Università degli studi di Milano Facoltà di Medicina e
by user
Comments
Transcript
Università degli studi di Milano Facoltà di Medicina e
Università degli studi di Milano Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di laurea in Educazione Professionale TOC, TOC! CHI E’? ….SONO IL LUPO CATTIVO! Approccio educativo in medicina Candidata: Laura Gagliardi Relatore: Prof. Giorgio Sordelli Matricola: 633606 Anno Accademico 2003/04 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! INDICE Introduzione.......................................................................................................... 3 1 2 MAMMA, HO PAURA! ............................................................................. 6 1.1 Cosa significa avere paura .................................................................. 6 1.2 Alcune scuole di pensiero ................................................................... 9 1.3 Immaginario collettivo rispetto alla paura ..................................... 15 1.4 Paura… un’unica accezione? ............................................................ 17 1.5 Il vissuto di paura nel bambino........................................................ 20 1.6 Superare le paure da bambini........................................................... 24 L'OSPEDALE: UNA CASA CON TANTE FINESTRE....................... 30 2.1 La malattia ........................................................................................... 30 2.2 Malessere a occidente: Immaginario collettivo rispetto all'ospedale e alla malattia ............................................................................ 32 3 2.3 Il bambino e la malattia ..................................................................... 34 2.4 Il bambino e l'ospedale ...................................................................... 43 2.4.1 primo fattore: scarsa familiarità con l’ambiente .................... 51 2.4.2 secondo fattore: paura di essere separati dai genitori........... 53 2.4.3 terzo fattore: l’età........................................................................ 55 2.4.4 quarto fattore: il dolore delle cure fisiche ............................... 59 2.4.5 quinto fattore: un ospedale non a misura di bambino.......... 61 PREVENIRE LA PAURA DEL LUPO CATTIVO ............................... 63 3.1 La paura del lupo cattivo non ancora incontrato........................... 63 1 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 3.2 Cosa significa prevenire .................................................................... 66 3.3 Diversi modi di fare prevenzione .................................................... 68 3.4 Prevenire un emozione… E' possibile? ........................................... 72 3.5 Chi non ha paura del lupo cattivo?.................................................. 75 3.6 Conoscere il lupo che ti spaventa: la preparazione al ricovero come misura preventiva ................................................................................ 78 3.7 4 Un approccio interdisciplinare alla prevenzione........................... 86 L'EDUCATORE PROFESSIONALE: un personaggio ALL'INTERNO DI QUESTA FAVOLA ........................................................ 89 4.1 Perché l’educatore? ............................................................................ 89 4.2 L'EP a confronto con il proprio modo di vivere la malattia e il dolore 99 4.3 L’adulto incontra il bambino .......................................................... 102 4.4 Gioco e fantasia per superare le paure .......................................... 106 4.5 EP: prevenzione tra i banchi ........................................................... 111 4.6 EP: intervento in corsia .................................................................... 115 4.7 EP: promotore del cambiamento della cultura ospedaliera nei confronti del bambino (dentro e fuori l'ospedale)................................... 125 4.8 La tutela psichica dell’educatore professionale ........................... 130 Conclusioni........................................................................................................ 134 Ringraziamenti.................................................................................................. 136 Bibliografia ........................................................................................................ 138 2 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Introduzione Nella nostra società il tema della malattia è un tema che rimane ancora troppo spesso sullo sfondo. E’ un’esperienza che accompagna la nostra esistenza ma rimane un argomento di cui parliamo molto poco. L’adulto fatica a parlare di questo tema e i bambini, a loro volta, non si sentono legittimati a comunicare le loro paure rispetto a questo evento. Questa tesi vuole essere un’occasione per comprendere con maggiore chiarezza il significato che un’esperienza di sofferenza e di ospedalizzazione ha nella nostra vita, e l’’importanza che può avere la preparazione al ricovero per la prevenzione di un possibile trauma. Nel corso del terzo anno accademico ho svolto tirocinio collaborando ad un progetto della Provincia di Milano che si occupa del bambino ospedalizzato: “Volare Sempre: il bambino in ospedale”. E’ stata questa esperienza che ha determinato la scelta dell’argomento della tesi. All’interno di questa esperienza mi sono posta molte domande: Perché si ha paura della malattia e dell’ospedale? Perché si ha paura di parlare di sofferenza? Cosa significa per un bambino affrontare la malattia? Cosa significa per l’operatore vivere un’esperienza di sofferenza e in che modo può influenzare la relazione educativa? Il bambino e i suoi genitori hanno bisogno anche di un sostegno diverso all’interno dell’ospedale? E’ 3 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! possibile prevenire il trauma del ricovero? E soprattutto: che ruolo può avere l’educatore professionale all’interno di questa esperienza? Tutti questi quesiti sono stati indispensabili per poter affrontare il tirocinio con consapevolezza e sono gli stessi che mi hanno accompagnato nella stesura di questa tesi. Nel primo capitolo sono andata ad analizzare il significato della paura presentando una panoramica delle teorie di alcune scuole di pensiero, per poi porre l’attenzione sull’importanza che la nostra società dà a questa emozione. Mi sembrava importante capire quale ruolo avesse la malattia nella nostra cultura per poter comprendere i comportamenti dei singoli individui; così nel secondo capitolo sono partita dall’immaginario collettivo per poi andare a comprendere il significato della malattia per il bambino, ponendo l’attenzione sulle difficoltà che un’esperienza di ospedalizzazione comporta. Dopo avere esplorato nei primi due capitoli l’emozione della paura e il concetto di malattia e ospedalizzazione, mi sono concentrata nel terzo sulla prevenzione partendo da un quesito: è possibile prevenire il trauma del ricovero? All’interno di questo capitolo ho cercato di dare delle risposte a questa domanda partendo dalla premessa, per me importante, che una preparazione al ricovero può aiutare a vivere con meno timori e meno ansia l’esperienza stessa. 4 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! La tesi si conclude con il quarto capitolo; un capitolo interamente dedicato alla figura dell’educatore professionale: Quale ruolo all’interno di questa esperienza? Come incontrare il bambino e i suoi genitori? Come essere un punto di riferimento? Come collaborare con altre figure professionali? Ho individuato due possibili ambiti di intervento dell’educatore: l’intervento in corsia per aiutare il bambino e la sua famiglia a vivere più serenamente l’ospedalizzazione, e l’intervento a scuola per mettere in atto un progetto di prevenzione indipendentemente da un possibile ricovero. Ho cercato di mettere in evidenza le difficoltà nell’inserire un pensiero pedagogico in un contesto che è per eccellenza dedicato alla cura del fisico e della malattia, ma allo stesso tempo ho cercato di porre l’attenzione sulla possibilità e l’importanza di questa preziosa collaborazione per una presa in carico globale del bambino e della sua famiglia. 5 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 1 MAMMA, HO PAURA! 1.1 Cosa significa avere paura …La paura è un’emozione che colpisce in misura variabile ogni essere umano lasciando molto spesso delle tracce indelebili nella sua mente..1 La paura è l’emozione più vecchia del genere umano; è un’emozione insostituibile nella vita di ogni individuo, non esiste essere umano privo di questo elemento. Avere paura di qualcosa significa vedere in esso un potenziale pericolo, un oggetto che in qualche modo ci disturba e ci turba. Alla base c’è un meccanismo fisiologico. Gli stimoli minacciosi attivano l’ipotalamo la cui parte posteriore porta alla liberazione di ormoni che stimolano la ghiandola ipofisi a produrre un ormone (ACTH)che si riversa nel sangue: questo ormone induce i surreni a produrre un altro ormone (ACH). Sarebbe riduttivo però spiegare la paura solo in termini fisiologici in quanto si tratta di un’emozione che coinvolge l’intera personalità e quindi anche il modo di pensare dell’individuo. 1 Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980, p.13 6 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Molte paure sono il prodotto dell’osservazione, dell’esperienza diretta, ma altre scaturiscono dall’immagine che ci siamo costruiti di quel determinato oggetto; un immagine che non necessariamente corrisponde alla realtà oggettiva, un’immagine costruita con i racconti degli altri, con le informazioni che siamo riusciti a captare, con i pensieri che abbiamo elaborato. Ci sono nell’uomo delle paure “innate”, che vengono in qualche modo tramandate da generazione in generazione e che sopravvivono nel nostro tempo “razionale e scientifico”. Nel corso della storia è sempre stata presente la paura del buio, dell’ignoto, della morte; si trattano di paure arcaiche che, nonostante si siano cercate delle strategie per placarle, continuano comunque ad esistere.2 Le emozioni e quindi anche la paura possono essere espresse con atteggiamenti fisici: “l’individuo in preda alla paura ha gli occhi sbarrati (oppure chiusi, serrati), le pupille dilatate, le orecchie tese o tappate con le mani. Il soggetto pauroso ha la pelle d’oca o sudorazione intensa, la testa in fiamme, il cuore a mille, le mani 2 Cfr. Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984 7 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! tremanti e sudate….. ogni individuo è un caso di paura a sé. Ciò nonostante, alcune manifestazioni sono uguali per tutti.”3 L’intensità dei sintomi dipende non solo dall’emotività dell’individuo, ma anche dalla cultura nella quale è inserito; in alcune culture viene insegnato ai bambini la manifestazione delle proprie emozioni, in altre invece no. Sono tre principalmente le reazioni dell’individuo di fronte alla paura: o ci si blocca davanti all’oggetto incapaci di compiere qualsiasi movimento o qualsiasi tentativo di superamento; o si “corre” verso l’oggetto per incontrarlo e “batterlo” faccia a faccia; oppure lo si evita a priori, ossia, si conosce l’oggetto e si fa di tutto per non incontrarlo. 3 Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.24 8 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 1.2 Alcune scuole di pensiero … E persino un’emozione in apparenza così primordiale come la paura si può definire in modi estremamente diversi e caricare di significati altrettanto diversi.4 Ansia e paura spesso vengono usate da molti autori come sinonimi, in quanto appartengono entrambe alla stessa area emozionale. Altri invece le distinguono nettamente. Così come noi le percepiamo, l’ansia è molto simile alla paura; delle due la paura è quella considerata più specifica, dettata da un preciso stimolo, mentre l’ansia è più generica, è uno stato emotivo diffuso, originato da stimoli neutri. Alcuni autori ritengono che l’ansia sia uno stato più complesso della paura, non solo in quanto si estingue più lentamente ma anche perché è una combinazione di diversi stati emotivi, tra cui la paura stessa, il disagio, la rabbia e la vergogna. 4 Clara Gallini in “Storia e paure. Immaginario collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna.” A cura di L.Guidi, M.R Polizzari, L.Valenzi, Milano, Franco Angeli, 1992, p.30 9 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! La distinzione tra queste due emozioni non è sempre possibile, soprattutto quando sono i bambini a provarle. Il fanciullo non riesce a distinguere se il pericolo arriva dall’esterno o dall’interno, se è reale oppure immaginario.5 Vi sono diverse teorie che spiegano la reattività alla paura: ci sono ipotesi ambientalistiche (Watson) e costituzionali (Freud e la psicoanalisi). Vi sono poi autori come Bowbly, che si schierano per una versione “mista”. Uno dei primi psicologi che iniziò a studiare i meccanismi della paura fu Watson, nel 1920 che condusse un esperimento su un bambino di nome Alberto di undici mesi. L’esperimento consisteva nell’indurre nel fanciullo la paura di un animale peloso associandone la presenza di un forte rumore. Watson riuscì in questo modo a estendere uno stato di paura originariamente collegato a una situazione disturbante (rumore) a uno stimolo neutro o addirittura piacevole (coniglio). Secondo l’autore, il solo meccanismo del condizionamento spiega il formarsi di paure e fobie che altrimenti apparirebbero immotivate. L’esperimento svolto dall’autore comportamentista fu ripetuto da altri che evidenziarono alcuni aspetti: Valentine (1930) si accorse che non era possibile trasferire lo stato di paura da un forte rumore a qualsiasi oggetto neutro (ad esempio un binocolo); in questo modo 5 consentì di Cfr Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, Editore Borighieri, 1980 10 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! comprendere che tra la paura e ciò che la suscita il rapporto non è così arbitrario.6 Altri studiosi notarono che vi erano delle variabili che Watson non aveva considerato: il bambino probabilmente viveva un’insicurezza dovuta all’isolamento che l’esperimento richiedeva e che ciò aumentava la paura; oppure che Alberto era cresciuto in un ambiente ospedaliero e che per questo motivo poteva avere sofferto di carenze affettive che probabilmente lo rendevano emotivamente più fragile. Tutti questi elementi rilevati dopo l’esperimento stanno ad indicare come il fenomeno della paura sia un evento molto più complesso di quanto non pensasse in un primo momento Watson. La teoria di Freud e della psicoanalisi era decisamente diversa da quella presentata da Watson. La psicoanalisi considera infatti le situazioni temute all’esterno come una rappresentazione di timori e tensioni che invece avvengono nel mondo interiore. Secondo Freud, mentre è possibile sfuggire agli stimoli esterni è invece impossibile farlo per quelli interni. Secondo questa teoria, le paure infantili sono degli stati emotivi conseguenti al timore di perdere l’oggetto libidico su cui vengono proiettate le proprie tensioni interne. Quando 6 Cfr Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980 11 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! l’individuo si accorge di non essere più in grado di calmare l’eccitazione libidica che proviene dal proprio interno, orientandola su un oggetto in grado di soddisfarla, viene pervaso dall’ansia, che è la risposta dell’Io a uno stato incombente di pericolo. La Klein, che accetta la teoria pulsionale di Freud, elabora una teoria secondo cui l’angoscia nasce dalla “pulsione di morte” che si trova nel nostro organismo. Sia Freud che la Klein ritengono che a seconda dei soggetti ci siano delle differenze nella quantità dei bisogni libidici o nell’intensità della pulsione di morte. Queste differenze determinano in alcuni soggetti una maggiore interdipendenza o “angoscia da separazione”. Freud fa una distinzione tra “angoscia reale” e “angoscia nevrotica”. La prima, più comunemente chiamata “paura” riguarda un pericolo che conosciamo, un pericolo ben determinato, e che scompare con la scomparsa dello stimolo percepito come pericolo. La seconda, più comunemente chiamata “ansia” è dettata da un pericolo indefinito o che non conosciamo, come ad esempio la paura dell’oscurità, dell’esser soli, dell’estraneità. Questa angoscia, secondo Freud è uno stato soggettivo dovuto a carenze personali, a impulsi o norme morali da cui derivano disagi e sensi di colpa. Per Bowbly la teoria psicoanalitica sulla paura è oscura e imprecisa: 12 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! “Noi sosteniamo che, ben lungi dall’essere fobica o infantile, la tendenza a temere tutte queste situazioni comuni va considerata come una disposizione naturale dell’uomo, anzi come una disposizione naturale che in una certa misura lo accompagna dalla nascita alla vecchiaia, e che egli ha in comune con gli altri animali di molte specie. Pertanto ciò che è patologico non è la presenza di tale tendenza nell’infanzia o nel seguito della vita, una condizione patologica sussiste quando tale tendenza appare assente o quando tale paura insorge con facilità o intensità insolite.” (Bowbly, 1975) C’è anche chi non accetta la tesi secondo cui l’angoscia sarebbe legata a qualcosa di immaginario, che <<non è in nessun luogo>>, secondo una definizione data da Heidegger; al contrario, scrive Heller, “avrà ansia, angoscia, colui per cui sono vissuti come pericolosi molti di quegli stimoli che per gli altri non lo sono.. non è vero che l’ansioso ha paura del nulla, egli ha paura di tutto”. 7 Per Heller quindi l’ansia, o angoscia, è una forma di paura; una paura particolarissima che si può superare. Secondo Rank esistono in ognuno di noi due paure: la paura di vivere e la paura di morire. 7 Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984, p.22 13 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! La prima emerge dal desiderio di non essere separati dalle cose e dalle persone che ci proteggono e dal rifiuto del cambiamento, delle novità. La seconda invece emerge dalla voglia e dal desiderio di rendersi indipendenti, autonomi. Quando prevale la paura della vita, il soggetto svilupperà una personalità conformista non riuscendo a esplicare le proprie qualità e realizzare il suo progetto di vita. Se prevale invece la paura della morte, la paura della vita viene soffocata la persona assume comportamenti nevrotici, esaltati e non trova un modo accettabile per interagire con gli altri. Secondo Rank entrambe le personalità sono patologiche e individua nell’”artista” la persona veramente matura. Artista inteso non solo come colui che riesce ad avere un approccio all’arte ma anche colui che riesce ad avere un approccio creativo alla vita. L’artista riconosce entrambe le paure: sa minimizzarle e dominarle, questo gli permette di realizzare il proprio progetto di vita e allo stesso tempo di rapportarsi con i propri simili suscitando accettazione e rispetto. L’artista non si conforma ma non respinge nemmeno a priori gli schemi interpretativi degli altri, può modificare gli schemi che trova all’esterno così come può esserne modificato. 14 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 1.3 Immaginario collettivo rispetto alla paura “L’importante non è avere paura della paura… un uomo privo di paura non è che un uomo normale. Gli manca qualche cosa. Gli manca – protettiva o distruttiva che sia- una Madre. Non c’è paura senza speranza e non c’è speranza senza paura, diceva Spinoza. Perciò non respingiamola, la paura. In fondo, siamo tutti suoi figli.”8 Spesso nella nostra cultura l’emozione della paura viene etichettata come emozione tipicamente femminile: quando un uomo teme qualcosa viene soprannominato “femminuccia”. E proprio per questo invece di farla emergere e parlarne insieme, la si nasconde e la si reprime. Ovviamente questo comportamento, in quando educatori dei nostri figli viene trasmesso loro. L’uomo si sente inferiore alla paura: per questo se ne vergogna e non ne parla; nella nostra cultura si è più apprezzati se si dichiara di non avere paura. E’ un’emozione che paralizza, che impedisce lo svolgimento delle normali attività, che fa paura: per questo si fatica anche a parlarne. 8 Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984, p. 172 15 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Anche i bambini faticano a trovare nell’adulto un buon ascoltatore, e spesso invece di esprimerla, la nascondono per timore di essere presi in giro o di non essere capiti. L’adulto dovrebbe essere l’esempio per i bambini: l’adulto che parla di paura legittima il bambino a farlo a sua volta. Questo comportamento è visibile soprattutto nella nostra società; una società in cui l’uomo contemporaneo, tecnologico e scientifico, cerca di trovare sempre delle soluzioni razionali per fronteggiare le paure. La nostra civiltà ci ha portati ad un attesa del razionale che ci porta a trovare una spiegazione a tutto, anche a ciò che non conosciamo. Bisognerebbe però avere la consapevolezza che l’atteggiamento razionale, anche se controlla ampi spazi della nostra esistenza, non riesce a dare una risposta a tutto.9 Nonostante questo però, nella società si avverte il bisogno di condividere alcune paure, quasi per ricercare un conforto collettivo, dischiudendo il privato e renderlo pubblico. Un esempio potrebbe essere la paura della morte, che nonostante sia comunque un tabù per la maggior parte delle persone, si avverte il 9 Cfr. Anna Oliverio Ferrarsi in “Storia e paure. Immaginario collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna.” A cura di L.Guidi, M.R Polizzari, L.Valenzi, Milano, Franco Angeli, 1992 16 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! bisogno di “metterla in comune” e di condividerla con altri. La società permette in questo modo di sviare e trasporre una serie di ansie e paure che il singolo individuo non può affrontare isolatamente.10 1.4 Paura… un’unica accezione? Un mondo senza paure è solo un’illusione, anzi, un’utopia negativa. Un’educazione protesa a tener lontana qualsiasi paura rende i bambini incapaci di affrontare la vita tanto quanto un’educazione oppressiva che fa leva sulle minacce.11 Non tutte le paure sono dannose e disorganizzanti: ci sono paure positive che hanno reso possibile la sopravvivenza dell’uomo. La Natura ci ha dato la possibilità di percepire una serie di stimoli e di interpretarli come pericolosi. La paura è l’emozione che ha reso possibile la sopravvivenza dei popoli, in quanto possiede la funzione di salvaguardia. Si tratta infatti di una preparazione psicologica e intellettuale necessaria per affrontare e comprendere realisticamente una situazione di pericolo…. Si tratta di una 10 Cfr. Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980 11 Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.25 17 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! reazione inerente alla nostra natura che consente all’individuo di sfuggire provvisoriamente alla morte…12 L’evoluzione della specie umana, il suo sviluppo storico e culturale, sono stati influenzati profondamente dal “bisogno di sicurezza”, in altre parole dalla paura. “L’invenzione è figlia dell’angoscia”, disse Jacques Brill: la conquista del fuoco segnò una svolta decisiva nella vicenda umana e tra l’altro servì a combattere la paura del buio. Alcuni autori fanno notare che oltre alle paure che paralizzano esistono anche quelle che attivano l’energia, che danno una spinta verso l’adattamento e verso la consapevolezza del pericolo; paure quindi che stimolano, che eccitano la curiosità e che rendono intraprendenti.13 La paura vitale, funzionale, quella “adeguata” al pericolo, a differenza di quella patologica che indebolisce, è accompagnata da strategie costruttive per il superamento, dà un senso di forza e potenza e permette di andare incontro al mondo in modo stimolante, costruttivo e creativo. Quando la paura diventa un ostacolo alla maturazione e impedisce una vita normale dell’individuo perde la sua funzione biologica e tutto il suo 12 Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980, p.20 13 A questo proposito si veda anche Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980 18 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! valore protettivo, diventando così solo un ostacolo: un fastidioso e faticoso ostacolo. Ansia e paure quindi possono avere un duplice effetto: salvarci dal pericolo, oppure bloccare le nostre capacità. Il primo è utile, necessario per la sopravvivenza, indispensabile; il secondo invece ci immobilizza, è una forma degenerativa del primo che può instaurarsi in conseguenza a esperienze traumatiche, errori educativi, perdite, minacce ecc. La modalità corretta sarebbe quella in cui si riesca a trovare un giusto equilibrio e un funzionamento ottimale delle proprie emozioni in modo da padroneggiarle e utilizzarle in modo costruttivo.14 14 Cfr Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, editore Borighieri, 1980 19 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 1.5 Il vissuto di paura nel bambino “La prima reazione di paura nel bambino si nota di solito quando si rende conto che persone e in seguito oggetti, luoghi e situazioni sono estranei.”15 I bambini, in quanto in fase di formazione e per questo con una personalità non definita sono più contagiabili rispetto agli adulti. I bambini non si spaventano solo quando si trovano davanti al pericolo, ma anche quando percepiscono negli altri segnali di paura. Per cui basta vedere nell’adulto significativo segni di timore, di ansia e di paura per percepire anch’essi la medesima emozione. Alcune paure sono utili (come ad esempio la paura delle prese della corrente, degli incendi, del traffico..), altre invece non lo sono e vengono acquisite solo perché l’adulto le sta vivendo e le sta comunicando. La paura però non emerge solo in presenza di uno stimolo pericoloso, ma anche in assenza di una determinata realtà. Per cui un bambino che viene allontanato dal contesto familiare, privato quindi delle figure di riferimento, può sentirsi impaurito e ansioso. Il superamento dell’assenza dà più sicurezza al bambino, ma nel momento in cui la vive lo confonde. 15 Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, P.74 20 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! C’è da considerare anche una dimensione evolutiva della paura: esistono paure tipiche dell’infanzia, della fanciullezza, dell’adolescenza e anche dell’età matura e della vecchiaia. Per quanto riguarda i bambini nei primi cinque anni di vita, le situazioni che provocano reazioni allarmanti sono: 1) Tra i tre-quattro mesi e i tre anni : I rumori forti, il dolore, l’accostarsi rapido di oggetti, l’altezza, l’isolamento e i bruschi cambiamenti di illuminazione che diminuiscono gradualmente nell’età successive. In questa prima esperienza di paura il bambino viene colto di sorpresa. 2) A partire dalla seconda metà del primo anno di vita e per tutto il secondo: Inizia verso i due anni la paura di perdere l’amore ed essere punito, con il conseguente senso di colpa che può essere una minaccia più pericolosa della separazione in sé. Soprattutto verso il terzo anno il bambino è molto sensibile a queste punizioni e ricoveri, che per lui significano privazione dell’amore e rifiuto di tutta la sua persona. In questa età la paura dell’ignoto e della separazione sono frequenti, anche queste paure diminuiscono dopo i tre anni. 21 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 3) Intorno ai venti- ventiquattro mesi fino ai cinque- otto anni: La paura per gli animali e per il buio sono più frequenti e raggiungono la punta massima verso gli otto anni.16 Gli studi sull’ontogenesi della paura nei bambini dimostrano che questa emozione non appare chiaramente se non dopo il primo anno di vita. Questi dati non possono essere definitivi, in quanto in età precoce è difficile distinguere il disagio dalla paura. Il bambino ricorda più a lungo le esperienze spiacevoli e l’immaginazione che via via diventa sempre più ricca può far nascere timori e ansie per qualcosa che hanno sentito nominare e discutere da altri, senza nemmeno conoscere l’oggetto in questione, acquisendo così la capacità anticipatoria di immaginare pericoli incombenti. E’ frequente nel bambino il processo di generalizzazione della paura, che si discosta dall’oggetto originario: ad esempio un bambino che si spaventa durante una visita medica, potrà estendere lo spavento a tutte le persone che indossano un camice bianco. Ad ogni età ognuno ha una particolare “disponibilità” alle paure. Verso i sei- undici anni alcune paure dell’infanzia vengono padroneggiate e 16 Questa suddivisione delle paure è tratta da “Psicologia della paura” di Anna Oliverio Ferrarsi, Torino, editore Borighieri, 1980, p.74-75 22 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! superate e ne nascono altre, in relazione allo stato di maturazione cognitiva. Diminuiranno le paure per i rumori, le luci, il buio e aumenteranno ad esempio quelle dei danni fisici, come le amputazioni, le ferite. Anche nell’adolescente sono presenti delle paure, che spesso non si notano. L’adolescente teme la morte, il dolore, la sofferenza: paure che accompagnano l’uomo durante tutta la sua esistenza. Soprattutto in questa fase così delicata come l’adolescenza il ragazzo teme le ferite, le amputazioni; teme le esperienze che in qualche modo vanno a modificare provvisoriamente o definitivamente il suo corpo che è già in continuo cambiamento. 23 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 1.6 Superare le paure da bambini “…<<un tempo>> dice Francesco ridendo <<avevo paura dei coccodrilli. Erano sdraiati sotto il mio letto. E dovevo stare attento che non pendesse nulla fuori dal letto. Non avevo il coraggio di andare da nessuna parte. Ma a un certo punto m’è venuta un’idea. Io sapevo che mangiavano moltissimo. Era per questo che mi volevano a tutti i costi. Allora ho distribuito attorno al letto degli Smarties. Avrebbero mangiato quelli per primi. Così non avrebbero più avuto fame e non mi avrebbero mangiato. La mattina dopo però gli Smarties erano ancora tutti lì. Così ho pensato, ma qui non ci sono coccodrilli e me li sono mangiati tutti io. Mi è venuto un terribile mal di pancia. Allora ho pensato che i coccodrilli non li avessero mangiati perché non volevano stare male. Dunque i coccodrilli c’erano veramente. Il giorno dopo ho messo attorno al letto della cioccolata. Ma quando il mattino dopo l’ho vista ancora lì mi sono detto, non possono essere così schizzinosi. Allora non ci sono coccodrilli sotto il mio letto!>>” 17 E’ proprio così che il bambino supera le paure: con i propri tempi, i propri spazi e soprattutto con le proprie modalità; i bambini inscenano la paura, le danno un volto. 17 Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.17 24 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Anche se ogni bambino ha il proprio modo di elaborare le paure possiamo dire che la fantasia e le magie siano le strategie che per eccellenza appartengono al mondo infantile. Bisogna ricordare che il bambino ragiona per immagini, così anche mostri, ombre e banditi immaginari possono essere reali tanto quanto la realtà stessa che lo circonda. Non serve quindi razionalizzare, nemmeno minimizzare e tantomeno drammatizzare le paure. Spetta al bambino definire il momento in cui elaborare una paura e la decisione di quanto tempo gli occorre per poterle vincere: non sempre il bambino è pronto ad ascoltare quello che l’adulto gli vuole dire; ci sono risposte “razionali” che non sempre e non in tutti i casi il bambino vuole sentire. A volte infatti, le idee elaborate dagli adulti non tengono conto del livello di sviluppo del bambino e invece di essere di aiuto sono un’ulteriore elemento di confusione e di timore dal quale i bambini si difendono mostrando opposizione netta ai suggerimenti dei genitori. Con questo non vuol dire che allora l’adulto debba essere un compagno muto; il bambino ha bisogno di parole corroboranti quando la strada si rivela a fondo cieco. Il bambino ha bisogno di superare le proprie paure con i propri tempi e con un adulto al suo fianco: un adulto che non si sostituisca al fanciullo, che non superi le paure al suo posto, ma che sia “semplicemente” il suo 25 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! collaboratore. Si tratta quindi di un adulto non invadente, non intrusivo, non superiore, ma bensì un accompagnatore che lo ascolti con partecipazione, che lo ami e che non lo faccia sentire solo, che lo incoraggi ma che non lo opprima. Un adulto disposto ad utilizzare il suo linguaggio, a credere a ciò che racconta, a dare informazioni che il bambino vuole sentire. Il presupposto perché le paure possano essere superate è che il bambino partecipi con la propria fantasia e la propria creatività al processo di elaborazione: fronteggiarle e superarle con mezzi propri (a volte inusuali), aumenta la stima di sé, la sicurezza, l’affermazione della propria identità. E in questo modo il bambino impara che le paure fanno parte della vita e che anch’egli è in grado di scacciarle. Spesso basta una magia per scacciare una paura, solo che questa magia può richiedere molto tempo e un linguaggio diverso, pieno di fantasia e segreti; un linguaggio che spesso suscita stupore e meraviglia; un linguaggio che troppo spesso l’adulto non riesce a percepire o addirittura rifiuta. La fase magica del bambino va dal quarto anno fino a gran parte del nono, ma anche successivamente sono ravvisabili fenomeni di questo stadio di sviluppo. Durante questa fase i bambini si percepiscono a metà tra scienziati e maghi, tra ricercatori e artisti: ci sono cose che conoscono e di cui conoscono il retroscena, ma ci sono anche delle lacune che riempiono 26 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! con la propria fantasia e immaginazione. Costruiscono personaggi, inventano compagni immaginari, esseri invisibili che poi scompaiono, trasformano eventi minacciosi e figure pericolose. Il bambino costruisce la propria realtà interiore ed esteriore e la magia e i riti si trovano in lui stesso. Questo tipo di pensiero non è qualcosa di confuso ma bensì di ben strutturato per il fanciullo; è una forma di intelligenza che permette ai bambini di essere creativamente attivi e di comprendere così il mondo che lo circonda e di superare paure e incertezze che ogni età evolutiva ha con sé.18 E’ probabile che in questa fase il senso di colpa si colleghi strettamente con la paura di perdere i genitori; spesso il bambino ha la convinzione che i suoi comportamenti “errati” possano causare malattia e morte dei genitori. Prendendo in considerazione questa modalità fantastica per il superamento delle paure non si vuole escludere a priori qualsiasi mezzo razionale e realistico e nemmeno negarne l’efficienza e l’importanza; si voleva solo porre l’attenzione su una modalità che per il bambino esiste ed è importante e che noi adulti spesso non capiamo. 18 Cfr., Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998 27 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! I bambini vedono mostri terribili per dare un volto alla propria paura e sconfiggerla. Spesso in questa impresa si avvalgono dell’aiuto di un peluche o di un amico invisibile , che è tale solo per l’adulto; per il bambino l’amico invisibile è reale e per un determinato periodo è inseparabile da lui. Il bambino in questo modo non sta fuggendo dalla realtà, ma al contrario sta utilizzando questi personaggi (estremamente importanti per il suo sviluppo emotivo) per tappare dei buchi nel processo di apprendimento che è ancora lacunoso.19 << Il papà non torna più!>> << Lo so! Ma qui si siede Mannich!>> << Chi, scusa?>> << Mannich! L’orso>> le risponde Vera sicura. E poi aggiunge: <<Lui adesso abita qui!>> << Ma non lo vedo!>> << Non c’è bisogno che tu lo veda. Basta che lo veda io!>>20 19 Cfr., Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998 20 Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998, p.178 28 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Così come la fantasia, anche il gioco aiuta il bambino ad elaborare impressioni minacciose che incutono timore; nel gioco il bambino vive un’intera gamma di emozioni e desidera confrontarsi con la paura, purchè questo avvenga in maniera autonoma, con mezzi e tempi propri; cerca di comprenderla per poterla concettualizzare, facendosi coinvolgere spontaneamente e obbedendo a regole da lui stesso stabilite. I bambini parlano molto più spesso di paure di quanto noi non crediamo e insieme le superano; l’emozione che il compagno sta vivendo viene presa sul serio e ci si fa carico del superamento di quella realtà che sta opprimendo l’amico. 29 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 2 L'OSPEDALE: UNA CASA CON TANTE FINESTRE 2.1 La malattia “Si stabilisce il concetto di sano definendo ciò che è normale: malato è la condizione alternativa. Rimane tuttavia da chiarire dove si trovi esattamente il confine tra sano e malato, se sia possibile in assoluto tracciarlo, e se non si debba piuttosto partire dal presupposto che una persona sia più o meno sana o malata.”21 Il confronto con la malattia è difficile per ognuno di noi, in quanto può cambiare tutta la vita, comprometterla o minacciarla. Spesso si tralasciano i primi sintomi di malessere perché fatichiamo a confrontarci con essi per paura di dover mettere in discussione una serie di certezze che abbiamo costruito. Ammalarsi non significa solo subire un danno o un cambiamento fisico, ma chiede all’individuo di confrontarsi con temi più dolorosi come ad esempio la morte. La perdita della salute, sia propria che altrui, produce diverse emozioni e sentimenti come l’ansia, la paura, il panico, la solitudine, l’angoscia. 21 Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, P.78 30 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! La malattia è un’esperienza di separazione e di perdita del precedente stato di benessere e da tutto ciò che questo significava e comportava per l’individuo. Essere malati è un evento globale; non significa solo mettere in discussione la propria fisicità, significa anche rivedere legami, relazioni e fare i conti con alcuni impedimenti che la malattia comporta. Sono proprio questi impedimenti che potrebbero generare nell’individuo sentimenti di inferiorità, di svalutazione delle proprie possibilità e quindi anche delle proprie capacità. E’ importante quindi considerare le ricadute di tutto ciò in ambito psicologico e sociale. Essere malati significa vivere un’esperienza che produce cambiamento, un cambiamento che coinvolge il soggetto nella sua totalità, che modifica la percezione di se stessi, del proprio corpo, che modifica le abitudini, l’ambiente, le relazioni. Non esistono risposte uniformi e scenari statici di fronte a questa situazione di emergenza: ogni individuo mette in atto tentativi soggettivi di superamento della crisi. 31 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Ogni soggetto ha il diritto di vivere la malattia non come esperienza svuotata di senso, ma come ad un tempo della propria vita a cui attribuire significato.22 Una teoria di salute viene presentata da Aaron Antonowsky nel 1979 con il modello continuo di salute/malattia secondo il quale l’individuo non è o sano o malato ma piuttosto più o meno sano o malato. 2.2 Malessere a occidente: Immaginario collettivo rispetto all'ospedale e alla malattia “… un’idea di salute e di floridezza incentrata pressoché in modo esclusivo sulla solidità e sulla turgidezza scintillante del corpo.”23 Nella nostra società la salute ha un gran valore, basta pensare che è la prima cosa che si chiede quando non si vede qualcuno da parecchio tempo e che ad ogni compleanno auguriamo “tanta salute”. Di fronte al desiderio di apparire sempre più sani, robusti e belli, quasi per scaramantica rassicurazione non parliamo della malattia, oppure, se ne 22 Cfr Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003 23 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.13 32 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! parliamo, facciamo solo dei fugaci ed imprecisi cenni ed utilizziamo non le parole giuste, quelle corrette, ma eufemismi o circonlocuzioni o “giochi di parole”; ed allora capita che nessuno pensi che sia possibile ammalarsi in quanto, in questo mondo la sofferenza sembra non avere cittadinanza. Infatti, se la evochiamo, lo facciamo solo con l’intima e forse anche incoffessabile convinzione che tutto possa essere ridotto alla dimensione della spettacolarità, l’unica in fin dei conti che abbia un senso ed un significato e questo vale anche per la malattia e la morte. Ed è proprio per una società industrializzata e attenta al rendimento che la malattia riduce produzione e consumo e da ciò ne derivano enormi costi. Per questo prevenzione e ripristino della salute hanno molta importanza. 33 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 2.3 Il bambino e la malattia “Va anche detto che, connesso all’idea della malattia come espiazione di una colpa, spesso insorge nel bambino malato il timore di venire abbandonato e non aiutato, in una parola di essere lasciato solo.”24 Se la situazione di malattia comporta importanti squilibri per un adulto, ancora più complesso è il problema quando ad ammalarsi è un bambino. Nessuno meriterebbe di ammalarsi, ma quando capita ad un fanciullo, l’ingiustizia sembra ancora più grave perché va a colpire chi si sta avviando a vivere la propria vita. Oltre che ingiusto appare anche innaturale: contrario alla naturale spinta dello sviluppo.25 Per un bambino la malattia è sicuramente un momento difficile, spesso collegato a sentimenti di tristezza, stanchezza e delusione; un momento caratterizzato non solo da sofferenza fisica ma anche psichica. Nelle prime fasi dello sviluppo del bambino dolore fisico e dolore psichico possono confondersi. 