le città, le feste, le spiagge segrete, le valli, i boschi, gli chef
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le città, le feste, le spiagge segrete, le valli, i boschi, gli chef
attenzione! ricordarsi che il dorso può variare a seconda del numero delle pagine (confrontatevi con l’ufficio tecnico) Sardegna NUMERO 37 MAGGIO 2006 EURO 6,20 IN ITALIA ITINERARI SPECIALI DI Bell’Italia / SARDEGNA / NUMERO 37 MAGGIO 2006 LE CITTÀ, LE FESTE, LE SPIAGGE SEGRETE, LE VALLI, I BOSCHI, GLI CHEF, LE TRATTORIE, I TREKKING NELL’ ISOLA PIÙ “CLASSICA” EDITORIALE GIORGIO MONDADORI Sardegna UN “CLASSICO” SEMPRE NUOVO S ono ancora possibili “scoperte” a proposito di Sardegna? Certamente sì, dal momento che una regione è una realtà viva e, come tale, palpitante, mutevole, sempre in divenire in molti suoi aspetti. Ma la risposta sarebbe positiva anche se si volesse riferirla agli aspetti tradizionali e permanenti. Perché la Sardegna è come un “classico”, come I fratelli Karamazov o Madame Bovary. Rileggendoli, è sempre possibile fare nuove scoperte. Anzi, “migliorano”, perché un “classico”, diceva qualcuno, è quell’opera d’arte che, ogni volta, è capace di dirti sempre qualcosa di inusitato e di più profondo. Ed ecco allora un nuovo “speciale” di Bell’Italia dedicato alla Sardegna: attuale e antica, tradizionale e moderna, opera della natura o dell’uomo. Sempre sorprendente: dai suoi riti religiosi ai festival letterari, dai boschi alle dune, dall’artigianato agli chef d’eccellenza, dai musei all’enogastronomia, dalle spiagge alle “città di fondazione”, dalle recenti scoperte archeologiche alla navigazione sul Flumendosa, dalle trattorie agli itinerari a cavallo. Insomma, una reLE CITTÁ , LE SPIAG LE FESTE, gione che si ripresenta semGE SEGRE TE LE VALL I, I BOSC , GLI CHEF , LE TRA HI, pre come meta mai deluTTORIE, I TREKK ING NEL PIÙ “CLA L’ ISOLA SSICA” dente. Come un “classico”. ariare a second a del nu mero de lle pagin e (confr ontatev i con l’u fficio tec nico) Sardeg na NUME RO 37 ITINERA RI MAGG IO 2006 SPECIA ll’Italia LI DI Be / SARDEG NA / NUME RO 37 MAGG IO 200 6 EDITO RIALE GIORGI O MOND ADOR I La copertina di questo numero speciale di Bell’Italia dedicato alla Sardegna: sono le rocce, le calette e il mare di uno dei “paradisi” di questa terra, l’isola di Budelli (foto di Gianmario Marras). EURO 6,20 IN ITALIA SOMMARIO Sardegna ITINERARI SPECIALI DI BELL’ITALIA NUMERO 37 - MAGGIO 2006 Direttore responsabile: Luciano Di Pietro Redazione: Marco Massaia (art director) Michela Colombo (caporedattore) Pietro Cozzi, Lara Leovino, Carlo Migliavacca, Sandra Minute, Susanna Scafuri (photo editor) Impaginazione: Corrado Giavara, Franca Bombaci Segreteria: Orietta Pontani (responsabile), Paola Paterlini Hanno collaborato Per la redazione: Studio Ready-Made (Milano), Raffaella Piovan Per la grafica: Daniela Tediosi, Francesca Cappellato, Studio Ready-Made A cura di: Aldo Brigaglia, Pietro Cozzi Susanna Scafuri Testi: Lello Caravano, Daniele Casale, Ornella D’Alessio, Emanuele Dessì, Walter Falgio, Emiliano Farina, Laura Floris, Mario Frongia, Giovanni Antonio Lampis, Mimma B. Marcialis, Patrizia Mocci, Edoardo Pisano Cartine: Mario Russo Esecuzione pubblicità: Gloria Maizza, Marco Banfi ALLA SCOPERTA DEL PIÙ BEL PAESE DEL MONDO Direttore responsabile: Luciano Di Pietro EDITORIALE GIORGIO MONDADORI S.P.A. Presidente: Urbano Cairo Amministratore Delegato: Ernesto Mauri Direttore Generale: Giuseppe Ferrauto Consiglieri: Giuseppe Ferrauto, Uberto Fornara, Antonio Guastoni, Antonio Magnocavallo, Marco Pompignoli Bell’Italia Direzione, redazione ed amministrazione: corso Magenta 55, 20123 Milano, telefono 02/43.31.31. Fax 02/43.74.65. E-mail: [email protected] 9 11 13 22 27 32 40 56 71 79 89 100 106 114 122 124 132 142 151 154 163 168 174 179 189 192 198 204 PRESENTAZIONE - Un “classico” sempre nuovo L’ISOLA - Viaggio di scoperta MUSEI - All’insegna dell’originale e dell’inconsueto TURISMO LETTERARIO - In treno con David H. Lawrence FLORA - La peonia, rosa senza spine SUPRAMONTE - La montagna segreta LE SPIAGGE DA FILM - Ciak, si gira! VALLE DEI NURAGHI - Nuovi sussurri dal passato ENOGASTRONOMIA - Sapori inconsueti, decisi e profumati SAGRA DI SANT’EFISIO - Cagliari in festa SANT’EFISIO A PULA E NORA - ... E la festa continua BOSCHI E FORESTE - Una terra color smeraldo I “DESERTI” - Tra le dune e sul mare ARTIGIANATO - Ricordo dell’Isola: dalle sagre al salotto TURISMO EQUESTRE - Girotondo a cavallo in Barbagia LE CITTÀ DI FONDAZIONE - Nella mente dell’architetto ALGHERO - Le torri di “Alguer” TURISMO RELIGIOSO - Vacanze dello spirito FESTIVAL LETTERARI - Racconti e fiabe attraverso l’Isola MODA - All’insegna di sobrietà e concretezza ITINERARI INEDITI - Quad e battello: si parte per l’avventura SPIAGGIA DI BIDDEROSA - Un paradiso a numero chiuso QUARTU SANT’ELENA - La città che non ti aspetti SASSARESE/LE VIE DEL GUSTO - Antichi sapori ARRAMPICATA - Cala Gonone: in parete sul blu CHEF D’ECCELLENZA - Alta cucina sarda: semplice e fashion RISTORANTI - Alla ricerca dei sapori perduti BED & BREAKFAST - Ospitalità familiare e accogliente Ufficio diffusione: telefono 02/43.31.33.33 Ufficio abbonamenti: telefono 02/43.31.34.68 Ufficio pubblicità: telefono 02/74.81.31 E-mail Abbonamenti: [email protected] Concessionaria esclusiva per la pubblicità CAIRO COMMUNICATION S.p.A. Centro Direzionale Tucidide Via Tucidide 56, 20134 Milano Tel. 02/748131, fax 02/76118212 FILIALI: VALLE D’AOSTA, PIEMONTE, LIGURIA: Cairo Communication Spa (Filiale di Torino) Via Cosseria 1, 10131 TorinoTel. 