Le 5 giornate di Milano. Seconda giornata. Di Crespi Valentino
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Le 5 giornate di Milano. Seconda giornata. Di Crespi Valentino
LE CINQUE GIORNATE di MILANO tra cronaca e storia Domenica 19 marzo 1848 – Seconda Giornata – La rivolta si estende a tutta la città Diversamente da quello che ci si poteva aspettare, la giornata si presentava splendida. Un sole caldo aveva già asciugato le strade ed i tetti. Aveva scaldato anche le ossa di tutti coloro che avevano nella notte continuato l’opera di consolidamento delle barricate o vi avevano fatto la guardia per evitare possibili attacchi nemici. Ma un sole così, un cielo così erano un toccasana non solo per il corpo, ma anche per lo spirito. A tutti pareva che quel cielo luminoso fosse un segnale, un oracolo favorevole alla rivolta e ciò era più che sufficiente a rilanciare l’ardore che la notte, il freddo e la stanchezza, avevano un po’ appannato. La rivolta s’era estesa a tutta la città con una rapidità ed una continuità che potevano far pensare ad una strategia studiata e ad una organizzazione capillare estesa a tutta la città. Ma non era così ed è questo che, a ripercorrere oggi dopo più di un secolo e mezzo di distanza quegli eventi, lascia veramente stupiti. Milano per la prima giornata e parte della seconda si mosse di conserva senza la guida di alcuno. Fu un moto quanto mai spontaneo mutuato probabilmente da una lunga rabbia repressa e da una lunga atroce esperienza di rivolte a cui la città già in passato aveva dovuto ricorrere per porre fine alle angherie a cui veniva sottoposta. Diciamo che quella capacità di muoversi ed agire spontaneamente era nel suo DNA. In qualche oscuro modo, Milano era i suoi cittadini e questi erano la città. Questo era sempre stato. Ma l’immedesimazione tra popolo e società, mai come in quei giorni fu così evidente. Scriveva Giovanni Visconti-Venosta1 “…..pareva che Milano fosse una sola famiglia, si era in quei giorni tutti fratelli, tutti si soccorrevano a vicenda, si abbracciavano, si davano del tu(!) . Dalle strade si saliva alle abitazioni e vi si trovava un letto per riposare un bicchiere di vino, un boccone per rifocillarsi e ciò alle volte diventava una vera necessità, perché in alcune vie tutte le botteghe eran chiuse e le comunicazioni difficilissime. Qualche cuoco o qualche servitore che si era azzardato ad andare in cerca di commestibile, era stato ferito o ammazzato; la città era bloccata ed al quarto giorno i viveri cominciavano a scarseggiare, di guisa la larga ospitalità che metteva in comune le provviste di quelli che ancora ne avevano, diventava una vera provvidenza.”… La solidarietà si manifestava anche in altri modi. I ricchi e i nobili sostenevano con elargizioni in danaro gli operai che avevano giocoforza dovuto sospendere il lavoro, davano assistenza presso le loro case ai feriti che venivano ricoverati a loro spese e cura. In questo si distinsero soprattutto le case patrizie dei Trivulzio e dei Galbiati. Anche il clero in quei giorni era della partita, partecipando non solo nel sostenere spiritualmente i combattenti, ma anche direttamente, come si è già visto, nel costruire barricate o nel fabbricare e lanciare quei famosi palloni, vere e proprie piccole mongolfiere che l’abate Antonio Stoppani2 aveva ideato per inviare messaggi e proclami oltre le mura della città. In effetti furono un’ottima idea, in questo modo messaggi d’aiuto e di esortazione alla rivolta giunsero sino nel Comasco, nella Brianza e nel Bresciano, suscitando quella sollevazione che sarà decisiva nell’impedire agli aiuti richiesti dal Radetsky di raggiungere Milano. Le armi e le forze in campo Ma tutte queste iniziative, questa coesione e spinta insurrezionale, rischiavano di essere vanificate per mancanza di armi. Era evidentemente un problema grosso ed apparentemente insormontabile. Se pensiamo che la popolazione all’epoca era di poco al disotto delle duecentomila anime ed i fucili di cui potevano disporre gli insorti solo circa 600, ci si può rendere conto in quale difficile impresa i milanesi s’erano entusiasticamente imbarcati. Inoltre, in questo caso lo si può ben dire, dall’altra parte della barricata stava una forza di ben 14.000 uomini, ben armati ed addestrati sparsi