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le città, le feste, le spiagge segrete, le valli, i boschi, gli chef

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le città, le feste, le spiagge segrete, le valli, i boschi, gli chef
attenzione! ricordarsi che il dorso può variare a seconda del numero delle pagine (confrontatevi con l’ufficio tecnico)
Sardegna
NUMERO 37 MAGGIO 2006
EURO 6,20 IN ITALIA
ITINERARI SPECIALI DI Bell’Italia /
SARDEGNA
/ NUMERO 37 MAGGIO 2006
LE CITTÀ, LE FESTE,
LE SPIAGGE SEGRETE,
LE VALLI, I BOSCHI,
GLI CHEF, LE TRATTORIE,
I TREKKING NELL’ ISOLA
PIÙ “CLASSICA”
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
Sardegna
UN “CLASSICO”
SEMPRE NUOVO
S
ono ancora possibili “scoperte” a proposito di Sardegna? Certamente sì, dal momento che una regione è una realtà viva e, come tale, palpitante, mutevole, sempre in divenire in molti suoi aspetti. Ma
la risposta sarebbe positiva anche se si volesse riferirla
agli aspetti tradizionali e permanenti. Perché la Sardegna
è come un “classico”, come I fratelli Karamazov o Madame Bovary. Rileggendoli, è sempre possibile fare nuove scoperte. Anzi, “migliorano”, perché un “classico”, diceva qualcuno, è quell’opera d’arte che, ogni volta, è capace di dirti sempre qualcosa di inusitato e di più profondo. Ed ecco allora un nuovo “speciale” di Bell’Italia dedicato alla Sardegna: attuale e antica, tradizionale e moderna, opera della natura o dell’uomo. Sempre sorprendente: dai
suoi riti religiosi ai festival letterari, dai boschi alle dune, dall’artigianato agli chef d’eccellenza, dai musei all’enogastronomia, dalle spiagge alle “città
di fondazione”, dalle recenti
scoperte archeologiche alla
navigazione sul Flumendosa,
dalle trattorie agli itinerari a
cavallo. Insomma, una reLE CITTÁ
,
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EDITO
RIALE
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ADOR
I
La copertina di questo numero
speciale di Bell’Italia dedicato alla
Sardegna: sono le rocce, le calette
e il mare di uno dei “paradisi”
di questa terra, l’isola di Budelli
(foto di Gianmario Marras).
EURO
6,20 IN
ITALIA
SOMMARIO
Sardegna
ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA
NUMERO 37 - MAGGIO 2006
Direttore responsabile: Luciano Di Pietro
Redazione:
Marco Massaia (art director)
Michela Colombo (caporedattore)
Pietro Cozzi, Lara Leovino,
Carlo Migliavacca, Sandra Minute,
Susanna Scafuri (photo editor)
Impaginazione:
Corrado Giavara, Franca Bombaci
Segreteria:
Orietta Pontani (responsabile),
Paola Paterlini
Hanno collaborato
Per la redazione: Studio Ready-Made (Milano),
Raffaella Piovan
Per la grafica: Daniela Tediosi, Francesca
Cappellato, Studio Ready-Made
A cura di:
Aldo Brigaglia, Pietro Cozzi
Susanna Scafuri
Testi: Lello Caravano, Daniele Casale, Ornella
D’Alessio, Emanuele Dessì, Walter
Falgio, Emiliano Farina, Laura Floris, Mario
Frongia, Giovanni Antonio Lampis, Mimma B.
Marcialis, Patrizia Mocci, Edoardo Pisano
Cartine: Mario Russo
Esecuzione pubblicità:
Gloria Maizza, Marco Banfi
ALLA SCOPERTA DEL PIÙ BEL PAESE DEL MONDO
Direttore responsabile: Luciano Di Pietro
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI S.P.A.
Presidente: Urbano Cairo
Amministratore Delegato: Ernesto Mauri
Direttore Generale: Giuseppe Ferrauto
Consiglieri: Giuseppe Ferrauto, Uberto Fornara,
Antonio Guastoni, Antonio Magnocavallo,
Marco Pompignoli
Bell’Italia
Direzione, redazione ed amministrazione:
corso Magenta 55, 20123 Milano,
telefono 02/43.31.31.
Fax 02/43.74.65. E-mail: [email protected]
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PRESENTAZIONE - Un “classico” sempre nuovo
L’ISOLA - Viaggio di scoperta
MUSEI - All’insegna dell’originale e dell’inconsueto
TURISMO LETTERARIO - In treno con David H. Lawrence
FLORA - La peonia, rosa senza spine
SUPRAMONTE - La montagna segreta
LE SPIAGGE DA FILM - Ciak, si gira!
VALLE DEI NURAGHI - Nuovi sussurri dal passato
ENOGASTRONOMIA - Sapori inconsueti, decisi e profumati
SAGRA DI SANT’EFISIO - Cagliari in festa
SANT’EFISIO A PULA E NORA - ... E la festa continua
BOSCHI E FORESTE - Una terra color smeraldo
I “DESERTI” - Tra le dune e sul mare
ARTIGIANATO - Ricordo dell’Isola: dalle sagre al salotto
TURISMO EQUESTRE - Girotondo a cavallo in Barbagia
LE CITTÀ DI FONDAZIONE - Nella mente dell’architetto
ALGHERO - Le torri di “Alguer”
TURISMO RELIGIOSO - Vacanze dello spirito
FESTIVAL LETTERARI - Racconti e fiabe attraverso l’Isola
MODA - All’insegna di sobrietà e concretezza
ITINERARI INEDITI - Quad e battello: si parte per l’avventura
SPIAGGIA DI BIDDEROSA - Un paradiso a numero chiuso
QUARTU SANT’ELENA - La città che non ti aspetti
SASSARESE/LE VIE DEL GUSTO - Antichi sapori
ARRAMPICATA - Cala Gonone: in parete sul blu
CHEF D’ECCELLENZA - Alta cucina sarda: semplice e fashion
RISTORANTI - Alla ricerca dei sapori perduti
BED & BREAKFAST - Ospitalità familiare e accogliente
Ufficio diffusione: telefono 02/43.31.33.33
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fax 081/5627105
SICILIA, CALABRIA:
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90143 Palermo
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SARDEGNA:
Olimpia Matacena Collini.
Via Ravenna 24, 09125 Cagliari
Tel. 070/305250, fax 070/343905
© 2006 Editoriale Giorgio
Mondadori S.p.A.
Periodico associato
alla FIEG (Federazione
Italiana Editori Giornali)
Pubblicazione periodica registrata presso
il Tribunale di Milano il 17/04/2002, n. 236
L’Isola
VIAGGIO DI SCOPERTA
N
Cartina di Mario Russo
ella
cartina qui
a sinistra sono
indicate
le località,
le spiagge
e le aree
naturalistiche
dell’interno
che vengono
approfondite
nei grandi
servizi e
nelle rubriche
di questo
“speciale”.
MUSEO
MUSEI
Giancarlo Deidda
All’insegna dell’originale e dell’inconsueto
Sopra: Museo Archeologico di Sant’Antioco. Riproduzione didattica della stratificazione del terreno, con i livelli dei ritrovamenti
archeologici (urne cinerarie); a ogni livello corrisponde una datazione diversa. Sotto: il Museo delle Statue Menhir a Laconi.
L
12
Gianmario Marras
a chiamano, la Sardegna,
“un museo a cielo aperto”.
Verissimo: con i 7.000 nuraghi alti sul crinale degli
altipiani, le centinaia di Tombe
dei Giganti erette nelle pianure,
le altre centinaia di Domus de Janas scavate nelle pareti di calcare,
l’archeologia sarda è tutta in bella
esposizione. A vederla anche rapidamente dall’auto, l’isola è una
vetrina a orario continuato.
Poi ci sono gli altri, i musei.
Quelli che ognuno si aspetta di
vedere in una terra che non solo
ha molto da ricordare e molto da
mostrare al visitatore, ma che anche da qualche decennio in qua ha
puntato forte sulla carta del turismo. Secondo l’ultimo censimento
della Regione, ce ne sono 170. Ol13
Giancarlo Deidda
MUSEI
tre ai grandi musei collocati nei
capoluoghi delle quattro antiche
province (specializzati in archeologia quelli di Cagliari, di Sassari
e di Oristano, tutto puntato sulle
tradizioni e il costume quello di
Nuoro), gli altri si sono dovuti scegliere un argomento particolare.
Salvo luoghi dove la preistoria è
ancora quasi viva, come l’Anti-
14
quarium Turritano (via Ponte Romano 92, 079/51.44.33) di Porto
Torres (una delle poche città onorate del titolo di colonia ai tempi
di Roma) o il nuovo Museo Archeologico (piazza Insula Plumbea, 389/7.96.21.14) di Sant’Antioco (l’antica Sulci), che conserva soprattutto reperti fenicio-punici,
ogni paese si è, perché non dirlo,
“inventato” un suo museo
originale, legato alla specificità della cultura, della
storia, delle tradizioni del
luogo. Certo, il Museo di
Villanovaforru (piazza Costituzione 1, 070/9.30.00.
48), che raccoglie i reperti
di un grande nuraghe vicino – i cui sotterranei erano così fittamente provvisti di vasi, grandi e piccoli, da aver fatto pensare
che fosse una sorta di emporio centrale, un supermarket delle terrecotte
mediterranee –, ha una
sua persuasività didattica
che lascia infinite suggestioni nel visitatore: uscendo, sembra di potersi sedere al tornio e ripetere i gesti di un antico vasaio.
Ma poi ci sono anche gli
altri: i musei che non ci si
aspetta. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Da Villanovaforru, due musei vi-
cini sono a Laconi e ad Ales.
Con Laconi siamo ancora nel
campo imprevedibile della
preistoria: in un
palazzotto dove
un tempo i baroni richiudevano i vassalli
renitenti, è stato
allestito il Museo delle Statue Menhir (piazza
Marconi, 0782/86.62.16). La parola
viene dal brètone, in Sardegna si
chiamano perdas fittas, pietre, alte
un paio di metri, conficcate nel
terreno a rappresentare la divinità
e insieme a invocarla: monoliti
appena scalfiti da mano umana,
quanto basta ad accennarvi un seno femminile, una protuberanza
del dio maschio. Non lontano, nella campagna di Goni (a Pranu
Mutteddu, vale la pena di farci un
salto), se ne sono trovati decine allineati come soldati pronti alla parata, forse orientati là dove diceva
il sole (l’astrologia nuragica vive
la sua stagione d’oro). Ad Ales,
invece, c’è il Museo del Giocattolo
(via Vittorio Emanuele 10, 0783/
99.80.72-93.22.28): a Zéppara, una
frazione della cittadina, un diligente lavoro di ricerca dei bambini delle scuole ha ricostruito i giocattoli dei nonni e dei padri, di
Sopra, a sinistra:
un curioso cavallo
di legno esposto
nel Museo del
Giocattolo di Ales.
Sopra, a destra:
la suggestiva
cucina di casa
Steri a Siddi,
oggi trasformata
in Museo
delle Tradizioni
Agroalimentari.
In basso, a sinistra:
il portico esterno
della casa-museo.
15
MUSEI
Giorgio Baldini
La Taverna dell’Aquila
Sopra: Mujeres, del pittore spagnolo
Antonio Ortiz Echagüe, conservato nel
Museo d’Arte Contemporanea di Atzara.
materia povera e di fantasia
grande. A Siddi (siamo sempre
nella porzione di Sardegna facilmente raggiungibile da Cagliari)
un’antica casa-azienda è stata trasformata in Museo delle Tradizioni Agroalimentari (via Roma 2,
070/9.34.10.28-349/6.30. 46.21):
lungo tutto il suo percorso si rivive la giornata del contadino, il ciclo delle stagioni, la sapienza delle mani cuciniere.
A Sant’Antioco c’è anche il Museo del Bisso di Chiara Vigo (via
Regina Margherita 113, 0781/
82.80.77-347/3.30.22.37). Chiara è
l’ultima sacerdotessa di un’arte
secolare, la tessitura del bisso, che
è una sorta di seta marina, pronta
a diventare filo, prodotta dalla
Pinna nobilis setacea¸che qui chiamano gnàcchera, una grande cozza
che un tempo popolava numerosa
i fondi delle acque calme. Con il
bisso si facevano in prevalenza i
preziosi paramenti sacri, e la stessa fatica della tessitura aveva (ha
ancora, nelle mani di Chiara) una
immediata sacralità.
Andando verso Nuoro, si può
Dal piano di sotto risale la dolcezza di un
vecchio grammofono a manovella. La puntina affaticata da un secolo di giri è impegnata con la Vedova Allegra di Franz
Lehár. Ma è soltanto un caso perché, a seconda dell’umore, sul piatto potrebbe danzare Canta pe’ mme di Enrico Caruso, anni
Dieci. Vinili originali, fonografo e malinconia pure. Le note si diffondono come aria
calda all’interno dei quasi 300 metri quadrati e 2.000 pezzi in esposizione della Taverna dell’Aquila, il Museo del Ricordo dove il tempo ha deciso di concedersi una
piccola pausa. La musica s’insinua tra le
20 sezioni di un’originale collezione suddivisa per botteghe e mestieri, pronta a ripercorrere le tradizioni contadine e artigiane in particolare del territorio circostante e della Sardegna. Un viaggio che
parte dal ’700 e arriva fino agli anni 50 del
secolo scorso.
Siamo a Ozieri (Sassari), regina del Logudoro, poco più di 11.000 abitanti. Se i libri mantengono vive le affascinanti vicende di un passato che oggi si traduce
inevitabilmente con il termine nostalgia,
la Taverna dell’Aquila (via Tempio 6,
079/78.62.49; visite su prenotazione)
permette di toccarle con mano, quelle
storie d’altri tempi. La taverna è il regno
di Giuseppe Saba (creatore del museo),
l’aquila sopra i cimeli delle grandi guerre
è il suo simbolo: Sa signora , come la
chiama Saba, fu impagliata nel 1888 e
donata negli anni 70 dalla famiglia del
pittore ozierese Giuseppe Altana.
Saba ha iniziato a collezionare oggetti della sua terra quando aveva dieci anni. Oggi
ne ha 70 e condivide la propria passione
con oltre 3.000 visitatori l’anno. Durante
la sua lunga attività di muratore, ristrutturando ville padronali e case di campagna
ha scoperto, quasi per caso, di possedere
doti di archeologo della nostalgia. Mentre
molti suoi colleghi consideravano una seccatura svuotare cantine e soffitte durante i
lavori, Saba si accendeva d’entusiasmo e
rastrellava tutto ciò che nel migliore dei
casi sarebbe finito nella discarica. Il risultato è nel suo museo: macchine ottocente-
sche per fare la pasta, attrezzi per lavorare la terra e tirar su l’acqua dai pozzi, ceramiche, opere in ferro battuto, lampade a
olio, banchi di scuola e manuali per maestri di un tempo, utensili del ’900 per cucire la pelle...
Nella prima saletta a destra c’è la scienza,
tra cui una buona parte della documentazione sulle tecniche utilizzate per l’operazione di cinque pazienti affetti da una forma grave di strabismo. Sullo scaffale sopra i banchi di scuola c’è l’amore: una serie di anonimi e originali manoscritti di fine Ottocento fa capire cosa significa impazzire di passione. Al piano inferiore c’è il
lavoro: attrezzi della tradizione contadina
locale come il rompiballe, una specie di
pala a tre denti che veniva utilizzata per distribuire il foraggio agli animali, e la zanzarra, una curiosa pialla per rifinire i cantoni di pietra tenera. In fondo alla sala,
una cantina con 2.800 bottiglie di vino. E,
ancora, un piccolo spazio di fronte al camino dove poeti improvvisatori e cantadores a chiterra – i menestrelli del folclore
locale – si esibiscono sotto l’ispirazione
del nettare dei vitigni della zona.
Al piano di sotto, vicino al grammofono
che continua a elargire calore, una collezione di dischi in vinile e pubblicazioni che
descrivono minuziosamente gli oggetti-culto della gioventù del primo Novecento. Vicino al grammofono, ultima stanza del museo, c’è la curiosità: una collezione di cataloghi di vendite per corrispondenza
(1912-23). Basta sfogliarne uno a caso e
l’occhio cade sul preservativo Elefante. Ordinarlo costava 4 lire.
Numerosi anche i pezzi che esulano decisamente dalla tradizione: un porta-dinamite della guerra di Secessione americana,
raccolte di fossili e minerali provenienti da
tutto il mondo e una collezione di 320 bottiglie di liquori con etichette originali degli
anni 40 e 50. Tra i più curiosi c’è l’amaro
Nulla, utilizzato dai baristi dell’epoca per
ingannare gli avventori che alla richiesta
"Cosa posso servirle?", rispondevano
"Nulla, grazie". E il gioco era fatto.
Emiliano Farina
continua a pagina 20
16
17
MUSEI
Adriano Mauri
Il pane nuragico: una briciola di tremila anni fa
18
ria dall'archeologo Enrico Atzeni, ma solo
nei mesi scorsi sono stati analizzati grazie
a una collaborazione internazionale. È stato Philippe Marinval, archeobotanico, ricercatore del Centro nazionale di ricerche
scientifiche di Toulouse, in Francia, a esaminare col carbonio 14 i resti contenuti
nelle anfore di Genna Maria. “L'aspetto
più incredibile”, dice lo studioso francese,
“è che si tratta di un pane che conserva la
crosta esterna e la tessitura della pasta,
Giancarlo Deidda
È nero, poroso. A prima vista, sembra un
pezzo di carbone. Appena tre centimetri di
larghezza. Una briciola scura che forse
svela nuovi segreti sul popolo dei nuraghi,
la costruzioni che l'Unesco ha inserito nel
Patrimonio dell'umanità. Finora non si sapeva che quelle mani, capaci di costruire
le grandi torri circolari in pietra e di forgiare le stupefacenti statuine in bronzo di capitribù e animali, fossero esperte anche
nel preparare l'alimento principe dell'uomo: il pane. Un pezzetto di pane. Cotto tre
millenni fa nei forni di Villanovaforru, il piccolo centro della Marmilla – 50 chilometri
da Cagliari, a breve distanza da Su Nuraxi
di Barumini – che attorno al villaggio nuragico di Genna Maria (foto in alto), al suo
Museo Archeologico (foto a destra) e al laboratorio di restauro sta costruendo un
piccolo miracolo economico che si chiama
turismo culturale. Tra quelle capanne distrutte da un improvviso e devastante incendio sono stati trovati, oltre al pane, anche alcuni resti di cereali, leguminose e
frutti. Residui alimentari carbonizzati e
contenuti in orci di terracotta che li hanno
protetti dalla furia di quel rogo che mise
fine alla vita del villaggio.
I reperti sono tornati alla luce 30 anni fa
nel corso degli scavi condotti a Genna Ma-
un caso unico rispetto ai pani risalenti più
o meno alle stesso periodo trovati nell'Europa continentale. Mi ha sorpreso la struttura della pasta, molto elastica, che potrebbe essere stata addirittura lievitata”.
La scoperta lancia un ponte fino ai giorni
nostri. Che cosa era conservato negli orci
d'argilla custoditi in una dispensa di 3.000
anni fa? Cereali, legumi, pane, vino: i Nuragici si nutrivano come noi, la base alimentare è la stessa.
Anche da queste considerazioni è partita la
ricerca del Gal delle due Marmille sulle
tracce delle radici, soprattutto enogastronomiche, della popolazione che vive tra Cagliari e Oristano. I ricercatori non si sono
spinti così indietro nel tempo ma, grazie soprattutto ai ricordi degli anziani di 44 paesi, hanno fatto riemergere una serie di piatti e ricette tradizionali, puntando sugli
aspetti antropologici e culturali della gastronomia di 70-80 anni fa. I sapori di ieri
si intitola il progetto, che coinvolge associazioni, Comuni, musei, ristoranti e che ha
portato, come osserva Roberta Muscas, responsabile dell'area culturale del Gal, “al
recupero di piatti tipici che erano quasi del
tutto scomparsi, presenti nella memoria ma
non più nella quotidianità”. Con un occhio
all'antropologia e un altro alla tavola, quest'anno sarà riproposto per la seconda volta il concorso gastronomico ed entro maggio gli 11 ristoratori che hanno aderito alla
rete I sapori di ieri proporranno stabilmente nei menù alcuni piatti tipici del passato.
Una ricetta su tutti, un alimento dei giorni
di festa oggi dimenticato: la gallina ripiena
(sa pudda prena), imbottita con pane raffermo speziato con pomodoro secco, aglio,
prezzemolo, zafferano, fegatini, e poi cucita
con lo spago, in due versioni, dolce e salata. E poi le varietà della pasta, ricordate da
Corrado Casula, esperto enogastronomo, fiduciario Slow Food di Oristano: non solo le
celebri lorighittas di Morgongiori, ma anche i tallutzas (orecchiette preparate con la
pasta del pane) o i maccarronis fibaus (avvolti tra le dita come un serpentello), tipici
di Siddi.
Lello Caravano
19
MUSEI
continua da pagina 16
20
Qui a destra e in
basso: due sale
espositive del
Museo d’Arte di
Nuoro (Man)
che ospita un
centinaio di opere,
un “grande libro”
di storia dell’arte
sarda. L’arco
temporale va dagli
anni Venti fino
agli anni Settanta
del Novecento.
al Man di Nuoro (via Sebastiano
Satta 15, 0784/25.21.10): Man vuol
dire semplicemente Museo d’Arte di Nuoro, dove, accanto a sale
che sono veri e propri capitoli
d’un “grande libro” della storia
dell’arte in Sardegna, vengono
ospitate, di volta in volta, rassegne dedicate alla pittura mondiale. Fate anche una puntata a Bitti
dove nel Museo della Civiltà
Contadina (via Mameli 47,
0784/41.43.14-333/3.21.13.46), dedicato a un vecchio professore del
luogo (che fu una sorta di nume
tutelare del liceo sassarese dove
hanno studiato Antonio Segni,
Francesco Cossiga ed Enrico Berlinguer), c’è una sezione multimediale del canto a tenore: il più
“nazionale” dei canti isolani, divenuto famoso soprattutto per
merito del Tenore di Bitti. Il mu-
Fotografie di Gianmario Marras
incontrare il Museo della Fiaba
Sarda (via Savoia 1, 348/
3.94.38.42-328/2.23.69.28), a Boroneddu, dedicato al mondo delle
cento favole che l’educazione dei
bambini conosceva e ai personaggi che le animavano. A Orroli, Sa
omu Áxiu (pronuncia Ásgiu, come
se la x fosse una j francese) è la
Casa Vargiu, che ospita, oltre a
una raccolta etnografica e a un rinomato ristorante, un Museo del
Ricamo (via Roma 46, 0782/
84.50.23), un’altra di quelle raffinate attività in cui la donna sarda
esercitava le sue manos de oro, le
sue mani d’oro. Ad Atzara, il Museo d’Arte Contemporanea (piazza Antonio Ortiz Echagüe 1,
0784/6.55.08) ha un nome abbastanza usuale, ma una raccolta di
quadri assolutamente inedita. Ricorda il gruppo di pittori spagnoli
di fine Ottocento-primi del Novecento che, mentre studiavano a
Roma con una borsa di studio del
re, vennero in Sardegna a scoprire
un mondo che era colorato al modo della loro Catalogna (da lì ne
veniva la gran parte). Così i capiscuola di quel Liberty che in Spagna chiamano el Modernismo, Chicharro, Ortiz Echagüe, De Queiros, divennero padri fondatori di
quella pittura sarda che subito
dopo i pittori locali (anch’essi in
mostra) avrebbero fatto propria.
Per vederne ancora basta arrivare
seo ne raccoglie decine di interpretazioni, l’apparato multimediale ne spiega le tecniche e ne
permette l’audizione.
Mettiamo tutti insieme, in un
mannello finale, altri quattro musei, di quelli inusuali: a Bidonì c’è
Sa domu ’e sa majarza, la Casa della
Strega (via Monte 9, 0783/6.90.44),
dove il vecchio municipio è stato
ristrutturato per ospitare memorie
delle antiche leggende di streghe,
diavoli, esseri fantastici, ma anche
amuleti e talismani di epoche diverse. A Pozzomaggiore, invece,
dove il 6 e 7 luglio si corre una sfrenata galoppata in onore dell’imperatore guerriero San Costantino (simile all’Ardia di Sedilo), si trova il
Museo del Cavallo (piazza Convento, 079/80.11.23-80.00.67-348/
4.46.06.72), rivisitato nell’arte, nello sport, nelle feste tradizionali,
nel lavoro quotidiano. A Siligo, ormai a una trentina di chilometri da
Sassari (il nostro itinerario ha cercato di attraversare la Sardegna
dal sud al nord, magari con qualche necessario ghirigoro), il Museo Maria Carta (via Aldo Moro 1,
079/83.70.09) è dedicato alla più
grande folk-singer della Sardegna
del Novecento. A Ozieri, la Taverna dell’Aquila (via Tempio 6,
079/78.62.49) ha di sorprendente
non solo l’insegna, ma anche il ricco, generoso arredo di oggetti della vita contadina e pastorale, oggi
scomparsi dall’uso. Mimma B. Marcialis
21
TURISMO LETTERARIO
In treno con David Herbert Lawrence:
TURISMO LETTERARIO
racconti di viaggio sui vecchi binari
U
Nevio Doz
n viaggio senza fotografie
è come un vinile raro che
va in frantumi. I suoni e
le parole sfumano via via
nella memoria come immagini che
passano una volta sola. Rimane l’emozione del ricordo ma si perdono
i contorni della percezione originaria: l’istantanea stampata nel cervello degrada e un sipario di nebbia si interpone fra l’oggetto catturato dai propri sensi e quello che è
realmente possibile richiamare alla
mente. Fin quasi a scomparire. Riguardare le fotografie di un viaggio, come riascoltare un settantotto
giri dimenticato, significa aver consegnato qualcosa all’immortalità
della memoria. Propria e di altri.
All’emozione del ricordo si aggiunge la consapevolezza di poter rivivere e condividere quell’istante.
Non è dato sapere se David Herbert Lawrence, fra i maggiori scrittori inglesi del ‘900, autore di L’amante di Lady Chatterley, avesse
questa consapevolezza quando,
nel 1921, durante un viaggio di 9
giorni in Sardegna con l’inseparabile moglie Frieda, percorreva la
ferrovia a scartamento ridotto Cagliari-Mandas. Acutissimo osservatore, Lawrence dedicò due capitoli
del suo Sea and Sardinia ai paesaggi, ai personaggi, alle peculiarità
del territorio e della “razza” sarda.
La sua penna riempiva il taccuino
di appunti quasi in un bisogno patologico di immortalare con l’inchiostro della sua abilità descrittiva
tutto ciò che incontrava. Il racconto,
come l’incedere del trenino che dal
capoluogo sardo porta ancora oggi
i turisti a Mandas (centro di 2.700
anime a 55 chilometri da Cagliari),
è un lento e piacevole fluire, un
percorso che consegna all’umanità
un patrimonio naturalistico e storico altrimenti indistinguibile.
Sopra: la locomotiva a vapore “Reggiane”, fabbricata nel 1931 e ospitata nel Museo delle Ferrovie di Monserrato,
alla periferia di Cagliari, è ancora perfettamente funzionante e utilizzata per convogli turistici dalle ferrovie della Sardegna.
22
23
TURISMO LETTERARIO
Archivio Alinari/Firenze
Fotografie di Giancarlo Deidda
TURISMO LETTERARIO
In alto: la parrocchiale di San Giacomo, a Mandas. Qui sopra: la targa
del largo che il paese ha dedicato al romanziere. A destra: ritratto
di David Herbert Lawrence (1885-1930). Nella pagina seguente: il
convoglio a vapore con le carrozze del Trenino Verde. L’immagine è
suggestiva, quasi di un’altra epoca: i ferrovieri sono alle prese con una
locomotiva sulla piattaforma girevole alla vecchia stazione di Mandas;
qui soggiornò lo scrittore inglese con la moglie Frieda von Richtofen.
24
Dopo quasi un secolo, come
un’eco lontanissima che ritorna,
la giunta della Provincia di Cagliari, a braccetto col comune di Mandas, ha intitolato a Lawrence un
premio dedicato alla letteratura di
viaggio in Sardegna. E ciò che lo
scrittore inglese ha magistralmente e minuziosamente riportato
dell’Isola in Sea and Sardinia meglio che in un reportage fotografico, andrà a costituire il territorio di
un parco letterario di imminente
apertura che porterà il suo nome.
La memoria viaggerà sui binari.
Quelli delle ex ferrovie complementari che dal capoluogo sardo
hanno portato Lawrence e signora
attraverso le campagne – che al ro-
manziere ricordavano la Cornovaglia – fino alla Trexenta di cui
Mandas (antico ducato) è capitale.
Il progetto, presentato a gennaio,
andrà a integrare il già esistente
servizio turistico del Trenino Verde (che, come allora, percorre quei
70 chilometri ferrati con una locomotiva diesel e due carrozze d’epoca fra luoghi selvaggi) con il restauro della locanda dei Ferrovieri, adiacente alla vecchia stazione
di Mandas dove Lawrence soggiornò. Inizialmente la locanda
avrà 5 posti letto e un ristorante
che ospiterà almeno 60 persone.
L’idea, finanziata dall’assessorato
regionale al Turismo, decollerà a
ottobre per la prima edizione. Il
premio letterario intitolato a Lawrence potrebbe essere presentato
anche a Londra e Nottingham e
avrà cadenza annuale.
Un progetto culturale che non
avrà difficoltà a suscitare interesse
per una Sardegna ancora aspra e
selvaggia. Intatta così come raccontata dall’autore di L’amante di Lady
Chatterley. Con il valore aggiunto
costituito dall’identificazione dell’Isola come punto di riferimento
europeo per la letteratura di viaggio. Merito della penna di Lawrence, capace di tramandare e catturare con parole e frasi quello che
nemmeno una telecamera sarebbe
stata in grado di fare. Edoardo Pisano
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FLORA
Fotografie di Giancarlo Deidda
La peonia, rosa senza spine
La peonia corallina, con i suoi bellissimi fiori purpurei, tra aprile e maggio colora di rosso le rocce degli altopiani dell’Isola.
N
on c’è rosa senza spine, dice il proverbio.
Niente di più sbagliato, perché sui freschi
altopiani del Gennargentu, del
monte Linas e del Limbara, a quasi mille metri di altezza, vegeta il
fiore simbolo dell’Isola, che riesce
a smentire persino consolidati
adagi popolari.
La peonia corallina tra aprile e
maggio colora di rosso porpora le
rocce con i suoi grandi fiori:
s’arrosa de monti la chiamano i
pastori perché cresce solo lontano dal mare, in alto, dove d’inverno solitamente si vede solo
neve. E quelle cromìe inconfondibili sono tra le prime a spuntare quando la natura si risveglia,
quando il manto bianco lenta-
mente si scioglie e il verde si
riappropria di queste cime.
Forse non è un caso che la peonia abbia scelto il tetto della Sardegna: nell’antica Grecia era l’unico fiore che poteva dischiudersi nell’Olimpo, e che meritava
l’ammirazione da parte degli dei.