011/6600390, fax 011/6606815 Nuova Giemme srl. (Filiale di Genova) Via dei Franzone 6/1, 16145 Genova. Tel. 010/3106520, fax 010/3106572 LOMBARDIA ORIENTALE: Media Nord-est. Via Trainini 97, 25123 Brescia. Tel. 030/2007023, fax 030/2007023 TRIVENETO: Full Time. Via Cà di Cozzi 10, 37124 Verona. Tel. 045/915399, fax 045/8352612 EMILIA: Cairo Communication Spa. (Filiale di Bologna).Viale Dell’Indipendenza, 67/2, 40121 Bologna. Tel. 051/252105, fax 051/251141, E-mail [email protected] ROMAGNA, MARCHE, ABRUZZI, RSM: INFO.CO Srl. Via Marino Moretti 23, 3° piano, 47899 Serravalle (RSM) Centro Commerciale Azzurro Tel. 0549/960049, fax 0549/904892 TOSCANA, UMBRIA: Giovanni Ferrari.Via Della Robbia 53, 50132 Firenze. 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MUSEO MUSEI Giancarlo Deidda All’insegna dell’originale e dell’inconsueto Sopra: Museo Archeologico di Sant’Antioco. Riproduzione didattica della stratificazione del terreno, con i livelli dei ritrovamenti archeologici (urne cinerarie); a ogni livello corrisponde una datazione diversa. Sotto: il Museo delle Statue Menhir a Laconi. L 12 Gianmario Marras a chiamano, la Sardegna, “un museo a cielo aperto”. Verissimo: con i 7.000 nuraghi alti sul crinale degli altipiani, le centinaia di Tombe dei Giganti erette nelle pianure, le altre centinaia di Domus de Janas scavate nelle pareti di calcare, l’archeologia sarda è tutta in bella esposizione. A vederla anche rapidamente dall’auto, l’isola è una vetrina a orario continuato. Poi ci sono gli altri, i musei. Quelli che ognuno si aspetta di vedere in una terra che non solo ha molto da ricordare e molto da mostrare al visitatore, ma che anche da qualche decennio in qua ha puntato forte sulla carta del turismo. Secondo l’ultimo censimento della Regione, ce ne sono 170. Ol13 Giancarlo Deidda MUSEI tre ai grandi musei collocati nei capoluoghi delle quattro antiche province (specializzati in archeologia quelli di Cagliari, di Sassari e di Oristano, tutto puntato sulle tradizioni e il costume quello di Nuoro), gli altri si sono dovuti scegliere un argomento particolare. Salvo luoghi dove la preistoria è ancora quasi viva, come l’Anti- 14 quarium Turritano (via Ponte Romano 92, 079/51.44.33) di Porto Torres (una delle poche città onorate del titolo di colonia ai tempi di Roma) o il nuovo Museo Archeologico (piazza Insula Plumbea, 389/7.96.21.14) di Sant’Antioco (l’antica Sulci), che conserva soprattutto reperti fenicio-punici, ogni paese si è, perché non dirlo, “inventato” un suo museo originale, legato alla specificità della cultura, della storia, delle tradizioni del luogo. Certo, il Museo di Villanovaforru (piazza Costituzione 1, 070/9.30.00. 48), che raccoglie i reperti di un grande nuraghe vicino – i cui sotterranei erano così fittamente provvisti di vasi, grandi e piccoli, da aver fatto pensare che fosse una sorta di emporio centrale, un supermarket delle terrecotte mediterranee –, ha una sua persuasività didattica che lascia infinite suggestioni nel visitatore: uscendo, sembra di potersi sedere al tornio e ripetere i gesti di un antico vasaio. Ma poi ci sono anche gli altri: i musei che non ci si aspetta. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Da Villanovaforru, due musei vi- cini sono a Laconi e ad Ales. Con Laconi siamo ancora nel campo imprevedibile della preistoria: in un palazzotto dove un tempo i baroni richiudevano i vassalli renitenti, è stato allestito il Museo delle Statue Menhir (piazza Marconi, 0782/86.62.16). La parola viene dal brètone, in Sardegna si chiamano perdas fittas, pietre, alte un paio di metri, conficcate nel terreno a rappresentare la divinità e insieme a invocarla: monoliti appena scalfiti da mano umana, quanto basta ad accennarvi un seno femminile, una protuberanza del dio maschio. Non lontano, nella campagna di Goni (a Pranu Mutteddu, vale la pena di farci un salto), se ne sono trovati decine allineati come soldati pronti alla parata, forse orientati là dove diceva il sole (l’astrologia nuragica vive la sua stagione d’oro). Ad Ales, invece, c’è il Museo del Giocattolo (via Vittorio Emanuele 10, 0783/ 99.80.72-93.22.28): a Zéppara, una frazione della cittadina, un diligente lavoro di ricerca dei bambini delle scuole ha ricostruito i giocattoli dei nonni e dei padri, di Sopra, a sinistra: un curioso cavallo di legno esposto nel Museo del Giocattolo di Ales. Sopra, a destra: la suggestiva cucina di casa Steri a Siddi, oggi trasformata in Museo delle Tradizioni Agroalimentari. In basso, a sinistra: il portico esterno della casa-museo. 15 MUSEI Giorgio Baldini La Taverna dell’Aquila Sopra: Mujeres, del pittore spagnolo Antonio Ortiz Echagüe, conservato nel Museo d’Arte Contemporanea di Atzara. materia povera e di fantasia grande. A Siddi (siamo sempre nella porzione di Sardegna facilmente raggiungibile da Cagliari) un’antica casa-azienda è stata trasformata in Museo delle Tradizioni Agroalimentari (via Roma 2, 070/9.34.10.28-349/6.30. 