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stima dell`incertezza di misura nella determinazione del mercurio in

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stima dell`incertezza di misura nella determinazione del mercurio in
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
FACOLTÀ DI FARMACIA
Corso di Laurea Triennale in Controllo di Qualità nel Settore
Industriale Farmaceutico ed Alimentare
DIPARTIMENTO DI MEDICINA INTERNA – SEZIONE DI BIOCHIMICA
APPLICATA E SCIENZE DELLA NUTRIZIONE
TESI DI LAUREA
STIMA
DELL’INCERTEZZA
DI
MISURA
NELLA
DETERMINAZIONE DEL MERCURIO IN ALIMENTI MEDIANTE
CVAAS
(ESTIMATION OF UNCERTAINTY FOR THE DETERMINATION
OF MERCURY IN FOOD BY CVAAS)
Laureando:
Luigi Masciali
Relatore:
Prof. Luana Perioli
Dott. Roberta Galarini
ANNO ACCADEMICO 2005-2006
INDICE
1. LA VALIDAZIONE DEI METODI ANALITICI: SCOPI E MODALITÀ pag
4
1.1. Scopo della validazione
pag
4
1.2. Parametri caratteristici di un metodo analitico
pag
7
pag
10
1.3.1. Verifica della normalità dei dati
pag
12
1.3.2. Verifica della presenza di dati anomali
pag
13
1.3.3. Verifica dell’uguaglianza delle varianze
pag
14
1.3.4. Verifica dell’uguaglianza delle medie
pag
16
1.4. L’incertezza di misura
pag
16
1.5. Obiettivo del lavoro di tesi
pag
21
pag
22
2.1. Caratteristiche generali del mercurio
pag
22
2.2. La spettroscopia di assorbimento atomico (AAS)
pag
22
2.2.1. Le sorgenti
pag
23
2.2.2. I sistemi di atomizzazione
pag
23
a) Atomizzazione a fiamma
pag
23
b) Il fornetto di grafite
pag
24
c) Altri sistemi di atomizzazione senza fiamma
pag
25
pag
25
pag
26
2.3.2. Il sistema per la generazione dei vapori freddi (batch
system)
pag
27
3. PARTE SPERIMENTALE
pag
29
3.1. La procedura analitica
Luigi Masciali
pag
29
1.3. Test statistici e loro utilizzo nella validazione di un metodo
analitico
2. DETERMINAZIONE DEL MERCURIO: METODI ANALITICI
2.3. L’analisi del mercurio
2.3.1. La tecnica ai vapori freddi
2
3.2. La validazione del metodo
pag
32
3.2.1. Precisione
pag
32
3.2.2. Esattezza
pag
40
3.2.3. Limite di rilevabilità (LOD) e di quantificazione (LOQ)
pag
41
3.2.4. Incertezza di misura
pag
41
Fase 1: specificazione del misurando
pag
41
Fase 2: identificazione delle fonti d’incertezza
pag
42
Fase 3: quantificazione dell’incertezza
pag
43
Fase 4: calcolo dell’incertezza composta ed estesa
pag
49
4. CONCLUSIONI
pag
53
Allegato 1: valori critici per il test di normalità di Shapiro-Wlik
pag
54
Allegato 2: valori critici per la verifica dei dati anomali secondo Dixon
pag
55
Allegato 3: valori critici per la distribuzione F
pag
56
Allegato 4: valori critici per la verifica del t-test a diversi gradi di
libertà
pag
56
5. BIBLIOGRAFIA
pag
57
Luigi Masciali
3
1. LA VALIDAZIONE DEI METODI ANALITICI: SCOPI E MODALITA’
1.1. Scopo della validazione
Le analisi chimiche rappresentano la base razionale per prendere decisioni:
l’inaffidabilità dei risultati, quindi, costituisce un danno (economico, politico, sociale
…) che deve essere quanto più minimizzato. Virtualmente ogni aspetto della
società è supportato in qualche modo da una misura analitica. L’aumento della
complessità e della numerosità quali-quantitativa delle determinazioni analitiche
ha portato alla definizione di Sistemi di Qualità, atti a garantire l’affidabilità del
dato. Per Sistema Qualità si intende, in senso lato, “la struttura organizzativa, le
responsabilità, le procedure e le risorse applicate per la conduzione aziendale, in
grado di garantire una qualità programmata” e, nei laboratori chimici, tali sistemi
trovano attualmente la loro descrizione nella norma ISO 17025 che è orizzontale e
non specifica per particolari settori analitici. A seconda del campo di applicazione,
quindi, la ISO 17025 può essere integrata con requisiti ulteriori.
Una procedura analitica è qualificata dalle sue prestazioni. I parametri di
prestazione (precisione, esattezza, specificità, robustezza etc.) sono determinati
durante lo studio di validazione che consiste nel dimostrare sperimentalmente che
il metodo è effettivamente adatto allo scopo per cui è stato progettato e dà luogo a
risultati affidabili.
Con il termine validazione si intende: “la conferma, sostenuta da evidenze
oggettive, che i requisiti relativi ad una specifica utilizzazione o applicazione
prevista sono stati soddisfatti” (ISO 9000-2000). Il processo di validazione ha,
quindi, l’obiettivo di dimostrare la validità per l’utilizzo di un metodo mediante la
valutazione di tutti i parametri utili a tale scopo: caratteristiche tecniche,
applicabilità e, soprattutto, le performance analitiche quali precisione, esattezza,
specificità, limiti di rilevazione e quantificazione fino all’incertezza di misura. La
validazione rappresenta, quindi, uno degli aspetti fondamentali nell’assicurazione
della qualità in laboratorio.
Non sempre tutte le prestazioni di un metodo devono essere necessariamente
valutate. Dipende, infatti, dalle caratteristiche del metodo stesso e dal suo scopo.
Ad esempio per prove utilizzate nella determinazione dei componenti principali
degli alimenti (proteine nella carne, grassi nei formaggi…) non ha interesse la
stima dei limiti inferiori raggiungibili dal metodo, mentre nella ricerca di residui di
Luigi Masciali
4
farmaci o contaminanti ambientali, utilizzando metodi quantitativi adatti ad
evidenziare sostanze presenti in tracce, tutti i parametri di validazione devono
essere stimati.
Riguardo allo scopo, in ambito europeo si distinguono procedure di screening
(qualitative/quantitative) e di conferma (qualitative/ quantitative). I metodi di
screening hanno l’obiettivo di individuare la presenza di una sostanza, o gruppo di
sostanze, al di sopra o al di sotto di un prestabilito livello d’interesse e sono
specificamente progettati per effettuare un elevato numero di analisi, mentre quelli
di conferma, in genere più sofisticati, sono adatti a fornire informazioni qualiquantitative definitive. Analogamente la Commissione del Codex Alimentarius
classifica i metodi in tre livelli (I, II e III). In genere i metodi di screening qualitativi
prevedono la determinazione di un minor numero di parametri di performance (o,
comunque, di parametri diversi) rispetto a quelli di conferma quantitativi.
Inoltre, un’altra distinzione che fa riferimento al tipo di validazione attuato, è quella
fra metodi standardizzati (normati) e interni. Nel primo caso si tratta di procedure
testate da enti internazionali attraverso uno studio interlaboratorio attuato in
conformità a protocolli prestabiliti (studi collaborativi), mentre nel secondo si tratta
di metodi messi a punto dal laboratorio utilizzatore (originali o adattati dalla
letteratura) che deve procedere anche alla validazione completa. E’ ovvio che,
quando possibile, per un laboratorio l’adozione di metodi standardizzati
rappresenta la scelta ideale e comporta, fra l’altro, una validazione ridotta con una
verifica parziale di alcuni parametri di performances.
In certi settori della chimica analitica come quello della determinazione di residui
negli alimenti di origine animale, tuttavia, la disponibilità di metodi standardizzati è
molto ridotta per via della continua evoluzione tecnico-scientifica che porta, per
così dire, ad un invecchiamento precoce di ogni procedura standardizzata. Inoltre,
la mancanza di metodi ufficiali permette ai laboratori quella flessibilità necessaria a
intervenire tempestivamente allorquando si creano emergenze nel territorio.
Il rovescio della medaglia è che nella maggior parte dei casi il laboratorio è
costretto, quindi, ad utilizzare un metodo proprio (interno) ed a validarlo. Di
conseguenza l’Unione europea, che ha come fine ultimo la tutela della salute
pubblica, impone ai propri laboratori ufficiali sempre più stringenti provvedimenti
legislativi che trattano sia delle modalità con cui deve avvenire la validazione sia
dei requisiti minimi che i metodi impiegati devono obbligatoriamente possedere.
Luigi Masciali
5
Questi requisiti si aggiungono e completano quelli richiesti dalla norma ISO 17025.
E’ impossibile fissare a priori i criteri di qualità di un metodo, poiché questi non
possono che essere strettamente legati al suo scopo d’utilizzo. Comunque, per
procedure quantitative, esistono, ad esempio, criteri di accettabilità massima
riconosciuti a livello internazionale per precisione ed esattezza: generalmente,
tanto minore è la concentrazione (C) dell’analita da determinare, tanto più è il
grado di imprecisione ed inesattezza accettabile.
Riguardo alla precisione, per prove condotte in condizioni di riproducibilità, la
deviazione standard relativa percentuale (CV%) della media non deve superare i
valori calcolabili con l’equazione proposta da Horwitz:
CV(%)=2(1-0.5logC)
Si è osservato, tuttavia, che l’equazione di Horwitz non è adeguata per
concentrazioni “estreme” (inferiori a 120 µg/kg e superiori al 14%): in questi casi si
deve ricorrere a formule corrette.
Anche per l’esattezza esistono tabelle di riferimento, riportate anche a livello
normativo, che indicano la percentuale di analita recuperabile in funzione della sua
concentrazione: ad esempio, per livelli inferiori ad 1 µg/kg, il recupero può
realisticamente oscillare tra il 50 e il 120%, mentre tra 1 e 10 µg/kg esso deve
essere compreso nel range tra il 70 e il 110%.
Se la confrontabilità dei risultati è l’obiettivo principale di un Sistema Qualità, la
sua realizzazione comporta anche aspetti legati all’interpretazione del dato
analitico che coinvolgono la disponibilità di informazioni sul processo di
misurazione. Se in passato, infatti, il solo superamento di una specifica (di legge o
definita dal committente) dava automaticamente luogo ad un giudizio di non
conformità per un dato prodotto, oggi è ormai necessaria una valutazione
dell’incertezza di misura associata al risultato che determina l’intervallo, entro cui,
ad un determinato livello di probabilità (in genere il 95%), può cadere il misurando.
Infatti, il risultato esprime solo un valore medio e dovendo confrontare, ad
esempio, un esito rispetto ad un limite superiore solo il posizionamento dell’intero
intervallo determinato dall’incertezza al di sopra del limite stesso può determinare
una non conformità del prodotto analizzato, al di là del ragionevole dubbio.
Inoltre, un altro punto fondamentale è quello legato al recupero che, nell’ambito
Luigi Masciali
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dei metodi per la determinazione dei residui, rappresenta la fonte più significativa
e, spesso non trascurabile, di errore sistematico. Quindi, dovendo confrontare due
risultati tra loro, deve essere esplicitata la modalità di calcolo del risultato,
dichiarando se sia stata effettuata la correzione per il fattore di recupero o meno.
Quando possibile, è preferibile eliminare l’errore sistematico attuando la
correzione.
1.2.
Parametri caratteristici di un metodo analitico
Nella validazione di un metodo vengono valutati i parametri che ne definiscono le
caratteristiche e, quindi, sostanzialmente i risultati che esso è in grado di fornire.
Questi parametri sono:
•
Accuratezza: grado di accordo fra il risultato di una misurazione e il valore di
riferimento accettato per il misurando.
•
Esattezza: grado di accordo fra il valore medio ottenuto da una serie di risultati
e il valore di riferimento accettato per il misurando.
•
Incertezza: parametro associato con il risultato di una misurazione che
caratterizza la dispersione dei valori che potrebbero ragionevolmente essere
attribuiti al misurando;
•
Intervallo di lavoro: intervallo di misura entro cui vengono garantite le
condizioni di accuratezza e precisione del metodo;
•
Intervallo di linearità: intervallo di misura entro cui la relazione tra grandezza
misurata e concentrazione del misurando é lineare;
•
Limite di quantificazione (LOQ): minima concentrazione di analita che può
essere analizzata con ragionevole affidabilità da una certa procedura analitica;
•
Limite di rilevabilità (LOD): minima concentrazione di analita rilevabile con
ragionevole affidabilità da una certa procedura analitica. In altri termini è la
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concentrazione corrispondente al minimo segnale significativamente diverso
da quello del bianco;
•
Precisione: grado di accordo tra risultati di prove indipendenti ottenuti con un
procedimento di analisi in condizioni ben specificate. Essa è generalmente
espressa tramite lo scarto tipo s (deviazione standard):
n
s=
2
∑ ( x i − x)
i−1
n −1
Dove:
n = numero di misurazioni
xi = esimo valore di una misurazione
x = il valore medio delle misurazioni
Spesso è utile utilizzare, come misura della dispersione dei dati, il coefficiente di
variazione (CV) che è dato da:
CV =
s
x
Il coefficiente di variazione è in sostanza uno scarto tipo relativo, a volte anche
indicato con la sigla RSD (relative standard deviation).
La precisione è valutabile a tre livelli dipendentemente dal numero di fattori che
vengono variati durante le diverse serie di esperimenti di validazione:
-ripetibilità stretta o ripetibilità
-ripetibilità intermedia
-riproducibilità interlaboratorio
La ripetibilità stretta esprime la concordanza tra i risultati di prove reciprocamente
indipendenti effettuate in condizioni di ripetibilità stretta ovvero con lo stesso
metodo, su un identico materiale, nello stesso laboratorio in un breve intervallo di
Luigi Masciali
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tempo, con la stessa apparecchiatura e operatore. La ripetibilità stretta è espressa
tramite lo scarto tipo (deviazione standard) di ripetibilità, sr.
Ai fini pratici per la verifica della ripetibilità stretta si utilizza il cosiddetto limite di
ripetibilità, r. Esso è calcolato come segue:
r = t 0.95;veff ⋅ s r ⋅ 2
Questa formula esprime sostanzialmente il criterio di accettabilità per i risultati (x1
e x2) una prova condotta in doppio. I valori numerici ottenuti per r costituiscono,
infatti, i dati a cui fare riferimento durante una sperimentazione nel senso che deve
essere osservata la condizione espressa dalla relazione:
x1 − x 2 ≤ r
Quindi se la differenza tra due risultati supera il valore del limite di ripetibilità in
una determinazione in doppio, gli stessi sono da considerarsi sospetti.
La ripetibilità intermedia esprime la concordanza tra i risultati di prove
reciprocamente indipendenti effettuate in condizioni di ripetibilità intermedia,
ovvero con lo stesso metodo, su un identico materiale, nello stesso laboratorio,
con diversi operatori che usano diverse apparecchiature (quando possibile) ad
intervalli di tempo relativamente lunghi. La ripetibilità intermedia viene anche
indicata come riproducibilità intra-laboratorio ed è espressa tramite lo scarto tipo
(deviazione standard) di ripetibilità sR.
Le condizioni in cui vengono effettuate le prove di ripetibilità intermedia devono
essere ben specificate; esse sono individuate generalmente dalla variazione dei
quattro fattori sopra riportati (operatore, tempo, apparecchiatura e taratura
dell’apparecchiatura). Quindi esistono diverse ripetibilità intermedie a seconda che
siano uno o più fattori ad essere variati.
La riproducibilità interlaboratorio esprime la concordanza fra i risultati ottenuti da
prove indipendenti ottenuti in condizioni di riproducibilità, ovvero utilizzando lo
stesso metodo, lo stesso materiale, ma in laboratori diversi e, come è ovvio, con
apparecchiature e operatori diversi. La riproducibilità interlaboratorio può essere
Luigi Masciali
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valutata mediante studi collaborativi effettuati in accordo con quanto prescritto
dagli enti o dalle associazioni internazionali (AOAC, IUPAC e ISO). Essa viene
espressa tramite lo scarto tipo di riproducibilità interlaboratorio (deviazione
standard) di ripetibilità, SR;
•
Recupero: quantità di analita presente o aggiunto all’aliquota da saggio che
viene estratto e determinato;
•
Robustezza: capacità posseduta da un metodo di non essere influenzato
significativamente, in termini di risultati finali, per effetto di variazioni deliberate
introdotte nelle sue fasi di realizzazione;
•
Selettività: capacità di una tecnica analitica di non risentire della presenza di
interferenti o di altri componenti diversi dall’analita in esame. Talvolta si usa il
termine specificità per esprimere la stessa proprietà;
•
Sensibilità: variazione della risposta di uno strumento di misurazione diviso
per la corrispondente variazione dello stimolo (concentrazione).
1.3. Test statistici e loro utilizzo nella validazione di un metodo analitico
La determinazione di molti dei parametri riportati nel paragrafo precedente
(precisione, esattezza, incertezza di misura…) presuppone il passaggio dai dati
grezzi a quelli in forma elaborata. Per dati grezzi si intendono i risultati così come
ottenuti durante la serie di esperimenti ripetuti effettuati utilizzando il metodo che si
desidera validare. Tali dati vanno poi analizzati con strumenti statistici per
verificare varie ipotesi: distribuzione normale,
presenza di dati aberranti,
omoschedasticità e uguaglianza delle medie. Lo schema operativo può essere
riassunto dal diagramma di Figura 1.
Luigi Masciali
10
Dati sperimentali grezzi
Test di normalità (Shapiro-Wilk)
Test di anomalia (Dixon, Grubbs)
Dati anomali
eliminati
SI
NO
Calcolo dei parametri statistici
x ,sr , r, CV
Elimina dati
per l’operatore
più variabile
Test per
l’omoschedasticità
Omoschedasticità
No omoschedasticità
t-test
tsper>ttab
SI
NO
Elimina dati
operatore
più lontano
dalla media
Parametri della
riproducibilità
intralaboratorio
X , Sr
Figura 1 – Diagramma di flusso dello schema procedurale nella validazione
di un metodo analitico-
Luigi Masciali
11
Nei paragrafi successivi verranno illustrati i principali test per la verifica delle varie
ipotesi.
1.3.1.
Verifica della normalità dei dati
Quando taluni eventi (errori) si verificano in modo casuale, significa che sono
indipendenti l’uno dall’altro. Gli errori associati ad una misurazione sono di tipo
casuale e tendono a distribuirsi in modo caratteristico ad entrambi i lati del valore
medio. All’aumentare del numero delle misure effettuate, se si diagramma la
frequenza in funzione della concentrazione misurata, si osserva una distribuzione
che, per un numero infinito di misure, è di tipo gaussiana. Empiricamente si
osserva che la distribuzione dei dati provenienti dalla maggior parte degli
esperimenti di analisi si avvicina ad una distribuzione di tipo gaussiana.
Il test di Shapiro-Wilk è utilizzato per verificare se i dati sperimentali di un insieme
di misure siano distribuiti normalmente, ovvero secondo il modello gaussiano.
L’ipotesi nulla è che i dati appartengano ad una popolazione avente una
distribuzione normale. Se questo test non è superato, è necessario verificare
l’intera procedura analitica perché è probabile che l’anomalia sia dovuta ad errori
sistematici.
Per eseguire il test si procede nel modo seguente:
Disporre in ordine crescente i risultati delle n misure:
x1 < x2 < x3 < … < xn
Calcolare il valore medio xɸ , e la somma dei quadrati degli scarti (SQ)
con la seguente formula:
n
SQ =
∑
i =1
n
( xi − x ) = ∑ ( xi )
2
i =1
2
n