24 S.Kanizsa, B.Dosso, “La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale”, Roma, Meltemi editore, 1998, p.32 25 Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 34 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Nei primi anni di vita (fino a sei-sette anni) qualsiasi affezione che si accompagni a dolore e pena fisica viene vissuta come proveniente dall’esterno, come conseguenza di un evento aggressivo inducente una sofferenza di grave entità.26 Il bambino non è in grado di distinguere le differenze fra una malattia più o meno importante; per questo reagirà con un comportamento dominato dall’ansia e dalla paura indipendentemente dalla gravità della malattia stessa.27 Non tutti i bambini però reagiscono allo stesso modo di fronte alla malattia: alcuni si distaccano da tutto e arrivano anche a respingere qualsiasi contatto e offerta d’aiuto; altri si comportano in modo opposto richiedendo continuamente amore e attenzione alla madre che li cura diventando così molto esigenti, lamentosi e dipendenti. Il bambino malato, così come l’adulto, chiede spiegazioni riguardo la sua malattia e riunisce tutte le risposte ottenute nel contesto di ciò che conosce del mondo attorno a lui. Questa conoscenza è influenzata dal livello di 26 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003,p.43 27 Cfr Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003 35 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! sviluppo cognitivo. Solitamente la comprensione della malattia è legata a ciò che i bambini sanno del proprio corpo. E’ fondamentale informare il bambino con spiegazioni accessibili, dialogando e non ricorrendo a menzogne ed inganni tali da facilitare fantasie inappropriate. Spesso la malattia viene vissuta come una punizione, molti bambini pensano che la malattia sia stata causata da un loro comportamento errato e credono di poter guarire mettendo in atto un comportamento corretto, ubbidendo ai propri genitori, riordinando i giochi, aderendo ad un insieme di regole rigide, in altre parole “facendo i bravi”.28 Per il bambino in età prescolare non è facile affrontare il ruolo del malato; da un lato ha il bisogno di assistenza, dall’altro si rifiuta di farsi curare. I bambini fino agli undici anni, ritengono che l’ammalato abbia una responsabilità diretta rispetto all’insorgenza della malattia. La valutazione della durata della malattia è molto diversa nel bambino rispetto all’adulto. Per un bambino un periodo brevissimo può sembrare lunghissimo; questo perché fino a quattro-cinque anni la percezione del tempo non è oggettiva: non si concepisce un unico tempo ma tanti quanti 28 Cfr Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003 36 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! sono i momenti vissuti percepiti. Tra due azioni della stessa durata il bambino percepisce come più lunga quella più difficile. Verso i sei anni il bambino inizia ad avere una considerazione più oggettiva del tempo, anche se in una situazione di malattia e ospedalizzazione la percezione del tempo reale si realizza più tardivamente e si rivela distorta anche oltre gli otto anni. Il bambino ha il diritto di essere aiutato a non fare della propria malattia il centro della propria vita, deve essere aiutato a comprendere che questa situazione è una parte della sua esistenza e non l’esistenza stessa. Un interessante modello che spiega il concetto di malattia nel bambino viene offerto da una ricerca del 1980 di Bibace e Walsh facendo riferimento alla teoria di Piaget . Secondo gli studiosi le spiegazioni che i bambini danno sulle possibili cause delle malattie sono in realtà meno svariate di quanto si possa pensare e sono raggruppabili in categorie specifiche. I bambini tra i tre e i sette anni che appartengono, secondo Piaget, allo stadio preoperazionale dello sviluppo cognitivo attribuiscono la causa della loro malattia a un fenomeno, di tipo magico o naturale. Verso i sette- otto anni, passando allo stadio del pensiero logico-concreto, il bambino incomincia a distinguere ciò che è interno e ciò che è esterno alla propria persona. Ha quindi la consapevolezza che la malattia è localizzata all’interno del suo corpo mentre la causa può essere esterna. In 37 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! questa età c’è l’idea della contaminazione. Il bambino crede di guarire perché collabora e consente ai dottori di intervenire sulla malattia. Verso gli undici anni i bambini acquisiscono sempre maggiori conoscenze delle strutture e delle funzioni degli organi interni e si intuisce il complesso legame tra corpo e mente. Il bambino identifica chiaramente l’organo malato, anche se si comprende che la causa può essere esterna, come ad esempio un virus o un’infezione. Categoria piagetiana Tipo di spiegazione Esempi PRE- LOGICA FENOMENOLOGIA Come 2-6 anni di età La Il bambino non più immatura si prende il (dal raffreddore? è punto di vista cognitivo) Dal sole. capace di distanziarsi delle categorie di Come fa il sole a darti il raffreddore? dall’ambiente in cui spiegazione. vive. Le relazioni di La causa della malattia è Te lo dà e basta. causa effetto individuata in un fenomeno ed quindi naturale, che può essere Come vengono si prende il prende il ricondotte a qualche contemporaneo ad essa, raffreddore? ma che appare lontano nel Dagli alberi. fenomeno direttamente visibile o tempo e nello spazio da presente momento. in quel chi si ammala. I bambini Come si di questa categoria non morbillo? sono però capaci di Da Dio. spiegarsi come in effetti Come fa Dio a dare il questi causino la malattia morbillo alle persone? Lo fa nel cielo. 38 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! MAGICO-CONTAGIOSA Come si prende il I bambini un po’ più raffreddore? maturi al Da fuori ricorrono concetto contagio Come si fa a prenderlo di causato dalla vicinanza di da fuori? qualcuno o qualcosa che Ti viene perché qualcuno ti però tocca viene vicino. non direttamente il bambino. Il Ma come fa? legame tra l’oggetto e la Non so. Penso per magia. malattia è però riferito esclusivamente in termini magici o di vicinanza. Che cos’è il raffreddore? LOGICO-CONCRETE CONTAMINAZIONE 7-10 anni La causa della malattia è E’ quando c’è l’inverno. Ciò che caratterizza individuata questa fase progressivo è una Come si fa a prenderlo? in il persona, in un oggetto, o Quando tu esci senza un in un evento esterno al berretto e poi inizi a caratterizzati starnutire. La tua testa decentramento dell’Io bambino, e la sempre maggior dall’essere <<cattivi>> o diventa fredda, perché il freddo la tocca, e poi il consapevolezza di ciò comunque che è interiore e di ciò <<pericolosi>>. che è esterno. Questa <<fonte>> distinzione è presente malattia Questa freddo ti va in tutto il causa nel la corpo. bambino in entrambe le sotto- attraverso un contatto fisico categorie spiegazione. di con qualche parte del corpo, o perché il bambino fa delle cose << che poi gli fanno male>>. 39 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! INTROIETTIVA Che Categoria cos’è un cui raffreddore? appartengono, di solito, i Fai un sacco di starnuti, bambini secondo parli in modo strano, e il del segmento della fase tuo naso è tutto otturato. La Come fa la gente a logico-concreta. malattia adesso prendersi il raffreddore? è chiaramente all’interno individuata Quando c’è l’inverno, si del corpo, respira troppa aria nel naso mentre la causa primaria e può ancora essere esterna. La causa questa finisce per otturarlo. esterna, Come fa questo a generalmente un oggetto o causarti il raffreddore? una persona, raggiunge I batteri entrano dentro l’interno del corpo quando respiri. Poi i attraverso un processo di polmoni diventano troppo introiezione, per esempio molli (fa un sospiro) e ti va ingoiando o respirando. al naso. Anche se la malattia è Come si fa a guarire? Aria calda e pulita. Ti va chiaramente individuata nel naso e rimanda via all’interno del corpo, la l’aria fredda. sua descrizione appare vaga e poco definita. Le funzioni degli organi interni appaiono confuse e poco chiare. 40 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! LOGICO-FORMALE FISIOLOGICA Dagli 11 anni In questo Come fa la gente a tipo di prendersi il raffreddore? I bambini, intorno agli spiegazioni la causa della Credo sia causato da dei 11 anni d’età, malattia può essere legata virus. sviluppano la capacità a fattori esterni che ne Altra gente ha questi virus, di pensare in maniera determinano l’attivazione, e loro raggiungono il tuo propriamente A questa logica. ma la fonte e la natura sangue e ti causano il età, processo il della malattia risiede in raffreddore. di specifiche differenziazione tra il funzioni sé e il completa. mondo strutture organiche. o Tu sei mai stato malato? I Che problemi avevi? si bambini individuano una Il livello delle mie piastrine precisa catena di causa ed era troppo basso. coinvolge E cioè? alcuni organi interni e Nel sangue, sono un po’ finisce per causare la come i globuli bianchi, ti aiutano ad uccidere i malattia. effetto che microbi. Perché ti sei ammalato? C’erano più microbi che piastrine, e le piastrine stavano morendo. Come hai fatto ad ammalarti? Per via Stavano dei microbi. uccidendo piastrine. 41 le Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! PSICO- FISIOLOGICA Che cos’è un attacco di Il grado più maturo di cuore? comprensione della È quando il tuo cuore non malattia si raggiunge con funziona più bene. la categoria di spiegazioni Qualche volta batte troppo psico-fisiologiche. piano, altre volte troppo Come per la categoria forte. precedente, la malattia è Come fa la gente ad ricondotta a meccanismi avere organici interni persona, ma un attacco di alla cuore? adesso Può succedere perché i tuoi vengono anche ipotizzate nervi sono troppo tesi. Uno delle cause aggiuntive, di si preoccupa troppo, e la natura psicologica. tensione può far male al cuore. Tabella 1 Spiegazioni e concetti di malattia nei bambini, per fascia di età, secondo il modello di Piaget. Tratto da "Gioco e Studio in Ospedale", p.20 42 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 2.4 Il bambino e l'ospedale Quando un bambino entra in ospedale, è come se fosse portato nel bosco, lontano da casa. Ci sono bambini che riempiono le tasche di sassolini bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte, alla luce della luna. Ma ci sono bambini che non riescono a far provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia per tornare indietro. È una traccia molto fragile e bastano poche formiche a cancellarla: i bambini si perdono nel bosco e non sanno più ritornare a casa.29 La maggior parte delle volte che torniamo in un luogo in cui siamo stati da bambini questo luogo appare sempre più piccolo rispetto al ricordo che avevamo. Quello che da fanciulli vedevamo come immenso ora è decisamente nella norma. Soffermandoci su questo aspetto immaginiamo che dimensioni possa avere un ospedale visto da fuori per un bambino di pochi anni. Una grande casa con tante finestre… Questa è l’immagine che i bambini hanno guardando questa struttura così imponente. . L’ospedale è il luogo della cura, è il luogo del dolore, è il luogo dove bisogna fare silenzio, è il luogo dove “i grandi” ti ci mandano se non fai il bravo. 29 A. Canevaro (1976) 43 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! L’ospedale è sofferenza e spesso collegato al concetto di morte. Questi sono i pensieri che i bambini hanno guardando e pensando l’ospedale. Ogni anno, in Italia, circa mezzo milione di bambini vive l’esperienza di un ricovero in ospedale: ciò significa che un bambino su sette deve affrontare il tema della malattia e la difficile esperienza dell’ospedalizzazione. L’ospedalizzazione e le cure, spesso dolorose, si presentano al bambino in un momento della vita in cui la costruzione dell’identità è ancora in divenire e il bisogno di rapportarsi con persone e luoghi significativi è ancora fortissimo. Il bambino non è in grado di dominare la realtà e di superare lo stato di paura che questo ambiente sconosciuto gli provoca, se non attraverso un’elaborazione fantastica dell’esperienza. Per questo deve essere aiutato a farlo. Per il fanciullo il ricovero in ospedale è quasi sempre traumatico: andare in ospedale significa trascorrere del tempo in un ambiente diverso da quello di casa, significa incontrare persone sconosciute e mani non familiari che ti toccano, significa interrompere le normali attività scolastiche, quelle sportive; significa modificare le abitudini, mutare le relazioni interpersonali e allentare la fiducia dell’onnipotenza dei genitori. L’ospedalizzazione è cambiamento: un cambiamento del contesto ambientale e del proprio ruolo all’interno del contesto. E come in ogni 44 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! transizione, anche questo cambiamento è spesso accompagnato da un certa dose di ansia o di disagio, anche quando la persona abbia sviluppato una buona fiducia nelle proprie capacità. Il malessere e l’inadeguatezza derivano da una mancata esperienza diretta della nuova situazione, anche se ci viene fornita una buona dose di informazioni per poterla affrontare. L’angoscia si può tradurre in vari comportamenti: opponendosi al cibo, rifiutandosi di dormire, manifestando rabbia e aggressività verso genitori e fratelli, che spesso sono ritenuti responsabili del ricovero. La reazione aggressiva permette al bambino di elaborare la propria risposta adattiva alla malattia e all’ospedale, rendendo possibile un intervento comunicativo dell’adulto, che può avvicinarsi ad esempio con un gioco. 30 Fondamentale per il bambino è poter comunicare con l’adulto, poter esprimere le proprie paure e chiarire le proprie fantasie rispetto a ciò che sta vivendo. Il fanciullo ha bisogno di avere delle persone vicine in grado di comprenderlo e disposte ad ascoltarlo. Per adattarsi alla nuova situazione il bambino deve continuamente mettere a fuoco volti nuovi; all’inizio medici e infermieri sono per il fanciullo solo dei camici bianchi anonimi, a volte minacciosi, associati spesso al dolore, in qualche modo temuti. L’ostilità davanti ad un estraneo 30 Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 45 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! è una reazione impulsiva, che non dipende da un giudizio della qualità del compagno: in un momento così delicato e di tensione come quello dell’ospedalizzazione, il bambino è pronto a spezzare i suoi legami sociali chiudendosi in se stesso. Il bambino si autoesclude dal dialogo poiché viene meno la fiducia dei genitori che lo hanno condotto nel reparto e che si sono alleati con i medici . Da un lato è attratto dal nuovo ambiente e dalle nuove scoperte, ma dall’altro queste scoperte appaiono così inquietanti e angosciose da bloccare qualsiasi movimento verso di esse. Sarà il bambino a decidere i tempi e le modalità di avvicinamento agli spazi e ai soggetti a lui estranei, sarà lui a prendere l’iniziativa cercando il contatto visivo, sorridendo, e perfino cercando il contatto fisico. Se adeguatamente seguito, il bambino riuscirà a distinguere con i propri tempi le nuove relazioni e i nuovi spazi e riuscirà ad istaurare relazioni di fiducia con il personale medico-infermieristico, dal quale cercavano di difendersi e proteggersi. In ospedale però non è sempre possibile rispettare questi tempi di avvicinamento del bambino perché le cure spesso invasive, devono essere immediate per la salute del bambino, in quanto non bisogna dimenticare che il mandato dell’ospedale è quello di garantire la salute fisica. Alcune ricerche dimostrano che i bambini ospedalizzati disegnano spesso i bambini malati soli, trascurati, poco colorati, molto piccoli, mentre normalmente i bambini sani lo disegnano circondato da amici e parenti, 46 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! ben vestiti, molto colorati, ritratti in posizione attiva e molto più grandi di quelli malati. Emerge quindi un senso di inferiorità, di solitudine, di svalutazione e differenza dovuto alla malattia. L’esperienza dell’ospedalizzazione si presenta come una soluzione non voluta, ma talora inevitabile; a volte non chiara nemmeno all’adulto e ancor di meno per un bambino. Il male può essere visibile, esterno, ma può anche non essere visto né sentito, per questo molte volte risulta difficile per un bambino comprendere il motivo della sua permanenza in un luogo così lontano da casa. E spesso viene vissuta come punizione. All’interno dell’ospedale la realtà della malattia è sempre presente; quando non è la propria può essere quella del vicino. L’ammalarsi compromette il benessere fisico di bambini e ragazzi, limitandone l’autonomia e interrompendo il grado di indipendenza raggiunto. Quest’ultima è ridotta non solo dalla malattia, ma anche dalla struttura ospedaliera stessa, che nella maggior parte dei casi non è costruita a misura i bambino: azioni semplici come andare in bagno da soli, lavarsi le mani, salire sul letto, leggere e studiare, diventano difficoltose e complesse, talvolta impossibili. Di qui la necessità di prestare attenzione ai margini di autonomia ancora posseduti e al loro possibile potenziamento e all’identità personale, da 47 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! salvaguardare e difendere contro gli attacchi della malattia e dell’ambiente.31 Spesso si possono notare nel bambino atteggiamenti di regressione, in quanto la limitazione di autonomia può riportare chi si ammala indietro o lontano dai suoi progressi evolutivi, talvolta appena conquistati.32 Non è insolito che un bambino che prima camminava ora vuole star in braccio, un bambino che prima mangiava da solo ora vuole essere imboccato, l’adolescente che torna a guardare i cartoni animati. Questi atteggiamenti possono essere messi in atto dal bambino, ma a volte possono anche essere indotti dai genitori che volendo evitare al bambino qualsiasi sofferenza, a volte diventano iperprotettivi nei loro confronti. Si rischia così un “collasso educativo” : la famiglia angosciata dalla malattia del figlio perde ogni riferimento educativo; abbandona regole e limiti, sommerge il bambino di regali e attenzioni, con il rischio di farne un piccolo insicuro e sempre scontroso ( “…se adesso mamma e papà non mi sgridano vuol dire che sto proprio male..”). Quando questo atteggiamento 31 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.108 32 Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 48 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! persiste per lungo tempo può diventare un vero ostacolo allo sviluppo del fanciullo. E’ fondamentale quindi non trascurare l’aspetto educativo, soprattutto in ospedale, dove per educazione si intende promozione della libertà personale ed una crescita armonica. E’ importante perciò mantenere saldi i principi educativi a cui i genitori si riferivano prima del ricovero, cercando di trasmetterli indipendentemente dallo stato di salute del figlio: la costanza comportamentale offre al bambino sicurezza e stabilità che, soprattutto all’interno di questa esperienza il fanciullo ha bisogno di sentire. In ogni caso è negativo rimandare gli interventi educativi a quando il bambino lascerà l’ospedale; questi devono continuare anche durante il periodo della degenza, con quel rispetto dei tempi che è tipico di un processo pedagogico equilibrato.33 Si possono riconoscere tre fasi che scandiscono il tempo della degenza ospedaliera del bambino: in un primo momento egli mette in atto una protesta che può durare da poche ore a qualche giorno. In questo periodo il bambino osserva l’ambiente e cerca di captare suoni e segnali che potrebbero essere familiari; cerca di attirare l’attenzione come difesa. Il 33 M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico- educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001, p.25 49 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! bambino cerca di vedere se la madre o chi lo accudisce si comporta come avviene nella vita quotidiana; il tentativo è quello di trovare normalità nelle reazioni dei genitori. La seconda è una fase in cui avviene la svalutazione delle figure genitoriali. Il bambino è meno attivo e più distaccato, apatico; ha un forte bisogno di avere vicino la mamma o comunque una figura significativa, ma allo stesso tempo teme di perderla e teme che non sia più in grado di soddisfare i suoi bisogni. Quando un bambino resta in ospedale più a lungo, si presenta una terza fase: quella in cui acquisisce maggior interesse per l’ambiente nuovo ma lo perde per ciò che viveva e provava nella vita di tutti i giorni. Le risposte dei bambini all’ospedalizzazione possono essere raggruppate in due atteggiamenti: le reazioni attive e le reazioni passive. Le prime includono piangere, piagnucolare, opporsi alle terapie, gridare, aggredire cose e persone, litigare, aggrapparsi ai genitori; tra le reazioni passive invece si possono osservare una diminuzione delle attività di gioco, guardare eccessivamente la TV, dormire eccessivamente, diminuzione dell’appetito, della comunicazione e dell’interesse in generale.34 34 Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 50 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Il bambino che entra nuovamente in ospedale ha sicuramente acquisito una maggiore conoscenza degli spazi e ha acquisito una maggiore capacità di adattamento, ma non per questo si sente più sereno e meno ansioso di tornare a casa. L’ospedale infatti, non suscita immagini di gioia e non viene visto come un premio da ottenere. Tra gli elementi che possono creare maggior stress in un bambino o in un ragazzo ospedalizzato si possono individuare una scarsa familiarità con l’ambiente, la paura di essere separati dai genitori, l’età, il dolore delle cure fisiche e l’assenza di spazi su misura. Nei prossimi paragrafi verranno approfonditi questi cinque fattori di stress. 2.4.1 primo fattore: scarsa familiarità con l’ambiente Un bambino che entra in ospedale incontra numerosi elementi a lui estranei. Nella maggior parte dei casi incontrerà un ambiente molto grande, abitato da molte persone; ricco di suoni, rumori, odori e macchinari a lui sconosciuti. Il bambino si trova dibattuto tra l’intenso bisogno di esplorare e lo spavento, altrettanto intenso, che le novità ispirano. 51 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! In aggiunta dovrà essere sottoposto a routine e procedure totalmente nuove, come ad esempio la flebo, il prelievo per le analisi del sangue, eventuali medicazioni, ecc. La somma di tutti questi fattori sicuramente contrasta con la sicurezza e la tranquillità che l’ambiente domestico garantisce, dove tutte le stanze e tutti i visi che vi abitano sono conosciuti. Sicuramente uno dei metodi migliori per prevenire questa estraneità è fornire al bambino informazioni e offrirgli la possibilità di visitare e conoscere tutti gli spazi. Bisogna anche tenere conto però, che non tutti i bambini vogliono davvero conoscere troppe cose dell’ambiente circostante; per questo l’informazione deve essere un momento delicato, in cui tenere conto di quello che il bambino in quel momento vuole sentirsi dire e fino a che punto della conoscenza vuole arrivare. Altrimenti si rischia di bombardarli di informazioni inopportune che invece di dare sicurezza alimentano la confusione e il timore. 