⎫⎪ ⎨ Ny ⎬ ⎪⎩Nxy⎪⎭ ⎪A11 = ⎪A12 ⎪ ⎪A16 A12 A16⎪ A22 A26⎪ ⎪ A26 A66⎪ ⎧⎪ Mx ⎫⎪ ⎨ My ⎬ ⎪⎩Mxy⎪⎭ ⎪B11 = ⎪B12 ⎪ ⎪B16 B12 B16⎪ B22 B26⎪ ⎪ B26 B66⎪ dove ε°x, ε°y, γ°xy, kx, ky, kxy, ⎧⎪ ε°x ⎫⎪ ⎪D11 ⎨ ε°y ⎬ + ⎪D12 ⎪ ⎪⎩γ°xy⎪⎭ ⎪D16 B12 B16⎪ B22 B26⎪ ⎪ B26 B66⎪ D12 D16⎪ D22 D26⎪ ⎪ D26 D66⎪ ⎧⎪ kx ⎫⎪ ⎨ ky ⎬ ⎪⎩kxy⎪⎭ ⎧⎪ kx ⎫⎪ ⎨ ky ⎬ ⎪⎩kxy⎪⎭ sono le deformazioni e le curvature del piano medio del laminato. La sottomatrice |A| è la matrice di rigidezza per sollecitazioni di trazione nel laminato, la sottomatrice |D| è quella di rigidezza flessionale e la sottomatrice |B|è la matrice di rigidezza di accoppiamento e tiene conto sia delle caratteristiche di trazione che di quelle di flessione del laminato. I termini di tali matrici si possono ricavare da n Aij = ∑ _ (Qij)k (zk-zk-1) k=1 n Bij = 1 2 ∑ k=1 n Dij = 1 3 _ (Qij)k (zk2-zk-12) ∑ _ (Qij)k (zk3-zk-13) k=1 Nella tabella sottostante sono riportati i valori dei termini della matrice di 94 rigidezza di alcuni laminati costituiti dal materiale "A" della tabella precedente. ______________________________________________________________________________________ TERMINE [0/+45/-45]s [0/45/-45/45/-45/0] [0/45/45]s ______________________________________________________________________________________ A11 (MN/m) 58.4 58.4 18.0 18.0 58.4 A12 (MN/m) 18.0 A22 (MN/m) 26.9 26.9 26.9 A66 (MN/m) 20.1 20.1 20.1 A16 (MN/m) 0 0 15.7 A26 (MN/m) 0 0 15.7 B11 (kN) 0 0 0 B12 (kN) 0 0 0 B22 (kN) 0 0 0 B66 (kN) 0 0 0 B16 (kN) 0 1 0 B26 (kN) 0 1 0 D11 (Nm) 4.1 4.1 4.1 D12 (Nm) 0.4 0.4 0.4 D22 (Nm) 0.9 0.9 0.9 D66 (Nm) 0.6 0.6 0.6 D16 (Nm) 0.3 0 0.3 D26 (Nm) 0.3 0 0.3 ______________________________________________________________________________________ Matrici di rigidezza di alcuni laminati realizzati con il materiale A. In forma compatta si può scrivere: ⎧N⎫ ⎨. .⎬ ⎩M⎭ ⎪A = ⎪. . ⎪B : B⎪ .... . .⎪ : D⎪ ⎪⎧ ε° ⎪⎫ ⎨. .⎬ ⎪⎩ k ⎪⎭ che rappresenta una pseudo-equazione costitutiva del laminato. Per poter conoscere le proprietà elastiche del laminato nella sua globalità è necessario esprimere la pseudo-equazione costitutiva del laminato in forma inversa: 95 ε° ⎧⎪ ε°xy ⎫⎪ ° ⎨γkxyx ⎬ ⎪⎩ kky ⎪⎭ xy ⎡ ⎢ = ⎢ ⎣ H11 H12 H13 H14 H15 H16 H12 H22 H23 H24 H25 H26 H13 H23 H33 H34 H35 H36 H14 H24 H34 H44 H45 H46 H15 H25 H35 H45 H55 H56 H16 H26 H36 H46 H56 H66 ⎤ ⎥ ⎥ ⎦ ⎧⎪ ⎨ ⎪⎩ Nx Ny Nxy Mx My Mxy ⎫⎪ ⎬ ⎪⎭ le proprietà elastiche effettive possono essere espresse quindi in termini delle cedevolezze Hij e dello spessore del laminato h. Modulo di Young longitudinale: Ex = (hH11)-1 Modulo di Young trasversale: Ey = (hH22)-1 Coefficiente di Poisson longitudinale: H12 νxy = H11 Modulo di taglio: Gxy = (hH33)-1 Le proprietà elastiche per sollecitazioni di flessione; si possono ottenere considerando la pseudo-equazione costitutiva del laminato nel caso che solo i momenti Mi siano presenti: 96 ⎧⎪ Mx ⎫⎪ ⎨ My ⎬ ⎩⎪Mxy⎭⎪ ⎡D11 D12 D16 ⎤ = ⎢D12 D22 D26 ⎥ ⎢ ⎥ ⎣D16 D26 D66 ⎦ ⎧⎪ kx ⎫⎪ ⎨ ky ⎬ ⎩⎪kxy⎭⎪ si possono ottenere le curvature: ⎧⎪ kx ⎫⎪ ⎨ ky ⎬ ⎩⎪kxy⎭⎪ ⎡H44 H45 H46⎤ = ⎢H45 H55 H56⎥ ⎢ ⎥ ⎣H46 H56 H66⎦ ⎧⎪ Mx ⎫⎪ ⎨ My ⎬ ⎩⎪Mxy⎭⎪ Nella direzione x, se il laminato è soggetto al solo momento specifico Mx, si ha: M kx = H44 . Mx = H44 . b con M = Mx . b momento applicato dove b è la larghezza della trave o piastra. La rigidezza flessionale del materiale vale: EJ = M Mb = kx H44 M = b H44 e quindi il modulo flessionale b E(f)x = J H44 = J* = h3 12 1 J* H44 dove e analogamente 97 E(f)y = 1 * J H55 G(f)xy = , IDENTIFICAZIONE LAMINATO 1 * J H66 , H45 ν(f)xy= H44 DELLA SUCCESSIONE DELLE LAMINE NEL Per permettere una univoca interpretazione delle configurazioni dei laminati, viene usualmente fatto riferimento al codice di descrizione dell'orientazione delle lamine definito presso il US. Air Force Materials Laboratory. Esso si basa su alcune regole fondamentali (fig. 4.1): a) ogni lamina è definita da un numero che rappresenta l'angolo in gradi che che la direzione delle sue fibre forma con l'asse X del laminato; b) lamine adiacenti, con diversa orientazione, sono separate da una barra trasversale "/"; c) le lamine sono elencate in sequenza a partire da una faccia del laminato e il tutto è posto tra parentesi quadra; d) lamine adiacenti orientate dello stesso angolo sono indicate con un numero come pedice; e) un pedice T indica che viene descritto tutto il laminato. Quando lamine adiacenti sono orientate con lo stesso angolo ma di segno opposto, si fa ricorso ai segni + e -. Ogni segno + o - rappresenta una lamina e sostituisce il pedice numerico che è usato solo se le direzioni sono identiche. I laminati simmetrici con un numero pari di lamine sono descritti partendo da una faccia e fermandosi al piano di simmetria. Un pedice S indica che è stato descritto solo metà del laminato. I laminati simmetrici con un numero dispari di lamine sono descritti come i precedenti solo che la lamina centrale, indicata per ultima, è soprasegnata per 98 indicare che giace sul piano di simmetria del laminato. Sequenze ripetute di lamine sono comprese in parentesi tonde e ad esse si applicano le stesse regole delle lamine singole. Più in generale si ha: - laminato unidirezionale: laminato nel quale le fibre hanno la stessa orientazione in tutte le lamine; - laminato angle-ply: laminato in cui le lamine hanno alternativamente orientazione: + ө /- ө /+ ө /-ө; - laminato simmetrico: laminato nel quale per ogni lamina di orientazione + ө esiste una stessa lamina con la stessa orientazione disposta simmetricamente rispetto al piano di simmetria del laminato; - laminato bilanciato: laminato nel quale per ogni lamina con fibre orientate a + ө esiste un’altra lamina con fibre orientate a - ө, dovunque disposta nel laminato; - laminato quasi-isotropo: laminato che possiede proprietà approssimativamente uguali in tutte le direzioni nel piano, ottenuto dalla sovrapposizione di lamine che differiscono, nell’orientazione, per un valore di ө costante. Si considera quasi isotropo un laminato costituito da almeno tre lamine con direzioni delle fibre sfalsate di 60°. 99 Codice di descrizione dell'orientazione delle lamine definito presso il US. Air Force Materials Laboratory 100 Per poter evitare inoltre che, sotto l’azione di sforzi normali o di flessione, la struttura laminata subisca deformazioni non volute nello spazio, vengono realizzati laminati simmetrici e bilanciati. Un laminato simmetrico e bilanciato è un laminato che presenta lamine, con la stessa orientazione, poste al di sotto e al di sopra del piano mediano, e nel quale oqni lamina con fibre orientate secondo un angolo ө è bilanciato dalla presenza di una lamina con fibre orientate con un angolo -ө. Ulteriori considerazioni, tese a semplificare lo stato di deformazione sul laminato, e che portano anche a una semplificazione dei procedimenti di calcolo delle proprietà elastiche, suggeriscono poi che le lamine con orientazione opposta siano poste a una distanza quanto più possibile uguale rispetto al piano mediano. La condizione di bilanciamento risulta verificata se al laminato si aggiungono altre due lamine, con orientazione -45°, ottenendo un laminato il cui codice è: [0/90/±45]s. Anche se l’aggiunta di fibre lunghe ad una matrice polimerica porta a modificazioni di tutte le sue proprietà (meccaniche, termiche, elettriche..), in genere, tranne casi particolari, l’obbiettivo della fabbricazione del composito è quello di ottenere strutture con certe definite proprietà meccaniche, e pertanto è a queste che la progettazione viene rivolta, anche se la previsione o la determinazione di altre proprietà possono essere comunque importanti per una più completa definizione del comportamento del materiale sia in opera che durante la fase di processo. PROGETTAZIONE Una prima progettazione delle caratteristiche elastiche e di resistenza di un laminato simmetrico e bilanciato può essere ottenuta facendo ricorso ad opportuni grafici del tipo di quelli riportati nelle figure sottostanti: la prima fa riferimento al modulo elastico di laminati simmetrici e bilanciati, costituiti da resina epossidica e fibre di carbonio, la seconda alla resistenza tensile di laminati simmetrici e bilanciati, costituiti da resina epossidica e fibre di carbonio. La procedura completa di calcolo 101 che a partire dalle proprietà delle fibre, dalle proprietà della matrice e dalla rispettiva frazione volumetrica, consente di passare dalle proprietà della lamina a quella del laminato è nota come teoria della laminazione, prima esposta. Nelle applicazioni strutturali con i materiali metallici i criteri di progetto sono sufficientemente standardizzati, il comportamento dei materiali è schematizzabile secondo modelli semplici, nel caso elastico, e sono note le loro caratteristiche meccaniche. 