− 1 ∑ ( x i ) 
n  i =1

2
dove:
i indica il numero progressivo attribuito a ciascuno degli n dati disposti in ordine
crescente.
Luigi Masciali
12
Calcolare il parametro b, dove i coefficienti ai sono tabulati in funzione
del numero dei dati n e di i, e riportati in tabella nell’Allegato 1.
k
b = ∑ ai ( x n −i +1
i =1
− xi )
dove:
k = n/2 se n è pari;
k = (n-1)/2 se n è dispari.
Calcolare il parametro W
W=
b2
SQ
Consultando apposite tabelle si individua il parametro critico Wcrit (Allegato 1) in
funzione del numero dei dati n e del livello di probabilità p (0.90, 0.95 o 0.99), e lo
si confronta con il valore W calcolato. Se risulta:
W > Wcrit
allora si può ritenere che i dati ottenuti seguano effettivamente una distribuzione
normale o di Gauss.
1.3.2.
Verifica della presenza di dati anomali
Quando si ha una serie di misure può accadere che una di esse sia lontana dalle
altre in maniera evidente. Un dato di questo tipo è ritenuto quindi sospetto e viene
definito outlier. Il problema è se questo dato debba essere considerato valido o se
debba essere eliminato. Esistono diversi test utilizzabili per effettuare questa
verifica. Tra questi i più noti sono il test di Dixon, di Grubbs e di Huber. Di seguito
si descrive nel dettaglio il test di Dixon.
Test di Dixon
Il test viene applicato ai valori estremi dei dati, mettendo in evidenza se una certa
misurazione si discosti o meno dall’insieme dei dati in esame. I valori calcolati
devono essere poi confrontati con quelli riportati in apposite tabelle (Allegato 2) e
Luigi Masciali
13
risultare inferiori a questi affinché il dato esaminato possa essere considerato non
anomalo e quindi mantenuto. Se, invece, viene confermata l’ipotesi di dato
aberrante questo va eliminato poiché esso è frutto di un errore grossolano e quindi
non fa parte della popolazione normale dei dati affetta da soli errori casuali.
Per eseguire il test di Dixon occorre disporre la serie di dati ottenuta dagli
esperimenti ripetuti della validazione in ordine crescente, numerandoli a
cominciare dal primo (x1) fino all’ultimo (xn), e in rapporto al fatto che il dato
ritenuto anomalo sia il primo o l’ultimo della serie, si procede al calcolo di un
opportuno parametro R per mezzo di una delle formule riportate di seguito, a
seconda del numero n di dati disponibili.
Sospetti minimi
3≤ n ≤ 7
R10 = (x2 – x1)/(xn – x1)
8≤ n ≤ 12
R11 = (x2 – x1)/(xn-1 – x1)
13≤ n ≤40 R22 = (x3 – x1)/(xn-2 – x1)
oppure
oppure
oppure
Sospetti massimi
R10 = (xn – xn-1)/(xn – x1)
R11 = (xn – xn-1)/(xn – x2)
R22 = (xn – xn-2)/(xn – x3)
Se R calcolato risulta uguale o superiore ai corrispondenti valori Rcrit riportati nella
tabella in Allegato 1 ai livelli di fiducia del 5% (α = 0.05) o 1% (α = 0.01), il dato in
questione ha la probabilità del 95% o del 99%, rispettivamente, di essere
aberrante e quindi dovrebbe essere scartato.
1.3.3.
Verifica dell’uguaglianza delle varianze
Si tratta di test per verificare la similarità tra due (F-test) o più varianze (Cochran).
a) Test-F
Questo test è utilizzato per verificare se le dispersioni (varianze) di due gruppi
possono essere considerate statisticamente uguali. La condizione per la sua
applicazione è che le popolazioni da cui sono ricavate le due varianze
campionarie siano distribuite normalmente.
Si effettua calcolando il valore del rapporto Foss ponendo al numeratore la varianza
più elevata ed al denominatore quella meno elevata:
Foss
Luigi Masciali
s12
= 2
s2
14
Si confronta poi l’Foss con l’F tabulato (Ftab) presente nelle tabelle della
distribuzione di Fisher in Allegato 3. Se:
Foss < Ftab
è
verificata
l’ipotesi
di
omogeneità
delle
varianze
dei
due
gruppi
(omoschedasticità).
b) Test di Cochran
Permette la verifica dell’omogeneità delle varianze per p gruppi. L’ipotesi che sta
alla base della verifica secondo Cochran considera che l’eventuale non
omogeneità delle varianze dei risultati dei diversi gruppi sia dovuta al valore molto
elevato di una di esse rispetto alle altre.
Dati p scarti tipo si, tutti calcolati con lo stesso numero n di repliche, la grandezza
statistica di Cochran Coss è data dall’equazione:
2
s max
C oss =
p
2
∑ si
i =1
dove smax è lo scarto tipo più elevato fra quelli dei p gruppi. Il valore
sperimentalmente ottenuto di Coss viene confrontato con quello critico Ccrit al livello
di confidenza del 95%. Se risulta Coss ≤ Ccrit se ne deduce che le varianze sono
omogenee. In caso contrario l’ipotesi di omogeneità delle varianze è rigettata.
Il criterio di Cochran può applicarsi strettamente solo nel caso in cui gli scarti tipo
siano stati tutti calcolati per gruppi di dati che hanno il medesimo numero n di
risultati di prova, ottenuti in condizioni di ripetibilità. In pratica spesso tale numero
può essere anche diverso a causa di dati mancanti o eliminati; l’applicabilità del
test resta valida nel caso di piccole differenze nel numero dei risultati tra i gruppi.
In ogni caso esistono test alternativi per la verifica dell’omoschedasticità fra più di
due gruppi di numerosità diversa.
1.3.4.
Verifica dell’uguaglianza delle medie
Il confronto tra le medie ci permette di sapere se due o più operatori ottengono gli
stessi risultati analizzando lo stesso materiale. I parametri considerati sono il
Luigi Masciali
15
numero delle prove effettuate, la media e la deviazione standard dei risultati
ottenuti.
La verifica dell’uguaglianza di due valori medi viene effettuata con un test-t.
Calcolando il tsper e confrontandolo con il ttab (Allegato 4)possiamo affermare che
l’uguaglianza delle medie tra i due operatori è verificata se tsper< ttab.
La formula che ci permette di calcolare il tsper è:
(x1 − x2 )
t sper =
s pooled
1 1
+
n1 n2
Nel caso si debbano confrontare più di due medie si utilizza l’analisi della varianza
(ANOVA).
1.4. L’incertezza di misura
L’incertezza di misura è il parametro associato al risultato di una misurazione che
caratterizza la dispersione dei valori ragionevolmente attribuibili al misurando. Un
risultato analitico, quindi, non è da considerarsi completo, né interpretabile, né
confrontabile con valori di riferimento (di legge, del committente..), se non è
accompagnato dalla sua incertezza. La conoscenza dell'intervallo dell’incertezza
fornisce indicazioni sulle prestazioni del metodo.
L’incertezza include tutti i tipi di variabilità (errore) che possono affliggere i risultati
ottenuti
durante
l’esecuzione
di
un
procedimento
analitico
che
sono
sostanzialmente riconducibili a due tipi:
•
SCARTO ALEATORIO (chiamato anche errore casuale): componente dello
scarto che nelle misurazioni ripetute varia in modo non prevedibile.
•
SCARTO SISTEMATICO (chiamato anche errore sistematico): definito
come la componente dello scarto che, nelle misure ripetute, resta costante
o varia in modo prevedibile.
Per avere una stima dell’incertezza di misura associata ad un risultato
bisognerebbe effettuare diverse prove l’una completamente indipendente dall’altra
e, quindi, valutare la variabilità complessiva dei dati. In un singolo laboratorio,
Luigi Masciali
16
tuttavia, la completa indipendenza delle misurazioni non può essere ottenuta
perché le determinazioni ripetute avranno sempre in comune un qualche fattore,
quale l’operatore, la taratura degli strumenti, i reagenti utilizzati per la conduzione
delle analisi o ancora le condizioni di laboratorio (temperatura, pressione, ecc.).
Per ottenere risultati completamente indipendenti, quindi, il laboratorio dovrebbe
variare tutti questi parametri al fine di ottenere una stima realistica della precisione
(espressa come scarto tipo), ma siccome ciò non è possibile, una stima
sperimentale adeguata dell’incertezza si ottiene solo mediante l’utilizzo di più
laboratori (studi collaborativi). In questo modo il valore ottenuto per la
riproducibilità interlaboratorio si avvicina all’incertezza di misura, detta più
propriamente incertezza composta.
Considerando una distribuzione di tipo gaussiano, il livello di confidenza che si
ottiene tramite l’utilizzo dello scarto tipo di riproducibilità tout court è del 68% circa.
Tale percentuale non è sufficiente: il grado di significatività deve essere aumentato
fino al 95% e perciò il valore ottenuto dell’incertezza composta deve essere
moltiplicato per un opportuno fattore di copertura k. In questo modo otteniamo la
cosiddetta incertezza estesa (U). Il valore del fattore di copertura è legato al t di
Student e dipende dal numero di gradi di libertà del sistema.
Potendo quindi disporre dei dati effettuati da diversi laboratori è possibile utilizzare
per la valutazione dell’incertezza di misura l’approccio olistico o top-down che è
quello basato sugli studi collaborativi (collaborative trials) come strumento per
ottenere la massima variazione di tutte le possibili fonti di incertezza a cui è
soggetta una metodica. Riassumendo, l’approccio olistico è approntato sulla
collaborazione di più laboratori che utilizzano lo stesso metodo di prova per la
misura dello stesso parametro sulla stessa matrice. La riproducibilità (SR) del
metodo permette di attribuire alla stessa il valore dell’incertezza composta e,
quindi, grazie all’opportuno fattore di copertura, dell’incertezza estesa. Il maggior
vantaggio dell’approccio top-down è la casualità degli errori sistematici dei
laboratori.
Sfortunatamente in molti settori della chimica analitica non sono disponibili studi
collaborativi da cui ricavare la riproducibilità interlaboratorio e quindi l’incertezza di
misurazione. Gli studi, infatti, sono costosi e di difficile realizzazione. Non potendo
quindi variare tutti i possibili fattori in un singolo laboratorio, spesso viene utilizzato
un altro metodo per il calcolo dell’incertezza di misura. Si tratta dell’approccio
Luigi Masciali
17
metrologico o bottom-up che deriva originariamente dalla metrologia, ma è stato
applicato più di recente sia alla chimica che alla microbiologia. Si tratta in realtà
del metodo più rigoroso in grado di tener conto di tutti i contributi all’incertezza, ma
esso è purtroppo di difficile applicazione alle analisi chimiche complesse come
quelle effettuate su matrici alimentari per la determinazione di contaminanti
presenti in tracce.
Attualmente in queste situazioni l’approccio più utilizzato è, per così dire, un ibrido
tra il metodo olistico e quello metrologico puro, in quanto l’applicazione di
quest’ultimo è integrata con il ricorso ai dati sperimentali della precisione ed
esattezza ottenuti durante la validazione e/o il controllo di qualità interno. In
sostanza, ai contributi all’incertezza sperimentalmente determinati, si aggiungono
quelle fonti non comprese in queste facendo attenzione a non “duplicare”, cioè a
non contare due volte lo stesso contributo.
L’approccio metrologico (ibrido) viene generalmente suddiviso in quattro fasi:
•
Prima fase: specificazione del misurando
•