Alcuni scienziati dell’undicesimo secolo della Loira, invece, ne
lodavano le proprietà terapeutiche: scrive Macer Floridus, nel
suo De viribus herbarum, che la radice della pianta era un ottimo rimedio contro l’epilessia dei bambini, mentre i semi, appesi in arrangiate collane al collo dei neonati, potevano lenire i dolori causati dalla crescita dei denti.
Ancora le radici, assieme ai petali, scrive Floridius, curavano l’a-
sma e la gotta. E a proposito di
gotta, uno dei mali endemici della
Sardegna provocata dall’eccessiva
alimentazione a base di carne,
non si sa se anche nell’Isola la
peonia venisse utilizzata come
medicinale.
Per osservare i purpurei e carnosi fiori non è necessario avventurarsi in faticose escursioni,
perché spesso la peonia spunta
qua e là anche a bordo strada.
Succede, per esempio, sulla
stretta e panoramica stradina sui
tacchi dell’Ogliastra e su Punta
La Marmora che collega il torrione di Perda Liana (Gairo) con
Montarbu, poco prima di Seui,
dove la fioritura si può ammirare nel sottobosco o in alcune radure. L’importante è scegliere il
27
Giancarlo Deidda
FLORA
periodo giusto. Perché la rosa
dei monti si concede solamente
per quindici, venti giorni all’anno. Un bagliore di colore, poi
più nulla fino alla primavera
successiva.
La peonia predilige il fresco e
vegeta tra i seicento e i millecinquecento metri. Non passa inosservata durante il suo periodo di
fioritura. Verrebbe da aggiungere
purtroppo, visto che sempre più
visitatori non si accontentano di
ammirarla sul posto, ma spesso
portano con sé i bulbi, da piantare poi nel giardino di casa. E così
il fiore simbolo della Sardegna è
a rischio estinzione e inserito
nella lista rossa dell’Uicn (Unione internazionale per la conservazione della natura).
Sebbene sul Gennargentu esistano decine di stazioni, questo
fiore è presente anche sul massiccio del Linas, nell’Iglesiente, e
sul Limbara, la cima che domina
su Tempio Pausania. E proprio
sul Linas il giardino botanico Linasia (0781/2.00.61) ospita diverse piante di peonia, assieme ad
altre tipiche della flora isolana. È
un affascinante viaggio tra essenze e colori, che svela i tesori botanici della Sardegna. Daniele Casale
Informazioni
Per escursioni guidate nel Gennargentu,
ci si può rivolgere alle cooperative:
ExcursioNatura (Orgosolo, 0784/
40.10.78, 333/4.50.33.28; www.
excursionatura.com), che propone
anche pranzi tipici all’aperto, organizza
tour a cavallo, in fuoristrada o quad
e visite guidate in siti naturalistici
e archeologici; Barbagia No Limits (sede
a Gavoi, 0784/52.90.16, 347/
1.73.63.45, 347/5.77.40.41; www.
barbagianolimits.it). Per percorsi
trekking ed escursioni nel Limbara si
può contattare Terranova Escursioni
(Sede a Olbia, 328/7.39.45.26).
Sopra: la fioritura di una peonia risalta tra le rocce all’ombra
di un tasso sul Supramonte di Baunei, nell’Ogliastra.
28
Supramonte (Nuoro)
LA MONTAGNA SEGRETA
In questi luoghi, abitati fin dalla preistoria,
il tempo sembra essersi fermato. Un vero
e proprio tempio consacrato a chi ama la natura
DI DANIELE CASALE - FOTOGRAFIE DI GIANCARLO DEIDDA
IMPONENTI ARCHITETTURE NATURALI
L’immenso altopiano calcareo del Supramonte
è dominato da giganteschi torrioni naturali: in primo
piano si staglia quello del monte Fumai dove, nascoste
da ginepri e lecci secolari, sgorgano le sorgenti
del fiume Cedrino; sullo sfondo si ergono maestosi
i bastioni del monte Novo San Giovanni (1.316 metri).
C
i sono ancora gioielli nascosti nel tesoro
immenso del Supramonte. Luoghi perduti
nel tempo, montagne che celano i segreti
dei banditi e boschi che mai hanno conosciuto la scure. Baratri tenebrosi che arrivano al centro della Terra. Meno famosi del villaggio di Tiscali e del canyon
di Gorroppu, ma altrettanto suggestivi. Tra Orgosolo
e Baunei, passando per Urzulei, le cime del Monte
Novo San Giovanni, la foresta di Sas Baddes e la voragine del Golgo, nell’immenso altopiano calcareo
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del Supramonte che si staglia al centro della Sardegna, racchiudono intatto il loro misterioso fascino. Da
queste parti è raro vedere persino le greggi, perché
gli unici abitanti sono i mufloni, le aquile reali, i cinghiali e i gatti selvatici.
La montagna “panettone”. Da lontano, monte Novo San Giovanni ricorda un panettone. A mano a
mano che ci si avvicina, percorrendo una stretta
sterrata che parte dalla caserma forestale di Funtana
Bona, sull’altopiano di Montes, sopra Orgosolo, i bastioni che arrivano a 1.316 metri
fanno impressione. Un’emozioBIANCO
ne che Grazia Deledda, in un
CALCARE
episodio de L’edera, aveva deIn alto: particolare
scritto così: “Enormi rocce di gradel bellissimo
nuraghe Mereu,
nito, sulle quali il musco disenella foresta
gnava un bizzarro mosaico nero
di Sas Baddes,
interamente
e verde, si accavallavano stranacostruito con pietre
mente le une sulle altre, formancalcaree bianche.
do piramidi, guglie, edifizi cicloA sinistra: un
tipico scorcio di
pici e misteriosi. Pareva che in
natura selvaggia
un tempo remoto, nel tempo del
del Supramonte.
caos, una lotta fosse avvenuta fra
Nella pagina
seguente:
queste rocce, e le une fossero
la possente
riuscite a sopraffare le altre, ed
bastionata
del monte Novo
ora le schiacciassero e si ergesseSan Giovanni
ro vittoriose sullo sfondo azzurro
che domina
del cielo”. Un ripido sentiero sul
incontrastato
sul Supramonte
lato orientale della montagna
orgolese.
permette di raggiungere in breve la cima. Da qui sembra di vedere i confini dell’Isola. A nord si scorge Gorroppu, quasi una ferita in
mezzo al Supramonte. A est il territorio di Urzulei,
che delimita senza soluzione di continuità la Barbagia dall’Ogliastra. A nord-est svetta imponente il
monte Corrasi. Poco lontano dal monte Novo San
A PERDITA
D’OCCHIO
Sotto: S’Arenargiu è
il punto migliore per
raggiungere la punta
Solitta con lo sguardo
che spazia su boschi
sconfinati, mai
oltraggiati dall’uomo
e dove accanto ai lecci
spuntano ginepri,
agrifogli e tassi,
relitti arborei
dell’era Terziaria.
Pagina precedente:
resti di un’antica
capanna (Cuole
Suderle, altopiano
di Donanigoro).
Sono dimore abitate
dai pastori, con un
basamento in pietra
e una copertura
fatta di legno e
frasche di ginepro.
Giovanni si staglia il Fumai, torrione gemello, prezioso perché, nascoste da ginepri e lecci secolari,
sgorgano le sorgenti del fiume Cedrino. L’essere
una delle località più panoramiche della Sardegna
potrebbe far sfuggire, a un occhio non esperto, che
monte Novo San Giovanni è soprattutto uno scrigno
floristico. I botanici lo sanno bene, perché qui, e solo
qui, vegetano tra le specie più rare di tutto il Mediterraneo: tra tutte, il Ribes sandalioticum, un cespuglio che da queste parti dà origine a piccoli “boschi”. E poi ci sono quelle gigantesche edere, aggrappate da secoli ai bastioni della montagna, che
sembrano voler arrivare a toccare il cielo.
Il cimitero dei ginepri. Proseguendo verso nord,
su un accidentato tratturo che quasi costeggia il rio
Flumineddu, si arriva al nuraghe Mereu, bellissimo
perché in parte ancora integro ed edificato con i
bianchi calcari del Supramonte. Poco oltre, il paesaggio cambia improvvisamente: dalle chiome rigogliose delle querce lo sguardo passa a una distesa
quasi infinita di ginepri di cui adesso rimane solo il
legno spoglio. Un paesaggio lunare che è così dal
1931, quando un incendio di sette giorni ridusse
questo pianoro, Campu su Murdegu, in uno sconfinato braciere visibile a chilometri di distanza. Ora
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rimangono quegli scheletri, muti testimoni di un disastro che consumò la montagna.
La foresta vergine. Dal deserto dei ginepri a una
foresta mai sottoposta al taglio, per fortuna, il passo è
breve. Il Supramonte è anche questo: contraddizioni
selvagge, l’orrido che si alterna alla meraviglia. Sas
Baddes sembra un posto rubato alle fiabe, dove i lecci sovrastano il visitatore. La luce solare qui non si
affaccia nemmeno: troppo intricati quei rami, troppo
folte quelle chiome. Ma soprattutto troppo alte, visto
che gli alberi raggiungono i trenta metri. Alcuni
esemplari sfiorano addirittura i quaranta. Sas Baddes, estesa per ben venticinque chilometri quadrati
tra i territori di Orgosolo, Oliena, Dorgali e Urzulei,
è uno dei pochi boschi del Vecchio Continente mai
oltraggiato dall’uomo: è così da secoli, questo pezzo
di preistoria della Sardegna. Assieme ai lecci spuntano qua e là i “soliti” ginepri, agrifogli e i tassi, relitti
arborei dell’era Terziaria.
Al centro della Terra. Duecentosettantacinque
metri di salto nel buio, o forse più, per arrivare al
cuore segreto della Sardegna. La voragine di Su
Sterru, un “buco” che si apre all’improvviso nel Supramonte di Baunei, tra carrubi e ginepri, si trova
nel mezzo dell’altopiano del Golgo, tavolato calca-
reo che si staglia a 400 metri sul livello del mare e
porta d’accesso per raggiungere a piedi le cale da
favola del Golfo di Orosei. Da sempre luogo di leggende, studiata dai geologi e amata dagli speleologi, la voragine è tra gli inghiottitoi a campata unica
più profondi d’Europa. Per lungo tempo considerata la bocca di un vulcano, venne esplorata la prima
volta nel luglio del 1957, ad opera di un gruppo di
speleologi nuoresi. Un’impresa che non fu certo
una passeggiata, perché i tentativi di violarla fino al
fondo furono diversi, visto che la corda che si utilizzava risultava sempre troppo corta. Fu Umberto
Pintori, alla fine, ad avere la meglio. Quando i suoi
piedi toccarono terra, a quasi trecento metri di
profondità, alzò lo sguardo e avvenne l’incredibile:
l’imboccatura era un piccolo punto sopra la sua testa ma, nonostante fosse pieno giorno, in quella fetta di cielo riuscì a scorgere le stelle. Le sorprese
continuarono mentre osservava la spelonca, una ca-
INFORMAZIONI
Per escursioni guidate nel Supramonte, ci si può rivolgere alle
cooperative ExcursioNatura
(Orgosolo, 0784/40.10.78, 333/
4.50.33.28, www.excursionatura.
com), che propone anche pranzi
tipici all’aperto, organizza tour a
cavallo, in fuoristrada o quad
e visite guidate in siti naturalistici e archeologici; Goloritzé
(Baunei, località Golgo, 0782/
61.05.99, 368/7.02.89.80,
www.coopgoloritze.com); Ghivine
(Dorgali, 078/49.67.21, 338/
8.34.16.18, www.ghivine.com);
cooperativa Enis (Oliena, località
Monte Maccione, 0784/
28.83.63, www.coopenis.it).
NATURA
SELVAGGIA
Sopra: Mufloni nella
foresta di Montes.
Quest’area boschiva
(ampia 46 chilometri
quadrati), dove
emergono i torrioni
gemelli del monte
Novo San Giovanni
e del monte Fumai,
è nota per il suo
straordinario
patrimonio
ambientale: vi si
trovano numerose
varietà faunistiche
e botaniche, oltre a
insediamenti di
età nuragica. Nella
pagina seguente:
le limpide acque del
fiume Cedrino che
sgorgano, nei pressi
del monte Fumai,
dalle sorgenti di
Su Gologone, le
fonti carsiche più
ricche dell’Isola.
mera semicircolare del diametro massimo di una
ventina di metri: intanto, il gran numero di pietre, lanciate come passatempo dai visitatori. Poi
la particolare flora e gli strani animali, tra cui rari
ragni, geotritoni e perfino minuscoli crostacei terrestri. Un spettacolo unico, osservato per la prima
volta dall’uomo. Leggenda vuole che quando Pintori venne issato su dai compagni, i suoi capelli
erano diventati bianchi. Alla voragine del Golgo è
legata anche una leggenda popolare, secondo la
quale l’inghiottitoio venne originato da una tremenda lotta tra un terrificante serpente, padrone
dell’altopiano, e San Pietro, che volle liberare l’abitato di Baunei dal terrore per l’animale. Alla fine vinse il santo, che afferrò il rettile per la coda e
lo sbattè in terra talmente forte che il suolo franò
dando origine all’orrido. Come segno di ringraziamento, i baunesi fecero edificare nelle vicinanze una chiesetta agreste, che sta ancora lì, dedicandola proprio al santo liberatore. Il viaggio nel
Supramonte segreto finisce qui, ma molti altri
luoghi rimangono da scoprire e da raccontare. Sorgenti di Su Gologone
Gelide e blu cobalto, dense e misteriose. Appaiono all’improvviso, nella fenditura della montagna, dopo chilometri e chilometri di un viaggio sotterraneo tra le rocce calcaree. Le sorgenti di Su Gologone, in territorio
di Oliena, sono le fonti carsiche più generose della Sardegna: trecento litri al secondo, recitano i manuali, un
vero record in una parte della Sardegna, confine tra Barbagia e Supramonte, dove l’acqua è un bene prezioso. Il laghetto dove le sorgenti emergono fa solo immaginare cosa ci sia all’interno del sistema che unisce Su
Gologone con le grotte di Su Bentu, Sa Oche e Su Guanu. Innumerevoli i tentativi di esplorazione: nell’ultimo
si sono raggiunti i 107 metri di
profondità. L’acqua, dolcissima e a
una temperatura costante di 11
gradi, alimenta il fiume Cedrino ed
è un’inesauribile risorsa anche durante i più duri periodi di siccità.
Per visitare le sorgenti, oltrepassata Oliena, si seguono i cartelli e
a sei chilometri dal paese si svolta
a destra. In un piazzale si lascia
l’auto e dopo una passeggiata di
dieci minuti in un boschetto di eucalipti si raggiunge la meta.
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
Le spiagge da film
CIAK, SI GIRA!
Capolavori per il grande schermo e sceneggiati tv, commedie e tragedie,
epopee avventurose e spy-story: la “settima arte” ha pescato a piene
mani nei tesori del litorale sardo, perfette scenografie per pellicole memorabili
Giancarlo Deidda
DI LELLO CARAVANO
Veduta della spiaggia di
cala Luna, una delle più
fascinose del golfo di
Orosei, sulla costa nordorientale della Sardegna.
La fama di cui gode ormai
da decenni è in larga
parte merito di Travolti
da un insolito destino
nell’azzurro mare d’agosto,
pellicola firmata nel 1974
da Lina Wertmuller.
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
Q
Giancarlo Deidda
uando Gennarino Carunchio e la bionda
“bottana industriale” naufragarono su
quella spiaggia meravigliosa, la Sardegna turistica
fu travolta da un improvviso benessere. Sì, è vero,
nella finzione cinematografica quella era un’isola
forse caraibica, ma tutti sapevano che Giancarlo
Giannini, rude marinaio, e Mariangela Melato, bella
“sciura” milanese, in realtà erano sbarcati nel cuore
della selvaggia Ogliastra, nella perla del golfo di
Orosei: cala Luna, regina delle spiagge. Lina Wertmuller lo aveva scelto con cura quel set. La regista
era rimasta estasiata dal mare verde e cobalto, dai
colori, dalla linea bianca di ciottoli con il fiume, dagli oleandri rosa, dai grottoni. Con il Supramonte alle spalle, una quinta ideale per un film culto. Era il
1974. Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare
d’agosto sbancò i botteghini
dei cinema. Ma fu un successo
IL SET DI
anche nei botteghini delle vaVILLASIMIUS
canze. Non solo per cala Luna.
Villasimius vista
Tutta la Sardegna fece ciak,
da Torre del Giunco.
Sul litorale di questa
perché il traino come promoperla paesaggistica,
zione turistica fu notevole.
a sud dell’isola, fu
allestito il set di La
Tanto è vero che due anni docalda vita (1964), film
po, nel 1976, il set fu rimontadi Florestano Vancini
to nello stesso angolo di paracon Catherine Spaak
e Gabriele Ferzetti
diso. Ancora cala Luna, ancora
come protagonisti.
un naufragio. Il regista Sergio
Gli attori si muovono
Corbucci giocò la carta della
tra le scenografie
naturali della zona,
caricatura e della parodia con
come lo stagno di
un esilarante Paolo Villaggio e
Nottèri (in alto a
sinistra nella foto).
una bellissima Zeudi Araya,
nei panni succinti di Venerdì,
che si aggiravano in un fantastico scenario di calette, scogli, mare, macchia mediterranea nel divertente Signor Robinson, mostruosa storia d’amore e di avventure. Tante risate. E tante grazie per la promozione. La Sardegna selvaggia catturò anche l’attore genovese che ha inventato Fracchia e Fantozzi. “Ho
conosciuto un’isola magica”, disse Villaggio. “Non
solo il mare ma anche un interno meraviglioso, con
gli inebrianti profumi della macchia e i cespugli di
rosmarino selvatico alti due metri”.
Spiagge da cartolina. Spiagge da film. Prima c’erano stati tanti spaghetti-western, e una Sardegna
che al cinema raccontava soprattutto storie di pastori, di banditi e di codici d’onore, da Amedeo
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
Archivio Storico del Cinema/AFE
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Gianmario Marras
Nazzari a Ugo Tognazzi. Ora è
DESERTO
il mare a dominare. Pubbliciz“IN ROSA”
zato, come set ideale, persino
Qui a destra: il mare
davanti alla “spiaggia
sul sito on-line della Regione
rosa” di Budelli, la
Sardegna, che esalta l’ampiù conosciuta delle
isole dell’arcipelago
biente isolano come una sorta
della Maddalena;
di grande studio cinematol’arenile è oggi chiuso
grafico all’aperto.
ai turisti con l’intento
di ripristinare la
Sardegna selvaggia e inconcolorazione originaria
taminata come un’isola deserche l’ha reso unico. Il
ta. Lo stereotipo evidenteregista Michelangelo
Antonioni ambientò
mente funziona. E stimola la
qui alcune scene di
fantasia di registi e produttoDeserto rosso (1964),
il suo primo film a
ri. Pochi anni dopo Travolti…,
colori. Sopra: Monica
fu nientemeno che Francis
Vitti e Antonioni sul
Ford Coppola, il regista del
set del film, Leone
d’Oro al Festival del
Padrino, a finanziare un film
Cinema di Venezia.
campione ai botteghini: Black
Stallion. Storia dell’amicizia
fra il dodicenne Alec e lo splendido purosangue nero Black, un rapporto che comincia e si sviluppa,
anche qui, su un’isola deserta, guarda caso dopo un
naufragio dal quale il ragazzo si salva per miracolo
aggrappandosi al dorso dell’animale. Nel film di
Carroll Ballard (1979) buoni sentimenti, emozione,
avventura e natura si fondono. Il paesaggio è di
prim’ordine. Le spettacolari cavalcate di Black si
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Archivio Storico del Cinema/AFE
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LA NAUFRAGA
MADONNA
Gianmario Marras
svolgono nello scenario di Piscinas, la spiaggia della mariA sinistra: atmosfere
na di Arbus dominata dalle
tropicali a cala Cartoe,
imponenti dune color d’oro,
arco sabbioso protetto
regno di cervi e ginepri. I paeda due promontori a
nord di Cala Gonone.
saggi, oggi come quasi trenLa popstar Madonna
t’anni fa, sono superbi: silenscelse di persona la
zio, meravigliosi colori al traspiaggia per il remake
di Travolti da un
monto, suggestivi esempi di
insolito destino... della
archeologia mineraria che si
Wertmuller. Il film,
che andò nelle sale
ammirano arrivando da Moncon il titolo di Swept
tevecchio e Arbus fino alla
away (2001), fu un
magia di Ingurtòsu e Nafiasco al botteghino.
Sopra: Madonna
racàuli, i vecchi borghi abbansul set con Adriano
donati dai minatori.
Giannini, figlio di
Ma il mare sardo come set fu
Giancarlo Giannini,
indimenticabile
scoperto anni prima da due
mattatore nella prima
maestri del cinema italiano.
versione del film.
Nel primo film a colori di Michelangelo Antonioni, Deserto rosso, fu immortalata
Budelli, la perla dell’arcipelago della Maddalena,
spiaggia-mito, una delle più fotografate (e saccheggiate) dell’isola per i suoi granelli rosa dovuti alla
frantumazione di un microrganismo, la Miniacina
miniacea. Oggi l’arenile della piccola isola, gioiello
del parco nazionale, è superprotetto (si può ammirare solo dalla barca o da terra): un sacrificio necessario per farla tornare splendente come un tempo. Come la si vede in quella lunga sequenza finale del
film del regista ferrarese, girato nel 1964, con Monica Vitti (che sogna appunto la fuga verso una spiaggia completamente deserta) e Richard Harris.
Il mare sardo incantò anche Florestano Vancini.
Stesso anno di Deserto rosso, il 1964. Non i paradisi
galluresi ma la perla del sud dell’Isola – Villasimius – per La calda vita, con una giovane Catherine Spaak, Fabrizio Ferzetti, Fabrizio Cappucci e
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Fotografie di Gianmario Marras
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Jacques Perrin. In una bella
LE STORIE
casa con vista mozzafiato sul
DEL POETTO
mare e lo stagno di Nottèri,
A destra: il Poetto, la
spiaggia di Cagliari;
nella grande duna di sabbia
si estende per quasi
che divide la spiaggia di Siotto chilometri dalla
collinetta della Sella
mius, fu allestito il set che
del Diavolo fino al
spaziava in un ambiente non
litorale della vicina
ancora sommerso dall’invaQuartu Sant’Elena.
Sopra: lo scrittore
sione di villette e vacanzieri.
Massimo Carlotto
Di quei giorni resta la testifotografato al Poetto;
monianza dello sceneggiatore
il litorale della città
sarda fa da scenografia
Marcello Fondato: “Non credo
a Il fuggiasco (2003),
di aver visto da nessun’altra
pellicola che il regista
Andrea Manni ha
parte una spiaggia con i gratratto dal suo libro.
nelli così fini e bianchi”.
Ma sbarcarono anche le
spie e i cattivi di turno. Nel 1968 la Costa Smeralda
affascinò anche il mitico 007 (nelle vesti di Roger
Moore): La spia che mi amava, con Barbara Bach, dedicò alcune scene alle perle galluresi, le spiagge di
Cala di Volpe, tra grandi hotel e mondanità. Persino
la televisione in bianco e nero degli anni Sessanta si
innamorò di un angolo suggestivo di Gallura: cala
Spinosa, nei pressi di Capo Testa, a Santa Teresa di
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Massimo Ripani/Simephoto
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
SCENOGRAFIE DI ROCCIA
Sopra: la roccia dell’elefante a cala di Volpe, in Costa
Smeralda, mecca del turismo più raffinato e chic. Anche Roger
Moore fece qui il suo bagno di mondanità in Agente 007La spia che mi amava, decimo film della saga di James Bond.
Sotto: cala Spinosa, angolo suggestivo di costa gallurese
vicino a capo Testa. Negli anni Sessanta ospitò alcune riprese
dello sceneggiato televisivo in bianco e nero A come Andromeda.
Giancarlo Deidda
Gallura, ospitò alcune riprese dello sceneggiato A
come Andromeda, con Paola Pitagora e Luigi Vannucchi. Una pennellata alla riviera catalana la riservò Nanni Moretti, che dedicò la sequenza finale
del suo secondo “film-diario”, Aprile, alle Bombarde, la più famosa spiaggia di Alghero, col Lazzaretto e Maria Pia: il regista-attore si allontana tenendo
per mano il figlio di un anno.
Il mare e le spiagge di Villasimius sono stati il set
anche del recente Cinque per due del regista francese François Ozon, che ripercorre la storia di una
coppia a ritroso, dal divorzio al fidanzamento. Storie di amori, in latino e in versione gay, per un singolare film di Derek Jarman, Sebastiane (1976), con
musiche di Brian Eno e danze falliche di Lindsay
Kemp. Vicenda girata a cala Domestica (Buggerru),
bella cala che si apre alla fine di un fiordo dominato
da una torre spagnola. Una spiaggia legata profondamente all’epopea mineraria. Fino agli anni Quaranta del secolo scorso un trenino trasportava il
piombo e lo zinco che venivano caricati sulle navi –
le famose bilancelle – dirette a Carloforte. Bisogna
tornare indietro nel tempo, al 1965, per trovare un
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
Giancarlo Deidda
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
DA JARMAN A MORETTI, A CIASCUNO LA SUA LOCATION
Gianmario Marras
Sopra: cala Domestica si apre la strada verso il mare al termine di un fiordo, dominato da una torre spagnola. Derek Jarman
vi girò Sebastiane (1976), curioso film recitato in latino che ha per protagonisti otto soldati dell’antica Roma, confinati
qui dall’imperatore Diocleziano. Sotto: la spiaggia delle Bombarde, la più frequentata di Alghero, è stata utilizzata da
Nanni Moretti per la sequenza finale di Aprile (1998); il regista-attore si allontana tenendo per mano il figlio Pietro.
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Gianmario Marras
■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
film di fantascienza, Due più cinque di Pietro Francisci, ambientato a S’Archittu, rocce quasi lunari e
mare trasparente nel litorale di Cuglieri, sulla costa
oristanese. “Il mondo del cinema si accorse che a
due passi da Roma era possibile creare un set naturale”, dice Sergio Naitza, critico cinematografico
dell’Unione Sarda, “dove si potevano trovare scenari
perfetti per ambientare storie di solitudine, avventura, trame esotiche, giocando sull’aspetto selvaggio e selvatico dell’Isola, anche se spesso era una
Sardegna poco riconoscibile. Di recente registi sardi
hanno saputo sfruttare il paesaggio unico legandolo
a una radice, all’identità dell’isola”.
Viene da pensare subito a Salvatore Mereu e al
suo Ballo a tre passi, il bel film di tre anni fa premiato dalla critica al Festival del Cinema di Venezia. Indimenticabile ed emozionante
il primo episodio, dedicato alTUFFI “VIP”
la scoperta del mare da parte
A CALA FUILI
Cala Fuili, ultima
di un gruppo di ragazzi, al
caletta della costa di
battesimo dei tuffi tra le dune
Cala Gonone prima
di Porto Pino, nel litorale suldelle grotte del Bue
Marino. È una delle
citano, al confine con le spiagspiagge più belle
ge di Teulada, terra di guerre
della costa orientale
sarda, chiusa da
simulate, proibita al turismo.
imponenti falesie
Allo stesso mare è dedicato il
bianche verticali.
recente Piccola pesca, opera di
Nelle sue acque si
tuffò anche Claudia
Enrico Pitzianti, che racconta
Schiffer, a cui fu
la protesta dei pescatori del
affidata una piccola
Sulcis contro le esercitazioni
parte in Swept away
(2001) di Guy Ritchie.
militari. Il Poetto, la bella
spiaggia di Cagliari ferita da
uno scellerato ripascimento, si ritrova in Pesi leggeri, film di Enrico Pau sui sogni di gloria e d’amore
di due giovani pugili, e nel Fuggiasco di Andrea
Manni, tratto dal libro che Massimo Carlotto dedica
alla sua latitanza.
Ma eccoci alla scena finale, all’ultimo ciak. Sardegna, esterno giorno: ancora un naufragio. Protagonista nientemeno che Madonna. L’attrice e star del
pop riuscì a convincere il marito Guy Ritchie a girare nel 2001 un remake di Travolti da un insolito destino..., che andò nelle sale col titolo di Swept away. Il
suo partner era Giannini junior, Adriano figlio di
Giancarlo. “Sono stata io a proporre a mio marito il
film in questi luoghi affascinanti, ho amato moltissimo il film di Lina Wertmuller”, disse Madonna. I
set? Tutto il meglio che si possa incontrare sulla costa orientale. Oltre cala Luna, anche cala Fuili, ultima caletta della costa di Cala Gonone prima delle
grotte del Bue Marino, dove si tuffò anche un’ammirata Claudia Schiffer, a cui fu riservata una piccola
parte nel film. Ma anche cala Cartoe, una lingua do-
rata chiusa da due promontori, estreme propaggini
del Supramonte di Dorgali: quello a sud è di calcare
bianco, quello a nord di basalto scuro. “Travolti 2” fu
un clamoroso fiasco al botteghino, il paragone con
l’originale proprio non reggeva. Chi ne usciva trionfatrice era ancora la Sardegna. Quelle spiagge, da
tempo meta di popolosi arrembaggi più che di avventurosi naufragi, portano qualche cicatrice provocata dal turismo di massa ma non hanno cambiato
volto. Sono ancora “da film”. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■
Giancarlo Deidda
SENTINELLA ANTICA
Il nuraghe Oes a Torralba, nella valle
dei Nuraghi. È a pianta complessa,
con soffitto fatto da un solaio di legno,
appoggiato ad alcuni mensoloni
di pietra; la scala è una spirale perfetta.
Foresta Burgos e valle dei Nuraghi
NUOVI SUSSURRI
DAL PASSATO
Sono ancora in corso gli studi sul nuraghe Costa, accessibile da poco perché
sopra un ex sito militare. E forse Barumini non sarà più il re dell’archeologia
DI EMILIANO FARINA
58
UNO SGUARDO STORICO
Sopra: particolare di un affresco bizantino
in una Domus de Janas a Sant’Andrea Priu.
Pagina seguente, sopra: una panoramica
delle Domus de Janas, sempre a Sant’Andrea
Priu; sotto: il castello del Goceano,
perlopiù chiamato “di Burgos”. Risale
al XII secolo e domina il territorio
circostante (la valle del Tirso) con una rocca
ancora conservata in buona parte.
Giancarlo Deidda
D
orme quieto sul letto del bosco, avvolto in
un’immensa coperta di muschio e profumi. Tutt’intorno ha srotolato un tappeto
d’erba illuminato dai raggi di luce che filtrano tra le
fronde. Quello del gigante di pietra è un sonno
profondo, lungo 3.500 anni incerti tra nuvole e sole.