46.21): lungo tutto il suo percorso si rivive la giornata del contadino, il ciclo delle stagioni, la sapienza delle mani cuciniere. A Sant’Antioco c’è anche il Museo del Bisso di Chiara Vigo (via Regina Margherita 113, 0781/ 82.80.77-347/3.30.22.37). Chiara è l’ultima sacerdotessa di un’arte secolare, la tessitura del bisso, che è una sorta di seta marina, pronta a diventare filo, prodotta dalla Pinna nobilis setacea¸che qui chiamano gnàcchera, una grande cozza che un tempo popolava numerosa i fondi delle acque calme. Con il bisso si facevano in prevalenza i preziosi paramenti sacri, e la stessa fatica della tessitura aveva (ha ancora, nelle mani di Chiara) una immediata sacralità. Andando verso Nuoro, si può Dal piano di sotto risale la dolcezza di un vecchio grammofono a manovella. La puntina affaticata da un secolo di giri è impegnata con la Vedova Allegra di Franz Lehár. Ma è soltanto un caso perché, a seconda dell’umore, sul piatto potrebbe danzare Canta pe’ mme di Enrico Caruso, anni Dieci. Vinili originali, fonografo e malinconia pure. Le note si diffondono come aria calda all’interno dei quasi 300 metri quadrati e 2.000 pezzi in esposizione della Taverna dell’Aquila, il Museo del Ricordo dove il tempo ha deciso di concedersi una piccola pausa. La musica s’insinua tra le 20 sezioni di un’originale collezione suddivisa per botteghe e mestieri, pronta a ripercorrere le tradizioni contadine e artigiane in particolare del territorio circostante e della Sardegna. Un viaggio che parte dal ’700 e arriva fino agli anni 50 del secolo scorso. Siamo a Ozieri (Sassari), regina del Logudoro, poco più di 11.000 abitanti. Se i libri mantengono vive le affascinanti vicende di un passato che oggi si traduce inevitabilmente con il termine nostalgia, la Taverna dell’Aquila (via Tempio 6, 079/78.62.49; visite su prenotazione) permette di toccarle con mano, quelle storie d’altri tempi. La taverna è il regno di Giuseppe Saba (creatore del museo), l’aquila sopra i cimeli delle grandi guerre è il suo simbolo: Sa signora , come la chiama Saba, fu impagliata nel 1888 e donata negli anni 70 dalla famiglia del pittore ozierese Giuseppe Altana. Saba ha iniziato a collezionare oggetti della sua terra quando aveva dieci anni. Oggi ne ha 70 e condivide la propria passione con oltre 3.000 visitatori l’anno. Durante la sua lunga attività di muratore, ristrutturando ville padronali e case di campagna ha scoperto, quasi per caso, di possedere doti di archeologo della nostalgia. Mentre molti suoi colleghi consideravano una seccatura svuotare cantine e soffitte durante i lavori, Saba si accendeva d’entusiasmo e rastrellava tutto ciò che nel migliore dei casi sarebbe finito nella discarica. Il risultato è nel suo museo: macchine ottocente- sche per fare la pasta, attrezzi per lavorare la terra e tirar su l’acqua dai pozzi, ceramiche, opere in ferro battuto, lampade a olio, banchi di scuola e manuali per maestri di un tempo, utensili del ’900 per cucire la pelle... Nella prima saletta a destra c’è la scienza, tra cui una buona parte della documentazione sulle tecniche utilizzate per l’operazione di cinque pazienti affetti da una forma grave di strabismo. Sullo scaffale sopra i banchi di scuola c’è l’amore: una serie di anonimi e originali manoscritti di fine Ottocento fa capire cosa significa impazzire di passione. Al piano inferiore c’è il lavoro: attrezzi della tradizione contadina locale come il rompiballe, una specie di pala a tre denti che veniva utilizzata per distribuire il foraggio agli animali, e la zanzarra, una curiosa pialla per rifinire i cantoni di pietra tenera. In fondo alla sala, una cantina con 2.800 bottiglie di vino. E, ancora, un piccolo spazio di fronte al camino dove poeti improvvisatori e cantadores a chiterra – i menestrelli del folclore locale – si esibiscono sotto l’ispirazione del nettare dei vitigni della zona. Al piano di sotto, vicino al grammofono che continua a elargire calore, una collezione di dischi in vinile e pubblicazioni che descrivono minuziosamente gli oggetti-culto della gioventù del primo Novecento. Vicino al grammofono, ultima stanza del museo, c’è la curiosità: una collezione di cataloghi di vendite per corrispondenza (1912-23). Basta sfogliarne uno a caso e l’occhio cade sul preservativo Elefante. Ordinarlo costava 4 lire. Numerosi anche i pezzi che esulano decisamente dalla tradizione: un porta-dinamite della guerra di Secessione americana, raccolte di fossili e minerali provenienti da tutto il mondo e una collezione di 320 bottiglie di liquori con etichette originali degli anni 40 e 50. Tra i più curiosi c’è l’amaro Nulla, utilizzato dai baristi dell’epoca per ingannare gli avventori che alla richiesta "Cosa posso servirle?", rispondevano "Nulla, grazie". E il gioco era fatto. Emiliano Farina continua a pagina 20 16 17 MUSEI Adriano Mauri Il pane nuragico: una briciola di tremila anni fa 18 ria dall'archeologo Enrico Atzeni, ma solo nei mesi scorsi sono stati analizzati grazie a una collaborazione internazionale. È stato Philippe Marinval, archeobotanico, ricercatore del Centro nazionale di ricerche scientifiche di Toulouse, in Francia, a esaminare col carbonio 14 i resti contenuti nelle anfore di Genna Maria. “L'aspetto più incredibile”, dice lo studioso francese, “è che si tratta di un pane che conserva la crosta esterna e la tessitura della pasta, Giancarlo Deidda È nero, poroso. A prima vista, sembra un pezzo di carbone. Appena tre centimetri di larghezza. Una briciola scura che forse svela nuovi segreti sul popolo dei nuraghi, la costruzioni che l'Unesco ha inserito nel Patrimonio dell'umanità. Finora non si sapeva che quelle mani, capaci di costruire le grandi torri circolari in pietra e di forgiare le stupefacenti statuine in bronzo di capitribù e animali, fossero esperte anche nel preparare l'alimento principe dell'uomo: il pane. Un pezzetto di pane. Cotto tre millenni fa nei forni di Villanovaforru, il piccolo centro della Marmilla – 50 chilometri da Cagliari, a breve distanza da Su Nuraxi di Barumini – che attorno al villaggio nuragico di Genna Maria (foto in