52 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 2.4.2 secondo fattore: paura di essere separati dai genitori Raramente al giorno d’oggi un bambino in ospedale viene lasciato solo. Nella maggior parte dei reparti pediatrici infatti, uno dei due genitori resta accanto al figlio per tutta la durata della degenza, rimanendo in ospedale anche la notte. Alcuni fattori però impediscono comunque al bambino di avere accanto a sé l’intero nucleo familiare: l’altro genitore che lavora, i fratelli che devono continuare le loro normali attività e che non possono sempre essere in ospedale, fratelli e parenti non sempre ammessi alle visite, ecc. Il bambino può avvertire queste mancanze e queste lontananze e soffrire per questo. L’essere solo rappresenta un forte rischio per il bambino, si sente meno sicuro e meno protetto e se questa solitudine è prolungata nel tempo, comporterà una limitazione delle potenzialità personali. Robertson e Bowlby, in due diverse ricerche sugli effetti della separazione dei bambini dai genitori (Robertson, 1958; Bowlby, 1976), individuano tre stadi diversi di risposte messe in atto da chi si sente abbandonato. Questi stadi sono la protesta, la rassegnazione e il distacco. In una prima fase di protesta il fanciullo piange, grida, scalcia mentre attende con impazienza l’arrivo del genitore. Se il genitore non ritorna il bambino entra in una seconda fase, quella della rassegnazione, caratterizzata dalla progressiva perdita della speranza. Il bambino appare 53 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! più calmo e piange solo a intervalli. La calma esteriore apparente fa pensare agli operatori che il bambino abbia superato bene lo stress della separazione dal genitore. Se il genitore si assenta ancora per molto tempo, il bambino può entrare nella fase del distacco, fase in cui il bambino appare rilassato e interessato a ciò che lo circonda, ma quando la persona cercata finalmente ritorna, il bambino reagisce con indifferenza e distacco. E’ questo un meccanismo di difesa che il fanciullo mette in atto per difendersi dal dolore della separazione. Bambini con storie di ospedalizzazione molto lunghe o che hanno cambiato numerosi ospedali, possono sviluppare un’indifferenza generale verso le persone, in quanto i numerosi distacchi che ha vissuto li portano a non rischiare più di attaccarsi ad una persona e vivere ancora una volta il trauma della separazione.35 35 Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 54 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 2.4.3 terzo fattore: l’età L’età è uno dei fattori che determina la capacità di reagire all’ospedalizzazione. I risultati di una ricerca condotta da H. Spiess e L.Hausam nel 1958 con l’intento di andare ad “osservare” da una parte il tempo necessario al bambino per adattarsi al nuovo ambiente e dall’altra di “osservare” le reazioni dei bambini immediatamente dopo il ricovero, indicano chiaramente che il tempo di adattamento dipende dall’età. Mano a mano che aumenta l’età, diminuisce il tempo per ambientarsi all’ospedale. Per un ricovero di breve durata, affermano i ricercatori, ci si deve aspettare un trauma psichico solo dopo il settimo mese. Per ogni fascia di età quindi vi sono reazioni diverse: Da zero a otto mesi: La letteratura meno recente indica questa fascia di età come una fascia in cui il bambino non subisce gli effetti negativi dell’ospedalizzazione, al di là dei fastidi fisici delle procedure e delle terapie. I bambini in questa fascia d’età non sono in grado di riconoscere i propri genitori in modo razionale, per questo non sembrano soffrire di lontananze prolungate della mamma o del papà, purchè vengano soddisfatti i loro bisogni primari. 55 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Studi e ricerche più recenti (1971) dimostrano invece che la vicinanza madre-bambino è fondamentale per sviluppare l’attaccamento che risulta poi essenziale per uno sviluppo di una sana relazione futura.36 Da nove mesi a tre anni: Questa fascia di età è sicuramente quella più vulnerabile e soggetta a reazioni negative. A questa età il bambino vive nel pieno della fase egocentrica, per questo sono portati a pensare di essere la causa di tutto e quindi anche della loro malattia. E’ infatti in questa fascia d’età che il bambino vive l’ospedalizzazione come una punizione, considerando le procedure mediche come azioni fatte volutamente contro di loro. E’ fondamentale spiegare al bambino l’esperienza in termini non punitivi, solo così si può pensare ad una collaborazione del fanciullo alla guarigione. Sono poco inclini a spiegazioni logiche, ed il tempo futuro per loro è un po’ vago, così come la dimensione spaziale; quando la mamma si allontana anche solo per pochi metri uscendo dalla visuale del bambino per lui “non c’è più”. 36 Cfr. M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 56 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! I bambini di due-tre anni possono essere più inclini ad accettare l’allontanamento dei genitori se sanno di poterli eventualmente rintracciare, magari chiamandoli con una telefonata oppure vedendo che hanno lasciato dei loro oggetti nella stanza del figlio, in modo che dovranno comunque tornare per riprenderli. Da quattro a undici anni: In questa fascia d’età il bambino inizia a comprendere logicamente il motivo della permanenza in ospedale e inizia a vivere la separazione con le figure significative senza troppa ansia, anche se in un’esperienza così forte c’è la possibilità di una regressione come meccanismo di difesa. Quindi può capitare che un bambino che aveva smesso di piangere quando la madre si allontanava, ora riprenda a fare i capricci. In questa fase è più sofferta la separazione da compagni e amici dai quali ora si sentono diversi, sia per l’aspetto fisico che per il ritmo di vita condotto, con il timore di essere dimenticati. E’ importante aiutare i bambini a gestire questa diversità, in modo che gli incontri con i compagni non diventino momenti vissuti con imbarazzo e senso di inferiorità. L’adulto vede spesso il bambino di dieci, undici anni ormai come “grande” con la premessa che un “grande” non possa avere paura di fare una puntura, di sostenere un’operazione e spesso questi timori rimangono insiti nel bambino che di fronte ad un adulto che crede nelle sue capacità non può mostrare. 57 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Adolescenti: E’ proprio questa la fascia di età più critica alla quale si presta poca attenzione nei nostri ospedali. Come abbiamo detto la malattia modifica i ritmi, modifica le relazioni, modifica i corpi. L’adolescente già di per sè vive una vera e propria transizione: non è più un bambino ma non è ancora adulto. Assiste a cambiamenti molto rapidi del proprio corpo e cerca di trovare i i suoi spazi all’interno della propria vita e del proprio ambiente. L’ospedale, con tutte le sue regole non facilita certo queste conquiste. Basta pensare che nella stessa camera ci sono altre persone, che c’è sempre qualcuno che ti dice cosa devi fare, quando e come lo devi fare e tutto questo sta sicuramente “troppo stretto” per un adolescente che ha bisogno di conquistare sicurezza e una propria identità, messa in crisi dalla malattia stessa. La loro avversione contro l’autorità è una forma di protezione, così come la chiusura in se stessi, in modo da proteggere le loro emozioni e sentimenti visto che già il corpo in ospedale viene “invaso”. 58 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 2.4.4 quarto fattore: il dolore delle cure fisiche Il dolore è soggettivo: per questo non è discutibile e tanto meno contestabile. Accogliere il dolore dell’altro senza giudicarlo e senza domandarsi se sta fingendo o sta esagerando è una grande forma di rispetto; è un modo per accettare la persona così come si presenta senza indagare e mettere in discussione il suo sentire. Molte volte al bambino vengono dette frasi del tipo: “dai non è niente” oppure “come fai a sentire male?” pensando così di incoraggiarlo e stimolarlo, ma in realtà lo stiamo facendo solo sentire in colpa. E questa è un’incomprensione tra i due mondi: quello del bambino che non è in grado di parlare un linguaggio dei “grandi”, e quello dell’adulto che troppo spesso sottovaluta e non comprende i messaggi del bambino. Dietro ad un dolore fisico c’è comunque una sofferenza mentale. Il corpo sente dolore e la mente soffre dolore. La mente “soffre” per riuscire a sopportare il dolore fisico. Ed inoltre c’è l’impotenza di dimostrare in modo oggettivo agli altri che abbiamo dolore fisico e nemmeno la sua intensità. I bambini sono molto spaventati dalle cure fisiche, soprattutto quando non viene spiegato loro il trattamento che stanno facendo sul proprio corpo. 59 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Come abbiamo detto il bambino trova delle spiegazioni fantastiche alle domande delle quali non riceve risposte; per questo non c’è da stupirsi se il bambino che deve fare l’esame del sangue si costruisca una storia sul possibile utilizzo del sangue che viene “rubato” loro. Talvolta il dolore provato dai bambini viene sottovalutato dal personale paramedico: a volte sottostimare il dolore del bambino è una strategia di difesa personale per non affrontare il tema del dolore con il fanciullo e non mettere in discussione il proprio modo di vivere e sopportare la sofferenza. Vedere un adulto che soffre è straziante, ma sentire un bambino che urla a squarciagola lo è ancora di più, in quanto lo si vede indifeso e il consolarlo implica una messa in gioco totale dell’operatore, una messa in gioco che richiede fatica e tempo. E’ una difficoltà dell’adulto incontrare la sofferenza del bambino: i bambini a volte sanno mostrare serenità e coraggio anche di fronte a pericoli gravi che comprendono perfettamente: “La sera prima dell’intervento di cardiochirurgia parlava serenamente dell’operazione che avrebbe subito l’indomani e al medico che cercava di tranquillizzarla, lei disse che era cosciente che il giorno dopo sarebbe potuta morire. A nulla valsero le parole del chirurgo che negava questo pericolo. La bambina si avvicinò al proprio comodino, estrasse un piccolo fazzoletto dicendo: <<Domani mettimi questo fazzoletto sotto il cuscino operatorio, me 60 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! lo ha dato la mia mamma, se domani morirò la sentirò vicina>>; e disse tutto questo con un po’ di tristezza ma senza una lacrima e senza mostrare paura.”37 2.4.5 quinto fattore: un ospedale non a misura di bambino “Quanti sforzi, quanti gesti maldestri, solo per arrampicarsi su una sedia, salire una scala, sedersi su una macchina; impossibile aprire una porta, guardare da una finestra, sganciare o sospendere un oggetto: è sempre troppo alto. In una folla nessuno fa attenzione a voi, non si vede niente, ci si fa spintonare. Decisamente essere piccoli non è facile né gradevole.”38 Nei nostri ospedali troppo spesso mancano spazi su misura per i bambini, ma anche per i genitori: mancano attrezzature per lo svago e la comunicazione, mancano arredamenti specifici pensati per il bambino, e manca spesso una figura di riferimento che sia a disposizione esclusivamente per il bambino e i genitori, una presenza che non si occupi del loro corpo, ma una presenza che li ascolti, che sia disponibile al 37 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p. 50 38 Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto, Milano, Luni Editrice, 1994. Scritto nel 1929, p.29 61 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! contatto, che non è quello fisico inteso come cure mediche. Una figura che si “prenda cura” anche dell’aspetto relazionale, emozionale del bambino e dei suoi genitori. Spesso ci sono armadi troppo alti per bambini troppo bassi e letti troppo bassi per adolescenti troppo alti e devono continuamente chiedere l’aiuto ad un adulto, aumentando così la loro dipendenza da queste persone. E’ vero che spesso manca lo spazio fisico per poter costruire salette dove giocare, ma è anche vero che spesso lo spazio non viene sfruttato come si potrebbe. A volte troviamo diverse stanze di medici e infermieri e ci accorgiamo che manca lo spazio per i bambini che non sia la camera da letto oppure che manca un luogo dove i genitori si possono “allontanare” con la mente o condividere con altri genitori l’esperienza del ricovero dei figli. 62 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 3 PREVENIRE LA PAURA DEL LUPO CATTIVO 3.1 La paura del lupo cattivo non ancora incontrato Utilizzo l’espressione LUPO CATTIVO come metafora dell’ospedale. Il lupo…. è un animale che nell’immaginario comune spaventa, è l’animale che uccide Cappuccetto Rosso, è l’animale che di notte dissemina terrore con il suo ululato, è un’animale imprevedibile, ….ma così come il lupo potrebbe diventare il migliore amico dell’uomo, anche l’ospedale potrebbe diventare un edificio meno inquietante, meno “lontano” dalle nostre vite, meno misterioso; solo conoscendolo potremmo migliorare l’immagine che abbiamo di esso. L’ospedale, così come molti altri eventi ci spaventano indipendentemente dal fatto se li abbiamo incontrati o meno, in quanto i significati a lui attribuiti sono per la maggior parte negativi. L’ospedale e la malattia diventano quindi per l’uomo una minaccia, alla quale però non si può scappare nel momento in cui si presenta. Non è possibile rinviare una malattia quando compare, c’è e bisogna fare i conti con essa. I bambini troppo spesso hanno idee distorte rispetto all’ospedale: conoscono solo gli aspetti negativi quali le punture, il dolore delle cure, 63 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! tralasciando gli aspetti positivi come la presenza di altri bambini, i muri colorati di alcuni ospedali, i disegni appesi alle pareti e soprattutto uno spazio dedicato a loro. Sono ancora troppo pochi però gli ospedali che si adattano alle esigenze del bambino e non bastano per poter cambiare l’immagine dei fanciulli rispetto al ricovero. Certamente la paura che si ha a priori di questa esperienza andrà a condizionare il vissuto dell’esperienza stessa qualora il bambino si trovi a doverla affrontare. Può capitare che anche in un ospedale attento ai bisogni del bambino questo atteggiamento non venga percepito dal fanciullo in quanto l’idea che aveva a priori dell’ ospedale era un’altra ed è difficile cambiarla. Diverse ricerche sulle paure dell’ospedale sono state condotte dal 1984 ad oggi: 64 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! AUTORE OGGETTO STRUMENT CAMPION PRINCIPALI E DATA O USATO E ED ETA’ DELLA RICERCA OGGETTI DI PAURA Broome Le paure dei Child 1984 bambini 84 bambini nei Medical Fear 1.Contagiare altri 2.Intervento confronti delle Scale Età chirurgico procedure 5-11 anni 3.Iniezione intervistati 4.Lontananza dalla comuni a scuola famiglia Hart Le paure dei Child 82 bambini 1.Lontananza dalla 1994 bambini Medical Fear ospedalizz famiglia ospedalizzati Scale 2.Iniezione mediche nei (29 item) più ati confronti (29 item) 3.Prolungata delle Età ospedalizzazione procedure 8-11 anni 4.Puntura dito 36 bambini 1.Iniezioni/flebo mediche e dell’ospedale Falorni Le paure dei Test 1984 bambini nei proiettivo: confronti storia dell’ospedale completare 2.intervento da Età 11 anni della Düss chirurgico 3.Morire 4.Dottori e infermieri Amy Le paure dei Children’s 1985 bambini confronti 291 nei Medical Fear bambini Questionnair 1.Amputazioni 2.Interventi chirurgici da svegli 65 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! dell’ospedale e e delle (61 item) Età 3.Che trovino 7-13 anni <<qualcosa che non procedure va>> mediche 4.Vedere i genitori preoccupati Altre Eventi ricerche possono (riferite generare da che Vari ragazzi o interventi chirurgici hart, paura durante 1994) Bambini e 1.Iniezioni l’ospedalizzaz Età 2.Dolore 4-15 anni 3.Lontanaza ione da famiglia/amici 4.Isolamento, obbligo di restare a letto Timmer Paure Intervista 16 bambini 1.Perdere il man preoperatorie controllo sulla 1983 dei Età realtà preadolescenti 10-12 anni 2.Ignoto 3.Iniezioni 4.Dolore Tabella 2 Sintesi dei risultati di alcune ricerche sulle paure dei bambini verso l’ospedale. Tratta da M. Capurso e M. Trappa, “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una ricerca basata su sistemi proiettivi”, in “Difficoltà di apprendimento” , Rivista Erickson, n.8/1, ottobre 2002 3.2 Cosa significa prevenire “….PREVENIRE… 66 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! …..provvedere in anticipo cercando di evitare qualcosa…. … avvertire, avvisare in precedenza…. …..precedere qualcuno arrivando prima….” Sono diversi i significati di questo termine, ma tutti richiamano un’azione ben precisa: arrivare prima di qualcosa o di qualcuno, che sia esso un evento o una persona. Quando si parla di prevenzione nella nostra società viene subito alla mente la profilassi medica intesa quindi come vaccinazioni, esami preventivi e tutto ciò che riguarda la prevenzione di malattie fisiche. Dobbiamo ricordare che esistono però anche altri tipi di interventi di prevenzione. Ad esempio la prevenzione del disagio giovanile, delle tossicodipendenze, della devianza, della prostituzione ecc. L’elemento che accomuna tutti i tipi di prevenzione è il fatto che vengono agite per evitare, ridurre o interrompere qualcosa che potrebbe nuocere, turbare e peggiorare la salute del soggetto. Ed è proprio con l’introduzione del termine di salute mentale che è possibile ipotizzare un intervento non solo sul corpo ma bensì anche una prevenzione di un malessere mentale, impedendone così l’insorgere, il perdurare e lo sviluppo. L’azione preventiva non deve essere lasciata al caso: deve prevedere una programmazione ben definita e deve essere svolta da persone qualificate; 67 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! non basta la buona volontà per fare prevenzione, occorrono competenze e professionalità. Per far sì che un intervento di prevenzione si concretizzi nel modo più favorevole per il soggetto è importante innanzitutto considerare l’individuo in modo globale, come un sistema inserito a sua volta in più sistemi, programmando attività di prevenzione che si espandano a più aree che coinvolgono il soggetto. Se pensiamo alla prevenzione del trauma ospedaliero si potrebbe ipotizzare un intervento nelle scuole, oppure attraverso i mass media, richiedendo la collaborazione della famiglia, dei medici, in modo che il bambino possa riscontrare le stesse informazioni in più ambiti della sua esistenza. 3.3 Diversi modi di fare prevenzione Vi sono sostanzialmente due modi di pensare la prevenzione. Il primo considera l’azione preventiva come un’azione volta a evitare la situazione traumatica, mentre il secondo si pone come obiettivo quello di preparare il soggetto ad affrontare l’evento. 68 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Se pensiamo alle misure preventive per la degenza ospedaliera ci accorgiamo che non è possibile pensare a una prevenzione del primo tipo, in quanto essendo la malattia e il ricovero eventi esistenziali imprevedibili non è possibile evitarli. Quello che è possibile fare è però prevenire l’impatto emotivo di fronte a questi eventi, fornendo ai soggetti interessati (genitori e bambini) diverse possibilità per affrontarli in modo consapevole e senza eccessiva ansia, mantenendo il normali ruoli di genitori e di figli. Qualsiasi ricovero, a qualsiasi età, nasconde in sé il pericolo di un potenziale trauma; la degenza può essere definita come un evento critico, inteso come un’improvvisa modifica qualitativa nel mondo della persona, a causa del quale viene sconvolto il suo equilibrio e il suo rapporto con l’ambiente. Una serie di eventi critici , se non affrontati e controllati, potrebbero portare ad una crisi esistenziale. Tuttavia però eventi critici non sono sinonimo di crisi esistenziali, le quali vengono definite situazioni di totale impotenza; gli eventi critici sono eventi che segnano l’inizio o lo svolgimento di un processo per affrontare una situazione. Solo quando tutti i tentativi si dimostrano inutili, l’evento critico può portare ad una crisi esistenziale. 69 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! “Da ciò deriva inconfutabilmente che lo stesso evento può essere assolutamente insignificante per una persona, distinguendosi appena dal complesso delle sue esperienze, mentre per un’altra rappresenta una “catastrofe personale” e può condurre ad una crisi esistenziale”39 L’obiettivo della prevenzione è quindi quello di prevenire la crisi esistenziale, fornendo agli individui le informazioni e le strategie per affrontare l’esperienza. Singrun-Heide Filipp parte dal presupposto che le misure preventive non debbano essere concentrate esclusivamente sugli eventi considerati scatenanti; bisognerebbe prendere in considerazione anche il punto di partenza personale di ogni individuo considerandolo nella sua totalità, valorizzando il suo ambiente e il rapporto che egli ha con esso. Per questo Filipp fa una distinzione tra prevenzione centrata sull’evento, quella centrata sulla persona e quella centrata sul contesto. Con il termine di prevenzione centrata sull’evento la Filipp intende una prevenzione che prepari adeguatamente il soggetto ad affrontare un evento critico partendo dalle caratteristiche e delle esigenze dello stesso. Questo tipo di prevenzione è ipotizzabile quando si tratta di eventi che si manifestano regolarmente o che sono molto probabili , basandosi sulla 39 Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, p.98 70 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! comunicazione di un comportamento di controllo anticipatorio dell’evento. Nel caso invece della prevenzione centrata sulla persona l’elemento principale non è tanto l’evento e la preparazione allo stesso, ma piuttosto si tratta di una prevenzione che si concentra sull’individuo, aiutandolo ad aumentare la capacità di controllo partendo da lui stesso. Vengono insegnate diverse strategie e modalità più o meno generalizzate per controllare il problema/evento, indipendentemente da se e quando esse verranno impiegate40. Non è possibile però pensare che esistano delle strategie valide per tutti i soggetti e per affrontare qualsiasi evento; sarà compito dell’individuo (soprattutto nell’adulto, il bambino deve essere aiutato a farlo) esportare gli apprendimenti al di fuori del “contesto preventivo” e applicarli alle situazioni di vita quotidiana. A differenza del primo, questo tipo di prevenzione “trascura” l’insieme delle esigenze poste dagli eventi cercando di scoprire e aumentare le capacità personali del soggetto. Per concludere, il terzo modo di intendere prevenzione è la prevenzione centrata sul contesto. 40 Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000, p.106 71 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Secondo alcune ricerche è dimostrato che la struttura e la qualità dell’ambiente in cui il soggetto vive hanno un ruolo importante nella capacità che questo ha di affrontare i momenti critici che gli si presentano. Partendo da questa premessa, è importante affermare che questo tipo di prevenzione prende notevolmente in considerazione l’ambiente sociale e lo considera una risorsa di base per controllare gli avvenimenti. Lo scopo quindi di questa prevenzione è quello di sviluppare le relazione con il contesto stimolando la qualità delle interazioni sociali, ma anche di offrire la possibilità di entrare in un nuovo contesto di rapporti (ad esempio il gruppo stesso che sta facendo prevenzione). Così come l’ambiente può essere di aiuto, bisogna anche considerare la possibilità che questo possa essere disfunzionale al soggetto. 3.4 Prevenire un emozione… E' possibile? La paura, così come tutte le emozioni, affiorano non per volontà nostra ma perché determinate da situazioni esterne ed interne che le fanno scatenare. Come abbiamo detto non è la gravità dell’evento che determina la comparsa della paura, ma è piuttosto l’idea che noi abbiamo di quella determinata situazione che ci mette a disagio e che immancabilmente condizionerà l’esperienza stessa nel momento in cui la si vivrà. 