102 Per i materiali compositi tali metodologie di approccio risultano inadeguate e possono portare ad errori di valutazione. Con materiali che possono essere progettati secondo le esigenze, per i quali il concetto di spessore è generalmente sostituito da quelli di percentuali di rinforzo e di matrice, di numero di strati del laminato e di orientazione delle fibre, può risultare necessario ripercorrere dalle origini le strade della progettazione sia da un punto di vista del calcolo, sia da quello della definizione e della geometria delle strutture. La prima fase della progettazione di una struttura in materiale composito, ma anche per ogni tipo di progettazione, è la definizione dei requisiti del manufatto: questa fase comprende la valutazione delle proprietà fisiche, meccaniche e chimiche che il manufatto da progettare deve possedere, tenendo conto di tutti i fattori ambientali e non che possono intervenire quali il grado di sollecitazione, la temperatura di esercizio, l'aggressività dell'ambiente, ecc. Segue l'impostazione iniziale del progetto nel corso della quale si stabiliscono i primi dati sulla forma geometrica del manufatto. E' opportuno ricordare, a questo proposito, il vantaggio fondamentale dei plastici rinforzati, la possibilità cioè di svincolarsi dall'impostazione della progettazione riferita a materiali convenzionali, come ad esempio l'acciaio, e quindi di realizzare forme particolari, strutture resistenti per forma, incorporare durante la stessa fase di realizzazione costole, profilati e altre anime di irrigidimento ottenendo, caso per caso, le prestazioni richieste. In questa fase si possono seguire due vie: l'analisi delle sollecitazioni o il progetto empirico usando normative già esistenti a seconda dell'importanza del manufatto e della familiarità del progettista con i plastici rinforzati. L'analisi delle sollecitazioni si avvale delle relazioni tra tensione e deformazione nelle formulazioni valide per materiali a comportamento anisotropo e tende a verificare se le scelte di progetto, sulla base delle sollecitazioni ammissibili, risultino verificate. Nel corso di tale fase viene effettuata la scelta dei materiali tenendo conto dei principi fondamentali che governano l'impiego dei plastici rinforzati. Si ha infatti che 103 le caratteristiche meccaniche dipendono dall'effetto combinato del contenuto e dell'orientamento del rinforzo di fibre nel prodotto finito. Le caratteristiche chimiche, elettriche e termiche nei plastici rinforzati risultano in modo più rilevante, dal tipo e dalla formulazione della resina che ne costituisce la matrice. Le caratteristiche finali del manufatto dal punto di vista delle prestazioni e del costo, dipendono dal metodo di lavorazione e dai materiali impiegati. Il comportamento del materiale può essere controllato con le tecnologie: possono essere infatti ottenute alcune proprietà come la rigidezza locale, il carico di rottura, la tenacità e altre proprietà strutturali e non, controllando il tipo delle fibre, il tipo di matrice e le percentuali in volume tra matrice e rinforzo nel materiale costituente il componente strutturale. Successivamente, la meccanica dei materiali compositi costituisce una teoria strutturata che consente di risalire dalle caratteristiche delle matrici e dei rinforzi e dalla conoscenza della successione degli strati del laminato alla risposta strutturale del componente. Nota la risposta strutturale, è possibile, in funzione delle tecnologie di realizzazione e delle prestazioni richieste, definire la forma della struttura, intendendo in modo del tutto generale per forma la geometria, gli eventuali inserti di altri materiali, etc. Dalla forma e dalla risposta strutturale è possibile ritornare al materiale per una sua iterativa progettazione su misura innescando così un approccio circolare di ottimizzazione dell'intero progetto da livello microscopico a quello macroscopico e viceversa. A ciascuna di queste fasi corrispondono modelli analitici. A livello di micromeccanica, la teoria delle miscele permette di valutare le caratteristiche meccaniche delle lamine, note le caratteristiche meccaniche dei singoli componenti; a livello di macromeccanica la Classica Teoria della Laminazione fornisce gli strumenti per valutare il comportamento strutturale del materiale (laminato) mentre la meccanica dei continui ortotropi permette, ad esempio attraverso l'uso di codici di calcolo, di valutare la risposta globale della struttura. Noti i carichi cui il laminato è soggetto in ogni sezione, il progetto può essere schematizzato in due fasi, la prima comprendente la scelta e la caratterizzazione delle 104 lamine, la definizione del loro numero e della loro angolazione rispetto a una direzione nel laminato, la seconda incentrata sulla determinazione della sequenza di stratificazione. Il problema dell'ottimizzazione, nel caso di progettazione a rottura per esempio, si riduce nella sostanza nella ricerca del minimo della sommatoria t ∑ si i=1 sotto le condizioni t ∑ si c(qi) > C i=1 dove C è funzione dello stato di carico cui è soggetto il laminato nella sezione in considerazione e del coefficiente di sicurezza, c( i) dipende dalle caratteristiche meccaniche delle lamine orientate dell'angolo i rispetto alla direzione x del laminato, si è il numero di tali lamine e i è il numero delle diverse orientazioni delle lamine. Deve essere inoltre determinata, secondo appropriati criteri, la sequenza di laminazione. In termini generali, una metodologia di progetto dovrebbe poter determinare il numero e l'orientazione delle lamine di un laminato soggetto a carichi noti. Il problema così posto risulta particolarmente complesso da risolvere perché, non conoscendo a priori la struttura del laminato, e quindi le matrici |A|,|B|,|D|, non è possibile risolvere le equazioni costitutive del laminato e, in conseguenza, conoscere lo stato di deformazione e di tensione del laminato stesso. Soluzioni al problema del progetto sono però ottenibili ipotizzando successioni di strati, verificandole e ottimizzandole con approssimazioni successive. Nella pratica può essere preferibile ricercare, con l'ausilio di un programma di calcolo, tutte le 105 possibili soluzioni che prevedano numeri minimi di strati, non risolvendo quindi il problema di minimo, ma usufruendo di un processo iterativo per la definizione della stratificazione e verificare che il laminato abbia caratteristiche tali da soddisfare le condizioni di progetto. Invertendo la pseudo-equazione costitutiva del laminato si ha: ⎧ e° ⎫ ⎨. .⎬ ⎩k⎭ = ⎪ A' ⎪. . ⎪ B' : B' ⎪ .... . .⎪ : D' ⎪ ⎧⎪ N ⎫⎪ ⎨. .⎬ ⎪⎩ M ⎪⎭ Questo sistema di equazioni permette, note le caratteristiche elastiche del laminato e le condizioni di carico cui è soggetto, di valutare lo stato di deformazione del piano medio del laminato. Avendo ipotizzato con la CLT un andamento lineare delle deformazioni attraverso lo spessore, mediante le ⎧ ex ⎫ ⎨ ey ⎬ ⎩gxy⎭ ⎧⎪ ex° ⎫⎪ = ⎨ ey° ⎬ ⎪⎩gxy°⎪⎭ ⎧ kx ⎫ + z ⎨ ky ⎬ ⎩kxy⎭ può essere valutato lo stato di deformazione nel laminato ad una distanza z dal piano medio. 0 ε Andamento secondo la CLT dello stato di deformazione all'interno del laminato. 106 Noto lo stato di deformazione in una lamina e note le caratteristiche elastiche della stessa, è possibile valutare il suo stato di tensione risolvendo il sistema di equazioni: ⎧ sx ⎫ ⎨ sy ⎬ ⎩txy⎭ _ = |Q | ⎧ ex ⎫ ⎨ ey ⎬ ⎩gxy⎭ 0 σ Andamento dello stato di tensione all'interno del laminato. La verifica della resistenza del laminato può essere eseguita in modo cautelativo verificando la resistenza di ciascuna lamina, di cui ora è noto lo stato di tensione, con una delle ipotesi di rottura applicabili a lamine in composito. La formulazione del criterio di Tsai-Hill si presta bene per queste esigenze: s12 R12 s1 s 2 R12 s22 + R22 + t1 2 R122 ≤1 Note quindi le tensioni medie in ogni lamina nelle sue direzioni principali, è possibile calcolare un "fattore di utilizzazione della lamina" (FUL) che ne indica il grado di sfruttamento e che se raggiunge l'unità individua la condizione di collasso della lamina e quindi la non idoneità della scelta del laminato. Tale fattore ha la seguente espressione: 107 FUL = s1med2 R12 s1meds2med R12 s2med2 + + R22 t1med2 R122 dove l'indice med indica il valore medio della funzione che agisce sulla lamina. Qualora il laminato non soddisfacesse le condizioni di resistenza sarebbe necessario ipotizzare una successione degli strati differente e ripetere il ciclo fino alla individuazione di uno o più laminati che soddisfino le condizioni di resistenza tra cui effettuare la scelta. La procedura descritta appare piuttosto laboriosa, ma impostata sul calcolatore permette di attuare la verifica e quindi di valutare le proprietà del laminato in breve tempo e soprattutto può offrire più soluzioni che soddisfino le condizioni di resistenza in modo da permettere al progettista una scelta del laminato che meglio risponde alle esigenze funzionali e di sicurezza della struttura. 0 1 FUL Andamento del FUL all'interno del laminato. 108 CARATTERISTICHE DELLE LAMINE E CARICHI DI PROGETTO CRITERO PER LA SEQUENZA DI LAMINAZIONE SCEGLI LA SUCCESSIONE DEGLI STRATI VALUTA LO STATO DI DEFORMAZIONE DEL PIANO MEDIO VALUTA LO STATO DI DEFORMAZIONE DELLE SINGOLE LAMINE VALUTA LO STATO DI TENSIONE DELLE SINGOLE LAMINE VALUTA LE TENSIONI NELLE DIREZIONI PRINCIPALI DELLE SINGOLE LAMINE CALCOLA IL FUL DI TUTTE LE LAMINE 1 ? FUL>1 ? FUL=1 ? FUL<1 ? SI ? SUCCESSIONI STRATI E CARATTERISTICHE LAMINATO SONO ? POSSIBILI ? ? ALTRE ? SOLUZIONI ? Possibile diagramma di flusso dell'algoritmo della progettazione con i compositi. 109 IL CEDIMENTO STRUTTURALE DEI COMPOSITI Il fenomeno della rottura nei compositi è da ritenersi piuttosto complesso e risulta dall'interazione di più tipologie di rottura. Considerando una lamina unidirezionale, caricata secondo una direzione θ rispetto alla direzione delle fibre, si possono distinguere angoli di carico per i quali sono più evidenti alcuni tipi di rottura rispetto ad altri. Per direzioni di carico prossime a quella longitudinale rispetto alle fibre (0° ÷ 5°circa), la rottura della lamina avviene prevalentemente per il cedimento delle fibre; per angoli di carico tra i 5° e i 20° ÷ 25° il fenomeno rottura della lamina è pilotata dal cedimento per taglio intralaminare; dai 20° ÷ 25° ai 45°, il fenomeno che provoca il cedimento della lamina è una combinazione tra il taglio intralaminare e la rottura della matrice, mentre dai 45° ai 90° la rottura è decisamente pilotata dal cedimento della matrice. DIREZIONE DELLE FIBRE θ a DIREZIONE DI CARICO Rmax θ ANGOLO DI CARICO b d c θ Tipologie di rottura per diverse orientazioni dei carichi rispetto alla direzione delle fibre. In un laminato, composto da più lamine, tutte queste tipologie di rottura interagiscono tra loro e, a posteriori, una volta verificata la rottura del laminato, 110 risulta molto difficile poter individuare il fenomeno primario del cedimento. Solo seguendo l'evoluzione del cedimento con tecniche di monitoraggio come quella dell'emissione acustica, è possibile stabilire la successione dei diversi tipi di cedimento. Una tipologia di rottura particolarmente pericolosa è la delaminazione ovvero lo scollamento di lamine costituenti il laminato. Questo è un modo di rottura particolarmente gravoso principalmente perché avviene anche a carichi bassi rispetto a quelli previsti di rottura del laminato. La delaminazione è un effetto di bordo: si innesca perciò in corrispondenza di bordi liberi o fori ed è dovuta a condizioni di stato di tensione triassiale che si verificano in corrispondenza dei bordi, per una distanza