per tutta la città. Le caserme era ben sette all’interno della cerchia dei navigli (San Francesco, San Simpliciano, San Vittore, San Girolamo, Sant’Angelo, Sant’Eustorgio, delle Grazie), mentre distaccamenti si trovavano presso il Genio Militare, la Cancelleria militare (Casa Cagnola), il Castello, il Collegio dei cadetti di San Luca, il Magazzino del casermaggio, il Palazzo del Governo di Contrada Monforte, la Zecca, la Villa dei giardini pubblici. Senza dimenticare al momento il gruppo di cacciatori atesini sul terrazzo del Duomo e il presidio con cannoni in Piazza Mercanti. Insomma a ben vedere vi era una situazione chiaramente sbilanciata in favore degli austriaci. Se poi aggiungiamo sul piatto di questa bilancia, l’esperienza di un Radetsky e la compattezza collaudata di un esercito famoso per la sua organizzazione, c’era di che far tremare le vene ai polsi! Ma pareva che i milanesi o non se ne rendevano conto, oppure bisognava pensare che la loro misura di sopportazione fosse ormai talmente colma da non importagli delle eventuali conseguenze. Per farla breve, non ne potevano proprio più! La ricerca spasmodica di un’arma comunque, ebbe inizio quella mattina sul presto. La domanda era:<Dov’è possibile trovare un’arma?> La risposta ovvia :<In un’armeria!>. Così l’assalto a tutte le armerie della città iniziò quella mattina sul presto. Tutte vennero visitate e spogliate nel giro di poco tempo. Anche quella che, più che un’armeria era un vero e proprio museo, non venne risparmiata. Così un gruppo d’insorti entrò decisi nella galleria d’armi di Ambrogio Uboldo degli Uboldi e ne uscì brandendo spadoni, asce, corazze, lance che finiva per farli apparire più come cavalieri medievali che risorgimentali. Anche le sale della raccolta d’armi della famiglia Poldi-Pezzoli vennero ripulite. Ma non solo. La voglia di possedere un’arma per combattere portò anche alcuni ad entrare nei teatri della Scala e della Cannobbiana ed ad impossessarsi delle armi di scena! Messa così la situazione poteva indurre il Maresciallo a dormire sonni tranquilli! Ma la realtà era più complessa di quanto si potesse pensare. Inoltre iniziavano a comparire sulla scena le prime figure importanti che avrebbero indirizzato, con la loro esperienza, vigore e carisma, la rivolta secondo strategie più concrete ed adatte alla guerriglia urbana. I combattimenti ed i protagonisti Uno di questi personaggi era Augusto Anfossi. Era nato a Nizza nel 1812 e nel ’32 l’aveva lasciata per contrasti politici con lo stato piemontese e s’era rifugiato in Francia. Temperamento irrequieto s’era portato in Egitto arruolandosi nell’esercito di Hibrahim Pascià. Il carattere volitivo, irruento che lo portava ad osare comunque e le capacità di saper leggere la battaglia gli permisero di giungere al grado di colonnello. Ma lo spirito inquieto e l’attenzione sempre rivolta alla patria,lo spinsero ad abbandonare l’esercito. Si trasferì a Smirne dandosi al commercio con notevole successo. Quando seppe dei moti di rivolta scoppiati in Italia s’era affrettato ad abbandonare tutto per precipitarsi in patria. Quel 18 di marzo s’era trovato casualmente in Milano ed uno come lui non poteva esimersi dall’intervenire nella lotta. Così quella mattina, uscito sul presto da casa Vidiserti, sbuca in Contrada del Monte. Lo scampanio incessante riempie l’aria tersa, ma non gli impedisce di udire rumore di spari che giungono dal fondo della via verso Porta Nuova. Si volta, scruta portandosi la mano alla fronte come una visiera per ripararsi di raggi del sole ancora basso,e vede una barricata che blocca la strada. Gente che s’agita, corre, s’arrampica sulla enorme catasta di materiali eterogenei. Scuote la testa. Si rende conto che al di là del coraggio quegli uomini non sono in grado di dare altro. Allunga il passo ed in pochi minuti è a ridosso della barricata. Cammina ritto e deciso, il volto bruciato dal sole atteggiato, ad una espressione risoluta. Sarebbe piaciuto certamente ad Emilio Salgari. Ne avrebbe fatto un nuovo Yanez de Gomera! Gli altri lo attorniano, gli spiegano la situazione: una pattuglia di austriaci con una batteria s’erano attestati agli archi dell’antica Porta della città sulla linea dei Navigli e da lì sparavano con efficacia. Una situazione difficile