72 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Partendo da queste premesse non penso sia quindi possibile evitare l’insorgere di una paura. Soprattutto in una situazione di malattia e di ospedalizzazione, dove avviene una separazione da persone, luoghi e oggetti, mi sembrano più che ammissibili sentimenti di sconforto, timore dell’ignoto e destabilizzazione. Quello che è possibile fare credo sia prevenire l’eccesso, aiutando i soggetti a mantenere un rapporto stabile e consapevole con la realtà: trovare un significato anche all’interno dell’ospedalizzazione, prevenire un’eccessiva ansia, prevenire i disturbi del comportamento del bambino, andando a lavorare con tutti i sentimenti e le immagini che nella nostra mente rappresentano quell’evento: rappresentazioni che il più delle volte non corrispondono alla realtà oggettiva. Agire sull’immagine negativa che abbiamo costruito potrebbe essere una modalità per prevenire il trauma del ricovero e permettere al soggetto di vivere più serenamente l’esperienza. Ma come poter agire su un’immagine ormai definita e radicata nella nostra mente? Non è semplice modificare una rappresentazione mentale, ma credo che con l’aiuto di professionisti questo sia possibile. Innanzitutto credo sia fondamentale andare a “guardare da vicino” cosa pensiamo di quel determinato evento evidenziando gli aspetti che più ci spaventano e ci 73 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! disturbano. Sperimentare gli apprendimenti in diverse esperienze permettono di modificare positivamente l’idea dell’evento. Se con gli adulti questo può essere fatto attraverso i colloqui, con in bambini possono essere utilizzate fiabe e giochi che permettono di vivere in prima persona, attraverso l’identificazione nei personaggi e l’assunzione di un ruolo, l’esperienza traumatica. Molto spesso non si conosce ciò che avverrà in ospedale e l’ospedale acquisisce un aspetto ancor più misterioso contribuendo ad aumentare lo stress. Secondo alcune ricerche solo un quarto dei bambini che vengono ricoverati in ospedale sono preparati all’esperienza. Questa insufficiente preparazione del fanciullo da parte dei genitori dipende molto dall’atteggiamento che loro stessi hanno nei confronti della malattia, dell’ospedale e del ricovero.41 E’ importante forse, per ottenere un miglior risultato, fare un discorso di prevenzione centrata su tutti e tre i tipi illustrati da Filipp: pensare quindi all’evento, alle risorse e limiti dell’individuo senza dimenticarci però del contesto. 41 Cfr Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000 74 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 3.5 Chi non ha paura del lupo cattivo? Tutti temiamo, in modalità e quantità diverse, la malattia e l’ospedalizzazione per tutti i motivi finora sostenuti. Non sono solo i bambini a temere questo evento, ma anche gli adulti, solo che a volte faticano ad ammetterlo. Il risultato di una ricerca svolta nella repubblica federale di Germania dimostra che oltre il 50% degli adulti ammetteva di avere paura di un ricovero ospedaliero. Considerando il fatto che un individuo ottiene maggiore stima dalla società se non è pauroso allora possiamo ipotizzare che fossero molti di più. Ed è proprio partendo dal presupposto che la paura è un’emozione naturale, umana, spontanea e che per questo interessa anche l’adulto che possiamo incontrare il bambino in modo sincero, facendo in modo che non si senta “fuori luogo” per avere provato quelle sensazioni. Invece di opprimere le paure dovremmo aiutare i bambini a riconoscerle come parte della vita, come parti legittime di loro stessi e aiutarli a trovare in loro e nell’ambiente che li circonda le risposte e le capacità per far fronte alle difficoltà in modo sereno. Il vero timore del bambino non dipende dall’intensità della situazione, ma piuttosto dalla consapevolezza di essere lasciato solo ad affrontarla, 75 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! perché la sua figura di attaccamento ora non è disponibile o non è considerata all’altezza della situazione. Per il bambino è fondamentale avere di fronte un adulto sincero, che non si vergogni di provare questo sentimento. In fondo vivere una malattia o un ricovero non è un’esperienza piacevole; è un’esperienza che nessuno si augura ed è normale avvertire un senso di timore e di smarrimento al pensiero di doverla vivere forse un giorno. Perché fare un discorso di prevenzione? Su cosa si può agire per prevenire il trauma del ricovero? Fare prevenzione perché la ricerca odierna riporta dati che non possono essere ignorati: paure e traumi che con progetti di prevenzione potrebbero essere evitati. Per ipotizzare un progetto di prevenzione è fondamentale partire dalla considerazione dei risultati di alcune ricerche rispetto a quell’evento. Vale la pena citare una delle ricerche più importanti effettuate in Italia rispetto alle paure che l’ambiente ospedaliero suscita nel bambino. Questa ricerca, che ha coinvolto 1379 bambini distribuiti su tutto il territorio nazionale è stata condotta nel 2000/2001 dal Dott. M. Capurso42 e dalla 42 Pedagogista e responsabile del settore formazione dell’Associazione “Gioco e Studio in Ospedale”, Genova 76 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Dott.ssa Mariantonietta Trappa43 con il contributo di molti professionisti ed istituzioni. Lo scopo della ricerca era appunto quello di trovare delle risposte rispetto alla quantità e alla qualità delle paure che emergono pensando all’ospedale: verificare se esistono differenze dovute all’età, al sesso, allo stile di vita e cercare di capire, nell’immaginario infantile quali siano le persone e le azioni che potrebbero aiutare i bambini ad avere meno paura. Al bambino veniva somministrato dalle insegnanti nell’anno scolastico 2000/2001 un test proiettivo consistente in una storiella da completare rispondendo a tre domande riguardo: le cause della paura, la persona e l’azione che avrebbe potuto alleviare il timore. I risultati indicano che le paure dei bambini della scuola elementare si possono raggruppare in cinque elementi principali: 1) La paura di oggetti con l’ago. 2) La paura dell’intervento chirurgico. 3) La paura della morte (che però non viene indicata utilizzando la parola “morte” ma frasi del tipo: “Non ce l’ha fatta” oppure: “non sarebbe più guarito” ecc.). 4) La paura dei medici. Questa figura è ambigua perché è vista come una figura di aiuto ma allo stesso tempo paurosa. Ed effettivamente è un po’ il 43 Pedagogista e insegnante, Ospedale Meyer, Firenze 77 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! ruolo reale che assumono i medici: guariscono il bambino ma per guarirlo devono prescrivere iniezioni, somministrare pastiglie, effettuare interventi chirurgici. 5) La paura dell’abbandono e solitudine. Si teme quindi l’allontanamento delle persone significative: genitori, amici, compagni di classe. La figura di aiuto più indicata è ovviamente quella genitoriale, anche se vale la pena sottolineare che non viene indicata da un bambino su tre. Al secondo posto troviamo il medico e a seguire un amico, interno o esterno all’ospedale. I bambini di sette-otto anni sono maggiormente spaventati da invasioni fisiche, dolorose, quali le iniezioni, gli interventi; mentre bambini di dieciundici anni temono anche la separazione, l’abbandono, la solitudine. 3.6 Conoscere il lupo che ti spaventa: la preparazione al ricovero come misura preventiva “Uno dei motivi per cui i bambini (e anche i grandi) vedono l’ospedale come luogo di malattia e sofferenza è che ci entrano esclusivamente se si fanno male, se si ammalano, o per andarci a trovare qualcuno che vi è ricoverato. Tuttavia, per tante persone un ospedale è anche luogo di relazioni e di 78 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! lavoro. Poter conoscere meglio questi aspetti costituisce, a nostro avviso, un’importante attività per prevenire future paure e timori nei bambini.”44 Parto da una premessa che per me è fondamentale: la conoscenza limita la paura. Ritengo infatti che conoscere ciò che ci spaventa è sicuramente un modo per familiarizzare con quell’evento e diminuire la tensione che il pensiero di quella determinata esperienza ci provoca. Per cui conoscere e rielaborare le proprie paure rispetto ad un evento permette di trovare una dimensione in cui quello che prima ci spaventava molto, ora spaventa meno perché già conosciuto ed esplorato. Ricerche dimostrano che il bambino che viene preparato al ricovero, permettendogli di conoscere l’ambiente a priori, manifesta meno stranezze comportamentali sia durante che dopo la degenza. Bisogna però tenere conto anche dell’imprevedibilità a volte del ricovero, al quale non può precedere una spiegazione e una conoscenza. Proprio per questo motivo non si può ipotizzare un intervento di prevenzione solo nei casi in cui si è a conoscenza di un futuro ricovero, perché i bambini e i genitori interessati sarebbero solo una minoranza. 44 M. Capurso e M. Trappa, “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una ricerca basata su sistemi proiettivi”, in “Difficoltà di apprendimento” , Rivista Erickson, n.8/1, ottobre 2002 79 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Si deve parlare allora di due tipi di preparazione al ricovero: una GENERALE che comprende la conoscenza dell’ospedale indipendentemente dal ricovero o meno, e una MIRATA quando si è a conoscenza della futura ospedalizzazione. Per avere un modello di prevenzione globale si dovrebbero pensare entrambe.45 La preparazione GENERALE, da attuare su diversi livelli, dovrebbe fornire al bambino e al nucleo familiare una conoscenza tale per cui un eventuale ricovero risulti meno pesante e traumatico. La preparazione generale deve essere agita con i bambini ma anche con i genitori, che soprattutto in età prescolare sono un importantissimo riferimento per il fanciullo. Come abbiamo detto nei capitoli precedenti, i genitori hanno un’influenza notevole sul senso di sicurezza del bambino; per questo comunicare informazioni, presentare eventuali letture per adulti e per i bambini, visitare l’ospedale, comunicare strategie e offrire una consulenza ai genitori è un modo per aiutare indirettamente anche il loro bambino. Possono essere organizzate serate pubbliche, colloqui individuali, telefonate. 45 Cfr Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000 80 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! L’informazione e la visita guidata permette al genitore di familiarizzare con l’ambiente ospedaliero e con la malattia riconoscendo i propri limiti e i propri vissuti attraverso l’esperienza diretta. In questo modo i genitori si sentiranno in grado di parlare con il proprio figlio di malattia e sofferenza restando così un supporto stabile per il bambino. Inoltre i genitori devono essere informati sul significato di un ricovero ospedaliero. Oltre a temi quale la separazione, la mancanza della nozione del tempo nel bambino, le interpretazioni fantastiche e le paure tipiche dei fanciulli, devono essere date anche informazioni su quella che è l’organizzazione del reparto. Devono essere informati sui diritti del paziente e dei genitori, sulla possibilità di stare sempre accanto al figlio, sugli orari di visita, degli spazi che hanno a disposizione, e il regolamento interno. Non può mancare anche il confronto con il metodo educativo. I genitori vanno messi in guardia per quanto riguarda i danni che potrebbero causare al bambino utilizzando il ricovero ospedaliero e la malattia come una punizione. Inoltre devono essere informati su ciò che potrebbe comportare l’attuazione di un comportamento troppo permissivo o troppo autorevole in una degenza prolungata. La preparazione generale al ricovero ha lo scopo di informare il bambino su cosa deve attendersi dall’esperienza per fare in modo che si abitui alla situazione che troverà. 81 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Aiutare il bambino a non nascondere i suoi timori e le sua ansie, aiutarlo a riconoscerli e a comunicarli ad una persona significativa. Per i bambini più piccoli si può ricorrere all’utilizzo del gioco o della fiaba, di un filmato per avvicinare il bambino all’esperienza; nei casi di bambini più grandi anche i colloqui possono essere efficienti. Ricerche dimostrano che i giochi di ruolo sono molto efficaci in quanto permettono al bambino di sperimentare con mano i propri sentimenti venendo maggiormente coinvolto nell’elaborazione e nel superamento di alcune paure. Gli oggetti che incontrerà in ospedale possono avere un aspetto minaccioso per il fanciullo: per questo motivo devono essere spiegati loro, in modo che quando li vedrà potrà riconoscerli e sentirsi più sicuro proprio perché ne conosce già l’utilizzo. Un’ulteriore forma di preparazione è la visita guidata in ospedale: l’incontro con i bambini degenti che raccontano la loro esperienza e mostrano loro gli spazi; tutto questo monitorato da una figura professionale come ad esempio l’educatore professionale, in modo da controllare gli eventi e facilitare l’espressione dei timori, domande, curiosità. Interessante sarebbe coinvolgere anche il genitore in questa esperienza in modo che il bambino possa condividere l’esperienza con una persona significativa offrendogli la possibilità di parlare ed elaborare ciò che ha visto e provato. Spesso i dubbi e le domande che generano maggiore paura vengono verbalizzati solo dopo qualche giorno e per il 82 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! bambino poterne parlare a qualcuno che abbia condiviso la stessa esperienza è un grande vantaggio. Il genitore è a conoscenza di quello che sta dicendo il bambino e quindi può rassicurarlo e fornire spiegazioni più appropriate in base all’esperienza vissuta insieme. E’ possibile parlare di una prevenzione MIRATA quando c’è l’imminenza di un ricovero. Anche questa preparazione deve essere rivolta non solo al bambino ma anche ai genitori. Gli obiettivi dovrebbero essere quelli innanzitutto di ridurre le paure del bambino attraverso l’informazione e la sperimentazione dei propri vissuti, di mostrare al bambino le procedure mediche a cui verrà sottoposto e di garantire un’adeguata elaborazione durante e dopo la degenza. E’ importante informare nel modo più completo il bambino con parole a lui comprensibili, spiegargli quello che gli sta accadendo, cosa dovranno fargli e i diritti e doveri che avrà all’interno dell’ospedale. Bisogna tenere conto del suo grado di maturazione e della sua capacità di comprensione. Soprattutto con i bambini più piccoli la spiegazione verbale non è sufficiente: si possono utilizzare strumenti come il gioco di ruolo o la lettura di una fiaba che permettono al bambino di viverle in prima persona. Una verità fa meno male di una bugia: il bambino non ha bisogno di false rappresentazioni della realtà per superare i suoi timori, anche perché 83 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! prima o poi verrà a scoprire la realtà. Il bambino ha bisogno di chiarezza e trasparenza: non esistono quindi “bugie necessarie” o “mezze verità”. Se il bambino viene ingannato anche una sola volta potrebbe perdere la fiducia nei genitori e nel personale medico, ribellandosi a qualsiasi trattamento, anche indolore. Non avrebbe senso quindi presentare come non dolorosa una procedura medica invasiva; si correrebbe il rischio che la volta successiva, davanti ad una visita assolutamente indolore il bambino sia terrorizzato e si ribellerà ( giustamente) al trattamento. “Ci volle un po’ prima che i genitori disperati si convincessero che la bambina doveva sapere che dopo l’intervento avrebbe avuto una gamba sola. Undici mesi più tardi Ruth tornò da noi per un controllo al moncone. Andò tutto liscio. Mentre aspettava la bambina, la madre venne da me e mi disse: “Sa, sono così contenta che l’anno scorso l’abbiamo detto prima a Ruth dell’amputazione, come avevate proposto. Sono sicura che non sarei più riuscita a portarla in ospedale. Infatti mi ha chiesto: “Mi taglieranno anche l’altra gamba?”, e quando le ho risposto: “No, ti controlleranno solo il moncone” lei mi ha creduto”46 Il momento dell’informazione deve essere scelto in modo che il bambino abbia il tempo e la possibilità di prepararsi gradualmente all’evento, di 46 Plank in “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Doris Caviezel-Hidber , Milano, Franco Angeli, 2000, p.120 84 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! rielaborare le informazioni e di porre domande ed eliminare idee sbagliate. In molti ospedali statunitensi vengono proposte diverse attività di conoscenza:47 TOUR PRE-OPERAZIONE CHIRURGICA Consiste in una visita guidata che dà la possibilità al bambino di vedere spazi, persone e oggetti qualche giorno prima dell’intervento. Con l’aiuto di un child life specislist (psicopedagogista opportunamente preparato a svolgere questo compito) il bambino può giocare con il materiale medico e aumentare il livello di <<padronanza>> sugli eventi. FEEDBACK COGNITIVO E’ la spiegazione abbastanza dettagliata di ciò che avviene prima e durante una procedura medica, in modo da permettere all’adolescente di mantenere un certo grado di controllo sulla realtà senza subirla passivamente. Questa modalità permette di costruire una base di fiducia e collaborazione tra il medico e il paziente. 47 Tratto da “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una ricerca basata su sistemi proiettivi”, a cura di M. Capurso e M. Trappa in “Difficoltà di apprendimento” , Rivista Erickson, n.8/1, ottobre 2002 85 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Ovviamente non tutti i pazienti, come abbiamo già detto, vogliono essere informati allo stesso modo: c’è chi preferisce non sapere cosa sta accadendo. SPIEGAZIONE DELLE PROCEDURE AI BAMBINI E IL <<GIOCO DEL DOTTORE>> Consiste nella spiegazione delle procedure al bambino e nell’offrirgli successivamente la possibilità di mettere in pratica ciò che ha appreso su pupazzi e oggetti, aiutando così il bambino e i genitori a far emergere a livello cosciente i sentimenti di paura e riuscire ad elaborarli. Liberare quindi la mente del bambino da condizionamenti e paure significa fornirgli la possibilità di valutare oggettivamente l’esperienza. 3.7 Un approccio interdisciplinare alla prevenzione Per prevenire il trauma del ricovero o comunque ridurre le conseguenze negative dell’ospedalizzazione è opportuno coinvolgere tutte le figure che si occupano direttamente del bambino fuori e dentro l’ospedale. Infatti come ho detto nel paragrafo precedente, anche genitori, medici, infermieri e istituzioni dovrebbero essere coinvolti. E’ necessaria innanzitutto una collaborazione con medici di base e pediatri che si occupano del bambino fin dai primi giorni di vita. 86 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! E’ importante che un progetto di prevenzione sia coerente e che preveda quindi incontri che informino i medici su cosa significhi per un bambino vivere la malattia e la degenza in ospedale, in modo da poter aiutare bambini e genitori a prepararsi all’evento tenendo conto anche dello stato emozionale del piccolo paziente. Non è da molto infatti che si presta molta attenzione anche alla psicologia evolutiva nel percorso di formazione dei medici. Un secondo livello, ma non meno importante di collaborazione è con il personale sanitario: medici e infermieri che hanno a che fare direttamente con il bambino all’interno del reparto di pediatria. Anch’essi hanno una preparazione prevalentemente scientifica e trattano solo marginalmente la psicologia; per questo un progetto di prevenzione può essere davvero efficace se si occupa anche della formazione del personale medicoinfermieristico. Organizzare quindi incontri su temi quali l’importanza del coinvolgimento del bambino alla guarigione, l’importanza della verità e la delusione della bugia, il significato del gioco, della presenza delle figure genitoriali ecc. Per una presa in carico globale dell’individuo è importante che ci sia collaborazione e non concorrenza; l’obiettivo non è quello di far prevalere l’aspetto pedagogico e psicologico del bambino in un contesto sanitario (anche perché non possiamo dimenticare che il mandato istituzionale è 87 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! quello di garantire le cure fisiche), ma si tratta di trovare una collaborazione che possa aiutare il bambino e i suoi genitori a vivere più serenamente l’esperienza senza sentirsi “spezzato”. Aiutare il personale medico a cogliere l’importanza di una comunicazione sincera, aperta, di una comunicazione che vada incontro al paziente con termini a lui comprensibili; una comunicazione che possa generare fiducia, che possa diventare significativa per entrambi in modo da creare un rapporto positivo. Ovviamente fornire una supervisione al personale medico-sanitario dà la possibilità di elaborare emozioni, di rivedere situazioni particolari e le difficoltà nei rapporti interpersonali dei membri dell’équipe, che spesso creano tensioni anche nel rapporto con le famiglie. E’ importante lavorare con le istituzioni: aiutare l’organizzazione ospedaliera a prestare maggior attenzione alle esigenze e agli interessi dei bambini e dei loro genitori; organizzare diversamente spazi e orari, coinvolgere maggiormente i genitori nella cura del bambino, rivalutare l’impostazione architettonica dei reparti di pediatria. I bambini passano la maggior parte del loro tempo a scuola ed inoltre la scuola è per eccellenza il luogo degli apprendimenti: per questo risulta indispensabile fare un discorso di prevenzione che richieda l’intervento di altri professionisti del territorio, come ad esempio educatori professionali, 88 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! medici e infermieri. In questo modo si può garantire una prevenzione generale agita su bambini “sani”. 4 L'EDUCATORE personaggio PROFESSIONALE: ALL'INTERNO DI un QUESTA FAVOLA 4.1 Perché l’educatore? “L’educatore professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitati, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana, cura il positivo reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà”.48 Tutti parlano di educazione: l’educazione non è un tema riservato solo agli esperti. Di educazione parlano e se ne occupano i genitori, gli insegnanti, i giornalisti, i mass-media. Chiunque può permettersi di parlare di educazione, anche senza avere una preparazione specifica. 