Tra gli oltre 7.000 che costellano la Sardegna, il nuraghe Costa di Foresta Burgos, provincia di Sassari, ha
un qualcosa che lo rende particolare. Un fascino magnetico, capace al primo colpo d’occhio di catapultare
in un tempo lontano chi si addentra tra gli alberi e le
rocce di questo spicchio di Goceano. Era il tempo in
cui gli Iliensi – popolo di guerrieri e pastori che diventeranno prima Tirreni e poi Sardi – abitavano
quelle cinque torri circondate da capanne difese da
una muraglia lunga oltre 70 metri, unica nel suo genere. Siamo tra il 1600 e il 1500 avanti Cristo, prima
Età del Bronzo. Siamo sotto le frasche di un bosco di
roverelle, sughere e lecci in cui fioriscono orchidee
selvatiche e dove i quasi 800 metri di altitudine colorano l’antica fortezza di neve d’inverno e di verde
d’estate. Per raggiungerla, passando dalla statale 131,
basta prendere lo svincolo per Bolotana, nei pressi di
Macomer, e poi puntare verso la frazione di Foresta
Burgos. Un cartello vicino al bar indica il percorso per
arrivare al villaggio nuragico.
Conosciuto da circa trent’anni, ma inaccessibile fino a poco tempo fa perché il luogo in cui sorge era
area militare, il nuraghe Costa è ancora oggetto di
studi e scavi. Questi ultimi, iniziati nel 2004, hanno
portato alla luce un ago in bronzo, una fibula e cocci
di ceramica. Per il momento non è stato ritrovato alcun segno del passaggio delle legioni romane, ulteriore testimonianza della fiera resistenza dei sardi
pellitti, ossia coperti di pelli.
Se dalla gente del luogo il villaggio viene chiamato
Sa Reggia, ci sarà pure un motivo. Infatti, nonostante
una parte del complesso sia ancora sotto un cumulo
di terra, c’è da pensare che l’area complessiva di
4.500 metri quadrati, il mastio con una camera centrale di 14 metri di diametro, un centinaio di capanne
e una muraglia di protezione di tre metri con tanto di
camminamento per la ronda, possano strappare il
primato a quello ben più noto, al grande pubblico, di
Barumini, nel Cagliaritano.
Oltre alla bellezza del bosco che circonda Sa Reggia, c’è di più. Infatti il sito è l’ideale punto di parten-
A pochi chilometri dal bosco che custodisce il
nuraghe Costa, si erge il castello del Goceano,
detto comunemente “di Burgos”. Dalla cima del
picco che parte dall’interno dell’omonimo paese, il maniero del 1127 domina tutta la valle
del Tirso. La rocca conserva ancora le mura di
cinta, il torrione e il cortile interno. Nei sotterranei vi fu rinchiusa Adelasia, l’ultima giudicessa di Torres. Fino alla morte.
Un’altra tappa da non perdere è la necropoli di
Sant’Andrea Priu, in direzione di Bonorva.
Scendendo verso la piana di Santa Lucia, attraverso la strada provinciale 43 si arriva alle
venti Domus de Janas del 3700 avanti Cristo. Si
tratta di grotte ricavate da una rupe in trachite
rossa, splendidi esempi di architettura funeraria di età prenuragica. Al loro interno, affreschi
paleocristiani e dipinti bizantini.
Fotografie di Gianmario Marras
Il castello di Burgos
e Sant’Andrea Priu
59
LA TERRA
DEL RICORDO
Fotografie di Gianmario Marras
A sinistra: uno scorcio
del suggestivo
territorio della valle
dei Nuraghi.
Sotto: nella vegetazione
si vede una parte
del muro del nuraghe
Costa, a Foresta
Burgos. Il complesso
misura in tutto
circa 4.500 metri quadri
e per la sua notevole
estensione è chiamato
Sa Reggia. Si trova
in provincia di Sassari
e potrebbe eclissare,
una volta terminati gli
scavi del villaggio
circostante, il celebre
nuraghe di Barumini.
za per una sorta di via dei nuraghi: la breve distanza
rispetto ai complessi nuragici minori di S’Unighedda
(con le Domus de Janas omonime), Arvas, Fraile,
Chentina, e Sa Presone, fanno supporre che Sa Reggia fosse una delle città-capitali della Sardegna di
3.500 anni fa. Per scoprirlo attraverso un’escursione
guidata basta rivolgersi alla Cooperativa Sa Reggia
(079/79.37.05 oppure 347/9.01.89.30).
Nonostante il disagio di staccarsi dalla magia del
nuraghe Costa non sia così insopportabile, una visita
alla frazione di Foresta Burgos addolcisce il ritorno
nell’era moderna. Infatti dai primi del Novecento il
Gianmario Marras
UN PRIMATO CHE IL MEDITERRANEO CI INVIDIÒ
Sopra e sotto: esterno e interno del nuraghe di Santu Antine (San Costantino), presso Torralba. Si tratta
di uno dei nuraghi più grandiosi della Sardegna, poiché misura circa 18 metri di altezza (in origine,
però, ne contava 22). Dopo le piramidi d’Egitto era la più alta costruzione del Mediterraneo preistorico.
Giancarlo Deidda
villaggio fu la sede del Centro di addestramento governativo dei cavalli utilizzati in guerra e per servizi
di polizia. Almeno fino alla metà degli anni Cinquanta, quando l’esercito decise di dedicarsi anima e corpo ai mezzi meccanici. La missione di Foresta Burgos terminò e tutto ciò che è rimasto di allora sono
caserme, vecchie stalle e caratteristici selciati militari. Abbandonati
sì, ma ricchi di fascino.
L’amore per il cavallo, però, non
si può barattare coi motori. In questo senso, oggi Foresta Burgos
ospita le strutture dell’Istituto di
incremento ippico regionale dove
scalpitano splendidi esemplari di
anglo-arabo-sardi, cavallini della
Giara e una colonia di asinelli
bianchi dell’Asinara.
Il salto dalla regione del Gocea-
62
no a quelle del Logudoro e del Mejlogu è veramente
breve. Bastano, infatti, pochi chilometri per arrivare
alla valle dei Nuraghi, una sorta di cerchio preistorico
stretto tra i paesi di Torralba, Thiesi e Bonorva, per-
MURETTI
A SECCO
Gianmario Marras
A destra: il
paesaggio rurale
di Bonorva,
borgo situato
vicino alla valle
dei Nuraghi,
a 11 chilometri
dall’abitato.
In questa zona
le tradizioni
sono ancora molto
sentite: qui è
nato Palicu Mossa,
conosciuto poeta
in lingua sarda
vissuto nell’800.
Nei pressi si
ergono le Domus
de Janas di
Sant’Andrea Priu.
fettamente pianeggiante e ricco di sorgenti e torrenti.
Considerato tra i più antichi e misteriosi dell’isola
e tra i principali rappresentanti della civiltà nuragica,
il solo territorio di Torralba ospita una trentina di caratteristiche torri tronco-coniche, circa una ogni chilometro quadrato. A vegliare su tutte è la reggia di Santu Antine: il nome deriva dalla vicina chiesetta dedicata all’imperatore romano Costantino, figura parti-
colarmente celebrata dalla popolazione locale per
aver concesso ai cristiani la libertà di culto. La reggia
si trova adagiata su una lieve conca a poco più di tre
chilometri da Torralba ed è tra le più importanti dell’isola insieme a Su Nuraxi di Barumini, Arrubiu di
Orroli e Losa di Abbasanta.
La struttura del complesso monumentale di Santu
Antine risale al 1500 avanti Cristo ed è molto simile a
65
VASELLAME
IN MOSTRA
Fotografie di Gianmario Marras
A destra: Museo
Comunale della valle
dei Nuraghi
di Torralba; alcuni
reperti esposti
nella sala di Santu
Antine, vetrina 1.
In basso: altri oggetti
in mostra al museo;
sono diversi recipienti
in terracotta, che
contenevano dell’olio,
usato sia per scopo
alimentare sia durante
le cerimonie sacre.
Si consiglia la visita
al museo prima
di quella al nuraghe.
quella di un castello medievale con tanto di villaggio
ai piedi e mura protettive intorno, di cui oggi sono rimaste soltanto le tracce. È costituita da un trilobato
con un grande cortile e un mastio centrale che originariamente raggiungeva i 22 metri di altezza, come un
palazzo di otto piani. Il panorama che si gode dalla
sua sommità è indescrivibile (anche se oggi dei tre
piani ne sono rimasti due), soprattutto in primavera
quando i primi venti caldi fanno danzare i campi di
grano ancora verdi. E creano un imMANGIARE
percettibile fruscio che rende ancora
E DORMIRE
Agriturismo di Giovanpiù seducente il millenario e indini Antonio Marras.
sturbato silenzio della valle.
Località Foresta Burgos,
Una buona parte dei reperti rinve079/79.34.83.
nuti durante gli scavi è conservata al
Prezzo medio:
Museo Comunale della Valle dei Nucirca 20 euro.
raghi di Torralba (via Carlo Felice,
Agriturismo Cunzadu
079/84.72.98. Il biglietto è cumulativo
Mannu. Burgos,
e prevede anche l’ingres079/79.33.28.
so al nuraghe). L’esposiPernottamento e prima
colazione: circa 20 euro.
zione, inaugurata alla fiAgriturismo Coronas.
ne degli anni Ottanta, è
Bonorva,
località
articolata in due sezioni:
Coronas, 079/86.68.42.
ornate di un giardino laMenù a circa 20 euro.
pidario del III-IV secolo
Trattoria Su Lumarzu.
dopo Cristo, le teche delBonorva, località
la prima mostrano in
Rebeccu, 079/86.79.33.
quattro sale i ritrovamenMenù circa 22 euro.
ti nella valle e in particoB&B Sa Codina
lare quelli del nuraghe di
di Sebastiano Manca.
Torralba, piazza
Santu Antine. La seconda
Monsignor Pola 9,
sezione ospita, invece,
079/84.71.09.
mostre etnografiche temDoppia a 50 euro.
poranee dedicate alla cultura popolare locale. Per
capire meglio come vivevano i suoi antichi abitanti, un plastico ricostruisce la
struttura originale del complesso, mentre
una serie di pannelli ripercorre le fasi storiche della sua costruzione. ·
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67
ENOGASTRONOMIA
Nevio Doz
Sapori inconsueti, decisi e profumati
In primo piano, il cascà carlofortino, una versione sarda del couscous tunisino: semola, verdure e, alcune volte, carne e pesce.
L
a Sardegna è un vero
giacimento di sapori rari. Sarà per il clima, sarà
per il territorio, sarà per
la genuinità delle materie prime,
sarà per l’attaccamento alle tradizioni e alla storia, che ha fatto
convergere qui, in epoche diverse, il meglio delle culture gastronomiche mediterranee. Sta di
fatto che ancora oggi in ogni angolo dell’isola si trovano alcune
produzioni e diverse preparazioni uniche e caratteristiche che rimangono stampate nella memoria, legate inscindibilmente ai
luoghi dove si degustano.
Vini, salumi, pani e cereali, oli
extravergini, formaggi, prodotti
della terra... E tante piccole specialità sfiziose. Che dire degli
asparagi selvatici che in stagione, talvolta, vengono serviti anche nei ristoranti, dei carciofi dal
gusto forte e deciso, dei pomodori camone maturati sulla pianta (a differenza di quelli che troviamo nei mercati del continente), delle arance di Muravera,
dolci e gustose, dello zafferano
di San Gavino Monreale, o del
miele di corbezzolo, che in questa terra raggiunge la sua apoteosi? Tra i gusti d’eccezione, an-
che il tonno di corsa (ossia quello che passa nelle tonnare) di
Carloforte, nell’inconfondibile
scatola quadrangolare rossa e
blu con le scritte in oro e in bianco, che viene pescato in mattanza tra la primavera e l’estate.
Non è soltanto la qualità del pesce a caratterizzarne il gusto. Ci
sono anche le modalità di lavorazione, rigorosamente a mano per
scegliere i pesci migliori per
l’inscatolamento, e le tecniche di
lavorazione con procedimenti
antichi. Il tutto solo con tonni appena pescati perché la polpa resti leggera e sapida, e quindi più
71
ENOGASTRONOMIA
ENOGASTRONOMIA
Fotografie di Prima Press
A sinistra: pecorino,
ricotta e carasau formano
un abbinamento perfetto.
Sopra: la zuppa gallurese,
composta da strati di pane
ricoperti da formaggi
e verdure, immersa nel
brodo di carne di pecora.
Sotto: il famoso zafferano
di San Gavino Monreale,
dove se ne producono
almeno 150 chili l’anno.
→
digeribile. Sempre a Carloforte il
couscous diventa cascà: un piatto
a base di semola di grano inumidita con acqua e olio, cotta a vapore e condita con molte verdure
fresche preparate separatamente, tra cui il cavolo, le favette, i
piselli, i ceci, i carciofi, le melanzane e la maggiorana.
In realtà i sapori più tipici, anche se meno conosciuti dai turisti-forestieri, non vengono dal
mare, a parte le aragoste di Alghero, i frutti di mare di Cagliari
e i pesci dalla brace del golfo
dell’Asinara, ma dalla terra. I
sardi sono da sempre pastori e
allevatori e storicamente non sono mai stati grandi pescatori. E
quindi ecco la carne di pecora
bollita (con il brodo si fa anche la
zuppa gallurese, suppa cuatta,
oppure, in Barbagia, su filindeu,
un intreccio di pasta sottilissima
fatta a mano con formaggio filante), il cinghialetto alla barbaricina, le bistecche di cavallo e di
asino e i salumi: il capocollo, il
guanciale di suino speziato, acconciato come il prosciutto e come la pancetta, il filetto, che secondo le zone si chiama ambidighedda o musteba, e la salsiccia
affumicata e stagionata.
I dominatori assoluti della cucina tradizionale sono il porcetto
(sa porceddu) e l’agnello. Il segreto per gustarli al meglio sta nella
semplicità della cottura: arrosto
o anche al forno, per sette-otto
ore. Il sale e l’aroma della macchia mediterranea per la brace
(per la variante al forno: rami di
mirto fresco su cui depositare il
porcetto, un trito di aglio e prezzemolo per l’agnello) sono sufficienti per evocare gusti e sapori
assolutamente da primordi.
Non molti sanno che siamo
nella patria di grandi mangiatori
di lumache, che contendono alla
Nevio Doz
Un piatto di aragosta lessata. Le migliori vengono pescate davanti alla Riviera del Corallo e nel bellissimo mare di Alghero.
73
Fotografie di Prima Press
ENOGASTRONOMIA
Gusti d’Ogliastra
Francia il primato di chi ha cominciato ad apprezzare questo
cibo. Negli insediamenti umani
protosardi, fra Sassari e Porto
Torres, sono stati ritrovati enormi quantità di gusci. A tutt’oggi,
infatti, soprattutto i sassaresi sono golosi di lumache di ogni ge-
nere, tipologia e dimensione.
La Sardegna più autentica in
tavola mette anche i suoi formaggi. Oltre al binomio pecorino
e malloreddus, vanno assaggiati
anche il fiore sardo, magari alla
griglia, i caprini, che si trovano
qua e là in piccoli caseifici, il bo-
In pochi chilometri si sale dalle magnifiche spiagge fino alla montagna e si
entra in un universo gastronomico d’altri tempi. L'Ogliastra (23 paesi, 65.000
abitanti, 80 chilometri di litorale), selvaggia e incontaminata dalle coste al
Supramonte e ai caratteristici Tacchi,
regala tradizioni culinarie dal sapore
antico, prodotti tipici che non conoscono contaminazioni e che forse sono alla
base del miracolo racchiuso nel Dna
che assicura lunghe vite a uomini e
donne della terra degli olivastri. La tradizione ha il sapore soprattutto dei culurgionis, i fagottini di pasta ripieni di
patate, formaggio, cipolla e l'indispensabile mentuccia. Analoghi gli ingredienti per un'altra prelibatezza, sa coccoi prena, una sorta di focaccia farcita
dal gusto inimitabile, che una volta
riempiva le bisacce dei pastori nei periodi trascorsi lontani da casa. Dai pascoli profumati di timo e serpillo arriva
un altro nettare, su casu axedu (foto in
basso), il formaggio acido ottenuto aggiungendo al latte appena munto il caglio del capretto. Ogliastra vuol dire soprattutto Cannonau, il rosso per eccellenza, che ha segnato la storia di tanti
paesi, da Jerzu a Gairo, da Cardedu a
Osìni, ideale con le carni di capra, piatto tipico del menù tradizionale. Prodotti della terra che, con le specialità di
mare, fanno parte delle proposte di ristoranti, agriturismo e alberghi che
hanno investito su una gastronomia di
ottimo livello. (Lello Caravano)
In alto e a sinistra:
i malloreddus,
i conosciutissimi
gnocchetti sardi,
si fanno come tutte
le paste locali,
con ottima semola
e con acqua
tiepida poco salata.
L’insieme viene
lavorato fino
ad avere una pasta
liscia, con l’aspetto
di un bastoncino
sottile, tagliato
a tocchetti che, fatti
rotolare sul fondo
di un canestro,
assumono la tipica
forma ovale
di conchiglia vuota.
74
75
nassai, il callu de cabrettu, il casizolu, il caso e il gioddu, uno specialissimo yogurt di latte di pecora da “sposare” con le diverse
varietà di miele isolano.
E poi ci sono i pani, al plurale
(il pistocco è il più antico, solo
farina di frumento e acqua), e i
cereali. Con forme diverse secondo i periodi dell’anno e i luoghi dell’isola. Il pane più famoso, anche sul continente, è il pane carasau, o “cartamusica”; nasce da un impasto molto lievitato
di semola di grano duro e lievito
naturale acido: fragile e sottilissimo come una sfoglia, è l’accompagnamento ideale “a tutto
pasto” (e mai raffermo) sulle tavole sarde. Di altrettanta fama
godono i malloreddus, gnocchetti
a base di semola di grano e acqua, ottenuti schiacciando e cavando con il pollice un po’ di impasto per volta. Loro condimento
ideale sono gli speciali sughi allo
zafferano. Anche il riso dell’oristanese ha qualcosa di speciale,
come tutto quello che è commestibile sull’isola. E poi ci sono gli
oli, una realtà in crescita, con alcune realtà di valore: gli oli extravergini del Nuorese, di Alghero, quello del Parteolla (dal
latino partes olea), a nord-est di
Cagliari (Dolianova, Serdiana,
Soleminis, Donori, Ussana), e
quello di Seneghe, dall’omonimo
centro del Munti Ferro.
I vini isolani sono, invece,
già affermati, unici per il
territorio che li rende molto minerali, per la luce,
che facilita la concentrazione polifenoli-
A destra: il pane pistoccu,
che prende forse le radici
del nome nella storia
di Roma, dove le antiche
corporazioni di fornai
erano chiamate pistores.
In alto: il pane carasau,
il più conosciuto,
viene sempre
infornato due volte.
76
Fotografie di Prima Press
ENOGASTRONOMIA
ca, e per la continua innovazione
tecnica. Stagione dopo stagione
la qualità cresce. Di pari passo
con il numero di bottiglie vendute, sul mercato italiano e all’estero. Dominano i grandi vitigni autoctoni: in prima fila Cannonau
di Sardegna e Carignano del Sulcis tra i rossi, Vermentino di Gallura tra i bianchi. I primi due, di
sapore robusto, si abbinano a
stufato d’agnello, porchetta allo
spiedo o arrosto, capretto arrosto
e piatti di carne a scelta. Il terzo,
di profumi fruttati, è perfetto con
frutti di mare, carciofi, patate e
pecorino sardo fresco. Ornella D’Alessio
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Sant’Efisio
CAGLIARI
IN FESTA
Ogni 1° maggio tutta la città è in
strada con il Santo. Da 350 anni
DI WALTER FALGIO
FOTOGRAFIE DI GIANCARLO DEIDDA
P
oco importa se il martire guerriero Efisio, nato in Oriente nel III secolo, ha
assunto le sembianze di un aristocratico spagnolo con pizzetto, baffetti all’insù e lungo manto rosso. Poco importa perché si tratta del santo più celebre della Sardegna e la sua statua seicentesca, non troppo fedele all’iconografia originaria, viene issata su un cocchio dorato trainato da buoi e portata in
processione da ben 350 anni. Ogni 1° maggio una folla di fedeli l’accompagna in
preghiera dal centro di Cagliari sino alla spiaggia di Nora, luogo della decapitazione; per il resto dell’anno l’Efisio spagnolesco è custodito con ogni cura dall’Arci-
In primo piano, donne
vestite nello sgargiante
costume arancione
di Desulo, paese
barbaricino tra le cime
del Gennargentu.
La Sagra di Sant’Efisio
è l’unica processione
che dura 4 giorni
lungo un percorso
di oltre 30 chilometri.
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SUONI E COLORI IN MEMORIA DEL SANTO CHE FECE LA GRAZIA
UNA STRAORDINARIA RASSEGNA ALL’APERTO DI ARTE ORAFA
Sopra: la processione si snoda accompagnata dal suono ancestrale delle launeddas, un antichissimo strumento composto da tre canne
di misura e spessore diversi. Alla processione partecipano decine e decine di gruppi in costume provenienti dall’intera Sardegna.
I festeggiamenti si perpetuano da secoli come ringraziamento a Sant’Efisio per la liberazione di Cagliari da una terribile pestilenza.
Sopra: pendenti, collane, bottoni a forma di campanellini - come quelli qui illustrati - anelli, spille e medaglioni ornano
i costumi tradizionali. Oltre a rappresentare uno spettacolo nello spettacolo, questi monili si ricollegano spesso ad antichi
rituali che richiamano la vita, la fertilità e l’amore. Sotto: la bacheca che custodisce la figura del santo in processione.
confraternita del Gonfalone nel silenzio di una chiesetta del quartiere storico di Stampace.
Il martire che viene da Elia capitolina è prima di
tutto il cuore di un rito antico, profondamente radicato, che da secoli si perpetua per sciogliere un voto. Poi arriva la festa, festa grande coi mille colori.
Con le filigrane, i fazzoletti, i medaglioni, i corsetti e
i grembiuli delle occasioni importanti. Festa che risuona nei ritmi ancestrali delle launeddas e che si incarna in migliaia di volti sorridenti.
La ragione per cui la processione del santo martire
si ripete senza interruzione da centinaia d’anni, persino sotto le bombe del 1943, risiede nella fede della
gente. L’origine storica di un evento che coinvolge
decine di gruppi in costume provenienti da ogni angolo dell’isola, che rimette lentamente in movimento
sa tracca, poderoso carro a buoi simbolo del mondo
contadino, che anima cavalieri e pariglie, risale invece al 1656. Allora Cagliari era investita da una terribile pestilenza. Il morbo imperversava in Sardegna da
quattro anni e aveva provocato migliaia di morti. La
città si affidò al santo promettendo solenni festeggiamenti se l’epidemia fosse stata debellata.
A settembre, una pioggia liberatrice fu interpretata come il segnale della grazia divina e la peste cominciò a
scemare. Dal maggio del 1657 il santo lascia la chiesetta di
Stampace per dirigersi verso il luogo del martirio, la costa
80
UNA SOSTA AL RISTORANTE
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chiuso i lunedì festivi solo a
mezzogiorno e dal 22 dicembre
al 1° gennaio. Piatti consigliati:
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Marceddì e bottarga di muggine
di Cabras, scaloppa di dentice
della pesca locale con gamberi
rossi del golfo di Cagliari. Buona
cantina. Menù degustazione
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Menù crostacei: 70 euro.
Mariò, via Dei Genovesi 12/16,
070/65.35.64; chiuso domenica
e lunedì. Aperto da poco più di un
anno, al piano terra di un palazzo
ottocentesco nel quartiere di
Castello appartenuto al tenore
Giovanni Matteo De Candia,
detto “Mariò”. Da ammirare
la cisterna punica. Splendida
terrazza panoramica. Da gustare
il riso Venere con tonno fresco
e rughetta e per gli amanti dei
formaggi l’antipasto di caprino
pralinato alle noci con miele
d’acacia e fiori di zucca ripieni
di taleggio, gorgonzola e ricotta.
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Inaugurato recentemente,
propone tagliatelle ai frutti
di mare e asparagi e secondi
a base di pesce fresco tutti i
giorni. Menù turistico a pranzo:
10 euro; la sera: circa 30 euro.
82
Omnia labrpor est claqudicpa
COSTUMI TRADIZIONALI
La processione di Sant’Efisio è anche
l’occasione per assistere a una sfilata
di giovanissime, fiere di mostrare gli
straordinari, ricchissimi vestiti, ornati
di trine e merletti; questi abiti sono il
frutto di un’arte sapiente, tramandata
nei secoli tra le diverse generazioni.
83
ALBERGHI
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LUNGO
LE STRADE
DEL CENTRO
STORICO
Nelle foto di queste
pagine: la seicentesca
statua di Sant’Efisio
procede su un cocchio
dorato trascinato da
buoi. La processione
prende l’avvio dalla
chiesa nel quartiere
storico di Stampace e
si snoda tra ali di folla
per le vie del centro
storico fino al porto,
dove è salutata dalle
sirene delle navi.
di Nora. Qui Efisio sarebbe stato decapitato presumibilmente il 15 gennaio del 303. Le notizie storiche, però, non
sono certe. La passione del santo è raccontata in un codice vaticano latino piuttosto tardo risalente al XIII secolo
che ricalca la vicenda del martirio di Procopio. Secondo
questa testimonianza, divenuto ufficiale romano, dall’Asia minore Efisio giunge in Italia per combattere i cristiani. Ma durante un viaggio è investito da una luce accecante che gli rivela la voce di Gesù Cristo. Una croce, segno tangibile del miracolo, resta impressa nella sua mano
destra. Da quel giorno il militare dimentica gli dei dell’Olimpo e si converte al Dio cristiano. Giunto nel frattempo
in Sardegna per combattere i barbaricini, comincia un’opera di evangelizzazione che gli costerà spaventose torture e la condanna a morte. La prigione dove il santo sa-
rebbe stato flagellato è identificata dalla tradizione nella
cripta sotto la chiesa stampacina, naturalmente in via
Sant’Efisio. Discesa una ripida scala, la si può ancora visitare (info: 070/66.86.32; orari: tutti i giorni dalle 16 alle 19,
chiuso il lunedì). Il luogo di culto conserva parte delle reliquie del martire dentro una teca nell’altare maggiore e
altre due statue del santo tra le quali una conosciuta come “Sant’Efis sballiau”, ovvero una copia sbagliata che
riporta l’immagine della croce nella mano sinistra e la
palma del martirio invertita nella destra. L’altra statua,
opera dello scultore sardo Giuseppe Antonio Lonis, vive
il suo momento di gloria il lunedì dell’Angelo, quando
viene portata in processione sino alla cattedrale cagliaritana nel quartiere di Castello, in memoria di un’altra decisiva intercessione. Nel 1793, durante l’assedio francese,
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LA FESTA
DURA
QUATTRO
GIORNI
i cagliaritani aiutati da Efisio e
da una tempesta riuscirono a reIn basso, si conclude
spingere gli invasori.
la “vestizione”
del Santo: la statua
La grande processione del 1°
è pronta per essere
maggio è dunque l’omaggio della
trasportata nella
Sardegna intera a una delle figure
lunga processione
che la condurrà fino
più popolari della devozione cittaa Pula e a Nora.
dina. Alle 12 in punto, dopo una
Tornerà a Cagliari
Messa solenne, il cocchio dorato
il 4 maggio.
trainato dai buoi fa capolino in via
Sant’Efisio. Il lungo percorso verso la chiesetta di Pula è
cominciato. Il santo è avvolto dal manto di broccato, ornato con pizzi, fiocchi e ricami floreali. Gli si restituiscono anche gli sfarzosi gioielli del tesoro e la spada da
guerriero omaggio degli ex combattenti. Al termine della sfilata delle traccas, dei gruppi in costume sardo e dei
cavalieri del Campidano, il corteo si immette in via
Azuni scortato dai miliziani a cavallo vestiti di rosso con
sciabola e archibugio. Gli angeli custodi del santo sono
suddivisi in tre gruppi per i tre quartieri storici di Cagliari: Marina, Stampace e Villanova. Pare appartenessero a un corpo volontario che avrebbe dovuto difendere il cocchio da eventuali assalti di pirati e banditi. Segue il Terzo guardiano con la sua Guardianìa, cavalieri
scelti in frac nero. Figura centrale della processione, responsabile dell’organizzazione e depositario dello stendardo dell’Arciconfraternita del Gonfalone, che dal 1539
attende al culto del santo. Sempre a cavallo ecco l’Alter
Nos in frac, cilindro e fascia tricolore con l’onorificenza
del Toson d’Oro al petto concessa alla città di Cagliari
Manifestazioni
Dalla fine di aprile a tutto maggio a Cagliari si svolge una
lunga e variegata serie di manifestazioni coordinata dall’Assessorato Comunale al Turismo (info 070/6.77.84.70;
www.comune.cagliari.it). 28 aprile/10 maggio, VI Festival Musicale di Sant’Efisio, Teatro Lirico di Cagliari (via
Sant’Alenixedda, 070/4.08.22.30-4.08.22.49; www.teatroliricodicagliari.it). 28 aprile/6 maggio, Festival Echi
Lontani: Feste Musicali per Sant’Efisio. Programma: 28
Aprile, Chiesa di Santa Chiara, Mozart Barocco; 6 Maggio: Chiesa di Santa Croce, Bernard Brauchli: sonate e
variazioni di Mozart. 29 aprile/28 maggio: Lorenzo D’Andrea, Mostra sul jazz al Centro Comunale d’Arte e Cultura
Castello di San Michele (via Sirai, 070/50.06.56).
1° maggio: 350a Festa di Sant’Efisio. Quest’anno partecipano anche gruppi folk stranieri da Salamanca e dalla
Corsica. Biglietti per assistere alla festa dagli spalti: Avis
Cagliari, 070/55.30.02. 6/7 maggio: Gran Premio del
Mediterraneo-Sardegna 2006, Campionato del Mondo F.1
di Motonautica. 16 maggio: Festival Internazionale di
Musica. Presentazione ufficiale dell’Accademia e Festival Internazionale di Musica di Cagliari a Parigi. 19/20
maggio: Stagione dei Concerti al Teatro Lirico di Cagliari,
musiche di Gustav Mahler. 21 maggio: V Triathlon Kid
Città di Cagliari. 27/28 maggio: VII Festival dei Dragon
Boat e Palio dei Quartieri 2006 (Marina Piccola).
nel 1679 da Carlo II re di Spagna. Rappresenta la municipalità ed è scortato dai mazzieri in livrea seicentesca.
Cappellano e confratelli con gli abiti penitenziali attorniano il santo, reggono un crocifisso ligneo del Settecento e trasportano le lanterne dorate del 1956, tricentenario
della festa. Così il cocchio prosegue sotto l’occhio vigile
dei rappresentanti dei corpi militari dello Stato in alta
uniforme. Sbocca in piazza Yenne, prosegue per corso
Vittorio Emanuele, in via Sassari, in piazza del Carmine,
via Crispi, risale via Angioy, appare in largo Carlo Felice
in un mare di folla e, infine, annunciato dalle launeddas,
solca via Roma. Sul tappeto di petali di rose, sa ramadura, Sant’Efisio percorre il tratto più emozionante della
processione. Le autorità gli rendono omaggio, le sirene
delle navi in porto lo salutano, gli stendardi rossoblu del
palazzo municipale sventolano sotto il cielo azzurro.
Ancora pochi metri e il cocchio lentissimo lascerà
Cagliari per poi farvi ritorno il 4 maggio. Dopo una
breve sosta nella tenuta Ballero a Giorgino, Efisio andrà incontro al tramonto sulla strada in riva al mare.
