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Università degli studi di Milano Facoltà di Medicina e
Università degli studi di Milano
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di laurea in Educazione Professionale
TOC, TOC! CHI E’? ….SONO IL LUPO CATTIVO!
Approccio educativo in medicina
Candidata: Laura Gagliardi
Relatore: Prof. Giorgio Sordelli
Matricola: 633606
Anno Accademico 2003/04
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
INDICE
Introduzione.......................................................................................................... 3
1
2
MAMMA, HO PAURA! ............................................................................. 6
1.1
Cosa significa avere paura .................................................................. 6
1.2
Alcune scuole di pensiero ................................................................... 9
1.3
Immaginario collettivo rispetto alla paura ..................................... 15
1.4
Paura… un’unica accezione? ............................................................ 17
1.5
Il vissuto di paura nel bambino........................................................ 20
1.6
Superare le paure da bambini........................................................... 24
L'OSPEDALE: UNA CASA CON TANTE FINESTRE....................... 30
2.1
La malattia ........................................................................................... 30
2.2
Malessere
a
occidente:
Immaginario
collettivo
rispetto
all'ospedale e alla malattia ............................................................................ 32
3
2.3
Il bambino e la malattia ..................................................................... 34
2.4
Il bambino e l'ospedale ...................................................................... 43
2.4.1
primo fattore: scarsa familiarità con l’ambiente .................... 51
2.4.2
secondo fattore: paura di essere separati dai genitori........... 53
2.4.3
terzo fattore: l’età........................................................................ 55
2.4.4
quarto fattore: il dolore delle cure fisiche ............................... 59
2.4.5
quinto fattore: un ospedale non a misura di bambino.......... 61
PREVENIRE LA PAURA DEL LUPO CATTIVO ............................... 63
3.1
La paura del lupo cattivo non ancora incontrato........................... 63
1
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
3.2
Cosa significa prevenire .................................................................... 66
3.3
Diversi modi di fare prevenzione .................................................... 68
3.4
Prevenire un emozione… E' possibile? ........................................... 72
3.5
Chi non ha paura del lupo cattivo?.................................................. 75
3.6
Conoscere il lupo che ti spaventa: la preparazione al ricovero
come misura preventiva ................................................................................ 78
3.7
4
Un approccio interdisciplinare alla prevenzione........................... 86
L'EDUCATORE
PROFESSIONALE:
un
personaggio
ALL'INTERNO DI QUESTA FAVOLA ........................................................ 89
4.1
Perché l’educatore? ............................................................................ 89
4.2
L'EP a confronto con il proprio modo di vivere la malattia e il
dolore 99
4.3
L’adulto incontra il bambino .......................................................... 102
4.4
Gioco e fantasia per superare le paure .......................................... 106
4.5
EP: prevenzione tra i banchi ........................................................... 111
4.6
EP: intervento in corsia .................................................................... 115
4.7
EP: promotore del cambiamento della cultura ospedaliera nei
confronti del bambino (dentro e fuori l'ospedale)................................... 125
4.8
La tutela psichica dell’educatore professionale ........................... 130
Conclusioni........................................................................................................ 134
Ringraziamenti.................................................................................................. 136
Bibliografia ........................................................................................................ 138
2
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Introduzione
Nella nostra società il tema della malattia è un tema che rimane ancora
troppo spesso sullo sfondo. E’ un’esperienza che accompagna la nostra
esistenza ma rimane un argomento di cui parliamo molto poco.
L’adulto fatica a parlare di questo tema e i bambini, a loro volta, non si
sentono legittimati a comunicare le loro paure rispetto a questo evento.
Questa tesi vuole essere un’occasione per comprendere con maggiore
chiarezza
il
significato
che
un’esperienza
di
sofferenza
e
di
ospedalizzazione ha nella nostra vita, e l’’importanza che può avere la
preparazione al ricovero per la prevenzione di un possibile trauma.
Nel corso del terzo anno accademico ho svolto tirocinio collaborando ad
un progetto della Provincia di Milano che si occupa del bambino
ospedalizzato: “Volare Sempre: il bambino in ospedale”. E’ stata questa
esperienza che ha determinato la scelta dell’argomento della tesi.
All’interno di questa esperienza mi sono posta molte domande: Perché si
ha paura della malattia e dell’ospedale? Perché si ha paura di parlare di
sofferenza? Cosa significa per un bambino affrontare la malattia? Cosa
significa per l’operatore vivere un’esperienza di sofferenza e in che modo
può influenzare la relazione educativa? Il bambino e i suoi genitori hanno
bisogno anche di un sostegno diverso all’interno dell’ospedale? E’
3
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
possibile prevenire il trauma del ricovero? E soprattutto: che ruolo può
avere l’educatore professionale all’interno di questa esperienza?
Tutti questi quesiti sono stati indispensabili per poter affrontare il tirocinio
con consapevolezza e sono gli stessi che mi hanno accompagnato nella
stesura di questa tesi.
Nel primo capitolo sono andata ad analizzare il significato della paura
presentando una panoramica delle teorie di alcune scuole di pensiero, per
poi porre l’attenzione sull’importanza che la nostra società dà a questa
emozione.
Mi sembrava importante capire quale ruolo avesse la malattia nella nostra
cultura per poter comprendere i comportamenti dei singoli individui; così
nel secondo capitolo sono partita dall’immaginario collettivo per poi
andare a comprendere il significato della malattia per il bambino,
ponendo
l’attenzione
sulle
difficoltà
che
un’esperienza
di
ospedalizzazione comporta.
Dopo avere esplorato nei primi due capitoli l’emozione della paura e il
concetto di malattia e ospedalizzazione, mi sono concentrata nel terzo
sulla prevenzione partendo da un quesito: è possibile prevenire il trauma
del ricovero? All’interno di questo capitolo ho cercato di dare delle
risposte a questa domanda partendo dalla premessa, per me importante,
che una preparazione al ricovero può aiutare a vivere con meno timori e
meno ansia l’esperienza stessa.
4
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
La tesi si conclude con il quarto capitolo; un capitolo interamente dedicato
alla figura dell’educatore professionale: Quale ruolo all’interno di questa
esperienza? Come incontrare il bambino e i suoi genitori? Come essere un
punto di riferimento? Come collaborare con altre figure professionali?
Ho individuato due possibili ambiti di intervento dell’educatore:
l’intervento in corsia per aiutare il bambino e la sua famiglia a vivere più
serenamente l’ospedalizzazione, e l’intervento a scuola per mettere in atto
un progetto di prevenzione indipendentemente da un possibile ricovero.
Ho cercato di mettere in evidenza le difficoltà nell’inserire un pensiero
pedagogico in un contesto che è per eccellenza dedicato alla cura del fisico
e della malattia, ma allo stesso tempo ho cercato di porre l’attenzione
sulla possibilità e l’importanza di questa preziosa collaborazione per una
presa in carico globale del bambino e della sua famiglia.
5
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
1 MAMMA, HO PAURA!
1.1 Cosa significa avere paura
…La paura è un’emozione che colpisce in misura variabile ogni essere
umano lasciando molto spesso delle tracce indelebili nella sua mente..1
La paura è l’emozione più vecchia del genere umano; è un’emozione
insostituibile nella vita di ogni individuo, non esiste essere umano privo di
questo elemento.
Avere paura di qualcosa significa vedere in esso un potenziale pericolo,
un oggetto che in qualche modo ci disturba e ci turba.
Alla base c’è un meccanismo fisiologico. Gli stimoli minacciosi attivano
l’ipotalamo la cui parte posteriore porta alla liberazione di ormoni che
stimolano la ghiandola ipofisi a produrre un ormone (ACTH)che si riversa
nel sangue: questo ormone induce i surreni a produrre un altro ormone
(ACH).
Sarebbe riduttivo però spiegare la paura solo in termini fisiologici in
quanto si tratta di un’emozione che coinvolge l’intera personalità e quindi
anche il modo di pensare dell’individuo.
1
Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980, p.13
6
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Molte paure sono il prodotto dell’osservazione, dell’esperienza diretta, ma
altre scaturiscono dall’immagine che ci siamo costruiti di quel determinato
oggetto; un immagine che non necessariamente corrisponde alla realtà
oggettiva, un’immagine costruita con i racconti degli altri, con le
informazioni che siamo riusciti a captare, con i pensieri che abbiamo
elaborato.
Ci sono nell’uomo delle paure “innate”, che vengono in qualche modo
tramandate da generazione in generazione e che sopravvivono nel nostro
tempo “razionale e scientifico”. Nel corso della storia è sempre stata
presente la paura del buio, dell’ignoto, della morte; si trattano di paure
arcaiche che, nonostante si siano cercate delle strategie per placarle,
continuano comunque ad esistere.2
Le emozioni e quindi anche la paura possono essere espresse con atteggiamenti
fisici: “l’individuo in preda alla paura ha gli occhi sbarrati (oppure chiusi, serrati),
le pupille dilatate, le orecchie tese o tappate con le mani. Il soggetto pauroso ha la
pelle d’oca o sudorazione intensa, la testa in fiamme, il cuore a mille, le mani
2
Cfr. Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e
percorre la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984
7
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
tremanti e sudate….. ogni individuo è un caso di paura a sé. Ciò nonostante,
alcune manifestazioni sono uguali per tutti.”3
L’intensità dei sintomi dipende non solo dall’emotività dell’individuo, ma
anche dalla cultura nella quale è inserito; in alcune culture viene insegnato
ai bambini la manifestazione delle proprie emozioni, in altre invece no.
Sono tre principalmente le reazioni dell’individuo di fronte alla paura: o ci
si blocca davanti all’oggetto incapaci di compiere qualsiasi movimento o
qualsiasi tentativo di superamento; o si “corre” verso l’oggetto per
incontrarlo e “batterlo” faccia a faccia; oppure lo si evita a priori, ossia, si
conosce l’oggetto e si fa di tutto per non incontrarlo.
3
Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”,
Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.24
8
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
1.2 Alcune scuole di pensiero
… E persino un’emozione in apparenza così primordiale come la paura si
può definire in modi estremamente diversi e caricare di significati
altrettanto diversi.4
Ansia e paura spesso vengono usate da molti autori come sinonimi, in
quanto appartengono entrambe alla stessa area emozionale. Altri invece le
distinguono nettamente.
Così come noi le percepiamo, l’ansia è molto simile alla paura; delle due la
paura è quella considerata più specifica, dettata da un preciso stimolo,
mentre l’ansia è più generica, è uno stato emotivo diffuso, originato da
stimoli neutri.
Alcuni autori ritengono che l’ansia sia uno stato più complesso della
paura, non solo in quanto si estingue più lentamente ma anche perché è
una combinazione di diversi stati emotivi, tra cui la paura stessa, il
disagio, la rabbia e la vergogna.
4
Clara Gallini in “Storia e paure. Immaginario collettivo, riti e rappresentazioni della
paura in età moderna.” A cura di L.Guidi, M.R Polizzari, L.Valenzi, Milano, Franco
Angeli, 1992, p.30
9
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
La distinzione tra queste due emozioni non è sempre possibile, soprattutto
quando sono i bambini a provarle. Il fanciullo non riesce a distinguere se il
pericolo arriva dall’esterno o dall’interno, se è reale oppure immaginario.5
Vi sono diverse teorie che spiegano la reattività alla paura: ci sono ipotesi
ambientalistiche (Watson) e costituzionali (Freud e la psicoanalisi). Vi
sono poi autori come Bowbly, che si schierano per una versione “mista”.
Uno dei primi psicologi che iniziò a studiare i meccanismi della paura fu
Watson, nel 1920 che condusse un esperimento su un bambino di nome
Alberto di undici mesi. L’esperimento consisteva nell’indurre nel fanciullo
la paura di un animale peloso associandone la presenza di un forte
rumore. Watson riuscì in questo modo a estendere uno stato di paura
originariamente collegato a una situazione disturbante (rumore) a uno
stimolo neutro o addirittura piacevole (coniglio). Secondo l’autore, il solo
meccanismo del condizionamento spiega il formarsi di paure e fobie che
altrimenti apparirebbero immotivate.
L’esperimento svolto dall’autore comportamentista fu ripetuto da altri che
evidenziarono alcuni aspetti: Valentine (1930) si accorse che non era
possibile trasferire lo stato di paura da un forte rumore a qualsiasi oggetto
neutro (ad esempio un binocolo); in questo modo
5
consentì di
Cfr Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, Editore Borighieri, 1980
10
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
comprendere che tra la paura e ciò che la suscita il rapporto non è così
arbitrario.6
Altri studiosi notarono che vi erano delle variabili che Watson non aveva
considerato: il bambino probabilmente viveva un’insicurezza dovuta
all’isolamento che l’esperimento richiedeva e che ciò aumentava la paura;
oppure che Alberto era cresciuto in un ambiente ospedaliero e che per
questo motivo poteva avere sofferto di carenze affettive che probabilmente
lo rendevano emotivamente più fragile.
Tutti questi elementi rilevati dopo l’esperimento stanno ad indicare come
il fenomeno della paura sia un evento molto più complesso di quanto non
pensasse in un primo momento Watson.
La teoria di Freud e della psicoanalisi era decisamente diversa da quella
presentata da Watson.
La psicoanalisi considera infatti le situazioni temute all’esterno come una
rappresentazione di timori e tensioni che invece avvengono nel mondo
interiore.
Secondo Freud, mentre è possibile sfuggire agli stimoli esterni è invece
impossibile farlo per quelli interni. Secondo questa teoria, le paure
infantili sono degli stati emotivi conseguenti al timore di perdere l’oggetto
libidico su cui vengono proiettate le proprie tensioni interne. Quando
6
Cfr Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980
11
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
l’individuo si accorge di non essere più in grado di calmare l’eccitazione
libidica che proviene dal proprio interno, orientandola su un oggetto in
grado di soddisfarla, viene pervaso dall’ansia, che è la risposta dell’Io a
uno stato incombente di pericolo.
La Klein, che accetta la teoria pulsionale di Freud, elabora una teoria
secondo cui l’angoscia nasce dalla “pulsione di morte” che si trova nel
nostro organismo.
Sia Freud che la Klein ritengono che a seconda dei soggetti ci siano delle
differenze nella quantità dei bisogni libidici o nell’intensità della pulsione
di morte. Queste differenze determinano in alcuni soggetti una maggiore
interdipendenza o “angoscia da separazione”.
Freud fa una distinzione tra “angoscia reale” e “angoscia nevrotica”. La
prima, più comunemente chiamata “paura” riguarda un pericolo che
conosciamo, un pericolo ben determinato, e che scompare con la
scomparsa dello stimolo percepito come pericolo.
La seconda, più comunemente chiamata “ansia” è dettata da un pericolo
indefinito o che non conosciamo, come ad esempio la paura dell’oscurità,
dell’esser soli, dell’estraneità. Questa angoscia, secondo Freud è uno stato
soggettivo dovuto a carenze personali, a impulsi o norme morali da cui
derivano disagi e sensi di colpa.
Per Bowbly la teoria psicoanalitica sulla paura è oscura e imprecisa:
12
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
“Noi sosteniamo che, ben lungi dall’essere fobica o infantile, la tendenza a
temere tutte queste situazioni comuni va considerata come una disposizione
naturale dell’uomo, anzi come una disposizione naturale che in una certa
misura lo accompagna dalla nascita alla vecchiaia, e che egli ha in comune
con gli altri animali di molte specie. Pertanto ciò che è patologico non è la
presenza di tale tendenza nell’infanzia o nel seguito della vita, una
condizione patologica sussiste quando tale tendenza appare assente o
quando tale paura insorge con facilità o intensità insolite.” (Bowbly, 1975)
C’è anche chi non accetta la tesi secondo cui l’angoscia sarebbe legata a
qualcosa di immaginario, che <<non è in nessun luogo>>, secondo una
definizione data da Heidegger; al contrario, scrive Heller, “avrà ansia,
angoscia, colui per cui sono vissuti come pericolosi molti di quegli stimoli che per
gli altri non lo sono.. non è vero che l’ansioso ha paura del nulla, egli ha paura di
tutto”. 7
Per Heller quindi l’ansia, o angoscia, è una forma di paura; una paura
particolarissima che si può superare.
Secondo Rank esistono in ognuno di noi due paure: la paura di vivere e la
paura di morire.
7
Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre
la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984, p.22
13
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
La prima emerge dal desiderio di non essere separati dalle cose e dalle
persone che ci proteggono e dal rifiuto del cambiamento, delle novità. La
seconda invece emerge dalla voglia e dal desiderio di rendersi
indipendenti, autonomi.
Quando prevale la paura della vita, il soggetto svilupperà una personalità
conformista non riuscendo a esplicare le proprie qualità e realizzare il suo
progetto di vita. Se prevale invece la paura della morte, la paura della vita
viene soffocata la persona assume comportamenti nevrotici, esaltati e non
trova un modo accettabile per interagire con gli altri. Secondo Rank
entrambe le personalità sono patologiche e individua nell’”artista” la
persona veramente matura. Artista inteso non solo come colui che riesce
ad avere un approccio all’arte ma anche colui che riesce ad avere un
approccio creativo alla vita. L’artista riconosce entrambe le paure: sa
minimizzarle e dominarle, questo gli permette di realizzare il proprio
progetto di vita e allo stesso tempo di rapportarsi con i propri simili
suscitando accettazione e rispetto. L’artista non si conforma ma non
respinge nemmeno a priori gli schemi interpretativi degli altri, può
modificare gli schemi che trova all’esterno così come può esserne
modificato.
14
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
1.3 Immaginario collettivo rispetto alla paura
“L’importante non è avere paura della paura… un uomo privo di paura non
è che un uomo normale. Gli manca qualche cosa. Gli manca – protettiva o
distruttiva che sia- una Madre. Non c’è paura senza speranza e non c’è
speranza senza paura, diceva Spinoza. Perciò non respingiamola, la paura.
In fondo, siamo tutti suoi figli.”8
Spesso nella nostra cultura l’emozione della paura viene etichettata come
emozione tipicamente femminile: quando un uomo teme qualcosa viene
soprannominato “femminuccia”.
E proprio per questo invece di farla emergere e parlarne insieme, la si
nasconde e la si reprime. Ovviamente questo comportamento, in quando
educatori dei nostri figli viene trasmesso loro.
L’uomo si sente inferiore alla paura: per questo se ne vergogna e non ne
parla; nella nostra cultura si è più apprezzati se si dichiara di non avere
paura.
E’ un’emozione che paralizza, che impedisce lo svolgimento delle normali
attività, che fa paura: per questo si fatica anche a parlarne.
8
Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre
la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984, p. 172
15
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Anche i bambini faticano a trovare nell’adulto un buon ascoltatore, e
spesso invece di esprimerla, la nascondono per timore di essere presi in
giro o di non essere capiti.
L’adulto dovrebbe essere l’esempio per i bambini: l’adulto che parla di
paura legittima il bambino a farlo a sua volta.
Questo comportamento è visibile soprattutto nella nostra società; una
società in cui l’uomo contemporaneo, tecnologico e scientifico, cerca di
trovare sempre delle soluzioni razionali per fronteggiare le paure. La
nostra civiltà ci ha portati ad un attesa del razionale che ci porta a trovare
una spiegazione a tutto, anche a ciò che non conosciamo.
Bisognerebbe però avere la consapevolezza che l’atteggiamento razionale,
anche se controlla ampi spazi della nostra esistenza, non riesce a dare una
risposta a tutto.9
Nonostante questo però, nella società si avverte il bisogno di condividere
alcune paure, quasi per ricercare un conforto collettivo, dischiudendo il
privato e renderlo pubblico.
Un esempio potrebbe essere la paura della morte, che nonostante sia
comunque un tabù per la maggior parte delle persone, si avverte il
9
Cfr. Anna Oliverio Ferrarsi in “Storia e paure. Immaginario collettivo, riti e
rappresentazioni della paura in età moderna.” A cura di L.Guidi, M.R Polizzari,
L.Valenzi, Milano, Franco Angeli, 1992
16
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
bisogno di “metterla in comune” e di condividerla con altri. La società
permette in questo modo di sviare e trasporre una serie di ansie e paure
che il singolo individuo non può affrontare isolatamente.10
1.4 Paura… un’unica accezione?
Un mondo senza paure è solo un’illusione, anzi, un’utopia negativa.
Un’educazione protesa a tener lontana qualsiasi paura rende i bambini
incapaci di affrontare la vita tanto quanto un’educazione oppressiva che fa
leva sulle minacce.11
Non tutte le paure sono dannose e disorganizzanti: ci sono paure positive
che hanno reso possibile la sopravvivenza dell’uomo.
La Natura ci ha dato la possibilità di percepire una serie di stimoli e di
interpretarli come pericolosi.
La paura è l’emozione che ha reso possibile la sopravvivenza dei popoli,
in quanto possiede la funzione di salvaguardia. Si tratta infatti di una
preparazione psicologica e intellettuale necessaria per affrontare e
comprendere realisticamente una situazione di pericolo…. Si tratta di una
10
Cfr. Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980
11
Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri
figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.25
17
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
reazione inerente alla nostra natura che consente all’individuo di sfuggire
provvisoriamente alla morte…12
L’evoluzione della specie umana, il suo sviluppo storico e culturale, sono
stati influenzati profondamente dal “bisogno di sicurezza”, in altre parole
dalla paura. “L’invenzione è figlia dell’angoscia”, disse Jacques Brill: la
conquista del fuoco segnò una svolta decisiva nella vicenda umana e tra
l’altro servì a combattere la paura del buio.