e pericolosa. Chiede un fucile, lo soppesa, lo verifica, infine lo carica. S’arrampica sulla barricata in posizione tale che pur restando al riparo possa vedere il nemico. Punta l’arma con cura e fa fuoco. Un soldato nemico cade. L’urlo di gioia dei patrioti che gli stanno attorno riesce a coprire lo scampanio delle campane. Ricarica, altro colpo. Altro centro. Così mette a tacere il cannone uccidendo tutti gli artiglieri. A quel punto esce allo scoperto, scavalca la barricata ed agitando il fucile con la lunga micidiale baionetta, si butta all’assalto del presidio seguito da tutti gli altri. Il tratto da coprire sembra non finire mai come l’urlo che accompagna l’assalto. Infine un breve e cruento corpo a corpo e la postazione nemica è conquistata! Quindi l’Anfossi ordina di costruirne una nuova sulla quale pianta lui stesso la bandiera tricolore. Se ne va lasciando a guardia della barricata alcuni insorti che, anche nelle giornate successive, la difenderanno valorosamente dagli attacchi nemici. Anche a Porta Orientale un’altra barricata veniva, nel frattempo, duramente attaccata. Quella eretta in San Damiano. Qui gli assalti nemici furono particolarmente accaniti, ma tutti respinti. Purtroppo in uno di questi veniva colpito a morte Giuseppe Broggi, altra importante figura di valido combattente. Milanese, trentaquattrenne, aveva militato nell’esercito austriaco disertandone poi. Aveva proseguito l’esperienza militare nella Legione Straniera in Algeria. Anche lui, saputo dei moti scoppiati in patria, vi aveva fatto ritorno ed ora era divenuto un punto di riferimento per gli insorti. La cronaca racconta che con la sua mira veramente eccezionale aveva eliminato parecchi nemici in prevalenza ufficiali. Lo stesso generale Volman era caduto sotto i suoi colpi. Ma purtroppo un colpo di cannone gli era stato fatale, togliendo all’insurrezione un eccezionale protagonista. Ma si combatteva, sempre con alterne vicende, anche a Porta Tosa, a Porta Ticinese ed a Porta Comasina. A Piazza Mercanti a due passi dal Duomo, s’era asserragliata una nutrita schiera nemica supportata da due cannoni armati con palle di grosso calibro. Eppure l’ardore e la veemenza dei cittadini, seppur male armati, fecero sì che nell’assalto, riuscissero ad impossessarsi addirittura di un cannone e ad uccidere tre artiglieri, riprendendosi la piazza! Insomma la lotta, invece di diminuire d’intensità col passare del tempo, si faceva sempre più decisa e feroce sorprendendo e spaventando il nemico che non avrebbe mai pensato di trovarsi davanti a tutto un popolo e ad una tale rabbia da trasformare all’apparenza innocui artigiani, professionisti, donne, anziani ed anche bambini, in una torma assatanata e feroce! Inoltre qualche defezione tra i ranghi nemici cominciava ad aversi e a farsi sentire più sul morale che sulla realtà del conflitto. Il Corpo delle Guardie di finanza, costituito quasi interamente da nati nel territorio, era passato armi e bagagli con gli insorti appuntandosi sui berretti le coccarde tricolori. Purtroppo la sperata defezione di massa non si verificherà. Solo nei giorni successivi alcuni pochi elementi lasceranno l’esercito per unirsi agli insorti, ma la quasi totalità dei poliziotti, per la maggior parte veneti, rimarrà sotto la bandiera giallo-nera. I problemi del Maresciallo Radetsky Pare impossibile ma anche il Maresciallo, pur disponendo di 14.000 uomini, ben equipaggiati, ben addestrati e, come si è visto, anche fedeli, ha i suoi grattacapi. E non sono, come si potrebbe pensare, di poco conto. Il problema è che tutta la città è divenuta una gigantesca trappola. un enorme pentolone instancabilmente ribollente in ogni sua parte. E dentro quel caos infernale sta la quasi totalità dei suoi soldati che, se s’arrischiano di mettere fuori la testa, se la ritrovano come minimo ammaccata dal lancio di ogni più incredibile eterogeneo corpo contundente! Si và dalla tegola al vaso da notte, che farà poco danno al cranio, ma che se è pieno, procura comunque una profonda, insanabile ferita alla marziale fierezza del superbo croato. Così per loro era, se non impossibile, molto rischioso sia uscire dalle caserme, che essere raggiunti dai rifornimenti di viveri e di munizioni. In pratica erano essi stessi prigionieri. Scriverà