Da qui, lasciata la mondanità della festa, comincia il
raccoglimento intenso del pellegrinaggio. Sant’Efisio-Pula e Nora
...E LA SAGRA CONTINUA
Nel percorso tra Cagliari e Nora la sagra si trasforma
in una festa campestre all’insegna della semplicità e dell’ospitalità
DI LAURA FLORIS - FOTOGRAFIE DI GIANCARLO DEIDDA
C
agliari e la sua festa sono alle spalle. La lunga processione che dal 1°
maggio accompagna Sant’Efisio a Nora prosegue dopo il vivido riconoscimento della città al suo salvatore. Il milite martire fa tappa a Giorgino, un villaggio di pescatori. All’interno della tenuta di una famiglia cagliaritana c’è una chiesetta. Qui si consuma un’altra importante sequenza dello
scioglimento del voto, il rito si rinnova con un’altra vestizione. Il santo, così come volle un avo dell’antica famiglia, viene spogliato degli abiti sfarzosi riservati alla tappa cittadina e rivestito con semplici indumenti. Anche il cocchio dora-
La processione dopo
la rituale tappa a Pula
si dirige, lungo il
mare, verso la chiesetta
romanica di Nora,
luogo dove avvenne
il martirio del Santo,
edificata sulle
rovine di un oratorio
paleocristiano.
89
3 maggio, le cerimonie religiose si svolgono proprio a
I confratelli intonano i tradizionali gocius, le laudi poNora: alle 11 la Messa solenne viene officiata nello
polari in sardo, mentre il corteo attende fuori. Dopo
spiazzo sul mare, l’unico in grado di contenere la fiuquesto cerimoniale, Sant’Efisio viene rimesso nel cocmana degli oltre 5.000 fedeli che ogni anno partecipachio per la tappa decisiva. A Nora arriverà all’ora del
no al rituale. La chiesa rimane aperta per ospitare i
tramonto. Lo scenario è commovente. La chiesetta rovisitatori. Poi c’è un altro momento partimanica, intitolata al santo e costruita su
colarmente toccante. Prima del tramonto,
un'area di culto paleocristiano, si erge sul NELLA CRIPTA
intorno alle 17,45, inizia una processione
mare. I colori della sera addolciscono l’at- La statua di S. Efisio
viene collocata su
sulla spiaggia. La statua viene condotta
mosfera. La sensazione è di raccoglimento e un altare allestito
dentro le rovine di Nora su una lettiga porpreghiera sul luogo nel quale, secondo la nella navata destra
chiesa di Nora.
tata sulle spalle dai membri della confratradizione, avvenne la decapitazione. Il della
Da qui, luogo del
ternita. Occorre soffermarsi un attimo su
martire viene deposto su un piccolo altare martirio, dopo diverse
questo straordinario sito archeologico. La
allestito all’interno della chiesa, nella nava- celebrazioni, la statua
del santo verrà
città di Nora, della quale sono ancora visita di destra. A custodirlo per tutta la notte riportata a Cagliari
bili i resti, fu fondata dai fenici intorno
sarà la confraternita di Cagliari. L’indomani, la sera del 4 maggio.
to è sostituito da un carro di campagna. Così, senza
orpelli, il simulacro giungerà sul luogo del martirio
per ritornare a Cagliari la sera del 4 maggio. Dopo
Giorgino, la prima sosta sulla statale Sulcitana è a
Maddalena Spiaggia, dove avviene l’incontro con gli
abitanti di Capoterra. Si prosegue per la borgata di
Su Loi e quindi si giunge a Villa d’Orri, stupenda casa rurale della fine del Settecento dove alloggiarono i
Savoia in esilio. Nella suggestiva cappella della villa,
i fedeli ricevono la benedizione e baciano la statua in
segno di devozione. Il cammino riprende verso Sarroch, dove il corteo viene accolto dai fuochi d’artificio e
dalle note della banda musicale. Dopo
aver trascorso la notte e aver calcato lo
LUNGO LA
splendido tappeto di fiori (Sa RamaSPIAGGIA
dura) di Villa San Pietro, intorno a
In alto: giunto
mezzogiorno il santo entra finalmente
a Nora, il santo
è condotto in
a Pula. Ora inizia uno dei momenti
processione
più intensi di tutta la processione. Il
alla chiesetta
paleocristiana
luogo del martirio si avvicina, cresce
di Sant’Efisio.
l’attesa. Ad accogliere il simulacro in
A destra: la statua
località Su Rundò ci sono proprio tutdi Sant’Efisio,
abbandonati
ti: la banda cittadina, il gruppo folk, le
gli abiti sfarzosi
autorità civili e naturalmente migliaia
riservati alla
di cittadini per i quali la festa rappretappa cagliaritana,
prosegue il suo
senta il momento religioso più sentito
viaggio vestita
di tutto l’anno. Qui avviene il passagcon indumenti
più semplici.
gio di consegne tra la confraternita di
90
Cagliari e quella di Pula, anche se la prima non abbandonerà mai la statua del santo.
La cittadina di Pula è in fermento da giorni. Le strade e le piazze sono piene di bandiere colorate. Dai
balconi pendono drappi e arazzi. E nell’aria c’è un
profumo intensissimo. Sono i petali dei fiori, le foglie
di menta, mirto ed elicriso che sprigionano le loro essenze. Intorno alle 14,30 l’arrivo nella parrocchia di
San Giovanni Battista, nella
piazza di Chiesa.
Qui, alle 18 la cittadinanza riceve la benedizione e il
tragitto riprende fino alla chiesetta campestre di San
Raimondo. Il rito è suggestivo. Nella cappella privata le
autorità cittadine ricevono “su cumbidu”, l’invito
a base di
dolci sardi
e moscato.
IL CORTEO RELIGIOSO SFILA SOTTO
LA TORRE DEL CORTELLAZZO
Un momento della processione di Sant’Efisio lungo la
spiaggia di Nora. Sullo sfondo il promontorio del capo
di Pula, dominato dalla torre del Cortellazzo, eretta
da Filippo II di Spagna nei primi anni del XVII secolo.
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UNA FESTA SENZA FINE
Nelle foto di questa pagina: Pula
accoglie festosamente la processione
di Sant’Efisio. In alto, un momento
del lungo corteo a Villa d’Orri,
sulla strada per Pula. Per le vie
riccamente addobbate della
cittadina sfilano uomini e donne
con i costumi dell’isola, seguiti dai
Cavalieri del Campidano (al centro)
e dai membri della confraternita
(in basso) , vestiti con la mozzetta
bianca e il saio azzurro: sono loro a
precedere il cocchio con la statua
del santo. Nella pagina seguente:
un quadro con l’effigie di Sant’Efisio.
94
all’VIII secolo avanti Cristo e divenne un porto strategico per tutti i traffici del Mediterraneo. La città prosperò per circa 1.500 anni. Dopo i fenici arrivarono i
cartaginesi, quindi i romani. A testimoniare lo splendore di quest’epoca contribuiscono le rovine dei templi, delle terme, delle sfarzose case e i resti dei preziosi mosaici. Interessanti sono anche i condotti sotterranei, costruiti in quel periodo per il convoglio e lo
scarico delle acque. Nell’anfiteatro romano che si af-
faccia sul mare e guarda su una cinquecentesca torre
spagnola si tiene ogni anno il festival La notte dei poeti, una manifestazione teatrale di forte richiamo per il
pubblico di turisti e residenti.
Ecco che il santo fa ritorno in chiesa. È lì che questa volta, intorno alle 19, viene celebrata la Messa.
Quando ormai sopraggiunge il buio, migliaia di
fiaccole spezzano l’oscurità e illuminano il sentiero
che conduce la statua del martire nella chiesa par-
95
UN CALEIDOSCOPIO DI COLORI SGARGIANTI E PARTICOLARI PREZIOSI
Nelle foto di questa pagina: forse nessun’altra regione italiana vanta tanti abiti tradizionali, tutti tra loro diversissimi, e la sagra
di Sant’Efisio rappresenta la più imponente e importante sfilata di costumi sull’Isola. Lo spettacolo di colori, tessuti, manufatti
e gioielli offerti in quest’occasione è unico al mondo: trine, merletti, pizzi e ricami sono tutti rigorosamente realizzati a mano.
rocchiale di San Giovanni Battista. Sono le 21: questo
è in assoluto il momento più intimo di tutta la processione. In silenzio si procede e si cantano preghiere antiche. Già da un mese quella strada è stata percorsa dal silenzio e dalle preghiere. Alcune donne,
in ossequio ad un’antica usanza, hanno adempiuto
al rito delle novene. Per nove giorni consecutivi, a
partire dall’inizio di aprile, hanno compiuto quel
tragitto assorte in contemplazione. Nessuna parola,
neppure un saluto per chi le incontrava nel corso di
un cammino fatto di attesa e di devozione.
Dopo aver trascorso la notte nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, il santo si prepara
alla partenza. La mattina del 4 maggio un corteo
composto soprattutto da giovani si raccoglie per accompagnare Sant’Efisio nelle varie tappe del suo
rientro a Cagliari, 32 chilometri che si snodano lungo la statale 195. La festa di Pula, quella che i suoi
abitanti attendono e vivono come l’appuntamento
religioso più importante dell’anno, termina qui. Lascia un senso di grande pienezza. Ma allo stesso
tempo il vuoto dell’arrivederci. Al prossimo mese di
maggio, quando il rito si ripeterà per la 351a volta. 96
Boschi e foreste
La riserva naturale
di Monte Arcosu
è situata nella parte
nord-orientale
dei Monti del Sulcis.
Una buona parte
della zona è integrata
nel bacino
idrografico del Rio
Santa Lucia.
UNA TERRA
COLOR
SMERALDO
Dalla foresta primaria di lecci
nel Supramonte di Orgosolo all’Oasi
del Wwf di Monte Arcosu.
Un viaggio attraverso le bellezze
di una natura sopravvissuta
ai millenni e all’arrivo dell’uomo
DI LELLO CARAVANO
100
Giorgio Marcoaldi/Panda Photo
N
el bosco millenario il sole raramente fa capolino, il silenzio è rotto solo dai sinistri
scricchiolii di rami e alberi: di tanto in tanto precipitano a terra, si schiantano, muoiono, qualche volta rinascono. Sas Baddes, Supramonte di Orgosolo, è un paradiso inviolato. Qui sopravvive una
rarità botanica unica al mondo: la foresta primaria di
lecci, mai sottoposta a taglio dall’uomo. Alberi di 2030 metri, vegliardi vegetali che raggiungono anche i
mille anni di vita, in lotta solo col vento e la neve. Qui
è possibile ammirare il ciclo biologico completo delle
piante: nascita, morte, rinascita. Tra calcari, muschi,
alberi imponenti e contorti, dalle forme fantastiche,
rami schiantati a terra sotto il peso dell’età, va in scena la biodiversità dell’isola.
La foresta orgolese, di proprietà dell’Ente Regionale Foreste, è uno degli angoli più suggestivi dei Supramonti, tradizionale meta delle associazioni escursionistiche, che organizzano sia percorsi di trekking
sia più comode gite in fuoristrada. Da qui con una
suggestiva passeggiata sotto le fronde, quasi al buio,
si arriva al nuraghe Mereu, bastione di bianco calcare
che domina la gola di Gorroppu: un paesaggio che regala una magia unica. Da non trascurare la visita al
leccio millenario di Badde Tureddu, uno dei più imponenti e spettacolari patriarchi verdi d’Italia, un mo-
Nevio Doz
Escursioni per tutti
Domenico Ruiu/Panda Photo
Domenico Ruiu/Panda Photo
IN TRENO, FRA IL VERDE BOSCHIVO
Sopra: un tònnero, una guglia calcarea tipica dell’Ogliastra.
Sotto: una grandiosa lecceta del Supramonte di Orgosolo.
Pagina seguente: il Trenino Verde attraversa zone tra le più
selvagge e meno conosciute della Sardegna, nelle quali
la ferrovia sembra inserita da sempre. Ci sono quattro linee
che percorrono la regione a nord, nel centro-ovest
e nel sud, da Cagliari direttamente verso il cuore isolano.
numento verde che nasce dentro un gigantesco masso, mentre a poche decine di metri si possono ammirare le fioriture delle peonie rosa.
Nella Sardegna tutta spiagge e mare c’è un cuore
verde che non cessa di battere neanche in estate. Boschi sopravvissuti alle devastazioni e agli incendi,
grandi distese di lecci e macchia mediterranea, aree
forestali di pregio in gran parte di proprietà demaniale. Insomma, i panorami dell’interno non sono soltanto campi e pascoli riarsi dalle alte temperature e dalla
siccità di luglio e agosto. C’è tutto un mondo di endemismi vegetali e specie rare, che attrae botanici da
tutto il pianeta, ci sono scrigni faunistici con mufloni,
cervi, martore, aquile, avvoltoi, grifoni, gipeti, astori,
c’è la storia dell’uomo-pastore, ci sono anche molte
tradizioni gastronomiche. Un’alternativa alle spiagge? Non solo. Questo Eden espone i suoi gioielli più
preziosi soprattutto in primavera e autunno, quando
il bosco mostra il suo volto migliore, tra ineguagliabili colori e saporiti frutti.
Per chi trascorre le vacanze in Ogliastra, merita
una visita un altro paradiso verde, Montarbu, a Seui.
Boschi senza fine, ma soprattutto un fantastico scenario di tacchi o tònneri, le caratteristiche guglie di calcare che dominano il paesaggio da Gairo a Osìni (Perda Liana è il più conosciuto), dove si rifugiano mufloni e cervi. I panorami più suggestivi li regala il Trenino Verde, che conduce i turisti attraverso la foresta in
un paesaggio di cascate e gallerie, lo stesso ammirato
dai viaggiatori dell’Ottocento che si avventuravano
sulla linea ferrata a scartamento ridotto.
La Sardegna verde è varia. Nella foresta demaniale
di monte Pisano, a Bono, nel Goceano (provincia di
Sassari), è possibile ammirare il più esteso bosco di
tassi dell’isola e forse d’Italia. Sos Niberos, a mille
metri d’altezza, è un gioiello che la Regione ha consacrato monumento naturale. L’esemplare più maesto-
Dal Supramonte alla Giara, dalle leccete ai nuraghi,
dai mufloni ai cavallini. L’offerta di escursioni (a piedi,
in fuoristrada o a cavallo, accompagnati da guide
esperte) alla scoperta della Sardegna verde e segreta
è molto ricca. Barbagia Insolita (sede a Oliena,
0782/28.60.05) propone suggestivi itinerari nel Supramonte orgolese, da Monte Novo San Giovanni a Sas
Baddes e nuraghe Mereu, con pranzo nel bosco. Da
segnalare, in particolare per le leccete del Supramonte, Zente (0784/9.43.78) e coop Ghivine (0784/
9.67.21), a Dorgali, nonché Gorroppu (0782/
64.92.82) a Urzulei: offrono anche free climbing,
escursioni archeologiche e in grotta, e pranzi negli
ovili. A Monte Maccione (Oliena), la coop turistica
Enis gestisce anche un albergo nel bosco (0784/
28.83.63). Per le escursioni tra codule e ginepri secolari nel selvaggio Supramonte di Baunei, da segnalare
la coop Goloritzè (0782/61.05.99-368/7.02.89.80),
che gestisce un rifugio nell’altopiano del Golgo). Altro
scenario: il Flumendosa, tra cascate, gole e alberi di
leccio e fillirea con Andalas (340/2.65.41.78). Per le
visite nel fantastico scenario dei tacchi ogliastrini rivolgersi ad Archè (320/8.87.65.38): escursioni alla
Scala di San Giorgio a Osìni e ai nuraghi Serbissi, Urceni e Orruttu. Per ammirare S’Ortu Mannu a Villamassargia si possono contattare i cacciatori dell’autogestita Simiu (339/3.89.17.77-334/1.65.85.22). Per gli
itinerari nei boschi del Sulcis e di Marganai, a piedi o
in fuoristrada: Centro Etnos (0781/4.31.37, Iglesias,
specializzato anche nelle escursioni tra le vecchie miniere), Andaledda Tours (070/9.43.80.07, Assemini),
coop Antarias (349/1.56.40.23, Siliqua).
Propongono trekking a cavallo nel Sulcis: Circolo ippico Monte Fracca (0781/95.54.75, Santadi), Guide
equestri ambientali (347/8.32.06.54, San Giovanni
Suergiu). Infine, la Giara tra sugherete e cavallini: Sa
Jara (348/2.92.49.83, Tuili), Sa Jara Manna
(070/9.36.81.70), S’Ala de Mengianu (349/
0.75.86.02, gestisce la biglietteria e il punto di sosta sul versante di Gesturi).
(Lello Caravano)
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Vincenzo Loi e Simonetta Pisano/Panda Photo
UNA NATURA LUSSUREGGIANTE E BENIGNA, RICCA DI FAUNA
Sopra: un tratto della valle fluviale del rio Picocca, che scorre nel Parco Naturale dei Sette Fratelli-Monte Genis (58.546 ettari).
Sotto: un guardiaparco allatta un cucciolo di cervo sardo nell’Oasi del Wwf di Monte Arcosu, non lontano da Chia.
Giorgio Marcoaldi/Panda Photo
so si trova a Ucca ’e Grile, nei pressi di una sorgente e
di un’area di sosta: un albero millenario alto 11 metri
con una circonferenza di oltre sette. Per gli incontri
più suggestivi, uno degli indirizzi giusti è la Giara: un
altopiano di nero basalto esteso 45 chilometri quadrati
tra le province di Cagliari, Oristano e Nuoro (gli ingressi più interessanti da Gesturi e Tuili). Tra impenetrabili boschi di sughere e stagni, is paulis, coperti in
primavera dalle fioriture di ranuncoli, è facilissimo
imbattersi nei cavallini selvatici, is quaddeddus, forse
introdotti dai Fenici. Ma ci sono anche i paradisi verdi
sul mare. Da Villasimius a Pula è sufficiente volgere lo
sguardo verso l’interno per scoprire un mondo di alberi, rocce e ruscelli. Dai Sette Fratelli (il nome deriva
dalle sette cime della piccola catena montuosa), tra
Burcei, Sinnai e San Vito, con i sentieri ben tracciati e
una fauna ricchissima, alla foresta del Sulcis, quasi
23.000 ettari, il più esteso bosco di lecci del Mediterraneo. Una vera miniera di natura, da Pantaleo a Piscinamanna, da Is Cannoneris a monte Nieddu fino alla
riserva del Wwf a monte Arcosu: è il regno per eccellenza del cervo sardo, a due passi dalle spiagge di
Chia e Santa Margherita. Foreste di proprietà della
Regione, ben gestite e tutelate, che custodiscono le
tracce del lavoro dell’uomo. È il caso di Marganai (tra
Iglesias, Domusnovas e Fluminimaggiore) e del giardino botanico Linasia, che conserva sotto le sue fronde i paesaggi e i palazzi della civiltà mineraria, Arenas e Sa Duchessa in particolare, che conferiscono all’ambiente un fascino particolare. “Ora il prossimo
passo”, spiega il direttore regionale dell’Ente Foreste,
Graziano Nudda, “sarà l’apertura del bosco ai privati,
per le attività silvocolturali e di turismo sostenibile.
C’è molto da vedere. Fra tante eccellenze e tipologie
segnalo una particolarità: all’Asinara, ieri supercarcere per mafiosi e brigatisti, oggi parco nazionale, c’è
una lecceta degna del Supramonte”. Tra le curiosità,
un piccolo gioiello a Villamasargia, nell’Iglesiente:
S’Ortu Mannu (l’orto grande), un bosco composto soltanto di ulivi secolari, una sorta di giardino incantato
dove, sotto le rovine del castello di Gioiosa Guardia,
svetta sa reina, la regina, un albero di circa dieci metri
di circonferenza. Un caso unico, un altro bel fiore all’occhiello della Sardegna col cuore verde. 105
I “deserti” dell’isola
SABBIA FINISSIMA
Il vento modella il cordone di candide
dune di sabbia che delimita la
lunga spiaggia di Porto Pino, sulla
costa sud-occidentale dell’isola.
L’oro della sabbia e il blu dell’acqua per
paesaggi straordinari come Chia, Porto
Pino, Piscinas, Pistis, Capo Comino...
DI DANIELE CASALE
Giancarlo Deidda
TRA LE DUNE
E SUL MARE
SCOLPITE DAL
MAESTRALE
Nevio Doz
A destra: le dune dorate
di Piscinas (Arbus); tra
macchia mediterranea,
sabbia e villaggi minerari
ormai abbandonati trova
rifugio la fauna selvatica.
In basso a sinistra: la
“casa del poeta”, originale
dimora costruita sotto
un grande ginepro tra le
dune di Pistis e il mare.
Nella pagina seguente:
le dune a capo Comino,
promontorio che chiude
a nord il golfo di Orosei;
è l’unico habitat costiero
di questo genere su
tutta la costa orientale.
I
l piede affonda e la gamba scompare fin quasi
al ginocchio. Il passo è lento, del resto è faticoso scalare una montagna di sabbia alta più o
meno 30 metri. Arrivi in cima e ti rendi conto che le
dune sono decine, una a fianco all’altra: una distesa
ora dorata ora di un bianco che ti abbaglia. Sullo sfondo, il mare: quello azzurro e cristallino della Sardegna. Un’isola che non smette di stupire, di svelare ancora angoli segreti, straordinari. Eppure, a Porto Pino,
Piscinas, Pistis ma anche a Chia, Is Arenas e capo Comino sembrano mancare solo i miraggi e le palme
perché possano essere confusi con qualche località
sahariana. Dune alte come palazzi e persino un de-
serto – fino a pochi decenni fa tra i più estesi del Mediterraneo – sono un altro degli scenari che la Sardegna regala al visitatore che non si accontenta di spiaggia e ombrellone o di un’escursione nel Gennargentu.
Un viaggio in poche aree circoscritte, localizzate nelle zone meridionali e occidentali dell’isola: lì dove per
intere settimane soffia impetuoso il maestrale, il vento
spinge la sabbia così forte che ogni anno le dune sono
diverse. Una corsa, quella dei minuscoli granelli, interrotta soltanto dai ginepri curvati da raffiche che non lasciano tregua. Dall’altra parte della costa, a est, a capo
Comino, che chiude a nord il golfo di Orosei, sono
presenti le uniche dune affacciate sul mar Tirreno.
La casa del poeta
Giancarlo Deidda
Antonello Lai
Chi non ne ha sentito parlare non la troverà mai. Soprattutto perché, finché non ci si accede, è difficile distinguerla dal resto della vegetazione mediterranea. Però è unica: si chiama “sa domu ‘e su poeta”, la casa
del poeta, e altro non è che un immenso ginepro coccolone trasformato in un rifugio che guarda il mare e le
dune di Pistis. Un rifugio particolare: chi lo ha creato, trent’anni fa circa, è un signore di Gùspini, che ha voluto che ogni forestiero lasciasse due, tre strofe in rima alla fine della sua visita. E le poesie improvvisate sono ancora tutte lì: foglietti arrangiati, pagine di quaderno e persino pezzi di cartone che lasciano spazio alla
fantasia, purché in rima, di chi ha avuto la fortuna di arrivare da queste parti.
È un angolo di paradiso, questa “dimora”. Un paziente lavoro del suo inventore ha trasformato una pianta in
una casa. Il “tetto” è ricoperto da piccoli cespugli essiccati di elicriso, profumatissimo arbusto tipico della
macchia mediterranea. Il tronco principale del ginepro separa naturalmente le “stanze”: non manca quella dedicata ai componimenti. Poco
fuori, un piccolo giardino di succulente. E poi la vista sulle immense
dune di Pistis e sull’azzurro mare, che si raggiunge dopo 10 minuti di
cammino. Tutt’attorno, il verde e, soprattutto, il silenzio.
Per arrivare a “sa domu ‘e su poeta” occorre seguire, da Torre dei Corsari, la provinciale per Oristano. Dopo 5 chilometri, poco prima di un
tornante, si imbocca sulla sinistra una strada bianca, riconoscibile
per la presenza di una casa. Dopo 300 metri si gira a sinistra, altri
100 metri e si parcheggia. “Sa domu” è sulla destra.
Giancarlo Deidda
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Le dune di Chia, sulla costa meridionale dell’isola, sono una distesa di sabbia granitica, ora dorata
ora più rossastra, interrotta qua e là da enormi
esemplari di ginepri fenici. Montagne di arena in
mezzo a calette tutte da scoprire. Solo a Porto Pino e
Piscinas però queste montagne di sabbia incutono
timore e rispetto. Porto Pino, che ricade nei territori
di Teulada e Sant’Anna Arresi e così chiamato per
la lussureggiante presenza di centinaia e rari pini
d’Aleppo, è una lunghissima striscia di
spiaggia che termina con le imponenti dune.
FASCINO
Per arrivarci, occorre mettere in conto una
DI CONTRASTI
passeggiata di mezz’ora sulla battigia: ma lo
In alto: le vaste spiagge
di Chia, lungo la costa
spettacolo della meta ripaga ogni fatica. Una
meridionale dell’Isola,
muraglia di sabbia bianchissima si staglia a
nei pressi di capo
Spartivento; la sabbia
poche decine di metri da un mare trasparengranitica, di tonalità
te. Appena si cominciano a scalare, le dune
dal dorato al rossastro,
svelano tutti i loro segreti e il più sorprendente affiora proprio dalla rena: tronchi ormai fossilizzati di
ginepri spuntano qua e là, trasformando il percorso
in un sentiero lunare. Non è finita, perché dalla cima si scopre l’altro tesoro: nascosta dalla barriera
dunale vegeta una fitta pineta di pini d’Aleppo che
offre riparo dal sole. Un consiglio: è pericoloso avventurarsi nelle montagne di sabbia al di fuori della
stagione balneare, perché si tratta di territorio militare che solo d’estate viene aperto ai turisti.
Dirigendosi più a nord, seguendo la costa occidentale, tra villaggi minerari abbandonati dove gli
unici abitanti sono i cervi e distese di rosmarino e
lentisco, Piscinas (Arbus) è davvero un mondo a
parte. Nonostante la notorietà, questo posto mantiene intatta la sua wilderness. Davanti il mare, alle
spalle una sconfinata prateria di macchia mediterra-
nea su cui spicca la sagoma curiosa di monte Arcuentu, che ricorda un volto dormiente. In mezzo, su
un fronte di cinque chilometri, quelle dune color
oro, immense e sterminate, sicuro rifugio per volpi e
conigli. Contrariamente a Porto Pino, è d’obbligo visitare Piscinas lontano dai mesi caldi (luglio e agosto), quando il popolo dei camperisti sceglie altre
destinazioni e soprattutto quando queste montagne
sembrano vergini dalle impronte dei turisti.
Si risale in auto, si percorrono ancora 30 chilometri
in direzione nord, seguendo la provinciale che lambisce la Costa Verde, e si arriva a torre dei Corsari: dall’avamposto costiero spuntano altre dune, quelle di Pistis, caratteristiche perché prive di vegetazione pioniera. Il viaggio continua verso settentrione e, oltrepassato Oristano, sulla statale 292 prima di arrivare a S’Archittu (Cuglieri) a sinistra si nota una folta pineta,
crea un affascinante
contrasto con il mare.
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quella di Is Arenas. Niente di strano, se non fosse che
quegli alberi risalgono agli anni Cinquanta del Novecento, quando venne messo in atto uno dei più imponenti tentativi di forestazione. Nessuna vena ecologista, ma il bisogno di frenare l’avanzata del deserto, all’epoca tra i più estesi del Mediterraneo, che rischiava
anno dopo anno di sommergere i paesi vicini,
VEGETAZIONE
come Riola e Narbolìa. Sforzo in parte riuscito e
ora, dove un tempo si vedeva solo sabbia a per- PIONIERA
Sopra: folti cespugli
dita d’occhio, tra le dune “soffocate” dal verde di ginepro e di lentisco
c’è persino un campo da golf. Una spiaggia lun- colonizzano le dune
delle spiagge di Chia.
ga sei chilometri separa la pineta dal mare.
Sullo sfondo i resti
L’ultima tappa dell’itinerario è sulla costa della torre costiera
orientale, nei pressi di capo Comino, che chiude di origine spagnola,
risalente al XVII secolo;
a nord il golfo di Orosei. Ci troviamo nei territori dalla torre si gode
tra Siniscola e Orosei, che vantano splendide un notevole panorama
perle come il litorale di Bèrchida e la laguna di che abbraccia il litorale
verso sud, fino al faro
Bidderosa. Le dune, le uniche della costa orienta- di capo Spartivento.
A sinistra: a cavallo sul
le, si stagliano sulla spiaggia di Silìta, colonizzate
bagnasciuga nei pressi
dai ginepri e da candidi gigli marini. di torre dei Corsari,
non lontano dalle
dune di sabbia di Pistis.
112
ARTIGIANATO
Fotografie di Gianmario Marras
Ricordo dell’Isola: dalle sagre ai salotti
Sopra: alcuni esemplari di maschere dei mamuthones, vere e proprie opere d’arte realizzate da Ruggero Mameli nel suo
laboratorio di Mamoiada. Pagina seguente: la divisa “completa” da mamuthones, esposta nel Museo delle Maschere
Mediterranee di Mamoiada, mostra tutto il fascino inquietante di queste straordinarie e ancora misteriose figure ancestrali.
N
La maschera
del mamuthone
ere come la notte. Grevi come l’offesa. Appese al grosso trave del laboratorio, is viseras – le facce – lo osservano mute come teste d’impiccato. Ruggero Mameli non ha paura:
i mamuthones gli danno i brividi
solo quando ballano carichi di
campanacci per le vie del paese. Mamoiada, duemilasettecento anime
nella Barbagia di Ollolai. Nelle
due stanze al pianterreno della
sua casa, l’artigiano Mameli dà
forma ad incubi ancestrali scolpendo nella maschera del mamuthone la silenziosa rassegnazione dell’uomo bue.
La maschera ha occhi infossati,
fronte prominente, labbra pronunciate. Chi è il mostro? Il nemi114
co sconfitto e soggiogato. O la vittima destinata al sacrificio umano. O il vecchio ormai inutile condotto alla morte dalla sua stessa
famiglia. Mameli non ha teorie da
propugnare, solo le sensazioni
che il legno trasmette alle sue
mani mentre gli danno la forma. È
il più conosciuto fabbricante di
viseras. Nel suo piccolo, un artigiano unico al mondo.
Da trent’anni ogni mattina afferra gli attrezzi e si specchia nel
legno che plasma con austera pazienza. Cavare l’incubo dal pero
selvatico, dalla quercia, dal corbezzolo e dal biancospino è un rito preciso come un’antica preghiera. Tre giorni di fatica: segare
il tronco con luna crescente, tagliare, sgrossare, estrarre la faccia
dalla massa informe e poi rifinire
con asce, scalpelli, sgorbie e resolza, il coltello tradizionale. Infine
bollire e asciugare il legno, appenderlo alla trave per la stagionatura. Due mesi sospeso tra terra e soffitto, l’uomo bue è tornato:
pronto per la vernice fosca che dipinge il volto di nerofumo.