alto), al suo Museo Archeologico (foto a destra) e al laboratorio di restauro sta costruendo un piccolo miracolo economico che si chiama turismo culturale. Tra quelle capanne distrutte da un improvviso e devastante incendio sono stati trovati, oltre al pane, anche alcuni resti di cereali, leguminose e frutti. Residui alimentari carbonizzati e contenuti in orci di terracotta che li hanno protetti dalla furia di quel rogo che mise fine alla vita del villaggio. I reperti sono tornati alla luce 30 anni fa nel corso degli scavi condotti a Genna Ma- un caso unico rispetto ai pani risalenti più o meno alle stesso periodo trovati nell'Europa continentale. Mi ha sorpreso la struttura della pasta, molto elastica, che potrebbe essere stata addirittura lievitata”. La scoperta lancia un ponte fino ai giorni nostri. Che cosa era conservato negli orci d'argilla custoditi in una dispensa di 3.000 anni fa? Cereali, legumi, pane, vino: i Nuragici si nutrivano come noi, la base alimentare è la stessa. Anche da queste considerazioni è partita la ricerca del Gal delle due Marmille sulle tracce delle radici, soprattutto enogastronomiche, della popolazione che vive tra Cagliari e Oristano. I ricercatori non si sono spinti così indietro nel tempo ma, grazie soprattutto ai ricordi degli anziani di 44 paesi, hanno fatto riemergere una serie di piatti e ricette tradizionali, puntando sugli aspetti antropologici e culturali della gastronomia di 70-80 anni fa. I sapori di ieri si intitola il progetto, che coinvolge associazioni, Comuni, musei, ristoranti e che ha portato, come osserva Roberta Muscas, responsabile dell'area culturale del Gal, “al recupero di piatti tipici che erano quasi del tutto scomparsi, presenti nella memoria ma non più nella quotidianità”. Con un occhio all'antropologia e un altro alla tavola, quest'anno sarà riproposto per la seconda volta il concorso gastronomico ed entro maggio gli 11 ristoratori che hanno aderito alla rete I sapori di ieri proporranno stabilmente nei menù alcuni piatti tipici del passato. Una ricetta su tutti, un alimento dei giorni di festa oggi dimenticato: la gallina ripiena (sa pudda prena), imbottita con pane raffermo speziato con pomodoro secco, aglio, prezzemolo, zafferano, fegatini, e poi cucita con lo spago, in due versioni, dolce e salata. E poi le varietà della pasta, ricordate da Corrado Casula, esperto enogastronomo, fiduciario Slow Food di Oristano: non solo le celebri lorighittas di Morgongiori, ma anche i tallutzas (orecchiette preparate con la pasta del pane) o i maccarronis fibaus (avvolti tra le dita come un serpentello), tipici di Siddi. Lello Caravano 19 MUSEI continua da pagina 16 20 Qui a destra e in basso: due sale espositive del Museo d’Arte di Nuoro (Man) che ospita un centinaio di opere, un “grande libro” di storia dell’arte sarda. L’arco temporale va dagli anni Venti fino agli anni Settanta del Novecento. al Man di Nuoro (via Sebastiano Satta 15, 0784/25.21.10): Man vuol dire semplicemente Museo d’Arte di Nuoro, dove, accanto a sale che sono veri e propri capitoli d’un “grande libro” della storia dell’arte in Sardegna, vengono ospitate, di volta in volta, rassegne dedicate alla pittura mondiale. Fate anche una puntata a Bitti dove nel Museo della Civiltà Contadina (via Mameli 47, 0784/41.43.14-333/3.21.13.46), dedicato a un vecchio professore del luogo (che fu una sorta di nume tutelare del liceo sassarese dove hanno studiato Antonio Segni, Francesco Cossiga ed Enrico Berlinguer), c’è una sezione multimediale del canto a tenore: il più “nazionale” dei canti isolani, divenuto famoso soprattutto per merito del Tenore di Bitti. Il mu- Fotografie di Gianmario Marras incontrare il Museo della Fiaba Sarda (via Savoia 1, 348/ 3.94.38.42-328/2.23.69.28), a Boroneddu, dedicato al mondo delle cento favole che l’educazione dei bambini conosceva e ai personaggi che le animavano. A Orroli, Sa omu Áxiu (pronuncia Ásgiu, come se la x fosse una j francese) è la Casa Vargiu, che ospita, oltre a una raccolta etnografica e a un rinomato ristorante, un Museo del Ricamo (via Roma 46, 0782/ 84.50.23), un’altra di quelle raffinate attività in cui la donna sarda esercitava le sue manos de oro, le sue mani d’oro. Ad Atzara, il Museo d’Arte Contemporanea (piazza Antonio Ortiz Echagüe 1, 0784/6.55.08) ha un nome abbastanza usuale, ma una raccolta di quadri assolutamente inedita. Ricorda il gruppo di pittori spagnoli di fine Ottocento-primi del Novecento che, mentre studiavano a Roma con una borsa di studio del re, vennero in Sardegna a scoprire un mondo che era colorato al modo della loro Catalogna (da lì ne veniva la gran parte). Così i capiscuola di quel Liberty che in Spagna chiamano el Modernismo, Chicharro, Ortiz Echagüe, De Queiros, divennero padri fondatori di quella pittura sarda che subito dopo i pittori locali (anch’essi in mostra) avrebbero fatto propria. Per vederne ancora basta arrivare seo ne raccoglie decine di interpretazioni, l’apparato multimediale ne spiega le tecniche e ne permette l’audizione. Mettiamo tutti insieme, in un mannello finale, altri quattro musei, di quelli inusuali: a Bidonì c’è Sa domu ’e sa majarza, la Casa della Strega (via Monte 9, 0783/6.90.44), dove il vecchio municipio è stato ristrutturato per ospitare memorie delle antiche leggende di streghe, diavoli, esseri fantastici, ma anche amuleti e talismani di epoche diverse. A Pozzomaggiore, invece, dove il 6 e 7 luglio si corre una sfrenata galoppata in onore dell’imperatore guerriero San Costantino (simile all’Ardia di Sedilo), si trova