Alcuni autori fanno notare che oltre alle paure che paralizzano esistono
anche
quelle che attivano l’energia, che danno una spinta verso
l’adattamento e verso la consapevolezza del pericolo; paure quindi che
stimolano, che eccitano la curiosità e che rendono intraprendenti.13
La paura vitale, funzionale, quella “adeguata” al pericolo, a differenza di
quella patologica che indebolisce, è accompagnata da strategie costruttive
per il superamento, dà un senso di forza e potenza e permette di andare
incontro al mondo in modo stimolante, costruttivo e creativo.
Quando la paura diventa un ostacolo alla maturazione e impedisce una
vita normale dell’individuo perde la sua funzione biologica e tutto il suo
12
Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980, p.20
13
A questo proposito si veda anche Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”,
Torino, editore Borighieri, 1980
18
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
valore protettivo, diventando così solo un ostacolo: un fastidioso e faticoso
ostacolo.
Ansia e paure quindi possono avere un duplice effetto: salvarci dal
pericolo, oppure bloccare le nostre capacità. Il primo è utile, necessario per
la sopravvivenza, indispensabile; il secondo invece ci immobilizza, è una
forma degenerativa del primo che può instaurarsi in conseguenza a
esperienze traumatiche, errori educativi, perdite, minacce ecc. La modalità
corretta sarebbe quella in cui si riesca a trovare un giusto equilibrio e un
funzionamento
ottimale
delle
proprie
emozioni
in
modo
da
padroneggiarle e utilizzarle in modo costruttivo.14
14
Cfr Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980
19
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
1.5 Il vissuto di paura nel bambino
“La prima reazione di paura nel bambino si nota di solito quando si rende
conto che persone e in seguito oggetti, luoghi e situazioni sono estranei.”15
I bambini, in quanto in fase di formazione e per questo con una
personalità non definita sono più contagiabili rispetto agli adulti. I
bambini non si spaventano solo quando si trovano davanti al pericolo, ma
anche quando percepiscono negli altri segnali di paura.
Per cui basta vedere nell’adulto significativo segni di timore, di ansia e di
paura per percepire anch’essi la medesima emozione. Alcune paure sono
utili (come ad esempio la paura delle prese della corrente, degli incendi,
del traffico..), altre invece non lo sono e vengono acquisite solo perché
l’adulto le sta vivendo e le sta comunicando.
La paura però non emerge solo in presenza di uno stimolo pericoloso, ma
anche in assenza di una determinata realtà. Per cui un bambino che viene
allontanato dal contesto familiare, privato quindi delle figure di
riferimento, può sentirsi impaurito e ansioso. Il superamento dell’assenza
dà più sicurezza al bambino, ma nel momento in cui la vive lo confonde.
15
Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con
l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, P.74
20
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
C’è da considerare anche una dimensione evolutiva della paura: esistono
paure tipiche dell’infanzia, della fanciullezza, dell’adolescenza e anche
dell’età matura e della vecchiaia.
Per quanto riguarda i bambini nei primi cinque anni di vita, le situazioni
che provocano reazioni allarmanti sono:
1) Tra i tre-quattro mesi e i tre anni :
I rumori forti, il dolore, l’accostarsi rapido di oggetti, l’altezza,
l’isolamento e i bruschi cambiamenti di illuminazione che diminuiscono
gradualmente nell’età successive.
In questa prima esperienza di paura il bambino viene colto di sorpresa.
2) A partire dalla seconda metà del primo anno di vita e per tutto il
secondo:
Inizia verso i due anni la paura di perdere l’amore ed essere punito, con il
conseguente senso di colpa che può essere una minaccia più pericolosa
della separazione in sé.
Soprattutto verso il terzo anno il bambino è molto sensibile a queste
punizioni e ricoveri, che per lui significano privazione dell’amore e rifiuto
di tutta la sua persona.
In questa età la paura dell’ignoto e della separazione sono frequenti,
anche queste paure diminuiscono dopo i tre anni.
21
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
3) Intorno ai venti- ventiquattro mesi fino ai cinque- otto anni:
La paura per gli animali e per il buio sono più frequenti e raggiungono la
punta massima verso gli otto anni.16
Gli studi sull’ontogenesi della paura nei bambini dimostrano che questa
emozione non appare chiaramente se non dopo il primo anno di vita.
Questi dati non possono essere definitivi, in quanto in età precoce è
difficile distinguere il disagio dalla paura.
Il bambino ricorda più a lungo le esperienze spiacevoli e l’immaginazione
che via via diventa sempre più ricca può far nascere timori e ansie per
qualcosa che hanno sentito nominare e discutere da altri, senza nemmeno
conoscere l’oggetto in questione, acquisendo così la capacità anticipatoria
di immaginare pericoli incombenti.
E’ frequente nel bambino il processo di generalizzazione della paura, che
si discosta dall’oggetto originario: ad esempio un bambino che si spaventa
durante una visita medica, potrà estendere lo spavento a tutte le persone
che indossano un camice bianco.
Ad ogni età ognuno ha una particolare “disponibilità” alle paure. Verso i
sei- undici anni alcune paure dell’infanzia vengono padroneggiate e
16
Questa suddivisione delle paure è tratta da “Psicologia della paura” di Anna Oliverio
Ferrarsi, Torino, editore Borighieri, 1980, p.74-75
22
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
superate e ne nascono altre, in relazione allo stato di maturazione
cognitiva. Diminuiranno le paure per i rumori, le luci, il buio e
aumenteranno ad esempio quelle dei danni fisici, come le amputazioni, le
ferite.
Anche nell’adolescente sono presenti delle paure, che spesso non si
notano. L’adolescente teme la morte, il dolore, la sofferenza: paure che
accompagnano l’uomo durante tutta la sua esistenza.
Soprattutto in questa fase così delicata come l’adolescenza il ragazzo teme
le ferite, le amputazioni; teme le esperienze che in qualche modo vanno a
modificare provvisoriamente o definitivamente il suo corpo che è già in
continuo cambiamento.
23
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
1.6 Superare le paure da bambini
“…<<un tempo>> dice Francesco ridendo <<avevo paura dei coccodrilli.
Erano sdraiati sotto il mio letto. E dovevo stare attento che non pendesse
nulla fuori dal letto. Non avevo il coraggio di andare da nessuna parte. Ma a
un certo punto m’è venuta un’idea. Io sapevo che mangiavano moltissimo.
Era per questo che mi volevano a tutti i costi. Allora ho distribuito attorno
al letto degli Smarties. Avrebbero mangiato quelli per primi. Così non
avrebbero più avuto fame e non mi avrebbero mangiato. La mattina dopo
però gli Smarties erano ancora tutti lì. Così ho pensato, ma qui non ci sono
coccodrilli e me li sono mangiati tutti io. Mi è venuto un terribile mal di
pancia. Allora ho pensato che i coccodrilli non li avessero mangiati perché
non volevano stare male. Dunque i coccodrilli c’erano veramente. Il giorno
dopo ho messo attorno al letto della cioccolata. Ma quando il mattino dopo
l’ho vista ancora lì mi sono detto, non possono essere così schizzinosi. Allora
non ci sono coccodrilli sotto il mio letto!>>” 17
E’ proprio così che il bambino supera le paure: con i propri tempi, i propri
spazi e soprattutto con le proprie modalità; i bambini inscenano la paura,
le danno un volto.
17
Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri
figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.17
24
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Anche se ogni bambino ha il proprio modo di elaborare le paure possiamo
dire che la fantasia e le magie siano
le strategie che per eccellenza
appartengono al mondo infantile.
Bisogna ricordare che il bambino ragiona per immagini, così anche mostri,
ombre e banditi immaginari possono essere reali tanto quanto la realtà
stessa che lo circonda.
Non serve quindi razionalizzare, nemmeno minimizzare e tantomeno
drammatizzare le paure.
Spetta al bambino definire il momento in cui elaborare una paura e la
decisione di quanto tempo gli occorre per poterle vincere: non sempre il
bambino è pronto ad ascoltare quello che l’adulto gli vuole dire; ci sono
risposte “razionali” che non sempre e non in tutti i casi il bambino vuole
sentire. A volte infatti, le idee elaborate dagli adulti non tengono conto del
livello di sviluppo del bambino e invece di essere di aiuto sono
un’ulteriore elemento di confusione e di timore dal quale i bambini si
difendono mostrando opposizione netta ai suggerimenti dei genitori. Con
questo non vuol dire che allora l’adulto debba essere un compagno muto;
il bambino ha bisogno di parole corroboranti quando la strada si rivela a
fondo cieco.
Il bambino ha bisogno di superare le proprie paure con i propri tempi e
con un adulto al suo fianco: un adulto che non si sostituisca al fanciullo,
che non superi le paure al suo posto, ma che sia “semplicemente” il suo
25
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
collaboratore. Si tratta quindi di un adulto non invadente, non intrusivo,
non superiore, ma bensì un accompagnatore che lo ascolti con
partecipazione, che lo ami e che non lo faccia sentire solo, che lo incoraggi
ma che non lo opprima. Un adulto disposto ad utilizzare il suo linguaggio,
a credere a ciò che racconta, a dare informazioni che il bambino vuole
sentire.
Il presupposto perché le paure possano essere superate è che il bambino
partecipi con la propria fantasia e la propria creatività al processo di
elaborazione: fronteggiarle e superarle con mezzi propri (a volte inusuali),
aumenta la stima di sé, la sicurezza, l’affermazione della propria identità.
E in questo modo il bambino impara che le paure fanno parte della vita e
che anch’egli è in grado di scacciarle.
Spesso basta una magia per scacciare una paura, solo che questa magia
può richiedere molto tempo e un linguaggio diverso, pieno di fantasia e
segreti; un linguaggio che spesso suscita stupore e meraviglia; un
linguaggio che troppo spesso l’adulto non riesce a percepire o addirittura
rifiuta.
La fase magica del bambino va dal quarto anno fino a gran parte del nono,
ma anche successivamente sono ravvisabili fenomeni di questo stadio di
sviluppo. Durante questa fase i bambini si percepiscono a metà tra
scienziati e maghi, tra ricercatori e artisti: ci sono cose che conoscono e di
cui conoscono il retroscena, ma ci sono anche delle lacune che riempiono
26
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
con la propria fantasia e immaginazione. Costruiscono personaggi,
inventano compagni immaginari, esseri invisibili che poi scompaiono,
trasformano eventi minacciosi e figure pericolose. Il bambino costruisce la
propria realtà interiore ed esteriore e la magia e i riti si trovano in lui
stesso.
Questo tipo di pensiero non è qualcosa di confuso ma bensì di ben
strutturato per il fanciullo; è una forma di intelligenza che permette ai
bambini di essere creativamente attivi e di comprendere così il mondo che
lo circonda e di superare paure e incertezze che ogni età evolutiva ha con
sé.18 E’ probabile che in questa fase il senso di colpa si colleghi
strettamente con la paura di perdere i genitori; spesso il bambino ha la
convinzione che i suoi comportamenti “errati” possano causare malattia e
morte dei genitori.
Prendendo
in
considerazione
questa
modalità
fantastica
per
il
superamento delle paure non si vuole escludere a priori qualsiasi mezzo
razionale e realistico e nemmeno negarne l’efficienza e l’importanza; si
voleva solo porre l’attenzione su una modalità che per il bambino esiste ed
è importante e che noi adulti spesso non capiamo.
18
Cfr., Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri
figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998
27
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
I bambini vedono mostri terribili per dare un volto alla propria paura e
sconfiggerla. Spesso in questa impresa si avvalgono dell’aiuto di un
peluche o di un amico invisibile , che è tale solo per l’adulto; per il
bambino l’amico invisibile è reale e per un determinato periodo è
inseparabile da lui. Il bambino in questo modo non sta fuggendo dalla
realtà, ma al contrario sta utilizzando questi personaggi (estremamente
importanti per il suo sviluppo emotivo) per tappare dei buchi nel processo
di apprendimento che è ancora lacunoso.19
<< Il papà non torna più!>>
<< Lo so! Ma qui si siede Mannich!>>
<< Chi, scusa?>>
<< Mannich! L’orso>> le risponde Vera sicura. E poi aggiunge: <<Lui
adesso abita qui!>>
<< Ma non lo vedo!>>
<< Non c’è bisogno che tu lo veda. Basta che lo veda io!>>20
19
Cfr., Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri
figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998
20
Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri
figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.178
28
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Così come la fantasia, anche il gioco aiuta il bambino ad elaborare
impressioni minacciose che incutono timore; nel gioco il bambino vive
un’intera gamma di emozioni e desidera confrontarsi con la paura, purchè
questo avvenga in maniera autonoma, con mezzi e tempi propri; cerca di
comprenderla
per
poterla
concettualizzare,
facendosi
coinvolgere
spontaneamente e obbedendo a regole da lui stesso stabilite.
I bambini parlano molto più spesso di paure di quanto noi non crediamo e
insieme le superano; l’emozione che il compagno sta vivendo viene presa
sul serio e ci si fa carico del superamento di quella realtà che sta
opprimendo l’amico.
29
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
2 L'OSPEDALE: UNA CASA CON TANTE FINESTRE
2.1 La malattia
“Si stabilisce il concetto di sano definendo ciò che è normale: malato è la
condizione alternativa. Rimane tuttavia da chiarire dove si trovi
esattamente il confine tra sano e malato, se sia possibile in assoluto
tracciarlo, e se non si debba piuttosto partire dal presupposto che una
persona sia più o meno sana o malata.”21
Il confronto con la malattia è difficile per ognuno di noi, in quanto può
cambiare tutta la vita, comprometterla o minacciarla. Spesso si tralasciano
i primi sintomi di malessere perché fatichiamo a confrontarci con essi per
paura di dover mettere in discussione una serie di certezze che abbiamo
costruito. Ammalarsi non significa solo subire un danno o un
cambiamento fisico, ma chiede all’individuo di confrontarsi con temi più
dolorosi come ad esempio la morte.
La perdita della salute, sia propria che altrui, produce diverse emozioni e
sentimenti come l’ansia, la paura, il panico, la solitudine, l’angoscia.
21
Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con
l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, P.78
30
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
La malattia è un’esperienza di separazione e di perdita del precedente
stato di benessere e da tutto ciò che questo significava e comportava per
l’individuo.
Essere malati è un evento globale; non significa solo mettere in discussione
la propria fisicità, significa anche rivedere legami, relazioni e fare i conti
con alcuni impedimenti che la malattia comporta. Sono proprio questi
impedimenti che potrebbero generare
nell’individuo sentimenti di
inferiorità, di svalutazione delle proprie possibilità e quindi anche delle
proprie capacità.
E’ importante quindi considerare le ricadute di tutto ciò
in ambito
psicologico e sociale.
Essere malati significa vivere un’esperienza che produce cambiamento, un
cambiamento che coinvolge il soggetto nella sua totalità, che modifica la
percezione di se stessi, del proprio corpo, che modifica le abitudini,
l’ambiente, le relazioni.
Non esistono risposte uniformi e scenari statici
di fronte a questa
situazione di emergenza: ogni individuo mette in atto tentativi soggettivi
di superamento della crisi.
31
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Ogni soggetto ha il diritto di vivere la malattia non come esperienza
svuotata di senso, ma come ad un tempo della propria vita a cui attribuire
significato.22
Una teoria di salute viene presentata da Aaron Antonowsky nel 1979 con
il modello continuo di salute/malattia secondo il quale l’individuo non è o
sano o malato ma piuttosto più o meno sano o malato.
2.2 Malessere a occidente: Immaginario collettivo rispetto
all'ospedale e alla malattia
“… un’idea di salute e di floridezza incentrata pressoché in modo esclusivo
sulla solidità e sulla turgidezza scintillante del corpo.”23
Nella nostra società la salute ha un gran valore, basta pensare che è la
prima cosa che si chiede quando non si vede qualcuno da parecchio tempo
e che ad ogni compleanno auguriamo “tanta salute”.
Di fronte al desiderio di apparire sempre più sani, robusti e belli, quasi per
scaramantica rassicurazione non parliamo della malattia, oppure, se ne
22
Cfr Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi
educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003
23
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.13
32
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
parliamo, facciamo solo dei fugaci ed imprecisi cenni ed utilizziamo non le
parole giuste, quelle corrette, ma eufemismi o circonlocuzioni o “giochi di
parole”; ed allora capita che nessuno pensi che sia possibile ammalarsi in
quanto, in questo mondo la sofferenza sembra non avere cittadinanza.
Infatti, se la evochiamo, lo facciamo solo con l’intima e forse anche
incoffessabile convinzione che tutto possa essere ridotto alla dimensione
della spettacolarità, l’unica in fin dei conti che abbia un senso ed un
significato e questo vale anche per la malattia e la morte.
Ed è proprio per una società industrializzata e attenta al rendimento che la
malattia riduce produzione e consumo e da ciò ne derivano enormi costi.
Per questo prevenzione e ripristino della salute hanno molta importanza.
33
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
2.3 Il bambino e la malattia
“Va anche detto che, connesso all’idea della malattia come espiazione di una
colpa, spesso insorge nel bambino malato il timore di venire abbandonato e
non aiutato, in una parola di essere lasciato solo.”24
Se la situazione di malattia comporta importanti squilibri per un adulto,
ancora più complesso è il problema quando ad ammalarsi è un bambino.
Nessuno meriterebbe di ammalarsi, ma quando capita ad un fanciullo,
l’ingiustizia sembra ancora più grave perché va a colpire chi si sta
avviando a vivere la propria vita. Oltre che ingiusto appare anche
innaturale: contrario alla naturale spinta dello sviluppo.25
Per un bambino la malattia è sicuramente un momento difficile, spesso
collegato a sentimenti di tristezza, stanchezza e delusione; un momento
caratterizzato non solo da sofferenza fisica ma anche psichica. Nelle prime
fasi dello sviluppo del bambino dolore fisico e dolore psichico possono
confondersi.
24
S.Kanizsa, B.Dosso, “La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale”,
Roma, Meltemi editore, 1998, p.32
25
Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio
ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
34
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Nei primi anni di vita (fino a sei-sette anni) qualsiasi affezione che si
accompagni a dolore e pena fisica viene vissuta come proveniente
dall’esterno, come conseguenza di un evento aggressivo inducente una
sofferenza di grave entità.26
Il bambino non è in grado di distinguere le differenze fra una malattia più
o meno importante; per questo reagirà con un comportamento dominato
dall’ansia e dalla paura indipendentemente dalla gravità della malattia
stessa.27
Non tutti i bambini però reagiscono allo stesso modo di fronte alla
malattia: alcuni si distaccano da tutto e arrivano anche a respingere
qualsiasi contatto e offerta d’aiuto; altri si comportano in modo opposto
richiedendo continuamente amore e attenzione alla madre che li cura
diventando così molto esigenti, lamentosi e dipendenti.
Il bambino malato, così come l’adulto, chiede spiegazioni riguardo la sua
malattia e riunisce tutte le risposte ottenute nel contesto di ciò che conosce
del mondo attorno a lui. Questa conoscenza è influenzata dal livello di
26
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003,p.43
27
Cfr Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi
educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003
35
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
sviluppo cognitivo. Solitamente la comprensione della malattia è legata a
ciò che i bambini sanno del proprio corpo.
E’ fondamentale
informare il bambino con spiegazioni accessibili,
dialogando e non ricorrendo a menzogne ed inganni tali da facilitare
fantasie inappropriate.
Spesso la malattia viene vissuta come una punizione, molti bambini
pensano che la malattia sia stata causata da un loro comportamento errato
e credono di poter guarire mettendo in atto un comportamento corretto,
ubbidendo ai propri genitori, riordinando i giochi, aderendo ad un
insieme di regole rigide, in altre parole “facendo i bravi”.28
Per il bambino in età prescolare non è facile affrontare il ruolo del malato;
da un lato ha il bisogno di assistenza, dall’altro si rifiuta di farsi curare.
I bambini fino agli undici anni, ritengono che l’ammalato abbia una
responsabilità diretta rispetto all’insorgenza della malattia.
La valutazione della durata della malattia è molto diversa nel bambino
rispetto all’adulto. Per un bambino un periodo brevissimo può sembrare
lunghissimo; questo perché fino a quattro-cinque anni la percezione del
tempo non è oggettiva: non si concepisce un unico tempo ma tanti quanti
28
Cfr Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi
educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003
36
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
sono i momenti vissuti percepiti. Tra due azioni della stessa durata il
bambino percepisce come più lunga quella più difficile.
Verso i sei anni il bambino inizia ad avere una considerazione più
oggettiva del tempo, anche se in una situazione di malattia e
ospedalizzazione la percezione del tempo reale si realizza più
tardivamente e si rivela distorta anche oltre gli otto anni.
Il bambino ha il diritto di essere aiutato a non fare della propria malattia il
centro della propria vita, deve essere aiutato a comprendere che questa
situazione è una parte della sua esistenza e non l’esistenza stessa.
Un interessante modello che spiega il concetto di malattia nel bambino
viene offerto da una ricerca del 1980 di Bibace e Walsh facendo riferimento
alla teoria di Piaget .
Secondo gli studiosi le spiegazioni che i bambini danno sulle possibili
cause delle malattie sono in realtà meno svariate di quanto si possa
pensare e sono raggruppabili in categorie specifiche.