Il risultato è ogni volta un pezzo unico, contrassegnato dalle tre
“m”, Mamuthones - Mameli - Mamoiada, che certificano l’originalità dell’opera. Le viseras di Mameli sono arrivate nel resto d’Europa, in America e in Asia. Sfilano nei carnevali di Barbagia, brillano alla luce dei grandi fuochi
che illuminano Mamoiada ogni 17
di gennaio, occhieggiano ai curiosi nelle case dei collezionisti e degli appassionati di Sardegna. Perché l’incubo si è fatto opera d’ar115
ARTIGIANATO
ARTIGIANATO
Sopra: campanacci (i sonazzos) di Carlo Sulis, “maestro campanaro” di Tonara, paese alle pendici del Gennargentu. Sono
fatti tutti a mano, come una volta, e vengono ancora utilizzati per il bestiame oppure venduti come alcuni dei più
richiesti souvenir messi in mostra nelle vetrine etno-chic delle grandi città. Ne esistono di almeno cinquanta tipologie
diverse - ovali, quadrate, lunghe - ciascuna delle quali risponde ad altrettante diverse destinazioni d’uso.
te, simbolo scuro dell’Isola primordiale e più vera. Mamoiada è sede anche del Museo
delle Maschere Mediterranee
che, oltre a quelle tradizionali
del carnevale barbaricino,
ospita maschere provenienti
dal bacino del Mediterraneo
(Grecia, Slovenia, Croazia e
arco alpino).
I campanacci
Fra presse e crogioli incandescenti, venticinque fasi di lavorazione per raggiungere l’ovale perfetto e il giusto suono.
Carlo Sulis è l’ultimo esponente di un mestiere in via d’estinzione: il campanaro. Essere
l’ultimo, o quasi, di una razza
speciale di fabbri non lo preoccupa. Anzi. Dalla sua fucina
partono i sonazzos che finiranno al collo delle greggi di Sar116
degna, Toscana, Abruzzo e Sicilia.
Ma anche nelle vetrine dei negozi
etno-chic o nella teca ben illuminata di case molto eleganti. Perché l’unicità del campanaccio ne
ha fatto un oggetto di tendenza.
Si compra perché è utile, si espone perché è bello: segno inconfondibile di Sardegna.
Il padre di Carlo e suo nonno,
sonaggiargios prima di lui, non
l’avrebbero mai immaginato. Figurarsi: il sonaglio destinato a capre, mucche e cani che finisce in
esposizione a Cagliari e Milano.
Ma se è unico, vuol dire che è
esclusivo, e allora via alla caccia
dell’esemplare più bello.
Vietato parlarne al singolare,
perché il campanaccio assume
fogge e dimensioni diverse a seconda della destinazione d’uso.
Tre le forme principali: ovale, quadrato e lungo, ma ne esistono al-
meno cinquanta tipologie diverse.
Ognuno con la sua voce, perché
“Sas campanas funti comente sa
gente: ognuna tene’ sa osce sua”
(Le campane sono come le persone: ognuna ha la sua voce). E perché l’accordatura avviene a mano,
pezzo per pezzo, fino a raggiungere quell’inconfondibile tono.
Carlo Sulis è un artigiano coraggioso e spericolato, con l’aspetto
di un magrissimo fuochista. Comincia dal foglio di lamiera, lo taglia a strisce, lo riduce in piccoli
pezzi. Lo sagoma, lo sbozza, sorveglia l’imbutitura. Lo passa a
fuoco, lo tuffa nell’ottone, a millecinquecento gradi, nei catini sigillati con l’argilla. Tutto a mano,
sempre brigando col fuoco, il martello e l’incudine, perché la tradizione celebri ancora una volta il
suo rito. Ma la campana è ancora
muta. Allora Sulis afferra il mar-
Sopra: una sala del Museo del Coltello
Sardo, inaugurato da poco ad Arbus;
qui si custodiscono pezzi unici,
di grande valore artistico. Sotto:
Giampaolo Cancedda mostra alcune
delle sue creazioni realizzate
nel laboratorio-atelier di Guspini.
tello, e l’accorda fidandosi dell’orecchio. Solo dopo si applica il batacchio, e il sonaglio è pronto.
Farlo ogni giorno. Farlo dieci,
cento, mille volte. Far di mestiere
il campanaro stanca. Ma è
impagabile l’ebbrezza di
vincere ancora una volta il
ferro e il fuoco, e sentire
che dalla materia informe
promana quel suono unico
di vento e di Sardegna.
I coltelli
Gli eschimesi hanno trentaquattro modi di dire
“ghiaccio”. In Sardegna ci
sono più di trenta parole diverse per indicare un unico
oggetto: il coltello. Segno di
un legame assoluto che risale alla notte dei tempi.
Quando il sardo era o pastore o agricoltore e la lama
panciuta, a foglia di mirto,
a punta tronca, retrattile o
fissa, era il prolungamento
della sua stessa mano.
La storia del coltello sardo è una
storia plurale, perché ogni zona ha
la sua lama. E quindi è una storia
cantata a più voci. Perché l’arte di
fabbricare arresojas non si è perduta, non è rimasta patrimonio esclusivo di pochi. Anzi. Da quindici
anni almeno gli artigiani hanno riscoperto la vocazione antica e ricominciato in gran numero a forgiare lame, entrando stabilmente nell’olimpo della coltelleria italiana.
Un successo testimoniato da ordini a valanga, spesso impossibili
da esaudire. Perché la qualità richiede dedizione. Giorni di lavoro
e produzioni numerate.
Investire nell’eccellenza ha prodotto buoni frutti. Antonio Fogarizzu, ex assistente di volo Meridiana,
ha detto addio alle ali d’argento appuntate sul taschino per tornare ai
coltelli, passione di famiglia. A 35
anni è considerato uno dei migliori
coltellinai in circolazione, vende in
tutto il mondo attraverso il suo sito
internet, è inseguito dai giornalisti
della stampa specializzata come
117
ARTIGIANATO
una star del “Grande fratello”. Merito anche del suo sorriso da fotoromanzo, ma soprattutto di un’arte
ereditata dal nonno e dal padre,
che lui ha saputo sganciare dalla
tradizione per inseguire creatività
e perfezione d’artista.
I Fogarizzu, insieme ad Antonio Deroma e Raimondo Sistigu,
hanno reso Pattada capitale sarda
del coltello. Un ruolo che il piccolo centro del Sassarese divide con
Guspini, cuore nobile della neonata provincia del Medio Campidano. A Guspini lavora Giampaolo Cancedda, che firma le sue lame con lo pseudonimo di Furitto
(furetto). Baffoni folti, carattere
non facile, Cancedda è l’emblema
dell’artigiano antimoderno. Sui
suoi pezzi ammette un’unica garanzia, la sua firma. Si sente un
anarchico. Colpa del suo primo
mestiere – l’allevatore – abbandonato quando ha scoperto di avere
nelle mani l’abilità di cavare la
perfezione dal metallo incandescente. Il coltello ha fruttato bene.
Furitto è finito in tivù e sui giornali, e lasciata la fucina di campagna ai piedi di un monte dal nome sinistro (Le Streghe), ha aperto un laboratorio atelier al centro
del paese. Dalla sua bottega il
coltello guspinese ha raggiunto
mezzo mondo: Francia, Germania, Australia e Stati Uniti.
Sopra: una splendida realizzazione di Antonio Fogarizzu, di Pattada, che a soli
35 anni è considerato uno dei coltellinai più eminenti. La famiglia Fogarizzu, insieme
con i Deroma e i Sistigu, ha fatto di Pattada la capitale sarda del coltello.
Da utensile d’uso quotidiano a
oggetto di culto per i collezionisti, il coltello è diventato il simbolo di un sapere locale che produce qualità e nuova ricchezza. L’economista keynesiano Antonio
Sassu gli ha addirittura dedicato
un libro. Secondo Sassu un sapere locale può innescare un circolo
economico virtuoso.
La conferma è nei fatti. Ad Arbus ha aperto il Museo del Coltel-
lo Sardo. E ogni anno, tra Guspini
e Pattada, si svolge “Arresojas,
Biennale del Coltello Sardo”. La
mostra, che a fine luglio sarà
ospitata nel suggestivo borgo minerario di Montevecchio, attira
ogni anno migliaia di visitatori ed
è l’occasione ideale per mettere
in vetrina la Sardegna meno scontata ma più affascinante: l’Isola
della cultura e del metallo. Giovanni Antonio Lampis
Dove comprare
I MAMUTHONES
Ruggero Mameli, via Crisponi 19, Mamoiada (Nuoro), 0784/5.62.22. Sito internet:
www.mascheremameli.com. Prezzi: 80150 euro, a secondo del tipo di legno.
Museo delle Maschere Mediterranee,
piazza Europa 15, Mamoiada (Nuoro),
0784/56.90.18. Apertura: tutti i giorni, lunedì escluso. Costo del biglietto: 4 euro.
Sito internet: www.museodellemaschere.it.
I CAMPANACCI
Carlo Sulis, via Giovanni XXIII 4-6, Tonara (Nuoro), 0784/6.38.45-6.35.78. Sito
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internet: www.campanacci.it. Prezzi: da
1,50 a 50 euro.
I COLTELLI
Antonio, Pietro e Salvatore Fogarizzu, via
E. Fermi 3, Pattada (Sassari), 079/
75.52.27. Sito internet: www.fogarizzu.
com. Per ammirare le creazioni di Antonio
Fogarizzu: www.fogarizzuknives.com
Antonio Deroma, piazza Vittorio Veneto,
Pattada (Sassari), 079/75.40.40. Sito internet: web.tiscali.it/antonioderoma.
Raimondo Sistigu, via Duca d’Aosta 20,
Pattada (Sassari), 079/75.54.10.
Giampaolo Cancedda, detto “Furitto”,
via Zeppara 73, Guspini (Medio Campidano), 338/9.27.38.08.
Museo del Coltello, via Roma 15, Arbus
(Medio Campidano), 070/9.75.92.20. Sito internet: museodelcoltello.it. Nelle sale, ricostruzione del laboratorio ottocentesco di un fabbro.
Arresojas, Biennale del Coltello Sardo, Montevecchio – Guspini. La manifestazione si
svolge ogni anno a cavallo tra l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto. Per informazioni: Pro loco Guspini, 335/ 5.79.79.43.
Sito internet: www.arresojas.net.
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TURISMO EQUESTRE
TURISMO EQUESTRE
Fotografie di Giancarlo Deidda
Girotondo a cavallo in Barbagia
Alcuni partecipanti alla cavalcata del “Ballu tundu a caddu” nei pressi di Gavoi, tappa iniziale di un tour
equestre che dura cinque giorni e che si svolge tutt’intorno a Nuoro, “capitale” della Barbagia.
A
cavallo della Sardegna. O meglio, del
suo cuore, la Barbagia. Un’isola nell’isola. Con i suoi
profumi, i suoi sapori, un’alba e
un tramonto che, da una gola all’altra, non sono mai uguali.
L’hanno ribattezzato “Ballu tundu
a caddu”, mettendo insieme già
nel nome le tradizioni popolari (su
ballu tundu, ovvero il ballo tondo,
che è una delle coreografie più
diffuse tra i gruppi folk) e uno dei
simboli del lavoro per molti sardi,
il cavallo (caddu, nel Nuorese).
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Un ballo in sella tra lecci e ginepri
che gira intorno alla “capitale”
barbaricina, Nuoro. Quattro giorni e quattro notti tra gole e dirupi, boschi e laghi, nuraghi e mufloni e, con un po’ di fortuna, il
volo di un’aquila. Una fatica ripagata non solo dal piacere per gli
occhi, ma anche per il palato. Soprattutto quando, la sera, lasciato
il cavallo in stalla, ci si può rifocillare in un agriturismo con il
guanciale di maiale stagionato in
montagna, i ravioli ripieni di formaggio e conditi con il sugo di
pecora, o gli arrosti di maialetto o
di capra. Sessantacinque i cavalieri protagonisti dell’edizione
dello scorso anno. Una quindicina i comuni coinvolti in un’iniziativa a metà strada tra lo sport
equestre e l’escursionismo.
“Quest’anno ‘Ballu tundu a caddu’ conoscerà la sua terza edizione”, spiega il promotore, Mario
Cadau, presidente del centro di
turismo equestre Taloro che, a
Fonni, ha sede accanto allo
splendido lago di Gusana (info:
www.centroequestretaloro.com;
0784/5.84.22; 348/6.92.70.12). In
genere il periodo prescelto è giugno. Si parte da Ollolai per arrivare a Ovodda, passando per Gavoi, Fonni, Orgosolo, Oliena,
Orune, Orotelli, Oniferi, Orani,
Sarule, Olzai e Tiana. Nel saliscendi si incontrano i laghi di Gusana, Olai e Cuchinadorza. Oppure le chiese campestri di
Sant’Efisio, del Buon Pastore e il
santuario di Nostra Signora di
Gonare, che svetta dall’alto dei
suoi 1.100 metri su tutti i cristiani
di Sardegna. Arte religiosa, ma
anche archeologia, come le domus
de janas (letteralmente case delle
fate, antiche sepolture) di “San
Concas” o i dolmen di “Su verre”.
Ambiente, tradizioni, storia e cultura si fondono, in “Ballu tundu a
caddu”, con i profumi e i sapori
della cucina tipica dell’interno
della Sardegna. Ma, a parte il
trionfo della natura, l’itinerario
mette in vetrina paesi spesso uno
di fianco all’altro ma con un’identità diversa e difesa con fierezza.
Il consiglio è di perdersi, di tanto
in tanto, davanti ai murales di Orgosolo, che ha trasformato le facciate delle case in tante tele per i
maestri dei murales. O di farsi rapire dalle leggende sui gelidi inverni di Fonni, il paese più alto
della Sardegna. O magari da
quelle dei simpatici demoni che
animano il carnevale barbaricino.
Ma i grandi protagonisti di cinque giorni alla scoperta della Sardegna più vera sono il cavallo e il
territorio. Una simbiosi millenaria in terra di Gennargentu (la
porta d’Argento), tra le vigne e
gli oliveti ai piedi del Monte
Corrasi, spiati dai cinghiali che
scrutano l’invasore intento a risalire il rio Aratu. Cinque giorni
vissuti in un’altra Sardegna. Insieme ai barbaricini, sardi fieri,
operosi e ospitali. Emanuele Dessì
Questo “evento”, a metà strada tra lo sport equestre e l’escursionismo, si snoda lungo
nella foto siamo nel territorio del comune di Fonni) che permette di conoscere ambiente,
un itinerario (n
tradizioni, storia e cultura di una delle zone interne meno conosciute della Sardegna.
123
L’ampia piazza Roma,
cuore della cittadina
di Carbonia, nel Sulcis.
È una spianata dove
risaltano la parrocchiale
di San Ponziano, con
un’interessante cappella
votiva dedicata a
Santa Barbara, e il lungo
edificio municipale.
Le città di fondazione
Inventate dal fascismo negli anni Venti e Trenta in
zone minerarie o terre di bonifica, Carbonia, Arborea
e Fertilia sono tre originali esempi di “città nuove”
DI WALTER FALGIO
Giancarlo Deidda
NELLA MENTE
DELL’ARCHITETTO
Dalla cima del monolite trachitico, ex torre littoria
sulla piazza centrale, si coglie come in un’istantanea
l’idea della “città nuova”. Inventata dal fascismo nel
1937 e inaugurata l’anno dopo, Carbonia era un ventaglio di tetti bassi, vicini e ordinati. Un accampamento di pietra sulla miniera, steso su un declivio di
medesima pietra davanti al mare. Un alveare di
bianco calcare e rosso trachite riempito di lavoratori
spaesati e annichiliti dalla fatica. Oggi, l’ultima città
di fondazione del regime è
PIANIFICAZIONE
divenuta un centro attivo e
URBANISTICA
moderno che riesce ad arA destra: veduta sui
monizzare lo spessore traquartieri periferici
di Carbonia dall’alto
vagliato della storia minedel colle Rosmarino.
raria con la spinta propulRisalta bene l’uniformità
siva dello sviluppo turisticostruttiva nell’ambito
delle diverse tipologie
co. Una visita a Carbonia
abitative. Pagina seguente,
riserva molte gradevoli
in basso: l’elegante
sorprese, perché proprio
e geometrico porticato
della costruzione
adesso la città sulcitana viche ospita gli uffici
ve una stagione di rinascipubblici (a sinistra) ;
l’imponente torre civica
ta senza precedenti.
in bugnato rustico,
Con sensibilità e rigore i
prospiciente su piazza
nuclei principali del regolaRoma, è uno dei tanti
edifici presi a simbolo
re progetto urbanistico sono
della cittadina (a destra).
stati riportati alla loro bellezza essenziale e severa. A cominciare proprio dalla
torre civica nella piazza Roma, l’ex casa del Fascio, sede
degli uffici comunali e visitabile su richiesta
(0781/6.17.54). Il tetto del rude edificio di bugnato rustico è un ottimo punto d’osservazione da raggiungere
con l’ascensore panoramico. All’ingresso troneggia un
bassorilievo di Venanzio Crocetti con allegorie fasciste,
riscoperto casualmente durante un restauro. Al primo
piano, in quella che era la sala del direttorio perfettamente recuperata, ben si combina il dipinto dell’aeropittore futurista Corrado Forlin.
L’abbagliante granito della piazza Roma, riportata alla sua prima conformazione l’anno scorso, esalta l’utopia razionalista dell’ex Dopolavoro centrale, ora sala
consiliare. Progettato da Giuseppe Pulitzer-Finali, l’edificio contrappone sobrie colonne alla robustezza della torre e si connette orizzontalmente con il Teatro Centrale (0781/67.16.19, rassegna Cedac, www.cedacsarde
gna.it) e del Teatro Lirico di Cagliari (070/4.08.22.30,
www.teatroliricodicagliari.it). Dalla parte opposta della
piazza, abbellita con sculture di Giò Pomodoro e di Pinuccio Sciola, il municipio. Chiude il lato est il complesso parrocchiale di San Ponziano, progettisti Cesare
Valle e Ignazio Guidi. La monumentalità della costru-
126
Fotografie di Giancarlo Deidda
Carbonia
zione, e in particolare l’abside, ricordano i profili di una
fortificazione. All’interno, splendida Via Crucis lignea
di Eugenio Tavolara. Dalla piazza, spianata dominante
della città affacciata verso il mare, si diramano i principali assi viari che mettono in comunicazione con le periferie. Nella vicinissima via Napoli, l’ex casa del direttore della miniera ora Museo Archeologico Villa Sulcis
(in restauro, 0781/69.11.31) e altre ville un tempo destinate ai responsabili aziendali. Nella parallela via Campania si trova il Museo di Paleontologia Martel (9-13,
16-20, 0781/69.10.06, chiuso il lunedì).
Man mano che ci si allontana dal centro, la tipologia
costruttiva gerarchicamente si impoverisce sino ad arrivare all’altra faccia della Carbonia che fu. Quella popolare e operaia. Percorrendo la commerciale via Gramsci, proseguendo e risalendo via Satta che abbraccia i
giardini pubblici del colle Rosmarino, si giunge al
quartiere Lotto B. I cameroni che ancora resistono nella
zona di via Fiume ospitavano fino a 60 minatori per
stanza. Diversi sono stati ristrutturati, altri saranno recuperati dal Comune come quello trasformato in chiesetta operaia al numero 23 di via Sicilia. Le derelitte e
povere residenze sono un passaggio obbligato se si
vuol capire Carbonia: i cuori e le braccia che hanno tenuto in piedi questa città vivevano qui.
Dalla terra del carbone il viaggio alla ricerca delle
città di fondazione novecentesche prosegue verso
nord, sempre sulla costa occidentale, sino ad Arborea, 17 chilometri da Oristano. Impareggiabile l’itinerario che dalla statale 126, che collega Iglesias con
Carbonia, prosegue per Fontanamare, Nebida, Ma-
sua. Da qui la stradina si inerpica, costeggia le miniere di Aquaresi e Montecani per poi ridiscendere al
mare di Buggerru. Ci si ricongiunge alla 126 in direzione Arbus, Guspini, Terralba e quindi Arborea. Il
percorso tra panorami, spiagge come Nebida e Cala
Domestica, faraglioni e archeologia industriale si
completa in una giornata, preferibilmente in primavera e, date le condizioni delle strade, senza fretta.
L’altra Carbonia: mare, archeologia e miniere
Carbonia, oltre che città-museo dell’architettura moderna, significa anche mare. A pochi minuti dalla città
si trovano le spiagge di Sant’Antioco e di Porto Pino.
Significa archeologia, con il parco di Monte Sirai e
l’insediamento fenicio-punico (0781/67.39.66), le Domus de Janas e le necropoli preistoriche di Monte Crobu e di Cannas di Sotto. Ma soprattutto Carbonia vuol
dire miniera. Il 2 giugno, dalle ceneri degli impianti di
Serbariu aperti nel 1939 e chiusi nel 1964, sorgerà il
Centro italiano della cultura del carbone. La mascotte
Crabò, gioco di parole tra capra e carbone in lingua
sarda, accompagnerà i visitatori in un mondo a parte:
la miniera rinata. La vecchia lampisteria, dove un tempo c’erano i macchinari per la ricarica delle lampade
Edison e i locali di servizio dei minatori, diventa un
museo. Nell’area tutt’intorno tornano a vivere i luoghi
di lavoro e di lotta. Ecco la rimessa delle biciclette,
inizio e fine della giornata del minatore, ecco i locali
della grande caldaia che forniva l’acqua alle docce.
Nei padiglioni della torneria e delle forge oggi c’è una
sede dell’Università di Cagliari dove si svolge il master in Recupero e conservazione dell’architettura moderna. Nelle ex officine ci sono il Museo Paleontologico e, nel magazzino materiali, il Centro di ricerca per
l’energia pulita. Confluiranno a Serbariu esperti di fama mondiale. E sottoterra, nelle gallerie, si potrà ammirare una ricostruzione perfetta delle tecniche estrattive dagli anni Quaranta a oggi. Il mega-progetto di recupero dell’area industriale coordinato dal Comune
prevede anche un vicino centro intermodale.
NEL CUORE
DELLA BONIFICA
Fotografie di Gianmario Marras
A sinistra: suggestivo
scorcio dell’idrovora
di Sassu che si eleva
nella campagna a nord
di Arborea, vicino
allo stagno di S’Ena
Arrubia. L’imponente
edificio, in purissimo
stile modernista, è una
“macchina futurista”,
opera di Flavio Scano.
Pagina seguente: la
parrocchiale del Cristo
Redentore sulla centrale
piazza Maria Ausiliatrice
di Arborea. Accanto,
un alto campanile, al cui
interno è collocato un
grande serbatoio che può
contenere una riserva
d’acqua di 40 metri cubi.
Arborea
Il piccolo centro vicino a Oristano, una delle prime
città di fondazione del fascismo, venne inaugurato il
29 ottobre nel 1928 col nome di Villaggio Mussolini.
Nel 1930 diverrà comune e si chiamerà Mussolinia di
Sardegna. Era un borgo per mille persone, pianificato
al centro dell’area di bonifica terralbese, vicino ad altre
corti coloniche dove vivevano immigrati veneti, friulani e dell’Emilia Romagna. L’incontro di stili diversi –
da una sorta di Neomedievale eclettico di Carlo Avanzini al Razionalismo di Giovanni Battista Ceas, a ciò
che è stato definito “macchinismo futurista” di Flavio
Scano – fanno di Arborea un esempio straordinario
nello scenario urbanistico delle “città nuove”. Sulla
piazza principale Maria Ausiliatrice, un rettangolo con
un prato d’erba (così lo descrisse Elio Vittorini in Sardegna come un’infanzia) si affacciano la chiesa, il dopolavoro, la scuola, la villa del presidente delle Bonifiche
128
Sarde e del direttore dei lavori, il municipio (Museo
Archeologico, 0783/86.71.82) e la locanda. In questi
edifici, primi fabbricati del centro, si coglie non senza
sorpresa la vistosa commistione tra Liberty e Neoromanico, tra stile lombardo e accenni di Modernismo.
Nell’abside della chiesa del Cristo Redentore, una pala
di Filippo Figari. A pochi passi dal nucleo originario, a
costituire il nuovo polo urbano della cittadina verso
Alabirdis, si presentano le creazioni razionaliste di
Ceas: l’ex casa del Fascio con la torre littoria e l’ex casa
del Balilla, entrambe del 1935. Due episodi tanto rilevanti quanto poco conosciuti dell’architettura italiana
del Novecento. A corredo finale del catalogo dei linguaggi costruttivi espressi nella città della bonifica, sta
la “macchina futurista” di Scano, quell’idrovora di Sassu che ancora suggestiona davanti allo stagno di S’Ena
Arrubia: poco fuori Arborea, verso nord.
DOVE DORMIRE E MANGIARE
CARBONIA
Agriturismo San Giorgio, località
Flumentepido Terra Niedda,
0781/67.59.48-328/8.73.15.91
Casa rurale in pietra ristrutturata
a pochi chilometri dalle spiagge.
Doppia, mezza pensione,
alta stagione: 55 euro.
Ristorante Tanit, località
Sirai, 0781/67.37.93.
Menù a base di pesce: 30 euro.
Ristorante Bovo da Tonino, via
Costituente 18, 0781/6.22.17
Specialità: tonno al Cannonau,
spaghettini ai ricci di mare.
Menù: massimo 40 euro.
ARBOREA
Locanda del Gallo Bianco, piazza
Maria Ausiliatrice 10, 0783/
80.02.41, www.locandadelgallo
bianco.it. Suggestivo alberghetto
del 1929 al centro della città,
con piacevoli arredi d’epoca.
Doppia e prima colazione: 45 euro.
Fotografie di Gianmario Marras
FERTILIA
Hotel Bellavista, piazza Venezia
Giulia 1, 079/93.01.24. Semplice
albergo affacciato sul mare,
nel nucleo storico della cittadina.
Doppia e prima colazione,
alta stagione: 64 euro.
Fertilia
Sopra: uno degli edifici abitativi di Fertilia, realizzati
secondo i dettami del piano regolatore definitivo del 1939.
In alto, a destra: la semplice facciata della parrocchiale
di San Marco, il santo patrono, e la sua torre campanaria.
130
Da Oristano si imbocca la statale 131 direzione Sassari,
poi Alghero e a 7 chilometri si incontra Fertilia, una frazione con porticciolo turistico (079/93.05.65). L’originario centro rurale funzionale alla bonifica della Nurra, la
cui prima pietra fu posta nel marzo del 1936, mantiene
ancora una spiccata identità. Caso raro in Italia. L’ampia piazza San Marco, sul mare, è circondata dagli uffici
della rappresentanza comunale, con la vicina torre, da
abitazioni, albergo, teatro e dall’ex casa del Fascio. Dalla porticata via Pola si giunge alla chiesa di San Marco,
con mosaici di Giuseppe Biasi. Nel parco adiacente si
trova la dinamica e futurista scuola elementare di Arturo Miraglia, primo progettista di Fertilia. In questo piccolo borgo si insediarono inizialmente contadini ferraresi; a questi si aggiunsero, nel dopoguerra, profughi
giuliani. In tempi più recenti ha perso la sua connotazione rurale e ha sviluppato, grazie alla sua bella posizione sul litorale, una vocazione turistica. 131
Alghero (Sassari)
LE TORRI
DI “ALGUER”
Un itinerario suggestivo lungo le mura
e le torri catalano-aragonesi che cingono
il centro storico del vecchio borgo marinaro
DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI GIANMARIO MARRAS
Veduta del centro
storico di Alghero,
con la cattedrale di
Santa Maria sullo
sfondo e in primo
piano parte della
cinta muraria e
delle torri, in gran
parte demolite
a partire dalla fine
del XIX secolo.
A
lghero, la catalana Alguer, frizzante come una coppa di champagne, continua
a rinnovarsi. E a valorizzarsi riscoprendo i tesori
più antichi. Nasce così il museo diffuso, un insieme
di realtà diverse, collegate in un itinerario culturale
che comprende il complesso del Caval Marì, che tra
luglio e agosto ospita la terza edizione della mostra
“Trama doppia” dello stilista Antonio Marras, il
134
Museo Diocesano e quelli in fieri della Città, in via
Carlo Alberto accanto alla chiesa di San Michele, e
del Corallo, in una villa Liberty all’inizio di via XX
Settembre (apertura entro la fine del 2006).
E poi le torri, che insieme alle mura cingono il
centro storico e si mostrano in tutta la loro imponenza, fiere custodi dell’antico borgo genovese, diventano dei veri e propri centri espositivi. È un’iniziativa in divenire, ma promette molto bene. La torre di Porta a Terra
MEDIOEVO
(Portal Reial), la prima a essere
SUL MARE
stata recuperata, nei secoli pasIn alto: uno
sati era l’ingresso principale delscorcio del porto
turistico di
la città e oggi mantiene il suo
Alghero visto
ruolo in chiave moderna. Al piadai Bastioni
Magellano; sullo
no terra ospita il Centro di
sfondo, il profilo
informazione e accoglienza turidi capo Caccia.
stica (Cooperativa Itinera, 079/
A sinistra:
la torre di Santa
9.73.40.45), oltre a un angolo deBarbara o della
dicato ai libri su Alghero e la
Polveriera, dove
Sardegna, mentre al primo piano
venivano
depositate le
accoglie il museo multimediale:
polveri per i
nove computer touch screen per
cannoni collocati
poco distante.
conoscere il passato della città.
Nella pagina
La storia è suddivisa in temi diseguente: il porto
versi, dal periodo pre-genovese
turistico e alle
spalle il campanile
fino al 1867, quando Alghero
gotico-catalano
perse la funzione di piazzaforte.
della cattedrale
Ognuno, liberamente, può apdi Santa Maria.
profondire gli aspetti che gli interessano. In mezzo al salone troneggia un grande
plastico di Alghero fortificata, prima dell’abbattimento delle mura avvenuto nella seconda metà dell’Ottocento. Salendo sulla terrazza, appena aperta al
SPALTI
E CANNONI
Sopra: uno dei
cannoni situati alle
spalle della più bella
e imponente delle
sei torri catalanoaragonesi, la torre
dello Sperone, oggi
torre Sulis in onore
del patriota Vittorio
Sulis, qui rinchiuso
dal 1799 per 21 anni.
Una scala elicoidale
ricavata nelle mura
perimetrali permette
l’accesso alla terrazza.
Destinata in origine
a luogo carcerario,
la torre, restaurata,
è oggi uno spazio
espositivo. Nella
pagina seguente:
torre della Maddalena
inglobata nel bastione
omonimo, l’unico
superstite dei tre
bastioni fortificati
costruiti nel XVI
secolo. Situata nella
zona del porto, ha
dimensioni minori
rispetto alle altre. È
chiamata anche torre
Garibaldi da quando
l’”eroe dei due
mondi” approdò ad
Alghero nel 1855.
136
pubblico, si ha una visuale a 360 gradi sul centro
storico e sul porto turistico, sullo sfondo del promontorio di Capocaccia. Uno spettacolo.