dal bordo pari allo spessore del laminato. In questa zona, è stato rilevato sia sperimentalmente che attraverso il calcolo basato su metodi numerici, raggiungono valori elevati le tensioni di taglio interlaminare. Le variazioni di sequenza di laminazione, inoltre, provocano la generazione di una σz di bordo. Alcuni autori hanno ipotizzato una distribuzione della σz mostrata nella figura sottostante. Z Logicamente, nella zona dove è bordo libero dalla figura come la σz tenda a Y interfacce diventare nulla dove la CLT ritorna σz a essere applicabile, mentre tende all'infinito in corrispondenza del bordo libero; la σz è naturalmente Z COMPRESSIONE perde la validità la CLT. Si vede z TENSIONE presente questo effetto di bordo autoequilibrata. Andamento della σz nella prossimità del bordo libero. Può essere definito danno, una variazione microstrutturale del materiale che induce deterioramento nel comportamento strutturale del componente. Il danno nei 111 compositi può verificarsi sia sulle fibre che nella matrice. Il più comune danno delle fibre è l'interruzione della loro continuità: poiché è impossibile ottenere lamine costituite da fibre senza alcuna interruzione si assume che già all'inizio della vita del composito siano presenti interruzioni delle fibre disposte statisticamente in modo distribuito. Nel corso poi della vita del componente, altre fibre si possono rompere a causa di sovratensioni molto localizzate dovute principalmente a differenze tra il tensionamento iniziale di fibre continue. interruzione casuale delle fibre "taglio" nelle fibre interruzione delle fibre e mancanza di resina corrispondente interruzione nelle fibre più mancanza di resina più delaminazione intralaminare Danno dovuto a interruzione delle fibre nella lamina. 112 La non costanza del tensionamento provoca anche una mancanza di allineamento delle fibre; una volta sottoposte a carico, le fibre tendono a riallinearsi inducendo stati di tensione di compressione e di trazione sulla matrice che possono provocare, oltre naturalmente a una diminuzione locale delle proprietà della lamina, la rottura della fibre stesse e il distacco tra fibra e matrice. Danno dovuto al non allineamento delle fibre nella lamina. Le fibre possono essere inoltre distribuite in modo non uniforme nel volume del composito provocando, una volta sottoposte a carico, sollecitazioni di taglio intralaminare. Nella matrice si possono invece trovare porosità dovute sia alla presenza di bolle d'aria rimaste nel corso della stratificazione, sia ai gas che si sviluppano nel corso della polimerizzazione della resina. Si trovano anche fratture nella resina dovute sia ai carichi, sia a tensioni residue indotte dal ritiro della resina nel corso della polimerizzazione, sia da tensioni di origine termica. Per gli stessi motivi si possono generare anche delaminazioni. Una stratificazione non accurata può provocare inoltre anche scarsa adesione tra le fibre e la matrice. 113 Danno dovuto alla distribuzione non uniforme delle fibre nella lamina. Danno dovuto alla porosità della matrice e alle bolle. Una descrizione schematizzata dello sviluppo del danno in un laminato in composito è mostrata nella figura seguente dove quattro fasi di danno tra loro distinguibili sono riportate in ordine di apparizione. 114 Nella prima fase si rompe la matrice lungo le fibre negli strati le cui fibre sono orientate in direzioni diverse da quella del carico. cedimento del laminato DANNO la matrice comincia a rompersi delaminazione CDS inizia il distacco locali zzato delle fibre dalla matrice inizia la rottura delle fibre 100 0 PERCENTUALE DI VITA DEL LAMINATO Fasi di sviluppo del danno in un laminato composito. Questo meccanismo è chiamato frattura primaria della matrice ed è evidenziato da una serie di fratture parallele, sugli strati inclinati rispetto alla direzione del carico, profonde per tutta la larghezza del provino. Il numero delle fessure aumenta monotonicamente con il carico e tende a raggiungere un livello di saturazione che risulta essere una caratteristica del laminato e prende il nome di Stato Caratteristico di Danno (CDS). Il suo raggiungimento indica la fine della fase di frattura primaria. Successivamente si verificano fratture trasversali a quelle primarie. Queste fratture secondarie provocano l'inizio della frattura intralaminare, inizialmente in zone limitate e distribuite nei piani intralaminari, in seguito in modo più diffuso. Lo sviluppo successivo del danno è invece fortemente localizzato, ha una crescita 115 instabile e coinvolge la rottura delle fibre disposte nella direzione del carico e sfocia nel collasso del laminato. Sia per la fase del danno pre-CDS che per la post-CDS, sono stati messi a punto modelli di descrizione che, facendo riferimento a osservazioni sul laminato, permettono di valutare l'evoluzione del danno e la vita residua del laminato stesso. Di questi tipi di danno si deve tenere conto sia nella scelta delle tecnologie che nella imposizione di opportuni coefficienti di sicurezza. 116 TECNOLOGIE DI FABBRICAZIONE La progettazione dei composito va fatta affrontando parallelamente il problema della fabbricazione. Fondamentale per una buona tecnica di fabbricazione è riuscire ad assicurare una certa ripetibilitá ai processi e costanza nelle proprietà del manufatto. Nella maggioranza dei casi di applicazioni strutturali si ha a che fare con sistemi di carichi non unidirezionali e ciò costringe ad utilizzare fibre posizionate in più direzioni. Questo si può ottenere: o con una disposizione casuale delle fibre; o mediante sovrapposizione di strati, a fibre allineate fra loro i quali sono sovrapposti con i relativi assi con orientazioni diverse; o le fibre possono essere usate sotto forma di tessuti in cui esse sono già posizionate con orientazioni prestabilite. Il secondo dei sistemi descritti è quello che permette di ottenere le migliori proprietà meccaniche. Una classificazione dei sistemi usualmente adoperati per la fabbricazione di strutture in materiale composito plastico prevede: o lavorazione a mano-laminazione (hand lay-up e spray-up); o stampaggio in sacco a vuoto o a pressione (vacuum pressure bag molding); o avvolgimento (filament winding); o produzione continua-pultrusione (continuous production); o stampaggio per trasferimento. Molti dei metodi indicati permettono di ottenere fibre orientate, non orientate o semi-orientate. La differenza dipende dal tipo di fibre adoperate, e dallo stato di fornitura; ciò sarà meglio chiarito esaminando brevemente i vari sistemi. 117 LAVORAZIONE A MANO-LAMINAZIONE (HAND LAY-UP E SPRAY-UP) Anche se oggi esistono diversi metodi di produzione che fanno uso di macchine o impianti automatizzati, la maggior parte delle strutture in materiale composito adoperate nei settoti di maggior interesse industriale utilizza metodi di produzione manuali. Nel metodo di lavorazione proposta la struttura viene realizzata attraverso un processo di laminazione (sovrapposizione manuale secondo orientazioni prestabilite) di strati successivi di tessuti di fibra, sotto forma di mat, pre-impregnati o meno, tessuti oppure lamine. La struttura laminata, supportata da uno stampo corrispondente alla forma che si vuole riprodurre viene poi inglobata in un sacco, nel quale viene effettuato il vuoto, ed infine posta in autoclave. Nel caso di preimpregnato (foglio sottile, flessibile e appiccicoso costituito da fibre impregnate di matrice) il processo prevede le seguenti fasi: o taglio del rotolo di fibre preimpregnate; o sagomatura su stampo; o rimozione del film distaccante; o impilamento: la laminazione viene eseguita in stampo aperto di lega leggera o di materiale composito; o confezionamento di un “sacco” a tenuta (vedi figura); 118 o consolidamento in autoclave (mediante ciclo termico): compattazione; reticolazione della resina; consolidamento; o estrazione e finitura. Una variante molto usata è la tecnica di spray-up che consiste nello spruzzare contemporaneamente resina e fibre corte tagliate da una apposita taglierina. Aria compressa spruzza il miscuglio sullo stampo in genere rotante per uniformare la deposizione. Questa tecnica è usata per la formatura delle pre-forme, cioè semilavorati del pezzo finale, che vengono poi posti tra stampo e controstampo ed il pezzo finale viene formato per pressatura a caldo (hot matched die molding). STAMPAGGIO SOTTO VUOTO O A PRESSIONE Per ottenere una più elevata percentuale di fibre nel laminato, è necessario migliorare la compattazione dello stesso in fase di realizzazione. Uno dei modi di compattare il laminato è quello di sottoporre il sistema all’azione del vuoto. Con tale sistema si pressa il composito prima della polimerizzazione (cure) per eliminare la porosità. 