I bambini tra i tre e i sette anni che appartengono, secondo Piaget, allo
stadio preoperazionale dello sviluppo cognitivo attribuiscono la causa
della loro malattia a un fenomeno, di tipo magico o naturale.
Verso i sette- otto anni, passando allo stadio del pensiero logico-concreto,
il bambino incomincia a distinguere ciò che è interno e ciò che è esterno
alla propria persona. Ha
quindi la consapevolezza che la malattia è
localizzata all’interno del suo corpo mentre la causa può essere esterna. In
37
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
questa età c’è l’idea della contaminazione. Il bambino crede di guarire
perché collabora e consente ai dottori di intervenire sulla malattia.
Verso gli undici anni i bambini acquisiscono sempre maggiori conoscenze
delle strutture e delle funzioni degli organi interni e si intuisce il
complesso legame tra corpo e mente. Il bambino identifica chiaramente
l’organo malato, anche se si comprende che la causa può essere esterna,
come ad esempio un virus o un’infezione.
Categoria piagetiana
Tipo di spiegazione
Esempi
PRE- LOGICA
FENOMENOLOGIA
Come
2-6 anni di età
La
Il
bambino
non
più
immatura
si
prende
il
(dal raffreddore?
è punto di vista cognitivo) Dal sole.
capace di distanziarsi delle
categorie
di Come fa il sole a darti il
raffreddore?
dall’ambiente in cui spiegazione.
vive. Le relazioni di La causa della malattia è Te lo dà e basta.
causa
effetto individuata in un fenomeno
ed
quindi naturale, che può essere Come
vengono
si
prende
il
prende
il
ricondotte a qualche contemporaneo ad essa, raffreddore?
ma che appare lontano nel Dagli alberi.
fenomeno
direttamente visibile o tempo e nello spazio da
presente
momento.
in
quel chi si ammala. I bambini Come
si
di questa categoria non morbillo?
sono
però
capaci
di Da Dio.
spiegarsi come in effetti Come fa Dio a dare il
questi causino la malattia
morbillo alle persone?
Lo fa nel cielo.
38
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
MAGICO-CONTAGIOSA
Come
si
prende
il
I bambini un po’ più raffreddore?
maturi
al Da fuori
ricorrono
concetto
contagio Come si fa a prenderlo
di
causato dalla vicinanza di da fuori?
qualcuno o qualcosa che Ti viene perché qualcuno ti
però
tocca viene vicino.
non
direttamente il bambino. Il Ma come fa?
legame tra l’oggetto e la Non so. Penso per magia.
malattia è però riferito
esclusivamente in termini
magici o di vicinanza.
Che cos’è il raffreddore?
LOGICO-CONCRETE
CONTAMINAZIONE
7-10 anni
La causa della malattia è E’ quando c’è l’inverno.
Ciò che caratterizza individuata
questa
fase
progressivo
è
una Come si fa a prenderlo?
in
il persona, in un oggetto, o Quando tu esci senza un
in un evento esterno al berretto
e
poi
inizi
a
caratterizzati starnutire. La tua testa
decentramento dell’Io bambino,
e la sempre maggior dall’essere <<cattivi>> o diventa fredda, perché il
freddo la tocca, e poi il
consapevolezza di ciò comunque
che è interiore e di ciò <<pericolosi>>.
che è esterno. Questa <<fonte>>
distinzione è presente malattia
Questa freddo ti va in tutto il
causa
nel
la corpo.
bambino
in entrambe le sotto- attraverso un contatto fisico
categorie
spiegazione.
di con
qualche
parte
del
corpo, o perché il bambino
fa delle cose << che poi gli
fanno male>>.
39
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
INTROIETTIVA
Che
Categoria
cos’è
un
cui raffreddore?
appartengono, di solito, i Fai un sacco di starnuti,
bambini
secondo parli in modo strano, e il
del
segmento
della
fase tuo naso è tutto otturato.
La Come fa la gente a
logico-concreta.
malattia
adesso prendersi il raffreddore?
è
chiaramente
all’interno
individuata Quando c’è l’inverno, si
del
corpo, respira troppa aria nel naso
mentre la causa primaria e
può ancora essere esterna.
La
causa
questa
finisce
per
otturarlo.
esterna, Come
fa
questo
a
generalmente un oggetto o causarti il raffreddore?
una persona, raggiunge I batteri entrano dentro
l’interno
del
corpo quando respiri. Poi i
attraverso un processo di polmoni diventano troppo
introiezione, per esempio molli (fa un sospiro) e ti va
ingoiando o respirando.
al naso.
Anche se la malattia è Come si fa a guarire?
Aria calda e pulita. Ti va
chiaramente individuata
nel naso e rimanda via
all’interno del corpo, la
l’aria fredda.
sua descrizione appare
vaga e poco definita. Le
funzioni
degli
organi
interni appaiono confuse e
poco chiare.
40
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
LOGICO-FORMALE
FISIOLOGICA
Dagli 11 anni
In
questo
Come fa la gente a
tipo
di prendersi il raffreddore?
I bambini, intorno agli spiegazioni la causa della Credo sia causato da dei
11
anni
d’età, malattia può essere legata virus.
sviluppano la capacità a fattori esterni che ne Altra gente ha questi virus,
di pensare in maniera determinano l’attivazione, e loro raggiungono il tuo
propriamente
A
questa
logica. ma la fonte e la natura sangue e ti causano il
età,
processo
il della malattia risiede in raffreddore.
di specifiche
differenziazione tra il funzioni
sé
e
il
completa.
mondo
strutture
organiche.
o Tu sei mai stato malato?
I Che problemi avevi?
si bambini individuano una Il livello delle mie piastrine
precisa catena di causa ed era troppo basso.
coinvolge E cioè?
alcuni organi interni e Nel sangue, sono un po’
finisce per causare la come i globuli bianchi, ti
aiutano ad uccidere i
malattia.
effetto
che
microbi.
Perché ti sei ammalato?
C’erano più microbi che
piastrine, e le piastrine
stavano morendo.
Come
hai
fatto
ad
ammalarti?
Per
via
Stavano
dei
microbi.
uccidendo
piastrine.
41
le
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
PSICO- FISIOLOGICA
Che cos’è un attacco di
Il grado più maturo di cuore?
comprensione
della È quando il tuo cuore non
malattia si raggiunge con funziona più bene.
la categoria di spiegazioni Qualche volta batte troppo
psico-fisiologiche.
piano, altre volte troppo
Come per la categoria forte.
precedente, la malattia è Come fa la gente ad
ricondotta a meccanismi avere
organici
interni
persona,
ma
un
attacco
di
alla cuore?
adesso Può succedere perché i tuoi
vengono anche ipotizzate nervi sono troppo tesi. Uno
delle cause aggiuntive, di si preoccupa troppo, e la
natura psicologica.
tensione può far male al
cuore.
Tabella 1 Spiegazioni e concetti di malattia nei bambini, per fascia di età, secondo il
modello di Piaget. Tratto da "Gioco e Studio in Ospedale", p.20
42
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
2.4 Il bambino e l'ospedale
Quando un bambino entra in ospedale, è come se fosse portato nel bosco,
lontano da casa. Ci sono bambini che riempiono le tasche di sassolini
bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa
anche di notte, alla luce della luna. Ma ci sono bambini che non riescono a
far provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia
per tornare indietro. È una traccia molto fragile e bastano poche formiche a
cancellarla: i bambini si perdono nel bosco e non sanno più ritornare a
casa.29
La maggior parte delle volte che torniamo in un luogo in cui siamo stati da
bambini questo luogo appare sempre più piccolo rispetto al ricordo che
avevamo. Quello che da fanciulli vedevamo come immenso ora è
decisamente nella norma. Soffermandoci su questo aspetto immaginiamo
che dimensioni possa avere un ospedale visto da fuori per un bambino di
pochi anni. Una grande casa con tante finestre… Questa è l’immagine che
i bambini hanno guardando questa struttura così imponente. . L’ospedale
è il luogo della cura, è il luogo del dolore, è il luogo dove bisogna fare
silenzio, è il luogo dove “i grandi” ti ci mandano se non fai il bravo.
29
A. Canevaro (1976)
43
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
L’ospedale è sofferenza e spesso collegato al concetto di morte. Questi
sono i pensieri che i bambini hanno guardando e pensando l’ospedale.
Ogni anno, in Italia, circa mezzo milione di bambini vive l’esperienza di
un ricovero in ospedale: ciò significa che un bambino su sette deve
affrontare
il
tema
della
malattia
e
la
difficile
esperienza
dell’ospedalizzazione.
L’ospedalizzazione e le cure, spesso dolorose, si presentano al bambino in
un momento della vita in cui la costruzione dell’identità è ancora in
divenire e il bisogno di rapportarsi con persone e luoghi significativi è
ancora fortissimo.
Il bambino non è in grado di dominare la realtà e di superare lo stato di
paura che questo ambiente sconosciuto gli provoca, se non attraverso
un’elaborazione fantastica dell’esperienza. Per questo deve essere aiutato
a farlo.
Per il fanciullo il ricovero in ospedale è quasi sempre traumatico: andare
in ospedale significa trascorrere del tempo in un ambiente diverso da
quello di casa, significa incontrare persone sconosciute e mani non
familiari che ti toccano, significa interrompere le normali attività
scolastiche, quelle sportive; significa modificare le abitudini, mutare le
relazioni interpersonali
e allentare la fiducia dell’onnipotenza dei
genitori. L’ospedalizzazione è cambiamento: un cambiamento del contesto
ambientale e del proprio ruolo all’interno del contesto. E come in ogni
44
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
transizione, anche questo cambiamento è spesso accompagnato da un
certa dose di ansia o di disagio, anche quando la persona abbia sviluppato
una buona fiducia nelle proprie capacità. Il malessere e l’inadeguatezza
derivano da una mancata esperienza diretta della nuova situazione, anche
se ci viene fornita una buona dose di informazioni per poterla affrontare.
L’angoscia si può tradurre in vari comportamenti: opponendosi al cibo,
rifiutandosi di dormire, manifestando rabbia e aggressività verso genitori
e fratelli, che spesso sono ritenuti responsabili del ricovero. La reazione
aggressiva permette al bambino di elaborare la propria risposta adattiva
alla
malattia
e
all’ospedale,
rendendo
possibile
un
intervento
comunicativo dell’adulto, che può avvicinarsi ad esempio con un gioco. 30
Fondamentale per il bambino è poter comunicare con l’adulto, poter
esprimere le proprie paure e chiarire le proprie fantasie rispetto a ciò che
sta vivendo. Il fanciullo ha bisogno di avere delle persone vicine in grado
di comprenderlo e disposte ad ascoltarlo.
Per adattarsi alla nuova situazione il bambino deve continuamente
mettere a fuoco volti nuovi; all’inizio medici e infermieri sono per il
fanciullo solo dei camici bianchi anonimi, a volte minacciosi, associati
spesso al dolore, in qualche modo temuti. L’ostilità davanti ad un estraneo
30
Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio
ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
45
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
è una reazione impulsiva, che non dipende da un giudizio della qualità
del compagno: in un momento così delicato e di tensione come quello
dell’ospedalizzazione, il bambino è pronto a spezzare i suoi legami sociali
chiudendosi in se stesso. Il bambino si autoesclude dal dialogo poiché
viene meno la fiducia dei genitori che lo hanno condotto nel reparto e che
si sono alleati con i medici . Da un lato è attratto dal nuovo ambiente e
dalle nuove scoperte, ma dall’altro queste scoperte appaiono così
inquietanti e angosciose da bloccare qualsiasi movimento verso di esse.
Sarà il bambino a decidere i tempi e le modalità di avvicinamento agli
spazi e ai soggetti a lui estranei, sarà lui a prendere l’iniziativa cercando il
contatto visivo, sorridendo, e perfino cercando il contatto fisico.
Se adeguatamente seguito, il bambino riuscirà a distinguere con i propri
tempi le nuove relazioni e i nuovi spazi e riuscirà ad istaurare relazioni di
fiducia con il personale medico-infermieristico, dal quale cercavano di
difendersi e proteggersi.
In ospedale però non è sempre possibile rispettare questi tempi di
avvicinamento del bambino perché le cure spesso invasive, devono essere
immediate per la salute del bambino, in quanto non bisogna dimenticare
che il mandato dell’ospedale è quello di garantire la salute fisica.
Alcune ricerche dimostrano che i bambini ospedalizzati disegnano spesso
i bambini malati soli, trascurati, poco colorati, molto piccoli, mentre
normalmente i bambini sani lo disegnano circondato da amici e parenti,
46
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
ben vestiti, molto colorati, ritratti in posizione attiva e molto più grandi di
quelli malati. Emerge quindi un senso di inferiorità, di solitudine, di
svalutazione e differenza dovuto alla malattia.
L’esperienza dell’ospedalizzazione si presenta come una soluzione non
voluta, ma talora inevitabile; a volte non chiara nemmeno all’adulto e
ancor di meno per un bambino. Il male può essere visibile, esterno, ma
può anche non essere visto né sentito, per questo molte volte risulta
difficile per un bambino comprendere il motivo della sua permanenza in
un luogo così lontano da casa. E spesso viene vissuta come punizione.
All’interno dell’ospedale la realtà della malattia è sempre presente;
quando non è la propria può essere quella del vicino. L’ammalarsi
compromette il benessere fisico di bambini e ragazzi, limitandone
l’autonomia e interrompendo il grado di indipendenza raggiunto.
Quest’ultima è ridotta non solo dalla malattia, ma anche dalla struttura
ospedaliera stessa, che nella maggior parte dei casi non è costruita a
misura i bambino: azioni semplici come andare in bagno da soli, lavarsi le
mani, salire sul letto, leggere e studiare, diventano difficoltose e
complesse, talvolta impossibili.
Di qui la necessità di prestare attenzione ai margini di autonomia ancora
posseduti e al loro possibile potenziamento e all’identità personale, da
47
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
salvaguardare
e
difendere
contro
gli
attacchi
della
malattia
e
dell’ambiente.31
Spesso si possono notare nel bambino atteggiamenti di regressione, in
quanto la limitazione di autonomia può riportare chi si ammala indietro o
lontano dai suoi progressi evolutivi, talvolta appena conquistati.32 Non è
insolito che un bambino che prima camminava ora vuole star in braccio,
un bambino che prima mangiava da solo ora vuole essere imboccato,
l’adolescente che torna a guardare i cartoni animati.
Questi atteggiamenti possono essere messi in atto dal bambino, ma a volte
possono anche essere indotti dai genitori che volendo evitare al bambino
qualsiasi sofferenza, a volte diventano iperprotettivi nei loro confronti. Si
rischia così un “collasso educativo” : la famiglia angosciata dalla malattia
del figlio perde ogni riferimento educativo; abbandona regole e limiti,
sommerge il bambino di regali e attenzioni, con il rischio di farne un
piccolo insicuro e sempre scontroso ( “…se adesso mamma e papà non mi
sgridano vuol dire che sto proprio male..”). Quando questo atteggiamento
31
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.108
32
Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio
ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
48
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
persiste per lungo tempo può diventare un vero ostacolo allo sviluppo del
fanciullo.
E’ fondamentale quindi non trascurare l’aspetto educativo, soprattutto in
ospedale, dove per educazione si intende promozione della libertà
personale ed una crescita armonica.
E’ importante perciò mantenere saldi i principi educativi a cui i genitori si
riferivano prima del ricovero, cercando di trasmetterli indipendentemente
dallo stato di salute del figlio: la costanza comportamentale offre al
bambino sicurezza e stabilità che, soprattutto all’interno di questa
esperienza il fanciullo ha bisogno di sentire.
In ogni caso è negativo rimandare gli interventi educativi a quando il
bambino lascerà l’ospedale; questi devono continuare anche durante il
periodo della degenza, con quel rispetto dei tempi che è tipico di un processo
pedagogico equilibrato.33
Si possono riconoscere tre fasi che scandiscono il tempo della degenza
ospedaliera del bambino: in un primo momento egli mette in atto una
protesta che può durare da poche ore a qualche giorno. In questo periodo
il bambino osserva l’ambiente e cerca di captare suoni e segnali che
potrebbero essere familiari; cerca di attirare l’attenzione come difesa. Il
33
M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-
educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001, p.25
49
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
bambino cerca di vedere se la madre o chi lo accudisce si comporta come
avviene nella vita quotidiana; il tentativo è quello di trovare normalità
nelle reazioni dei genitori.
La seconda è una fase in cui avviene la svalutazione delle figure
genitoriali. Il bambino è meno attivo e più distaccato, apatico; ha un forte
bisogno di avere vicino la mamma o comunque una figura significativa,
ma allo stesso tempo teme di perderla e teme che non sia più in grado di
soddisfare i suoi bisogni.
Quando un bambino resta in ospedale più a lungo, si presenta una terza
fase: quella in cui acquisisce maggior interesse per l’ambiente nuovo ma lo
perde per ciò che viveva e provava nella vita di tutti i giorni.
Le risposte dei bambini all’ospedalizzazione possono essere raggruppate
in due atteggiamenti: le reazioni attive e le reazioni passive. Le prime
includono piangere, piagnucolare, opporsi alle terapie, gridare, aggredire
cose e persone, litigare, aggrapparsi ai genitori; tra le reazioni passive
invece si possono osservare una diminuzione delle attività di gioco,
guardare eccessivamente la TV, dormire
eccessivamente, diminuzione
dell’appetito, della comunicazione e dell’interesse in generale.34
34
Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio
ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
50
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Il bambino che entra nuovamente in ospedale ha sicuramente acquisito
una maggiore conoscenza degli spazi e ha acquisito una maggiore capacità
di adattamento, ma non per questo si sente più sereno e meno ansioso di
tornare a casa. L’ospedale infatti, non suscita immagini di gioia e non
viene visto come un premio da ottenere.
Tra gli elementi che possono creare maggior stress in un bambino o in un
ragazzo ospedalizzato si possono individuare una scarsa familiarità con
l’ambiente, la paura di essere separati dai genitori, l’età, il dolore delle
cure fisiche e l’assenza di spazi su misura.
Nei prossimi paragrafi verranno approfonditi questi cinque fattori di
stress.
2.4.1 primo fattore: scarsa familiarità con l’ambiente
Un bambino che entra in ospedale incontra numerosi elementi a lui
estranei. Nella maggior parte dei casi incontrerà un ambiente molto
grande, abitato da molte persone; ricco di suoni, rumori, odori e
macchinari a lui sconosciuti.
Il bambino si trova dibattuto tra l’intenso bisogno di esplorare e lo
spavento, altrettanto intenso, che le novità ispirano.
51
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
In aggiunta dovrà essere sottoposto a routine e procedure totalmente
nuove, come ad esempio la flebo, il prelievo per le analisi del sangue,
eventuali medicazioni, ecc.
La somma di tutti questi fattori sicuramente contrasta con la sicurezza e la
tranquillità che l’ambiente domestico garantisce, dove tutte le stanze e
tutti i visi che vi abitano sono conosciuti.
Sicuramente uno dei metodi migliori per prevenire questa estraneità è
fornire al bambino informazioni e offrirgli la possibilità di visitare e
conoscere tutti gli spazi. Bisogna anche tenere conto però, che non tutti i
bambini
vogliono
davvero
conoscere
troppe
cose
dell’ambiente
circostante; per questo l’informazione deve essere un momento delicato, in
cui tenere conto di quello che il bambino in quel momento vuole sentirsi
dire e fino a che punto della conoscenza vuole arrivare. Altrimenti si
rischia di bombardarli di informazioni inopportune che invece di dare
sicurezza alimentano la confusione e il timore.
52
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
2.4.2 secondo fattore: paura di essere separati dai genitori
Raramente al giorno d’oggi un bambino in ospedale viene lasciato solo.
Nella maggior parte dei reparti pediatrici infatti, uno dei due genitori resta
accanto al figlio per tutta la durata della degenza, rimanendo in ospedale
anche la notte.
Alcuni fattori però impediscono comunque al bambino di avere accanto a
sé l’intero nucleo familiare: l’altro genitore che lavora, i fratelli che devono
continuare le loro normali attività e che non possono sempre essere in
ospedale, fratelli e parenti non sempre ammessi alle visite, ecc. Il bambino
può avvertire queste mancanze e queste lontananze e soffrire per questo.
L’essere solo rappresenta un forte rischio per il bambino, si sente meno
sicuro e meno protetto e se questa solitudine è prolungata nel tempo,
comporterà una limitazione delle potenzialità personali.
Robertson e Bowlby, in due diverse ricerche sugli effetti della separazione
dei bambini dai genitori (Robertson, 1958; Bowlby, 1976), individuano tre
stadi diversi di risposte messe in atto da chi si sente abbandonato. Questi
stadi sono la protesta, la rassegnazione e il distacco.
In una prima fase di protesta il fanciullo piange, grida, scalcia mentre
attende con impazienza l’arrivo del genitore. Se il genitore non ritorna il
bambino entra in una seconda fase, quella della rassegnazione,
caratterizzata dalla progressiva perdita della speranza. Il bambino appare
53
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
più calmo e piange solo a intervalli. La calma esteriore apparente fa
pensare agli operatori che il bambino abbia superato bene lo stress della
separazione dal genitore. Se il genitore si assenta ancora per molto tempo,
il bambino può entrare nella fase del distacco, fase in cui il bambino
appare rilassato e interessato a ciò che lo circonda, ma quando la persona
cercata finalmente ritorna, il bambino reagisce con indifferenza e distacco.