Seconda fase: identificazione delle fonti di incertezza
•
Terza fase: quantificazione dell’incertezza
•
Quarta fase: calcolo dell’incertezza composta ed estesa
Le fasi sono schematizzate in Figura 2.
Luigi Masciali
18
Specificare
il misurando
INIZIO
Fase 1
Fase 2
Identificare
le fonti d’incertezza
Fase 3
Semplificare raggruppando
le fonti per le quali
vi sono dati esistenti
Quantificare le componenti
raggruppate
Quantificare le componenti
residue
Convertire le componenti in
scarti tipo
Fase 4
Calcolare l’incertezza
composta
Effettuare una verifica e, se
necessario, valutare
nuovamente le componenti
maggiori
FINE
Calcolare l’incertezza
estesa
Figura 2 - Le fasi nella la stima dell’incertezza
Luigi Masciali
19
La prima fase consiste nel definire chiaramente e in modo univoco cosa si sta
misurando, comprese le relazioni tra il misurando e le grandezze d’ingresso dalle
quali il misurando dipende (es. grandezze misurate, costanti, valori di campioni di
taratura, ecc.). Ove possibile, vanno incluse le correzioni per gli effetti sistematici
noti. Queste informazioni dovrebbero essere riportate nella relativa Procedura
Operativa (PO) o altro documento che descriva il procedimento di misurazione.
Nella seconda fase sono elencate le possibili fonti d’incertezza. L’elenco deve
includere le fonti che contribuiscono all’incertezza sui parametri nella relazione
specificata nella Fase 1, ma potrebbe comprenderne altre e deve includere le fonti
d’incertezza che derivano da ipotesi di carattere chimico. In questa fase possono
essere molto utili i diagrammi di causa-effetto a spina di pesce (Figura 3, pag 42)
Nella terza fase si misurano o stimano le entità delle componenti dell’incertezza
associate con ciascuna potenziale fonte d’incertezza identificata. Spesso è
possibile stimare o determinare in un singolo contributo l’incertezza associata con
un certo numero di fonti diverse. È importante anche considerare se i dati
disponibili tengano adeguatamente conto di tutte le fonti d’incertezza, e pianificare
attentamente studi ed esperimenti aggiuntivi per garantire che tutte le fonti
d’incertezza siano state adeguatamente prese in considerazione.
Quarta fase: le informazioni ottenute nella Fase 3 consistono in un certo numero di
contributi quantificati all’incertezza globale, ciascuno associato o con una singola
fonte o con gli effetti combinati di numerose fonti. I contributi devono essere
espressi come scarti tipo e combinati secondo appropriate regole matematiche per
ottenere un’incertezza tipo composta. L’incertezza estesa può essere calcolata
applicando il fattore di copertura (k) appropriato. Tale fattore di copertura, k,
dipende dalla probabilità che utilizziamo (solitamente pari al 95%) e dai gradi di
libertà effettivi: esso coincide con la distribuzione t di Student che al 95% di
probabilità e con un discreto numero di prove effettuate tende ad un valore pari a
2. Conoscendo il valore dell’incertezza estesa abbiamo, infine, una stima
dell’intervallo contenente tutte le incertezze conosciute e non conosciute del
metodo di prova.
Luigi Masciali
20
1.5. Obiettivo del lavoro di tesi
Questo lavoro si propone di mostrare come, dai dati grezzi ottenuti dagli
esperimenti di validazione di un metodo tradizionale per la determinazione di
mercurio in alimenti, si arrivi a verificare, attraverso una procedura piuttosto
complessa, se il metodo in questione abbia le caratteristiche di performances
richieste dal legislatore e possa quindi essere effettivamente utilizzato durante le
analisi di controllo ufficiale.
Luigi Masciali
21
2. DETERMINAZIONE DEL MERCURIO: METODI ANALITICI
2.1. Caratteristiche generali del mercurio
Il mercurio è uno degli elementi più rari; il suo contenuto nella crosta terrestre è
stimato essere dello 0.00005 %, così che esso occupa il 62° posto in ordine di
abbondanza nella lista degli elementi. Questa bassa presenza in natura non è
correlata alla grande importanza assunta dal mercurio in anni recenti. La sua
peculiarità risiede nella volatilità. Tutti i suoi composti sono volatili a temperature
inferiori ai 500 °C e decompongono facilmente, spec ie in presenza di agenti
riducenti, a metallo libero. Il mercurio ha una tensione di vapore particolarmente
elevata: 0.0017 mbar a 20°C. Le principali sorgenti di mercurio sono le
precipitazioni atmosferiche e l’attività vulcanica.
In contrasto con la forma liquida, i vapori mercurio sono estremamente tossici. I
composti del mercurio bivalente sono i più tossici. La tossicità dipende
direttamente dalla solubilità della catena alchilica;
ciò comporta una forte
tendenza al bioaccumulo con conseguente lenta eliminazione. In particolar modo il
metil mercurio: CH3Hg+ che presenta un legame molto stabile e un’alta lipofilia che
gli permette di superare la barriera emato-encefalica. Inoltre, il metil mercurio
forma composti con ligandi biologici e ciò porta ad un aumento dell’emivita. Esso,
inoltre, è in grado di attaccare le funzioni motorie del sistema nervoso centrale.
2.2. La spettrofotometria di assorbimento atomico (AAS)
La spettrofotometria di assorbimento atomico è una tecnica molto utilizzata per
l’analisi di metalli, essa si basa sull’assorbimento, da parte degli atomi, di alcune
radiazioni di definita lunghezza d’onda. L’assorbimento atomico è seguito da un
processo di rilassamento che avviene per via non radiante (termica) o radiante
(emissione di radiazioni).
L’assorbimento è direttamente proporzionale all’intera popolazione di atomi
presenti nel cammino ottico e quindi alla concentrazione dell’elemento nel
campione. La strumentazione utilizzata può essere schematizzata come segue:
Luigi Masciali
22
Lo spettrofotometro per AA può essere monoraggio e doppio raggio. Il raggio
emesso dalla sorgente attraversa il sistema di atomizzazione, che contiene il
campione allo stato di gas atomico, arriva al monocromatore, che elimina le
radiazioni che non interessano; quindi la radiazione monocromatica passa al
rivelatore. La luce dalla sorgente viene modulata (pulsata) mediante un chopper.
La modulazione viene fatta, in modo da distinguere la luce emessa dalla lampada
dalla luce emessa dall’atomo eccitato. Il sistema doppio raggio consente di
compensare le variazioni di intensità della sorgente o di sensibilità del rivelatore.
2.2.1. Le sorgenti
L’AA è usato per le analisi quantitative, quindi non è necessaria una lampada che
emetta in tutto il campo spettrale. Per questo è indispensabile usare sorgenti che
emettano spettri di righe, che hanno bande passanti molto piccole (0.002 nm). Per
evitare che l’energia assorbita dal campione sia troppo bassa rispetto a quella
emessa dalla lampada è necessario usare radiazioni monocromatiche; le
radiazioni della sorgente devono essere molto intense, per compensare le
dispersioni di energia che si verificano nel sistema.
La lampada più usata è quella a catodo cavo costituita da un bulbo in vetro, con
finestra di quarzo in cui sono presenti un catodo e un anodo; l’ambiente interno e
riempito di gas (Ar o Ne). Il catodo è costituito da una capsulina che, nel fondo,
contiene l’elemento caratterizzante della lampada. Quando viene applicata una
d.d.p. agli elettrodi, il gas di riempimento si ionizza (+); gli ioni positivi urtano il
catodo provocando l’espulsione degli atomi superficiali, i quali eccitati dal gas di
riempimento, ritornano allo stato fondamentale emettendo energia radiante.
Queste lampade possono essere: a singolo elemento o multi elemento, meno
sensibili di quello a singolo elemento perché possono dare sovrapposizione fra le
righe spettrali.
2.2.2. I sistemi di atomizzazione
a) Atomizzazione a fiamma (FAAS)
È costituito da un tubo cilindrico diviso in due zone, la camera di nebulizzazione e
la camera di premiscelazione; il tutto è collegato ad una testata dove avviene la
combustione e l’atomizzazione. Il campione viene aspirato nel nebulizzatore,
Luigi Masciali
23
trasformato in aerosol e immesso nella camera di premiscelazione, dove si
mescola con il gas combustibile e con il gas comburente (ossidante, es.: aria). Il
gas comburente serve per mantenere viva la fiamma, ma funge anche da gas di
trasporto nel nebulizzatore; ciò consente di variare il flusso del nebulizzatore
senza variare il flusso alla testata. Nella camera di premiscelazione è presente un
dispositivo che serve per abbattere le goccioline di soluzione troppo grosse. La
velocità con cui il nebulizzatore aspira deve essere regolata ed ottimizzata ogni
volta che si inizia un’analisi; la velocità non deve superare un certo valore perché
abbasserebbe la temperatura della fiamma riducendo l’efficienza di atomizzazione
(quindi, la sensibilità dell’analisi). Tutti i materiali sono inerti. La testata del
bruciatore è in titanio, per resistere alla corrosione e al calore. Possono essere
usati vari tipi di fiamma a seconda dell’elemento da analizzare: aria-acetilene
(2300 °C), aria-idrogeno (2050 °C), protossido d’az oto-acetilene (2800 °C) e
aria/argon-idrogeno (300-800 °C). Nei bruciatori co n premiscelazione, solo una
piccola frazione di soluzione aspirata giunge alla fiamma.
b) Il fornetto di grafite
Il sistema di atomizzazione senza fiamma è chiamato a fornetto di grafite e la
relativa tecnica GFAAS. Si tratta di un sistema interamente automatizzato, che
consente di abbassare notevolmente (1000 volte) i limiti di rivelabilità; inoltre
consente di lavorare su aliquote molto piccole di campione. Un piccolo volume di
campione viene introdotto nel tubo di grafite, posto sul cammino ottico della
radiazione emessa dalla sorgente. Nel tubo fluisce un gas inerte, che espelle l’aria
rendendo l’atmosfera non ossidante e quindi adatta a far rimanere gli atomi del
campione allo stato fondamentale. Il tubo viene riscaldato elettricamente secondo
un programma a tre stadi, condotti a temperature crescenti:
•
Evaporazione del solvente
•
Incenerimento
•
Atomizzazione
La misura di assorbimento viene fatta sui vapori atomici che si liberano
rapidamente nello stadio finale del riscaldamento. Il segnale che si ottiene è un
picco la cui area (altezza) è direttamente proporzionale alla massa dell’analita.
Luigi Masciali
24
c) Altri sistemi di atomizzazione senza fiamma
Il sistema utilizzato per la determinazione del mercurio è detto a vapori freddi
(CVAAS) e verrà trattato nei paragrafi successivi. Il campione viene fatto reagire
con un potente riducente (SnCl2 o NaBH4). Gli atomi di mercurio (Hg0) vengono
allontanati dalla soluzione facendo gorgogliare un gas nella soluzione, che viene
successivamente indirizzata nella cella a tubo orizzontale di uno spettrofotometro
attraversata dalla radiazione. Con questo metodo è possibile rilevare tracce di
mercurio fino a ca. 10 ng/l.
Nel sistema di campionamento a idruri volatili si preparano gli idruri dei metalli da
determinare per reazione con NaBH4. Gli idruri vengono trascinati, mediante