Da quest’estate proprio da Porta a Terra partono
sette itinerari tematici guidati, tra cui quello dedicato ai panorami crepuscolari. Il più suggestivo e
romantico. Al tramonto si sale nei punti alti del centro storico, tra cui il campanile della cattedrale, e si
osserva il sole che infuoca il golfo. Da quest’anno il
centro informazioni propone anche visite audioguidate in sei lingue, compreso ovviamente il catalano,
parlato comunemente tra la gente di Alghero. La
torre di San Giovanni, appena restaurata, diventa
uno spazio espositivo attrezzato per mostre temporanee. Lungo l’itinerario vale una sosta la Slurperia,
in largo San Francesco che in estate propone cinquanta gusti di gelato diversi: da provare il gelato
al torrone di Tonara. Pochi passi ed ecco piazza Sulis: una spianata sul mare dominata dalla cinquecentesca torre dell’Esperò Reial o Sulis, in onore di
Vincenzo Sulis, notaio, patriota e memorialista, una
sorta di Che Guevara della Sardegna. Nel 1793 combattè attivamente contro l’invasione dei francesi e
poi fu protagonista delle insurrezioni antipiemontesi per cacciare il viceré da Cagliari (1794). Condannato al carcere a vita, venne rinchiuso prima
nella torre dell’Aquila a Cagliari e, dal 1799, nella
torre dello Sperone di Alghero (oggi torre Sulis),
dove visse fino al 1821, quando fu graziato dal re
137
Vittorio Emanuele. Morì esule alla Maddalena nel
1834. Interessante l’autobiografia di Sulis riscritta
dai “Marinai del Tempo”, un gruppo di studenti del
liceo classico Gramsci di Olbia, pubblicata dalla
piccola casa editrice sassarese Doramarkus. La torre
Sulis a settembre ospiterà una mostra di foto, curata
da Salvatore Ligios, che s’inserisce nei network europei dei festival di fotografia (European month of
photography e Festival of Union), a cui partecipano
20 giovani fotografi europei. In piazza Sulis si concentrano alcuni dei grandi nomi della ristorazione
algherese: Il Pavone (079/97.95.84) , che propone
una cucina creativa, e La Lepanto (079/97.91.16),
dove si mangiano le migliori aragoste.
Seguendo il litorale verso nord, davanti al
UN LUNGO
pronao della seicentesca chiesa del Carmen, si
CAMMINO
incontra la torre di San Giacomo o dei cani,
DI PIETRA
perché nel XX secolo era utilizzata anche come
L’ultimo tratto
canile, prossima sede di un nuovo spazio mudelle fortificazioni
spagnole è
seale. Una sosta per un drink al Girasol (079/
costituito dai
9.73.50.16), fruit bar per ogni età, dove fanno
bastioni Marco
frullati e cocktail dal sapore esotico, o per un
Polo, recentemente
restaurati;
pranzo alla trattoria La Cuina (079/97.69.38),
separano l’antico
dove preparano piatti della vecchia cucina alquartiere ebraico
dal mare, che si
gherese: minestra di pesce, di ricotta fresca,
apre verso nord
agliata di pescatrice e di gattuccio, ricci e sarsul bellissimo
dine fritte. Da qui comincia la passeggiata sulla
muralla (la muraglia in algherese).
Il percorso di pietra che circonda l’antico borgo di
origine genovese prosegue sui bastioni Marco Polo,
recentemente restaurati. È l’angolo più intimo, più
autentico, parallelo alla zona un tempo abitata dagli
ebrei catalani, che hanno avuto un ruolo importante
come finanziatori per la conquista spagnola di Alghero. La passeggiata lungo il mare arriva alla Garitta reale, utilizzata storicamente come punto vedetta
e deposito di armi. La torre della Polveriera e quella
della Madonnina (Sant’Elm) sono ancora da recuperare. L’ultima parte di bastioni, la più bohémienne,
d’estate pullula di artisti di strada. Seduti ai tavolini
del Caffè Latino (079/97.65.41), si assiste a simpatici
spettacoli improvvisati. Con una scalinata si scende
alla Porta a mare, detta Poltu Salve (in passato era il
solo ingresso in città dal mare), dove si dice sia passato Garibaldi. Chiude il giro la Maddalenetta, unico
forte rimasto del sistema catalano-aragonese. Il recupero di questo monumento storico, grazie a un
elegante allestimento teatrale dotato di 500 posti a
sedere, ha trasformato un severo baluardo in una
delle due sedi dei grandi eventi di Festivalguer
(www.sardegnaconcerti.it), insieme all’anfiteatro
Maria Pia, sul litorale per Fertilia. panorama della
rada di Alghero.
138
139
Turismo religioso
VACANZE
DELLO SPIRITO
Un nuovo modo di viaggiare, ideale
per chi apprezza uno stile di vita semplice,
a contatto con la natura, che predispone
a momenti di riflessione e meditazione
Gianmario Marras
DI LAURA FLORIS
L’elegante facciata della basilica
di San Pietro di Sorres, a Borutta.
Risaltano le arcate che cadenzano
i tre ordini e la bifora centrale,
situata proprio sopra il portale.
due laterali più piccole. A colpire è la ricchezza delle
decorazioni fatte di intarsi, cornici, archi, pilastri e colonnine. L’architettura interna è sobria ed elegante,
valorizzata dal contrasto policromo della pietra.
Sono migliaia i turisti che ogni anno si recano a
visitare la basilica e che decidono di alloggiare nel
convento per condividere le suggestioni della vita
monastica. Contattando i monaci (info 079/82.40.01)
è infatti possibile trascorrere qualche giorno all’interno della maestosa struttura. A un patto però: che
si segua alla lettera la regola del santo che fondò
quell’ordine nel VI secolo. L’ora et labora è l’imperativo che sorregge la vita dei monaci. Sveglia dunque alle 5.25, seguita da 20 minuti di preghiera collettiva. Alle 6.30 colazione e alle 7.30 le lodi mattutine. Messa alle 8 e, dalle 9 alle 12.40, il lavoro. Coltivazione della campagna, dei vigneti, degli uliveti,
degli orti e della pineta. Oppure l’affascinante lavoro del restauro dei libri antichi che giungono da tutte le biblioteche dell’isola per essere rimessi a nuovo. Il rito del pranzo, secondo l’insegnamento di Benedetto da Norcia (480-547), si svolge in un rigoroso
silenzio, rotto solo dalla lettura di testi religiosi da
parte di un membro della comunità. Il pomeriggio,
lectio divina, lettura e studio della Bibbia. Breve ricreazione e alle 21 a letto. Il monastero di San Pietro
di Sorres è meta privilegiata anche di gruppi e associazioni che vi svolgono gli esercizi spirituali. Per
alloggiare è prevista un’offerta libera. Periodo ideale per visitare il complesso benedettino è il mese di
giugno. A Borutta, infatti, si celebra la festa dell’Ottava del Corpus Domini, così chiamata perché cade
otto giorni dopo la solennità religiosa. I fedeli giungono in processione dal paese alla basilica. Dopo la
Fotografie di Giancarlo Deidda
U
n viaggio alla ricerca di un bene sempre
più raro e prezioso. Il silenzio. Per riflettere, leggere, studiare, osservare la natura e
dedicare qualche ora alla contemplazione. La Sardegna offre anche questo. E sempre più in voga è il cosiddetto “turismo religioso”. Chi lo pratica sceglie la
propria meta sulla base di requisiti talvolta opposti
rispetto al turista classico. Letti scomodi, pasti frugali, stile di vita morigerato.
Sull’altopiano calcareo che sovrasta Borutta, Bonnanaro e Torralba (a 40 chilometri a sud-est di Sassari,
in prossimità della statale 131), sorge il monastero di
San Pietro di Sorres, fondato nel 1112 dai Benedettini.
È un sito pieno di fascino, con un pregevole equilibrio tra ambiente e architettura. La basilica, uno dei
più suggestivi esempi dello stile romanico-pisano, fu
edificata tra il 1170 e il 1200. Ha una navata centrale e
I CAPPUCCINI
DI SANLURI
A sinistra: la semplice
facciata della chiesa
di Sanluri, nel Medio
Campidano; fondata
nel Seicento e dedicata
a San Francesco, fa
parte del complesso
conventuale dei frati
Cappuccini. Sopra:
il piccolo chiostro
del convento, che
ospita attualmente
cinque frati. Dentro
l’edificio si può
visitare il museo
di oggetti sacri,
inaugurato nel 1911.
145
Antonio Saba
DEVOZIONE
celebrazione della messa, per le vie e le
Uno dei periodi suggeriti per visitare il
POPOLARE
Sopra: il santuario
piazze del paese si organizzano spettacoli,
convento di Sanluri è la fine del mese di setdi Santa Greca
canti e balli (info 079/82.40.25).
tembre per non mancare all’appuntamento
sorge all’ingresso
Spostandosi nella parte meridionale della
con una delle feste popolari più celebrate nel
dell’abitato
di Decimomannu.
Sardegna, nella zona del Medio CampidaCagliaritano: Santa Greca, che ricorre a DeciÈ noto soprattutto
no, e percorrendo la statale 131, a circa 45
momannu (a 18 chilometri da Cagliari, sulla
per il culto
chilometri da Cagliari si trova un’altra sorstatale 130) nell’ultima domenica del mese.
tributato alla santa
con una delle feste
presa per gli amanti del turismo religioso. È
Si tratta di un giorno molto atteso dai fedeli
popolari più sentite
il convento dei Cappuccini (info 070/
che costituisce anche un momento di grande
del Cagliaritano
(l’ultima domenica
9.30.71.07) edificato a breve distanza delsocialità. La santa, come attesta una lapide
di settembre).
l’antico borgo di Sanluri, su uno dei colli
funeraria ritrovata nel 1614 tra i ruderi di
più panoramici del territorio. Dal sagrato,
un’antica chiesa del paese, sarebbe vissuta
nelle giornate limpide lo sguardo può spaziare su
tra il III e il IV secolo e sarebbe morta all’età di 20 anni.
tutta la pianura del Campidano, dal massiccio vulcaLa tradizione colloca il suo martirio nel periodo delle
nico dell’Arcuentu fino a cogliere i contorni della
persecuzioni degli imperatori Diocleziano e MassimiaSella del Diavolo, promontorio che si affaccia sul lino. Santa Greca viene festeggiata anche il 12 gennaio e
torale cagliaritano. La struttura, la cui costruzione fu
il 1° maggio. Nei giorni che precedono le feste di magavviata nel 1609, può ospitare circa 20 persone. I fragio e settembre si eseguono alcuni riti di antica origine:
ti sono attualmente soltanto cinque. Una parte degli
la vestizione della statua e la decorazione dell’abito con
alloggi è costituita dalle cellette utilizzate dai relinumerosi oggetti preziosi, tra cui antiche catene, spilli
giosi nel 1600. All’interno del convento è stato allee anelli d’oro. Durante queste ricorrenze, dalla chiesa
stito un interessante museo (inaugurato nel 1991)
parrocchiale di Sant’Antonio Abate parte la processioche raccoglie oggetti sacri, reperti archeologici, artine preceduta dal grande reliquiario, che arriva al sangianato locale e opere delle arti e dei mestieri esercituario di Santa Greca, risalente al XIV secolo. Sul piaztati dai frati. Le sale espositive sono ricavate in un’azale avviene l’incontro del simulacro con la reliquia.
la interna del convento alla quale si accede dal nuoNumerose le manifestazioni di devozione popolare.
vo chiostro. Ai lati delle porte di ingresso è possibile
Nel santuario, ai piedi di Santa Greca, ciocche di capelvedere gli antichi strumenti dei laboratori di fisica
li, fotografie, stampelle e altri oggetti testimoniano la ri(orario: 9-12 e 16-18, solo per appuntamento).
conoscenza dei fedeli per le grazie ottenute. 147
FESTIVAL LETTERARI
Libri, racconti e fiabe attraverso l’Isola
Sopra: la compagnia “La Pola” racconta fiabe in piazza San Sepolcro, uno dei palcoscenici di strada dove prendono forma
le performance del “Marina Café Noir”, festival di letterature applicate che si tiene nel quartiere storico Marina a Cagliari.
A
Cagliari, dal 9 all’11
giugno, in uno dei
quartieri più belli della città, si apre e si
diffonde un evento caldo e singolare. “Marina Café Noir”
(www.marinacafenoir.it) è un
tutt’uno con le scalette ripide, i
muri contorti, le finestre colorate
delle antiche case sul porto. È un
festival letterario e tanto altro. È la
condivisione di esperienze artistiche aperte, originalissime, a partire da un libro, da una riga, da un
titolo. L’associazione Chourmo
(www.chourmo.it), anima della
tre giorni, ha messo in scena gli
abitanti di Marina, ha stimolato le
molteplici attività del quartiere, i
laboratori artigiani come quello
150
del fabbro che volentieri accompagna alcune serate a suon di incudine e martello. Sono parte del
festival le gallerie d’arte, i bar, i
tanti locali, le vetrine a tema. Da
piazza Savoia a piazza San Sepolcro, alle Scalette Santa Teresa si
trovano i palcoscenici di strada
dove prendono forma le performance. Una babele di linguaggi e
suggestioni libere. La scrittura è
sempre lo spunto di produzioni
assolutamente inedite, eccentriche e popolari. Teatro, jazz, pop, e
mille forme espressive insieme
restituiscono il libro. Nasce così la
letteratura applicata. Stili come il
noir, ma non solo il noir, sono usati per fare storie e lanciare messaggi sociali. Giunto alla sua
quarta edizione, quest’anno il festival mette in movimento almeno
200 attivisti culturali per esplorare “mappe del nuovo mondo”,
etica della libertà, per lanciarsi in
ricognizioni nella memoria. A giugno protagonista la letteratura dal
sapore multietnico e globale, a
settembre si prosegue con le feste
per i ragazzi, a dicembre proposte
più strettamente musicali.
Da Cagliari si vola per 180 chilometri nel cuore della provincia di
Nuoro, nella Barbagia di Ollolai.
Gavoi è un paesino di granito scolpito su un lago trasparente, Gusana. Qui i primi tre giorni di luglio
prende avvio “L’Isola delle storie”
(www.isoladellestorie.it). Al centro
ancora la letteratura vissuta tra
151
Gianmario Marras
FESTIVAL LETTERARI
Sopra: “L’Isola delle storie” di Gavoi,
in Barbagia, festival di letteratura con
incontri, letture, laboratori e interviste.
Nella foto lo scrittore Ascanio Celestini
legge un brano del suo Storie di
uno scemo di guerra. In basso, a destra:
animazione al “Marina Café Noir”.
strade e piazze di un piccolo borgo.
Ospiti internazionali, decine di
eventi, incontri per grandi e bambini, mostre fotografiche e d’illustrazione, spettacoli musicali e teatrali, documentari. Attorno, boschi,
monti, santuari campestri e la Sardegna nascosta della Barbagia.
Tanto spazio è dedicato ai bambini.
A partire da un tema, i più piccoli
si raccolgono davanti a un cantastorie o a un trampoliere. Partecipano a giochi nati dalle parole di
una favola. A Gavoi trovano ospitalità le infinite forme della scrittura
proposte, discusse e appunto giocate prima di tutto dagli ospiti. Il
paese è protagonista dell’iniziativa, tutta la comunità si mette a di-
Storie di “Mille e un Nuraghe”
L’arte del raccontare ha il suo festival. “Mille e un Nuraghe” (www.milleunnuraghe.it)
si tiene a Perfugas, 45 chilometri da Sassari, dal 12 al 16 luglio. Diverse facce della
narrazione, antiche o moderne, prendono vita nei sereni paesaggi dell’Anglona
(www.anglonaweb.it). Oltre agli spettacoli, il festival comprende esposizioni d’arte
contemporanea, laboratori sui saperi locali (la cucina, la tessitura, il ballo), visite guidate nel territorio; da quest’anno, la giornata conclusiva sarà interamente dedicata al
mercato, concepito come un suq, dove narratori e artisti si mescolano a mercanti e
artigiani. Il festival del racconto di Perfugas prende il via nel 2003, a partire dalla lunga esperienza di ricerca dell’Associazione Archivi del Sud sulla narrativa di tradizione
orale. La festa è rivolta a tutti, ma soprattutto ai viaggiatori più attenti che sanno conciliare un paesaggio di nuraghi, chiese campestri, pozzi sacri, foreste pietrificate, con
un evento di confronto culturale. Info: Archivi del Sud, 079/98.65.85, [email protected],; Museo Archeo-Paleobotanico di Perfugas, 079/56.42.41.
sposizione dei tantissimi che si avvoltolano nelle ripide strade.
Nuovi festival letterari nascono e
crescono in Sardegna non a caso.
L’isola e i suoi scrittori attraversano
una stagione eccezionale. Al punto
che si sente l’esigenza di uscire per
condividere e “masticare” letteratura. La Sardegna che non ti aspetti
è anche tra libri e racconti. Walter Falgio
MODA
MODA
Pagina precedente e in basso:
due belle immagini dell’atelier
di Luciano Bonino con alcuni dei
prestigiosi modelli che lo hanno reso
famoso anche fuori Sardegna.
Sotto: lo stilista nel centro di Cagliari.
I
l giovanissimo Silvio Betterelli, sardo di Macomer,
stupisce l’alta moda romana mettendo in passerella
abiti in lino e sonazzos, i campanacci che pendono al collo di pecore, capre e cani di piccola taglia. Dice di ammirare Antonio
Marras, l’algherese direttore artistico di Kenzo. E si vede. La
moda di Marras e le collezioni di
Betterelli, presente e futuro
dell’haute couture pensata in Sardegna, partono in fondo da
un’intuizione comune: attingere
154
alla tradizione e superarla, ma
senza stravolgerla. Cambiano linee, tessuti e colori, ma sempre
nel segno di sobrietà, praticità e
concretezza. Rinnovare senza
rinnegare. Valorizzare motivi e
materiali del passato con un tocco di leggerezza in più.
È questa la cifra stilistica unificante della moda isolana, che accomuna lo stile “sardesco” di Luciano Bonino, l’etno chic delle Sorelle Piredda, il su misura di Paolo Modolo e Giovanni Mura, l’archeologia sartoriale di Giampaolo
Gabba e l’innovazione dei tessuti
in sughero firmati Anna Grindi.
Raffinato e cosmopolita
Il primo atelier era uno stanzone
bohémien nel quartiere di Castello a Cagliari. Pezze di tessuto
ovunque, cartamodelli e molta
umidità. La creatività è una selva
oscura: un ginepraio di piccoli
fallimenti, un tratturo scosceso
pieno di inciampi. Là, in mezzo
al tratturo, stava Luciano Bonino.
Lui solo e la sua cocciuta vocazione di fare il sarto. Nata sul banco
di un grande magazzino, sul timido calore della lana plissettata;
diventata grande in solitudine,
senza maestri né scuola.
Chi nasce anarchico cresce libero: essere privo di numi tutelari significa tracciare linee in libertà, guidato dagli oscuri capricci dell’anima. Così hanno
preso forma gli abiti che assomigliano alle tuniche giapponesi di
3.000 anni fa più che a Saint Laurent, Dior e Valentino. Dalle prime gonne, sciarpe e stole d’ispirazione sarda agli scialli di lana
bouclée, fino all’ultima creazione:
un abito nero di seta plissettata,
ieratico e di rigore austero, che
sembra uscito da un romanzo di
Jane Austen. In tre decenni di lavoro, Bonino è diventato uno degli stilisti sardi più celebrati,
creativi e ricercati. Raffinato e cosmopolita, capace di raccogliere
e distillare gli umori di Parigi e
del lontano Oriente per mescolarli alle eleganti suggestioni del
suo stile “sardesco”, osserva Cagliari dai finestroni del nuovo
atelier spalancati sul trambusto
Gianmario Marras
Fotografie di Antonio Saba
All’insegna di sobrietà e concretezza
155
MODA
Massimo Locci
MODA
Fotografie di Antonio Saba
A sinistra: una fase della lavorazione
di un capo nell’atelier
cagliaritano delle sorelle Piredda.
Sopra: i loro abiti, dal taglio
semplice ed essenziale, rievocano
la Sardegna dell’interno.
Sotto: ritratto sulla spiaggia del Poetto,
con la Sella del Diavolo sullo sfondo.
autoctono di Stampace. Lì, tra gli
alti soffitti decorati, l’antiquariato impero e il viavai delle clienti,
il tratturo si è aperto, il ginepraio
si è sciolto, la selva oscura è diventata un giardino fiorito popolato di raffinati sottintesi che legano il Mediterraneo all’Europa,
la sontuosa cortigiana alla donna
involta nel costume sardo tradizionale. In nome di un’unica,
umanissima eleganza.
Le quattro sorelle
Sono in quattro: Betty, Paola, Patrizia e Rita. Ma, per favore, non
chiamatele per nome. Loro sono
per tutti, semplicemente, le Sorelle Piredda. Quelle degli scialli
e degli abiti ieratici, del vestito
da sposa in lana grezza e dei gialli ricami che rievocano gusto e
stilemi della Sardegna dell’interno. Per loro la moda è questione
di famiglia. Comincia la nonna
Francesca, sarta nel quartiere cagliaritano di Castello, prosegue
la madre Angela. E poi arrivano
loro. Ancora bambine si arrampicano sulla vecchia Singer di famiglia e imparano giocando l’arte
del cucito. Cominciano coi costumi da bagno, arrivano ad abiti,
scialli, stivali e accessori. Dalle
prime creazioni alle più recenti,
sempre fedeli alla linea: taglio
semplice ed essenziale e ispirazione barbaricina per trasferire
nella donna misteri e profumi di
Sardegna. La loro invenzione è
una riscoperta: lo scialle. Sete pesanti, lunghe frange intrecciate a
mano, ricami in oro e in argento
che annodano simboli d’Oriente
e Occidente: i fiori e il sole, la
gallinella e le decorazioni dei
gioielli dell’antica città di Tharros. Quando l’eleganza moderna
ha sentori d’antico.
Il signore del velluto
Tre giorni di lavoro sui velluti più
pregiati: così nasce un abito firmato Paolo Modolo. Per molti, ma
Sopra: Paolo Modolo, un maestro
del velluto, con i suoi modelli di alta
sartoria nell’atelier di Orani (Nuoro).
non per tutti. Non è una questione di prezzo. Di pazienza, piuttosto. Perché per indossare un Modolo originale bisogna rassegnarsi
a una lista d’attesa lunga sette
mesi, a meno di non essere un
cliente eccellente, anzi eccellentissimo. Un esempio: l’ex presidente della Repubblica Francesco
Cossiga. “Mi ordina un abito nuovo quando deve partecipare a occasioni importanti e mi dà tempo
tre giorni”, racconta Modolo, “è
l’unico per cui faccio eccezioni”.
Questione di riconoscenza. Nel
1997 Cossiga disse che il suo sarto
viveva a Orani, 3.000 anime nel
cuore della Sardegna. Bastò a sdoganare un ex minatore e i suoi
velluti proiettandolo nell’olimpo
dei sarti che contano. Chi l’avrebbe immaginato? Terzo di nove figli, padre pastore e madre casa157
MODA
linga, Paolo Modolo a dieci anni
aveva già deciso: “Farò il sarto”.
Da bambino osservava la mamma
cucire. Gli piaceva toccare la stoffa, seguire con gli occhi la corsa
dell’ago e del filo. Quinta elementare, sei anni a bottega dal sarto
del paese, a 17 anni Modolo apre
la sua prima sartoria. Tempi difficili. La concorrenza è agguerrita,
non c’è spazio per un altro artigiano. L’esperimento dura un decennio; a 27 anni suonati il maestro
del velluto entra in sonno e cambia mestiere: minatore. S’impiega
nella miniera di talco di Orani, ci
lavora per 22 anni. Nelle ore libere dal lavoro, continua a cucire il
velluto. Un tran tran massacrante,
fino alla pensione. Nel 1997 rimette su bottega, poi arriva Cossiga e
il resto è una storia ben nota. Nel
suo atelier lavorano in sei, lui
compreso. Tre giornate per confezionare un tre pezzi, pantalone
giacca e gilet: stare a guardare è
un lusso che non può (e non vuole) permettersi. I suoi abiti costano da 600 a 1.000 euro, a seconda
del velluto. La prossima frontiera?
L’orbace, tessuto autarchico. Lana
di pecora sarda, ruvido e robusto:
bellissimo. Diverso dai velluti di
Zegna e Visconti di Modrone che
lo hanno reso famoso.
Una nuova sfida, come la collezione 2006 che anche quest’anno
presenterà nello scenario fatato di
Monte Gonare. Al calar della notte, si apriranno le passerelle. Ma
sarà festa già dalla mattina, con
un banchetto imbandito per dare
il benvenuto ai 600 ospiti che arriveranno da mezza Italia per fargli
visita. Alta sartoria e ospitalità col
sapore di Sardegna.
Il mito della perfezione
Orani è l’indiscussa capitale sarda del velluto. Vietato stupirsi
158
Massimo Locci
Giampaolo Gabba con alcuni capi
da lui realizzati nell’atelier di Nuoro.
Le sue creazioni, di grande successo,
si ispirano all’antico guardaroba sardo.
quindi se per trovare un altro
fuoriclasse non bisogna andar
lontano. Giovanni Mura cuce i
suoi abiti a poche centinaia di
metri da Paolo Modolo. Storie simili. Comincia a dieci anni, apprendista tra Orani e Nuoro, a 18
apre bottega. La sua non è l’epopea di un successo travolgente,
ma la lenta ascesa dell’artigiano
che si costruisce un nome e una
robusta reputazione con la fatica
quotidiana. Quindici ore di lavoro al giorno, sei giorni su sette,
per 44 anni. Sempre pronto, sempre preciso, sempre presente. Dicono che nelle rifiniture sia un
mito. Venticinque ore per cucire
una giacca; più di tre giorni per
mettere in piedi un abito completo. Il segreto è la passione. Nei 27
metri quadrati del suo mini-atelier, dove all’inizio sforbiciava da
solo, ora lavorano in quattro. Merito degli ordini che aumentano
allungando le liste d’attesa: almeno quattro mesi per il classico
tre pezzi, prezzi che partono da
600 euro e crescono (“Ma non di
molto”) a seconda del tipo di velluto. Entro l’anno si cambia: nuovo atelier nel corso Garibaldi. Ma
i tessuti e le abili mani che li lavorano continueranno a essere le
159
MODA
stesse: avanti ancora, di padre in
figlio, con la medesima, meticolosa lentezza di sempre.
Alla ricerca del vestito perduto
Suo padre, che cominciò commerciando tessuti americani, non
lo avrebbe mai immaginato.
Giampaolo Gabba sorride quando pensa a quanto è strano il destino. Ha vissuto in giro per l’Italia, ha viaggiato per l’Europa. E
proprio lì, lontano da casa, è arrivata l’intuizione. “Ho visto i sudtirolesi vestiti di velluto, i valdostani con le piume in testa, i francesi con un ridicolo cravattino”.
Ha riflettuto, rimuginato e concluso: “Possiamo farlo anche
noi”. Risultato, un progetto creativo folle, ma perfettamente riuscito: riprendere l’abbigliamento
tradizionale sardo, attualizzarlo e
rimetterlo in circolazione. In pillole: convertire il folclore in etno
chic, il costume tradizionale in
prêt-à-porter. Operazione riuscita. Oggi Gabba nel suo atelier di
Nuoro realizza e vende capi che
si ispirano all’antico guardaroba
sardo. Il suo mercato principale è
nell’isola. Ma gli articoli delle
sue due linee sono già arrivati in
molti Paesi del mondo, dalla Scozia alla Nuova Zelanda. La camicia sarda è il capo di maggior
successo, progettata per indossarla con o senza giacca e garantire massima vestibilità e
comfort. Ultima creazione, la
giacca plissettata ispirata al gonnellino dell’abito tradizionale
maschile. Obiettivo: coniugare
fatturato e memoria storica nel
nome di un inedito esperimento
di archeologia sartoriale.
Tessuto e brevettato in Sardegna
Resistente, impermeabile e ignifugo. Non si macchia. Non si
graffia. Si stira e si lava in lavatrice a 30 gradi. Il tessuto perfetto si
chiama suberis, discendente diretto del sughero. Lo ha scoperto
Anna Grindi, energica imprendi160
Sotto e a destra: il rivoluzionario filato
di suberis, utilizzabile non soltanto
in pelletteria ma anche nell’abbigliamento,
è una fibra nuova creata da Anna Grindi
di Tempio Pausania. È un tessuto molto
versatile: mescola sughero e fibre naturali.
trice di Tempio Pausania, dopo
una vita passata a cercare la formula per rendere il sughero morbido, sottile, vestibile, addirittura elegante.
Il risultato è una fibra nuova,
protetta da un brevetto mondiale
che assegna alla Grindi S.r.l. l’esclusiva mondiale nella produ-
Info utili
Luciano Bonino, via Azuni 50,
Cagliari, 070/65.76.49
Sorelle Piredda, via Procida 13,
Cagliari, 070/38.04.08
Paolo Modolo, corso Garibaldi 141,
Orani (Nuoro), 0784/7.49.90
Giovanni Mura, piazza
XX Settembre 9, Orani (Nuoro),
349/1.83.98.53
Giampaolo Gabba, via Giovanni
Spano 20, Nuoro, 340/9.23.40.95
Suberis S.r.l., via Roma 47,
Tempio Pausania (Sassari),
079/63.36.32-67.40.58-63.18.64,
www.suberis.it
Showroom anche a Porto Cervo
e aeroporto di Olbia.
zione di abbigliamento, pelletteria, arredamento in suberis. Perché la fibra scoperta a Tempio,
prima che bella, è versatile. Il sughero, inaspettatamente, finisce
nelle trame dei tendaggi, nella
valige più esclusive, nei divani,
nelle cinte e perfino nelle scarpe.
Merito di una combinazione top
secret che unisce il sughero alle
altre fibre utilizzando componenti solo naturali. Un segreto alla
base di fatturati in crescita e piani di espansione commerciale
travolgenti. Entro l’anno gli
showroom Suberis apriranno in
piazza Duomo a Firenze, in via
della Spiga a Milano e a New
York. Si aggiungono ai punti vendita di Porto Cervo, aeroporto di
Olbia e Tempio Pausania.
161
MUSEO
ITINERARI INEDITI
162
C
appellino o bandana, una
borraccia capiente, binocolo e macchina fotografica. È
tutto quel che serve per inforcare il
quad, mezzo a quattro ruote tanto
sgraziato quanto affidabile per
condurvi a tu per tu con la natura
più incontaminata. Ed è qui, nel
cuore millenario dell’isola, che potrete inebriarvi di aromi, colori e
sapori. In sella a un quad si può gironzolare per alcuni degli scorci
più suggestivi dell’isola: spiagge,
valloni, dirupi, calette, pietraie, foreste secolari, torrenti in secca,
aree nuragiche. Da filmare e catturare. Anche grazie alla duttilità di
queste moto rozze esteticamente,
ma robuste e sicure. In Italia hanno
preso piede di recente. E la Sardegna li ha adottati dall’anno scorso.