E’ questo un meccanismo di difesa che il fanciullo mette in atto per
difendersi dal dolore della separazione.
Bambini con storie di ospedalizzazione molto lunghe o che hanno
cambiato numerosi ospedali, possono sviluppare un’indifferenza generale
verso le persone, in quanto i numerosi distacchi che ha vissuto li portano a
non rischiare più di attaccarsi ad una persona e vivere ancora una volta il
trauma della separazione.35
35
Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio
ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
54
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
2.4.3 terzo fattore: l’età
L’età
è
uno
dei
fattori
che
determina
la
capacità
di
reagire
all’ospedalizzazione.
I risultati di una ricerca condotta da H. Spiess e L.Hausam nel 1958 con
l’intento di andare ad “osservare” da una parte il tempo necessario al
bambino per adattarsi al nuovo ambiente e dall’altra di “osservare” le
reazioni dei bambini immediatamente dopo il ricovero, indicano
chiaramente che il tempo di adattamento dipende dall’età. Mano a mano
che aumenta l’età, diminuisce il tempo per ambientarsi all’ospedale. Per
un ricovero di breve durata, affermano i ricercatori, ci si deve aspettare un
trauma psichico solo dopo il settimo mese.
Per ogni fascia di età quindi vi sono reazioni diverse:
Da zero a otto mesi:
La letteratura meno recente indica questa fascia di età come una fascia in
cui il bambino non subisce gli effetti negativi dell’ospedalizzazione, al di
là dei fastidi fisici delle procedure e delle terapie. I bambini in questa
fascia d’età non sono in grado di riconoscere i propri genitori in modo
razionale, per questo non sembrano soffrire di lontananze prolungate
della mamma o del papà, purchè vengano soddisfatti i loro bisogni
primari.
55
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Studi e ricerche più recenti (1971) dimostrano invece che la vicinanza
madre-bambino è fondamentale per sviluppare l’attaccamento che risulta
poi essenziale per uno sviluppo di una sana relazione futura.36
Da nove mesi a tre anni:
Questa fascia di età è sicuramente quella più vulnerabile e soggetta a
reazioni negative. A questa età il bambino vive nel pieno della fase
egocentrica, per questo sono portati a pensare di essere la causa di tutto e
quindi anche della loro malattia. E’ infatti in questa fascia d’età che il
bambino vive l’ospedalizzazione come una punizione, considerando le
procedure mediche come azioni fatte volutamente contro di loro. E’
fondamentale spiegare al bambino l’esperienza in termini non punitivi,
solo così si può pensare ad una collaborazione del fanciullo alla
guarigione.
Sono poco inclini a spiegazioni logiche, ed il tempo futuro per loro è un
po’ vago, così come la dimensione spaziale; quando la mamma si
allontana anche solo per pochi metri uscendo dalla visuale del bambino
per lui “non c’è più”.
36
Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio
ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
56
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
I bambini di due-tre anni possono essere più inclini ad accettare
l’allontanamento dei genitori se sanno di poterli eventualmente
rintracciare, magari chiamandoli con una telefonata oppure vedendo che
hanno lasciato dei loro oggetti nella stanza del figlio, in modo che
dovranno comunque tornare per riprenderli.
Da quattro a undici anni:
In questa fascia d’età il bambino inizia a comprendere logicamente il
motivo della permanenza in ospedale e inizia a vivere la separazione con
le figure significative senza troppa ansia, anche se in un’esperienza così
forte c’è la possibilità di una regressione come meccanismo di difesa.
Quindi può capitare che un bambino che aveva smesso di piangere
quando la madre si allontanava, ora riprenda a fare i capricci.
In questa fase è più sofferta la separazione da compagni e amici dai quali
ora si sentono diversi, sia per l’aspetto fisico che per il ritmo di vita
condotto, con il timore di essere dimenticati. E’ importante aiutare i
bambini a gestire questa diversità, in modo che gli incontri con i compagni
non diventino momenti vissuti con imbarazzo e senso di inferiorità.
L’adulto vede spesso il bambino di dieci, undici anni ormai come
“grande” con la premessa che un “grande” non possa avere paura di fare
una puntura, di sostenere un’operazione e spesso questi timori rimangono
insiti nel bambino che di fronte ad un adulto che crede nelle sue capacità
non può mostrare.
57
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Adolescenti:
E’ proprio questa la fascia di età più critica alla quale si presta poca
attenzione nei nostri ospedali.
Come abbiamo detto la malattia modifica i ritmi, modifica le relazioni,
modifica i corpi.
L’adolescente già di per sè vive una vera e propria transizione: non è più
un bambino ma non è ancora adulto. Assiste a cambiamenti molto rapidi
del proprio corpo e cerca di trovare i i suoi spazi all’interno della propria
vita e del proprio ambiente.
L’ospedale, con tutte le sue regole non facilita certo queste conquiste.
Basta pensare che nella stessa camera ci sono altre persone, che c’è sempre
qualcuno che ti dice cosa devi fare, quando e come lo devi fare e tutto
questo sta sicuramente “troppo stretto” per un adolescente che ha bisogno
di conquistare sicurezza e una propria identità, messa in crisi dalla
malattia stessa.
La loro avversione contro l’autorità è una forma di protezione, così come
la chiusura in se stessi, in modo da proteggere le loro emozioni e
sentimenti visto che già il corpo in ospedale viene “invaso”.
58
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
2.4.4 quarto fattore: il dolore delle cure fisiche
Il dolore è soggettivo: per questo non è discutibile e tanto meno
contestabile.
Accogliere il dolore dell’altro senza giudicarlo e senza domandarsi se sta
fingendo o sta esagerando è una grande forma di rispetto; è un modo per
accettare la persona così come si presenta senza indagare e mettere in
discussione il suo sentire.
Molte volte al bambino vengono dette frasi del tipo: “dai non è niente”
oppure “come fai a sentire male?” pensando così di incoraggiarlo e
stimolarlo, ma in realtà lo stiamo facendo solo sentire in colpa.
E questa è un’incomprensione tra i due mondi: quello del bambino che
non è in grado di parlare un linguaggio dei “grandi”, e quello dell’adulto
che troppo spesso sottovaluta e non comprende i messaggi del bambino.
Dietro ad un dolore fisico c’è comunque una sofferenza mentale. Il corpo
sente dolore e la mente soffre dolore. La mente “soffre” per riuscire a
sopportare il dolore fisico. Ed inoltre c’è l’impotenza di dimostrare in
modo oggettivo agli altri che abbiamo dolore fisico e nemmeno la sua
intensità.
I bambini sono molto spaventati dalle cure fisiche, soprattutto quando non
viene spiegato loro il trattamento che stanno facendo sul proprio corpo.
59
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Come abbiamo detto il bambino trova delle spiegazioni fantastiche alle
domande delle quali non riceve risposte; per questo non c’è da stupirsi se
il bambino che deve fare l’esame del sangue si costruisca una storia sul
possibile utilizzo del sangue che viene “rubato” loro.
Talvolta il dolore provato dai bambini viene sottovalutato dal personale
paramedico: a volte sottostimare il dolore del bambino è una strategia di
difesa personale per non affrontare il tema del dolore con il fanciullo e non
mettere in discussione il proprio modo di vivere e sopportare la
sofferenza.
Vedere un adulto che soffre è straziante, ma sentire un bambino che urla a
squarciagola lo è ancora di più, in quanto lo si vede indifeso e il consolarlo
implica una messa in gioco totale dell’operatore, una messa in gioco che
richiede fatica e tempo.
E’ una difficoltà dell’adulto incontrare la sofferenza del bambino: i
bambini a volte sanno mostrare serenità e coraggio anche di fronte a
pericoli gravi che comprendono perfettamente:
“La sera prima dell’intervento di cardiochirurgia parlava serenamente
dell’operazione che avrebbe subito l’indomani e al medico che cercava di
tranquillizzarla, lei disse che era cosciente che il giorno dopo sarebbe potuta
morire. A nulla valsero le parole del chirurgo che negava questo pericolo. La
bambina si avvicinò al proprio comodino, estrasse un piccolo fazzoletto
dicendo: <<Domani mettimi questo fazzoletto sotto il cuscino operatorio, me
60
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
lo ha dato la mia mamma, se domani morirò la sentirò vicina>>; e disse
tutto questo con un po’ di tristezza ma senza una lacrima e senza mostrare
paura.”37
2.4.5 quinto fattore: un ospedale non a misura di bambino
“Quanti sforzi, quanti gesti maldestri, solo per arrampicarsi su una sedia,
salire una scala, sedersi su una macchina; impossibile aprire una porta,
guardare da una finestra, sganciare o sospendere un oggetto: è sempre
troppo alto. In una folla nessuno fa attenzione a voi, non si vede niente, ci si
fa spintonare. Decisamente essere piccoli non è facile né gradevole.”38
Nei nostri ospedali troppo spesso mancano spazi su misura per i bambini,
ma anche per i genitori: mancano attrezzature per lo svago e la
comunicazione, mancano arredamenti specifici pensati per il bambino, e
manca spesso una figura di riferimento che sia a disposizione
esclusivamente per il bambino e i genitori, una presenza che non si occupi
del loro corpo, ma una presenza che li ascolti, che sia disponibile al
37
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p. 50
38
Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto, Milano, Luni Editrice, 1994. Scritto
nel 1929, p.29
61
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
contatto, che non è quello fisico inteso come cure mediche. Una figura che
si “prenda cura” anche dell’aspetto relazionale, emozionale del bambino e
dei suoi genitori.
Spesso ci sono armadi troppo alti per bambini troppo bassi e letti troppo
bassi per adolescenti troppo alti e devono continuamente chiedere l’aiuto
ad un adulto, aumentando così la loro dipendenza da queste persone.
E’ vero che spesso manca lo spazio fisico per poter costruire salette dove
giocare, ma è anche vero che spesso lo spazio non viene sfruttato come si
potrebbe. A volte troviamo diverse stanze di medici e infermieri e ci
accorgiamo che manca lo spazio per i bambini che non sia la camera da
letto oppure che manca un luogo dove i genitori si possono “allontanare”
con la mente o condividere con altri genitori l’esperienza del ricovero dei
figli.
62
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
3 PREVENIRE LA PAURA DEL LUPO CATTIVO
3.1
La paura del lupo cattivo non ancora incontrato
Utilizzo l’espressione LUPO CATTIVO come metafora dell’ospedale.
Il lupo….
è un animale che nell’immaginario comune spaventa,
è l’animale che uccide Cappuccetto Rosso,
è l’animale che di notte dissemina terrore con il suo ululato,
è un’animale imprevedibile,
….ma così come il lupo potrebbe diventare il migliore amico dell’uomo,
anche l’ospedale potrebbe diventare un edificio meno inquietante, meno
“lontano” dalle nostre vite, meno misterioso; solo conoscendolo potremmo
migliorare l’immagine che abbiamo di esso.
L’ospedale, così come molti altri eventi ci spaventano indipendentemente
dal fatto se li abbiamo incontrati o meno, in quanto i significati a lui
attribuiti sono per la maggior parte negativi.
L’ospedale e la malattia diventano quindi per l’uomo una minaccia, alla
quale però non si può scappare nel momento in cui si presenta. Non è
possibile rinviare una malattia quando compare, c’è e bisogna fare i conti
con essa.
I bambini troppo spesso hanno idee distorte rispetto all’ospedale:
conoscono solo gli aspetti negativi quali le punture, il dolore delle cure,
63
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
tralasciando gli aspetti positivi come la presenza di altri bambini, i muri
colorati di alcuni ospedali, i disegni appesi alle pareti e soprattutto uno
spazio dedicato a loro. Sono ancora troppo pochi però gli ospedali che si
adattano alle esigenze del bambino e non bastano per poter cambiare
l’immagine dei fanciulli rispetto al ricovero.
Certamente la paura che si ha a priori di questa esperienza andrà a
condizionare il vissuto dell’esperienza stessa qualora il bambino si trovi a
doverla affrontare. Può capitare che anche in un ospedale attento ai
bisogni del bambino questo atteggiamento non venga percepito dal
fanciullo in quanto l’idea che aveva a priori dell’ ospedale era un’altra ed è
difficile cambiarla.
Diverse ricerche sulle paure dell’ospedale sono state condotte dal 1984 ad
oggi:
64
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
AUTORE OGGETTO
STRUMENT
CAMPION PRINCIPALI
E DATA
O USATO
E ED ETA’
DELLA
RICERCA
OGGETTI
DI
PAURA
Broome
Le paure dei Child
1984
bambini
84 bambini
nei Medical Fear
1.Contagiare altri
2.Intervento
confronti delle Scale
Età
chirurgico
procedure
5-11 anni
3.Iniezione
intervistati
4.Lontananza dalla
comuni
a scuola
famiglia
Hart
Le paure dei Child
82 bambini
1.Lontananza dalla
1994
bambini
Medical Fear ospedalizz
famiglia
ospedalizzati
Scale
2.Iniezione
mediche
nei
(29 item)
più
ati
confronti (29 item)
3.Prolungata
delle
Età
ospedalizzazione
procedure
8-11 anni
4.Puntura dito
36 bambini
1.Iniezioni/flebo
mediche
e
dell’ospedale
Falorni
Le paure dei Test
1984
bambini
nei proiettivo:
confronti
storia
dell’ospedale
completare
2.intervento
da Età
11 anni
della Düss
chirurgico
3.Morire
4.Dottori
e
infermieri
Amy
Le paure dei Children’s
1985
bambini
confronti
291
nei Medical Fear bambini
Questionnair
1.Amputazioni
2.Interventi
chirurgici da svegli
65
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
dell’ospedale
e
e
delle (61 item)
Età
3.Che
trovino
7-13 anni
<<qualcosa che non
procedure
va>>
mediche
4.Vedere i genitori
preoccupati
Altre
Eventi
ricerche
possono
(riferite
generare
da
che Vari
ragazzi
o
interventi
chirurgici
hart, paura durante
1994)
Bambini e 1.Iniezioni
l’ospedalizzaz
Età
2.Dolore
4-15 anni
3.Lontanaza
ione
da
famiglia/amici
4.Isolamento,
obbligo di restare a
letto
Timmer
Paure
Intervista
16 bambini
1.Perdere
il
man
preoperatorie
controllo
sulla
1983
dei
Età
realtà
preadolescenti
10-12 anni
2.Ignoto
3.Iniezioni
4.Dolore
Tabella 2 Sintesi dei risultati di alcune ricerche sulle paure dei bambini verso l’ospedale.
Tratta da M. Capurso e M. Trappa, “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una
ricerca basata su sistemi proiettivi”, in “Difficoltà di apprendimento” , Rivista Erickson,
n.8/1, ottobre 2002
3.2 Cosa significa prevenire
“….PREVENIRE…
66
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
…..provvedere in anticipo cercando di evitare qualcosa….
… avvertire, avvisare in precedenza….
…..precedere qualcuno arrivando prima….”
Sono diversi i significati di questo termine, ma tutti richiamano un’azione
ben precisa: arrivare prima di qualcosa o di qualcuno, che sia esso un
evento o una persona.
Quando si parla di prevenzione nella nostra società viene subito alla
mente la profilassi medica intesa quindi come vaccinazioni, esami
preventivi e tutto ciò che riguarda la prevenzione di malattie fisiche.
Dobbiamo ricordare che esistono però anche altri tipi di interventi di
prevenzione. Ad esempio la prevenzione del disagio giovanile, delle
tossicodipendenze, della devianza, della prostituzione ecc.
L’elemento che accomuna tutti i tipi di prevenzione è il fatto che vengono
agite per evitare, ridurre o interrompere qualcosa che potrebbe nuocere,
turbare e peggiorare la salute del soggetto.
Ed è proprio con l’introduzione del termine di salute mentale che è
possibile ipotizzare un intervento non solo sul corpo ma bensì anche una
prevenzione di un malessere mentale, impedendone così l’insorgere, il
perdurare e lo sviluppo.
L’azione preventiva non deve essere lasciata al caso: deve prevedere una
programmazione ben definita e deve essere svolta da persone qualificate;
67
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
non basta la buona volontà per fare prevenzione, occorrono competenze e
professionalità.
Per far sì che un intervento di prevenzione si concretizzi nel modo più
favorevole per il soggetto è importante innanzitutto considerare
l’individuo in modo globale, come un sistema inserito a sua volta in più
sistemi, programmando attività di prevenzione che si espandano a più
aree che coinvolgono il soggetto.
Se pensiamo alla prevenzione del trauma ospedaliero si potrebbe
ipotizzare un intervento nelle scuole, oppure attraverso i mass media,
richiedendo la collaborazione della famiglia, dei medici, in modo che il
bambino possa riscontrare le stesse informazioni in più ambiti della sua
esistenza.
3.3 Diversi modi di fare prevenzione
Vi sono sostanzialmente due modi di pensare la prevenzione.
Il primo considera l’azione preventiva come un’azione volta a evitare la
situazione traumatica, mentre il secondo si pone come obiettivo quello di
preparare il soggetto ad affrontare l’evento.
68
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Se pensiamo alle misure preventive per la degenza ospedaliera ci
accorgiamo che non è possibile pensare a una prevenzione del primo tipo,
in quanto essendo la malattia e il ricovero eventi esistenziali imprevedibili
non è possibile evitarli. Quello che è possibile fare è però prevenire
l’impatto emotivo di fronte a questi eventi, fornendo ai soggetti interessati
(genitori e bambini) diverse possibilità per affrontarli in modo
consapevole e senza eccessiva ansia, mantenendo il normali ruoli di
genitori e di figli.
Qualsiasi ricovero, a qualsiasi età,
nasconde in sé il pericolo di un
potenziale trauma; la degenza può essere definita come un evento critico,
inteso come un’improvvisa modifica qualitativa nel mondo della persona,
a causa del quale viene sconvolto il suo equilibrio e il suo rapporto con
l’ambiente.
Una serie di eventi critici , se non affrontati e controllati, potrebbero
portare ad una crisi esistenziale. Tuttavia però eventi critici non sono
sinonimo di crisi esistenziali, le quali vengono definite situazioni di totale
impotenza; gli eventi critici sono eventi che segnano l’inizio o lo
svolgimento di un processo per affrontare una situazione.
Solo quando tutti i tentativi si dimostrano inutili, l’evento critico può
portare ad una crisi esistenziale.
69
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
“Da ciò deriva inconfutabilmente che lo stesso evento può essere
assolutamente insignificante per una persona, distinguendosi appena dal
complesso delle sue esperienze, mentre per un’altra rappresenta una
“catastrofe personale” e può condurre ad una crisi esistenziale”39
L’obiettivo della prevenzione è quindi quello di prevenire la crisi
esistenziale, fornendo agli individui le informazioni e le strategie per
affrontare l’esperienza.
Singrun-Heide Filipp parte dal presupposto che le misure preventive non
debbano essere concentrate esclusivamente sugli eventi considerati
scatenanti; bisognerebbe prendere in considerazione anche il punto di
partenza personale di ogni individuo considerandolo nella sua totalità,
valorizzando il suo ambiente e il rapporto che egli ha con esso.
Per questo Filipp fa una distinzione tra prevenzione centrata sull’evento,
quella centrata sulla persona e quella centrata sul contesto.
Con il termine di prevenzione centrata sull’evento la Filipp intende una
prevenzione che prepari adeguatamente il soggetto ad affrontare un
evento critico partendo dalle caratteristiche e delle esigenze dello stesso.
Questo tipo di prevenzione è ipotizzabile quando si tratta di eventi che si
manifestano regolarmente o che sono molto probabili , basandosi sulla
39
Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con
l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, p.98
70
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
comunicazione
di
un
comportamento
di
controllo
anticipatorio
dell’evento.
Nel caso invece della prevenzione centrata sulla persona l’elemento
principale non è tanto l’evento e la preparazione allo stesso, ma piuttosto
si tratta di una prevenzione che si concentra sull’individuo, aiutandolo ad
aumentare la capacità di controllo partendo da lui stesso.
Vengono insegnate diverse strategie e modalità più o meno generalizzate
per controllare il problema/evento, indipendentemente da se e quando esse
verranno impiegate40.
Non è possibile però pensare che esistano delle strategie valide per tutti i
soggetti e per affrontare qualsiasi evento; sarà compito dell’individuo
(soprattutto nell’adulto, il bambino deve essere aiutato a farlo) esportare
gli apprendimenti al di fuori del “contesto preventivo” e applicarli alle
situazioni di vita quotidiana.
A differenza del primo, questo tipo di prevenzione “trascura” l’insieme
delle esigenze poste dagli eventi cercando di scoprire e aumentare le
capacità personali del soggetto.
Per concludere, il terzo modo di intendere prevenzione è la prevenzione
centrata sul contesto.
40
Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con
l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, p.106
71
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Secondo alcune ricerche è dimostrato che la struttura e la qualità
dell’ambiente in cui il soggetto vive hanno un ruolo importante nella
capacità che questo ha di affrontare i momenti critici che gli si presentano.
Partendo da questa premessa, è importante affermare che questo tipo di
prevenzione prende notevolmente in considerazione l’ambiente sociale e
lo considera una risorsa di base per controllare gli avvenimenti. Lo scopo
quindi di questa prevenzione è quello di sviluppare le relazione con il
contesto stimolando la qualità delle interazioni sociali, ma anche di offrire
la possibilità di entrare in un nuovo contesto di rapporti (ad esempio il
gruppo stesso che sta facendo prevenzione). Così come l’ambiente può
essere di aiuto, bisogna anche considerare la possibilità che questo possa
essere disfunzionale al soggetto.