correnti di Argon, su una fiamma argon-idrogeno. Il segnale è un picco, la cui
altezza è direttamente proporzionale alla concentrazione del metallo nel
campione. Con questa tecnica i limiti di rivelabilità si abbassano fino al di sotto dei
µg/l.
2.3. L’analisi del mercurio
La stabilità delle soluzioni di mercurio rappresenta un grande problema nella sua
determinazione a livello di tracce o di ultratracce.
Le cause della perdita di Hg possono essere diverse: la volatilizzazione o la
riduzione dei suoi composti, l’adsorbimento del metallo sulle pareti del contenitore,
il suo adsorbimento sulle particelle sospese e sui colloidi, l’inclusione del Hg in
complessi stabili che eludono la determinazione e, infine, l’inclusione in amalgami
stabili. La conservazione di soluzioni di mercurio prima dell’analisi richiede, quindi,
solitamente l’aggiunta di un acido e di un agente ossidante: in questo modo, si
prevengono sia l’adsorbimento che la riduzione.
Le soluzioni di metil-Hg conservate in contenitori di vetro scuro sono stabili per
circa 5 giorni, ma se vengono aggiunti 50 g/L di NaCl, dopo 10 giorni, permane
circa il 95% del metil-Hg, dopo 30 giorni circa il 90%, mentre in assenza di NaCl
dopo 20 giorni circa è disponibile solo il 10%. Recipienti in polietilenetereftalato
sono migliori rispetto a quelli in vetro per la conservazione del metil-Hg. Con
questi tipi di contenitori è possibile una conservazione per diversi mesi. Questo
tipo di conservazione non può essere effettuata per i composti inorganici dato che
la perdita di Hg è dovuta all’adsorbimento.
Luigi Masciali
25
Il Mercurio deve essere generalmente determinato in tracce. La FAAS (Flame
Atomic Absorption Spectroscopy), poco usata, presenta una concentrazione
caratteristica alla lunghezza d’onda di 253.7 nm di ben 5 mg/L. Questa bassa
sensibilità è dovuta al fatto che la linea di risonanza per la transizione dallo stato
fondamentale a quello eccitato è a 184.9 nm nell’UV e l’utilizzo di queste
lunghezze d’onda non è possibile con i normali strumenti.
Oggi il mercurio è quindi determinato prevalentemente con la tecnica CVAAS
(Cold Vapor Atomic Absorption Spectroscopy). Con questa tecnica può essere
determinato il solo Hg2+ inorganico, ma i composti organici possono essere
convertiti in Hg2+ prima della misura. Ciò avviene mediante una digestione
ossidativa operata con permanganato di potassio o dicromato di potassio in
soluzione di acido solforico.
2.3.1. La tecnica ai vapori freddi
Dato che la tossicità del mercurio è nota da molto tempo, vi è sempre stato un
grande interesse a sviluppare tecniche sensibili per la sua determinazione. Il
mercurio è il solo elemento metallico che presenta una tensione di vapore di
0.0016 mbar a 20°C, corrispondente ad una concentra zione di circa 14 mg/m3 di
mercurio atomico in fase vapore e, proprio in virtù di questa sua caratteristica, è
possibile determinarlo con la cosiddetta tecnica ai vapori freddi (CVAAS), durante
l’esecuzione della quale il mercurio deve essere ridotto in forma metallica dai suoi
composti e trasferito in fase vapore.
La tecnica da cui deriva l’attuale metodo dei vapori freddi fu scoperta da Poluektov
e Vitkun. Durante i loro studi sulla determinazione del mercurio con FAAS, essi
scoprirono un inusuale incremento nell’assorbanza, da uno a due ordini di
magnitudo, se si aggiungeva cloruro di stagno (II) al campione che veniva
aspirato. L’effetto era dovuto all’azione riducente di questo reagente il quale
garantisce che tutto il mercurio aspirato passi nella fiamma in forma atomica.
Successivamente vennero eliminati il nebulizzatore e la fiamma: il campione era
fatto passare attraverso l’aria dopo l’aggiunta di cloruro di stagno e portato ad una
cella di quarzo di 30 cm montata sulla trave di radiazione dello spettrometro di
assorbimento atomico. Poluektov e collaboratori furono i primi ad usare la
riduzione del mercurio a mercurio metallico con cloruro di stagno(II) con AAS.
Hatch e Ott svilupparono poi questa tecnica e la ottimizzarono per l’analisi di
Luigi Masciali
26
metalli in rocce e in campioni solidi. Il primo sistema per la determinazione del
mercurio con la tecnica dei vapori freddi fu messo a punto nel 1971.
2.3.2. Il sistema per la generazione dei vapori freddi (batch system)
Nella normale apparecchiatura di laboratorio la soluzione in cui si deve misurare la
concentrazione del metallo è posta in un termos. L’aria è guidata fuori tramite un
gas inerte, il riducente (NaBH4, SnCl2) è quindi aggiunto alla soluzione, e la specie
gassosa dell’analita è trasferita dal flusso del gas inerte all’atomizzatore o alla
cella di assorbimento. In questa tecnica è generato un segnale tempo dipendente
e il profilo è largamente determinato dalla cinetica del rilascio dell’analita gassoso
dalla soluzione. Con il batch system il segnale misurato è proporzionale alla
massa dell’analita nella soluzione in esame e non alla sua concentrazione.
Un’altra peculiarità del batch system è la relazione tra la misura del volume totale
e il volume del campione test. Come già detto la misura del segnale è
proporzionale alla massa dell’analita ma la misura del volume gioca un ruolo
centrale perché modifica la sensibilità del metodo. Quest’effetto ha una grande
influenza sull’altezza dei picchi e risulta dal lento rilascio della specie gassosa
dell’analita
da
grandi
volumi.
L’esistenza
dell’effetto
dipende
anche
dall’apparecchiatura. Piccole variazioni nella misura del volume solitamente hanno
un’influenza insignificante.
La maggioranza dei contenitori di reazione per batch system sono disegnati per
contenere un grande volume, 50-100 mL, ma richiedono anche un volume minimo,
5-10 ml, per assicurarsi che la reazione avvenga. I volumi utilizzati per CVAAS
sono solitamente da 1 a 5 ml.
Il grande vantaggio del batch system è il grande volume che può essere utilizzato
e che produce una sensibilità relativa alta. In CVAAS possono essere usati volumi
superiori ai 250 ml. Il più grande svantaggio del batch system è la presenza di un
notevole volume morto che porta ad una relativa povera sensibilità assoluta. I due
effetti, in parte, presentano una mutua compensazione.
Uno svantaggio dei batch system è che sono sistemi manuali con una richiesta di
tempo e sforzo relativamente alta. Si è cercato di automatizzare questi sistemi ma
con scarso successo.
Quando il mercurio è determinato in tracce errori sistematici possono verificarsi
Luigi Masciali
27
soprattutto a causa del valore del bianco, della contaminazione dovuta a reagenti,
del tipo di laboratorio, dell’atmosfera e della perdita dovuta alla vaporizzazione,
dell’adsorbimento, o conversione chimica. Un problema è che il mercurio non può
essere ridotto da numerosi composti, particolarmente quelli organici, allo stato
elementare con riducenti usuali come il cloruro di stagno (II) o il tertaborato di
sodio. La determinazione deve essere spesso preceduta da una digestione che
può avere un’influenza decisiva sull’esattezza della determinazione.
Per quanto riguarda la preparazione del campione, come già detto, molti composti
organici del mercurio non possono essere determinati direttamente, ma devono
subire una digestione. Il cloruro di stannoso, infatti, non è capace di rilasciare il
mercurio dai composti organici o di ridurre i complessi di mercurio idrossido in
acqua a elemento. Per questo, prima della determinazione strumentale, è
indispensabile una digestione del campione. E’ importante che durante la
digestione venga mantenuto un alto potenziale di ossidazione per evitare che il
mercurio si riduca a mercurio elementare con conseguente perdita di analita.
La digestione può essere effettuata con reattivi acidi quali acido nitrico e acido
solforico con aggiunta di permanganato di potassio e anche in ambiente alcalino,
sempre utilizzando il permanganato. Il permanganato, però, ha l’inconveniente di
rappresentare una considerevole fonte di contaminazione, se non di purezza
adeguata. In alternativa, come catalizzatore per la digestione, può essere usato
pentossido di vanadio.
Una tecnica usata con grande successo negli ultimi anni per la digestione di tutti i
composti organici del mercurio in acqua e materiali biologici è la digestione in
permanganato di potassio e perossidosolfato di potassio in soluzione acida.
Questo metodo è vantaggioso nell’eseguire la digestione in quanto in un bagno di
ultrasuoni a 50°C viene ridotto l’utilizzo di reage nti e, inoltre, anche il rischio di
contaminazione è basso.
La digestione tramite il microonde è un’altra tecnica molto usata di recente per la
digestione di svariati materiali per la determinazione del mercurio. Un grande
vantaggio di questa tecnica è che è richiesta una bassa concentrazione di acidi.
Luigi Masciali
28
3. PARTE SPERIMENTALE
L’esecuzione degli esperimenti e l’elaborazione dei dati è stata effettuata presso il
Laboratorio di Chimica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle
Marche.
3.1. La procedura analitica
Il metodo analitico utilizzato in questo lavoro consente la determinazione del
contenuto totale di mercurio negli alimenti mediante la Spettroscopia di
Assorbimento Atomico ai Vapori Freddi (CVAAS). Brevemente: il campione è
mineralizzato con miscela solfonitrica. Lo ione mercurico, ridotto allo stato
metallico con cloruro stannoso, è quindi strippato dalla soluzione in corrente di
azoto. I vapori di mercurio sono convogliati in una cella cilindrica con finestra di
quarzo posta nel cammino ottico di uno spettrofotometro per assorbimento
atomico e la determinazione si esegue misurando l'assorbimento alla lunghezza
d'onda di 253.7 nanometri.
La reazione di riduzione del mercurio con cloruro stannoso è:
HgCl2 + SnCl2 → Hg + SnCl4
Materiali
•
Digestore costituito da un pallone con tacca a 100 mL munito di collo
smeriglio su cui è innestato un refrigerante ad aria in vetro
•
Micropipetta 100-1000 µL
•
Pipette tarate di varie dimensioni da 1, 2, 5, 10 e 20 mL
Reagenti
I reagenti utilizzati per analisi di mercurio in tracce sono del tipo “mercury free”
•
Acido solforico
•
Cloruro di sodio
•
Cloruro stannoso
•
Idrossilamina cloridrato
•
Miscela solfonitrica 1:1
•
Permanganato di potassio
Luigi Masciali
29
Soluzioni standard
Come materiale di riferimento viene utilizzata una soluzione commerciale di
mercurio certificata contenente 1000 mg/L. La soluzione madre di mercurio a 10
mg/L viene preparata prelevando 1000 µL di soluzione commerciale con una
micropipetta e portando a volume in matraccio tarato da 100 mL. La soluzione di
lavoro di mercurio 0.05 mg/L viene preparata prelevando 500 µL di soluzione a 10
mg/L con una micropipetta e si portano a volume in matraccio tarato da 100 mL.
Apparecchiature
•
Bilancia analitica (sensibilità 0.1 mg)
•
Bagnomaria termostatato a 50 °C
•
Omogenizzatore in acciaio inox