La Barbagia e il
Dall’alto: battello Supramonte più
in navigazione
sul Flumendosa; aspro. Il Goceatour in quad no e la catena
nel cuore aspro
dei Sette Fratelli.
della Barbagia,
in terra nuorese. I graniti del Lim-
Archivio Barbagia Insolita
Giancarlo Deidda
Gianmario Marras
Quad e battello: si parte per l’avventura
bara e i sentieri inesplorati o quasi
delle montagne di Capoterra e del
Guspinese. Il quad si rivela facile
e divertente da guidare. Una bestia meccanica che si arrampica
docilmente e guada i corsi d’acqua. Capace di adattarsi alla perfezione alle strade sterrate e impervie. Col quad si va in cima alle
montagne. La neve? Se c’è, e sul
Gennargentu anche a primavera
inoltrata può capitare, nessun problema, divora anche quella. E il visitatore potrà godere di paesaggi
inesplorati e suggestivi. Insomma,
un mezzo che si presta al trascorrere di una giornata diversa. Eccitante sì, ma senza manie di rambismo: infatti, lo spasso si coniuga
con la sicurezza. E il cambio auto163
Le moto di Naturquad
Partenza da Sa Rocca Tunda, località
montana distante 7 chilometri da Dolianova. Dopo circa 9 chilometri, attraversando boschi di lecci e sugherete,
prima tappa con visita a un antico ovile e degustazione di formaggi tipici. Si
percorrono quindi 17 chilometri di
sterrato in località Su Monti Mannu;
breve sosta con visita al nuraghe Sa
Domm’e S’Orcu, che domina gran parte del Campidano. Pranzo all’agriturismo San Giorgio. Visita alla chiesa
campestre in località San Giorgio, risalente ai primi del Novecento. Si prosegue per circa 10 chilometri, verso
S’arrocc’e Su Stori, poi verso S’Arrideli, guadando varie volte il Flumendosa.
A Dolianova, visita alla cattedrale romanica (XII secolo). Naturquad fornisce ai partecipanti: casco, gilet multitasche e scorta d’acqua. Info: Cooperativa Giovanile di Dolianova (Cagliari),
339/2.11.40.12.
matico e la frenata integrale permettono la conduzione anche ai
meno esperti di fuoristrada e moto. Per andarci su è sufficiente il
casco e la patente, A o B. Ma il senso dell’avventura rimane unico.
Scolpito nella mente di chi ama
questa regione. D’altronde, la materia prima in Sardegna abbonda.
Tramonti e albe magiche a ridosso
delle scogliere. Notti al chiaro di
luna guadagnate tra sugherete e
164
Fotografie Archivio Barbagia Insolita
ITINERARI INEDITI
macchia mediterranea. Ma anche
brevi escursioni per gustare il formaggio fresco, il latte appena
munto, la pancetta e il prosciutto
di cinghiale negli ovili più remoti.
Il tutto senza i rischi consueti nel
turismo mordi e fuggi: la fregatura
in montagna non c’è. La qualità e
la prelibatezza delle proposte enogastronomiche sono una costante.
E le pause, dopo aver rombato su
ciottolati e collinette, guadagnando anfratti e valloni, è quanto mai
appagante. Provare per credere. E
di recente, anche dalle parti di Villasimius, ma per il solo periodo
estivo, sul fronte sudoccidentale, a
Gonnesa, e all’interno, a Perdasdefogu, sempre in provincia di
Cagliari, si stanno attivando cooperative giovanili che vogliono
sfruttare il quad
per una serie di In alto: alcuni
turisti durante
intelligenti e pro- un’escursione
ficue opzioni per alla Tomba
Giganti
godere nei detta- dei
di S’Ena
gli della natura e Thomes.
dal vivo. Escur- A sinistra:
il test drive di
sioni e passeg- una 4x4 su una
giate che bandi- pista sterrata.
Gli itinerari su misura di Barbagia Insolita
Propone itinerari inconsueti in Barbagia
e Gallura. Le escursioni durano circa otto ore ma possono essere modellate su
richiesta dei visitatori. Si parte guidati
da uno scout e con un fuoristrada d’appoggio per l'assistenza logistica. Su richiesta, Barbagia Insolita organizza
pacchetti di più giorni, weekend e tour
della Sardegna, con pernottamento in
hotel e agriturismo. Vengono anche for-
niti servizi vari (visite archeologiche e
naturalistiche, pacchetti incentive,
escursioni a terra per navi da crociera,
programmi di team building e outdoor
training in occasione di eventi aziendali
e convention). Barbagia Insolita cura
anche escursioni in canoa: Su Gologone,
Iriai e il lago di Liscia sono gli scenari
delle pagaiate. Info: 0784/28.60.05;
www.barbagiainsolita.it
165
A destra:
il lago artificiale
del Cedrino,
nel Gennargentu,
è ben indicato
come meta ideale
per canoate
particolarmente
interessanti.
scono la frenesia.
E, anzi, sono ispirate a un armonico rapporto
con l’ambiente.
Le proposte variano da luogo a
luogo. Ma il discorso prioritario è
basato su un forte senso dell’ospitalità, su servizi professionalizzati, sulla curiosità: elemento chiave
per scolpire nei turisti una gita indimenticabile. I prezzi variano a
seconda dell’escursione: dai 50 ai
140 euro se si usa un mezzo singolo o doppio e se l’impiego è per la
mezza o l’intera giornata.
Ma, oltre al quad, per gli amanti
del “nuovo purché intelligente”
nell’isola sta prendendo piede anche un altro mezzo: il battello a pala. Sì, chi vuole inebriarsi di sole e
aromi naturali nel cuore della Sardegna millenaria e incantata può
mettere in scaletta anche una gita
sui laghi Flumendosa, Mulargia e
Is Barroccus. Anche in questo caso
Archivio Barbagia Insolita
ITINERARI INEDITI
si tratta di iniziative fresche di
esordio. La navigata ha un qualcosa di esotico e affascinante. E la si
può abbinare con una serie di percorsi e itinerari terrestri particolarmente distanti da mode e manie
passeggere. Tutto nasce dall’intesa
Natura e archeologia per Laghi & Nuraghi
Cascate, grotte, foreste, altipiani, gole e
colline. Qui, dove la natura si rivela attraverso panorami inaspettati e suggestivi,
una manciata di paesi raccolti intorno a
tre specchi d’acqua di un blu purissimo
invitano in una terra fuori dal tempo.
Esterzili, Goni, Isili, Mandas, Nurallao,
Nurri, Orroli, Sadali, Serri, Siurgus Donigala: sono i Comuni riuniti nel Consorzio
Turistico Laghi & Nuraghi sulle rive dei
laghi Flumendosa, Mulargia e Is Barroccus. Il Consorzio, nato a metà degli anni
90 per promuovere le attività turistiche
del territorio, riunisce anche alcune
strutture alberghiere: il Villaggio Antichi
Ovili, Omu Axiu e Castellinaria a Orroli, il
Borgo dei Carbonai, immerso nei boschi
di Esterzili, lo Janas Village a Sadali,
l’Hotel Istellas sul lago Flumendosa e
l’Hotel Beauty Farm Canali Nur a Nurri. Il
loro è un invito a conoscere una Sardegna insolita e affascinante, il cuore di
un’isola magica, di una terra unica. Il
cuore della Sardegna. I paesaggi hanno il
fascino straordinario del territorio che si
estende dal Sarcidano a sud, verso il
Campidano di Cagliari e l’Alta Trexenta, e
a nord verso la Barbagia di Seulo. Paesaggi che cambiano carattere tra regioni
agricole e aree pastorali, con una varietà
rara e suggestiva. Diffusi sono l’ambiente della quercia, le foreste di castagno,
ma avvicinandosi alla Barbagia la natura
si fa aspra e potente, con rare specie botaniche e faunistiche. La regione ha vocazione agropastorale, ma vi si svolgono
attività tradizionali quali l’artigianato
tessile e del rame battuto. Tra le numerose testimonianze archeologiche del territorio emergono le eccezionali statuemenhir di Nurallao, le splendide architetture nuragiche di Is Paras a Isili e Arrubiu a Orroli. Il territorio dei comuni
che si affacciano sui laghi del Flumendosa, Mulargia e Is Barroccus,
offre a chi si spinge all'interno dell’isola percorsi archeologici e itinerari
enogastronomici. Info: 070.2110432,
www.laghienura ghi.com; Cooperativa
Is Janas, 0782/ 84.72.69.
di un pool di comuni dai nomi difficili da reperire su riviste patinate
o nel passaparola di vip e gente comune. Ma la realtà è dalla loro:
persone illuminate che animano
comunità piccole e belle. Forse,
proprio perché raccontano e custodiscono con garbo i propri tesori
ambientali. In sostanza, un bel colpo per quanti vogliono andare oltre le spiagge imperdibili e le acque color indaco. Tra l’altro, i laghi
sono situati in un contesto ambientale da fiaba. Un set da cartolina
che accomuna la mini-crociera sul
battello con alcuni sport acquatici,
la degustazione di prodotti enogastronomici locali, le visite ai siti archeologici di maggior pregio, gli
incontri con gli artigiani della pelle, dei tappeti e degli utensili, le
sagre, le musiche, i balli e i riti tradizionali. Un imbarazzo della scelta trasversale a gusti, età, preferenze. Il tutto a poche decine di
minuti d’auto da dune sabbiose,
scogliere da sballo, ma anche da
qualificati centri benessere e termali. In definitiva, una Sardegna
da scoprire anche con il supporto
di mezzi e idee fuori cliché.
Un gioco per nulla difficile se si
può offrire una natura selvaggia,
capace di stupire e di farsi amare
con passione. Mario Frongia
167
Gianmario Marras
Spiaggia di Bidderosa (Nuoro)
UN PARADISO
A NUMERO CHIUSO
Prima il bagno nel golfo di Orosei, poi il relax sotti i pini
marittimi dell’oasi naturalistica. Per i più veloci e fortunati
DI PATRIZIA MOCCI
168
CINQUE CALETTE
DA CARTOLINA
La spiaggia dell’oasi di
Bidderosa, vicino a Orosei,
mostra tutto il suo fascino
irresistibile, con i pini
marittimi che incorniciano
il mare smeraldo e la sabbia
candida. L’ingresso alle
cinque calette che formano
l’oasi è a numero chiuso.
169
Gianmario Marras
un massimo di 130 auto al giorno, ma se soffia il ponente nessuno può varcare la soglia: troppo pericoloso, dicono gli uomini della Forestale, in caso di incendio diventerebbe una trappola senza via d’uscita. L’ingresso
è gestito, da qualche anno a questa parte, dalla Pro Loco che, attraverso una convenzione con il comune di
Orosei, vende i biglietti a chi ha voglia di lasciarsi alle
spalle la routine quotidiana per immergersi, anche solo
per una giornata intera, in un’oasi di pace. Quest’anno
la stagione è cominciata prima, a Pasqua. Una proposta
del presidente della Pro Loco Salvatore Pira accolta dal
commissario prefettizio, che a maggio lascia il posto ai
nuovi amministratori comunali. Chi vuole avventurarsi
GIGLI CANDIDI
Johanna Huber
L
a spiaggia che non ti aspetti si spalanca dopo un percorso sterrato di quattro chilometri, incorniciato da ginepri, sughere e lecci.
Agli occhi si apre un paradiso da cartolina –
uno dei pochi a numero chiuso in Sardegna – con i colori smeraldo del mare e il bianco candido della sabbia finissima. Tutto questo è l’oasi di Bidderosa, cinque calette da sogno custodite all’interno di un parco che si
estende su 860 ettari, protetti dall’Ente Foreste che con
un accordo li ha affidati al comune di Orosei (provincia
di Nuoro, nella costa orientale dell’Isola). Il parco si trova a tredici chilometri a nord di Orosei, lungo la strada
statale 125. Il cancello si apre da giugno a settembre per
A sinistra: fiori bianchi di giglio
marino (Pancratium maritimum) sulla
spiaggia di Bidderosa. È una pianta
erbacea perenne, alta attorno ai
cinquanta centimetri, che cresce
sulle dune litoranee e sulle spiagge.
Sotto: la meravigliosa spiaggia
di Berchida, che si incontra procedendo
verso nord dopo l’oasi di Bidderosa.
Johanna Huber
Bidderosa è il fiore all’occhiello di Orosei, un centro
belvedere, dove è davvero difficile non fermarsi per
che da qualche anno ha deciso di scommettere sul turilasciare libero lo sguardo: davanti agli occhi si apre
smo. Cinquemila posti letto, fra alberghi e residence;
uno splendido panorama che permette di abbracciare
un numero imprecisato di seconde case, attività comil golfo di Orosei e le sue peculiarità.
merciali che spuntano come funghi. Ma c’è anche l’altra
Protetta da oltre trent’anni da vincolo forestale, la
faccia: tante cave in marmo e granito si affacciano sulla
zona era coperta da una rigogliosa pineta fino al 1978,
strada, un biglietto da visita non certo edificante. E poi
quando un terribile incendio distrusse circa 500 ettari,
c’è il centro storico di Orosei: si sviluppa intorno a piazmettendo a nudo il paesaggio desertico, quasi lunare
za del Popolo, piazza Sas Animas e piazza Sant’Anto(ma sempre suggestivo) dei rilievi che, come spesso
nio e conserva architetture civili e religiose che docusuccede in Sardegna, nascondono alla vista il mare,
mentano l’importanza del paese attraverso le diverse
pure così vicino. L’anno successivo le fiamme divoraepoche storiche. Circondata da edifici religiosi, piazza
rono 150 ettari. A ripopolare il parco di verde pensarodel Popolo è dominata dalla parrocchiale di San Giacono gli uomini della Forestale che si sono preoccupati di
mo Apostolo (di impianto romanico,
mantenere viva questa oasi:
ma ristrutturata nel 1700). E si possohanno provveduto a mettere a
DUE STAGNI AZZURRI
no ammirare ancora la torre del cadimora nuove piante laddove il
Nella pagina precedente: suggestiva
veduta dall’alto del golfo di Orosei. In
stello (secolo XIV), i palazzi signorili
fuoco le aveva arse. Oggi chiloprimo piano, l’oasi di Bidderosa con
di periodo baronale (secolo XVImetri e chilometri di stradine
uno dei suoi due stagni. L’area protetta,
XVIII) e il complesso di Sant’Antonio
sterrate appaiono in ordine e le
gestita dalla Forestale, comprende 860
ettari di costa ed entroterra. Qui sotto:
Abate: cortile con chiesa, torre di avspiagge pulite. Anche quando
un altro scorcio della spiaggia di
vistamento, pozzo e un recinto di cavisitatori poco civili abbandonaBidderosa. Il nome deriva da cuilaria
bidderosa, un antico ovile della zona.
sette (secolo XIV-XVII). no i resti di un pasto più o meno
veloce. Un risultato ottenuto anche con il lavoro degli operatori
della Pro Loco: lo scorso anno
sei giovani hanno trovato occupazione per una stagione, grazie all’introito derivante dalla
vendita dei biglietti. Una parte
dei quattrini viene utilizzata dal
comune per svolgere lavori di
manutenzione e di pulizia,
mentre il resto serve per finanziare le manifestazioni della Pro
Loco e, assicurano i responsabili dell’associazione turistica, per
garantire alcuni servizi sempre
all’interno dell’oasi.
a piedi può farlo in tutte le stagioni, senza dover acquistare il biglietto. Un’occasione per ammirare, cogliendo
meglio i dettagli, lo straordinario panorama che si apre
al di là del cancello. Un suggestivo rincorrersi di verde,
pinete, artistici rilievi di granito, ginepri secolari adagiati su litorali di sabbia candida, incorniciati da selvaggia macchia mediterranea. Ma c’è anche un’altra
possibilità per arrivare alle splendide calette: attraversare la lingua di mare che separa Bidderosa da cala Ginepro. Nessun problema con la bassa marea, l’acqua è
alta un metro e in un attimo si arriva dall’altra parte con
zaini e vestiti. Può capitare però che al momento di tor-
172
nare indietro non servano pochi passi, ma quattro bracciate. Chi vuole può risalire a nuoto il canale con le
sponde che, metro dopo metro, si fanno più alte.
Oltre alle calette, divise in cinque spiagge numerate (con il biglietto viene indicato il numero della
spiaggia dove fermarsi), all’interno dell’oasi è possibile ammirare il laghetto di Sa Curcurica (“la zucca”):
si trova subito, a pochi passi dall’inizio del tragitto
che porta al mare e alla vetta del monte Urcatu, accessibile in auto o ancora meglio, se il sole non è molto
caldo, a piedi attraverso un sentiero naturalistico. Si
arriva così, fino a una piccola casupola, una sorta di
Per accedere all’oasi di Bidderosa in
auto occorre acquistare il biglietto
presso la Pro Loco di Orosei (piazza
del Popolo; si può anche prenotare
allo 0784/99.83.67, tutti i giorni dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 17 alle 20).
L’accesso è fino alle 12: chi arriva
dopo deve cambiare meta. Quest’anno
la stagione è iniziata a Pasqua
e termina il 25 settembre. Il costo del
biglietto per auto è di 12 euro fino
al 20 luglio; 14 euro dal 21 luglio
al 31 agosto. Ogni giorno possono
entrare al massimo 130 auto.
Ulteriori informazioni si possono
ottenere visitando il sito della Pro
Loco: www.proloco-orosei.it
Gianmario Marras
INFORMAZIONI
Quartu Sant’Elena (Cagliari)
LA CITTÀ CHE
NON TI ASPETTI
Rinomata da sempre per i suoi pani e
dolci, è ora anche meta turistica grazie
alle bellezze naturali nascoste e alla
vivacità del folklore e dell’artigianato
DI DANIELE CASALE - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA
Lo stagno di Molentargius, confine
naturale tra Quartu e il mare del
Poetto, è una delle più suggestive
zone umide cagliaritane. Suoi ospiti
abituali, i bellissimi fenicotteri rosa.
174
175
I
mmaginarsi Quartu Sant’Elena è raccontare di
una città che cresce senza dimenticare un originale centro storico, le tradizioni secolari, i suoi
tesori che profumano di pane e i circa 30 chilometri di costa che orlano di mare azzurro un territorio tra i più generosi della Sardegna.
Quartu Sant’Elena, la terza città dell’Isola per numero di abitanti, distante appena sei chilometri da
Cagliari, da tempo scommette e investe su cultura e
turismo per valorizzare un patrimonio particolarmente vario: dalle numerose dimore campidanesi,
che conservano i canoni dell’antica architettura agricola, ai palazzotti liberty; dagli ambienti naturali impreziositi da spiagge, scogliere a picco sulla costa e
stagni, habitat dei fenicotteri rosa, fino ai prodotti
eno-gastronomici rinomati a livello internazionale.
Senza dimenticare i manufatti dell’artigianato artistico: le ceramiche a lavorazione raku e i gioielli dalla
tipica lavorazione a filigrana, indossati dalle ragazze
in occasione delle feste locali. Una cornice ideale per
poter trascorrere una vacanza: e la ricettività è di
prim’ordine, con hotel affacciati sul mare e bed and
breakfast ospitali come casa propria. Per gli amanti
del mare, un porticciolo, quello di Capitana, può
contare su 450 posti barca. Diversi anche gli sport da
praticare: dalla vela al diving, dal trekking all’equitazione passando per il tiro a volo e il golf.
Se il litorale di Quartu, con in testa le perle di cala
Regina, Kala ‘e Moru e Mari Pintau (spiaggia davvero “affrescata” con il turchese abbacinante del mare e
il candore della sabbia), ogni anno viene apprezzato
o riscoperto dai turisti nuovi e affezionati, obiettivo
dell’amministrazione comunale è valorizzare quanto
ancora la città deve far conoscere non solo ai vacanzieri, ma anche agli stessi quartesi. Ecco perché diventano di edizione in edizione più ricche e importanti manifestazioni come il festival del folklore in-
176
ternazionale “Sciampitta” (nel mese di luglio): vetrine decisive che consentono alla città di promuovere i
prodotti locali e ai partecipanti di apprezzarne genuinità, nel caso delle specialità enogastronomiche,
e originalità per i manufatti artigiani.
Perché è vero che chi arriva a Quartu Sant’Elena
dalla bella e recente strada litoranea viene rapito dal
rosa dei suoi fenicotteri, ormai ospiti abituali dello
stagno di Molentargius, confine naturale tra la città e
il blu del mare del Poetto. Ma è altresì innegabile che
chi si addentra nel dedalo delle strette viuzze del
centro storico riesce talvolta a sentire ancora il profumo, quasi a sfiorare la fragranza del pane: su moddizzosu e su coccoi rimangono tra i simboli di questa
città che non ha dimenticato le sue origini di borgo
rurale. Tanto che per il pane tipico l’amministrazione
comunale da tempo ha intrapreso la strada per ottenere un marchio di riconoscimento dell’Unione Europea. Dal pane ai dolci: le botteghe riescono da secoli a donare un gusto unico ai candelaus (piccoli recipienti di pasta di mandorla aromatizzati con essenza di fiori d’arancio), ai piricchittus (fatti di uova,
farina e glassa), alle pardulas (formaggelle). Un tesoro da gustare sorseggiando i vini, che possono
contare su una cantina le cui etichette stanno conquistando anche importanti mercati a livello internazionale. Un comparto, quello enogastronomico,
su cui Quartu scommette
NATURA
molto e che pian piano si
E GASTRONOMIA
sta qualificando con reti
A destra: la spiaggia di
di produzioni e filiere deMari Pintau, una delle più
dicate. Perché la promobelle del litorale di Quartu.
zione di una città passa
Sotto, da sinistra: piazza
Sant’Elena, con la chiesa
necessariamente dalle sue
parrocchiale omonima;
origini, seppure umili e
fenicotteri rosa in volo
sugli stagni intorno alla
legate ai ritmi senza temcittà; su coccoi, uno dei
po dell’agricoltura. pani simbolo di Quartu.
177
Sassarese/Le vie del gusto
SAPORI ANTICHI
E GENUINI
Un territorio ricco e diversificato che si rispecchia
nell’eccellenza dei suoi prodotti e della sua cucina
DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI GIANMARIO MARRAS
Scorpacciate di pesce
e crostacei all’aperto
lungo i bastioni del centro
storico di Alghero.
178
M
mazione nel contesto delle feste legate ai cicli della
vita e del tempo. Le feste erano occasione per grandi
incontri conviviali che rompevano i ritmi severi e duri della vita agropastorale: i matrimoni, la Pasqua
(sentita anche più del Natale), le commemorazioni
dei santi e dei morti, le celebrazioni per i raccolti, le
feste patronali e le sagre a sfondo religioso. A ogni occasione corrispondeva un dolce, una pietanza, una
specialità diversa. Attraverso il folklore, come attraverso la storia e la natura, si scopre la vera anima dei
sapori della Sardegna. Anche il pane qui assume una
grande importanza: può essere utilizzato sia per il
consumo quotidiano che per la preparazione di primi
piatti, tra cui pan ‘a fittas e la zuppa gallurese. Rinomate sono la spianata (pani latu o pani lentu) di Ozieri
Rita Marongiu/Simephoto
orbide colline e rade pianure contornate da tavolati calcarei, altipiani basaltici, massicci granitici e coni di vulcani spenti da millenni, rocce addolcite dal lavorio del mare alternate a
lunghe spiagge sabbiose, caratterizzano il Nord della
Sardegna, regione dolce e aperta che offre una continua varietà sia dei paesaggi che dei prodotti che si ritrovano nella tavola. Non è un caso che proprio qui
sia nata la prima Strada del Gusto e dei Sapori dell’isola, un itinerario costituito per offrire al visitatore il
non plus ultra delle potenzialità produttive dell’enogastronomia caratteristica del territorio che si somma
al ricco patrimonio storico, archeologico e ambientale.
Per apprezzare al meglio le
peculiarità dei prodotti delI MILLE SAPORI
la zona è opportuno sofferDEL GRANO
marsi ogni tanto e immerIn alto: le pagnotte di
Osilo si accompagnano
gersi nella cultura e nella
bene con le zuppe.
natura, che fanno di questa
In basso: una carrellata
isola uno dei gioielli più
di dolci della Sardegna
settentrionale. Nella
preziosi del Mediterraneo.
pagina seguente: pardulas
Gli aromi e i sapori origi(in alto), sfoglie di pasta
nano da una civiltà antica e
ripiene di formaggio;
forme di pane zichi
misteriosa, ricca di signifi(in basso) , specialità
cative testimonianze, che
di Bonorva disponibile
morbida o secca.
hanno avuto la loro subli-
e della Gallura, di forma circolare, morbida, flessibile, senza mollica, o le grandi pagnotte di Tissi, Osilo e
Usini, eccellenti quanto il pane zichi (nelle varianti
morbida o secca), tradizionale di Bonorva, Cheremule, Cossoine e Olmedo.
La lavorazione del grano raggiunge il suo culmine, sfiorando l’arte effimera, con la produzione di
dolci: acciuleddhi, mendegadas, trizzas od origliette tipici del periodo carnevalesco gallurese così come le
frisjoli longhi (frittelle lunghe), l’aranzada a base di
scorza di arance candite nel miele e mandorle del
Goceano. Che dire delle copulette o copulettas col
bordo ondulato, diffuse nel Logudoro e in particolare a Ozieri, dove è possibile scoprire tra i dolci tipici anche i “sospiri”, praline di morbida pasta di
mandorle e miele, ricoperte da una leggera glassa?
Ma la perfetta sintesi tra il dolce e il salato sono le
casadinas o pardulas, sfoglie di pasta di forma tondeggiante, arricciate sui lembi, ripiene di formaggio o ricotta, preparate in occasione della Pasqua e
MIELE E FORMAGGIO
A sinistra: le seadas o sebadas,
focacce di grano duro ripiene di
formaggio e ricoperte di miele.
Sotto: una forma di pecorino,
il re dei formaggi sardi,
delizioso da gustare con miele
di corbezzolo, dal gusto amaro
e pungente. L’abbinamento
formaggio-miele ricorre spesso
nella gastronomia dell’isola.
Nella pagina precedente: sospiri
di Ozieri, golosissimi dolci
a base di pasta di mandorle,
miele, limone e zucchero.
ORO DI
GALLURA
Filari di vigne nella
Gallura settentrionale,
patria del Vermentino
Docg, nettare dal
colore giallo paglierino
brillante, dal gusto
secco, pieno, caldo
e ricco di nerbo
come la terra che
gli ha dato i natali.
del Natale. Forse più conosciute e diffuse in tutta
l’isola le seadas o sebadas, focacce di pasta di grano
duro ripiene di formaggio, fritte e coperte di miele
di corbezzolo. L’uso del formaggio nei dolci è legato
indissolubilmente alla tradizionale attività delle popolazioni sarde nel corso dei millenni: la pastorizia.
Il re dei formaggi è il pecoriUN PIATTO no, al punto che in Sardegna
DA RE ci sono tre Dop: Pecorino sarL’aragosta “alla
do, Pecorino romano, Fiore
catalana”, tipico piatto
sardo. Ottimi quelli di Nule e
algherese, è una
preparazione molto
di Osilo, e il nuovo erborinaraffinata, apprezzata
to di Thiesi, chiamato
dai buongustai
di tutto il mondo.
ovinfort. Straordinarie le perette di latte vaccino intero,
soprattutto quelle di Berchidda e Perfugas.
Dai formaggi alle carni il passo è breve. Il pregio
delle carni isolane è costituito dagli allevamenti allo
stato brado, siano ovini, bovini o suini. Tra le eccellenze spiccano l’agnello sardo Igp, il prosciutto di pecora di Ploaghe, stagionato fino a sei mesi, e la salsiccia sarda, prodotta un po’ in tutta l’isola.
La generosità del territorio si ritrova anche nei vini
Doc tipici del territorio: il vitigno rosso Cagnulari, tipi-
186
co degli areali di Usini e Alghero, il Cannonau prodotto in ogni parte della Sardegna, il Moscato di SorsoSennori, il Torbato di Alghero, vitigno vinificato da solo per ottenere l'omonimo vino e come base per un ottimo spumante brut, il Vermentino di Gallura Docg.
Lungo la Strada del Gusto e dei Sapori sono anche
indicati i ristoranti dove si possono degustare i piatti
che più rispecchiano il territorio, dall’aragosta alla catalana, tipica di Alghero, alla zuppa Castellanese propria di Castelsardo, i due storici insediamenti genovesi; dai ravioli di ricotta agli arrosti di maialetto o di
agnello, agli ortaggi, gustosi e saporiti.
L’idea ispiratrice del progetto Interreg Strada del
Gusto e dei Sapori Nord Sardegna è quella di condurre per mano il turista sulle tracce dell’eccellenza, nel
rispetto della tradizione. L’obiettivo è aiutarlo nella
scelta di aziende certificate che fanno parte del club
di prodotto. L’elenco completo e sempre aggiornato si
trova sul sito www.stradadelgusto.com, arricchito di
informazioni di ogni genere tra cui offerte, pacchetti
turistici e link sui trasporti. Uno strumento studiato
appositamente al fine di creare un itinerario ideale e
individuale alla scoperta dei tesori enogastronomici,
culturali e storici del Nord Sardegna. ARRAMPICATA
Fotografie di Corrado Conca
Cala Gonone: in parete a strapiombo sul blu
Sopra: free climber in azione sulle falesie sopra le acque cristalline di cala Luna, nel golfo di Orosei.
P
er gli amanti dell’arrampicata è un vero paradiso.
Si trova nel cuore della
Sardegna, dove la natura
selvaggia regala uno spettacolo difficile da dimenticare. Le pareti rocciose si immergono a strapiombo
sul mare, il paesaggio agrodolce alterna gole, grotte, anfratti e falesie.
La vegetazione rada del Supramonte lascia spazio alle morbide
valli coltivate, fino al golfo di Orosei e alle sue acque cristalline. Eccoci nel territorio di Dorgali (Nuoro), dove i suggestivi monumenti
naturali si fondono con le testimonianze del passato. E dove i resti
dei villaggi nuragici, perfettamente conservati, lasciano intravedere
le misteriose tracce dei popoli che
abitarono l’isola. Ne dà prova il
Museo Civico Archeologico del
paese (via La Marmora, 0784/
92.72.36), che accompagna il visitatore in un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo. Dalle ceramiche
del Neolitico ai monili di epoca fenicia, fino alle lucerne e alle monete in uso al tempo dei Romani. Oggetti preziosi in quello che viene
considerato il capoluogo dell’artigianato barbaricino, dove è ancora
vivo e sentito il legame con gli antichi mestieri. I numerosi laboratori,
rinomati in tutta la Sardegna, riproducono i manufatti della tradizione: brocche, bronzetti, cesti, tappeti e le filigrane, conosciute per la finezza della lavorazione.
A sette chilometri da Dorgali si
trova la frazione marina di Cala
Gonone, luogo di richiamo per
migliaia di turisti in tutte le stagioni dell’anno. La zona è costellata di reperti archeologici e anfratti imperdibili: le grotte di
Ispinigoli, ambienti carsici dove
furono ritrovati monili vitrei di
epoca fenicia e resti di ossa attribuiti a giovani donne; le grotte
del Bue Marino, un tempo regno
della foca monaca, che frequentava in gran numero queste acque;
il villaggio nuragico di Serra Orrios. E poi il nuraghe Mannu, la
gola di Su Gorroppu, il villaggio
nuragico di Tiscali...
Un mondo da esplorare per gli
amanti della storia e della speleologia, un ambiente selvaggio da
sfidare per chi predilige gli sport
estremi. A Dorgali si organizzano
corsi di free climbing, deltaplano,
189
ARRAMPICATA
Per dormire e mangiare
Hotel Nettuno, via Vasco de Gama, Cala Gonone, 0784/9.33.10, www.nettuno-hotel.it
Prezzo doppia da 50 a 90 euro. Bella posizione a cento metri dal mare.