3.4 Prevenire un emozione… E' possibile?
La paura, così come tutte le emozioni, affiorano non per volontà nostra ma
perché determinate da situazioni esterne ed interne che le fanno scatenare.
Come abbiamo detto non è la gravità dell’evento che determina la
comparsa della paura, ma è piuttosto l’idea che noi abbiamo di quella
determinata situazione che ci mette a disagio e che immancabilmente
condizionerà l’esperienza stessa nel momento in cui la si vivrà.
72
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Partendo da queste premesse non penso sia quindi possibile evitare
l’insorgere di una paura. Soprattutto in una situazione di malattia e di
ospedalizzazione, dove avviene una separazione da persone, luoghi e
oggetti, mi sembrano più che ammissibili sentimenti di sconforto, timore
dell’ignoto e destabilizzazione.
Quello che è possibile fare credo sia prevenire l’eccesso, aiutando i
soggetti a mantenere un rapporto stabile e consapevole con la realtà:
trovare un significato anche all’interno dell’ospedalizzazione, prevenire
un’eccessiva ansia, prevenire i disturbi del comportamento del bambino,
andando a lavorare con tutti i sentimenti e le immagini che nella nostra
mente rappresentano quell’evento: rappresentazioni che il più delle volte
non corrispondono alla realtà oggettiva.
Agire sull’immagine negativa che abbiamo costruito potrebbe essere una
modalità per prevenire il trauma del ricovero e permettere al soggetto di
vivere più serenamente l’esperienza.
Ma come poter agire su un’immagine ormai definita e radicata nella nostra
mente?
Non è semplice modificare una rappresentazione mentale, ma credo che
con l’aiuto di professionisti questo sia possibile. Innanzitutto credo sia
fondamentale andare a “guardare da vicino” cosa pensiamo di quel
determinato evento evidenziando gli aspetti che più ci spaventano e ci
73
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
disturbano. Sperimentare gli apprendimenti in diverse esperienze
permettono di modificare positivamente l’idea dell’evento.
Se con gli adulti questo può essere fatto attraverso i colloqui, con in
bambini possono essere utilizzate fiabe e giochi che permettono di vivere
in
prima
persona,
attraverso
l’identificazione
nei
personaggi
e
l’assunzione di un ruolo, l’esperienza traumatica.
Molto spesso non si conosce ciò che avverrà in ospedale e l’ospedale
acquisisce un aspetto ancor più misterioso contribuendo ad aumentare lo
stress.
Secondo alcune ricerche solo un quarto dei bambini che vengono
ricoverati in ospedale sono preparati all’esperienza. Questa insufficiente
preparazione del fanciullo da parte dei genitori dipende molto
dall’atteggiamento che loro stessi hanno nei confronti della malattia,
dell’ospedale e del ricovero.41
E’ importante forse, per ottenere un miglior risultato, fare un discorso di
prevenzione centrata su tutti e tre i tipi illustrati da Filipp: pensare quindi
all’evento, alle risorse e limiti dell’individuo senza dimenticarci però del
contesto.
41
Cfr Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino
con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000
74
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
3.5 Chi non ha paura del lupo cattivo?
Tutti
temiamo,
in
modalità
e
quantità
diverse,
la
malattia
e
l’ospedalizzazione per tutti i motivi finora sostenuti. Non sono solo i
bambini a temere questo evento, ma anche gli adulti, solo che a volte
faticano ad ammetterlo.
Il risultato di una ricerca svolta nella repubblica federale di Germania
dimostra che oltre il 50% degli adulti ammetteva di avere paura di un
ricovero ospedaliero. Considerando il fatto che un individuo ottiene
maggiore stima dalla società se non è pauroso allora possiamo ipotizzare
che fossero molti di più.
Ed è proprio partendo dal presupposto che la paura è un’emozione
naturale, umana, spontanea e che per questo interessa anche l’adulto che
possiamo incontrare il bambino in modo sincero, facendo in modo che non
si senta “fuori luogo” per avere provato quelle sensazioni. Invece di
opprimere le paure dovremmo aiutare i bambini a riconoscerle come parte
della vita, come parti legittime di loro stessi e aiutarli a trovare in loro e
nell’ambiente che li circonda le risposte e le capacità per far fronte alle
difficoltà in modo sereno.
Il vero timore del bambino non dipende dall’intensità della situazione, ma
piuttosto dalla consapevolezza di essere lasciato solo ad affrontarla,
75
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
perché la sua figura di attaccamento ora non è disponibile o non è
considerata all’altezza della situazione.
Per il bambino è fondamentale avere di fronte un adulto sincero, che non
si vergogni di provare questo sentimento. In fondo vivere una malattia o
un ricovero non è un’esperienza piacevole; è un’esperienza che nessuno si
augura ed è normale avvertire un senso di timore e di smarrimento al
pensiero di doverla vivere forse un giorno.
Perché fare un discorso di prevenzione? Su cosa si può agire per prevenire
il trauma del ricovero?
Fare prevenzione perché la ricerca odierna riporta dati che non possono
essere ignorati: paure e traumi che con progetti di prevenzione potrebbero
essere evitati.
Per ipotizzare un progetto di prevenzione è fondamentale partire dalla
considerazione dei risultati di alcune ricerche rispetto a quell’evento.
Vale la pena citare una delle ricerche più importanti effettuate in Italia
rispetto alle paure che l’ambiente ospedaliero suscita nel bambino. Questa
ricerca, che ha coinvolto 1379 bambini distribuiti su tutto il territorio
nazionale è stata condotta nel 2000/2001 dal Dott. M. Capurso42 e dalla
42
Pedagogista e responsabile del settore formazione dell’Associazione “Gioco e Studio in
Ospedale”, Genova
76
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Dott.ssa Mariantonietta Trappa43 con il contributo di molti professionisti
ed istituzioni.
Lo scopo della ricerca era appunto quello di trovare delle risposte rispetto
alla quantità e alla qualità delle paure che emergono pensando
all’ospedale: verificare se esistono differenze dovute all’età, al sesso, allo
stile di vita e cercare di capire, nell’immaginario infantile quali siano le
persone e le azioni che potrebbero aiutare i bambini ad avere meno paura.
Al bambino veniva somministrato dalle insegnanti nell’anno scolastico
2000/2001 un test proiettivo consistente in una storiella da completare
rispondendo a tre domande riguardo: le cause della paura, la persona e
l’azione che avrebbe potuto alleviare il timore.
I risultati indicano che le paure dei bambini della scuola elementare si
possono raggruppare in cinque elementi principali:
1) La paura di oggetti con l’ago.
2) La paura dell’intervento chirurgico.
3) La paura della morte (che però non viene indicata utilizzando la parola
“morte” ma frasi del tipo: “Non ce l’ha fatta” oppure: “non sarebbe più
guarito” ecc.).
4) La paura dei medici. Questa figura è ambigua perché è vista come una
figura di aiuto ma allo stesso tempo paurosa. Ed effettivamente è un po’ il
43
Pedagogista e insegnante, Ospedale Meyer, Firenze
77
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
ruolo reale che assumono i medici: guariscono il bambino ma per guarirlo
devono prescrivere iniezioni, somministrare pastiglie, effettuare interventi
chirurgici.
5) La paura dell’abbandono e solitudine. Si teme quindi l’allontanamento
delle persone significative: genitori, amici, compagni di classe.
La figura di aiuto più indicata è ovviamente quella genitoriale, anche se
vale la pena sottolineare che non viene indicata da un bambino su tre.
Al secondo posto troviamo il medico e a seguire un amico, interno o
esterno all’ospedale.
I bambini di sette-otto anni sono maggiormente spaventati da invasioni
fisiche, dolorose, quali le iniezioni, gli interventi; mentre bambini di dieciundici anni temono anche la separazione, l’abbandono, la solitudine.
3.6 Conoscere il lupo che ti spaventa: la preparazione al
ricovero come misura preventiva
“Uno dei motivi per cui i bambini (e anche i grandi) vedono l’ospedale come
luogo di malattia e sofferenza è che ci entrano esclusivamente se si fanno
male, se si ammalano, o per andarci a trovare qualcuno che vi è ricoverato.
Tuttavia, per tante persone un ospedale è anche luogo di relazioni e di
78
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
lavoro. Poter conoscere meglio questi aspetti costituisce, a nostro avviso,
un’importante attività per prevenire future paure e timori nei bambini.”44
Parto da una premessa che per me è fondamentale: la conoscenza limita la
paura. Ritengo infatti che conoscere ciò che ci spaventa è sicuramente un
modo per familiarizzare con quell’evento e diminuire la tensione che il
pensiero di quella determinata esperienza ci provoca.
Per cui conoscere e rielaborare le proprie paure rispetto ad un evento
permette di trovare una dimensione in cui quello che prima ci spaventava
molto, ora spaventa meno perché già conosciuto ed esplorato.
Ricerche dimostrano che il bambino che viene preparato al ricovero,
permettendogli di conoscere l’ambiente a priori, manifesta meno stranezze
comportamentali sia durante che dopo la degenza.
Bisogna però tenere conto anche dell’imprevedibilità a volte del ricovero,
al quale non può precedere una spiegazione e una conoscenza.
Proprio per questo motivo non si può ipotizzare un intervento di
prevenzione solo nei casi in cui si è a conoscenza di un futuro ricovero,
perché i bambini e i genitori interessati sarebbero solo una minoranza.
44
M. Capurso e M. Trappa, “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una ricerca
basata su sistemi proiettivi”, in “Difficoltà di apprendimento” , Rivista Erickson, n.8/1,
ottobre 2002
79
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Si deve parlare allora di due tipi di preparazione al ricovero: una
GENERALE
che
comprende
la
conoscenza
dell’ospedale
indipendentemente dal ricovero o meno, e una MIRATA quando si è a
conoscenza della futura ospedalizzazione. Per avere un modello di
prevenzione globale si dovrebbero pensare entrambe.45
La preparazione GENERALE, da attuare su diversi livelli, dovrebbe
fornire al bambino e al nucleo familiare una conoscenza tale per cui un
eventuale ricovero risulti meno pesante e traumatico.
La preparazione generale deve essere agita con i bambini ma anche con i
genitori, che soprattutto in età prescolare sono un importantissimo
riferimento per il fanciullo.
Come abbiamo detto nei capitoli precedenti, i genitori hanno un’influenza
notevole sul senso di sicurezza del bambino; per questo comunicare
informazioni, presentare eventuali letture per adulti e per i bambini,
visitare l’ospedale, comunicare strategie e offrire una consulenza ai
genitori è un modo per aiutare indirettamente anche il loro bambino.
Possono essere organizzate serate pubbliche, colloqui individuali,
telefonate.
45
Cfr Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino
con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000
80
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
L’informazione e la visita guidata permette al genitore di familiarizzare
con l’ambiente ospedaliero e con la malattia riconoscendo i propri limiti e i
propri vissuti attraverso l’esperienza diretta. In questo modo i genitori si
sentiranno in grado di parlare con il proprio figlio di malattia e sofferenza
restando così un supporto stabile per il bambino.
Inoltre i genitori devono essere informati sul significato di un ricovero
ospedaliero. Oltre a temi quale la separazione, la mancanza della nozione
del tempo nel bambino, le interpretazioni fantastiche e le paure tipiche
dei fanciulli, devono essere date anche informazioni su quella che è
l’organizzazione del reparto. Devono essere informati sui diritti del
paziente e dei genitori, sulla possibilità di stare sempre accanto al figlio,
sugli orari di visita, degli spazi che hanno a disposizione, e il regolamento
interno.
Non può mancare anche il confronto con il metodo educativo. I genitori
vanno messi in guardia per quanto riguarda i danni che potrebbero
causare al bambino utilizzando il ricovero ospedaliero e la malattia come
una punizione. Inoltre devono essere informati su ciò che potrebbe
comportare l’attuazione di un comportamento troppo permissivo o troppo
autorevole in una degenza prolungata.
La preparazione generale al ricovero ha lo scopo di informare il bambino
su cosa deve attendersi dall’esperienza per fare in modo che si abitui alla
situazione che troverà.
81
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Aiutare il bambino a non nascondere i suoi timori e le sua ansie, aiutarlo a
riconoscerli e a comunicarli ad una persona significativa.
Per i bambini più piccoli si può ricorrere all’utilizzo del gioco o della fiaba,
di un filmato per avvicinare il bambino all’esperienza; nei casi di bambini
più grandi anche i colloqui possono essere efficienti. Ricerche dimostrano
che i giochi di ruolo sono molto efficaci in quanto permettono al bambino
di sperimentare con mano i propri sentimenti venendo maggiormente
coinvolto nell’elaborazione e nel superamento di alcune paure.
Gli oggetti che incontrerà in ospedale possono avere un aspetto
minaccioso per il fanciullo: per questo motivo devono essere spiegati loro,
in modo che quando li vedrà potrà riconoscerli e sentirsi più sicuro
proprio perché ne conosce già l’utilizzo.
Un’ulteriore forma di preparazione è la visita guidata in ospedale:
l’incontro con i bambini degenti che raccontano la loro esperienza e
mostrano loro gli spazi; tutto questo monitorato da una figura
professionale come ad esempio l’educatore professionale, in modo da
controllare gli eventi e facilitare l’espressione dei timori, domande,
curiosità. Interessante sarebbe coinvolgere anche il genitore in questa
esperienza in modo che il bambino possa condividere l’esperienza con una
persona significativa offrendogli la possibilità di parlare ed elaborare ciò
che ha visto e provato. Spesso i dubbi e le domande che generano
maggiore paura vengono verbalizzati solo dopo qualche giorno e per il
82
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
bambino poterne parlare a qualcuno che abbia condiviso la stessa
esperienza è un grande vantaggio. Il genitore è a conoscenza di quello che
sta dicendo il bambino e quindi può rassicurarlo e fornire spiegazioni più
appropriate in base all’esperienza vissuta insieme.
E’ possibile parlare di una prevenzione MIRATA quando c’è l’imminenza
di un ricovero. Anche questa preparazione deve essere rivolta non solo al
bambino ma anche ai genitori.
Gli obiettivi dovrebbero essere quelli innanzitutto di ridurre le paure del
bambino attraverso l’informazione e la sperimentazione dei propri vissuti,
di mostrare al bambino le procedure mediche a cui verrà sottoposto e di
garantire un’adeguata elaborazione durante e dopo la degenza.
E’ importante informare nel modo più completo il bambino con parole a
lui comprensibili, spiegargli quello che gli sta accadendo, cosa dovranno
fargli e i diritti e doveri che avrà all’interno dell’ospedale. Bisogna tenere
conto del suo grado di maturazione e della sua capacità di comprensione.
Soprattutto con i bambini più piccoli la spiegazione verbale non è
sufficiente: si possono utilizzare strumenti come il gioco di ruolo o la
lettura di una fiaba che permettono al bambino di viverle in prima
persona.
Una verità fa meno male di una bugia: il bambino non ha bisogno di false
rappresentazioni della realtà per superare i suoi timori, anche perché
83
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
prima o poi verrà a scoprire la realtà. Il bambino ha bisogno di chiarezza e
trasparenza: non esistono quindi “bugie necessarie” o “mezze verità”.
Se il bambino viene ingannato anche una sola volta potrebbe perdere la
fiducia nei genitori e nel personale medico, ribellandosi a qualsiasi
trattamento, anche indolore. Non avrebbe senso quindi presentare come
non dolorosa una procedura medica invasiva; si correrebbe il rischio che la
volta successiva, davanti ad una visita assolutamente indolore il bambino
sia terrorizzato e si ribellerà ( giustamente) al trattamento.
“Ci volle un po’ prima che i genitori disperati si convincessero che la
bambina doveva sapere che dopo l’intervento avrebbe avuto una gamba sola.
Undici mesi più tardi Ruth tornò da noi per un controllo al moncone. Andò
tutto liscio. Mentre aspettava la bambina, la madre venne da me e mi disse:
“Sa, sono così contenta che l’anno scorso l’abbiamo detto prima a Ruth
dell’amputazione, come avevate proposto. Sono sicura che non sarei più
riuscita a portarla in ospedale. Infatti mi ha chiesto: “Mi taglieranno anche
l’altra gamba?”, e quando le ho risposto: “No, ti controlleranno solo il
moncone” lei mi ha creduto”46
Il momento dell’informazione deve essere scelto in modo che il bambino
abbia il tempo e la possibilità di prepararsi gradualmente all’evento, di
46
Plank in “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”,
Doris Caviezel-Hidber , Milano, Franco Angeli, 2000, p.120
84
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
rielaborare le informazioni e di porre domande ed eliminare idee
sbagliate.
In molti ospedali statunitensi vengono proposte diverse attività di
conoscenza:47
TOUR PRE-OPERAZIONE CHIRURGICA
Consiste in una visita guidata che dà la possibilità al bambino di vedere
spazi, persone e oggetti qualche giorno prima dell’intervento. Con l’aiuto
di un child life specislist (psicopedagogista opportunamente preparato a
svolgere questo compito) il bambino può giocare con il materiale medico e
aumentare il livello di <<padronanza>> sugli eventi.
FEEDBACK COGNITIVO
E’ la spiegazione abbastanza dettagliata di ciò che avviene prima e
durante una procedura medica, in modo da permettere all’adolescente di
mantenere un certo grado di controllo sulla realtà senza subirla
passivamente. Questa modalità permette di costruire una base di fiducia e
collaborazione tra il medico e il paziente.
47
Tratto da “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una ricerca basata su
sistemi proiettivi”, a cura di M. Capurso e M. Trappa in “Difficoltà di apprendimento” ,
Rivista Erickson, n.8/1, ottobre 2002
85
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Ovviamente non tutti i pazienti, come abbiamo già detto, vogliono essere
informati allo stesso modo: c’è chi preferisce non sapere cosa sta
accadendo.
SPIEGAZIONE DELLE PROCEDURE AI BAMBINI E IL <<GIOCO DEL
DOTTORE>>
Consiste nella spiegazione delle procedure al bambino e nell’offrirgli
successivamente la possibilità di mettere in pratica ciò che ha appreso su
pupazzi e oggetti, aiutando così il bambino e i genitori a far emergere a
livello cosciente i sentimenti di paura e riuscire ad elaborarli.
Liberare quindi la mente del bambino da condizionamenti e paure
significa fornirgli la possibilità di valutare oggettivamente l’esperienza.
3.7 Un approccio interdisciplinare alla prevenzione
Per prevenire il trauma del ricovero o comunque ridurre le conseguenze
negative dell’ospedalizzazione è opportuno coinvolgere tutte le figure che
si occupano direttamente del bambino fuori e dentro l’ospedale.
Infatti come ho detto nel paragrafo precedente, anche genitori, medici,
infermieri e istituzioni dovrebbero essere coinvolti.
E’ necessaria innanzitutto una collaborazione con medici di base e pediatri
che si occupano del bambino fin dai primi giorni di vita.
86
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
E’ importante che un progetto di prevenzione sia coerente e che preveda
quindi incontri che informino i medici su cosa significhi per un bambino
vivere la malattia e la degenza in ospedale, in modo da poter aiutare
bambini e genitori a prepararsi all’evento tenendo conto anche dello stato
emozionale del piccolo paziente. Non è da molto infatti che si presta molta
attenzione anche alla psicologia evolutiva nel percorso di formazione dei
medici.
Un secondo livello, ma non meno importante di collaborazione è con il
personale sanitario: medici e infermieri che hanno a che fare direttamente
con il bambino all’interno del reparto di pediatria. Anch’essi hanno una
preparazione prevalentemente scientifica e trattano solo marginalmente la
psicologia; per questo un progetto di prevenzione può essere davvero
efficace se si occupa anche della formazione del personale medicoinfermieristico.
Organizzare
quindi
incontri
su
temi
quali
l’importanza
del
coinvolgimento del bambino alla guarigione, l’importanza della verità e la
delusione della bugia, il significato del gioco, della presenza delle figure
genitoriali ecc.
Per una presa in carico globale dell’individuo è importante che ci sia
collaborazione e non concorrenza; l’obiettivo non è quello di far prevalere
l’aspetto pedagogico e psicologico del bambino in un contesto sanitario
(anche perché non possiamo dimenticare che il mandato istituzionale è
87
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
quello di garantire le cure fisiche), ma si tratta di trovare una
collaborazione che possa aiutare il bambino e i suoi genitori a vivere più
serenamente l’esperienza senza sentirsi “spezzato”.
Aiutare il personale medico a cogliere l’importanza di una comunicazione
sincera, aperta, di una comunicazione che vada incontro al paziente con
termini a lui comprensibili; una comunicazione che possa generare fiducia,
che possa diventare significativa per entrambi in modo da creare un
rapporto positivo.
Ovviamente fornire una supervisione al personale medico-sanitario dà la
possibilità di elaborare emozioni, di rivedere situazioni particolari e le
difficoltà nei rapporti interpersonali dei membri dell’équipe, che spesso
creano tensioni anche nel rapporto con le famiglie.
E’ importante lavorare con le istituzioni: aiutare l’organizzazione
ospedaliera a prestare maggior attenzione alle esigenze e agli interessi dei
bambini e dei loro genitori; organizzare diversamente spazi e orari,
coinvolgere maggiormente i genitori nella cura del bambino, rivalutare
l’impostazione architettonica dei reparti di pediatria.