il Museo del Cavallo (piazza Convento, 079/80.11.23-80.00.67-348/ 4.46.06.72), rivisitato nell’arte, nello sport, nelle feste tradizionali, nel lavoro quotidiano. A Siligo, ormai a una trentina di chilometri da Sassari (il nostro itinerario ha cercato di attraversare la Sardegna dal sud al nord, magari con qualche necessario ghirigoro), il Museo Maria Carta (via Aldo Moro 1, 079/83.70.09) è dedicato alla più grande folk-singer della Sardegna del Novecento. A Ozieri, la Taverna dell’Aquila (via Tempio 6, 079/78.62.49) ha di sorprendente non solo l’insegna, ma anche il ricco, generoso arredo di oggetti della vita contadina e pastorale, oggi scomparsi dall’uso. Mimma B. Marcialis 21 TURISMO LETTERARIO In treno con David Herbert Lawrence: TURISMO LETTERARIO racconti di viaggio sui vecchi binari U Nevio Doz n viaggio senza fotografie è come un vinile raro che va in frantumi. I suoni e le parole sfumano via via nella memoria come immagini che passano una volta sola. Rimane l’emozione del ricordo ma si perdono i contorni della percezione originaria: l’istantanea stampata nel cervello degrada e un sipario di nebbia si interpone fra l’oggetto catturato dai propri sensi e quello che è realmente possibile richiamare alla mente. Fin quasi a scomparire. Riguardare le fotografie di un viaggio, come riascoltare un settantotto giri dimenticato, significa aver consegnato qualcosa all’immortalità della memoria. Propria e di altri. All’emozione del ricordo si aggiunge la consapevolezza di poter rivivere e condividere quell’istante. Non è dato sapere se David Herbert Lawrence, fra i maggiori scrittori inglesi del ‘900, autore di L’amante di Lady Chatterley, avesse questa consapevolezza quando, nel 1921, durante un viaggio di 9 giorni in Sardegna con l’inseparabile moglie Frieda, percorreva la ferrovia a scartamento ridotto Cagliari-Mandas. Acutissimo osservatore, Lawrence dedicò due capitoli del suo Sea and Sardinia ai paesaggi, ai personaggi, alle peculiarità del territorio e della “razza” sarda. La sua penna riempiva il taccuino di appunti quasi in un bisogno patologico di immortalare con l’inchiostro della sua abilità descrittiva tutto ciò che incontrava. Il racconto, come l’incedere del trenino che dal capoluogo sardo porta ancora oggi i turisti a Mandas (centro di 2.700 anime a 55 chilometri da Cagliari), è un lento e piacevole fluire, un percorso che consegna all’umanità un patrimonio naturalistico e storico altrimenti indistinguibile. Sopra: la locomotiva a vapore “Reggiane”, fabbricata nel 1931 e ospitata nel Museo delle Ferrovie di Monserrato, alla periferia di Cagliari, è ancora perfettamente funzionante e utilizzata per convogli turistici dalle ferrovie della Sardegna. 22 23 TURISMO LETTERARIO Archivio Alinari/Firenze Fotografie di Giancarlo Deidda TURISMO LETTERARIO In alto: la parrocchiale di San Giacomo, a Mandas. Qui sopra: la targa del largo che il paese ha dedicato al romanziere. A destra: ritratto di David Herbert Lawrence (1885-1930). Nella pagina seguente: il convoglio a vapore con le carrozze del Trenino Verde. L’immagine è suggestiva, quasi di un’altra epoca: i ferrovieri sono alle prese con una locomotiva sulla piattaforma girevole alla vecchia stazione di Mandas; qui soggiornò lo scrittore inglese con la moglie Frieda von Richtofen. 24 Dopo quasi un secolo, come un’eco lontanissima che ritorna, la giunta della Provincia di Cagliari, a braccetto col comune di Mandas, ha intitolato a Lawrence un premio dedicato alla letteratura di viaggio in Sardegna. E ciò che lo scrittore inglese ha magistralmente e minuziosamente riportato dell’Isola in Sea and Sardinia meglio che in un reportage fotografico, andrà a costituire il territorio di un parco letterario di imminente apertura che porterà il suo nome. La memoria viaggerà sui binari. Quelli delle ex ferrovie complementari che dal capoluogo sardo hanno portato Lawrence e signora attraverso le campagne – che al ro- manziere ricordavano la Cornovaglia – fino alla Trexenta di cui Mandas (antico ducato) è capitale. Il progetto, presentato a gennaio, andrà a integrare il già esistente servizio turistico del Trenino Verde (che, come allora, percorre quei 70 chilometri ferrati con una locomotiva diesel e due carrozze d’epoca fra luoghi selvaggi) con il restauro della locanda dei Ferrovieri, adiacente alla vecchia stazione di Mandas dove Lawrence soggiornò. Inizialmente la locanda avrà 5 posti letto e un ristorante che ospiterà almeno 60 persone. L’idea, finanziata dall’assessorato regionale al Turismo, decollerà a ottobre per la prima edizione. Il premio letterario intitolato a Lawrence potrebbe essere presentato anche a Londra e Nottingham e avrà cadenza annuale. Un progetto culturale che non avrà difficoltà a suscitare interesse per una Sardegna ancora aspra e selvaggia. Intatta così come raccontata dall’autore di L’amante di Lady Chatterley. Con il valore aggiunto costituito dall’identificazione dell’Isola come punto di riferimento europeo per la letteratura di viaggio. Merito della penna di Lawrence, capace di tramandare e catturare con parole e frasi quello che nemmeno una telecamera sarebbe stata in grado di fare. Edoardo Pisano 25 FLORA Fotografie di Giancarlo Deidda La peonia, rosa senza spine La peonia corallina, con i suoi bellissimi fiori purpurei, tra aprile e maggio colora di rosso le rocce degli altopiani dell’Isola. N on c’è rosa senza spine, dice il proverbio. Niente di più sbagliato, perché sui freschi altopiani del Gennargentu, del monte Linas e del Limbara, a quasi mille metri di