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la sezione di Traversetolo
Le figure del lavoro sezione di Traversetolo Ogni occasione che avvicini all’arte in modo diretto è già di per sé fonte di crescita intellettuale e stimolo di ricerca; l’opportunità che deriva da questa mostra di sculture celebranti il lavoro offre un’ulteriore riflessione. La scelta del nostro paese quale sede espositiva, intende infatti evidenziare l’accostamento tra arte e industria di cui Traversetolo fu protagonista tra la fine dell’Ottocento ed il primo Novecento. Merita certamente un’attenzione del tutto particolare quella felice connessione tra arte, artigianato artistico ed industria che Traversetolo seppe all’epoca testimoniare, originando, sebbene distante dai centri acclamati, nuove esperienze di quell’arte applicata che tanto profondamente ha caratterizzato gli anni della cosiddetta Belle Époque. A fianco delle più numerose fabbriche di manufatti per l’edilizia e per la lavorazione dei prodotti alimentari, già dal 1879 aveva iniziato ad operare, alla Cronovilla di Vignale, l’opificio Beccarelli per la produzione di orologi. Tale attività stimolò il sorgere di laboratori connessi, preposti all’ideazione, realizzazione e fusione delle strutture artistiche per orologi da tavolo o da parete. Si deve poi alla tenace passione di Giacomo Baldi l’apertura, a fianco della sua fonderia, di una scuola artistica per la lavorazione dei metalli, presso la quale condussero il loro apprendistato Renato Brozzi, Mario Minari, Cornelio Ghiretti e Pietro Carnerini. Gli studi ed i progetti di questi artisti ottennero ampio successo e le loro singole abilità si indirizzarono ad ambiti diversi non escludendo però, oltre l’unicità del pezzo artistico, la progettazione di prototipi industriali. Un più stretto scambio tra arte e industria è sicuramente evidenziato dall’opera del Carnerini: lavorando già il legno, per tradizione familiare, amando la fusione e il disegno, egli realizzò imponenti opere decorative sia in Italia che all’estero. A Traversetolo, in piazza Marconi, è conservata una delle sue più significative opere: la Targa Manzini1. Esaltazione della fabbrica, celebrazione del lavoro, questo imponente monumento bronzeo, realizzato con intento encomiastico, offre oltre l’enfasi del progresso e dell’imprenditoria, un diretto messaggio espresso chiaramente dai motivi iconografici dei pannelli a rilievo: il mito della macchina non ha risolto ma solo mutato il ruolo e la fatica dell’uomo. Dalle figure scalze degli operai, e dalle loro rassegnate espressioni risaltano la spersonalizzazione, l’oppressione, la schiavitù al ritmo incalzante della macchina, in uno sola parola: l’alienazione. Pare quindi molto interessante l’accostamento tra le opere esposte ed il loro messaggio, con l’ambiente espressivo traversetolese del Novecento; il confronto tra realtà geograficamente distanti confluisce ideologicamente nell’indispensabilità del lavoro, al contempo libertà e schiavitù dell’uomo. Le sculture e i manifesti della collezione Ferrarini-Nicoli comprendono opere di artisti originari dei territori ceco e slovacco, attivi tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX. Molti di questi, tuttavia, maturarono esperienze in un più ampio ambito europeo dove si andava imponendo, già dalla seconda metà dell’Ottocento, l’effetto spettacolare della scultura come monumento collocato nei luoghi pubblici, che dava particolare risalto al corpo umano, allegoria ed espressione di un nuovo contenuto: il lavoro. In particolare, a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo, con la diffusione del realismo europeo, apparvero le prime opere sculturee che attribuivano al corpo del lavoratore il ruolo di protagonista, innalzando gli umili ad una dimensione eroica. Le sculture qui esposte, appartenenti al periodo che va dagli ultimi anni del dominio Asburgico, caduto nel 1918 con la proclamazione della Repubblica Cecoslovacca, al secondo dopoguerra, aderiscono al dilagare di questi nuovi soggetti intenti a presentare il lavoratore ed il suo ambiente quotidiano in sostituzione delle precedenti iconografie elitarie. Tutto questo trova origine all’interno del sistema industria e relativa meccanizzazione che divengono esaltazione della potenza produttiva di cui il nuovo secolo era portatore. Mentre gli intellettuali cominciarono a mostrare di riconoscere i limiti dell’industrializzazione, al contrario, il potere economico tendeva ad enfatizzare il mito dell’operaio e della macchina. Anche in ambito artistico questo soggetto, pur largamente sfoggiato, ebbe un’evoluzione passando rapidamente dall’enfasi ai temi dell’emarginazione e della denuncia sociale. Nei primi decenni del Novecento la scultura cecoslovacca rimase coerente a queste modalità espressive, conservando un gusto tutt’altro che astratto esaltando un solido realismo, per non dire massiccio, dall’intenzione rappresentativa 2. 