I bambini passano la maggior parte del loro tempo a scuola ed inoltre la
scuola è per eccellenza il luogo degli apprendimenti: per questo risulta
indispensabile fare un discorso di prevenzione che richieda l’intervento di
altri professionisti del territorio, come ad esempio educatori professionali,
88
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
medici e infermieri. In questo modo si può garantire una prevenzione
generale agita su bambini “sani”.
4 L'EDUCATORE
personaggio
PROFESSIONALE:
ALL'INTERNO
DI
un
QUESTA
FAVOLA
4.1 Perché l’educatore?
“L’educatore professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso
del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e
riabilitati, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe
multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con
obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero
alla vita quotidiana, cura il positivo reinserimento psico-sociale dei soggetti
in difficoltà”.48
Tutti parlano di educazione: l’educazione non è un tema riservato solo agli
esperti. Di educazione parlano e se ne occupano i genitori, gli insegnanti, i
giornalisti, i mass-media. Chiunque
può permettersi di parlare di
educazione, anche senza avere una preparazione specifica.
48
Decreto Ministeriale n.520 dell’8 ottobre 1998
89
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Se a fianco al termine di educazione aggiungessimo la parola
“professionale”, ci accorgeremmo subito che è cosa ben diversa da quella
naturale, agibile da tutti. E così, come in tutte le professioni c’è la necessità
di un operatore formato che si occupi di quel determinato oggetto.
Che il rapporto sia connotato in senso professionale si intende che uno dei
due attori, l’operatore, abbia ben chiaro che il suo compito è la
promozione di una relazione che produca cambiamento, trasformazione;
che abbia come scopo aiutare la persona a “crescere”, cioè a trovare delle
risposte, delle soluzioni ai propri problemi e a fare di un’esperienza
apparentemente solo negativa un’esperienza di crescita individuale e
personale.49
“Per professionalità educativa si intende l’intenzione e la capacità di agire
educativamente secondo orientamenti e principi che appartengono alla
scienza dell’educazione (pedagogia).”50
L’educatore professionale è l’operatore pedagogico che si occupa di
istaurare consapevolmente e responsabilmente un relazione educativa;
una relazione che implichi un rapporto di fiducia e di reciprocità, che
49
Cfr. S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al
malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989
50
P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.304
90
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
permetta all’educando di vedere nell’educatore una persona significativa e
che permetta all’educatore di trasmettere il sapere grazie ad un rapporto
sincero ed empatico.
L’educando deve sentirsi circondato da un clima di stima e di rispetto e
rispettato nei tempi; deve avere al suo fianco una persona che non sia lì
per giudicare tutti i suoi comportamenti, ma che sia in grado di accettarli
così come si presentano, senza pensare se per lui siano giusti o sbagliati.
Fare l’educatore non significa educare secondo i propri principi, secondo i
propri schemi interpretativi e secondo i propri modelli educativi di
riferimento.
Educare in senso professionale significa aprire delle possibilità: mostrare
all’utente delle alternative e aiutarlo a capire quale per lui è la più adatta,
seguirlo nella sperimentazione, aiutarlo ad avere consapevolezza degli
apprendimenti, supportandolo nei momenti di sconforto.
L’educatore
non
può
non
tenere
conto
dell’esperienza
passata
dell’educando, ma non può nemmeno fermarsi a questa. L’intervento
dell’educatore si gioca nel qui ed ora, nella quotidianità; ed è proprio
l’esperienza condivisa che diventa oggetto di tematizzazione.
Vuol dire creare le condizioni in cui la relazione possa essere un
laboratorio esperenziale entro il quale l’educando possa sperimentare le
proprie capacità e i propri limiti in una situazione protetta per poi
esportare gli apprendimenti ad altri contesti della propria vita. Insegnare
91
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
ad un bambino ad accettare la sconfitta in un gioco di squadra non
significa solamente insegnargli che nel gioco si può anche perdere, ma
significa dargli la possibilità di sperimentare in prima persona il vissuto di
sconfitta attribuendone un senso per poi generalizzare gli apprendimenti
ad altre esperienze di vita.
L’educatore deve farsi carico di un compito importantissimo che spesso
l’educando in una situazione di sofferenza e di dolore dimentica:
l’educatore deve essere portatore di un messaggio di speranza. Deve
aiutare il soggetto a vedere in positivo, pur affrontando momenti negativi;
deve aprire nuovi orizzonti, deve avere la capacità di <<lanciare>>
l’educando in esperienze sempre nuove e deve avere la capacità di
cogliere tutti gli elementi in ciascuna di essa.
Spirito di iniziativa, creatività, entusiasmo per la scoperta sono tutte
capacità che l’educatore professionale deve possedere; deve possedere
quella che P. Bertolini chiama “tensione esplorativa “perché l’operatore
pedagogico non può accontentarsi del già sperimentato e del già vissuto.
Deve avere sempre quella voglia di scoprire, sempre teso verso nuove
conquiste e verso il superamento del già conquistato e trasmettere così
92
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
all’educando la capacità di andare oltre, aiutarlo ad acquisire quella
capacità operativa in grado di dilatare sempre il campo esperenziale.51
L’educatore deve essere in grado di creare una certa distanza pedagogica,
che non vuol dire freddezza e distacco, ma significa permettere
all’educando di sperimentarsi liberamente affrontando in prima persona le
sue difficoltà. Ovviamente con l’aiuto dell’educatore, che non si sostituisce
ma lo accompagna.
L’educatore deve avere una certa padronanza di sé per riuscire a
controllare certi stati psicologici, come l’irritazione, l’eccitazione che
possono far perdere il necessario equilibrio e avere la capacità di
mantenersi sereni e fiduciosi anche in situazioni di difficoltà e di
sofferenza. Significa anche sapersi difendere dalla delusione, dalla
sconfitta, bisogna saperla neutralizzare.
“Il fallimento della nostra opera educativa in un caso particolare non può
significare il fallimento del nostro metodo e delle nostre prospettive
pedagogiche, ci si deve peraltro convincere che in nessun caso è giusto
51
Cfr. , “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988
93
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
pretendere che il risultato dell’azione educativa coincida perfettamente con il
fine che ci si era posti in partenza.”52
La competenza pedagogica si muove secondo alcune prospettive che
danno senso e intenzionalità all’agire. Non si tratta quindi di “dare una
mano” in modo spontaneo, impulsivo e naturale. Qualsiasi azione agita
all’interno di un rapporto educativo professionale non può essere lasciata
al caso, ma deve essere supportata da un pensiero.
E’ proprio questo pensiero a priori che legittima e dà senso all’azione
stessa.
Sta qui la capacità dell’educatore di programmare l’intervento educativo,
che non significa seguire ossessivamente tutto quello stabilito a priori ma
significa non lasciare che l’azione educativa venga abbandonata ai
condizionamenti esterni.
Caratteristica fondamentale della programmazione è la flessibilità, cioè la
capacità di adattarsi e adeguarsi a situazioni e condizioni che non sono
prevedibili e che cambiano continuamente. Un progetto rigido, statico, che
non tiene conto dell’imprevisto e delle molteplici variabili è un progetto
destinato a fallire.
52
P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.321
94
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Progettare infatti non significa prevedere tutto quello che accadrà,
altrimenti vorrebbe dire che gli altri stiano zitti o che dicano esattamente
quello che vogliamo sentirci dire.
“Pro-gettare significa ‘lanciare qualcosa dinanzi a sé’, non tirare verso di sé
ciò che crediamo avere davanti…. Prendere oggetti che abbiamo in mano
adesso (un’idea, un appuntamento, un libro), lanciarli nel prossimo futuro e
stare poi a vedere cosa accade.”53
L’educatore è chiamato anche a mettere in atto la cosiddetta “progettualità
leggera”, così nominata da Igor Salomone. Si tratta di una progettualità
che l’educatore è chiamato a pensare nel “qui ed ora” per rendere
intenzionale il suo agire.
Con il termine “leggera” non si intende superficiale, anzi, forse è qualcosa
di più complesso perché richiede all’educatore di progettare proprio nel
momento in cui sta agendo.
Il prodotto dell’educatore non è un prodotto tangibile, visibile, materiale
come lo può essere qualsiasi lavoro di produzione; l’educatore produce
sapere, crescita, cambiamento, possibilità, alternative, speranza, senso,
elementi che non sempre sono così visibili agli occhi di coloro che sono
esterni alla relazione.
53
I.Salomone “Bisogni di governo”, p. 193
95
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
L’esperienza educativa si realizza in una serie di atti comunicativi: per
questo l’educatore
deve sentirsi un vero e proprio tecnico della
comunicazione. Deve possedere la capacità di dialogare con l’educando,
sapendo innanzitutto ascoltare con autentico interesse54.
Ascoltare non in senso puramente meccanico, ma capire e comprendere
profondamente il vissuto dell’educando, senza distorcerlo con i nostri
modelli interpretativi; mettersi nei suoi panni al punto tale da percepire
davvero quello che l’altro sta provando in quella determinata circostanza,
pur avendo la consapevolezza che è lui e non noi che lo stiamo vivendo
(posizione di empatia).
Quando si parla di comunicazione non si intende solo quella verbale; per
un educatore è indispensabile prestare attenzione a tutti quei gesti,
sguardi e respiri che sono portatori di messaggi, di richieste implicite che
l’educatore deve saper cogliere per poter aiutare l’educando ad esplicitarli.
Così come l’educando, anche l’educatore è portatore di messaggi non
verbali. E’ opportuno che acquisisca una capacità di controllo del proprio
corpo per non inviare messaggi contraddittori e dunque pedagogicamente
compromessi.
54
P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.311
96
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
“ La comunicazione non consiste nel trasportare oggetti dal dentro al fuori;
quanto entrare in un rapporto originale e creativo che consente, insieme
all’altro, di produrre un oggetto, che prima non esisteva….”55
Il linguaggio intenzionale è un linguaggio dinamico, non statico; non si
tratta di un linguaggio di verità e di assolutismi, ma si tratta piuttosto di
un linguaggio aperto alla confutazione, che stimola la mente di chi parla e
di chi ascolta, capace di creare qualcosa di nuovo.
L’educatore diventa un modello per l’educando, ma non un modello da
seguire rigidamente e perfettamente; ma bensì un esempio che si presenti
onestamente e autenticamente, senza nascondere le sue difficoltà e senza
porsi come essere perfetto, ma bensì come un individuo con tutte le sue
caratteristiche e imperfezioni che qualsiasi essere umano possiede.
Solo potendo cogliere nell’educatore queste imperfezioni
e potersi
confrontare con esse l’educando può sentirsi all’altezza di stare all’interno
del rapporto educativo senza sentirsi inferiore.
L’educatore non è detentore del sapere assoluto e tantomento deve porsi il
problema di dover dare sempre la “risposta giusta” (a volte non è
nemmeno necessario dare una risposta immediata).
55
“A.Canevaro. “I bambini che si perdono nel bosco”. Identità e linguaggi
nell’infanzia,La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976, p.60
97
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Il mestiere dell’educatore quindi richiede una formazione specifica
accurata, ma non solo: è necessario allo stesso tempo lo svolgimento di un
percorso di perfezionamento personale mai esaurito e mai chiuso, ma
bensì sempre aperto a nuovi apprendimenti sia da un punto di vista
intellettuale, tecnico ma anche da quello spirituale. Da qui la necessità per
l’educatore di una formazione continua.
Possiamo dedurre quindi che il mestiere dell’educatore è un mestiere di
estrema delicatezza e non è quindi possibile, e sarebbe assurdo considerarlo
alla stregua di un qualsiasi mestiere non-qualificato56.
Da qui l’importanza della scelta dell’educatore professionale quale attore
di un intervento di prevenzione del trauma del ricovero, in quanto
possiede tutte le competenze necessarie.
L’educatore professionale dovrebbe intervenire in due contesti differenti
(che verranno approfonditi nei prossimi capitoli) che sono: la scuola, per
un discorso di prevenzione che non dipende da un sicuro ricovero, e il
secondo è all’interno dell’ospedale per aiutare il bambino e la sua famiglia
a vivere più serenamente l’esperienza dell’ospedalizzazione e a fare di
quest’esperienza
apparentemente
negativa
un’esperienza
di
apprendimento personale.
56
P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.323
98
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
“Si fa accenno all’educazione in quanto prendere per mano un bambino
ricoverato ed aiutarlo a capire cosa gli stia intorno può essere ritenuto un
compito esclusivamente formativo.”57
Una figura professionale quindi che abbia come scopo un’intenzionalità
educativa, che ripulisca la relazione da tutti gli aspetti negativi per riuscire
a fare emergere quelli positivi e gli apprendimenti che dall’esperienza
stessa derivano.58
4.2 L'EP a confronto con il proprio modo di vivere la malattia
e il dolore
“L’educatore si serve di uno strumento assai complicato nell’incontro con
l’altro: della propria persona che diventa appunto una complessità ed un
processo di linguaggio. E sulla propria persona risente del logorio delle
attese tradite, forse perché false in partenza.”59
57
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.146
58
Cfr. S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al
malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989
59
“A.Canevaro. “I bambini che si perdono nel bosco”. Identità e linguaggi
nell’infanzia,La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976, p.53-54
99
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Qualsiasi operatore che si trovi a lavorare in una situazione di malattia e
di sofferenza è costretto inevitabilmente a mettersi in gioco personalmente
e a porsi alcuni interrogativi rispetto all’esperienza che insieme
all’utente/paziente si trova ad affrontare.
Cercare infatti di capire cosa significhi per l’operatore vivere una
situazione di malattia e di dipendenza da altre persone è un passo
importante per riuscire a porsi in modo sincero e autentico con l’utente.
Le difficoltà ad affrontare le emozioni “forti” vengono percepite
dall’utente, il quale, accorgendosi di far soffrire l’operatore probabilmente
cercherà di mascherare, nascondere questi sentimenti e di esibirne altri che
potrebbero essere più graditi dall’operatore.
Il
confronto
continuo
con
situazioni
di
sofferenza
sollecitano
inevitabilmente l’equilibrio interiore, le sicurezze emotive ed anche i
quadri valoriali dell’educatore stesso.
Il dolore e le difficoltà dell’altro a volte fanno riaffiorare esperienze di
sofferenza vissute in prima persona, ed è così che si moltiplicano i timori,
le ansie per sé e per i propri cari. Dall’altra parte vi è anche un profondo
disagio che si avverte in situazioni di impossibilità o incapacità di alleviare
o risolvere i problemi dell’utente.
In un rapporto professionale, l’educatore non può permettersi di farsi
travolgere da queste sensazioni.
100
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
E’ necessario innanzitutto riconoscerle per non confonderle con quelle
dell’utente e riuscire a controllarle, a metterle da parte, a non riversarle
nella relazione educativa professionale. Riuscire ad esplicitare a noi stessi
e all’educando (a seconda del suo grado di maturazione) che sono nostre
sensazioni e non dell’utente.
La capacità di sopportare questo “peso” richiede probabilmente delle doti
personali, ma anche una formazione specifica e tanta pratica. Raggiungere
questa “solidità” interiore non significa diventare indifferenti ai problemi
dell’altro, ma significa mettere un confine, un limite che non va
oltrepassato, un confine che tutela l’educatore ma anche l’educando.
Per questo un educatore che lavora in ospedale è costretto a porsi alcuni
interrogativi a cui non sempre segue una risposta immediata e statica.
E’ necessario un confronto con il proprio modo di vivere la malattia prima
di incontrare quello dell’altro; è importante capire qual è il proprio modo
di vivere i cambiamenti prima di accompagnare l’altro ad accettarli; è
fondamentale sentire cosa significhi in prima persona dipendere da
qualcuno in uno stato di malattia e delegare la cura ad altri prima di
capire cosa significhi tutto questo per l’educando.
Questi sono tutti quesiti che l’educatore si deve porre per poter incontrare
il malato in modo sincero, in modo equilibrato, per non confondere i suoi
bisogni e il suo modo di vivere le esperienze con quelli dell’utente.
101
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
E’ riconoscendo il proprio modo di interpretare e vivere quella
determinata situazione che permette all’educatore di sospendere la
propria visione per mettersi nei panni dell’altro ed arrivare ad un sentire
comune che permetta all’utente di sentirsi compreso e accettato per quello
che è e all’educatore si sentirsi vicino all’utente.
4.3 L’adulto incontra il bambino
“Il mondo del bambino e del ragazzo ha le sue caratteristiche e la sua
struttura come qualsiasi mondo di cultura e come qualsiasi civiltà, forse più
accentuate ancora. Così, chi voglia entrarvi per assumervi un ruolo
educativo deve spogliarsi delle proprie convinzioni e del proprio modo di
pensare, se non vuole sentirsi estraneo ed impotente”.60
Anche il bambino, seppur piccolo ha una sua storia e per questo è
portatore di sapere, di esperienze e di ricordi.
Bisogna considerare il bambino come essere complesso considerandolo
come un sistema in quanto è il prodotto di determinazioni biologiche,
psicologiche, sociali e culturali, ma anche come un elemento di più
60
P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988 , p. 127
102
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
sistemi, infatti è nello stesso momento un bambino, è figlio, è amico, è
compagno.
Va considerato come essere unico e in questo va assolutamente rispettato.
Non è possibile quindi scomporlo ma deve essere considerato e preso in
carico in modo globale, cercando di agire il più possibile anche sui sistemi
circostanti.
L’adulto che vuole incontrare il bambino lo deve fare spogliandosi dei
suoi schemi interpretativi e del suo pensiero maturo; l’adulto che irride
timori del bambino sollecitandolo ad essere razionale e ragionevole
dimentica che ragionevolezza e razionalità sono frutto di passaggi e
conquiste che richiedono fatica. Se è vero che gli adulti sono “bambini grandi”,
non è altrettanto vero che i bambini sono “piccoli adulti”.61
E’ vero che il bambino ha bisogno di essere accompagnato nelle scoperte,
che deve essere tutelato più di un adulto in quanto è più indifeso ma è
anche vero che crescere e scoprire deve essere un’attività agita in prima
persona dal bambino stesso, senza evitargli i pericoli, necessari per la sua
crescita e senza essere oppressivi.
61
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.182
103
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
L’adulto troppo spesso sottovaluta le capacità del bambino perché non lo
ritiene all’altezza di fare determinate azioni e allora si sostituisce
completamente a lui.
Le attese dell’adulto permettono una crescita del fanciullo, ma quando
queste attese diventano pretese impediscono al bambino di diventare altro
diverso da noi.
Questo non è possibile in una relazione educativa professionale, dove
invece l’educando deve scegliere lui stesso cosa diventare.
“Il bambino
ha un avvenire, ma ha anche un passato fatto di alcuni
avvenimenti significativi, di ricordi, di meditazioni profonde e solitarie.
Come noi, ricorda e dimentica, rispetta e disprezza, ragiona bene e si sbaglia
quando non sa. Saggio, concede la fiducia o la rifiuta a seconda dei casi.”62
A volte l’adulto si mostra indifferente a importanti scoperte proprio
perché per il mondo adulto sono banalità; sono apprendimenti ormai
acquisiti e per questo si fatica a riconoscerne la valenza per il bambino che
le vive per la prima volta. I bambini però meritano il nostro rispetto per le
loro emozioni, per le loro fatiche, per i loro insuccessi, anche se a noi
sembrano delle banalità.
62
Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto, Milano, Luni Editrice, 1994. Scritto
nel 1929, p.56
104
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Spesso l’adulto è sopraffatto dalla paura di sbagliare, dalla paura di non
riuscire a dare la risposta giusta, di non riuscire a fornire la giusta
soluzione. Questo accade quando sussiste un’idea di educazione
conformista intesa quindi come buona o cattiva educazione.
L’educatore è un modello per il fanciullo: è colui che consente e stimola
l’identificazione. Non deve avere timore di mostrarsi con i suoi errori e le
sue imperfezioni e non deve temere quando l’educando gli fa notare le sue
debolezze. L’essere umano non è un essere perfetto. L’educatore non deve
cercare di imporre acriticamente i suoi modelli comportamentali e
pretendere che vengano imitati tali e quali.
E’ necessario partire da una buona relazione per costruire un progetto
d’intervento che veda il bambino protagonista dell’azione, e non solo come
oggetto da tutelare. Per questo si deve parlare lo stesso linguaggio del
bambino utilizzando i suoi “codici” e i suoi riferimenti, rispettando le
dimensioni culturali del contesto dal quale egli chiede aiuto, avendo il tempo
per comprendere il suo mondo mentale per definire i contorni.63
Non possiamo pensare che tutto possa essere scelto al posto del bambino
convinti del fatto che avvenga per il suo bene: senza un comune
sentimento e una comune condivisione non può esserci né dialogo né
63
Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto”, Milano, Luni Editrice, 1994, Scritto
nel 1929, p.8
105
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
rispetto. Il bambino deve essere in qualche modo attivo nel suo processo
evolutivo così come all’interno della relazione educativa.
E’ importante quindi parlare il suo linguaggio, utilizzare i suoi codici;
rispettare il suo stato di maturazione dandosi il tempo di poter
comprendere il suo mondo mentale per definire i contorni.
L’adulto dovrebbe essere attento a cogliere anche i messaggi non verbali
che il bambino comunica; spesso il fanciullo non riesce a trovare le parole
per esprimere un disagio o un desiderio e l’adulto deve aiutarlo ad
esplicitare i suoi bisogni. E’ facile confondere una seria richiesta d’aiuto
con un capriccio comune.