48 Decreto Ministeriale n.520 dell’8 ottobre 1998 89 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Se a fianco al termine di educazione aggiungessimo la parola “professionale”, ci accorgeremmo subito che è cosa ben diversa da quella naturale, agibile da tutti. E così, come in tutte le professioni c’è la necessità di un operatore formato che si occupi di quel determinato oggetto. Che il rapporto sia connotato in senso professionale si intende che uno dei due attori, l’operatore, abbia ben chiaro che il suo compito è la promozione di una relazione che produca cambiamento, trasformazione; che abbia come scopo aiutare la persona a “crescere”, cioè a trovare delle risposte, delle soluzioni ai propri problemi e a fare di un’esperienza apparentemente solo negativa un’esperienza di crescita individuale e personale.49 “Per professionalità educativa si intende l’intenzione e la capacità di agire educativamente secondo orientamenti e principi che appartengono alla scienza dell’educazione (pedagogia).”50 L’educatore professionale è l’operatore pedagogico che si occupa di istaurare consapevolmente e responsabilmente un relazione educativa; una relazione che implichi un rapporto di fiducia e di reciprocità, che 49 Cfr. S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989 50 P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.304 90 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! permetta all’educando di vedere nell’educatore una persona significativa e che permetta all’educatore di trasmettere il sapere grazie ad un rapporto sincero ed empatico. L’educando deve sentirsi circondato da un clima di stima e di rispetto e rispettato nei tempi; deve avere al suo fianco una persona che non sia lì per giudicare tutti i suoi comportamenti, ma che sia in grado di accettarli così come si presentano, senza pensare se per lui siano giusti o sbagliati. Fare l’educatore non significa educare secondo i propri principi, secondo i propri schemi interpretativi e secondo i propri modelli educativi di riferimento. Educare in senso professionale significa aprire delle possibilità: mostrare all’utente delle alternative e aiutarlo a capire quale per lui è la più adatta, seguirlo nella sperimentazione, aiutarlo ad avere consapevolezza degli apprendimenti, supportandolo nei momenti di sconforto. L’educatore non può non tenere conto dell’esperienza passata dell’educando, ma non può nemmeno fermarsi a questa. L’intervento dell’educatore si gioca nel qui ed ora, nella quotidianità; ed è proprio l’esperienza condivisa che diventa oggetto di tematizzazione. Vuol dire creare le condizioni in cui la relazione possa essere un laboratorio esperenziale entro il quale l’educando possa sperimentare le proprie capacità e i propri limiti in una situazione protetta per poi esportare gli apprendimenti ad altri contesti della propria vita. Insegnare 91 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! ad un bambino ad accettare la sconfitta in un gioco di squadra non significa solamente insegnargli che nel gioco si può anche perdere, ma significa dargli la possibilità di sperimentare in prima persona il vissuto di sconfitta attribuendone un senso per poi generalizzare gli apprendimenti ad altre esperienze di vita. L’educatore deve farsi carico di un compito importantissimo che spesso l’educando in una situazione di sofferenza e di dolore dimentica: l’educatore deve essere portatore di un messaggio di speranza. Deve aiutare il soggetto a vedere in positivo, pur affrontando momenti negativi; deve aprire nuovi orizzonti, deve avere la capacità di <<lanciare>> l’educando in esperienze sempre nuove e deve avere la capacità di cogliere tutti gli elementi in ciascuna di essa. Spirito di iniziativa, creatività, entusiasmo per la scoperta sono tutte capacità che l’educatore professionale deve possedere; deve possedere quella che P. Bertolini chiama “tensione esplorativa “perché l’operatore pedagogico non può accontentarsi del già sperimentato e del già vissuto. Deve avere sempre quella voglia di scoprire, sempre teso verso nuove conquiste e verso il superamento del già conquistato e trasmettere così 92 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! all’educando la capacità di andare oltre, aiutarlo ad acquisire quella capacità operativa in grado di dilatare sempre il campo esperenziale.51 L’educatore deve essere in grado di creare una certa distanza pedagogica, che non vuol dire freddezza e distacco, ma significa permettere all’educando di sperimentarsi liberamente affrontando in prima persona le sue difficoltà. Ovviamente con l’aiuto dell’educatore, che non si sostituisce ma lo accompagna. L’educatore deve avere una certa padronanza di sé per riuscire a controllare certi stati psicologici, come l’irritazione, l’eccitazione che possono far perdere il necessario equilibrio e avere la capacità di mantenersi sereni e fiduciosi anche in situazioni di difficoltà e di sofferenza. Significa anche sapersi difendere dalla delusione, dalla sconfitta, bisogna saperla neutralizzare. “Il fallimento della nostra opera educativa in un caso particolare non può significare il fallimento del nostro metodo e delle nostre prospettive pedagogiche, ci si deve peraltro convincere che in nessun caso è giusto 51 Cfr. , “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988 93 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! pretendere che il risultato dell’azione educativa coincida perfettamente con il fine che ci si era posti in partenza.”52 La competenza pedagogica si muove secondo alcune prospettive che danno senso e intenzionalità all’agire. Non si tratta quindi di “dare una mano” in modo spontaneo, impulsivo e naturale. Qualsiasi azione agita all’interno di un rapporto educativo professionale non può essere lasciata al caso, ma deve essere supportata da un pensiero. E’ proprio questo pensiero a priori che legittima e dà senso all’azione stessa. Sta qui la capacità dell’educatore di programmare l’intervento educativo, che non significa seguire ossessivamente tutto quello stabilito a priori ma significa non lasciare che l’azione educativa venga abbandonata ai condizionamenti esterni. Caratteristica fondamentale della programmazione è la flessibilità, cioè la capacità di adattarsi e adeguarsi a situazioni e condizioni che non sono prevedibili e che cambiano continuamente. Un progetto rigido, statico, che non tiene conto dell’imprevisto e delle molteplici variabili è un progetto destinato a fallire. 52 P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.321 94 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Progettare infatti non significa prevedere tutto quello che accadrà, altrimenti vorrebbe dire che gli altri stiano zitti o che dicano esattamente quello che vogliamo sentirci dire. “Pro-gettare significa ‘lanciare qualcosa dinanzi a sé’, non tirare verso di sé ciò che crediamo avere davanti…. Prendere oggetti che abbiamo in mano adesso (un’idea, un appuntamento, un libro), lanciarli nel prossimo futuro e stare poi a vedere cosa accade.”53 L’educatore è chiamato anche a mettere in atto la cosiddetta “progettualità leggera”, così nominata da Igor Salomone. Si tratta di una progettualità che l’educatore è chiamato a pensare nel “qui ed ora” per rendere intenzionale il suo agire. Con il termine “leggera” non si intende superficiale, anzi, forse è qualcosa di più complesso perché richiede all’educatore di progettare proprio nel momento in cui sta agendo. Il prodotto dell’educatore non è un prodotto tangibile, visibile, materiale come lo può essere qualsiasi lavoro di produzione; l’educatore produce sapere, crescita, cambiamento, possibilità, alternative, speranza, senso, elementi che non sempre sono così visibili agli occhi di coloro che sono esterni alla relazione. 53 I.Salomone “Bisogni di governo”, p. 193 95 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! L’esperienza educativa si realizza in una serie di atti comunicativi: per questo l’educatore deve sentirsi un vero e proprio tecnico della comunicazione. Deve possedere la capacità di dialogare con l’educando, sapendo innanzitutto ascoltare con autentico interesse54. Ascoltare non in senso puramente meccanico, ma capire e comprendere profondamente il vissuto dell’educando, senza distorcerlo con i nostri modelli interpretativi; mettersi nei suoi panni al punto tale da percepire davvero quello che l’altro sta provando in quella determinata circostanza, pur avendo la consapevolezza che è lui e non noi che lo stiamo vivendo (posizione di empatia). Quando si parla di comunicazione non si intende solo quella verbale; per un educatore è indispensabile prestare attenzione a tutti quei gesti, sguardi e respiri che sono portatori di messaggi, di richieste implicite che l’educatore deve saper cogliere per poter aiutare l’educando ad esplicitarli. Così come l’educando, anche l’educatore è portatore di messaggi non verbali. E’ opportuno che acquisisca una capacità di controllo del proprio corpo per non inviare messaggi contraddittori e dunque pedagogicamente compromessi. 54 P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.311 96 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! “ La comunicazione non consiste nel trasportare oggetti dal dentro al fuori; quanto entrare in un rapporto originale e creativo che consente, insieme all’altro, di produrre un oggetto, che prima non esisteva….”55 Il linguaggio intenzionale è un linguaggio dinamico, non statico; non si tratta di un linguaggio di verità e di assolutismi, ma si tratta piuttosto di un linguaggio aperto alla confutazione, che stimola la mente di chi parla e di chi ascolta, capace di creare qualcosa di nuovo. L’educatore diventa un modello per l’educando, ma non un modello da seguire rigidamente e perfettamente; ma bensì un esempio che si presenti onestamente e autenticamente, senza nascondere le sue difficoltà e senza porsi come essere perfetto, ma bensì come un individuo con tutte le sue caratteristiche e imperfezioni che qualsiasi essere umano possiede. Solo potendo cogliere nell’educatore queste imperfezioni e potersi confrontare con esse l’educando può sentirsi all’altezza di stare all’interno del rapporto educativo senza sentirsi inferiore. L’educatore non è detentore del sapere assoluto e tantomento deve porsi il problema di dover dare sempre la “risposta giusta” (a volte non è nemmeno necessario dare una risposta immediata). 55 “A.Canevaro. “I bambini che si perdono nel bosco”. Identità e linguaggi nell’infanzia,La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976, p.60 97 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Il mestiere dell’educatore quindi richiede una formazione specifica accurata, ma non solo: è necessario allo stesso tempo lo svolgimento di un percorso di perfezionamento personale mai esaurito e mai chiuso, ma bensì sempre aperto a nuovi apprendimenti sia da un punto di vista intellettuale, tecnico ma anche da quello spirituale. Da qui la necessità per l’educatore di una formazione continua. Possiamo dedurre quindi che il mestiere dell’educatore è un mestiere di estrema delicatezza e non è quindi possibile, e sarebbe assurdo considerarlo alla stregua di un qualsiasi mestiere non-qualificato56. Da qui l’importanza della scelta dell’educatore professionale quale attore di un intervento di prevenzione del trauma del ricovero, in quanto possiede tutte le competenze necessarie. L’educatore professionale dovrebbe intervenire in due contesti differenti (che verranno approfonditi nei prossimi capitoli) che sono: la scuola, per un discorso di prevenzione che non dipende da un sicuro ricovero, e il secondo è all’interno dell’ospedale per aiutare il bambino e la sua famiglia a vivere più serenamente l’esperienza dell’ospedalizzazione e a fare di quest’esperienza apparentemente negativa un’esperienza di apprendimento personale. 56 P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.323 98 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! “Si fa accenno all’educazione in quanto prendere per mano un bambino ricoverato ed aiutarlo a capire cosa gli stia intorno può essere ritenuto un compito esclusivamente formativo.”57 Una figura professionale quindi che abbia come scopo un’intenzionalità educativa, che ripulisca la relazione da tutti gli aspetti negativi per riuscire a fare emergere quelli positivi e gli apprendimenti che dall’esperienza stessa derivano.58 4.2 L'EP a confronto con il proprio modo di vivere la malattia e il dolore “L’educatore si serve di uno strumento assai complicato nell’incontro con l’altro: della propria persona che diventa appunto una complessità ed un processo di linguaggio. E sulla propria persona risente del logorio delle attese tradite, forse perché false in partenza.”59 57 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.146 58 Cfr. S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989 59 “A.Canevaro. “I bambini che si perdono nel bosco”. Identità e linguaggi nell’infanzia,La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976, p.53-54 99 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Qualsiasi operatore che si trovi a lavorare in una situazione di malattia e di sofferenza è costretto inevitabilmente a mettersi in gioco personalmente e a porsi alcuni interrogativi rispetto all’esperienza che insieme all’utente/paziente si trova ad affrontare. Cercare infatti di capire cosa significhi per l’operatore vivere una situazione di malattia e di dipendenza da altre persone è un passo importante per riuscire a porsi in modo sincero e autentico con l’utente. Le difficoltà ad affrontare le emozioni “forti” vengono percepite dall’utente, il quale, accorgendosi di far soffrire l’operatore probabilmente cercherà di mascherare, nascondere questi sentimenti e di esibirne altri che potrebbero essere più graditi dall’operatore. Il confronto continuo con situazioni di sofferenza sollecitano inevitabilmente l’equilibrio interiore, le sicurezze emotive ed anche i quadri valoriali dell’educatore stesso. Il dolore e le difficoltà dell’altro a volte fanno riaffiorare esperienze di sofferenza vissute in prima persona, ed è così che si moltiplicano i timori, le ansie per sé e per i propri cari. Dall’altra parte vi è anche un profondo disagio che si avverte in situazioni di impossibilità o incapacità di alleviare o risolvere i problemi dell’utente. In un rapporto professionale, l’educatore non può permettersi di farsi travolgere da queste sensazioni. 100 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! E’ necessario innanzitutto riconoscerle per non confonderle con quelle dell’utente e riuscire a controllarle, a metterle da parte, a non riversarle nella relazione educativa professionale. Riuscire ad esplicitare a noi stessi e all’educando (a seconda del suo grado di maturazione) che sono nostre sensazioni e non dell’utente. La capacità di sopportare questo “peso” richiede probabilmente delle doti personali, ma anche una formazione specifica e tanta pratica. Raggiungere questa “solidità” interiore non significa diventare indifferenti ai problemi dell’altro, ma significa mettere un confine, un limite che non va oltrepassato, un confine che tutela l’educatore ma anche l’educando. Per questo un educatore che lavora in ospedale è costretto a porsi alcuni interrogativi a cui non sempre segue una risposta immediata e statica. E’ necessario un confronto con il proprio modo di vivere la malattia prima di incontrare quello dell’altro; è importante capire qual è il proprio modo di vivere i cambiamenti prima di accompagnare l’altro ad accettarli; è fondamentale sentire cosa significhi in prima persona dipendere da qualcuno in uno stato di malattia e delegare la cura ad altri prima di capire cosa significhi tutto questo per l’educando. Questi sono tutti quesiti che l’educatore si deve porre per poter incontrare il malato in modo sincero, in modo equilibrato, per non confondere i suoi bisogni e il suo modo di vivere le esperienze con quelli dell’utente. 101 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! E’ riconoscendo il proprio modo di interpretare e vivere quella determinata situazione che permette all’educatore di sospendere la propria visione per mettersi nei panni dell’altro ed arrivare ad un sentire comune che permetta all’utente di sentirsi compreso e accettato per quello che è e all’educatore si sentirsi vicino all’utente. 4.3 L’adulto incontra il bambino “Il mondo del bambino e del ragazzo ha le sue caratteristiche e la sua struttura come qualsiasi mondo di cultura e come qualsiasi civiltà, forse più accentuate ancora. Così, chi voglia entrarvi per assumervi un ruolo educativo deve spogliarsi delle proprie convinzioni e del proprio modo di pensare, se non vuole sentirsi estraneo ed impotente”.60 Anche il bambino, seppur piccolo ha una sua storia e per questo è portatore di sapere, di esperienze e di ricordi. Bisogna considerare il bambino come essere complesso considerandolo come un sistema in quanto è il prodotto di determinazioni biologiche, psicologiche, sociali e culturali, ma anche come un elemento di più 60 P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988 , p. 127 102 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! sistemi, infatti è nello stesso momento un bambino, è figlio, è amico, è compagno. Va considerato come essere unico e in questo va assolutamente rispettato. Non è possibile quindi scomporlo ma deve essere considerato e preso in carico in modo globale, cercando di agire il più possibile anche sui sistemi circostanti. L’adulto che vuole incontrare il bambino lo deve fare spogliandosi dei suoi schemi interpretativi e del suo pensiero maturo; l’adulto che irride timori del bambino sollecitandolo ad essere razionale e ragionevole dimentica che ragionevolezza e razionalità sono frutto di passaggi e conquiste che richiedono fatica. Se è vero che gli adulti sono “bambini grandi”, non è altrettanto vero che i bambini sono “piccoli adulti”.61 E’ vero che il bambino ha bisogno di essere accompagnato nelle scoperte, che deve essere tutelato più di un adulto in quanto è più indifeso ma è anche vero che crescere e scoprire deve essere un’attività agita in prima persona dal bambino stesso, senza evitargli i pericoli, necessari per la sua crescita e senza essere oppressivi. 61 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.182 103 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! L’adulto troppo spesso sottovaluta le capacità del bambino perché non lo ritiene all’altezza di fare determinate azioni e allora si sostituisce completamente a lui. Le attese dell’adulto permettono una crescita del fanciullo, ma quando queste attese diventano pretese impediscono al bambino di diventare altro diverso da noi. Questo non è possibile in una relazione educativa professionale, dove invece l’educando deve scegliere lui stesso cosa diventare. “Il bambino ha un avvenire, ma ha anche un passato fatto di alcuni avvenimenti significativi, di ricordi, di meditazioni profonde e solitarie. Come noi, ricorda e dimentica, rispetta e disprezza, ragiona bene e si sbaglia quando non sa. Saggio, concede la fiducia o la rifiuta a seconda dei casi.”62 A volte l’adulto si mostra indifferente a importanti scoperte proprio perché per il mondo adulto sono banalità; sono apprendimenti ormai acquisiti e per questo si fatica a riconoscerne la valenza per il bambino che le vive per la prima volta. I bambini però meritano il nostro rispetto per le loro emozioni, per le loro fatiche, per i loro insuccessi, anche se a noi sembrano delle banalità. 62 Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto, Milano, Luni Editrice, 1994. Scritto nel 1929, p.56 104 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Spesso l’adulto è sopraffatto dalla paura di sbagliare, dalla paura di non riuscire a dare la risposta giusta, di non riuscire a fornire la giusta soluzione. Questo accade quando sussiste un’idea di educazione conformista intesa quindi come buona o cattiva educazione. L’educatore è un modello per il fanciullo: è colui che consente e stimola l’identificazione. Non deve avere timore di mostrarsi con i suoi errori e le sue imperfezioni e non deve temere quando l’educando gli fa notare le sue debolezze. L’essere umano non è un essere perfetto. L’educatore non deve cercare di imporre acriticamente i suoi modelli comportamentali e pretendere che vengano imitati tali e quali. E’ necessario partire da una buona relazione per costruire un progetto d’intervento che veda il bambino protagonista dell’azione, e non solo come oggetto da tutelare. Per questo si deve parlare lo stesso linguaggio del bambino utilizzando i suoi “codici” e i suoi riferimenti, rispettando le dimensioni culturali del contesto dal quale egli chiede aiuto, avendo il tempo per comprendere il suo mondo mentale per definire i contorni.63 Non possiamo pensare che tutto possa essere scelto al posto del bambino convinti del fatto che avvenga per il suo bene: senza un comune sentimento e una comune condivisione non può esserci né dialogo né 63 Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto”, Milano, Luni Editrice, 1994, Scritto nel 1929, p.8 105 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! rispetto. Il bambino deve essere in qualche modo attivo nel suo processo evolutivo così come all’interno della relazione educativa. E’ importante quindi parlare il suo linguaggio, utilizzare i suoi codici; rispettare il suo stato di maturazione dandosi il tempo di poter comprendere il suo mondo mentale per definire i contorni. L’adulto dovrebbe essere attento a cogliere anche i messaggi non verbali che il bambino comunica; spesso il fanciullo non riesce a trovare le parole per esprimere un disagio o un desiderio e l’adulto deve aiutarlo ad esplicitare i suoi bisogni. E’ facile confondere una seria richiesta d’aiuto con un capriccio comune. 4.4 Gioco e fantasia per superare le paure “Quando parlo o gioco con un bambino, un istante della mia vita si unisce a un istante della sua e questi due istanti hanno la stessa maturità.”64 Il gioco implica una libertà di movimento. L’atto del giocare è un atto creativo, in quanto attraverso nuove combinazioni e nuove scoperte possono essere modificate situazioni normalmente vissute. 