•
Dispositivo
per la riduzione del mercurio e trascinamento dei vapori,
costituito da un sistema chiuso di gorgogliamento e di una pompa
peristaltica per la generazione della corrente d'azoto.
•
Spettrofotometro di assorbimento atomico (Perkin Elmer 5100 PC) munito
di cella cilindrica di quarzo e di lampada a mercurio (a scarica o a catodo
cavo).
Procedura analitica
Prima
dell’analisi
i
campioni
di
tessuto
devono
essere
accuratamente
omogeneizzati. Si pesa alla bilancia analitica 1.0 ± 0.1 g di campione in un pallone
tarato con collo a smeriglio da 100 mL e si aggiungono 5 mL di acqua: disgregare
il tutto con leggera agitazione. Vengono quindi aggiunti 10 mL di miscela
solfonitrica e sul collo del pallone tarato si inserisce un refrigerante ad aria. Dopo
aver agitato lentamente per alcuni secondi, si pone la soluzione in bagnomaria
termostatato a 50 °C per circa 1 ora, si agita poi nuovamente per alcuni secondi e
si lascia in bagnomaria termostatato per altri 30 minuti. Dopo aver fatto raffreddare
la soluzione a temperatura ambiente, aggiungere lentamente, lungo le pareti, 50
mL di soluzione di permanganato di potassio al 4%, richiudendo immediatamente
con il tubo refrigerante, quindi porla di nuovo in bagnomaria termostatato per circa
30 minuti. Trascorsi 30 minuti raffreddare la soluzione in un bagno di ghiaccio
preventivamente preparato e lavare il tubo refrigerante con 5 mL di soluzione di
Luigi Masciali
30
acido solforico-cloruro di sodio. Aggiungere molto lentamente al campione 10 mL
di idrossilammina cloridrato-cloruro di sodio, agitare fino a riduzione avvenuta
(soluzione incolore) e portare a volume (100 mL) con acqua, quindi agitare
lentamente per pochi secondi, prelevare da un minimo di 5 mL ad un massimo di
20 mL di campione, a seconda della concentrazione presunta di mercurio e porli
nel tubo di strippaggio dopodichè procedere immediatamente alla lettura
impostando le seguenti condizioni strumentali:
misura strumentale:
assorbanza
metodo di calibrazione:
curva di taratura
modo di misura:
altezza del picco
lunghezza d’onda:
253.7 nm
fenditura:
0.7 nm
introduzione del campione :
manuale
tempo di integrazione :
40 secondi
repliche:
1
pressione azoto:
2.5 bar
I parametri strumentali sono fissati in base alle procedure consigliate dalla ditta
costruttrice e riportate sul manuale delle istruzioni.
Per impostare la curva di taratura si parte da tre soluzioni contenenti 0.025, 0.050,
0.100 µg di analita, ottenute prelevando con una pipetta tarata rispettivamente 0.5,
1.0 e 2.0 mL della soluzione di lavoro da 0.05 µg/mL di ione Hg(II).
E’ importante che durante la lettura della curva di taratura il volume nel tubo di
strippaggio sia analogo a quello dei campioni, quindi, all’occorrenza, aggiungere
l’opportuna quantità di acqua.
Per la lettura dei campioni lo spettrofotometro dispone di software che provvede
alla costruzione della curva di taratura ed al calcolo della concentrazione di analita
nel campione. Prima di ogni serie di campioni si deve effettuare la lettura delle tre
soluzioni di lavoro del MR e verificare l’efficienza della taratura. Per i campioni con
concentrazioni superiori a quella del punto più alto della curva di taratura viene
ripetuta la determinazione su un volume più basso di campione iniziale.
Luigi Masciali
31
La concentrazione del mercurio viene determinata tramite computer, per
interpolazione della curva standard mediante trasformazione non lineare.
Il valore della concentrazione del mercurio è ottenuto tenendo conto della curva di
taratura e del volume di campione letto:
mercurio (mg/kg) =
q ⋅ 100 ⋅ Vf
w ⋅ Vp ⋅ R
dove:
•
w: peso del campione in grammi
•
q: quantità di mercurio letta sulla curva di taratura espressa in µg
•
Vp: volume di campione digerito prelevato per la lettura (da 5 a 20 mL)
espresso in mL
Vp: volume finale di campione digerito espresso in mL (100 mL)
•
3.2. La validazione del metodo
3.2.1. Precisione
Lo schema sperimentale utilizzato nello studio della precisione è il seguente:
Matrice
Palombo
Merluzzo
Livello
di fortificazione
(mg/kg)
0.5a
1.0b
0.25
0.50
1.00
Numero prove
(Operatore A)
Operatore B
5
5
6
6
6
5
5
6
6
6
a
In realtà si tratta in questo caso di una concentrazione di mercurio naturalmente presente;
Livello determinato dopo l’aggiunta di 0.5 mg/kg di mercurio alla concentrazione
naturalmente presente nel palombo
b
Le determinazioni ripetute sono state eseguite su due diverse specie di pesce
(merluzzo e palombo):
•
merluzzo: sono stati effettuati 3 livelli, additivando il muscolo per
complessive 12 prove indipendenti per livello (6 per ogni operatore).
•
palombo: sono stati effettuati 2 livelli (uno “naturale” e uno additivato), per
complessive 10 prove indipendenti per livello (5 per ogni operatore).
Luigi Masciali
32
I livelli di validazione sono stati scelti considerando i limiti di legge. Gli esperimenti
per ogni livello, sono stati eseguiti da due diversi operatori in tempi differenti, così
da ottenere, dopo l’esecuzione degli opportuni test (F-test e t-test), una precisione
intermedia.
I dati grezzi ottenuti nelle varie sedute analiche sono riportati nelle Tabelle 1 e 2
secondo la specie analizzata e i livelli di concentrazione effettuati.
Tabella 1 – Dati grezzi ottenuti nelle singole determinazioni effettuate in
merluzzo
a
Livello di fortificazione
Concentrazione trovata
(mg/kg)
(mg/kg)
Operatore A
Operatore B
0.25
0.50
1.0
0.209
0.189
0.217
0.207
0.217
0.209
0.436
0.370
0.430
0.410
0.430
0.410
1.000
0.902
1.038
0.990
1.038
1.000
0.223
0.212
0.212
0.223
0.217
0.228
0.436
0.415
0.415
0.436
0.426
0.447
1.000
0.951
0.951
1.000
0.976
1.024
a) Il merluzzo utilizzato presentava un livello di mercurio naturale inferiore al LOD
Luigi Masciali
33
Tabella 2 – Dati grezzi ottenuti nelle singole determinazioni effettuate in
palombo
a
Concentrazione trovata
Livello di fortificazione
(mg/kg)
(mg/kg)
Operatore A
Operatore B
-
0.50b
0.511
0.498
0.545
0.516
0.553
1.015
0.929
0.958
0.969
0.939
0.563
0.516
0.527
0.531
0.500
0.970
0.946
0.903
0.903
0.976
a) Il palombo utilizzato per gli studi di validazione presentava un livello di mercurio
naturale (“incurred”) superiore al LOD pari a ca 0.5 mg/kg; b) Al livello naturale di Hg
presente nel palombo, è stata aggiunta una concentrazione pari a 0.50 mg/kg
•
Elaborazione statistica dei dati grezzi
I dati sperimentali ottenuti durante la validazione sono stati elaborati mediante il
pacchetto software Microsoft Excel 2002. Dopo aver controllato la normalità dei
dati e verificato l’assenza di outliers, si calcola la media, la deviazione standard, la
varianza per ciascun operatore e per ogni seduta analitica. Quindi si procede a
verificare l’omoschedasticità e l’uguaglianza delle medie tramite fra operatori (ttest).
o Merluzzo
Tabella 3 –Elaborazione dei dati relativi al livello 0.25 mg/kg nel merluzzo
Parametro
Operatore A
Operatore B
Media (mg/kg)
0.208
0.219
DS (mg/kg)
0.010
0.0066
Varianza (S2)
0.00011
0.000043
CV%
5.01
3.00
Ripetibilità(1) (mg/kg)
0.038
0.012
1
Il limite di ripetibilità, r, è calcolato mediante la formula:
Luigi Masciali
34
r = 2 ⋅ t 0.95;v ⋅ s
Tabella 4 –Elaborazione dei dati relativi al livello 0.50 mg/kg nel merluzzo
Parametro
Operatore A
Operatore B
Media
0.414
0.429
Deviazione Standard
0.0244
0.0129
Varianza
0.0006
0.00017
CV%
5.883
3.00
Limite di ripetibilità, r
0.089
0.023
Tabella 5 –Elaborazione dei dati relativi al livello 1.00 mg/kg nel merluzzo
Parametro
Operatore A
Operatore B
Media
0.995
0.984
Deviazione Standard
0.050
0.029
Varianza
0.0025
0.00087
CV%
5.01
3.00
Limite di ripetibilità, r
0.18
0.054
o Palombo
Tabella 6 –Elaborazione dei dati relativi al livello 0.50 mg/kg nel palombo
Parametro
Operatore A
Operatore B
Media
0.525
0.527
Deviazione Standard
0.0234
0.0232
Varianza
0.00055
0.00054
CV%
4.46
4.41
Limite di ripetibilità, r
0.092
0.046
Tabella 7 –Elaborazione dei dati relativi al livello 1.00 mg/kg nel palombo
Parametro
Operatore A
Operatore B
Media
0.962
0.940
Deviazione Standard
0.0336
0.0351
Varianza
0.00113
0.00123
CV%
3.49
3.73
Limite di ripetibilità, r
0.13
0.07
Luigi Masciali
35
•
Test di normalità di Shapiro-Wilk
Nelle Tabelle 8 e 9 sono riportati gli esiti del test per ciascuna serie della
validazione. I valori di SQ, b e W sono calcolati mediante le formule:
n
SQ = ∑ ( x i − x ) 2
i =1
b=
n
∑ a i ( x n−i+1
i=1
W=
− xi )
b2
SQ
Tabella 8 –Test di normalità per i dati relativi ai livelli 0.25/0.50/1.0 mg/kg nel
merluzzo
Valore sperimentale
Parametro Valore
Operatore A
Operatore B
tabulato Livello Livello Livello Livello Livello Livello
0.25
0.50
1.00
0.25
0.50
1.00
mg/kg mg/kg
mg/kg
mg/kg
mg/kg
mg/kg
SQS
0.0005 0.0030 0.0124 0.0002 0.0008 0.0044
b
0.021
0.050
0.101
0.014
0,027
0.063
W
0.788
0.822
0.839
0.822
0.906
0.906
0.906
Tabella 9 – Test di normalità per i dati relativi ai livelli 0.50/1.0 mg/kg nel
palombo
Valore sperimentale
Parametro
Valore
Operatore A
Operatore B
tabulato
Livello
Livello
Livello
Livello
0.50 mg/kg 1.00 mg/kg 0.50 mg/kg 1.00 mg/kg
SQS
0.0022
0.0045
0.0022
0.0049
b
0.045
0.065
0.045
0.064
W
0.762
0.915
0.927
0.957
0.838
Come possiamo osservare per ogni operatore e ad ogni livello, il valore del
parametro W calcolato è maggiore del valore tabulato: si conclude che i dati per
ogni livello e per ogni operatore seguono una distribuzione normale.
Luigi Masciali
36
•
Verifica della presenza di dati anomali (Test di Dixon)
Nelle Tabelle 10 e 11 sono riportati gli esiti del test per ciascuna serie della
validazione.
I valori di R10min e R10max per il test di Dixon ( α=0.05) sono calcolati mediante le
formule:
R10,min =
x 2 − x1
x n − x1
R10,max =
x n − x n−1
x n − x1
Tabella 10 –Test di anomalia dei dati relativi ai livelli 0.25/0.50/1.00 mg/kg nel
merluzzo
Parametro Valore
Operatore A
Operatore B
tabulato Livello Livello Livello Livello Livello Livello
0.25
0.50
1.00
0.25
0.50
1.00
mg/kg
mg/kg
mg/kg
mg/kg mg/kg mg/kg
R10min
0.628
0.645(2)
0.604
0.645(3)
0.333
0.333
0.333
R10max
0.282
0.093
0.282
0.333
0.333
0.333
Tabella 11 –Test di anomalia dei dati relativi ai livelli 0.50/1.00 mg/kg nel
palombo
Parametro
Valore
Operatore A
Operatore B
Tabulato
Livello
Livello
Livello
Livello
0.50 mg/kg 1.00 mg/kg 0.50 mg/kg 1.00 mg/kg
R10min
0.710
0.236
0.125
0.254
0.596
R10max
0.145
0.531
0.508
0.074
Poiché per ogni operatore ad ogni livello i valori osservati sono quasi sempre
inferiori ai valori tabulati, si decide di mantenere tutti i dati sperimentali nella
elaborazione successiva.
2
Questo valore è di poco superiore a quello tabulato e poiché, invece, al test di Grubbs non
risultano dati anomali si decide di non scartare nessun risultato.
3
Come sopra, anche questo valore è di poco superiore a quello tabulato e poiché, invece, al test di
Grubbs non risultano dati anomali si decide di non scartare nessun risultato.
Luigi Masciali
37
•
Verifica dell’omoschedasticità (F-test)