Hotel Bue Marino, via Vespucci 8, Cala Gonone, 0784/92.00.78, www.hotelbue
marino.it. Prezzo doppia, fronte mare, da 72 a 122 euro. A pochi metri dalla
spiaggia centrale e dal porticciolo turistico.
Agriturismo Canales, in località Canales, Dorgali, 0784/9.67.60-340/
5.65.38.81-347/1.75.06.86. Specialità cucina dorgalese. Prezzo menù fisso: 22 euro.
Ristorante Il Pescatore, via Acquadolce, Cala Gonone, 0784/9.31.74.
Menù speciale con pescato fresco: da 25 a 30 euro.
Corrado Conca
buone condizioni climatiche rendono possibile questo sport anche in inverno.
Nella zona di Dorgali si possono percorrere circa mille
vie. Partendo da Cala Gonone, tutte le pareti sono raggiungibili a piedi e le più
distanti si trovano a cinque
chilometri dal paese. L’ambiente offre soluzioni variegate e adatte a tutti: ci sono
percorsi facili per gli arrampicatori alle prime armi e
itinerari complessi per i
più capaci. Tra le vie più ripetute: Sole Incantatore,
per la mitica aguglia di Goloritzè e tutte quelle della
falesia La Poltrona e attorno alla grotta di Biddiriscottai.
Per documentarsi si può consultare il libro Pietra di luna (di Maurizio Oviglia, edizione Saredit), la
guida Arrampicare a Cala Gonone
(di Corrado Conca, edizione Segnavia) e il sito www.sardinia
point.it/sardiniaclimb/ Sopra: Margheddie, parete per free
climber nei dintorni di Cala Gonone.
parapendio, canyoning e bungee
jumping (info: Comune di Dorgali,
0784/9.62.43). In particolare, le caratteristiche pareti rocciose a strapiombo sull’acqua offrono la location ideale per chi pratica l’arrampicata. Le rocce sono prevalentemente di tipo calcareo, ricche di
appigli e per questo maggiormente “scalabili” rispetto a quelle granitiche. I periodi ideali per l’arrampicata sono le mezze stagioni.
Ma la presenza di pareti sempre in
ombra nelle ore pomeridiane permette di arrampicare con temperature accettabili anche in estate. E le
190
INFORMAZIONI
Assessorato al Turismo, corso
Umberto 37, Dorgali (Nuoro),
0784/ 92.72.36.
Ufficio Informazioni Turistiche
via La Marmora 108, 0784/
9.62.43, [email protected],
www.dorgali.it; Informazioni
Turistiche a Cala Gonone, viale
Bue Marino, 0784/9.36.96.
191
CHEF D’ECCELLENZA
CHEF D’ECCELLENZA
Semplice e fashion: l’alta cucina sarda si
fa strada sulle migliori tavole dell’Isola
sto della sua infanzia, tra la cucina di mamma, gli olivi e i vigneti attorno a San Gavino. Ecco allora servita la zuppa di nove erbe, gnocchi di caprino e pepe
nero, tutta giocata sui profumi e
le delizie di campo. E poi crema
di sedano verde con bottarga e
ricci di mare, terrina di maialino
affumicato con composta di pera
alle spezie e gelato di cipolle
con pesce affumicato in casa e
prosciutto croccante.
Sant’Antioco (Carbonia-Iglesias) è il regno di Achille Pinna,
chef dell’hotel Moderno (via
Nazionale 82, 0781/8.31.05). Roberto Petza lo chiama “mio fratello” e lui si dimostra all’altezza
impiattando per gli ospiti gamberi rossi con crema di ceci e insalatine al balsamico con infusione al finocchietto, spaghetti
alla chitarra con cuori e gambi di
carciofi, pomodorini e trigliette,
ventresca di tonno con erbette,
spezie, succo di barbabietola e
olio al basilico. Apre da giugno
fino a settembre ma non lascia
la sua casa ed il suo hotel “perché solo qui trovo gli ingredienti
che mi consentono di lavorare al
massimo”. Il massimo, per questo giovane talento dei fornelli, è
puntare su materie prime d’eccellenza, e niente compromessi.
Pazienza se il bilancio di fine
stagione è più magro delle attese. L’unica religione è il cliente.
U
ltima arrivata al “gran
ballo” di pentole e fornelli, l’alta cucina sarda
ha azzeccato la formula per risultare fashion. Essere se stessa, senza trucco e senza inganno. Innanzitutto semplice. E dichiaratamente fedele alle sue origini agro-pastorali, come tradizione insegna.
Giusto una ripulita qua e là: alleggerire il gusto per dare lustro al
piatto, e l’incantesimo è compiuto.
192
Al posto della bacchetta magica, un mestolo. Invece del genio
della lampada, un cuoco. Roberto Petza guida la lunga marcia
della tavola sarda verso le frontiere dell’eccellenza. Il suo cursus honorum lo riassume così: prima la scuola alberghiera ad Alghero; poi quindici anni in giro
tra Corsica, Lombardia, Svizzera
e Inghilterra, infine il rientro
nella natia Sardegna. Proprio a
San Gavino, suo paese d’origine,
apre il ristorante S’Apposentu.
Nel 2001 lo trasferisce a Cagliari,
nella prestigiosa sede del Teatro
Lirico (via Sant’Alenixedda,
070/4.08.2 3.15). I riconoscimenti
arrivano a pioggia: nel 2005, “miglior cuoco italiano emergente”
per la guida de L’Espresso e “migliore performance” per i critici
del Gambero Rosso. Secondo Petza, la Sardegna in bocca ha il gu-
Gianmario Marras
Fotografie di Adriano Mauri
Nella pagina precedente: Achille Pinna sul lungomare di Sant’Antioco; per le sue creazioni
punta sul pescato di giornata. Sotto a sinistra: Roberto Petza, chef del ristorante S’Apposentu,
che ha sede nel Teatro Lirico di Cagliari. Sotto a destra: Claudio Sfiller, chef executive del Forte
Village (Santa Margherita di Pula); guida uno staff di cento persone tra cuochi e pasticcieri.
193
CHEF D’ECCELLENZA
CHEF D’ECCELLENZA
Damiano Lochi (a sinistra nella foto),
cuoco originario di Oristano, sceglie
il pesce per la cucina del Flamingo
Resort di Santa Margherita di Pula.
Fotografie di Adriano Mauri
uno gli ingredienti del suo menù
e assaggia personalmente ogni
piatto. Soltanto così riesce a servire un impareggiabile risotto ai
crostacei in cialda di parmigiano
croccante e la celebratissima
treccia di filetti di pesci misti in
guazzetto di vongole.
Si chiama Claudio Sfiller lo
chef executive del Forte Village
(a Santa Margherita di Pula,
070/9.21.71), uno dei più blasonati resort del mondo. Deve gestire e soddisfare ogni giorno gli
appetiti di migliaia di clienti dal
Il segreto per conquistarlo?
L’immediatezza, il pescato di
giornata che passa dal mare al
piatto in un paio d’ore al massimo. La cucina è innanzitutto un
bagno di umiltà. Lo studio sui libri è importante, ma il talento
conta, come nel calcio: puoi conoscere a memoria schemi di
gioco e regole, ma alla fine è sul
campo (o tra i fornelli) che devi
dimostrare quanto vali.
La sua patria è il mondo ma
ogni estate ritorna in Sardegna
per vezzeggiare i clienti del Flamingo Resort (070/9.20.83.61) di
Santa Margherita di Pula (Cagliari). Damiano Lochi da Oristano è uno dei cuochi sardi più
corteggiati all’estero. Dopo gli
esordi al Cala di Volpe, ha governato le cucine di mezzo mondo:
in Svizzera, Francia, Inghilterra,
Germania, Emirati Arabi e Giappone, mantenendosi sempre ad
altissimi livelli. Trenta collaboratori ai suoi ordini e una precisione maniacale: sceglie uno per
Carlo Deiana, chef dell’hotel La Bitta (Porto Frailis-Arbatax), raccoglie erbe aromatiche vicino alla piscina dell’albergo.
Il mare di Villasimius è prodigo di
“materie prime” per i piatti di Bruno
Cogoni, chef dell’hotel Cormoran.
194
→
palato molto esigente. Ci riesce
con la forza dei ventidue ristoranti del Forte, dall’alto di due
decenni ai fornelli delle cucine
più prestigiose. Ha scritto i sofisticatissimi menù dell’hotel Gallia e di Giannino, storico indirizzo di Milano. Ma alla domanda
“qual è il suo piatto preferito?”,
il palato ritorna al gusto inconfondibile del risotto all’isolana. Della Sardegna adora la fregola, “naturale evoluzione del
cous-cous”. Ma il nazionalismo è
un lusso che in cucina non può
permettersi: guida uno staff internazionale di cento uomini, tra
cuochi e pasticcieri; scrive, assaggia e controlla ogni giorno la
carta del ristorante francese, brasiliano, indiano, giapponese, e la
lista è ancora lunga. Si sente anche artista, questo è certo. Ma
mentre chiede ordine e rigore in
cucina, mentre fa ai suoi uomini
l’ultima raccomandazione o il
consiglio giusto per fare grande
un piatto, somiglia di più al comandante di un veliero: perché
la nave vada è necessario che
tutto sia in ordine, che ognuno
faccia la sua parte, a cominciare
dal più alto in grado.
Ha una storia diversa Bruno
Cogoni, chef dell’hotel Cormoran (località Campus, 070/
7.93.40) di Villasimius (Cagliari).
Nel 1964 entra in cucina dalla
porta di servizio: lavapiatti. Stregato dai riti e dagli odori, decide:
“Farò il cuoco”. Scuola alberghiera ad Alghero, poi Svizzera,
Olanda e alla fine Villasimius, la
sua casa. In cucina nessuna filosofia: solo qualità delle materie
prime, precisione e tanto amore.
Piatto simbolo, una bandiera
della Sardegna a tavola: spaghetti al sugo d’aragosta.
Nella cucina dell’hotel La Bitta
di Arbatax (Ogliastra), in località
Porto Frailis (0782/66.70.80),
Carlo Deiana predica al suo staff
velocità e precisione per realizzare piatti piacevoli da vedere e
buoni da mangiare. Impossibile?
Lui ci riesce grazie alle tecniche
195
Adriano Mauri
CHEF D’ECCELLENZA
Patron e cuoco dell’hotel Vittoria di Arbatax, Battista Corda brandisce i “ferri del mestiere”: pesci e aragoste.
apprese sui banchi di scuola e
perfezionate in bilico tra le cucine di Arbatax e Milano. Ai suoi
clienti serve medaglioni di San
Pietro con cous-cous di verdure
su salsa verde ma quando pensa
alla Sardegna sente in bocca i gusti antichi del culurgione e della
cordula, la treccia di interiora arrostita a fuoco lento, come si faceva una volta, sulle braci di casa.
Battista Corda è chef e patron
dell’hotel Victoria di Arbatax
(via Monsignor Virgilio 72,
0782/62.34.57). Trentadue anni
in cucina, specializzazione a Parigi e in Lussemburgo, per arrivare a una verità semplice e rivoluzionaria: la materia prima di
qualità è tutto, la tecnica fa il resto. Quindi tutte le mattine al
porto, ad aspettare l’arrivo del
pesce più fresco. E al mercato, o
dai produttori amici, per intercettare gli ingredienti migliori.
196
Solo così può finire nel piatto la
sua spigola con vernaccia e porcini: superlativa.
Stefano Lioni guida la cucina
dell’hotel Genna ‘e Masone (località Genna ‘e Masone, 0782/
2.40.29) di Cardedu (Ogliastra)
dopo una gavetta internazionale
tra Olanda, Germania e Svizzera. A Rotterdam e Berlino ha capito la sua vocazione: lavorazione al minuto di ingredienti freschissimi, niente cibi già pronti
da scaldare all’ultimo istante. A
Cardedu ha trovato quello che
cercava: materie prime rese uniche dal sole e dal mare di Sardegna. Il risultato è il raviolo di
spigola con estratto di gambero.
O lo spezzatino di maiale all’aceto di moscato. Cosa c’è di speciale? “Solo qui trovo animali
che brucano a dieci metri dalle
onde, e nelle carni senti il retrogusto salmastro del vento”.
Dalla cucina del ristorante
Guardiola (piazza Bastione 4,
079/47.04.28) di Castelsardo (Sassari), Stefano Locci predica il rispetto della tradizione. La forza
della Sardegna, spiega, sta nelle
tagliatelle con le vongole e il pomodoro fresco. Semplici e buone.
L’ingrediente più importante è
l’attesa. Ogni mattina aspetta le
barche che tornano dalla pesca
cercando il giusto filetto di cernia
per il suo strudel di pesce. E si
emoziona quando vede il pescato
di giornata, gli scorfani guizzanti
e l’altra minutaglia del sottocosta.
Segreti dice di non averne. Tranne
uno, semplice e sicuro come una
vecchia ricetta: stare ad ascoltare
chi ha più esperienza di lui. In cucina e al mercato. Lo ha sempre
fatto. E dai fornelli del suo ristorante non smetterà di ascoltare le
voci del mare e della sua gente. Giovanni Antonio Lampis
197
RISTORANTI
Alla ricerca dei sapori perduti
Fotografie di Nevio Doz
Pagina
precedente:
lo chef Mario
Loccheddu
davanti al suo
ristorante Sas
Benas di Santu
Lussurgiu,
dove la cucina
sa di territorio.
A sinistra:
sempre al Sas
Benas, prima
degli antipasti,
vengono serviti
buoni salumi
e sfiziosi crostini.
I
l cartello all’ingresso è eloquente: “Non si servono
paste asciutte”. Non fatevi
illusioni, dunque. Alla trattoria La Balena (via di Santa Gilla
25, 070/28.84.15) avrete una sola
certezza: state mangiando il pesce più fresco di Cagliari, cucinato come solo i pescatori sanno fare. E allora provate a gustare le
tenere carni dell’orata al sale o la
profumata consistenza dell’aragosta alla catalana, bollita e condita con l’olio e il pomodoro.
Niente trucchi, niente intingoli:
solo sapore di mare in purezza.
La Sardegna è un continente di
subregioni e microclimi. A distanza di poche decine di chilometri
cambia il dialetto, cambiano le
facce, cambia il mondo. E il mondo è diverso anche in cucina. Da
Cagliari in poco più di un’ora
d’auto si raggiunge il Montiferru.
Il pesce del Golfo degli Angeli lascia spazio al bue rosso. Non è
una divinità pagana, ma gli abitanti di Seneghe lo venerano come
se lo fosse. Mattea Usai gli ha dedicato il suo ristorante, che si chiama appunto Al Bue Rosso (piazza
Montiferru 3-4, 338/2.36.90.26): un
laboratorio del gusto dove le rarissime carni di razza sardo-modicana, allevate nei vicini pascoli
del Montiferru e tutelate da Slow
Food, incontrano l’olio profumato
spremuto nei piccoli frantoi locali,
le tenaci paste fatte in casa e il delicato aroma del formaggio casitzolu. Dal bue rosso Mattea ricava
il pâté di fegato, il pâté di milza, e
la lingua salmistrata. Sapori unici,
come il pecorino stravecchio che
incontra il miele di castagno.
La cucina che sa di territorio è
la carta vincente del ristorante Sas
Benas di Santu Lussurgiu (piazza
San Giovanni, 0783/55.08.70).
Olio di Seneghe, carni rosse modicane e casitzolu, insaporiti con
gli aromi del bosco. Singolare il
carrello degli antipasti, con insalata di bollito e dadolata di pomodori, cosciotto di maiale affumicato con erbe selvatiche servito
freddo con insalatina e parmigiano a scaglie. Tra i primi, particolarmente apprezzate le tagliatelle
fatte in casa con porcini e cinghiale. Ottimi i secondi, tutti di carne:
una menzione speciale per la tagliata con cicorietta e casitzolu.
Qualche decina di chilometri
per arrivare a Nuoro, capoluogo
della Barbagia. Il miglior indirizzo
a tavola è il ristorante Da Giovanni (via IV Novembre, 0784/
3.05.62). Nella carta si ritrovano
ricette in via d’estinzione, autentici pezzi di archeologia gastronomica. Assolutamente da non perdere la minestra con la merca:
una magia di pasta e patate, colorata dal pomodoro e arricchita
con lo speciale formaggio ricavato dal latte cagliato acido, messo
in salamoia ed essiccato. I più for199
RISTORANTI
Adriano Mauri
A sinistra: l’interno
del ristorante
Al Bue Rosso
di Seneghe,
chiamato così
perché vi sono
cucinate solo
carni di razza
sardo-modicana.
In basso, a sinistra:
sebadas (pasta,
formaggio, miele),
il dolce sardo
più classico, una
delle specialità
della trattoria Da
Angelo di Tortolì.
In basso, a destra:
la fregola, frutto
della lavorazione
della semola, è
alla base di molti
primi. Ottimi quelli
dell’Oasi, a Teti.
tempo, tra i fornelli governati da
Anna Maria Mele a dominare è la
tradizione più pura. Ma in tempi
di chef e haute cuisine il nome
giusto è tempio di sapori perduti.
Passione e amore consentono di
trasferire la natura dai campi al
piatto, conservando al palato la
freschezza e il silenzio della Sardegna dell’interno. E allora vale
la pena di gustare le insalatine di
acetosella, ranoleccio e nasturzio.
O la zuppa coi funghi e la fregola
sarda. Le pentole poggiate sui
bassi fornelli somigliano agli
alambicchi d’uno stregone ed
esalano profumi sconosciuti: il
maialetto in umido con il gingiolu,
ciliegia invernale che cresce a
Meana Sardo; o le polpettine di
capra e il maiale con le castagne.
Come dessert, da provare il buffu-
Fotografie di Prima Press
tunati potranno gustare il brodoso aroma del filindeu, una pasta a
trama fitta cucinata nel brodo di
pecora e condita con il formaggio
fresco acido di un giorno. Unico.
Una manciata di chilometri per
raggiungere Teti e il suo fiore all’occhiello, il ristorante L’Oasi
(via Trento 10, 0784/6.82.11). Verrebbe da chiamarlo trattoria perché, come le antiche cucine d’un
201
RISTORANTI
RISTORANTI
Fotografie di Adriano Mauri
chiusura, carezzato il palato coi
dolcetti fatti in casa, l’acquavite e
il mirto distillati con passione dai
produttori della zona.
Lungo la provinciale, che collega il bivio per Lanusei a Villagrande, si incontra il ristorante Il
Bosco (località Parco di Santa Barbara, 0782/3.25.05). Qui Giorgio
Mura porta in tavola prosciutto
(quello sardo, fatto con maiali al
pascolo brado che si nutrono solo
Sopra: il ristorante Il Bosco, tutto immerso nella grande oasi verde di Santa Barbara,
tra Lanusei e Villagrande. In basso: una bottiglia di crema di liquirizia, uno dei
profumatissimi distillati prodotti da Anna Maria Mele, del ristorante L’Oasi, a Teti.
Prima Press
littu, pane di mandorle e miele. In
alternativa, il bastone: pasta frolla
arrotolata, all’interno noci, nocciole, mandorle e le marmellate che
Anna Maria confeziona personalmente in casa. Dolci sapori antichi
che solo all’Oasi – dove nulla è già
visto o scontato – si possono incontrare. Dopo il caffè, i distillati
di questa superba signora dei fornelli: crema di liquirizia e di corbezzolo e liquori di alloro,
fichi d’India e finocchietto.
Discendendo verso sud,
in meno di un’ora d’auto si
raggiunge l’Ogliastra. Una
cucina fedele a se stessa, che
non ama le contaminazioni:
a tavola dominano i piatti
di terra, le carni arrosto e i frutti del
bosco, cucinati nel
rigoroso rispetto della tradizione pastorale. A Tortolì,
nella trattoria
Da Angelo (via
Piemonte 25,
0782/62.35.33),
la cuoca Anna
Boi prepara a mano culurgiones
(saporite conchiglie di pasta ripiene di patate e pecorino), malloreddus e mustazzolos da condire col
sugo di pomodoro o col ragù di
selvaggina. Tra i secondi dominano il maiale, l’agnello, la pecora e
la capra arrosto. Per dessert, il
dolce più classico: la sebada, due
dischi di pasta farciti col formaggio fresco, fritti e tuffati nel miele
in un croccante e felice connubio di dolce e salato.
A Lanusei, la trattoria La
Madonnina (località Monte
Paulis, strada Sa Serra, 346/
3.17.14.84 o 348/5.23.60.21)
serve prosciutti di pecora e di cinghiale, malloreddus col sugo di
selvaggina, cinghiale
alla cacciatora e tutti
gli arrosti della tradizione ogliastrina: capra, agnello e maialino da latte. Da provare i ravioli con polpa di porchetto
o di pecora conditi con crema
ai porcini. In
Sopra: il ristorante L’Oasi, a Teti,
è un vero e proprio “tempio” di sapori
antichi grazie ad Anna Maria Mele,
signora dei fornelli di provata bravura.
di ghiande e niente mangimi chimici) e casaxedu col miele, pasta
fresca col caglio di capretto, culurgiones e arrosti di capra e di maiale. Siamo nel regno della cucina
sarda più autentica. Il culurgione
cambia sapore da un paese all’altro: a Villagrande lo preparano
con patate, formaggio di pecore e
di capra, basilico, grasso di pecora e di maiale. E la paniscedda, che
al Bosco è un pane condito con
miele, uva cotta, mandorle e uva
passa, è sconosciuta altrove. A
confermare che in Sardegna, anche in cucina, ogni paese è un
mondo a parte. Giovanni Antonio Lampis
BED AND BREAKFAST
Ospitalità familiare in ambienti accoglienti
S
e una notte d’inverno un
viaggiatore fosse sbarcato in
Sardegna, dove avrebbe trovato un letto e un cappuccino?
Chiusi gli hotel sulla costa. Pochi
e deprimenti gli alberghi di città.
Nell’interno il deserto, o quasi.
La rivoluzione è arrivata da lontano. Tradizione anglosassone e
una frase difficile: bed and breakfast. Molti sanno scriverla, tutti
sanno cosa significa: letto e colazione, prezzi contenuti.
In principio era solo una branda con brioche e caffellatte, riscaldati dall’ospitalità rustica, ma cortese, dei padroni di casa. Oggi,
204
con prezzi che non superano quasi mai i 70 euro, il B&B targato
Sardegna offre camere con vista
sull’isola più bella: dalla Costa
Smeralda al verde silenzio di Orroli; dal collinoso Montiferru all’Iglesiente-Guspinese, cuore del
Parco Geominerario della Sardegna, dove cultura e archeologia
industriale affondano nel deserto
di Piscinas e s’infrangono contro
il Mediterraneo più agitato.
Proprio a Iglesias, centro del
Parco Geominerario, il B&B La
Babbajola (via Giordano 13) accoglie i visitatori nelle tre grandi
stanze di un appartamento d’epo-
ca situato nell’agglomerato storico
della città. In agosto, tra le strette
viuzze tutto intorno, sfila l’imponente corteo medievale e i balestrieri si sfidano in gare d’abilità.
Da non perdere il Museo Minerario. A qualche minuto di auto, una
costa mozzafiato e imponenti opere d’ingegneria industriale a picco sul mare di Porto Flavia. La camera matrimoniale costa 50 euro
in ogni periodo dell’anno. Informazioni: www.lababbajola.it. Prenotazioni: 347/6.14.46.21.
Pochi chilometri più a nord, ancora all’interno del Parco Geominerario della Sardegna, il B&B La
Miniera Fiorita (località Montevecchio, Guspini) invita a scoprire le meraviglie liberty di Montevecchio, il villaggio metallifero
che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio culturale dell’umanità.
Siamo nella Sardegna sudoccidentale, lungo la strada che collega
Guspini al mare della Costa Verde. La Miniera Fiorita offre 16 camere doppie con bagno privato in
un’oasi di pace che mette insieme
storia, natura e ospitalità. A breve
distanza, le dune di Piscinas,
Pagina precedente
il più grande e a destra: l’esterno
e un interno
deserto natura- dell’Antica Dimora
del Gruccione,
le d’Europa.
Lussurgiu,
Un paesaggio a Santu
che conserva
sahariano, con intatto il suo vero,
intenso fascino
la sabbia che
di casa padronale.
cambia colore, In basso, a destra:
i toni candidi
una delle ampie
camere della
dei gigli del
Miniera Fiorita,
deserto e i cerche si trova nel
borgo minerario
vi che all’imdi Montevecchio.
brunire lasciano la macchia
mediterranea per arrampicarsi sulle montagne di sabbia, estensione
costiera del loro regno. La sera si
cena sotto il bel porticato rinfrescato dalla brezza, l’unica voce che
rompe il silenzio dei boschi attorno. La camera doppia costa 94 euro
in alta stagione, 77 euro negli altri
periodi dell’anno. Prenotazioni:
Hello Sardinia, 070/4.52.56.87,
www.hellosardinia.com
Risalendo a nord, una leggera
deviazione verso l’interno consente di raggiungere il paese di Santu
Lussurgiu. Tra i vicoli in selciato e
le botteghe degli artigiani si trova
l’Antica Dimora del Gruccione
(via M. Obinu 31), uno dei B&B
più suggestivi e celebrati di tutta
l’isola. Il grande portone ad arco
introduce nell’edificio padronale
d’impianto spagnoleggiante: una
struttura in pietra con archi a volta, travi a vista e ammennicoli in
ferro battuto che ospita camere
ampie e accoglienti, tutte dotate di
bagno privato. Il B&B possiede un
ristorante che serve piatti del territorio cucinati con passione nel rigoroso rispetto della tradizione.
La camera doppia costa 76 euro in
ogni periodo dell’anno. Informazioni: 0783/55.03.00, www.antica
dimora.com Prenotazioni: Hello
Sardinia, 070/4.52.56.87, www.hel
losardinia.com
Rotta verso la Sardegna settentrionale, destinazione Costa Smeralda. A 15 minuti dalle spiagge dei
vip, il B&B Lu Aldareddu (località
Plebi, Olbia) accoglie i suoi ospiti
in tre camere confortevoli arredate
con mobili d’antiquariato, ciascuna
con bagno privato e aria condizionata, ricavate in uno stazzo gallure-
Gianmario Marras
Gianmario Marras
BED AND BREAKFAST
205
BED AND BREAKFAST
se dell’Ottocento, sapientemente
ristrutturato in modo da lasciarne
inalterata la tradizionale facciata in
lastre di granito e il tetto in coppo
sardo. A disposizione dei visitatori
l’ampia sala con camino, la libreria
e il salotto, la sala bar e la sala biliardo. La notte, mentre le cicale friniscono e nel cielo si contano centinaia di stelle, si cena all’aperto, tra
i bagliori del barbecue e i profumi
del frutteto, con la brezza del golfo
di Olbia che tempera l’afa di agosto. La camera doppia costa 120 euro in alta stagione, 95 euro negli altri periodi dell’anno. Informazioni:
333/2.24.93.89, www.bedandbreak
fastlualdareddu.com. Prenotazioni:
Hello Sardinia, 070/4.52.56.87,
www.hellosardinia.com
Tra i profumi del mirto, del lentischio e del ginepro, il B&B Lu
Pastruccialeddu (località Pastruc206
cialeddu, Arzachena) riserva camere arredate in stile sardo, ricavate in strutture uniche nel loro
genere, accurate citazioni della
cultura megalitica della Sardegna
preistorica. Alle spalle il suggestivo anfiteatro di graniti dei Monti
Ghjolghjiu, tutto attorno 57 ettari
In alto: Lu
Pastruccialeddu
è immerso in
un incantevole
scenario rurale,
vicino alle spiagge
del bellissimo
golfo di Arzachena
e della Costa
Smeralda. A destra:
una delle tre
accoglienti camere,
arredate con
pregevoli mobili
d’antiquariato,
del Lu Aldareddu,
uno stazzo dell’800
sul golfo di Olbia.
di macchia mediterranea: un
enorme giardino naturale per uno
scenario da sogno. A cinque chilometri le spiagge del golfo di Arzachena. A breve distanza i lidi ruggenti della Costa Smeralda, ritrovo
estivo del jet set internazionale:
Porto Rotondo, Porto Cervo, Liscia
Gianmario Marras
BED AND BREAKFAST
Ruja e Capriccioli. La camera doppia (con
bagno privato,
tv e frigo-bar)
costa 110 euro
in alta stagione, 66 euro negli altri periodi dell’anno.
Informazioni:
0789/8.17.77,
www.pastruccialeddu.com. Prenotazioni: Sardegna B&B Reservation, 070/7.26.50.07.
Se vi va chiamatelo B&B, ma La
Cava del Tom (via della Cava del
Tom 11-13, Porto Rotondo) ha tono
e personalità da hotel per clienti
molto esigenti. Sembra sorto dal
granito dell’antica cava romana di
Porto Rotondo, e proprio il granito scalpellato a mano è il tema dominante della facciata, delle terrazze e dei viottoli aperti sul maSopra: il suggestivo
complesso di Omu
Axiu, a Orroli, che
comprende, oltre
all’albergo diffuso,
una vasta dimora
padronale adibita a
Museo Etnografico
e del Ricamo. Le
belle e confortevoli
camere degli ospiti
sono caratterizzate
da arredamenti
e tessuti tipici di
artigianato sardo.
208
re. L’interno è arredato in stile minimalista da un famoso architetto,
e nell’immenso giardino due piscine invitano a rinfrescarsi per
stemperare la calura dei pomeriggi più torridi. I viaggiatori possono indugiare sul patio che guarda
verso Cala di Volpe, e consumare
la ricca colazione a base di crostate fatte in casa dalla nonna. Le
spiagge più fotografate del mondo sono lì, a un soffio da voi. E per
visitare le baie più esclusive e riservate si può prenotare un’escursione sull’imbarcazione della
famiglia. Le camere (quattro matrimoniali, una doppia e una singola, tutte con bagno privato, aria
condizionata, tv e frigo-bar) costano 200 euro a persona in alta stagione, 110 euro negli altri periodi
dell’anno. Informazioni: 337/
37.99.60, www.cavadeltom.com.
Prenotazioni: Sardegna B&B Reservation, 070/7.26.50.07.
Dal mare della Costa più ambita
alle acque lacustri di Orroli. Nella
regione del Flumendosa e del lago
Mulargia, l’albergo diffuso Omu
Axiu (via Roma 46, Orroli) riceve i
suoi ospiti in nove camere doppie
e due mini-suite. Vietato parlare di
semplice accoglienza: Agostino
Vargiu e il suo staff sono maestri
dell’ospitalità a 360 gradi. A Omu
Axiu si gusta la cucina tradizionale
più saporita, con i salumi fatti in
casa, i maccaronis de busa e la pecora in cappotto. E si imparano i segreti della fregola, nella scuola di
cucina sempre a disposizione dei
visitatori. L’azienda comprende
anche un piccolo, prezioso Museo
Etnografico e del Ricamo. Un servizio di battelli è a disposizione per
andare alla scoperta dei laghi, autentica ricchezza di questa bella zona. Informazioni: www.omuaxiu.it.
Prenotazioni: 0782/84.50.23. Giovanni Antonio Lampis
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