4.4 Gioco e fantasia per superare le paure
“Quando parlo o gioco con un bambino, un istante della mia vita si unisce a
un istante della sua e questi due istanti hanno la stessa maturità.”64
Il gioco implica una libertà di movimento. L’atto del giocare è un atto
creativo, in quanto attraverso nuove combinazioni e nuove scoperte
possono essere modificate situazioni normalmente vissute.
64
Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto, Milano, Luni Editrice, 1994. Scritto
nel 1929, p.60
106
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Per il bambino il gioco è una vera e propria attività, è un impegno serio, è
un lavoro e non un passatempo. E’ proprio attraverso il gioco che l’uomo
fin da bambino sperimenta se stesso e sperimenta la possibilità di
intervenire attivamente sugli elementi che lo circondano e di trasformarli
secondo il proprio vissuto.
Ecco che il gioco possiede una duplice funzione: innanzitutto quella di
aiutare la presa di coscienza della realtà, ma anche di aumentare la
conoscenza di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti e della propria
capacità di muoversi, di creare e di inventare. Ecco che quindi il gioco
diventa occasione di apprendimento.
L’attività del gioco quindi non deve essere svolta solo per riempire il
tempo, ma bensì deve
essere un’attività pensata e programmata
dall’educatore in base alle richieste e ai bisogni dei bambini.
Le finalità dell’intervento ludico saranno quelle di offrire il maggior
numero si stimoli al bambino, di rispondere ai bisogni e di restituire una
certa
continuità
nell’esistenza
del
fanciullo
permettendogli
di
sperimentarsi in un’attività che è propria del mondo infantile.
Il gioco è un ponte gettato dall’età adulta all’infanzia. Soprattutto
all’interno di un contesto ospedaliero e di malattia giocare significa in
qualche modo riattivare la parte sana, affermare la voglia di vivere e
reagire al meglio di fronte al malessere, stimolando risorse positive.
Significa entrare in contatto con il bambino, creare una legame di fiducia,
107
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
un modo di dire “ci sono e ti capisco”, un modo per sciogliere gli
atteggiamenti di rifiuto che normalmente un bambino assume con un
adulto “estraneo”.
Giocare per un adulto non è semplice, soprattutto se si hanno in mente
degli obiettivi e delle finalità. A volte si fa vincere il bambino per
compiacenza, ma questo non è autentico e ne viene subito colta la falsità
da parte del bambino che giustamente potrebbe reagire con rabbia.
L’adulto che gioca dovrebbe “mettersi in gioco” in modo sincero: ridere,
inventare, creare, vincere, perdere in modo leale senza perdere mai la
percezione del tempo e del giudizio critico; sta qui la differenza tra
l’adulto e il bambino che giocano.
“L’adulto che gioca <<a metà>>, e che non sa o non riesce a sospendere
certe facoltà cognitive, equivale a uno spettatore che durante uno spettacolo
continua a pensare ad alcune sue preoccupazioni.”. 65
Giocare, per il bambino, è una vera e propria attività spontanea; per
l’adulto giocare con partecipazione è una vera e propria immersione. O la
si fa totalmente o non la si fa. Per l’infanzia l’immersione è un processo
65R.Branzino
e F.Russo, in “Gioco e studio in ospedale”, pag.127-128
108
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
automatico, per l’adulto non più. Sta proprio qui la difficoltà
dell’operatore.
A volte, quando l’educatore si trova davanti agli occhi espliciti messaggi
di dolore è difficile recuperare e attivare la parte della fantasia, del
divertimento e della vivacità. La
sfida educativa all’interno di un
esperienza di sofferenza è quella di riattivare in sé l’insieme delle capacità
ludiche per consentire agli altri di riconoscerle e riattivarle in loro.
Il gioco diventa quindi il punto di incontro, il canale per riuscire a
trasmettere informazioni riguardo all’esperienza di malattia e offrire al
bambino la sperimentazione in prima persona di sentimenti legati
all’esperienza.
L’educatore, partecipando alle attività, permette all’utente di confrontarsi
con lui su un piano diverso. Si mette in gioco su un piano pratico, con
tutte le sue ricchezze ma anche i suoi limiti. Per l’utente scoprire questa
“imperfezione” nell’educatore e scoprire in certi casi di essere “più bravo”
di lui può essere molto significativo e accrescere la propria autostima.
Il gioco permette di superare l’angoscia e ritrovare, per quanto possibile
sicurezza e serenità; il gioco è “luogo di incontro” dove il bambino decide
liberamente se e come parteciparvi utilizzando modalità e tempi che gli
sono propri.
Giocare non significa stare alla larga da esperienze difficili: è una strada
per superare con successo la malattia
e le paure ad essa connesse
109
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
potendole “pensare e guardare”, senza immergersi in una situazione di
incomunicabilità e angoscia.
Giocare rende attivo il bambino, lo rende protagonista e permette la libera
espressione in un contesto non giudicante. E’ importante quindi che
l’educatore crei questo contesto perché solo in questo modo può offrire al
bambino la possibilità di esprimere le sue ansie e le sue paure rispetto
all’esperienza che sta vivendo attraverso una dimensione che gli
appartiene in prima persona.
“ Il gioco è quello spazio intermedio che non si trova né dentro né fuori…
rappresenta un luogo sicuro nel quale nessuno può inseguirci e raggiungerci,
dove si può giocare con la realtà rimodellandola a proprio piacimento con l’aiuto
della fantasia”( D. W. Winnicot, 1975)
Ed è proprio questa dose di fantasia tipica dei bambini che colora ed
arricchisce l’attività ludica. Il bambino inventa storie, costruisce
personaggi,
dà
risposte
razionalmente
impossibili
a
domande
estremamente razionali; il bambino costruisce il suo mondo fantastico,
fatto di fate e di mostri, di storie e di racconti e riesce così ad elaborare
anche esperienze ed emozioni spiacevoli.
Per familiarizzare con il tema della malattia e dell’ospedalizzazione è
molto significativo poter giocare con materiale sanitario (siringhe, tubicini,
flebo…)
110
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Partendo proprio dagli oggetti che i bambini incontrano, si può stimolare
la creatività reinventandone un uso diverso, fantastico. Ed ecco che allora
una siringa diventa uno spruzza-colore, che un tubicino diventa uno
stampino ecc.
Importante è spiegare inizialmente il vero utilizzo dell’oggetto e solo
successivamente permettere al bambino di dipingerlo, distruggerlo e
riutilizzarlo in modo creativo. In questo modo quando il bambino vede un
medico che utilizza quello strumento sul suo corpo sa realmente a cosa
serve. Il fatto di averlo maneggiato a priori e di averne trasformato le
sembianze è sicuramente una risorsa per affrontare in modo più
“familiare” quella determinata situazione, diminuendo lo stress emotivo
che provoca l’ignoto e il non esplorato.
4.5 EP: prevenzione tra i banchi
Come sostenuto nei capitoli precedenti è possibile fare prevenzione anche
in quelle situazioni in cui non c’è la certezza di un futuro ricovero.
Aiutare il bambino a familiarizzare con l’esperienza di malattia, con il
personale medico e con gli spazi dell’ospedale è sicuramente un compito
che l’educatore professionale può e deve svolgere.
111
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
La scuola è il luogo per eccellenza degli apprendimenti. Ed è proprio
all’interno di questa Istituzione che l’educatore professionale si deve
collocare per fare un discorso di prevenzione generale.
L’educatore interviene sul gruppo classe e non con un progetto
individualizzato, prestando comunque attenzione alle richieste e alle
risorse dei singoli soggetti che compongono il gruppo e facendo in modo
che tutti abbiano la stessa possibilità e lo stesso spazio di intervento.
In questo modo si mostra al bambino che è possibile parlare con gli adulti
di malattia e di sofferenza e che non è un tabù che deve rimanere nascosto.
Significa trasmettere la “normalità” dell’evento della malattia senza però
sottovalutare le difficoltà, mettendo in evidenza gli aspetti positivi. Essere
ricoverato non significa solo provare dolore fisico, significa anche
incontrare altri bambini, significa incontrare un medico accogliente e non
solo uno freddo e distaccato, significa anche poter continuare a giocare
come si faceva a casa. Queste informazioni nella maggior parte dei casi
sono nuove per il bambino, il quale si stupisce quando gli viene
comunicato che in ospedale c’è una sala giochi.
Anche se il progetto viene fatto all’interno delle classi, il setting
pedagogico ha caratteristiche diverse da quello scolastico.
E’ compito dell’educatore creare ed esplicitare queste differenze. Per
prima cosa dovrà spiegare il tipo di percorso che verrà svolto insieme ai
bambini, sottolineando il fatto che al termine non ci sarà alcuna verifica su
112
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
quanto detto e appreso e che nessuno farà loro domande per vedere se
erano attenti. Questo per permettere al bambino di apprendere in modo
spontaneo ciò che sente di poter cogliere, creando così un clima più
rilassato dove non ci sia la preoccupazione e l’ansia della verifica finale.
Questo è possibile se viene esplicitato chiaramente anche con le maestre,
qualora dovessero rimanere all’interno della classe.
Un progetto di prevenzione non può essere improvvisato, come abbiamo
già detto, ma deve essere programmato e ben strutturato e concordato con
le insegnanti.
E’ opportuno coinvolgere anche degli specialisti, magari organizzare
degli incontri con medici, educatori che lavorano in reparto, e se è
possibile anche organizzare una visita guidata all’interno dell’ospedale,
dove i bambini malati e quelli sani si possano incontrare. Coinvolgere i
genitori informandoli sul percorso che si intende svolgere insieme ai loro
figli è un modo per renderli partecipi, anche se indirettamente, del
progetto stesso.
Il compito dell’educatore nelle scuole in un percorso di prevenzione del
trauma del ricovero è quello di offrire la possibilità di conoscere le paure
rispetto all’ospedale e trasmettere delle informazioni che riguardano
l’evento della malattia e dell’ospedalizzazione. Queste opportunità
permettono al bambino di vivere e conoscere a priori cosa ci si debba
aspettare dall’ospedale, ed acquisire maggior familiarità con l’evento in
113
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
modo da ridurre il trauma nel momento in cui lo si incontrerà (se lo si
incontrerà).
La necessità di educare alla salute e di educare all’espressione delle
proprie emozioni e comprendere i nessi tra alcune malattie e l’efficacia
delle cure è un passo importante verso una prevenzione sempre più
efficace ed estesa.
Nella prevenzione è possibile dare nuovamente significato alle cure, alle
sensazioni che la malattia suscita, alle terapie, agli oggetti utilizzati dal
medico, anche attraverso una buona dose di fantasia: l’educatore può
aiutare i bambini a trovare delle antipaure, che possono essere oggetti,
pensieri, disegni, favole che li possano sostenere in momenti di sconforto e
timore.
Ai bambini viene chiesta una partecipazione attiva: viene chiesto di
portare la loro esperienza, le loro paure, le loro curiosità, i loro dubbi, le
loro fantasie utilizzando strumenti educativi come il gioco e la fiaba che
permette l’identificazione nei personaggi ma nello stesso tempo permette
di mantenere una certa distanza da essi.
La difficoltà maggiore per l’educatore che lavora all’interno di un
istituzione forte come la scuola è sicuramente quella di ridimensionare il
setting. Passare da un setting puramente didattico ad uno pedagogico,
dove per setting pedagogico si intende lo spazio simbolico che legittima
l’agire dell’educatore.
114
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Sicuramente le aspettative e le attese dell’insegnante sono diverse da
quelle dell’educatore; per questo è fondamentale esplicitare a priori le
premesse e gli obiettivi di entrambe le figure, in modo che si possa avere
una linea comune di comportamento e di collaborazione.
L’educatore può chiedere la collaborazione con le insegnanti in modo che
il lavoro possa avere continuità nella vita del bambino.
Il bambino riconosce così nell’educatore un ruolo istituzionale un po’
diverso da quello dell’insegnante.
4.6 EP: intervento in corsia
“Negare la malattia all’interno dell’ospedale può sembrare un assurdo,
eppure accade ogni volta che si avvalla l’illusione, rassicurante ma
pericolosa, che sia sufficiente dare al bambino la possibilità di giocare perché
tutte le angosce automaticamente scompaiano.”66
Il bambino malato prima di essere malato è innanzitutto un bambino. E
per questo deve essere considerato in tutta la sua totalità allo stesso modo
di tutti i suoi coetanei sani, ossia come un soggetto in crescita che ha
66
S.Kanizsa, B.Dosso, “La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale”,
Roma, Meltemi editore, 1998, p.26
115
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
diritto ad uno sviluppo integrale di sé. Prima di considerare la malattia
quindi bisognerebbe considerare il bambino come essere umano e il suo
diritto di esprimersi liberamente come in qualsiasi altro contesto.
Il bambino è un sistema, e a sua volta fa parte di più sistemi; il bambino
malato è comunque un bambino con dei genitori, con degli amici, con
degli interessi e con tante caratteristiche che lo definiscono. Per poterlo
comprendere e capire in modo completo dobbiamo prendere in
considerazione la sua totalità.
All’interno del contesto ospedaliero l’educatore professionale deve
considerare il bambino con tutte le sue attese, le sue ansia, le sue speranze
e anche i suoi dolori, le sue paure, senza porsi nella situazione di giudicare
se esse siano vere o false, giuste o sbagliate. Necessitano attenzione solo
per il fatto che qualcuno le sta vivendo e ce le sta raccontando.
Il bambino instaura buone relazioni quando sente di essere rispettato,
capito nella sua individualità, nei suoi bisogni e nei suoi tempi, creduto e
sostenuto nella paura; non preso in giro ma valorizzato per le sue risorse e
accompagnato da spiegazioni comprensibili e veritiere: preso in cura e non
invaso.
L’educatore deve accompagnare il bambino e la sua famiglia durante
queste transizioni; deve essere una persona capace di istaurare
consapevolmente una relazione educativa, deve essere capace di rispettare
i tempi dell'altro, capace di cogliere messaggi e bisogni impliciti, capace
116
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
di mettersi da parte quando occorre e di intervenire quando è richiesto,
capace di cogliere gli aspetti positivi dell’esperienza e capace di aiutare i
genitori e i loro figli a ri-scoprire il senso del proprio valore e la possibilità
di crescere insieme.
Deve riuscire a costruire la permanenza in ospedale come una parentesi di
vita che possa essere raccontata anche attraverso ricordi piacevoli.
Un obiettivo importante è quello di
aiutare il bambino
a vivere
l’ospedalizzazione come un passaggio, come un’esperienza circoscritta che
non si deve allargare a tutta la sua esistenza ; offrire quindi dei momenti
che non siano solo legati alla malattia e alle cure mediche ma che
coinvolgano anche le sue “parti sane” che non devono essere dimenticate.
Ogni essere umano possiede una naturale spinta a superare le difficoltà.
Compito
dell’educatore
è
quello
di
enfatizzare
questa
naturale
potenzialità e di allontanare la sofferenza, offrendo al bambino la
possibilità di esprimersi liberamente ma garantendo un supporto solido
nel momento in cui le risorse non sono più sufficienti.
Mostrare quindi al bambino che l’ospedale non è solo luogo di dolore ma
anche luogo dove gli operatori sono disposti a comprendere, ad
accogliere, ad ascoltare; un luogo dove poter esprimere le paure, i dubbi,
dove poter incontrare altri bambini, dove potersi sentire protagonista
attivo dell’esperienza.
117
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Per riuscire a creare una relazione significativa l’educatore deve
innanzitutto fermarsi ad “ascoltare” il pensiero dell’altro; deve cercare di
capire cosa in quel momento il bambino si aspetta dall’operatore e quale
canale comunicativo vuole sia utilizzato per rapportarsi a lui.
La comunicazione per l’educatore deve essere un atto intenzionale, deve
essere pensata.
Chiarezza e trasparenza nella comunicazione sono il presupposto di ogni
relazione
autenticamente
educativa;
comunicazioni
imbarazzate
e
contraddittorie degli adulti creano ansie e angosce nel bambino.
Una comunicazione che non sia solo verbale: una comunicazione e
un’interazione
che
passano
attraverso
la
capacità
di
attesa,
di
contenimento e un’elasticità di “non fare” ma di “esserci”.
A volte all’educatore viene chiesto dal bambino di essere una presenza
silenziosa, ma che partecipi con empatia a ciò che il bambino stesso ha
scelto.
L’animazione diventa uno degli strumenti per interagire con i minori
offrendo uno spazio che rimanga pur sempre educativo aprendosi
all’espressività e alla creatività. L’osservazione è continua e permette di
capire situazioni di disagio non espresse, sulle quali sarà possibile
ipotizzare un intervento per rendere migliore la degenza.
In una situazione di ansia e di stress, di sofferenza e cambiamenti non tutti
i bambini vogliono essere trattati allo stesso modo. E di questo l’educatore
118
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
deve tenerne conto per non essere invadente. Molti bambini preferiscono
una parola, altri preferiscono un abbraccio, ogni soggetto ha un suo modo
di rapportarsi alle situazioni e noi educatori questo non possiamo
ignorarlo.
Diverse modalità di approccio quindi a seconda del bambino che si ha di
fronte, diverse modalità per agganciarlo.
E’ importante che l’educatore sappia riconoscere e accettare le chiusure di
dialogo e le reazioni dei pazienti e dei familiari che magari preferiscono
non condividere questo momento di incertezza e timore. Importante è che
sappiano che all’interno del reparto ci sia una persona disposta ad
accoglierli qualora ne sentissero il bisogno. L’educatore cercherà
gradualmente di insinuarsi per favorire la trasformazione di silenzi in
espressione delle emozioni evitando che le chiusure comunicative
aggravino la situazione.
Compito dell’educatore è evitare l’isolamento del bambino e della sua
famiglia; recuperare la quotidianità diventa un mezzo efficace per la
continuazione dell’accrescimento del bambino.
Nel
momento
dell’arrivo
in
ospedale,
il
bambino
si
trova
improvvisamente in un ambiente estraneo; gli viene indicato il suo letto,
gli vengono date delle indicazioni rispetto alla permanenza e tutto il resto
del tempo è caratterizzato dall’attesa: attesa delle visite, delle terapie,
caratterizzate da ansia più o meno forte.
119
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Il personale ospedaliero tende in genere a sottovalutare i problemi posti
dal primo impatto. E’ molto importante garantire un’accoglienza in
reparto ai bambini e ai genitori che non sia solo una richiesta di
informazioni generali quali dati anagrafici e anamnestici; ma bensì
un’accoglienza che tenga conto anche del vissuto emotivo e che aiuti i
soggetti a trovare nuovi stimoli e nuovi punti di riferimento all’interno del
nuovo contesto. Accogliere significa anche non pretendere che un
bambino ammalato apprezzi incondizionatamente i bei giochi a sua
disposizione e i corridoi colorati, cose che non lo consolano e non lo
rassicurano se non è ascoltato.
Ecco quindi che l’educatore è chiamato fin dall’inizio non solo ad
occuparsi del bambino, ma anche dei genitori.
L’educatore è un punto di riferimento disposto ad ascoltare, ad accogliere
le ansie e i dubbi delle figure genitoriali, senza imporre la sua presenza
all’interno di un esperienza tanto intima quanto delicata ma che sia in
grado di porsi come una figura “da utilizzare” quando se ne senta il
bisogno. Sapere che in caso di necessità e sconforto, in caso di
incomprensione con i medici o gli infermieri ci possa essere un operatore
attento che faccia anche da mediatore tra le diverse figure, cercando di
rimuovere le diverse chiusure comunicative all’interno del reparto.
Il compito dell’educatore professionale è quello di aiutare il genitore a non
farsi travolgere dall’esperienza e a conservare lucidità
e intelligenza
120
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
pedagogica. Solo così il genitore può restare un punto di riferimento
coerente e rassicurante per il bambino, per il suo benessere e quello
familiare.
“ Il genitore educatore o che educa è colui che sa essere protagonista del
processo educativo, esercitando con responsabilità la funzione educativa che
gli appartiene. Egli è tale se riesce, chiedendo informazioni, valorizzando le
attività e l’impegno del bambino, evitando l’isolamento proprio e del
figlio….. L’educazione del genitore
è l’intervento intenzionale volto al
recupero della funzione educativa che la lungodegenza può insidiare.”67
L’educatore in corsia diventa quindi anche un facilitatore dell’espressione
delle paure ma anche un contenitore di ansie, timori, divertimenti e gioie.
Contenitore non nel senso che debba essere una spugna pronta ad
assorbire tutto, ma un contenitore capace di fare entrare fattori esterni ma
che sia poi in grado di liberarne altri adatti alla situazione. Facciamo
l’esempio di un bambino che esprime la paura per un oggetto sanitario.
L’educatore permette l’ingresso dell’emozione, la analizza, la elabora ma
deve essere anche in grado di restituire al bambino delle possibilità per
poterla superare e controllare. Ad esempio proponendo un gioco con lo
stesso oggetto che incute paura.
67
Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per
un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.100
121
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
“Naturalmente non è vero che <<l’attività educativa sia più importante
della stessa terapia. E’ vero invece che in un’équipe le diverse professionalità
contribuiscono tutte al benessere del bambino solo se sanno lavorare in
maniera sinergica e coordinata. Per riuscirci è necessario disporre di un
ottimo sistema di comunicazione.”68
Ciascuna professionalità può essere portata a vedere il paziente attraverso
una “lente” leggermente diversa e avere quindi opinioni e idee differenti
su cosa significhi aver cura di quella specifica persona.