In Tabella 12 sono riportati gli esiti del test F utilizzato per la verifica
dell’omoschedasticità per ciascuna serie della validazione. Il valori di F
sperimentale sono calcolati mediante la formula:
Foss =
2
Smax
2
Smin
Tabella 12 –Test F dei dati relativi ai livelli 0.25, 0.50 e 1.00 mg/kg
Valore calcolato
Specie
Valore
ittica
tabulato
Livello 0.25
Livello 0.50
Livello 1.0
(allegato 2)…
mg/kg
mg/kg
mg/kg
Merluzzo
2.507
3.579
2.844
5.050
Palombo
1.013
1.092
6.388
Dai risultati ottenuti, essendo Foss sempre inferiore al valore tabulato, possiamo
affermare che i nostri dati sono omoschedastici.
•
Verifica dell’uguaglianza delle medie (t-test)
Dopo aver verificato l’uguaglianza delle varianze tra i risultati prodotti dai due
diversi operatori a ciascun livello di mercurio indagato, si passa a valutare
l’uguaglianza delle medie utilizzando un test-t effettuato assumendo uguale
varianza..
Merluzzo: livello 0.25 mg/kg
Risultato t-test eseguito
Variabile 1 Variabile 2
Media
0.208
0.219
Varianza
0.0001052 4.3E-05
Osservazioni
6
6
Varianza complessiva
7.40833E-05
Differenza ipotizzata per le medie
0
gdl
10
Stat t
-2.25
P(T<=t) una coda
0.02
t critico una coda
1.81
P(T<=t) due code
0.05
t critico due code
2.23
Luigi Masciali
38
Merluzzo: livello 0.50 mg/kg
Risultato t-test eseguito
Variabile 1 Variabile 2
Media
0.414
0.429
Varianza
0.0005927 0.0001646
Osservazioni
6
6
Varianza complessiva
0.000378617
Differenza ipotizzata per le medie
0
gdl
10
Stat t
-1.32
P(T<=t) una coda
0.11
t critico una coda
1.81
P(T<=t) due code
0.22
t critico due code
2.23
Merluzzo: livello 1.00 mg/kg
Risultato t-test eseguito
Variabile 1 Variabile 2
Media
0.995
0.984
Varianza
0.002484267 0.000871
Osservazioni
6
6
Varianza complessiva
0.001677467
0
Differenza ipotizzata per le medie
gdl
10
Stat t
0.46
P(T<=t) una coda
0.33
t critico una coda
1.81
P(T<=t) due code
0.65
t critico due code
2.23
Palombo: livello 0.50 mg/kg
Risultato t-test eseguito
Variabile 1 Variabile 2
Media
0.525
0.527
Varianza
0.0005473 0.00054
Osservazioni
5
5
Varianza complessiva
0.0005438
Differenza ipotizzata per le medie
0
gdl
8
Stat t
-0.19
P(T<=t) una coda
0.43
t critico una coda
1.86
P(T<=t) due code
0.85
t critico due code
2.31
Luigi Masciali
39
Palombo: livello 1.00 mg/kg
Risultato t-test eseguito
Variabile 1 Variabile 2
Media
0.962
0.940
Varianza
0.001123 0.001242
Osservazioni
5
5
Varianza complessiva
0.00118265
Differenza ipotizzata per le medie
0
gdl
8
Stat t
1.03
P(T<=t) una coda
0.17
t critico una coda
1.86
P(T<=t) due code
0.33
t critico due code
2.31
Come si osserva dagli output dei t-test (con probabilità α=0.05), a tutte e cinque le
concentrazioni di mercurio non si riscontrano differenze tra le medie ottenute dai
due diversi operatori (α=0.05).
3.2.2. Esattezza
Per stimare l’esattezza di un metodo, quando disponibili, si utilizzano materiali di
riferimento certificato in matrice (Certified Reference Material: CRM). Il CRM è un
materiale, accompagnato da un certificato, i cui valori di uno o più proprietà sono
certificati da un procedimento che ne stabilisce la riferibilità ad un’accurata
realizzazione dell’unità in cui i valori della proprietà sono espressi e per cui
ciascun valore certificato è accompagnato da un’incertezza ad uno stabilito livello
di confidenza.
Nel nostro caso si utilizza un CRM prodotto dalla National Research Council
Canada (NRC-CNRC): DORM-2 (muscolo di pescecane). I dati grezzi ottenuti,
applicando il metodo CVAAS, sono elencati nella seguente tabella:
Tabella 13– Risultati ottenuti nelle singole determinazioni effettuate su
DORM-2
Prova n°
Concentrazione trovata
(mg/kg)
1
3.61
2
3.91
3
3.96
4
3.98
Luigi Masciali
40
3.2.3. Limite di rilevabilità (LOD) e di quantificazione (LOQ)
Il limite di rilevabilità è ottenuto analizzando il campione di merluzzo, già utilizzato
per la determinazione della precisione, in cui non è stata riscontrata la presenza
dell’analita (bianco-campione).
Lo scarto tipo ottenuto è moltiplicato per 3 e 10 volte fornendo rispettivamente il
LOD e il LOQ del metodo:
LOD= 0.030 mg/kg; LOQ= 0.100 mg/kg
3.2.4. Incertezza di misura
Utilizzando i dati sperimentali sopra riportati, si stima a questo punto l’incertezza di
misura utilizzando l’approccio bottom-up integrato con i dati sperimentali derivati
dalla validazione. Si ripercorrono a questo scopo le quattro fasi precedentemente
descritte.
Fase 1: specificazione del misurando
Nel contesto della stima dell’incertezza, la specificazione del misurando richiede
sia una chiara e univoca definizione di cosa si stia misurando, sia un’espressione
quantitativa che metta in relazione il valore del misurando con i parametri dai quali
esso dipende. Questi parametri possono essere altri misurandi, grandezze che
non sono misurate direttamente o costanti. Deve essere chiaro se la fase di
campionamento sia inclusa o meno nel procedimento. Se lo è, deve essere
considerata anche la stima dell’incertezza associata con la procedura di
campionamento. Tutte queste informazioni devono trovarsi nella Procedura
Operativa. Le fonti di incertezza del metodo vengono identificate aiutandosi con un
diagramma di causa-effetto o diagramma a spina di pesce (Figura 3). L’effetto,
rappresentato dalla linea orizzontale principale nel diagramma, è il risultato delle
analisi cioè la concentrazione di Hg in mg/kg (cHg ). Le altre linee causa principali
rappresentano i principali parametri che controllano il risultato. Il modo in cui
questi parametri controllano il risultato finale è evidenziato dall’equazione
seguente:
Luigi Masciali
41
c=
q⋅D
w ⋅R
Dove:
-q è la quantità di mercurio (µg) determinata nella soluzione del campione
-D è il fattore di diluizione
-w è il peso del campione (g)
-R è il fattore di recupero.
Fase 2: identificazione delle fonti d’incertezza
Si dovrebbe compilare un elenco completo delle possibili fonti significative
dell’incertezza.
Il diagramma di causa-effetto di figura 3 è un modo molto utile di elencare le fonti
d’incertezza: esso mostra le loro reciproche relazioni e indica la loro influenza
sull’incertezza del risultato.
Precisione, P
Recupero, R
Peso, W
Linearità
bilancia
precisione
W, precisione
q, precisione
D, precisione
cHg
Soluzione
madre
Curva di
taratura
pipette
Preparazione standard
palloni
Pipette
Quantità di Hg, q
Matracci tarati
Fattore di diluizione, D
Diluizione
Figura 3 – Diagramma causa-effetto per la determinazione del Hg mediante
CVAAS
Luigi Masciali
42
Fase 3: quantificazione delle fonti d’incertezza
Stima delle fonti di incertezza in ingresso
Dopo aver identificato le fonti dell’incertezza, il passo successivo è quello di
quantificare l’incertezza che scaturisce da queste fonti. Ciò può essere ottenuto:
•
Valutando le incertezze derivanti da ogni singola fonte
•
Determinando direttamente dai dati di prestazione del metodo il
contributo complessivo all’incertezza sul risultato dovuto ad alcune o
tutte le fonti.
Non tutte le componenti, anzi, in pratica, solo un piccolo numero di esse, daranno
un contributo significativo. Non è necessario valutare in dettaglio le componenti
che sono inferiori a un terzo di quella più grande, a meno che non siano molto
numerose. Si dovrebbe fare una stima preliminare del contributo all’incertezza di
ciascuna componente, o combinazione di componenti, ed eliminare quelle non
significative.
1) Precisione
La precisione dovrebbe essere valutata su un periodo di tempo lungo, scegliendo
condizioni tali da permette la naturale variabilità di tutti i fattori in grado di
influenzare il risultato. Ciò si può ottenere da:
•
Lo scarto tipo dei risultati per un campione tipico analizzato parecchie volte
nel tempo e, se possibile, con operatori e apparecchiature diversi;
•
Lo scarto tipo ottenuto da analisi replicate eseguite su ciascun campione di
una serie di più campioni;
•
Esperimenti multifattoriali, pianificati formalmente, analizzati per mezzo
dell’ANOVA per ottenere stime separate della varianza per ciascun fattore.
Nel nostro caso, come abbiamo visto, sono state eseguite per ciascun livello di
validazione due serie di esperimenti condotti in tempi diversi da due diversi
operatori. Lo strumento utilizzato è stato sempre lo stesso poiché il laboratorio
dispone di un’unica apparecchiatura. I risultati riassuntivi degli esperimenti per lo
studio della precisione (ripetibilità intermedia) eseguiti nei muscoli delle due
differenti specie di pesce sono riportati in Tabella 14.
Luigi Masciali
43
Tabella 14-Risultati della determinazione del mercurio nello studio di
precisione
Campione Concentrazione
Concentrazione Deviazione
CV
aggiunta
trovata
Standard
(mg/kg)
(mg/kg)
(mg/kg)
Palombo
0.526
0.022
0.042
0.50
0.951
0.034
0.036
Merluzzo
0.25
0.214
0.010
0.047
0.50
0.422
0.020
0.048
1.00
0.989
0.039
0.040
n
10
10
12
12
12
Se si osservano le deviazioni standard ai diversi livelli si vede immediatamente
che non c’è omoschedasticità alle varie concentrazioni indagate per le due specie.
Le deviazioni standard relative (CV), tuttavia, sono confrontabili. In questo caso, è
possibile calcolare un CV unico (pool) per l’intero campo di misura indagato:
CVpool
=
9 ⋅ (0.42) 2 + 9 ⋅ (0.036) 2 + 11 ⋅ (0.047) 2 + 11 ⋅ (0.048) 2 + 11 ⋅ (0.040) 2
= 0.044
9 + 9 + 11 + 11 + 11
2) Esattezza
La miglior stima dello scostamento sistematico (recupero) di una certa procedura
analitica si ottiene analizzando ripetutamente un idoneo CRM, mediante
l’applicazione dell’intero procedimento di misurazione. Se lo scostamento
sistematico trovato non è significativo (t test), l’incertezza ad esso associata è data
dalla combinazione dell’incertezza tipo fornita nel certificato del CRM con lo scarto
tipo sperimentalmente ottenuto.
In alternativa, lo scostamento sistematico di un metodo può anche essere
determinato confrontando i risultati da esso forniti con quelli ottenuti utilizzando un
metodo di riferimento. Se il confronto mostra che lo scostamento sistematico non
è statisticamente significativo (t-test), l’incertezza è quella del metodo di
riferimento, combinata con l’incertezza associata alla differenza misurata tra i
risultati ottenuti con i due diversi metodi.
Nel caso in cui non si abbia a disposizione né un CRM, né un metodo di
riferimento si deve ricorrere a soluzioni differenti, in genere utilizzando materiali
rappresentativi addizionati in proprio con l’analita di interesse.
Luigi Masciali
44
Nel nostro caso, avendo a disposizione svariati CRM, il recupero del metodo è
ottenuto per questa via. I risultati elaborati sono riportati in Tabella 15.
Tabella 15 -Risultati delle analisi effettuate CRM DORM-2
Valori certificati
Valori osservati
Concentrazione Incertezza
Media
Incertezza
Sobs
(mg/kg)
CRM
Espansa
Standard
Cobs
(mg/kg)
U
u(CCRM)
(mg/kg)
(mg/kg)
(mg/kg)
4.64
0.26
0.13
3.86
0.17
n
4
L’incertezza associata al recupero, u(R), è valutata come segue:
()
2
 s obs