altezza, vegeta il fiore simbolo dell’Isola, che riesce a smentire persino consolidati adagi popolari. La peonia corallina tra aprile e maggio colora di rosso porpora le rocce con i suoi grandi fiori: s’arrosa de monti la chiamano i pastori perché cresce solo lontano dal mare, in alto, dove d’inverno solitamente si vede solo neve. E quelle cromìe inconfondibili sono tra le prime a spuntare quando la natura si risveglia, quando il manto bianco lenta- mente si scioglie e il verde si riappropria di queste cime. Forse non è un caso che la peonia abbia scelto il tetto della Sardegna: nell’antica Grecia era l’unico fiore che poteva dischiudersi nell’Olimpo, e che meritava l’ammirazione da parte degli dei. Alcuni scienziati dell’undicesimo secolo della Loira, invece, ne lodavano le proprietà terapeutiche: scrive Macer Floridus, nel suo De viribus herbarum, che la radice della pianta era un ottimo rimedio contro l’epilessia dei bambini, mentre i semi, appesi in arrangiate collane al collo dei neonati, potevano lenire i dolori causati dalla crescita dei denti. Ancora le radici, assieme ai petali, scrive Floridius, curavano l’a- sma e la gotta. E a proposito di gotta, uno dei mali endemici della Sardegna provocata dall’eccessiva alimentazione a base di carne, non si sa se anche nell’Isola la peonia venisse utilizzata come medicinale. Per osservare i purpurei e carnosi fiori non è necessario avventurarsi in faticose escursioni, perché spesso la peonia spunta qua e là anche a bordo strada. Succede, per esempio, sulla stretta e panoramica stradina sui tacchi dell’Ogliastra e su Punta La Marmora che collega il torrione di Perda Liana (Gairo) con Montarbu, poco prima di Seui, dove la fioritura si può ammirare nel sottobosco o in alcune radure. L’importante è scegliere il 27 Giancarlo Deidda FLORA periodo giusto. Perché la rosa dei monti si concede solamente per quindici, venti giorni all’anno. Un bagliore di colore, poi più nulla fino alla primavera successiva. La peonia predilige il fresco e vegeta tra i seicento e i millecinquecento metri. Non passa inosservata durante il suo periodo di fioritura. Verrebbe da aggiungere purtroppo, visto che sempre più visitatori non si accontentano di ammirarla sul posto, ma spesso portano con sé i bulbi, da piantare poi nel giardino di casa. E così il fiore simbolo della Sardegna è a rischio estinzione e inserito nella lista rossa dell’Uicn (Unione internazionale per la conservazione della natura). Sebbene sul Gennargentu esistano decine di stazioni, questo fiore è presente anche sul massiccio del Linas, nell’Iglesiente, e sul Limbara, la cima che domina su Tempio Pausania. E proprio sul Linas il giardino botanico Linasia (0781/2.00.61) ospita diverse piante di peonia, assieme ad altre tipiche della flora isolana. È un affascinante viaggio tra essenze e colori, che svela i tesori botanici della Sardegna. Daniele Casale Informazioni Per escursioni guidate nel Gennargentu, ci si può rivolgere alle cooperative: ExcursioNatura (Orgosolo, 0784/ 40.10.78, 333/4.50.33.28; www. excursionatura.com), che propone anche pranzi tipici all’aperto, organizza tour a cavallo, in fuoristrada o quad e visite guidate in siti naturalistici e archeologici; Barbagia No Limits (sede a Gavoi, 0784/52.90.16, 347/ 1.73.63.45, 347/5.77.40.41; www. barbagianolimits.it). Per percorsi trekking ed escursioni nel Limbara si può contattare Terranova Escursioni (Sede a Olbia, 328/7.39.45.26). Sopra: la fioritura di una peonia risalta tra le rocce all’ombra di un tasso sul Supramonte di Baunei, nell’Ogliastra. 28 Supramonte (Nuoro) LA MONTAGNA SEGRETA In questi luoghi, abitati fin dalla preistoria, il tempo sembra essersi fermato. Un vero e proprio tempio consacrato a chi ama la natura DI DANIELE CASALE - FOTOGRAFIE DI GIANCARLO DEIDDA IMPONENTI ARCHITETTURE NATURALI L’immenso altopiano calcareo del Supramonte è dominato da giganteschi torrioni naturali: in primo piano si staglia quello del monte Fumai dove, nascoste da ginepri e lecci secolari, sgorgano le sorgenti del fiume Cedrino; sullo sfondo si ergono maestosi i bastioni del monte Novo San Giovanni (1.316 metri). C i sono ancora gioielli nascosti nel tesoro immenso del Supramonte. Luoghi perduti nel tempo, montagne che celano i segreti dei banditi e boschi che mai hanno conosciuto la scure. Baratri tenebrosi che arrivano al centro della Terra. Meno famosi del villaggio di Tiscali e del canyon di Gorroppu, ma altrettanto suggestivi. Tra Orgosolo e Baunei, passando per Urzulei, le cime del Monte Novo San Giovanni, la foresta di Sas Baddes e la voragine del Golgo, nell’immenso altopiano calcareo 34 del Supramonte che si staglia al centro della Sardegna, racchiudono intatto il loro misterioso fascino. Da queste parti è raro vedere persino le greggi, perché gli unici abitanti sono i mufloni, le aquile reali, i cinghiali e i gatti selvatici. La montagna “panettone”. Da lontano, monte Novo San Giovanni ricorda un panettone. A mano a mano che ci si avvicina, percorrendo una stretta sterrata che parte dalla caserma forestale di Funtana Bona, sull’altopiano di Montes, sopra Orgosolo, i bastioni che arrivano a 1.316 metri fanno impressione. Un’emozioBIANCO ne che Grazia Deledda, in un CALCARE episodio de L’edera, aveva deIn alto: particolare scritto così: “Enormi rocce di gradel bellissimo nuraghe Mereu, nito, sulle quali il musco disenella foresta gnava un bizzarro mosaico nero di Sas Baddes, interamente e verde, si accavallavano stranacostruito con pietre mente le une sulle altre, formancalcaree bianche. do