nelle sue memorie il generale Schönhals:<…Una delle maggiori difficoltà consisteva nell’approvvigionamento delle truppe: mandarle a rilevare era impossibile, in circostanze tanto difficili, perciò i viveri dovevano essere loro inviati dai magazzini militari, non potendo esse fare acquisti (!) di sorta nelle botteghe. Le truppe, quelle specialmente che si trovavano all’interno della città, avevano esaurita, o stavano per esaurire, la scorta di munizioni di cui erano dotate: i diversi generali ne facevano bensì richiesta al Castello, ma dal Castello non potevano mandare loro, essendo possibile che i sollevati riuscissero a sopraffare gli uomini che ne avrebbero eseguito il trasporto, e a impadronirsene, e quindi a usarle contro l’esercito imperiale. I magazzini dei foraggi, il panificio e il magazzino del pane per i bisogni dell’esercito, erano situati in punti differenti, e lontani l’uno dall’altro, ed ogni somministrazione di foraggio e di pani ai diversi reparti doveva farsi col sussidio di una scorta numerosa, che non sempre arrivava alla meta e in ogni caso vi arrivava con qualche perdita di uomini3> Era evidente che questa situazione, più passava il tempo e più si aggravava. Il Maresciallo Radetsky, cominciò a pensare seriamente di cambiare strategia portando fuori dalla città le truppe e di disporle in un cerchio lungo i bastioni. Sorvegliando questi e tenendo saldamente le porte, avrebbe impedito ai ribelli di ricevere aiuti ed approvvigionamenti, mentre ai suoi soldati avrebbe potuto provvedere acquistando viveri nelle campagne circostanti. L’idea, salvo il fatto che i milanesi l’avrebbero letta come una ritirata e quindi psicologicamente ne avrebbero tratto vantaggio, pareva buona, ma c’era un “ma” e non da poco. Gli uomini che aveva per poter circondare e tenere efficacemente questo anello, il maresciallo non li riteneva in numero sufficiente. Perciò, prima di dare il via a questa non facile e rischiosa manovra di uscita dalla città delle truppe, richiese rinforzi a tutte le guarnigioni della Lombardia. E qui ebbe un’amara sorpresa. Mentre Monza e Lodi, ricevuto l’ordine, inviarono subito a marce forzate dei battaglioni, le altre non fu possibile raggiungerle perché non solo Milano s’era ribellata, ma tutte le città ed i paesi del territorio lombardo s’erano sollevate! <Tutte le strade erano rotte, i ponti distrutti o sbarrati, i villaggi ingombri e chiusi da barricate…4>. Solo Bergamo ricevette sorprendentemente la richiesta ed immediatamente un battaglione del reggimento Arciduca Sigismondo si mise in marcia, ma già uscire dalla città fu un vero calvario. Dovettero aprirsi un varco tra le barricate combattendo aspramente perdendo tra gli altri anche il tenente-colonnello Barone Scheider. Anche il percorso verso Milano fu tutt’altro che una passeggiata, ma un lungo e continuo combattimento. Insomma i famosi palloni lanciati dallo Stoppani, avevano avuto un successo strepitoso! La propaganda per la prima volta veniva dal cielo! Certo non si può dire che avesse inventato la posta aerea, ma insomma….! Solo in quel momento il Maresciallo Radetsky prese reale coscienza della situazione. Una realtà che andava al di là di ogni più pessimistica previsione. Avrebbe dovuto agire con le sole forze che aveva in città. Non era una prospettiva rassicurante. Ma restava l’unica praticabile. I Consoli e l’eclisse di luna Anche nel fronte opposto, pur nell’entusiasmo per i risultati ottenuti, serpeggiava un velenoso timore, una paura che andava via via allargandosi assumendo così la parvenza della verità, della certezza. Questo tarlo malefico era la notizia che il Radetsky si stava preparando a bombardare la città, come in effetti, aveva fatto intendere nella lettera del giorno prima inviata alla Municipalità. Il “passa parola” stava per combinare un grosso guaio! La voce era talmente insistita che anche in casa Taverna la faccenda cominciava ad essere vissuta con una certa apprensione. Milano era già allora una grande città, era la capitale del regno Lombardo-Veneto fiore all’occhiello e, purtroppo, grassa mucca da mungere dell’Impero Austroungarico. Perciò se c’era una florida categoria di personaggi, questa era quella dei Consoli degli stati che allora contavano. Pertanto davanti ad una così tremenda