64 Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto, Milano, Luni Editrice, 1994. Scritto nel 1929, p.60 106 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Per il bambino il gioco è una vera e propria attività, è un impegno serio, è un lavoro e non un passatempo. E’ proprio attraverso il gioco che l’uomo fin da bambino sperimenta se stesso e sperimenta la possibilità di intervenire attivamente sugli elementi che lo circondano e di trasformarli secondo il proprio vissuto. Ecco che il gioco possiede una duplice funzione: innanzitutto quella di aiutare la presa di coscienza della realtà, ma anche di aumentare la conoscenza di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti e della propria capacità di muoversi, di creare e di inventare. Ecco che quindi il gioco diventa occasione di apprendimento. L’attività del gioco quindi non deve essere svolta solo per riempire il tempo, ma bensì deve essere un’attività pensata e programmata dall’educatore in base alle richieste e ai bisogni dei bambini. Le finalità dell’intervento ludico saranno quelle di offrire il maggior numero si stimoli al bambino, di rispondere ai bisogni e di restituire una certa continuità nell’esistenza del fanciullo permettendogli di sperimentarsi in un’attività che è propria del mondo infantile. Il gioco è un ponte gettato dall’età adulta all’infanzia. Soprattutto all’interno di un contesto ospedaliero e di malattia giocare significa in qualche modo riattivare la parte sana, affermare la voglia di vivere e reagire al meglio di fronte al malessere, stimolando risorse positive. Significa entrare in contatto con il bambino, creare una legame di fiducia, 107 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! un modo di dire “ci sono e ti capisco”, un modo per sciogliere gli atteggiamenti di rifiuto che normalmente un bambino assume con un adulto “estraneo”. Giocare per un adulto non è semplice, soprattutto se si hanno in mente degli obiettivi e delle finalità. A volte si fa vincere il bambino per compiacenza, ma questo non è autentico e ne viene subito colta la falsità da parte del bambino che giustamente potrebbe reagire con rabbia. L’adulto che gioca dovrebbe “mettersi in gioco” in modo sincero: ridere, inventare, creare, vincere, perdere in modo leale senza perdere mai la percezione del tempo e del giudizio critico; sta qui la differenza tra l’adulto e il bambino che giocano. “L’adulto che gioca <<a metà>>, e che non sa o non riesce a sospendere certe facoltà cognitive, equivale a uno spettatore che durante uno spettacolo continua a pensare ad alcune sue preoccupazioni.”. 65 Giocare, per il bambino, è una vera e propria attività spontanea; per l’adulto giocare con partecipazione è una vera e propria immersione. O la si fa totalmente o non la si fa. Per l’infanzia l’immersione è un processo 65R.Branzino e F.Russo, in “Gioco e studio in ospedale”, pag.127-128 108 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! automatico, per l’adulto non più. Sta proprio qui la difficoltà dell’operatore. A volte, quando l’educatore si trova davanti agli occhi espliciti messaggi di dolore è difficile recuperare e attivare la parte della fantasia, del divertimento e della vivacità. La sfida educativa all’interno di un esperienza di sofferenza è quella di riattivare in sé l’insieme delle capacità ludiche per consentire agli altri di riconoscerle e riattivarle in loro. Il gioco diventa quindi il punto di incontro, il canale per riuscire a trasmettere informazioni riguardo all’esperienza di malattia e offrire al bambino la sperimentazione in prima persona di sentimenti legati all’esperienza. L’educatore, partecipando alle attività, permette all’utente di confrontarsi con lui su un piano diverso. Si mette in gioco su un piano pratico, con tutte le sue ricchezze ma anche i suoi limiti. Per l’utente scoprire questa “imperfezione” nell’educatore e scoprire in certi casi di essere “più bravo” di lui può essere molto significativo e accrescere la propria autostima. Il gioco permette di superare l’angoscia e ritrovare, per quanto possibile sicurezza e serenità; il gioco è “luogo di incontro” dove il bambino decide liberamente se e come parteciparvi utilizzando modalità e tempi che gli sono propri. Giocare non significa stare alla larga da esperienze difficili: è una strada per superare con successo la malattia e le paure ad essa connesse 109 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! potendole “pensare e guardare”, senza immergersi in una situazione di incomunicabilità e angoscia. Giocare rende attivo il bambino, lo rende protagonista e permette la libera espressione in un contesto non giudicante. E’ importante quindi che l’educatore crei questo contesto perché solo in questo modo può offrire al bambino la possibilità di esprimere le sue ansie e le sue paure rispetto all’esperienza che sta vivendo attraverso una dimensione che gli appartiene in prima persona. “ Il gioco è quello spazio intermedio che non si trova né dentro né fuori… rappresenta un luogo sicuro nel quale nessuno può inseguirci e raggiungerci, dove si può giocare con la realtà rimodellandola a proprio piacimento con l’aiuto della fantasia”( D. W. Winnicot, 1975) Ed è proprio questa dose di fantasia tipica dei bambini che colora ed arricchisce l’attività ludica. Il bambino inventa storie, costruisce personaggi, dà risposte razionalmente impossibili a domande estremamente razionali; il bambino costruisce il suo mondo fantastico, fatto di fate e di mostri, di storie e di racconti e riesce così ad elaborare anche esperienze ed emozioni spiacevoli. Per familiarizzare con il tema della malattia e dell’ospedalizzazione è molto significativo poter giocare con materiale sanitario (siringhe, tubicini, flebo…) 110 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Partendo proprio dagli oggetti che i bambini incontrano, si può stimolare la creatività reinventandone un uso diverso, fantastico. Ed ecco che allora una siringa diventa uno spruzza-colore, che un tubicino diventa uno stampino ecc. Importante è spiegare inizialmente il vero utilizzo dell’oggetto e solo successivamente permettere al bambino di dipingerlo, distruggerlo e riutilizzarlo in modo creativo. In questo modo quando il bambino vede un medico che utilizza quello strumento sul suo corpo sa realmente a cosa serve. Il fatto di averlo maneggiato a priori e di averne trasformato le sembianze è sicuramente una risorsa per affrontare in modo più “familiare” quella determinata situazione, diminuendo lo stress emotivo che provoca l’ignoto e il non esplorato. 4.5 EP: prevenzione tra i banchi Come sostenuto nei capitoli precedenti è possibile fare prevenzione anche in quelle situazioni in cui non c’è la certezza di un futuro ricovero. Aiutare il bambino a familiarizzare con l’esperienza di malattia, con il personale medico e con gli spazi dell’ospedale è sicuramente un compito che l’educatore professionale può e deve svolgere. 111 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! La scuola è il luogo per eccellenza degli apprendimenti. Ed è proprio all’interno di questa Istituzione che l’educatore professionale si deve collocare per fare un discorso di prevenzione generale. L’educatore interviene sul gruppo classe e non con un progetto individualizzato, prestando comunque attenzione alle richieste e alle risorse dei singoli soggetti che compongono il gruppo e facendo in modo che tutti abbiano la stessa possibilità e lo stesso spazio di intervento. In questo modo si mostra al bambino che è possibile parlare con gli adulti di malattia e di sofferenza e che non è un tabù che deve rimanere nascosto. Significa trasmettere la “normalità” dell’evento della malattia senza però sottovalutare le difficoltà, mettendo in evidenza gli aspetti positivi. Essere ricoverato non significa solo provare dolore fisico, significa anche incontrare altri bambini, significa incontrare un medico accogliente e non solo uno freddo e distaccato, significa anche poter continuare a giocare come si faceva a casa. Queste informazioni nella maggior parte dei casi sono nuove per il bambino, il quale si stupisce quando gli viene comunicato che in ospedale c’è una sala giochi. Anche se il progetto viene fatto all’interno delle classi, il setting pedagogico ha caratteristiche diverse da quello scolastico. E’ compito dell’educatore creare ed esplicitare queste differenze. Per prima cosa dovrà spiegare il tipo di percorso che verrà svolto insieme ai bambini, sottolineando il fatto che al termine non ci sarà alcuna verifica su 112 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! quanto detto e appreso e che nessuno farà loro domande per vedere se erano attenti. Questo per permettere al bambino di apprendere in modo spontaneo ciò che sente di poter cogliere, creando così un clima più rilassato dove non ci sia la preoccupazione e l’ansia della verifica finale. Questo è possibile se viene esplicitato chiaramente anche con le maestre, qualora dovessero rimanere all’interno della classe. Un progetto di prevenzione non può essere improvvisato, come abbiamo già detto, ma deve essere programmato e ben strutturato e concordato con le insegnanti. E’ opportuno coinvolgere anche degli specialisti, magari organizzare degli incontri con medici, educatori che lavorano in reparto, e se è possibile anche organizzare una visita guidata all’interno dell’ospedale, dove i bambini malati e quelli sani si possano incontrare. Coinvolgere i genitori informandoli sul percorso che si intende svolgere insieme ai loro figli è un modo per renderli partecipi, anche se indirettamente, del progetto stesso. Il compito dell’educatore nelle scuole in un percorso di prevenzione del trauma del ricovero è quello di offrire la possibilità di conoscere le paure rispetto all’ospedale e trasmettere delle informazioni che riguardano l’evento della malattia e dell’ospedalizzazione. Queste opportunità permettono al bambino di vivere e conoscere a priori cosa ci si debba aspettare dall’ospedale, ed acquisire maggior familiarità con l’evento in 113 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! modo da ridurre il trauma nel momento in cui lo si incontrerà (se lo si incontrerà). La necessità di educare alla salute e di educare all’espressione delle proprie emozioni e comprendere i nessi tra alcune malattie e l’efficacia delle cure è un passo importante verso una prevenzione sempre più efficace ed estesa. Nella prevenzione è possibile dare nuovamente significato alle cure, alle sensazioni che la malattia suscita, alle terapie, agli oggetti utilizzati dal medico, anche attraverso una buona dose di fantasia: l’educatore può aiutare i bambini a trovare delle antipaure, che possono essere oggetti, pensieri, disegni, favole che li possano sostenere in momenti di sconforto e timore. Ai bambini viene chiesta una partecipazione attiva: viene chiesto di portare la loro esperienza, le loro paure, le loro curiosità, i loro dubbi, le loro fantasie utilizzando strumenti educativi come il gioco e la fiaba che permette l’identificazione nei personaggi ma nello stesso tempo permette di mantenere una certa distanza da essi. La difficoltà maggiore per l’educatore che lavora all’interno di un istituzione forte come la scuola è sicuramente quella di ridimensionare il setting. Passare da un setting puramente didattico ad uno pedagogico, dove per setting pedagogico si intende lo spazio simbolico che legittima l’agire dell’educatore. 114 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Sicuramente le aspettative e le attese dell’insegnante sono diverse da quelle dell’educatore; per questo è fondamentale esplicitare a priori le premesse e gli obiettivi di entrambe le figure, in modo che si possa avere una linea comune di comportamento e di collaborazione. L’educatore può chiedere la collaborazione con le insegnanti in modo che il lavoro possa avere continuità nella vita del bambino. Il bambino riconosce così nell’educatore un ruolo istituzionale un po’ diverso da quello dell’insegnante. 4.6 EP: intervento in corsia “Negare la malattia all’interno dell’ospedale può sembrare un assurdo, eppure accade ogni volta che si avvalla l’illusione, rassicurante ma pericolosa, che sia sufficiente dare al bambino la possibilità di giocare perché tutte le angosce automaticamente scompaiano.”66 Il bambino malato prima di essere malato è innanzitutto un bambino. E per questo deve essere considerato in tutta la sua totalità allo stesso modo di tutti i suoi coetanei sani, ossia come un soggetto in crescita che ha 66 S.Kanizsa, B.Dosso, “La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale”, Roma, Meltemi editore, 1998, p.26 115 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! diritto ad uno sviluppo integrale di sé. Prima di considerare la malattia quindi bisognerebbe considerare il bambino come essere umano e il suo diritto di esprimersi liberamente come in qualsiasi altro contesto. Il bambino è un sistema, e a sua volta fa parte di più sistemi; il bambino malato è comunque un bambino con dei genitori, con degli amici, con degli interessi e con tante caratteristiche che lo definiscono. Per poterlo comprendere e capire in modo completo dobbiamo prendere in considerazione la sua totalità. All’interno del contesto ospedaliero l’educatore professionale deve considerare il bambino con tutte le sue attese, le sue ansia, le sue speranze e anche i suoi dolori, le sue paure, senza porsi nella situazione di giudicare se esse siano vere o false, giuste o sbagliate. Necessitano attenzione solo per il fatto che qualcuno le sta vivendo e ce le sta raccontando. Il bambino instaura buone relazioni quando sente di essere rispettato, capito nella sua individualità, nei suoi bisogni e nei suoi tempi, creduto e sostenuto nella paura; non preso in giro ma valorizzato per le sue risorse e accompagnato da spiegazioni comprensibili e veritiere: preso in cura e non invaso. L’educatore deve accompagnare il bambino e la sua famiglia durante queste transizioni; deve essere una persona capace di istaurare consapevolmente una relazione educativa, deve essere capace di rispettare i tempi dell'altro, capace di cogliere messaggi e bisogni impliciti, capace 116 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! di mettersi da parte quando occorre e di intervenire quando è richiesto, capace di cogliere gli aspetti positivi dell’esperienza e capace di aiutare i genitori e i loro figli a ri-scoprire il senso del proprio valore e la possibilità di crescere insieme. Deve riuscire a costruire la permanenza in ospedale come una parentesi di vita che possa essere raccontata anche attraverso ricordi piacevoli. Un obiettivo importante è quello di aiutare il bambino a vivere l’ospedalizzazione come un passaggio, come un’esperienza circoscritta che non si deve allargare a tutta la sua esistenza ; offrire quindi dei momenti che non siano solo legati alla malattia e alle cure mediche ma che coinvolgano anche le sue “parti sane” che non devono essere dimenticate. Ogni essere umano possiede una naturale spinta a superare le difficoltà. Compito dell’educatore è quello di enfatizzare questa naturale potenzialità e di allontanare la sofferenza, offrendo al bambino la possibilità di esprimersi liberamente ma garantendo un supporto solido nel momento in cui le risorse non sono più sufficienti. Mostrare quindi al bambino che l’ospedale non è solo luogo di dolore ma anche luogo dove gli operatori sono disposti a comprendere, ad accogliere, ad ascoltare; un luogo dove poter esprimere le paure, i dubbi, dove poter incontrare altri bambini, dove potersi sentire protagonista attivo dell’esperienza. 117 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Per riuscire a creare una relazione significativa l’educatore deve innanzitutto fermarsi ad “ascoltare” il pensiero dell’altro; deve cercare di capire cosa in quel momento il bambino si aspetta dall’operatore e quale canale comunicativo vuole sia utilizzato per rapportarsi a lui. La comunicazione per l’educatore deve essere un atto intenzionale, deve essere pensata. Chiarezza e trasparenza nella comunicazione sono il presupposto di ogni relazione autenticamente educativa; comunicazioni imbarazzate e contraddittorie degli adulti creano ansie e angosce nel bambino. Una comunicazione che non sia solo verbale: una comunicazione e un’interazione che passano attraverso la capacità di attesa, di contenimento e un’elasticità di “non fare” ma di “esserci”. A volte all’educatore viene chiesto dal bambino di essere una presenza silenziosa, ma che partecipi con empatia a ciò che il bambino stesso ha scelto. L’animazione diventa uno degli strumenti per interagire con i minori offrendo uno spazio che rimanga pur sempre educativo aprendosi all’espressività e alla creatività. L’osservazione è continua e permette di capire situazioni di disagio non espresse, sulle quali sarà possibile ipotizzare un intervento per rendere migliore la degenza. In una situazione di ansia e di stress, di sofferenza e cambiamenti non tutti i bambini vogliono essere trattati allo stesso modo. E di questo l’educatore 118 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! deve tenerne conto per non essere invadente. Molti bambini preferiscono una parola, altri preferiscono un abbraccio, ogni soggetto ha un suo modo di rapportarsi alle situazioni e noi educatori questo non possiamo ignorarlo. Diverse modalità di approccio quindi a seconda del bambino che si ha di fronte, diverse modalità per agganciarlo. E’ importante che l’educatore sappia riconoscere e accettare le chiusure di dialogo e le reazioni dei pazienti e dei familiari che magari preferiscono non condividere questo momento di incertezza e timore. Importante è che sappiano che all’interno del reparto ci sia una persona disposta ad accoglierli qualora ne sentissero il bisogno. L’educatore cercherà gradualmente di insinuarsi per favorire la trasformazione di silenzi in espressione delle emozioni evitando che le chiusure comunicative aggravino la situazione. Compito dell’educatore è evitare l’isolamento del bambino e della sua famiglia; recuperare la quotidianità diventa un mezzo efficace per la continuazione dell’accrescimento del bambino. Nel momento dell’arrivo in ospedale, il bambino si trova improvvisamente in un ambiente estraneo; gli viene indicato il suo letto, gli vengono date delle indicazioni rispetto alla permanenza e tutto il resto del tempo è caratterizzato dall’attesa: attesa delle visite, delle terapie, caratterizzate da ansia più o meno forte. 119 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Il personale ospedaliero tende in genere a sottovalutare i problemi posti dal primo impatto. E’ molto importante garantire un’accoglienza in reparto ai bambini e ai genitori che non sia solo una richiesta di informazioni generali quali dati anagrafici e anamnestici; ma bensì un’accoglienza che tenga conto anche del vissuto emotivo e che aiuti i soggetti a trovare nuovi stimoli e nuovi punti di riferimento all’interno del nuovo contesto. Accogliere significa anche non pretendere che un bambino ammalato apprezzi incondizionatamente i bei giochi a sua disposizione e i corridoi colorati, cose che non lo consolano e non lo rassicurano se non è ascoltato. Ecco quindi che l’educatore è chiamato fin dall’inizio non solo ad occuparsi del bambino, ma anche dei genitori. L’educatore è un punto di riferimento disposto ad ascoltare, ad accogliere le ansie e i dubbi delle figure genitoriali, senza imporre la sua presenza all’interno di un esperienza tanto intima quanto delicata ma che sia in grado di porsi come una figura “da utilizzare” quando se ne senta il bisogno. Sapere che in caso di necessità e sconforto, in caso di incomprensione con i medici o gli infermieri ci possa essere un operatore attento che faccia anche da mediatore tra le diverse figure, cercando di rimuovere le diverse chiusure comunicative all’interno del reparto. Il compito dell’educatore professionale è quello di aiutare il genitore a non farsi travolgere dall’esperienza e a conservare lucidità e intelligenza 120 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! pedagogica. Solo così il genitore può restare un punto di riferimento coerente e rassicurante per il bambino, per il suo benessere e quello familiare. “ Il genitore educatore o che educa è colui che sa essere protagonista del processo educativo, esercitando con responsabilità la funzione educativa che gli appartiene. Egli è tale se riesce, chiedendo informazioni, valorizzando le attività e l’impegno del bambino, evitando l’isolamento proprio e del figlio….. L’educazione del genitore è l’intervento intenzionale volto al recupero della funzione educativa che la lungodegenza può insidiare.”67 L’educatore in corsia diventa quindi anche un facilitatore dell’espressione delle paure ma anche un contenitore di ansie, timori, divertimenti e gioie. Contenitore non nel senso che debba essere una spugna pronta ad assorbire tutto, ma un contenitore capace di fare entrare fattori esterni ma che sia poi in grado di liberarne altri adatti alla situazione. Facciamo l’esempio di un bambino che esprime la paura per un oggetto sanitario. L’educatore permette l’ingresso dell’emozione, la analizza, la elabora ma deve essere anche in grado di restituire al bambino delle possibilità per poterla superare e controllare. Ad esempio proponendo un gioco con lo stesso oggetto che incute paura. 