piramidi, guglie, edifizi cicloA sinistra: un tipico scorcio di pici e misteriosi. Pareva che in natura selvaggia un tempo remoto, nel tempo del del Supramonte. caos, una lotta fosse avvenuta fra Nella pagina seguente: queste rocce, e le une fossero la possente riuscite a sopraffare le altre, ed bastionata del monte Novo ora le schiacciassero e si ergesseSan Giovanni ro vittoriose sullo sfondo azzurro che domina del cielo”. Un ripido sentiero sul incontrastato sul Supramonte lato orientale della montagna orgolese. permette di raggiungere in breve la cima. Da qui sembra di vedere i confini dell’Isola. A nord si scorge Gorroppu, quasi una ferita in mezzo al Supramonte. A est il territorio di Urzulei, che delimita senza soluzione di continuità la Barbagia dall’Ogliastra. A nord-est svetta imponente il monte Corrasi. Poco lontano dal monte Novo San A PERDITA D’OCCHIO Sotto: S’Arenargiu è il punto migliore per raggiungere la punta Solitta con lo sguardo che spazia su boschi sconfinati, mai oltraggiati dall’uomo e dove accanto ai lecci spuntano ginepri, agrifogli e tassi, relitti arborei dell’era Terziaria. Pagina precedente: resti di un’antica capanna (Cuole Suderle, altopiano di Donanigoro). Sono dimore abitate dai pastori, con un basamento in pietra e una copertura fatta di legno e frasche di ginepro. Giovanni si staglia il Fumai, torrione gemello, prezioso perché, nascoste da ginepri e lecci secolari, sgorgano le sorgenti del fiume Cedrino. L’essere una delle località più panoramiche della Sardegna potrebbe far sfuggire, a un occhio non esperto, che monte Novo San Giovanni è soprattutto uno scrigno floristico. I botanici lo sanno bene, perché qui, e solo qui, vegetano tra le specie più rare di tutto il Mediterraneo: tra tutte, il Ribes sandalioticum, un cespuglio che da queste parti dà origine a piccoli “boschi”. E poi ci sono quelle gigantesche edere, aggrappate da secoli ai bastioni della montagna, che sembrano voler arrivare a toccare il cielo. Il cimitero dei ginepri. Proseguendo verso nord, su un accidentato tratturo che quasi costeggia il rio Flumineddu, si arriva al nuraghe Mereu, bellissimo perché in parte ancora integro ed edificato con i bianchi calcari del Supramonte. Poco oltre, il paesaggio cambia improvvisamente: dalle chiome rigogliose delle querce lo sguardo passa a una distesa quasi infinita di ginepri di cui adesso rimane solo il legno spoglio. Un paesaggio lunare che è così dal 1931, quando un incendio di sette giorni ridusse questo pianoro, Campu su Murdegu, in uno sconfinato braciere visibile a chilometri di distanza. Ora 36 rimangono quegli scheletri, muti testimoni di un disastro che consumò la montagna. La foresta vergine. Dal deserto dei ginepri a una foresta mai sottoposta al taglio, per fortuna, il passo è breve. Il Supramonte è anche questo: contraddizioni selvagge, l’orrido che si alterna alla meraviglia. Sas Baddes sembra un posto rubato alle fiabe, dove i lecci sovrastano il visitatore. La luce solare qui non si affaccia nemmeno: troppo intricati quei rami, troppo folte quelle chiome. Ma soprattutto troppo alte, visto che gli alberi raggiungono i trenta metri. Alcuni esemplari sfiorano addirittura i quaranta. Sas Baddes, estesa per ben venticinque chilometri quadrati tra i territori di Orgosolo, Oliena, Dorgali e Urzulei, è uno dei pochi boschi del Vecchio Continente mai oltraggiato dall’uomo: è così da secoli, questo pezzo di preistoria della Sardegna. Assieme ai lecci spuntano qua e là i “soliti” ginepri, agrifogli e i tassi, relitti arborei dell’era Terziaria. Al centro della Terra. Duecentosettantacinque metri di salto nel buio, o forse più, per arrivare al cuore segreto della Sardegna. La voragine di Su Sterru, un “buco” che si apre all’improvviso nel Supramonte di Baunei, tra carrubi e ginepri, si trova nel mezzo dell’altopiano del Golgo, tavolato calca- reo che si staglia a 400 metri sul livello del mare e porta d’accesso per raggiungere a piedi le cale da favola del Golfo di Orosei. Da sempre luogo di leggende, studiata dai geologi e amata dagli speleologi, la voragine è tra gli inghiottitoi a campata unica più profondi d’Europa. Per lungo tempo considerata la bocca di un vulcano, venne esplorata la prima volta nel luglio del 1957, ad opera di un gruppo di speleologi nuoresi. Un’impresa che non fu certo una passeggiata, perché i tentativi di violarla fino al fondo furono diversi, visto che la corda che si utilizzava risultava sempre troppo corta. Fu Umberto Pintori, alla fine, ad avere la meglio. Quando i suoi piedi toccarono terra, a quasi trecento metri di profondità, alzò lo sguardo e avvenne l’incredibile: l’imboccatura era un piccolo punto sopra la sua testa ma, nonostante fosse pieno giorno, in quella fetta di cielo riuscì a scorgere le stelle. Le sorprese continuarono mentre osservava la spelonca, una ca- INFORMAZIONI Per escursioni guidate nel Supramonte, ci si può rivolgere alle cooperative ExcursioNatura (Orgosolo, 0784/40.10.78, 333/ 4.50.33.28, www.excursionatura. com), che propone anche pranzi tipici all’aperto, organizza tour a cavallo, in fuoristrada o quad e visite guidate in siti naturalistici e archeologici; Goloritzé (Baunei, località Golgo, 0782/ 61.05.99, 368/7.02.89.80, www.coopgoloritze.com); Ghivine (Dorgali, 078/49.67.21, 338/ 8.34.16.18, www.ghivine.com); cooperativa Enis (Oliena, località Monte Maccione, 0784/ 28.83.63, www.coopenis.it). NATURA SELVAGGIA Sopra: Mufloni nella foresta di Montes. Quest’area boschiva (ampia 46 chilometri quadrati), dove emergono i torrioni