1 La Targa Manzini, voluta nel 1948 dagli eredi a ricordo del fondatore dell’omonima industria meccanica, cav. Tito Manzini, si trovava all’origine all’entrata della fabbrica in Parma. Era completata dal busto in bronzo raffigurante il Manzini ai cui lati era inciso il motto LABOR VINCIT. 2 Catalogo della XVII Esposizione d’Arte di Venezia – 1930. Così viene definita la scultura cecoslovacca presente in questa edizione nel commento di Ugo Nebbia, pp.356- 370 Nelle opere di questa collezione il motivo più ricorrente è quello del lavoratore con i propri utensili e la divisa, assimilabile, in questa religione laica, ai santi del passato: come quelli erano riconoscibili dagli attributi di martirio, la nuova agiografia connota i propri eroi attraverso gli attrezzi da lavoro. Particolarmente espressivo del realismo sociale fu il lavoro del belga Constantin Meunier, di cui si ricordano Il martellatore e Lo scaricatore, presentati alla Biennale di Venezia nelle esposizioni del 1899 e 1903. Fanno parte di questa tipologia, qui in mostra, diversi soggetti quali i fonditori, rappresentati con i ferri del mestiere, il tenaglione o il crogiolo in ferro, e i minatori, con la lampada o il perforatore: in pose plastiche e ben equilibrate, accentuate dal modellato levigato e ben rifinito delle superfici scure e luminose della terracotta brunita. Più vicine ad una produzione di genere le statuette dei fabbri: quello in terracotta colorata, di produzione tedesca, in posa come per uno scatto fotografico mentre esibisce gli attrezzi da lavoro, l’altro, in fusione bronzea di provenienza francese, colto mentre libra il martello in aria prima di battere il ferro sull’incudine; entrambi resi con caratteri realistici di dettaglio e curati nei minimi particolari. Accenna al cubismo primitivo Il fabbro (1910-1920) di J.A. Mayerl. La massiccia fusione dalle linee squadrate ed energiche esprime dinamismo attraverso la rotazione del corpo e delle braccia colti nello sforzo del sollevare il pesante maglio. Di notevole rilievo lo Stalliere con cavallo di E. Zosi, fusione in bronzo dal modellato sapiente, con la superficie increspata di taglio impressionista, che sembra voler esprimere la concitazione del momento in cui il cavallo, già sellato e imbrigliato, viene aggiogato in previsione del lavoro e trattenuto per le redini. Una variante iconografica, e forse la più significativa del tema sociale trattato, è quella dei lavoratori con la schiena curva: La portatrice di mattoni, Lo scalpellino o La raccoglitrice di patate; soggetti più legati alla tradizione francese ottocentesca, già espressi da Courbet: Lo spaccapietre (1849) o Le donne che vagliano il grano (1854) e da Millet con I boscaioli (1850). Ulteriore tema è quello degli infortunati sul lavoro, qui rappresentato dall’opera che raffigura il momento drammatico seguente ad un incidente; il minatore ferito e forse ormai privo di vita, è presentato alla maniera di una “deposizione”, con la testa riversa all’indietro e il corpo abbandonato tra le braccia del compagno che lo soccorre. Il soggetto ricorda certe opere del verismo sociale italiano come il grande altorilievo di Vincenzo Vela, dedicato alle vittime del lavoro per il traforo del Gottardo (1882-1883), o il quadro di Antonio Ambrogio Alciati I minatori, del 1907, riproducente lo stesso tema qui esposto. Spicca per le sue dimensioni la fusione in bronzo di Zdeňka Schwarzerová Kriseová, scultrice di Praga e attiva nei primi decenni del Novecento, raffigurante i lavori edili; opera probabilmente installata in origine all’ingresso di un opificio. Una composizione a rilievo articolata secondo diverse “edicole”: una sorta di trasposizione, in chiave novecentesca, dei cicli medievali dei mestieri. Infine, la monumentale scultura Il fonditore, realizzata attorno al 1910-1915, in gres ceramico, di circa tre metri d’altezza, divisa in cinque pezzi. Originariamente collocata nella più importante acciaieria della Repubblica Ceca, attiva dal 1910 fino agli anni Cinquanta, a 25 km da Praga, è un’opera di grande tensione espressiva, che coglie un istante del duro lavoro della fonderia. La mostra si completa con la sezione aggiuntiva dedicata ai manifesti, sempre sul tema del lavoro, che venivano collocati nelle scuole a scopo didattico. Il voluto accostamento tra l’opera d’arte e l’enfasi pubblicitaria dei manifesti didattico-educativi fornisce la sintesi conclusiva inerente il tema secolarmente celebrato del lavoro. Lavoro visto come realizzazione dell’uomo e delle sue potenzialità, non tralasciando tuttavia la stimolante riflessione circa la filosofia del sacrifico e dell’impegno sociale. Maria Cristina Curti - Sonia Moroni