119 La resina viene introdotta non con azione manuale o a spruzzo ma per azione del vuoto o della pressione in autoclave. II metodo si presta per mat, tessuti e laminati (cioè lamine orientate), tutti nella forma di pre-preg (pre-impregnati) preferenzialmente. È fra i sistemi più interessanti per la produzione di forme particolari in laminati, cioè dalle alte caratteristiche meccaniche. La tecnologia di fabbricazione per vacuum bag è ovviamente più costosa delle tecnologie analizzate in precedenza, per cui viene impiegata per la realizzazione di laminati di buone caratteristiche. AVVOLGIMENTO-FILAMENT WINDING Le tecniche basate sull'avvolgimento sono fra le più interessanti ma sono limitate a forme particolari dei solidi da formare. Il principio è semplice e permette di avere fibre continue e disposizioni secondo laminati. L'uso di roving o di nastri pre-impregnati o asciutti assicura di avere le fibre continue, e giocando su angolo di avvolgimento e larghezza del nastro è possibile avere lamine sovrapposte con l’angolazione voluta, cioè dei veri e propri laminati. Il filament-winding è un tipo di lavorazione interamente automatizzata. Consiste 120 nell'avvolgimento di filamenti continui di materiale di rinforzo su un corpo, generalmente rotante su un asse, detto mandrino; la forma del mandrino determina la geometria del pezzo da realizzare. Le fibre sciolte, avvolte in una o più bobine poste su una rastrelliera, passano attraverso un bagno di resina prima di giungere sul mandrino, dove, guidate dal braccio di deposizione della macchina avvolgitrice, vengono posizionate secondo ben precise angolazioni. Al posto delle fibre sciolte si possono anche usare fili o nastri preimpregnati. Durante l'avvolgimento le fibre sono tenute tese da opportuni dispositivi meccanici od elettromeccanici (tensionatori). Al termine dell'avvolgimento lo stratificato viene sottoposto ad un ciclo di cura in forno. Se necessario la cura può avvenire in autoclave, ove il composito viene adeguatamente compattato sotto pressione. Se il pezzo è aperto il mandrino viene ricoperto da un agente distaccante che serve ad agevolarne l'estrazione dopo il taglio delle estremità. Se il pezzo è chiuso l’avvolgimento viene effettuato intorno a forme cave in polistirolo o altro materiale a perdere che può essere tolto mediante fusione o sciolto con dei solventi. Per i serbatoi di gas o di liquidi in pressione il mandrino è costituito da una sottile camicia metallica o in materiale plastico (liner) che viene lasciata a far parte integrante del serbatoio per evitare eventuali perdite di fluido a causa della permeabilità del composito. Un parametro fondamentale è l'angolo d'avvolgimento, definito in ogni punto come l'angolo compreso tra la direzione delle fibre e la tangente al meridiano del mandrino. L'angolo d'avvolgimento può variare praticamente tra 0° e 90° a seconda delle proprietà meccaniche richieste al pezzo. Si parla allora, in modo abbastanza ovvio, di avvolgimento polare, elicoidale o circonferenziale. Nell'avvolgimento polare il mandrino e l'occhiello di deposizione possiedono entrambi moto rotatorio, in modo tale che l'avvolgimento delle fibre avvenga praticamente secondo i meridiani della struttura. 121 Così facendo le fibre non si sovrappongono durante l’avvolgimento e si può coprire l'intero mandrino con una singola lamina opportunamente orientata rispetto all'asse. Volendo realizzare laminati con angolazioni maggiori usando questo metodo è necessario utilizzare nastri di larghezza opportuna. Nell'avvolgimento elicoidale il mandrino ha un moto rotatorio, mentre il braccio di deposizione ha un moto traslatorio alternato. Combinando opportunamente questi due movimenti si può far seguire alle fibre le traiettorie d'avvolgimento desiderate ottenendo, tuttavia, non una struttura a lamine, ma una sorta di tessuto a fibre. Nell'avvolgimento circonferenziale mentre il mandrino ruota il braccio di deposizione compie una traslazione longitudinale che ad ogni giro del mandrino è pari alla larghezza del nastro. In questo modo si ottengono delle lamine non intrecciate che servono a dare resistenza nella sola direzione circonferenziale. Spesso per poter soddisfare ai requisiti strutturali il composito viene realizzato sovrapponendo più avvolgimenti polari, circonferenziali ed elicoidali differenti. È importante notare che il filament winding non è adattabile a sole figure cilindriche, ma anche ad altri solidi. Può per es. adattarsi alla fabbricazione di più pezzi, che tenuti insieme formino una struttura cilindrica o quasi. 122 PRODUZIONE CONTINUA (PULTRUSIONE) La pulstrusione è un processo altamente automatizzato e continuo. Da una calandra porta roving é tirato il rinforzo che viene fatto passare all'interno di una vasca contenente la resina, il tutto è indirizzato verso un sistema di preformatura che ha lo scopo di eliminare la resina in eccesso, l’aria intrappolata e abbozzare la forma finale del profilato. Ultima stazione del processo é una filiera che ha il duplice scopo di conferire al profilato la forma definitiva e se riscaldata di effettuare la polimerizzazione. Fondamentale é poter controllare il calore presente all'interno dello stampo per evitare fratture termiche o perdite di proprietà meccaniche del pezzo. All'uscita dello stampo vi è un sistema di presa e trascinamento che provvederà a tirare il profilata fino alla stazione di tranciatura. Il trascinamento deve avvenire a velocità controllata, per favorire una adeguata cura della resina; l'impianto deve essere dotato di opportuna potenza per far fronte all'ulteriore resistenza al trascinamento dovuta alla dilatazione termica all'interno dello stampo. Si è già accennato al fatto che uno dei grossi vantaggi di questo processo e l'automazione che consente di realizzare un elevato numero di pezzi a velocità altrettanto elevata, tanto che il costo ora-macchina incide pochissimo sul costo del prodotto. Si presta bene per le produzione di semilavorati profilati a sezione costante con fibre principalmente monodirezionali. 123 STAMPAGGIO PER TRASFERIMENTO Si predispongono le fibre “secche” all’interno di uno stampo avente la forma del pezzo da realizzare, si effettua quindi un’infiltrazione di resina termoindurente liquida a bassa velocità. La resina deve aver riempito completamente lo stampo prima che si inneschi la reazione di reticolazione. La preforma può essere costituita da strati di fibre pressati e consolidati con un opportuno "legante" chimico (a), o da tessuti tridimensionali (b) o bidimensionali (c). È necessario che la preforma abbia una certa resistenza meccanica perché le fibre non debbono spostarsi durante l’infiltrazione di resina; la trama non deve tuttavia essere troppo "stretta" per consentire alla resina di permeare agevolmente attraverso il letto di fibre. a b c Fasi del processo: o Pulitura dello stampo (soffiatura,solventi,raschiatura); o Applicazione del distaccante (cere sintetiche,opacità); o Applicazione del gel-coat (rivestimento protettivo in resine termoindurenti,maggiore resistenza); o Posizionamento del rinforzo (sovrapposizione di strati di fibra, preforma: preassemblato); o Chiusura e bloccaggio dello stampo; o Iniezione della resina; 124 o Apertura dello stampo ed estrazione del pezzo (dopo il tempo di polimerizzazione, fori di estrazione); o Operazioni di rifinitura. Vantaggi: o buon controllo sulla disposizione delle fibre; o elevate frazioni in volume di rinforzo; o buona finitura superficiale; o possibilità d’automazione del processo; o buona tutela dell’ambiente di lavoro grazie all’utilizzo di uno stampo chiuso. Svantaggi: o limiti sulle dimensioni massime dei manufatti; o stampi relativamente costosi. 125 FABBRICAZIONE DI COMPOSITI A FIBRE CORTE Uno degli aspetti cruciali della tecnologia dei compositi a fibre corte è costituito dalla scelta di opportune tecniche di produzione. Normalmente vengono impiegati estrusori monovite o bivite, ulteriori processi tecnologici sono l’iniezione e la spruzzatura in stampo aperto. Nel procedimento di estrusione si inizia miscelando fibra e polimero in polvere; la miscela viene poi avviata, tramite tramoggia, alla camera dell’estrusore monolite. Nei procedimenti più evoluti si alimenta l’estrusore bivite in due punti diversi, dapprima col polimero e più avanti con la fibra continua. In tal modo quest’ultima viene rotta, portata a misura dalle viti in rotazione ed incorporata nel polimero già fuso con la massima dispersione possibile. Come intuibile, un aumento della velocità di rotazione delle viti comporta una diminuzione della lunghezza delle fibre (vedi tab 4.1). Velocità di rotazione (min-1) Lunghezza media ponderale (mm) Perdita di resistenza (%) 20 1,1 12 40 0,85 16 100 0,65 22 Tabella 4.1 Effetto della velocità di rotazione della vite sulla lunghezza delle fibre Ad un aumento di temperatura corrisponde invece, a causa della diminuita viscosità del polimero, un aumento della lunghezza delle fibre. Nella produzione di manufatti, quando si ricorre alla tecnica dell’iniezione, occorre considerare attentamente le difficoltà dovute all’orientazione delle fibre. Anche in casi molto semplici, come ad esempio lo stampaggio di provini per prove di trazione, il manufatto non ha struttura omogenea. La presenza di una parete lungo la quale il polimero fuso scorre favorisce l’allineamento delle fibre 126 parallelamente alla parete stessa; al contrario nella parte centrale del fluido le fibre tendono a disporsi perpendicolarmente alla direzione del flusso. Tuttavia l’orientazione dipende anche dalla forma delle fibre, dalla temperatura e dalla velocità del fluido. In figura la spruzzatura in stampo aperto: preparazione di un foglio (semilavorato) contenente fibre discontinue. 127 APPLICAZIONI APPLICAZIONI AL CAMPO AEREO SPAZIALE Un settore nel quale vengono massimamente utilizzati i materiali compositi è, come si è più volte detto, quello aeronautico. Si capisce infatti come la leggerezza dei materiali e la loro resistenza siano indispensabili per un buon progetto di un veivolo. Quando la Boeing stava finalizzando il progetto del 747, che per la prima volta volò nei primi mesi del 1969, discussioni si sollevarono in Europa intorno al progetto ed alla costruzione di un aereo i linea europeo a larga capacità ed a breve/medio range. Dopo vari tentativi Francia e Germania Occidentale decisero di procedere alla realizzazione dell’aereo noto come European Airbus. Nel dicembre del 1970 l’Airbus Industrie, in Francia, finanziò lo sviluppo, la manifattura ed il marketing dell’A300: per la prima volta si cominciarono ad utilizzare materiali compositi nelle strutture secondarie come pannelli, spoiler e freni, poi, dal 1985 per la realizzazione seriale di strutture primarie. Fu realizzato in seguito infatti l’A310 con piani stabilizzatori fatti di plastica rinforzata a fibra di carbonio (CFRP). Durante la costruzione dell’A300 si dovette tener conto del fatto che il costo del carburante andava aumentando. Quindi risultò di primaria importanza la questione legata alla possibilità di ridurre il peso del velivolo per poter ridurre i costi operativi dello stesso. Il peso diventò un parametro vitale nell’economia operativa del velivolo. Sempre restando nell’ottica della riduzione dei costi, particolare attenzione doveva essere rivolta alle problematiche legate alla minimizzazione dei costi di produzione ed alla riduzione di quelli di manutenzione per la loro incidenza sui costi operativi del velivolo. 