uR = R
2

 n ⋅ C obs
2
  u(C CRM ) 
+
 = 0.0300
  C
CRM



Dove n, Cobs, sobs, CCRM e u(CCRM) sono riportati in Tabella 16. La formula sopra
riportata fornisce una stima dell’incertezza da associare al recupero.
Il recupero del metodo è calcolato secondo la formula:
R=
Cobs
= 0.83
CCRM
Per determinare se il recupero è significativamente differente da 1, è usato un test
di significatività (t-test). Il t sperimentale è dato da:
t =
1− R
u(R )
= 5.56
Il valore del t sperimentale è confrontato con il fattore di copertura (k=2) che verrà
applicato per il calcolo dell’incertezza estesa. Poiché risulta:
tsper> 2
si conclude che il recupero è significativamente differente da 1 (100%). Nel caso in
cui, durante le analisi di routine, si applichi la correzione per il fattore di recupero
al risultato finale, l’incertezza associata al recupero è data direttamente da u(R).
Tuttavia, poiché nell’uso quotidiano del metodo, per svariate motivazioni, l’analista
non applica la correzione per il recupero, l’incertezza associata al recupero deve
Luigi Masciali
45
essere aumentata secondo la formula sotto riportata in modo da tenere conto della
“mancata correzione”:
2
u(R)' =
1− R 
2


 k  + u(R) = 0.0888


dove k=2 è sempre il fattore di copertura.
3) Fonti residue
Osservando il diagramma causa-effetto (Figura 3), si vede che i contributi
all’incertezza che non sono già inclusi nella precisione e nel recupero sono
associati a:
a) pesata del campione (w)
b) diluizione del campione (D)
c) lettura strumentale della quantità di analita presente nella soluzione finale del
campione (q)
a) Peso del campione (w)
La
prima
fase
della
preparazione
del
campione
implica
la
pesata.
Approssimativamente 1 g di muscolo di pesce è pesato con una bilancia analitica.
L’incertezza è stimata dal certificato di taratura della bilancia:
u(w)
w
2
=
 0.0001 
 = 0.000082
2 ⋅ 
3 

Il conteggio è effettuato due volte per tenere conto sia della pesata della tara che
del lordo. Questo valore risulta nettamente trascurabile rispetto alle altre fonti è
perciò non verrà riportato nel computo finale dell’incertezza.
b) Fattore di diluizione (D)
Il campione digerito è diluito fino ad un volume finale di 100 mL (Vf) in un pallone
tarato e un’aliquota (Vp) di questa soluzione (5-20 mL) è prelevata con una pipetta
di vetro. Quindi il fattore di diluizione (D) è dato da:
Luigi Masciali
46
D=
Vf
Vp
L’u(D) è calcolata tenendo conto di entrambe le incertezze nella misurazione del
volume:
u(D)
=
D
2
2
 u( Vp ) 
 u( Vf ) 
 = 0.0117 2 + 0.00289 2 = 0.0120

 + 


 Vf 
 Vp 
I palloni volumetrici da 100 mL usati non sono reperibili in commercio ma vengono
appositamente costruiti, l’incertezza u(Vf) è stimato da un esperimento di
ripetibilità eseguito su uno di questi, riempiendolo fino al segno e pesandolo per
dieci volte. L’ RSD ottenuto è 0.0117.
c) Quantità di mercurio nella soluzione finale del campione (q)
Questa misura è una combinazione di due incertezze:
-incertezza associate alla trasformazione dei segnali di assorbanza in quantità di
mercurio (u(cal))
-incertezza associata alla preparazione della soluzione standard di Hg (u(qstd))
u(cal)
La taratura è ottenuta dalla media dei singoli standard (0.05 µg) preparati
giornalmente da diluizioni seriali della soluzione madre commerciale. Il range di
linearità strumentale è stato preventivamente determinato in un intervallo di 0-0.1
µg di mercurio. Per ogni livello di validazione l’assorbanza del campione è letta
approssimativamente a metà del range di linearità determinato variando
appositamente il volume (Vp) del campione strippato nel sistema MHS-10,
seguendo la quantità di mercurio attesa. Al contrario, l’incertezza è calcolata
empiricamente come l’RSD dell’assorbanza per letture ripetute di 0.05 µg di
mercurio. La massima deviazione standard relativa ottenuta è 0.066 e usando una
distribuzione rettangolare la relativa incertezza è 0.038.
Luigi Masciali
47
u(qstd)
La soluzione madre commerciale usata in questo esperimento ha una
concentrazione dichiarata pari a 1000 ± 5 µg/mL. La soluzione di lavoro utilizzata
durante la determinazione strumentale e preparata a partire dalla soluzione madre
commerciale,
ha una concentrazione di 0.05 µg/mL. Considerando la vetreria
graduata e le micropipette utilizzate durante le diluizioni successive, l’incertezza
associata alla quantità di mercurio nella soluzione di lavoro, l’u(qstd), è data da:
u(qstd )
=
qstd
2
2
2
2
2


 0.1 
 0.1 
 0.01
5
 5.46 
 6.60 
 + 
 + 
 + 

= 
 + 
 + 
 1000 
 500 
 1000 ⋅ 3 
 100 ⋅ 3 
 100 ⋅ 3 
 3 
2
=
= 0.0157
L’incertezza associata ai dispositivi volumetrici utilizzati per la diluizione è
calcolata usando i dati riportati in tabella 16. Per le micropipette l’incertezza è
calcolata tenendo conto sia del contributo dell’accuratezza che della precisione
(RSD) dichiarati dal produttore. Per esempio, la soluzione stock commerciale è
prelevata con la micropipetta (V1=1000 µL), con un incertezza associata (u(V1)),
data da:
u( V1 ) =
6
3
+ (0.002 ⋅ 1000 ) = 5.46µL
L’accuratezza tabulata è il massimo valore stabilito dal produttore data con segno
positivo. Durante la taratura periodica condotta nel laboratorio, comunque, sono in
genere ottenuti valori più bassi. Quando il valore dato (500 µL) è differente dal
valore tabulato, l’imprecisione e l’RSD sono pari al valore medio dell’intervallo al
quale essi appartengono.
Luigi Masciali
48
Tabella 16 –Caratteristiche dei dispositivi volumetrici impiegati nella
preparazione dello standard di mercurio
Attrezzatura
Tolleranza
Accuratezza
RSD
(mL)
(µL)
Pipette in vetro da 1 mL
0.01
Palloni volumetrici da 100 mL
0.1
Micropipette
±3
0.006
da 100-1000 µL
±6
0.002
Considerando l’incertezza associata al punto di taratura utilizzato (q=0.050 µg) si
ottiene:
u (q ) = u (q std ) 2 + u (cal ) 2 = (0.0157 ⋅ 0.05) 2 + (0.038 ⋅ 0.05) 2 = 0.00206µg
L’incertezza relativa è quindi data da:
u(q) 0.00206
=
= 0.0412
q
0.05
Fase 4: calcolo dell’incertezza composta ed estesa
L’incertezza composta
Dopo aver stimato le singole componenti dell’incertezza, o gruppi di componenti, e
averle espresse come incertezza tipo, la fase successiva è quella di calcolare
l’incertezza di tipo composta.
Se nell’applicazione routinaria del metodo, è applicata la correzione del risultato
per il recupero, l’incertezza è calcolata come segue:
2
 u(c Hg ) 
 u(c Hg ) 


 +  u(R ) 

 = 



 c Hg  C
 R 
 c Hg 
2
Altrimenti, se non è applicata la correzione per il recupero (R=1) si ha:
2
(
)
 u(c Hg ) 
 u(c Hg ) 
2