67 Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003, p.100 121 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! “Naturalmente non è vero che <<l’attività educativa sia più importante della stessa terapia. E’ vero invece che in un’équipe le diverse professionalità contribuiscono tutte al benessere del bambino solo se sanno lavorare in maniera sinergica e coordinata. Per riuscirci è necessario disporre di un ottimo sistema di comunicazione.”68 Ciascuna professionalità può essere portata a vedere il paziente attraverso una “lente” leggermente diversa e avere quindi opinioni e idee differenti su cosa significhi aver cura di quella specifica persona. All’interno del contesto ospedaliero, dove l’obiettivo primario è quello della cura fisica del paziente, l’educatore deve confrontarsi con figure professionali storicamente e socialmente più affermate quali il medico, l’infermiere e lo psicologo. E’ legittimo che in questo contesto la cura della malattia spesso, per medici e personale infermieristico, significa occuparsi anzitutto dei bisogni vitali del paziente. E’ giusto e naturale che sia così. Il <<prendersi cura>> del soggetto però è qualcosa di più: quel qualcosa che con la sinergia delle diverse professionalità si può garantire. Comprendere che nel bambino esistono bisogni di igiene, di alimentazione, di relazione, di calore, di gioco e movimento e che il 68 M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico- educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001, p.64 122 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! termine “salute” può essere soddisfatto solo con il soddisfacimento di tutti questi bisogni comporta la presa in carico globale dell’individuo, riconoscendo la persona come <<insieme integrato>>, caratterizzato da bisogni diversificati. L’educatore non ha la pretesa di sostituirsi al medico o all’infermiere, anche perché non ne ha le capacità e la preparazione ed inoltre un ospedale senza medici non avrebbe senso; ma lavora per fare in modo che un giorno ci possa essere un’autentica collaborazione per comprendere le molteplici sfaccettature del bambino e proporre soluzioni sensate. Qualsiasi operatore deve essere in grado di valutare le singole situazioni e i bisogni del paziente sapendo delegare la cura al professionista più adatto; riconoscere quindi il ruolo delle altre figure professionali ammettendo i propri limiti e scambiando informazioni a seconda delle competenze. Non è semplice definire i ruoli e le funzioni delle singole professioni; in molti reparti si preferisce evitare questo complesso compito che mette in discussione i saperi. L’assenza di dialogo è uno dei rischi più frequenti in un contesto in cui davvero le lenti con cui si guardano le situazioni sono molto diverse. Ma per poter pensare ad un vero e proprio lavoro di èquipe non ci si può fermare davanti a questo vincolo, ma anzi bisogna cogliere le molteplici 123 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! possibilità e opportunità che questo vincolo apre, tra cui quella di costruire un percorso di cura comune e condiviso. Purtroppo negli ospedali italiani non è molto diffusa la figura dell’educatore professionale in corsia se non in alcuni rari casi come ad esempio il Gaslini di Genova e il Meyer di Firenze, dove all’interno del reparto vi è uno staff di educatori che lavora nell’equipe ospedaliera con mansioni espressamente extrascolastiche ed extrasanitarie. Anche se in alcuni reparti dei nostri ospedali operano figure con una preparazione pedagogica è facile cogliere ancora tante resistenze e difese nella realizzazione di gruppi interdisciplinari. Lavorare all’interno dello stesso contesto senza scambio, senza comunicazione, limitandosi ad agire le proprie competenze senza confrontarsi con altri operatori è una modalità operativa che non può avere successo perché il bambino e la famiglia sono “pezzi unici” e in quanto tali bisogna garantire loro un’assistenza globale e non frammentata. Lavorare sinergicamente permette di condividere importanti informazioni sul bambino, permette di definire un comportamento comune e di proporre delle attività più adeguate all’utente. La figura dell’educatore non va a ledere né il lavoro dei medici né quello degli infermieri; non è corretto infatti pensare l’intervento educativo in termini di concorrenza ma bensì di collaborazione. 124 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 4.7 EP: promotore del cambiamento della cultura ospedaliera nei confronti del bambino (dentro e fuori l'ospedale) “C’è una domanda di umanizzazione che investe non l’ospedale, ma la società intera. L’ospedale cambia volto se lo cambia la società.”69 Sicuramente è possibile intervenire su due livelli per promuovere il cambiamento della cultura ospedaliera. Il primo consiste nel cambiare l’immaginario comune rispetto all’esperienza dell’ospedalizzazione e della malattia attraverso interventi di prevenzione, mentre il secondo è quello di cambiare la cultura e l’organizzazione all’interno del reparto. Ovviamente questo secondo livello di intervento può favorire il raggiungimento del primo, poichè cambiando regole, abitudini e rapporti personali dell’ospedale probabilmente potrà cambiare anche l’immaginario collettivo. L’organizzazione ospedaliera dovrebbe essere molto più attenta alle esigenze e agli interessi dei bambini malati e della loro famiglia. L’impostazione architettonica dei reparti pediatrici deve prendere in considerazione anche le esigenze psicologiche dei bambini e dei loro genitori e non basarsi solo sulla funzionalità operativa. 69 G. Morgante, Umanizzazione della medicina, in <<<Medicina e morale>>, n.34, 1984, p.323 125 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Sale d’attesa non a misura di bambino, dove il bambino non riesce a stare fermo su quelle sedie così alte e così rigide; orari così diversi da quelli della solita vita, abitudini che soddisfano più i bisogni degli operatori che non le esigenze di bambini e genitori. Spazi dove non è possibile alzare la voce, dove non si può giocare. Ma come può vivere questa esperienza un bambino? Le regole molto spesso sono dettate dai bisogni dell’istituzione e non dalle necessità dei pazienti: colazione alle 5.30, quando il personale inizia il turno, pulizia delle camere prima delle 9.30-10.00, ora di inizio delle visite mediche ( il tutto dopo che magari il ricoverato ha passato un’intera notte sveglio), pranzo tassativamente alle 11,30 e cena alle 17.00/17.30 proprio quando c’è l’orario visite parenti.70 Pensiamo anche al significato che possa avere presentarsi in pigiama davanti agli altri, quando questo indumento, fino a pochi giorni prima era stato riservato a momenti intimi, a momenti esclusivamente familiari. Queste sono tutte situazioni che possono essere cambiate ma che non si vogliono cambiare. E quando si cerca di destrutturare questa organizzazione sembra che sia impossibile. 70 Cfr. S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989 126 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! “E’ sempre stato così” e “E’ da vent’anni che ci sono questi orari” sono le risposte che più si sentono quando di abbozza un’idea di cambiamento. Cambiare vuol dire “destrutturate per riorganizzare” e forse questo rimettere in discussione il proprio operato e la propria quotidianità spaventa gli operatori che ormai nella ripetitività degli orari e delle abitudini hanno trovato sicurezza e stabilità. Questo atteggiamento deve però essere superato, in quanto è davvero limitante: è un atteggiamento che impedisce la crescita, il miglioramento, l’apertura. E’ come se l’istituzione non prestasse attenzione alle nuove esigenze della società in continua evoluzione rischiando di rispondere ancora a dei bisogni che appartenevano a generazioni passate e che generazioni di oggi non avvertono. E’ importante prestare più attenzione alla formazione del personale medico- infermieristico per migliorare il rapporto con il piccolo paziente che non tenga solo conto del suo fisico ma che consideri corpo, mente ed emozioni come parti interconnesse e non nettamente distinte. Al medico è sempre stato insegnato ad avere un certo distacco con il paziente per non farsi coinvolgere personalmente e spesso gli infermieri sfuggono al contatto con i malati. Si può infatti cambiare una flebo senza “toccare” veramente la persona, si usano spesso i numeri della camera per chiamare i pazienti; queste sono tutte piccole situazioni, apparentemente 127 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! inutili e banali, ma che se prese in considerazione seriamente possono essere modificate ed è possibile così evitare la spersonalizzazione del paziente. A volte ci si nasconde dietro alla dimensione temporale: “non c’è tempo, sono di fretta”, ma spesso questo è solo un modo per difendersi e per non mettersi in gioco in prima persona. Solo cambiando l’idea e il concetto di cura all’interno dell’ospedale si può assistere ad un vero e proprio cambiamento metodologico e organizzativo del personale che vi opera all’interno. Se partissimo tutti dal presupposto che la cura fisica è importante tanto quanto il benessere psico-sociale del bambino, allora si potrebbe assistere ad una vera e propria collaborazione che permetta la presa in carico globale del bambino e della sua famiglia. La cura del fisico è indispensabile perché è la risposta al mandato istituzionale; mentre garantire il benessere in corsia viene visto come un’aggiunta non indispensabile. Se ci fermassimo a riflettere ci accorgeremmo però che più il bambino sta bene all’interno dell’ospedale più collabora alla sua guarigione in modo sereno e attivo, riducendo così anche i tempi del ricovero. Associare questi due termini: benessere e corsia significa cercare di recuperare la normalità quotidiana in un ambiente freddo e poco colorato 128 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! unendo due culture ben distinte e differenti: quella medica e quella sociale. Questa è la vera sfida educativa per produrre cambiamento. Si dovrebbe assistere ad una vera e propria forma di umanizzazione dell’ospedale, eliminando quelle forme di depersonalizzazione del soggetto che lo rendono passivo e che rendono la malattia come un freddo evento in corsia vissuto in piena solitudine. Negli ultimi anni in Italia, stiamo assistendo ad un orientamento della cultura medica maggiormente propenso a considerare il “prendersi cura” e non solo il “curare”. Questo indispensabile e doveroso passaggio pretende di favorire non solo il raggiungimento del benessere fisico ma anche di quello sociale e mentale. E’ un cammino lungo e difficile, ma sicuramente praticabile! 129 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! 4.8 La tutela psichica dell’educatore professionale “Tale professione risulta particolarmente frustrante per numerosi motivi. Basti pensare infatti: allo scarto che c’è… tra ciò che si vorrebbe ottenere e ciò che di fatto si ottiene; all’impossibilità o quanto meno alla grande difficoltà di <<vedere>> i risultati ottenuti mediante l’azione intrapresa, alla necessità di considerare come uno dei segni o degli indizi più significativi del successo educativo il <<distacco>> dell’educando dall’operatore pedagogico, ….. alla presenza di un elevato rischio di caduta nella routine e quindi nella sclerotizzazione culturale e spirituale a livello personale,… ad un analoga facilità di lasciarsi prendere da un eccessivo senso di responsabilità che è sicuro generatore di ansia, e così via.”71 L’educatore professionale che lavora a contatto con la sofferenza e soprattutto all’interno dl contesto ospedaliero si trova ad operare in un sistema complesso entro il quale si deve confrontare con elementi di stress. Basta pensar il continuo rapportarsi con altri operatori, con altre professionalità così lontane (a livello di competenze), il continuo confronto con la sofferenza dei bambini e l’ansia dei genitori. 71 P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988, p.327 130 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Il rapporto con “la debolezza” del proprio ruolo all’interno di una struttura così forte come quella ospedaliera; la gestione dei compiti e degli impegni, la burocratizzazione, la fatica e l’insufficienza delle risorse aggiunte al clima sociale dell’ambiente di lavoro e delle condizioni fisiche del reparto, sono tutti potenziali fattori di stress. Ogni operatore reagisce in maniera diversa di fronte agli avvenimenti in base anche al loro grado di adattabilità a situazioni potenzialmente stressanti. E’ importante per ogni operatore avere la consapevolezza dei propri modi di reagire nei confronti delle situazioni e delle persone che incontra nel proprio lavoro, per poterli riconoscere e gestire. Non si può pensare che nella relazione con gli altri il proprio vissuto personale non abbia alcuna importanza, soprattutto per quanto riguarda la professione dell’educatore che ha come strumento fondamentale per l’incontro con l’altro la propria persona. L’ascolto di una persona infatti non implica solamente l’attribuzione di significati alle cose che l’altro dice, ma include anche la personalità dell’ascoltatore. E’ importante però definire i limiti della relazione di aiuto, mantenere un confine evitando un coinvolgimento personale incondizionato; mettere in evidenza i propri lati deboli, riconoscere i primi segnali di allarme e saper rimanere cognitivamente lucido ed emozionalmente empatico sono azioni 131 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! fondamentali per l’educatore per non ritrovarsi <<dentro>> queste emozioni senza nemmeno accorgersene. 72 Per questo è importante pensare anche all’igiene mentale dell’operatore per prevenire il burnout. La situazione di burnout avviene quando l’educatore raggiunge uno stato eccessivo di tensione, uno stato continuo di stress e di conflitto tra un modello ideale e quello reale. Qualsiasi esperienza professionale fa i conti con due aspetti importanti: la frustrazione e i meccanismi di difesa. Nelle situazioni professionali è opportuno mettere in atto una vera e propria opera di igiene mentale che passi attraverso la consapevolezza dei più frequenti meccanismi di difesa, dell’individuazione delle condizioni che provocano stress e delle indicazioni per superare positivamente le frustrazioni e non cadere in meccanismi di difesa troppo rigidi. Conoscere le situazioni professionali che più facilmente conducono a frustrazioni permette di evitarle preventivamente (quando possibile), e conoscere i meccanismi di difesa permette di riconoscerli per tempo e mettersi nella condizione di superarli positivamente. Tutto questo è possibile se si evita di privatizzare il proprio operato rendendolo pubblico, ed esplicito senza il timore di confrontarlo con altri operatori. 72 Cfr. P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988 132 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Se l’educatore ha costruito una vita privata extra-professionale ricca di espansione e di soddisfazioni sarà per lui più facile sdrammatizzare le difficoltà incontrate nel proprio lavoro. Da qui la responsabilità dell’istituzione di offrire all’operatore uno strumento che possa garantire l’igiene mentale e che possa essere un supporto per condividere difficoltà incontrate nell’intervento educativo. Offrire la supervisione, effettuata solitamente da uno psicologo o da un pedagogo, significa innanzitutto prevenire i burnout e permettere all’educatore la condivisione delle difficoltà e delle emozioni che una particolare situazione suscita in noi. 133 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Conclusioni Spero di essere riuscita a fornire un quadro chiaro e completo della situazione di malattia e di ospedalizzazione e di essere riuscita a far comprendere la possibilità di leggere e significare in senso positivo anche un’esperienza che apparentemente sembra contenere solo elementi negativi. Strana cosa la malattia del bambino: capace di cambiare e destrutturate le abitudini dell’intero nucleo familiare, capace di generare sensi di colpa nei genitori per non essere stati capaci di curare il bambino, capace di generare rabbia perché interferisce con la naturale evoluzione del bambino. La malattia del bambino all’interno di questa tesi è stata letta sia come un’esperienza di regressione, di difficoltà e di dolore ma anche di crescita, apprendimenti, conoscenze e scoperte. L’esperienza di malattia è un momento assai educativo, dal momento che la malattia, o la possibilità di incontrarla, possono farci scoprire molti aspetti di noi stessi che prima ignoravamo. Compito dell’educatore è cogliere questi aspetti e metterli in evidenza per accompagnare il bambino e la sua famiglia durante il percorso di malattia. Ciascun bambino per poter utilizzare l’esperienza dell’ospedalizzazione in modo positivo deve essere messo al centro del processo terapeutico, 134 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! trovando degli adulti disposti a facilitare il suo ingresso e la sua permanenza in ospedale. A seconda delle modalità con cui gli operatori entreranno in relazione con il paziente e la sua famiglia questi potranno uscire rafforzati o perdenti dall’esperienza di sofferenza. Non bastano infatti muri colorati o stanze piene di giochi per migliorare l’esperienza; occorrono persone attente ai bisogni del bambino e dei suoi genitori, che si prendano cura non solo della parte malata ma anche di quella sana, persone che sappiano ascoltare, che sappiano accompagnare con empatia. Spero di essere riuscita a dimostrate l’importanza e la necessità di trattare il tema della malattia e dell’ospedalizzazione con i bambini anche in situazioni di non ricovero, in modo da attuare una vera e propria misura preventiva. La conoscenza del bambino e l’incontro autentico avranno bisogno di una mente sgombra da pregiudizi e una capacità di rispettare i tempi dell’altro. Per questo è importante che l’educatore professionale continui a fare un lavoro su di sé per capire dove, come e quando sta usando degli stereotipi che “pilotano” immancabilmente la relazione educativa. Si vuole quindi proporre uno stile di cura che si fonda sulla conoscenza di sé e dell’altro per istaurare relazioni autenticamente educative senza la necessità di essere freddi e distanti per riuscire a rapportarsi ad un tema così complesso come quello della malattia. 135 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Ringraziamenti Sono tante le persone questo importante che mi hanno accompagnata in percorso professionale, ma anche personale. Un ringraziamento particolare va ai miei genitori che in questi tre anni hanno saputo incoraggiarmi, “supportarmi e sopportarmi” credendo nelle mie capacità in ogni momento. Un grazie a mio fratello Alessandro che ha saputo apprezzare i successi e sdrammatizzare i momenti più difficili, dandomi la carica necessaria per non fermarmi; e a Diana, che si è sempre interessata al mio percorso di studi, come una sorella, scoprendo in lei una grande capacità di ascolto. Quando la mia capacità fallimento e la voglia organizzativa dava segni di di rinviare un esame era tanta, Cristiano mi dava la forza e la speranza di potercela fare, anche l’impresa quando sembrava i tempi erano impossibile. strettissimi Sono stati il e suo ottimismo e il suo amore, ma anche la sua schiettezza e sincerità che mi hanno accompagnata in questi tre anni dando colore e positività ai miei giorni. 136 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! Ringrazio tutti i docenti che hanno saputo creare un rapporto unico con ogni singolo studente, rendendo questo percorso di studi un vero e proprio percorso formativo: Insomma , necessario dei veri per e la propri nostra punti professione. di riferimento disposti ad incontrarti non solo come studente ma anche come persona, e questo è stato fondamentale. E che dire…. Come avrei fatto in questi tre anni senza i miei compagni??? Qualcuno ha avuto un ruolo fondamentale, qualcuno è rimasto sullo sfondo e qualcun altro è apparso solo alla fine del ringraziamento percorso; perché ma ciascuno tutti è meritano un in grado di continueranno ad stato regalarmi qualcosa. Ho incontrato persone speciali che essere presenti nella mia vita, non più come compagni, non solo come colleghi, ma come veri e proprie Amici! Infine un ringraziamento particolare va al Giorgio Sordelli, il quale mi ha seguita nella Prof. stesura della tesi. Con la sua professionalità e la sua ironia ha reso piacevole questo percorso finale riuscendo a creare un esprimere accogliere clima rilassato liberamente i miei i entro miei dubbi, le il quale pensieri. mie Ha domande, potessi saputo le mie 137 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! richieste, le mie preoccupazioni…..sempre presente e disponibile...Grazie! E così per ora si conclude il mio percorso di studi. …..Sogni che si realizzano, progetti che nascono, momenti che finiscono!.... Grazie a tutti!..... Anche a me! Laura Gagliardi Bibliografia LIBRI - Rosellina Balbi, “Madre paura. Quell’istinto antichissimo che domina la vita e percorre la storia”, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1984 - P. Bertolini, “L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata”, Firenze, La Nuova Italia, 1988 - A.Canevaro. “I bambini che si perdono nel bosco”. Identità e linguaggi nell’infanzia”, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1976 138 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! - M. Capurso (a cura di), “Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico”,Trento, Erickson, 2001 - Anna Oliverio Ferrarsi, “Psicologia della paura”, Torino, Editore Borighieri, 1980 - L.Guidi, M.R Polizzari, L.Valenzi (a cura di), “Storia e paure. Immaginario collettivo, riti e rappresentazioni della paura in età moderna.”, Milano, Franco Angeli, 1992 - Doris Caviezel-Hidber, “Prevenire il trauma del ricovero. L’incontro del bambino con l’ospedale.”, Milano, Franco Angeli, 2000 - S. Kanizsa, “Pedagogia Ospedaliera. L’operatore sanitario e l’assistenza al malato.”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989 - S.Kanizsa, B.Dosso, “La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale”, Roma, Meltemi editore, 1998 - Janusz Korzak, “Il diritto del bambino al rispetto”, Milano, Luni Editrice, riedizione 1994, Scritto nel 1929 - Giovanni F. Ricci (a cura di ), “Dal ‘curare’ al ‘prendersi cura’. Bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato “, Roma, Armando Editore, 2003 - I.Salomome, “Il setting pedagogico”, Roma, Carocci Editore, 1999 - G. Scaratti, Ornella Fusè e Anna Bertani, “La supervisione dell’educatore professionale”, Milano, FrancoAngeli, 1999 139 Toc,Toc! Chi è?...Sono il lupo cattivo! - Jan-Uwe Rogge, “Quando i bambini hanno paura. Una vita più serena per i nostri figli”, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 1998 - Vari, “La professione di educatore. Ruolo e percorsi formativi”, Roma, Carocci Editore, 2001 ARTICOLI - M. Capurso e M. Trappa, “Le paure dell’ospedale in bambini di età scolare: una ricerca basata su sistemi proiettivi”, in “Difficoltà di apprendimento” , Rivista Erickson, n.8/1, ottobre 2002 - G. Morgante, “Umanizzazione della medicina”, in “Medicina e morale”, n.34, 1984 - G. Sordelli, “L'operatore e l’arte dell'ascolto”, in “Animazione sociale”, n°8/9, Agosto 1993 SITI INTERNET - www.giocoestudio.it - www. ospedalebambingesu.it - www.ao-meyer.toscana.it - www.gaslini.org - www.provincia-milano.it 140