128 Gli ostacoli che si ponevano sulla strada dello sviluppo, del progetto e dell’impiego dei materiali nelle strutture aeronautiche erano legati alle seguenti questioni: o I livelli di sicurezza e di attendibilità, offerti dall’utilizzo dei materiali classici, non dovevani essere compromessi, utilizzando materiali compositi; o L’accettazione dell’uso dei materiali compositi da parte delle autorità certificanti non era facile da superare; o La manifattura dei componenti in un composito doveva essere tale da assicurare all’Airbus Industrie ed alle autorità certificanti che gli standard di qualità potessero essere mantenuti; o L’accettazione delle nuove tecnologie da parte delle compagnie di linea. Il primo aereo della serie, l’A300, ebbe varie fabbricazioni fatte a “sandwich”, realizzati con compositi a fibra di vetro e con Nomex: per sandwich si intende una struttura costituita da due pelli di materiale fibro-rinforzato separate da un’apposita anima (core). In un primo momento le fabbricazioni erano tutte strutture secondarie come ad esempio i pavimenti: in questo caso a parte il risparmio del peso c’è da considerare che i pavimenti in metallo sono sempre predisposti alla corrosione, causata dal rovesciamento di ogni tipo di fluido. Facciamo adesso riferimento all’A310 ed evidenziamo alcuni particolari costruiti in materiale composito. Spoiler Collocati sull’ala più esternamente sono essenziali a bassa velocità durante il decollo e le fasi di atterraggio. La struttura a sandwich è costituita da lamine di fibre di carbonio in matrice plastica. La parte centrale è costituita da una costruzione a nido d’ape in Nomex, un materiale che appartiene alla famiglia del Kevlar ed è utilizzato, tra l’altro, per le sue proprietà ignifughe. 129 Freni aerodinamici interni È necessario che la struttura sia molto leggera e allo stesso tempo molto rigida tale da sopportare la sperimentata deformazione torsionale e flessionale. I rivestimenti e le centine sono costituite da compositi a fibre unidirezionali in carbonio, variando sia il numero degli strati che il loro orientamento. Intorno all’attaccamento dell’attuatore sono allocati fino a 26 strati, mentre il numero varia fino a 8 intorno al bordo d’uscita, che è protetta da una sezione in titanio, che sopporta alti carichi flessionali; nella figura sottostante è riportato lo schema di un freno aerodinamico. 130 Carenatura della gamba e sportelli del dispositivo di atterraggio. Entrambi i componenti sono costituiti con sandwich con rivestimenti epossidici rinforzati a fibra in carbonio e con nuclei stabilizzanti a nido d’ape di kevlar. Il progetto di queste parti richiede elevata rigidezza largamente soddisfatta dai rivestimenti in fibra di carbonio. Il progetto di questi componenti raggiunge l’obiettivo di ottenere una struttura ad alto rendimento con un livello di tensione medio di approssimativamente il 17% del suo carico ultimo ed un risparmio di 19 Kg, circa il 30%. Le ore necessarie per la produzione, adottando questa soluzione, sono state ridotte del 37% rispetto al recedente progetto in metallo. Carenature ala/fusoliera Originariamente manifatturata come unità a sandwich a fibra in vetro, la carenatura tra l’ala e la fusoliera è cambiata in una struttura a sandwich Kevlar/Nomex, per ottener un ulteriore guadagno in termini di efficienza. La carenatura provvede ad un sigillo aerodinamico tra la radice dell’ala e la fusoliera e deve, pertanto, essere abbastanza forte per resistere alle forze aerodinamiche che su di essa insistono, ma sufficientemente flessibile per poter seguire la flessione dell’ala. Si ottiene, attraverso la sostituzione in fibre di Keclar/Nomex , un risparmio di 13 Kg. Timone I pannelli laterali del timone sono fatti con una combinazione di prepreg epossidici a fibra in carbonio e vetro, legati ad un nucleo in Nomex. In questo modo si ottengono riduzioni di peso e di costo oltre che una diminuzione del numero dei componenti. In particolar modo il peso è ridotto del 20% rispetto al peso del timone in metello. La figura sottostante riporta una schema del timone. Anche i flap sono realizzati in materiale composito. La figura sottostante ne mostra la struttura 131 132 PROGETTAZIONE PIANALE AUTOMOBILISTICO IN MATERIALE COMPOSITO AD OPERA DEL CENTRO RICERCHE FIAT Nell’ambito del progetto “Concept Sportiva Evoluta” il Centro Ricerche Fiat ha progettato e realizzato un telaio multimateriale ad elevato rapporto efficienza/peso. Le principali caratteristiche del veicolo sono sintetizzate di seguito: - motore longitudinale 3200 cc V6 - potenza 400 CV a 6500 rpm - coppia max 500 Nm a 2500 rpm - accelerazione 0-100 Km/h 4s - velocità max 250 Km/h - peso/potenza 3.54 Kg/Cv Trattandosi di un veicolo sportivo ad elevate prestazioni, la scelta dei materiali impiegati per la costruzione del telaio è stata guidata dall’esigenza di minimizzare il rapporto peso potenza. A seguito delle analisi condotte dai progettisti, dagli esperti di analisi strutturale e di processo è stato pertanto deciso di realizzare la parte centrale del telaio, preposta ad assicurare la rigidezza del veicolo, in materiale composito con fibre di carbonio. Le zone anteriori e posteriori, preposte ad assorbire mediante la loro deformazioni gli urti sono state invece costruite di materiale metallico: alluminio e titanio. La figura sottostante mostra un’immagine CAD del telaio con indicati, in base ai colori, i differenti materiali impiegati. 133 Si è deciso di realizzare la parte centrale del telaio utilizzando le due tecnologie di maggiore diffusione nel campo dei materiali compositi strutturali: la laminazione manuale con ciclo di cura in autoclave ed il processo di Resin Transfer Molding. A tal fine la struttura centrale del telaio è stata separata in due componenti: un pavimento ed un parafiamma uniti tra loro tramite una doppia fila di bulloni, (vedi fig, sotto). Il pavimento è stato realizzato con la tecnologia della laminazione manuale. Per incrementare le caratteristiche strutturali del componente, senza penalizzare il peso, si è fatto ricorso ad una struttura di tipo sandwich. Questa soluzione prevede di inserire tra due opposti fogli di fibra di carbonio una struttura reticolare che incrementa la rigidezza a flessione del pannello. Si noti inoltre che ciascun foglio è a sua volta costituito da più strati di tessuto preimpregnato di fibra di carbonio sovrapposti l’uno sull’altro ed orientati in maniera opportuna. Per ottimizzare la rigidezza torsionale e per assorbire i carichi di urto trasferiti dai puntoni, il tunnel è stato realizzato a sezione chiusa. La tecnologia della laminazione manuale si presta ad essere utilizzata per produrre lotti minimi:una o due vetture al giorno od esemplari unici. Il processo si contraddistingue infatti per i bassi costi di investimento avendo per contro tempi ciclo molto elevati e la necessità di disporre di manodopera altamente specializzata. La fig 134 sottostante riporta il componente finito. Come ricordato sopra, per esplorare le potenzialità del processo applicato ad un componente di forma complessa, la parte centrale anteriore del telaio denominata parafiamma è stata realizzata in RTM con fibre rinforzate in carbonio misto vetro. Il componente viene ottenuto iniettando la matrice di resina all’interno di uno stampo su cui sono preventivamente disposte le fibre secche di carbonio preformate e cucite tra loro. Il processo avviene a temperatura e a pressione controllata. Per incrementare le caratteristiche strutturali del componente sono stati introdotti degli inserti di rinforzo in Nomex. La figura mostra un particolare del pezzo finito assemblato con il pavimento. Le analisi economiche svolte in parallelo alle attività di progettazione, hanno dimostrato la convenienza di questa tecnologia qualora le esigenze di produzione richiedano la costruzione di almeno 5/10 vetture al giorno. Rispetto alla laminazione mauale è necessario tenere in conto dei maggiori vincoli legati ad esigenze di processo. In particolare bisogna impostare delle forme che, oltre a garantire la funzionalità del componente, agevolino il riempimento delle fibre a seguito 135 dell’iniezione della resina. Le varie fasi dello sviluppo progetto, che vanno dalla impostazione architetturale del telaio, ai calcoli di dimensionamento del carbonio alla realizzazione del modello CAD, sono sintetizzate nella figura sottostante. L’attività sul telaio ha quindi posto le basi per la costituzione di un team interfunzionale in grado di governare lo sviluppo prodotto di componenti in materiale composito dall’idea alla realizzazione. 136 FRENI A DISCO Attualmente i compositi realizzati appositamente per essere applicati ai dischi freno sono identificabili in: compositi a matrice metallica (MMC, metal matrix compisites), compositi a matrice ceramica (C/C-SiC), ed i compositi carbon-carbon (C/C). I Carbon-Carbon, come è facile intuire, sono costituiti da fibre di carbonio ad alto modulo, annegate in una matrice epossidica (carbonio). I compositi a matrice metallica sperimentati nella realizzazione di dischi freno (MMC) sono essenzialmente basati sull’utilizzo di alluminio rinforzato con fibre di carburo di silicio. I compositi a matrice ceramica (C/C-SiC), invece, sono materiali realizzati mediante infiltrazione di silicio fuso in una percentuale finale di almeno il 20% della massa totale del composito, in una preforma porosa di fibre di carbonio precedentemente realizzata e avente già all’incirca la forma finale del disco. PROPRIETÀ GENERALI I compositi C/C furono introdotti per la prima volta negli anni settanta sui veicoli aeronautici militari, e nel decennio successivo si assistette ad un trasferimento tecnologico anche agli aeromobili civili ed al mondo delle competizioni automobilistiche. Il carbon-carbon è in grado di garantire parametri estremamente vantaggiosi in funzione degli scopi che si vogliono raggiungere in un impianto frenante di alta gamma: o bassa densità, e quindi la possibilità di avere componenti molto leggeri, importante nel settore automobilistico soprattutto per garantire alte doti di tenuta di strada e di handling dei veicolo; 137 o basso coefficiente di espansione termica, alto calore specifico e alta conducibilità termica, e quindi la