 + u(R )'
=


 c

 c Hg  NC
 Hg 
Luigi Masciali
49
Il computo dell’incertezza è effettuato utilizzando i dati riportati in tabella 17.
Tabella 17 -Riassunto dei contributi alla stima dell’incertezza nella
determinazione del mercurio mediante tecnica CVAAS
Simboli della
Descrizione
Note
Incertezza
fonte
standard
relativa
u(x)/x
u(R)
Recupero
Con correzione per il
0.0361
recupero
u(R)’
Senza correzione per il
0.0888
recupero
u(P)
Precisione
0.0455
u(D)
Fattore di
0.0120
diluizione
u(q)
Quantità di
0.0412
mercurio
u(cHg)
Con correzione per il
0.073
recupero
Senza correzione per il
0.11
recupero
L’incertezza estesa
La fase finale è quella di moltiplicare l’incertezza tipo composta per un fattore di
copertura scelto, in modo da ottenere l’incertezza estesa. L’incertezza estesa
fornisce un intervallo tale da comprendere una grande frazione della distribuzione
di valori che possono essere ragionevolmente attribuiti al misurando
Il fattore di copertura k nella maggior parte dei casi ha un valore pari a 2. Tuttavia,
questo valore potrebbe essere insufficiente se l’incertezza composta è basata su
osservazioni statistiche con un numero relativamente piccolo di gradi di libertà.
Un fattore di copertura pari a 2 dà luogo ad un intervallo che contiene
approssimativamente il 95% della distribuzione dei valori. I valori di incertezza
estesa sono:
U(c Hg ) = 0.073 ⋅ 2 = 0.146
U(c Hg ) = 0.11⋅ 2 = 0.22
valore ottenuto con la correzione per il recupero
valore ottenuto senza la correzione con il recupero
Come si può osservare, i contributi più rilevanti all’incertezza combinata, u(cHg),
sono quelli associati alla quantità di mercurio determinato nella soluzione finale del
campione, alla precisione e al recupero del metodo. I relativi contributi hanno un
Luigi Masciali
50
peso differente dipendentemente dalla decisione dell’analista riguardo alla
correzione del risultato finale per il recupero.
Le performances del metodo e la legislazione
La validazione di un metodo va sempre progettata tenendo conto degli aspetti
legislativi collegati all’analita. Nel Regolamento comunitario 1881/2006(4), i limiti
massimi per i livelli di mercurio sono fissati a 0.5 e 1.0 mg/kg a seconda della
specie ittica. In base a questi limiti legali, le performances dei metodi analitici
prescritte dalla Direttiva 2001/22/CE sono riassunte in Tabella 18 e confrontate
con quelle ottenute sperimentalmente con il metodo CVAAS.
Il parametro HORRATr, utilizzato nella valutazione della precisione, è calcolato
come segue:
 RSD 
HORRATr = 1.5 ⋅  (1−0.5 logr C ) 
2

dove RSDr è la deviazione standard relativa (CV) sperimentalmente osservata in
condizioni di ripetibilità ad ogni livello di validazione e la formula:
2(1-0.5logC)
è l’equazione di Horwitz. Si tratta di un’equazione empirica che permette di
prevedere la riproducibilità in funzione della concentrazione dell’analita(5).
L’RSDr usato nella formula per il calcolo dell’HORRAT è il più alto tra quelli
ottenuti dai due diversi operatori A e B impegnati nella validazione. Sebbene
alcuni parametri siano prossimi o uguali al valore minimo della performance
imposta (in particolare il recupero e il LOQ), il metodo CVAAS utilizzato soddisfa
pienamente i requisiti comunitari.
4
Il Regolamento 1881/2006 ha sostituito il Regolamento 466/2001 che definisce i tenori massimi di
taluni contaminanti nei prodotti alimentari.
5
Per arrivare alla formulazione dell’equazione, Horwitz e i suoi collaboratori esaminarono i risultati
di alcune centinaia di studi collaborativi interlaboratorio in vari prodotti che riguardavano la
determinazione di analiti in concentrazioni che variavano dai g/100 g (sale in alimenti) ai ppb
(aflatossina M1 nel latte).
Luigi Masciali
51
Tabella 18 - Confronto tra le performances ottenute con il metodo CVAAS e
quelle richieste dalle Direttive 2001/22/EC e 2005/4/EC per la determinazione
di mercurio
Parametri del metodo
Performance
Performance ottenute
richieste
Applicabilità
Prodotti di pesca
Verificato
LOD
≤ 0.050 mg/kg
0.030 mg/kg
LOQ
≤ 0.100 mg/kg
0.100 mg/kg
Precisione, P
HORRATr < 1.5
HORRATr = 0.5 (a ≈ 1 mg/kg)
HORRATr = 0.6 (a ≈ 0.5
mg/kg)
HORRATr = 0.5 (a ≈ 0.25
mg/kg)
Recupero, R
80-120%
83%
Specificità
Libero dalla matrice o
Verificato
da interferenze
spettrali
Incertezza massima
0.36 (a 0.5 mg/kg)
0.15 (con correzione del
relativa estesa
recupero)
U(cHg)/cHg
0.30 (a 1 mg/kg)
0.22 (senza correzione del
recupero)
Più recentemente, con la Direttiva 2005/4/CE, è stato introdotto un criterio
alternativo alla valutazione dell’appropriatezza di un metodo analitico. Si tratta
dell’“Uncertainty Function Approach”, in cui l’incertezza stimata sperimentalmente
va confrontata con l’incertezza massima standard, Uf, calcolata come segue:
 LOD  2

2
U f = 
 + (a ⋅ C ) 
 2 

Dove:
-LOD = il limite di rilevazione,
-C = concentrazione di interesse
-“a” = fattore numerico tabulato.
Tale equazione “assomiglia” all’equazione di Horwitz, ma rispetto a questa tiene
conto dell’aumento dell’incertezza allorquando le concentrazioni dell’analita sono
prossime ai valori del limite del metodo (LOD).
Le incertezze massime relative espanse mostrate in Tabella 18 sono ottenute
mediante l’equazione:
U(c Hg )
c Hg
Luigi Masciali
2
=
c Hg
 LOD  2

2
 + ( a ⋅ C) 

 2 

52
Dove 2 è il fattore di copertura k.
A entrambi i livelli di concentrazione previsti dai limiti di legge (0.5 e 1.0 mg/kg),
quindi, il metodo soddisfa anche il criterio dell’“Uncertainty Function Approach”.
4. CONCLUSIONI
La procedura sperimentale riportata per la determinazione del mercurio è un
metodo tradizionale (CVAAS) e, attualmente, sono sicuramente disponibili
tecniche differenti con migliori caratteristiche in termini di esattezza, precisione,
LOD etc. Questo lavoro, tuttavia, vuole riportare un esempio di approccio possibile
alla validazione completa di un metodo al fine di verificarne l’adeguatezza allo
scopo d’utilizzo, sottolineando altresì la complessità della parte di elaborazione,
soprattutto rispetto all’annoso problema della valutazione dell’incertezza di misura.
Ciò anche alla luce della normativa europea che permette una verifica
dell’appropriatezza di un metodo sia attraverso le singole performances che, più di
recente, dell’incertezza (Uncertainty Function Approach).
Utilizzando entrambi i criteri, il metodo riportato è risultato adatto allo scopo, e può
quindi essere efficacemente utilizzato per il controllo ufficiale dei livelli di mercurio
negli alimenti.
Luigi Masciali
53
Allegato 1
Valori critici per il test di anomalia di Shapiro-Wilk
i
1
2
3
4
5
Valori dei coefficienti ai
n
2
3
4
5
6
7
0.707 0.707 0.687 0.665 0.643 0.623
0.000 0.167 0.241 0.281 0.303
0.000 0.087 0.140
0.000
-
α
0.01
0.02
0.05
0.10
0.50
3
0.753
0.756
0.767
0.789
0.959
Luigi Masciali
4
0.687
0.707
0.748
0.792
0.935
Valori dei coefficienti W
n
5
6
7
8
0.686 0.713 0.730 0.749
0.715 0.743 0.760 0.778
0.762 0.788 0.803 0.818
0.806 0.826 0.838 0.851
0.927 0.927 0.928 0.932
54
8
0.605
0.316
0.174
0.056
-
9
0.764
0.791
0.829
0.859
0.935
9
0.586
0.324
0.198
0.095
0.000
10
0.781
0.806
0.842
0.869
0.938
10
0.574
0.329
0.214
0.122
0.040
11
0.792
0.817
0.850
0.876
0.940
Allegato 2
Valori critici per la verifica dei dati anomali secondo Dixon(6)
Relazioni per la verifica
R10 =
R11 =
R22 =
6
x2 − x1
x − xn −1
e R10 = n
xn − x1
xn − x1
N
3
4
5
6
7
α= 0.05
0.970
0.829
0.710
0.628
0.589
α= 0.01
0.994
0.926
0.821
0.740
0.680
x2 − x1
x − xn −1
e R11 = n
xn −1 − x1
xn − x2
8
9
10
11
12
0.608
0.564
0.530
0.502
0.479
0.717
0.672
0.635
0.605
0.579
x3 − x1
x − xn − 2
e R22 = n
xn − 2 − x1
xn − x3
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
0.611
0.586
0.565
0.546
0.529
0.514
0.501
0.489
0.478
0.468
0.459
0.451
0.443
0.436
0.429
0.423
0.417
0.412
0.407
0.402
0.397
0.393
0.388
0.384
0.381
0.377
0.374
0.371
0.697
0.670
0.647
0.627
0.610
0.594
0.580
0.567
0.555
0.544
0.535
0.526
0.517
0.510
0.502
0.495
0.489
0.483
0.477
0.472
0.467
0.462
0.458
0.454
0.450
0.446
0.442
0.438
La tabella è utilizzabile allorquando il dato sospetto è uno solo.
Luigi Masciali
55
Allegato 3
Valori critici per la distribuzione F (livello di significatività α=0.05)
ν2
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
1
161
18.5
19.0
10.1
7.71
6.61
5.99
5.32
5.12
4.96
4.84
4.75
4.67
4.60
4.54
2
200
19.0
9.55
6.94
5.79
5.14
4.74
4.46
4.26
4.10
3.98
3.89
3.81
3.74
3.68
3
216
19.2
9.28
6.59
5.41
4.76
4.35
4.07
3.86
3.71
3.59
3.49
3.41
3.34
3.29
4
225
19.2
9.12
6.39
5.19
4.53
4.12
3.84
3.63
3.48
3.36
3.26
3.18
3.11
3.06
ν1
5
6
230 234
19.3 19.3
9.01 8.94
6.26 6.16
5.03 4.95
4.39 4.28
3.97 3.87
3.69 3.58
3.48 3.37
3.33 3.22
3.20 3.09
3.11 3.00
3.03 2.92
2.96 2.85
2.90 2.79
7
237
29.4
8.89
6.09
4.88
4.21
3.79
3.50
3.29
3.14
3.01
2.91
2.83
2.76
2.71
8
239
19.4
8.85
6.04
4.82
4.15
3.73
3.44
3.23
3.07
2.95
2.85
2.77
2.70
2.64
9
241
19.4
8.81
6.00
4.77
4.10
3.68
3.39
3.18
3.02
2.90
2.80
2.71
2.65
2.59
10
242
19.4
8.79
5.69
4.74
4.06
3.64
3.35
3.14
2.98
2.85
2.75
2.67
2.60
2.54
Allegato 4
Valori critici per la verifica del t-test a diversi gradi di libertà
α
1
0.10 3.08
0.05 6.31
0.025 12.70
0.01 31.82
Luigi Masciali
2
1.89
2.92
4.30
6.97
3
1.64
2.35
3.18
4.54
4
1.53
2.13
2.78
3.75
ν
5
1.48
2.02
2.57
3.37
56
6
1.44
1.94
2.45
3.14
7
1.42
1.89
2.36
3.00
8
1.40
1.86
2.31
2.90
9
1.38
1.83
2.62
2.82
10
1.37
1.81
2.23
2.76
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7
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è stata recepita con il Decreto del 18 aprile 2006 del ministero della salute.
Luigi Masciali
57
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Manuale UNICHIM n.179/1 “Linee Guida per la validazione di metodi
analitici nei laboratori chimici: valutazione della precisione (ripetibilità
stretta) di un metodo analitico eseguito in un unico laboratorio da un solo
operatore su di un unico strumento in un breve intervallo di tempo” (2001).
•
Manuale UNICHIM n.179/2 “Linee Guida per la validazione di metodi
analitici nei laboratori chimici: valutazione della precisione (ripetibilità) di un
metodo
analitico
eseguito
in
un
unico
laboratorio
con
più
operatori/strumenti” (1995).
•
Norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 relativa ai “Requisiti generali per la
competenza dei laboratori di prova e taratura” (2000).
•
Rapporto ISTISAN 96/34 “Metodi di analisi per il controllo chimico degli
alimenti” (1996).
•
Regolamento (CE) n. 1881/2006 della commissione del 19 dicembre 2006
che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari.
Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, L364, 20 dicembre 2006.
•
SINAL DT-0002 “Guida per la valutazione e l’espressione dell’incertezza
della misurazione” (2000).
•
SINAL DT-0002/3 “Avvertenze per la valutazione dell’incertezza nel campo
dell’analisi chimica” (2000).
•
SINAL DT-0002/4 “Esempi applicativi di valutazione dell’incertezza nelle
misurazioni chimiche” (2000).
Luigi Masciali
58
•
Teeny F.M.. Rapid method for determination of mercury in fish tissue by
Atomic Absorption Spectrometry. J. Agric. Food Chem., Vol. 23, N. 4
(1975).
•
Thorpe V.A.. Determination of mercury in food products and biological fluids
by eration and flameless atomic absorption spectrophotometry. J. AOAC
Vol. 54, N. 1 (1971).
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W. Hortwitz and R. Albert: A heuristic derivation of the Horwitz curve, Anal.
Chem. (1997).
•
Welz B., Sperling M. “Atomic Absorpion Spectrometry” III edizione, WileyVCH Weinheim, (1999).
Luigi Masciali
59
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