minaccia, il Casati pensò bene di rivolgersi a loro. A sera convocò i consoli di Svizzera e Francia, perché, davanti ad una tale devastante prospettiva, invitassero anche gli altri colleghi a intercedere presso il Maresciallo. Insomma che provassero a metterci una buona parola. In fin dei conti erano anche loro nella stessa barca e, se dal Castello avessero cominciato a sparare, le palle di cannone non avrebbero certo distinto tra le feluche e gli altri cappelli! Le teste sarebbero saltate comunque, salvo poi ricevere le dovute scuse…. Nel frattempo, per tranquillizzare i combattenti, venne fatto un proclama in cui si annunziava questa iniziativa diplomatica. La cosa parve avere successo. L’opinione pubblica, al solo pensiero che rappresentanti di molte importante nazioni prendessero le loro parti, si rinfrancò apprestandosi a passare una notte di lotta e attesa, un po’ più tranquilla. Una notte piuttosto singolare come vedremo… La luna era alta nel cielo nero. La sua luce aveva rubato il colore alle cose tingendole dei cupi toni del grigio. Le ombre si confondevano col nero della notte ed i volti di chi vegliava a ridosso delle mille barricate, erano chiazze più chiare sotto le ali nere dei cappellacci. Solo le lame delle sciabole e le baionette dei fucili mandavano foschi barbagli d’argento sotto la sua fredda luce. I rumori, le voci, l’abbaiare di un cane, parevano essere nell’aria senza provenire da un punto preciso. La giornata era stata pesante per tutti, ora era il momento del silenzio, del riposo e della stanchezza che d’improvviso ti prendeva. E poi tornavano in mente le paure, l’esaltazione del combattimento, l’amico morto, il nemico ucciso…. La rabbia e la paura. Non hai tempo per pensare, devi avere mille occhi, mille orecchi. Istinto e fiducia in chi ti sta accanto. Ora, nel chiarore indistinto della grande luna, tutto si stempera. I pensieri si sciolgono e te li ritrovi davanti. Come sarà domani, cosa succederà? Oggi m’è andata bene, ma domani? E gli amici, e le persone care, la famiglia…. ? Risenti il grido disperato dei feriti, l’immobilità assurda dei morti… E poi? Vinceremo? E se vinciamo, poi come sarà? E se perdiamo? E se il Radetsky bombarderà?.... D’improvviso si fa silenzio tutt’attorno. Le ombre sfumano nel buio più profondo. Pare quasi che l’aria si sia fatta più fredda… Lontano s’alza l’uggiolare d’un cane a cui altri rispondono con ululati… Hanno dentro note disperate…. La luna! La Luna!! Tutti alzano lo sguardo alla Luna: amici e nemici. Un’unghia cupa pare averla afferrata ed ora s’allarga lentamente, s’espande a tutto il disco luminoso fino a oscurarlo completamente. Un senso di angoscia, di sospensione prende tutti davanti ad uno spettacolo cosi insolito. E’ il timore ancestrale della scomparsa dell’argentea Selene, la dea della notte, colei che impedisce che il buio vinca sulla luce. L’atavico terrore riaffiora in tutti. E’ il primigenio Caos, il lato Oscuro che prevale sulla luce. Un presagio funesto che spaventa ….. Ma poi una falce brillante ricompare, una falce che s’allarga sempre più. Le ombre tornano a separarsi dal buio della notte, i cani abbaiano festosi, le voci e le grida portano una nota di sollievo. La luce ha vinto sulle tenebre….. Milano vincerà sui nemici….!!! E’ certo che un simile finale di giornata lasciava tracce ben diversi sugli insorti e sugli austriaci. Per i primi era un altro segno favorevole del cielo, per i nemici un segnale non certo benaugurale. Così terminava anche la seconda giornata. (continua) Valentino Crespi 1 Cesare Spellanzon - Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia Vol.III° – Rizzoli & C: 1936 = pag 727 a) nota 81)- G. Visconti-Venosta : Ricordi di Gioventù. Cose vedute o sapute (1847-1860). 2 Wikipedia =Antonio Stoppani (Lecco, 15 agosto 1824 – Milano, 2 gennaio 1891) è stato un geologo, paleontologo e patriota italiano 3 Cesare Spellanzon - Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia Vol.III° – Rizzoli & C: 1936 = pag730 a) – nota 84) – Veterano Austriaco (Schönhals) – Memorie della guerra d’Italia dsegli anni 1848-1849. Prima versione italiana. Milano 1852, Vol. I, pag. 109-110 4 Cesare Spellanzon - Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia Vol.III° – Rizzoli & C: 1936 = pag730 b)