capacità di lavorare a temperature molto elevate e di smaltire velocemente alte quantità di calore; o alto coefficiente d’attrito alle alte temperature, per cui la possibilità di raggiungere alte potenze in fase di frenata, riducendo anche le dimensioni del braccio della forza, e quindi il diametro del disco. Per tali motivi risulta evidente perchè, in questo campo specifico di applicazione, il carbon/carbon sia il materiale più prestante disponibile sul mercato: attualmente vengono infatti installati su aerei e vetture da Formula 1. Microstruttura Dal punto di vista microstrutturale, un composito carbon-carbon è costituito da fibre di carbonio disposte in maniera ordinata tra di loro e inglobate in una matrice ancora in carbonio. Il composito viene proprio per questo motivo chiamato carbon/carbon, in quanto sia la matrice che il rinforzo dato dalle fibre è costituito da solo Carbonio. In genere il materiale si ottiene per accrescimento, depositando uno sull’altro vari strati di fibra intrecciata; l’intreccio può essere di vario tipo anche se generalmente si presenta come una maglia: da ciò si comprende perché tale materiale sia così compatto e strutturalmente ordinato. In figura si nota la fibratura a maglie di un composito C/C. Le fibre di carbonio utilizzate per i dischi freno hanno lunghezza variabile ma in genere pari a circa 8mm e presentano un altissimo modulo elastico per sforzi diretti come il loro asse (circa 5000 Gpa), hanno però un modulo elastico molto ridotto per sforzi non paralleli all’asse (circa 35 Gpa). 138 ASPETTI PRODUTTIVI E TECNOLOGICI Il composito carbon-carbon risulta molto oneroso da produrre sia in termini economici, sia in termini di tempo, in quanto prevede l’unione successiva di singoli strati di fibre che vengono poi unite fino a realizzare le dimensioni volute, e cioè, nel nostro caso, lo spessore finale del disco, cosa che in genere viene realizzata mediante una serie di trattamenti quali impregnamenti e pirolisi. Per ottenere il composito vero e proprio occorre realizzare la matrice in carbonio attorno alle fibre e ciò è possibile per mezzo della tecnica del chemical vapor deposition, o mediante l’applicazione di speciali resine. La chemical vapor deposition (CVP) è un particolare processo produttivo che inizia con una preforma realizzata proprio mediante la sovrapposizione degli strati di fibre di carbonio, che già presenta la forma finale del disco. Questa viene riscaldata in una fornace pressurizzata con gas organico, come il metano, l’acetilene, o il benzene, in modo tale che per via delle alte temperature (circa 1200°C) e pressioni alle quali il materiale è sottoposto, il gas si decomponga e si depositi andando a formare una sorta di pellicola attorno alle fibre di carbonio. Mano a mano che il gas si deposita, lo strato si accresce e va a costipare tutte le porosità presenti tra le fibre, per cui alla fine si ottiene una matrice uniforme che ingloba le fibre precedentemente realizzate. Tale processo risulta essere molto lungo, per cui, unitamente alle alte temperature richieste, si può ben capire perchè materiali compositi del tipo C/C risultino essere molto costosi: si pensi per esempio che la realizzazione di una matrice dello spessore di solo 1 cm richiede tempi di permanenza in temperatura di almeno otto ore. Il secondo metodo per la realizzazione del composito C/C prevede invece l’utilizzo di una resina (per esempio, epossidica o fenolica) che viene posta sotto pressione nella preforma di fibre di carbonio. Successivamente, il tutto subisce un trattamento di pirolisi ad alta temperatura che permette, tramite la combustione in atmosfera inerte, di eliminare componenti molecolari quali idrogeno, ossigeno e azoto, in modo tale che alla fine del processo si abbiano solo lunghe catene di 139 carbonio. In questo modo si riesce a realizzare una matrice stabile dove sono annegate le fibre di rinforzo. I dischi freno carbon-carbon vengono quindi realizzati per strati successivi di fibre di carbonio orientate in modo differente, per ottenere una struttura laminare robusta e resistente nei confronti di possibili rotture fragili; in effetti, se osserviamo un disco realizzato con questo materiale, possiamo notare che la parte laterale mostra ancora i vari strati sovrapposti ed uniti permanentemente tra di loro per poter realizzare il prodotto finito. Un problema produttivo dovuto alla microstruttura e non risolvibile è dato dal fatto che il processo di pirolisi ad alta temperatura apporta notevoli stress termici al materiale, ed in particolare alla matrice in carbonio. Questo porta alla formazione, come è comprensibile, di tensioni interne, che vengono assorbite dalla matrice di carbonio, e che risultano altamente nocive, in quanto possono provocare la formazione di microfratture e microcricche interne. Il pericolo è quindi quello d’avere un materiale danneggiato le cui prestazioni meccaniche e termodinamiche non risultano all’altezza delle aspettative nella successiva messa in esercizio, e per tali motivi risulta fondamentale tener sotto controllo i parametri e le modalità di trattamento termico. La figura mostra microcricche in una struttura C/C dopo pirolisi a 880°C: cricche nella matrice (a) e distacco tra matrice e fibre (b). CARATTERISTICHE FINALI DEL MATERIALE Piccole variazioni della microstruttura generale del composito portano all’ottenimento di un materiale con caratteristiche macroscopiche diverse, sia in termini meccanici che in termini termodinamici, per cui il controllo microscopico 140 risulta essere fondamentale per ottenere le caratteristiche volute. Nello specifico, l’orientazione delle fibre induce nel materiale delle direzioni privilegiate di resistenza meccanica e di conducibilità termica come più volte scritto in precedenza. Per questi motivi, nei dischi C/C, gli strati sono formati singolarmente e poi sovrapposti in maniera multidirezionale: si riesce così a conferire al disco maggiore resistenza alla trazione in tutte le direzioni, e non in direzioni privilegiate. La matrice in carbonio grazie alla quale vengono agglomerati i diversi strati fornisce invece un elevato coefficiente di conduzione trasversale, e quindi massimizza le caratteristiche di dispersione del calore, rendendo il più possibile omogenea la distribuzione dello stesso all’interno del disco. A confermare le elevate caratteristiche termodinamiche e di dispersione del calore di questo materiale, si può osservare che dischi C/C vengono spesso prodotti addirittura senza un sistema di canalizzazioni interne per favorire la ventilazione. In genere sono infatti presenti fori radiali sulla parte cilindrica del componente non tanto con lo scopo di raffreddare il materiale, ma piuttosto per alleggerire ulteriormente il disco. Per quel che riguarda le proprietà di frizione bisogna sottolineare l’importanza dell’accoppiamento rotore-pastiglia: la pastiglia deve essere costituita da un materiale appositamente scelto. Infatti il carbonio, se accoppiato ad un metallo, è un materiale lubrificante, ed inoltre sarebbe responsabile di rilevanti fenomeni diffusivi: per questi motivi le comuni pastiglie non possono essere impiegate. Dopo una sperimentazione su diversi accoppiamenti si è rilevato un comportamento ottimale di pastiglie costituite da un materiale affine, sostanzialmente in carbonio. D’altro canto affinità chimica e durezze confrontabili inducono tassi di usura del disco vicini a quelli della pastiglia, e quindi molto elevati rispetto ad 141 accoppiamenti con materiali diversi. Le caratteristiche tribologiche a basse temperature sono piuttosto deludenti e aumentano sensibilmente all’aumentare della temperatura, quando il coefficiente di attrito raggiunge valori di 0.55-0.6, non raggiunti da altri materiali a regime. Durante i decenni scorsi, nel tentativo di utilizzare dischi di tipo C/C sui veicoli stradali di alta gamma, si sono ottenuti solamente risultati deludenti: il coefficiente d’attrito offerto dal sistema disco-pastiglia alle temperature usuali d’esercizio su strada, ed in particolare nella prima fase di utilizzo, risulta nettamente inferiore rispetto a quello ottenuto alle temperature tipiche di un impiego sportivo, e non permette quindi di raggiungere le prestazioni di frenata volute. Per un ottimale utilizzo questo materiale richiede il raggiungimento ed il mantenimento di temperature elevate, cosa impensabile da ottenere su vetture il cui impiego non è riservato a competizioni sportive. Inoltre, la particolare fragilità del materiale, unitamente alle sue particolari caratteristiche, richiede controlli continui e quindi un monitoraggio periodico del sistema, che risulta essere un altro punto a sfavore riguardo alla possibilità di trasferire questa tecnologia sulle vetture di serie. Esiste inoltre un limite di natura puramente tecnologica ed economica: la realizzazione di un disco carbon-carbon, infatti, risulta lunga e dispendiosa, e richiede quindi un’ingente quantità di risorse economiche e produttive, cosa ancora una volta impensabile per una produzione di serie, anche se di altissima gamma. MATERIALI COMPOSITI A MATRICE CERAMICA (C/C-SIC) A partire da tali bisogni ha avuto inizio la ricerca e lo sviluppo dei materiali carboceramici, con l’obiettivo di trasferire, almeno in parte, le alte prestazioni offerte dai dischi carbon-carbon, pur avendo la garanzia di un prodotto effettivamente utilizzabile e commerciabile sia dal punto di vista della funzionalità, sia dal punto di vista economico. Il materiale carbo-ceramico risulta essere un composito realizzato mediante una matrice in materiale ceramico rinforzato con fibre di carbonio. I materiali ceramici 142 avanzati mostrano particolari proprietà che li rendono estremamente utili in applicazioni tribologiche anche ad elevate temperature, quali l’elevata durezza, la resistenza in compressione, la refrattarietà, l’inerzia chimica, la bassa densità. Risultano però essere materiali molto fragili, e quindi per poter essere utilizzati per applicazioni strutturali, quale può essere quella di un disco freno, devono necessariamente essere resi più tenaci per mezzo di fibre. Attualmente, il mercato vede