All’interno del contesto ospedaliero, dove l’obiettivo primario è quello
della cura fisica del paziente, l’educatore deve confrontarsi con figure
professionali storicamente e socialmente più affermate quali il medico,
l’infermiere e lo psicologo.
E’ legittimo che in questo contesto la cura della malattia spesso, per medici
e personale infermieristico, significa occuparsi anzitutto dei bisogni vitali
del paziente. E’ giusto e naturale che sia così.
Il <<prendersi cura>> del soggetto però è qualcosa di più: quel qualcosa
che con la sinergia delle diverse professionalità si può garantire.
Comprendere
che
nel
bambino
esistono
bisogni
di
igiene,
di
alimentazione, di relazione, di calore, di gioco e movimento e che il
68
M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-
educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001, p.64
122
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
termine “salute” può essere soddisfatto solo con il soddisfacimento di tutti
questi bisogni comporta la presa in carico globale dell’individuo,
riconoscendo la persona come <<insieme integrato>>, caratterizzato da
bisogni diversificati.
L’educatore non ha la pretesa di sostituirsi al medico o all’infermiere,
anche perché non ne ha le capacità e la preparazione ed inoltre un
ospedale senza medici non avrebbe senso; ma lavora per fare in modo che
un giorno ci possa essere un’autentica collaborazione per comprendere le
molteplici sfaccettature del bambino e proporre soluzioni sensate.
Qualsiasi operatore deve essere in grado di valutare le singole situazioni e
i bisogni del paziente sapendo delegare la cura al professionista più
adatto; riconoscere
quindi il ruolo delle altre figure professionali
ammettendo i propri limiti e scambiando informazioni a seconda delle
competenze.
Non è semplice definire i ruoli e le funzioni delle singole professioni; in
molti reparti si preferisce evitare questo complesso compito che mette in
discussione i saperi.
L’assenza di dialogo è uno dei rischi più frequenti in un contesto in cui
davvero le lenti con cui si guardano le situazioni sono molto diverse. Ma
per poter pensare ad un vero e proprio lavoro di èquipe non ci si può
fermare davanti a questo vincolo, ma anzi bisogna cogliere le molteplici
123
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
possibilità e opportunità che questo vincolo apre, tra cui quella di
costruire un percorso di cura comune e condiviso.
Purtroppo negli ospedali italiani non è molto diffusa la figura
dell’educatore professionale in corsia se non in alcuni rari casi come ad
esempio il Gaslini di Genova e il Meyer di Firenze, dove all’interno del
reparto vi è uno staff di educatori che lavora nell’equipe ospedaliera con
mansioni espressamente extrascolastiche ed extrasanitarie.
Anche se in alcuni reparti dei nostri ospedali operano figure con una
preparazione pedagogica è facile cogliere ancora tante resistenze e difese
nella realizzazione di gruppi interdisciplinari.
Lavorare
all’interno
dello
stesso
contesto
senza
scambio,
senza
comunicazione, limitandosi ad agire le proprie competenze senza
confrontarsi con altri operatori è una modalità operativa che non può
avere successo perché il bambino e la famiglia sono “pezzi unici” e in
quanto tali bisogna garantire
loro un’assistenza globale e non
frammentata.
Lavorare sinergicamente permette di condividere importanti informazioni
sul bambino, permette di definire un comportamento comune e di
proporre delle attività più adeguate all’utente.
La figura dell’educatore non va a ledere né il lavoro dei medici né quello
degli infermieri; non è corretto infatti pensare l’intervento educativo in
termini di concorrenza ma bensì di collaborazione.
124
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
4.7 EP: promotore del cambiamento della cultura ospedaliera
nei confronti del bambino (dentro e fuori l'ospedale)
“C’è una domanda di umanizzazione che investe non l’ospedale, ma la
società intera. L’ospedale cambia volto se lo cambia la società.”69
Sicuramente è possibile intervenire su due livelli per promuovere il
cambiamento della cultura ospedaliera.
Il
primo
consiste
nel
cambiare
l’immaginario
comune
rispetto
all’esperienza dell’ospedalizzazione e della malattia attraverso interventi
di prevenzione, mentre il secondo è quello di cambiare la cultura e
l’organizzazione all’interno del reparto. Ovviamente questo secondo
livello di intervento può favorire il raggiungimento del primo, poichè
cambiando
regole,
abitudini
e
rapporti
personali
dell’ospedale
probabilmente potrà cambiare anche l’immaginario collettivo.
L’organizzazione ospedaliera dovrebbe essere molto più attenta alle
esigenze e agli interessi dei bambini malati e della loro famiglia.
L’impostazione architettonica dei reparti pediatrici deve prendere in
considerazione anche le esigenze psicologiche dei bambini e dei loro
genitori e non basarsi solo sulla funzionalità operativa.
69
G. Morgante, Umanizzazione della medicina, in <<<Medicina e morale>>, n.34, 1984,
p.323
125
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Sale d’attesa non a misura di bambino, dove il bambino non riesce a stare
fermo su quelle sedie così alte e così rigide; orari così diversi da quelli
della solita vita, abitudini che soddisfano più i bisogni degli operatori che
non le esigenze di bambini e genitori.
Spazi dove non è possibile alzare la voce, dove non si può giocare. Ma
come può vivere questa esperienza un bambino?
Le regole molto spesso sono dettate dai bisogni dell’istituzione e non dalle
necessità dei pazienti: colazione alle 5.30, quando il personale inizia il
turno, pulizia delle camere prima delle 9.30-10.00, ora di inizio delle visite
mediche ( il tutto dopo che magari il ricoverato ha passato un’intera notte
sveglio), pranzo tassativamente alle 11,30 e cena alle 17.00/17.30 proprio
quando c’è l’orario visite parenti.70
Pensiamo anche al significato che possa avere presentarsi in pigiama
davanti agli altri, quando questo indumento, fino a pochi giorni prima era
stato riservato a momenti intimi, a momenti esclusivamente familiari.
Queste sono tutte situazioni che possono essere cambiate ma che non si
vogliono
cambiare.
E
quando
si
cerca
di
destrutturare
questa
organizzazione sembra che sia impossibile.
70
Cfr. S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al
malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989
126
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
“E’ sempre stato così” e “E’ da vent’anni che ci sono questi orari” sono le
risposte che più si sentono quando di abbozza un’idea di cambiamento.
Cambiare vuol dire “destrutturate per riorganizzare” e forse questo
rimettere in discussione il proprio operato e la propria quotidianità
spaventa gli operatori che ormai nella ripetitività degli orari e delle
abitudini hanno trovato sicurezza e stabilità.
Questo atteggiamento deve però essere superato, in quanto è davvero
limitante: è un atteggiamento che impedisce la crescita, il miglioramento,
l’apertura.
E’ come se l’istituzione non prestasse attenzione alle nuove esigenze della
società in continua evoluzione rischiando di rispondere ancora a dei
bisogni che appartenevano a generazioni passate e che generazioni di oggi
non avvertono.
E’ importante prestare più attenzione alla formazione del personale
medico- infermieristico per migliorare il rapporto con il piccolo paziente
che non tenga solo conto del suo fisico ma che consideri corpo, mente ed
emozioni come parti interconnesse e non nettamente distinte.
Al medico è sempre stato insegnato ad avere un certo distacco con il
paziente per non farsi coinvolgere personalmente e spesso gli infermieri
sfuggono al contatto con i malati. Si può infatti cambiare una flebo senza
“toccare” veramente la persona, si usano spesso i numeri della camera per
chiamare i pazienti; queste sono tutte piccole situazioni, apparentemente
127
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
inutili e banali, ma che se prese in considerazione seriamente possono
essere modificate ed è possibile così evitare la spersonalizzazione del
paziente.
A volte ci si nasconde dietro alla dimensione temporale: “non c’è tempo,
sono di fretta”, ma spesso questo è solo un modo per difendersi e per non
mettersi in gioco in prima persona.
Solo cambiando l’idea e il concetto di cura all’interno dell’ospedale si può
assistere ad un vero e proprio cambiamento metodologico e organizzativo
del personale che vi opera all’interno.
Se partissimo tutti dal presupposto che la cura fisica è importante tanto
quanto il benessere psico-sociale del bambino, allora si potrebbe assistere
ad una vera e propria collaborazione che permetta la presa in carico
globale del bambino e della sua famiglia.
La cura del fisico è indispensabile perché è la risposta al mandato
istituzionale; mentre garantire il benessere in corsia viene visto come
un’aggiunta non indispensabile. Se ci fermassimo a riflettere ci
accorgeremmo però che più il bambino sta bene all’interno dell’ospedale
più collabora alla sua guarigione in modo sereno e attivo, riducendo così
anche i tempi del ricovero.
Associare questi due termini: benessere e corsia significa cercare di
recuperare la normalità quotidiana in un ambiente freddo e poco colorato
128
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
unendo due culture ben distinte e differenti: quella medica e quella
sociale. Questa è la vera sfida educativa per produrre cambiamento.
Si dovrebbe assistere ad una vera e propria forma di umanizzazione
dell’ospedale, eliminando quelle forme di depersonalizzazione del
soggetto che lo rendono passivo e
che rendono la malattia come un
freddo evento in corsia vissuto in piena solitudine.
Negli ultimi anni in Italia, stiamo assistendo ad un orientamento della
cultura medica maggiormente propenso a considerare il “prendersi cura”
e non solo il “curare”. Questo indispensabile e doveroso passaggio
pretende di favorire non solo il raggiungimento del benessere fisico ma
anche di quello sociale e mentale.
E’ un cammino lungo e difficile, ma sicuramente praticabile!
129
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
4.8 La tutela psichica dell’educatore professionale
“Tale professione risulta particolarmente frustrante per numerosi motivi.
Basti pensare infatti: allo scarto che c’è… tra ciò che si vorrebbe ottenere e
ciò che di fatto si ottiene; all’impossibilità o quanto meno alla grande
difficoltà di <<vedere>> i risultati ottenuti mediante l’azione intrapresa,
alla necessità di considerare come uno dei segni o degli indizi più
significativi del successo educativo il <<distacco>> dell’educando
dall’operatore pedagogico, ….. alla presenza di un elevato rischio di caduta
nella routine e quindi nella sclerotizzazione culturale e spirituale a livello
personale,… ad un analoga facilità di lasciarsi prendere da un eccessivo
senso di responsabilità che è sicuro generatore di ansia, e così via.”71
L’educatore professionale che lavora a contatto con la sofferenza e
soprattutto all’interno dl contesto ospedaliero si trova ad operare in un
sistema complesso entro il quale si deve confrontare con elementi di stress.
Basta pensar il continuo rapportarsi con altri operatori, con altre
professionalità così lontane (a livello di competenze), il continuo confronto
con la sofferenza dei bambini e l’ansia dei genitori.
71
P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.327
130
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Il rapporto con “la debolezza” del proprio ruolo all’interno di una
struttura così forte come quella ospedaliera; la gestione dei compiti e degli
impegni, la burocratizzazione, la fatica e l’insufficienza delle risorse
aggiunte al clima sociale dell’ambiente di lavoro e delle condizioni fisiche
del reparto, sono tutti potenziali fattori di stress.
Ogni operatore reagisce in maniera diversa di fronte agli avvenimenti in
base anche al loro grado di adattabilità a situazioni potenzialmente
stressanti. E’ importante per ogni operatore avere la consapevolezza dei
propri modi di reagire nei confronti delle situazioni e delle persone che
incontra nel proprio lavoro, per poterli riconoscere e gestire.
Non si può pensare che nella relazione con gli altri il proprio vissuto
personale non abbia alcuna importanza, soprattutto per quanto riguarda
la professione dell’educatore che ha come strumento fondamentale per
l’incontro con l’altro la propria persona.
L’ascolto di una persona infatti non implica solamente l’attribuzione di
significati alle cose che l’altro dice, ma include anche la personalità
dell’ascoltatore.
E’ importante però definire i limiti della relazione di aiuto, mantenere un
confine evitando un coinvolgimento personale incondizionato; mettere in
evidenza i propri lati deboli, riconoscere i primi segnali di allarme e saper
rimanere cognitivamente lucido ed emozionalmente empatico sono azioni
131
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
fondamentali per l’educatore per non ritrovarsi <<dentro>> queste
emozioni senza nemmeno accorgersene. 72
Per questo è importante pensare anche all’igiene mentale dell’operatore
per prevenire il burnout. La situazione di burnout avviene quando
l’educatore raggiunge uno stato eccessivo di tensione, uno stato continuo
di stress e di conflitto tra un modello ideale e quello reale.
Qualsiasi esperienza professionale fa i conti con due aspetti importanti: la
frustrazione e i meccanismi di difesa.
Nelle situazioni professionali è opportuno mettere in atto una vera e
propria opera di igiene mentale che passi attraverso la consapevolezza dei
più frequenti meccanismi di difesa, dell’individuazione delle condizioni
che provocano stress e delle indicazioni per superare positivamente le
frustrazioni e non cadere in meccanismi di difesa troppo rigidi.
Conoscere le situazioni professionali che più facilmente conducono a
frustrazioni permette di evitarle preventivamente (quando possibile), e
conoscere i meccanismi di difesa permette di riconoscerli per tempo e
mettersi nella condizione di superarli positivamente. Tutto questo è
possibile se si evita di privatizzare il proprio operato rendendolo pubblico,
ed esplicito senza il timore di confrontarlo con altri operatori.
72
Cfr. P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988
132
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Se l’educatore ha costruito una vita privata extra-professionale ricca di
espansione e di soddisfazioni sarà per lui più facile sdrammatizzare le
difficoltà incontrate nel proprio lavoro.
Da qui la responsabilità dell’istituzione di offrire all’operatore uno
strumento che possa garantire l’igiene mentale e che possa essere un
supporto per condividere difficoltà incontrate nell’intervento educativo.
Offrire la supervisione, effettuata solitamente da uno psicologo o da un
pedagogo, significa innanzitutto prevenire i burnout e permettere
all’educatore la condivisione delle difficoltà e delle emozioni che una
particolare
situazione
suscita
in
noi.
133
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Conclusioni
Spero di essere riuscita a fornire un quadro chiaro e completo della
situazione di malattia e di ospedalizzazione e di essere riuscita a far
comprendere la possibilità di leggere e significare in senso positivo anche
un’esperienza che apparentemente sembra contenere solo elementi
negativi.
Strana cosa la malattia del bambino: capace di cambiare e destrutturate le
abitudini dell’intero nucleo familiare, capace di generare sensi di colpa nei
genitori per non essere stati capaci di curare il bambino, capace di
generare rabbia perché interferisce con la naturale evoluzione del
bambino.
La malattia del bambino all’interno di questa tesi è stata letta sia come
un’esperienza di regressione, di difficoltà e di dolore ma anche di crescita,
apprendimenti, conoscenze e scoperte.
L’esperienza di malattia è un momento assai educativo, dal momento che
la malattia, o la possibilità di incontrarla, possono farci scoprire molti
aspetti di noi stessi che prima ignoravamo.
Compito dell’educatore è cogliere questi aspetti e metterli in evidenza per
accompagnare il bambino e la sua famiglia durante il percorso di malattia.
Ciascun bambino per poter utilizzare l’esperienza dell’ospedalizzazione in
modo positivo deve essere messo al centro del processo terapeutico,
134
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
trovando degli adulti disposti a facilitare il suo ingresso e la sua
permanenza in ospedale.
A seconda delle modalità con cui gli operatori entreranno in relazione con
il paziente e la sua famiglia questi potranno uscire rafforzati o perdenti
dall’esperienza di sofferenza. Non bastano infatti muri colorati o stanze
piene di giochi per migliorare l’esperienza; occorrono persone attente ai
bisogni del bambino e dei suoi genitori, che si prendano cura non solo
della parte malata ma anche di quella sana, persone che sappiano
ascoltare, che sappiano accompagnare con empatia.
Spero di essere riuscita a dimostrate l’importanza e la necessità di trattare
il tema della malattia e dell’ospedalizzazione con i bambini anche in
situazioni di non ricovero, in modo da attuare una vera e propria misura
preventiva.
La conoscenza del bambino e l’incontro autentico avranno bisogno di una
mente sgombra da pregiudizi e una capacità di rispettare i tempi
dell’altro. Per questo è importante che l’educatore professionale continui a
fare un lavoro su di sé per capire dove, come e quando sta usando degli
stereotipi che “pilotano” immancabilmente la relazione educativa.
Si vuole quindi proporre uno stile di cura che si fonda sulla conoscenza di
sé e dell’altro per istaurare relazioni autenticamente educative senza la
necessità di essere freddi e distanti per riuscire a rapportarsi ad un tema
così complesso come quello della malattia.
135
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Ringraziamenti
Sono tante le persone
questo
importante
che mi hanno accompagnata in
percorso
professionale,
ma
anche
personale.
Un ringraziamento particolare va ai miei genitori che
in
questi
tre
anni
hanno
saputo
incoraggiarmi,
“supportarmi e sopportarmi” credendo nelle mie capacità
in ogni momento.
Un
grazie
a
mio
fratello
Alessandro
che
ha
saputo
apprezzare i successi e sdrammatizzare i momenti più
difficili,
dandomi
la
carica
necessaria
per
non
fermarmi; e a Diana, che si è sempre interessata al mio
percorso di studi, come una sorella, scoprendo in lei
una grande capacità di ascolto.
Quando
la
mia
capacità
fallimento e la voglia
organizzativa
dava
segni
di
di rinviare un esame era tanta,
Cristiano mi dava la forza e la speranza di potercela
fare,
anche
l’impresa
quando
sembrava
i
tempi
erano
impossibile.
strettissimi
Sono
stati
il
e
suo
ottimismo e il suo amore, ma anche la sua schiettezza e
sincerità che mi hanno accompagnata in questi tre anni
dando colore e positività ai miei giorni.
136
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
Ringrazio tutti i docenti che hanno saputo creare un
rapporto
unico
con
ogni
singolo
studente,
rendendo
questo percorso di studi un vero e proprio percorso
formativo:
Insomma
,
necessario
dei
veri
per
e
la
propri
nostra
punti
professione.
di
riferimento
disposti ad incontrarti non solo come studente ma anche
come persona, e questo è stato fondamentale.
E che dire…. Come avrei fatto in questi tre anni senza
i miei compagni???
Qualcuno ha avuto un ruolo fondamentale, qualcuno è
rimasto sullo sfondo e qualcun altro è apparso solo
alla
fine
del
ringraziamento
percorso;
perché
ma
ciascuno
tutti
è
meritano
un
in
grado
di
continueranno
ad
stato
regalarmi qualcosa.
Ho
incontrato
persone
speciali
che
essere presenti nella mia vita, non più come compagni,
non solo come colleghi, ma come veri e proprie Amici!
Infine
un
ringraziamento
particolare
va
al
Giorgio Sordelli, il quale mi ha seguita nella
Prof.
stesura
della tesi. Con la sua professionalità e la sua ironia
ha reso piacevole questo percorso finale riuscendo a
creare
un
esprimere
accogliere
clima
rilassato
liberamente
i
miei
i
entro
miei
dubbi,
le
il
quale
pensieri.
mie
Ha
domande,
potessi
saputo
le
mie
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Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
richieste, le mie preoccupazioni…..sempre presente e
disponibile...Grazie!
E così per ora si conclude il mio percorso di studi.
…..Sogni
che
si
realizzano,
progetti
che
nascono,
momenti che finiscono!....
Grazie a tutti!..... Anche a me!
Laura Gagliardi
Bibliografia
LIBRI
- Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e
percorre la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984
- P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come
scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988
- A.Canevaro. “I bambini che si perdono nel bosco”. Identità e linguaggi
nell’infanzia”, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976
138
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
- M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un
servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001
- Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, Editore Borighieri,
1980
- L.Guidi, M.R Polizzari, L.Valenzi (a cura di), “Storia e paure. Immaginario
collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna.”, Milano, Franco
Angeli, 1992
- Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del
bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000
- S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al
malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989
- S.Kanizsa, B.Dosso, “La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in
ospedale”, Roma, Meltemi editore, 1998
- Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto”, Milano, Luni Editrice,
riedizione 1994, Scritto nel 1929
- Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e
servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore,
2003
- I.Salomome, “Il setting pedagogico”, Roma, Carocci Editore, 1999
- G. Scaratti, Ornella Fusè e Anna Bertani, “La supervisione dell’educatore
professionale”, Milano, FrancoAngeli, 1999
139
Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo!
- Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i
nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998
- Vari, “La professione di educatore. Ruolo e percorsi formativi”, Roma, Carocci
Editore, 2001
ARTICOLI
- M. Capurso e M. Trappa, “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare:
una ricerca basata su sistemi proiettivi”, in “Difficoltà di apprendimento” ,
Rivista Erickson, n.8/1, ottobre 2002
- G. Morgante, “Umanizzazione della medicina”, in “Medicina e morale”,
n.34, 1984
- G. Sordelli, “L'operatore e l’arte dell'ascolto”, in
“Animazione sociale”,
n°8/9, Agosto 1993
SITI INTERNET
- www.giocoestudio.it
- www. ospedalebambingesu.it
- www.ao-meyer.toscana.it
- www.gaslini.org
- www.provincia-milano.it
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