come materiale carbo-ceramico per dischi freno più diffuso il composito C/C-SiC, studiato dapprima da Porsche, e sviluppato successivamente da varie altre aziende specializzate come Brembo, che ne produce attualmente circa 15000 pezzi all’anno. Da notare, comunque, che tale prodotto non risulta essere l’unico: infatti varie altre combinazioni nella percentuale di materiale o e nei diversi processi produttivi sono in fase di studio per la realizzazione di un prodotto sempre più avanzato, ma anche sempre più spendibile sul mercato, e la stessa ricerca degli ultimi decenni realizzata in modo autonomo da varie aziende ed istituti ha portato a materiali la cui idea di base è la stessa, ma dove modifiche nella composizione chimica, nel processo produttivo, o nei parametri utilizzati per la produzione stessa, hanno reso possibile la nascita di una famiglia di materiali con caratteristiche finali anche piuttosto differenti. MICROSTRUTTURA La microstruttura di questi materiali presenta una matrice ceramica costituita principalmente di carburo di silicio e in quantità minore di silicio, contenente come fase dispersa una gran quantità di fibra di carbonio. La lunghezza delle fibre è di circa 8 mm. Riguardo la disposizione, invece, nulla può essere detto a priori in 143 quanto il materiale può presentare diverse soluzioni: disordinata oppure ordinata secondo diverse modalità. Il risultato è un prodotto carbo-ceramico del tipo C/C-SiC in cui le caratteristiche di rigidezza e durezza sono date dalla fase ceramica (SiC), mentre le fibre di carbonio permettono di contrastare la fragilità tipica dei materiali ceramici. Fin dall’inizio della ricerca su questi compositi si è lavorato sulla microstruttura per massimizzare le potenzialità del materiale. Le prime sperimentazioni su applicazioni frenanti, considerata la derivazione diretta dei C/C-SiC dai CarbonCarbon, presentavano una orientazione delle fibre parallela alla superficie di frizione, con risultati molto affini agli stessi C/C, ma con una riduzione dell’usura. Purtroppo però, questa prima generazione di C/C-SiC non era ancora industrializzabile, avendo costi di produzione vicini ai C/C e caratteristiche tribologiche non abbastanza stabili in quanto, essendo il coefficiente d’attrito dipendente dalla temperatura, e lavorando il disco a temperature superficiali molto elevate, non si riusciva ad ottenere la costanza e la continuità volute nelle prestazioni. Per ovviare a questo, si individuarono tre possibili strade per ottenere l’incremento della conduttività termica trasversale, in modo da smaltire il più velocemente possibile il calore presente: o uso di fibre di carbonio più raffinate, aventi maggiore conducibilità termica; o incremento dell’angolo tra le fibre e la superficie d’attrito; o incremento del contenuto di materiale ceramico (SiC) per aumentare la compattezza del materiale e quindi ridurre le porosità presenti. 144 Da un punto di vista economico, l’incremento di Silicio e Carburo di silicio risulta la soluzione migliore. Poiché sussiste una forte dipendenza fra il rischio di cedimento fragile e la porosità, tale soluzione ha un effetto positivo sulle caratteristiche di resistenza alla frattura fragile del materiale. Tuttavia una seconda conseguenza è 3 rappresentata da una densità leggermente maggiore (circa 2kg/dm ), che comunque risulta essere nettamente più contenuta rispetto, per esempio, ai classici dischi in ghisa grigia. Bisogna sempre tener presente che il risultato a cui si vuole arrivare con questo tipo di materiali deve essere un buon compromesso tra caratteristiche meccaniche e termiche. Una prova della stabilizzazione del coefficiente d’attrito dovuta all’incremento del coefficiente di conducibilità trasversale, mediante tali soluzioni, è visibile dallo studio dell’andamento del coefficiente d’attrito in funzione della velocità relativa tra disco e pastiglia (e quindi, in funzione anche della potenza in gioco e della temperatura delle superfici) mediante test tribologici che hanno riportato i seguenti risultati: Type I – standard C/C-SiC; Type II – C/C-SiC con fibre di carbonio a conducibilità termica migliorata Type III – C/C-SiC con rilevante contenuto di fibre in direzione assiale Type IV – C/C-SiC con alto contenuto di SiC 145 In base ai risultati rappresentati in figura si può quindi osservare come si sia riusciti a migliorare la stabilità del coefficiente d’attrito agendo sulla microstruttura del materiale ed in particolare sulle sue caratteristiche termodinamiche. Per migliorare la capacità di smaltimento del calore, è possibile ricavare una serie di condotti interni al disco che permettono di aumentare il flusso d’aria e quindi la possibilità di raffreddare in tempi rapidi la superficie d’attrito, per evitare surriscaldamenti del disco stesso, oltre che la possibilità che il calore prodotto si trasferisca all’intero impianto con notevoli problemi in termini di sicurezza. La presenza di tale sistema di aerazione permette di ridurre la temperatura della superficie d’attrito di circa 300° C rispetto ai classici dischi pieni. Attualmente vengono prodotti dischi carbo-ceramici che presentano variazioni notevoli nella disposizione delle fibre. Un esempio è rappresentano dai dischi CCM e CMC: i primi sono prodotti da Brembo, mentre i secondi da Daimler-Mercedes. Il materiale è sostanzialmente lo stesso, a differenza della disposizione delle fibre di carbonio. Nei prodotti CCM, infatti, le fibre risultano essere corte (inferiori agli 8 mm di lunghezza) e casualmente orientate nella matrice; nei CMC, invece, le fibre sono di lunghezza maggiore, orientate in maniera circolare e parallele alla pista di strisciamento. Questa ultima soluzione permette di ottenere un materiale con conducibilità termica maggiore, e ciò si riflette nella minor necessità di avere una ventilazione interna del disco: proprio per questo motivo i CCM sono dischi ventilati con una geometria piuttosto complessa, mentre i CMC sono costituiti su un corpo pieno che presenta piccoli fori radiali. A parte lievi differenze, comunque, il processo produttivo rimane pressoché simile in entrambe le soluzioni: basti pensare che spesso entrambi i componenti vengono realizzati sulla stessa linea produttiva. USURA E RIVESTIMENTI Questo tipo di impianti frenanti lavora sviluppando elevate temperature superficiali tra rotore e statore, il che comporta l’uso di particolari materiali anche per le pastiglie che siano in grado di mantenere le caratteristiche desiderate anche in 146 condizioni di lavoro estreme. Infatti il materiale con il quale sono prodotte le pastiglie è sostanzialmente lo stesso di quello utilizzato per i dischi; questo implica che disco e 3 pastiglia si usurino all’incirca alla stessa velocità (170 mm /MJ), peraltro troppo elevata per permettere la realizzazione dei dischi per veicoli stradali. Per evitare questo fatto, si effettua un rivestimento del solo disco con uno strato duro. Per realizzare ciò sono stati studiati due metodi: la deposizione chimica a vapore CVD di Carburo di Silicio puro per uno spessore di 0,1 – 0,2 mm, in grado di 3 abbassare del 90% il tasso di usura (fino a un valore di 17 mm /MJ), ma anche di incrementare ulteriormente il costo finale del componente; oppure l’aggiunta in superficie di Silicio e Carbonio che, reagendo tra di loro, producono Carburo di silicio e formano uno strato dello spessore compreso fra 0,2 e 2 mm in grado di aderire in maniera molto forte al substrato. Questa seconda soluzione comporta naturalmente una rifinitura con utensili al diamante per via della maggiore durezza superficiale, ma in generale risulta economicamente vantaggiosa rispetto al trattamento CVD, e permette ugualmente di ottenere tassi di riduzione dell’usura 3 nell’ordine dell’85% (fino a 21 mm /MJ). MATERIALI COMPOSITI A MATRICE METALLICA (MMC) Gli MMC sono materiali che rientrano nella categoria dei compositi, pertanto sono stati presi in considerazione, anche se il progetto di un loro utilizzo in una produzione seriale di dischi freno risulta essere stato accantonato dopo una prima fase di sperimentazione, dove non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative. I Metal Matrix Composites sono quindi materiali costituiti da una matrice metallica e da una fase dispersa che può essere in forma di particolato, di fibre continue o discontinue, oppure di whiskers. La tecnologia di questi materiali sembrava essere vantaggiosa perché consente di impiegare sostanze con caratteristiche tribologiche o termiche rilevanti se confrontate, ad esempio, alla ghisa, che presentano tuttavia scarse proprietà meccaniche: esistono infatti metalli e leghe 147 con proprietà specifiche migliori di quelle dell’acciaio, che però in genere sono teneri, per cui usati come rotore di un freno avrebbero un’usura abrasiva troppo elevata. Un materiale composito a matrice metallica, invece, possiede sia resistenza che rigidezza, grazie all’effetto rinforzante svolto dalla fase dispersa, oltre ad una densità contenuta. Come applicazione industriale di massa, dall’ottobre 1991 Ford e Toyota provarono ad installare dischi freno in Al-Si con il 20% di SiC. In seguito altre case automobilistiche, tra cui Volkswagen e Lotus, testarono questo materiale. I materiali MMC hanno però un forte vincolo applicativo sulle temperature di utilizzo, le quali risultano inferiori a quelle dei materiali ferrosi. Per questo motivo l’applicazione migliore sembrava essere quella su veicoli motociclistici, in quanto è richiesta leggerezza e il disco lavora in un ambiente con forte scambio convettivo. Le ditte Honda, Suzuki e Ducati hanno sperimentato questi freni nel campionato mondiale di motociclismo. IL MATERIALE E LA SUA MICROSTRUTTURA I metalli usati per le matrici di MMC attualmente presente sul mercato sono molteplici (ad esempio, ferro, rame, alluminio, nickel, titanio) ma per i dispositivi frenanti quello che si è imposto sugli altri è l’alluminio, che presenta le seguenti caratteristiche: 3 o bassa densità (2,7 g/cm ); o alta conducibilità termica (204 W/mK); o buone caratteristiche tribologiche; o alto grado di isotropia; o buona colabilità; 148 o basso costo (costa meno rispetto gli altri metalli impiegati come matrice). Presenta, putroppo, anche i seguenti svantaggi: o basso Modulo di Elasticità (70 Gpa); o bassa resistenza meccanica (60 Mpa); o bassa temperatura di fusione (627 °C). Come già detto la fase dispersa ha l’obiettivo di incrementare le proprietà meccaniche, che aumentano in maniera direttamente proporzionale al contenuto di fibra. La tecnologia dei materiali compositi ha dunque permesso di ovviare ai problemi relativi alle proprietà meccaniche. Nulla si può fare invece per quel che riguarda la bassa temperatura di fusione, se non limitare le temperature di impiego del materiale al di sotto dei 400 °C, cosa che naturalmente preclude molti campi di applicazione. La microstruttura del materiale presenta, per i suddetti motivi, una matrice metallica di alluminio e una fase dispersa costituita da carbonio, o da carburo di silicio. In figura è riportata la micrografia di un MMC con matrice in Al e fase dispersa costituita da Si (grigio chiaro) e Si-C (grigio scuro) sviluppato durante gli studi condotti da Ford all’inizio degli anni Novanta. E’ importante notare che, contrariamente a quanto avviene per i CMC, la fase dispersa aumenta le proprietà meccaniche del materiale, mentre è la matrice a conferire tenacità. Per ottenere una buona resistenza del composito è essenziale ottenere anche un buon legame tra fibra e matrice, che eventualmente può essere rinforzato rivestendo le fibre (con boro ad esempio). Questa operazione, oltre ad aumentare il legame interfacciale, impedisce eventuali reazioni tra fibra e matrice quando il materiale viene portato in temperatura. 149 VETRORESINA IN CAMPO NAUTICO Le imbarcazioni di vetroresina sono costruite impiegando stampi che danno la forma allo scafo, alla coperta e alle altre parti strutturali che successivamente dovranno essere assemblate per incollaggio. Le dimensioni delle imbarcazioni in vetroresina possono variare da pochi metri ad alcune decine di metri. Le imbarcazioni più grandi costruite in Italia sono quelle militari che non arrivano a cinquanta metri. In figura si riporta lo schema del ciclo produttivo, le cui operazioni sono descritte successivamente. 150 I MATERIALI I materiali impiegati sono di tipo diverso: o Stampi o Tessuti in fibra di vetro e fibre di vetro non tessute o Tessuti in fibra di carbonio o in fibra di altro tipo o Resine poliestere o Resine fenoliche o di altro tipo o Alcool polivinilico o Solventi o Gel-coat o Cere o Colle o Vernici o Legname, semilavorati e manufatti in legno o Materiali metallici, semilavorati e manufatti in metallo o Materiali , apparecchiature elettriche e elettroniche o Materiali e impianti da istallare o Dotazione per la navigazione Il materiale in arrivo è scaricato dai mezzi di trasporto, controllato e stoccato in magazzino. Nel magazzino generale sono custoditi anche utensili, oli e altre attrezzature necessarie per l’impiego delle macchine utensili impiegate nelle officine. Gli spostamenti dei materiali sono i seguenti: o Gru su rotaie gommate o Carrelli elevatori a forche o Furgoni su gomma COSTRUZIONE DELLO SCAFO E DELLA COPERTA Lo scafo e la coperta sono prodotti su stampo come già detto. Gli stampi devono essere preparati stendendo alcool polivinilico e cera sulla loro superficie per facilitare 151 il distacco del manufatto quando l’operazione di formatura è completata. La successiva operazione è la stesura di gel-coat su tutto lo stampo in modo che la superficie esposta abbia un grado di finitura superiore a quello ottenibile con la resina. Si inizia quindi la stesura dei teli tessuti in fibra di vetro che si impregnano con resina poliestere multistrato e stirolo. L’operazione consiste nell’alternare la stesura di un telo e l’impregnazione con resina. La resina può essere somministrata con rulli orientati a mano o con macchine impegnatrici. Durante tali operazioni inizia la polimerizzazione dello stirolo con conseguente indurimento del manufatto che si sta formando. La stesura del telo e la successiva impregnazione sono ripetute un numero di volte tanto maggiore quanto più alto è lo spessore che si vuole dare al manufatto. Per la costruzione di scafi di piccole dimensioni e di non grandi qualità la formatura si realizza proiettando una sospensione di fibre e resina sullo stampo preparato come già detto. Con tale tecnica le fibre impregnabili sono di lunghezza contenuta ed il manufatto ottenuto a parità di spessore avrà una rigidità ed una resistenza minori di quello fabbricato con l’uso dei teli tessuti impregnati di resina mediante rulli. FINITURA Il manufatto formato può essere distaccato dallo stampo dopo alcune ore affinché il processo di polimerizzazione sia completato e la rigidità abbia raggiunto il valore desiderato. Lo scafo e la coperta devono essere rifiniti con operazioni di taglio, di molatura e di sagomatura sulle parti che devono essere assemblate con altri componenti per incollaggio. 152 INCOLLAGGIO Lo scafo è unito alla tuga (o coperta) per incollaggio; con medesimo sistema sono assemblati anche altri pezzi minori come il quadro di comando, la torretta, o altre strutture costruite separatamente. L’operazione di incollaggio è predisposta preparando le superfici con la finitura (già vista) ed una preliminare pulizia sia meccanica che con solventi. Le colle sono stese manualmente ed i pezzi accoppiati con l’ausilio di gru e carro ponti. COSTRUZIONE DEGLI INTERNI La costruzione degli interni e la coibentazione antirumore sono operazioni eseguite con l’imbarcazione a terra sullo scalo. Il caricamento del materiale è effettuato con l’aiuto di gru o di carroponti. Gli interni sono realizzati prevalentemente in legno, per limitare il peso e perché è un materiale isolante; possono tuttavia essere impiegati altri materiali capaci di conservare le proprie caratteristiche in ambiente marino. ALLESTIMENTO L’allestimento di una nave con gli impianti meccanici, igienici, frigoriferi nonché con il sistema di propulsione è eseguito con l’imbarcazione a terra sullo scalo. Il caricamento dei componenti degli impianti è effettuato con l’ausilio di gru e di carroponti. VERNICIATURA Le superfici rifinite con gel-coat non hanno bisogno di ulteriore protezione o finitura con vernici; soltanto la parte sommersa deve essere protetta con pittura antivegetativa. Gli interni, le parti in legno o altre parti metalliche devono essere protette con vernici resistenti all’ambiente marino. 153 TAGLIO In alcune fasi della costruzione è stato citato l’impiego di teli di vetroresina per la formazione delle strutture dell’imbarcazione e di pannelli di poliuretano (o materiale equivalente) per la coibentazione degli ambienti. Sia gli uni che gli altri spesso devono essere tagliati per essere adattati alla forma dello stampo o della parete. Occorre quindi un attrezzatura specifica per il taglio, che sarà eseguito in un reparto dedicato. Il telo o il panello è portato su un tavolo dove, seguendo una sagoma-modello, è tagliato a mano o con una macchina a tagliare. Gli sfridi sono raccolti ed eliminati come rifiuti. 154 STRUTTURE A NIDO D'APE II nido d'ape è costituito essenzialmente da fogli sottili, opportunamente sagomati e collegati in modo da fornire una struttura formata da tante cellette non dissimile dal favo delle api (da cui il nome). Per la loro manifattura le tecniche più in uso sono due: la tecnica dell'espansione e quella del corrugamento. II metodo dell'espansione è usato sia per materiali metallici che non metallici. Consiste nel porre dell'adesivo lungo delle strisce dei fogli, ammassarli e curare il blocco, così ottenuto, sotto pressione e ad elevata temperatura. Se si usano fogli in lega di alluminio, prima di apporvi l'adesivo, si procederà ad una pulitura e ad un trattamento anticorrosione. Dopo la cura il blocco è rimosso dalla pressa ed è pronto per l’espansione. Per materiali non metallici il discorso é del tutto analogo e, al contrario dell'alluminio, non ci sarà bisogno di alcun trattamento. II metodo del corrugamento è usato per materiali di spessore più elevato e destinati per lo più alle alte temperature di esercizio. Si fa passare il foglio attraverso dei rulli al fine di sagomarli nella maniera voluta; applicato l'adesivo nei nodi, si sovrappongono le strisce così trattate in modo da ottenere un blocco dello spessore desiderato. Per le temperature di esercizio più elevate, e per core in metallo, al posto dell'adesivo si può ricorrere alla brasatura o alla saldature per resistenza. In linea di principio il nido d'ape può essere costruito a partire da fogli di qualsiasi materiale. In pratica si fa ricorso, per i materiali metallici: all'alluminio, all'acciaio inossidabile, al titanio, a leghe a base di nichel; mentre per i non metallici si fa ricorso al Nomex e a tutta una serie di compositi plastici. In campo aeronautico sono molto richieste le leghe di alluminio trattate e i compositi epossidici con rinforzi in Kevlar per via del basso coefficiente di dilatazione termica. 155 Generalmente con il nido d’ape si realizzano i così detti pannelli sandwich. Un tipico pannello sandwich è costituito da due sottili laminati (pelli) in materiale resistente (lamiere di alluminio o composito) separate dall’anima a bassa densità (nido d'ape) con spessore da 0.25 mm a 13 mm; sono collegate tramite saldature o adesivi di vario genere. funzione di allontanare dal piano neutro le pelli, migliorando le proprietà elastiche flessionali del laminato; in questo modo è possibile ottenere un manufatto dal peso contenuto. Gli elementi dei sandwich, presi singolarmente, non presentano grandi proprietà meccaniche: sono flessibili e poco resistenti; ma una volta assemblati danno vita ad una struttura L'anima ha la molte rigida, forte e al tempo stesso leggera. Si vuole infine ricordare che gli utilizzi dei pannelli sandwich non sono limitati al solo campo strutturale; le loro proprietà isolanti e la caratteristica di assorbire energia fanno di essi dei prodotti adatti alle più svariate applicazioni. Ad esempio, trovano impiego nel settore ferroviario: - Cabine dei veicoli ferroviari; - Componenti interni come sedili, pennellature. 156 157