gemelli del monte Novo San Giovanni e del monte Fumai, è nota per il suo straordinario patrimonio ambientale: vi si trovano numerose varietà faunistiche e botaniche, oltre a insediamenti di età nuragica. Nella pagina seguente: le limpide acque del fiume Cedrino che sgorgano, nei pressi del monte Fumai, dalle sorgenti di Su Gologone, le fonti carsiche più ricche dell’Isola. mera semicircolare del diametro massimo di una ventina di metri: intanto, il gran numero di pietre, lanciate come passatempo dai visitatori. Poi la particolare flora e gli strani animali, tra cui rari ragni, geotritoni e perfino minuscoli crostacei terrestri. Un spettacolo unico, osservato per la prima volta dall’uomo. Leggenda vuole che quando Pintori venne issato su dai compagni, i suoi capelli erano diventati bianchi. Alla voragine del Golgo è legata anche una leggenda popolare, secondo la quale l’inghiottitoio venne originato da una tremenda lotta tra un terrificante serpente, padrone dell’altopiano, e San Pietro, che volle liberare l’abitato di Baunei dal terrore per l’animale. Alla fine vinse il santo, che afferrò il rettile per la coda e lo sbattè in terra talmente forte che il suolo franò dando origine all’orrido. Come segno di ringraziamento, i baunesi fecero edificare nelle vicinanze una chiesetta agreste, che sta ancora lì, dedicandola proprio al santo liberatore. Il viaggio nel Supramonte segreto finisce qui, ma molti altri luoghi rimangono da scoprire e da raccontare. Sorgenti di Su Gologone Gelide e blu cobalto, dense e misteriose. Appaiono all’improvviso, nella fenditura della montagna, dopo chilometri e chilometri di un viaggio sotterraneo tra le rocce calcaree. Le sorgenti di Su Gologone, in territorio di Oliena, sono le fonti carsiche più generose della Sardegna: trecento litri al secondo, recitano i manuali, un vero record in una parte della Sardegna, confine tra Barbagia e Supramonte, dove l’acqua è un bene prezioso. Il laghetto dove le sorgenti emergono fa solo immaginare cosa ci sia all’interno del sistema che unisce Su Gologone con le grotte di Su Bentu, Sa Oche e Su Guanu. Innumerevoli i tentativi di esplorazione: nell’ultimo si sono raggiunti i 107 metri di profondità. L’acqua, dolcissima e a una temperatura costante di 11 gradi, alimenta il fiume Cedrino ed è un’inesauribile risorsa anche durante i più duri periodi di siccità. Per visitare le sorgenti, oltrepassata Oliena, si seguono i cartelli e a sei chilometri dal paese si svolta a destra. In un piazzale si lascia l’auto e dopo una passeggiata di dieci minuti in un boschetto di eucalipti si raggiunge la meta. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Le spiagge da film CIAK, SI GIRA! Capolavori per il grande schermo e sceneggiati tv, commedie e tragedie, epopee avventurose e spy-story: la “settima arte” ha pescato a piene mani nei tesori del litorale sardo, perfette scenografie per pellicole memorabili Giancarlo Deidda DI LELLO CARAVANO Veduta della spiaggia di cala Luna, una delle più fascinose del golfo di Orosei, sulla costa nordorientale della Sardegna. La fama di cui gode ormai da decenni è in larga parte merito di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, pellicola firmata nel 1974 da Lina Wertmuller. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Q Giancarlo Deidda uando Gennarino Carunchio e la bionda “bottana industriale” naufragarono su quella spiaggia meravigliosa, la Sardegna turistica fu travolta da un improvviso benessere. Sì, è vero, nella finzione cinematografica quella era un’isola forse caraibica, ma tutti sapevano che Giancarlo Giannini, rude marinaio, e Mariangela Melato, bella “sciura” milanese, in realtà erano sbarcati nel cuore della selvaggia Ogliastra, nella perla del golfo di Orosei: cala Luna, regina delle spiagge. Lina Wertmuller lo aveva scelto con cura quel set. La regista era rimasta estasiata dal mare verde e cobalto, dai colori, dalla linea bianca di ciottoli con il fiume, dagli oleandri rosa, dai grottoni. Con il Supramonte alle spalle, una quinta ideale per un film culto. Era il 1974. Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto sbancò i botteghini dei cinema. Ma fu un successo IL SET DI anche nei botteghini delle vaVILLASIMIUS canze. Non solo per cala Luna. Villasimius vista Tutta la Sardegna fece ciak, da Torre del Giunco. Sul litorale di questa perché il traino come promoperla paesaggistica, zione turistica fu notevole. a sud dell’isola, fu allestito il set di La Tanto è vero che due anni docalda vita (1964), film po, nel 1976, il set fu rimontadi Florestano Vancini to nello stesso angolo di paracon Catherine Spaak e Gabriele Ferzetti diso. Ancora cala Luna, ancora come protagonisti. un naufragio. Il regista Sergio Gli attori si muovono Corbucci giocò la carta della tra le scenografie naturali della zona, caricatura e della parodia con come lo stagno di un esilarante Paolo Villaggio e Nottèri (in alto a sinistra nella foto). una bellissima Zeudi Araya, nei panni succinti di Venerdì, che si aggiravano in un fantastico scenario di calette, scogli, mare, macchia mediterranea nel divertente Signor Robinson, mostruosa storia d’amore e di avventure. Tante risate. E tante grazie per la promozione. La Sardegna selvaggia catturò anche l’attore genovese che ha inventato Fracchia e Fantozzi. “Ho conosciuto un’isola magica”, disse Villaggio. “Non solo il mare ma anche un interno meraviglioso, con gli inebrianti profumi della macchia e i cespugli di rosmarino selvatico alti due metri”. Spiagge da cartolina. Spiagge da film. Prima c’erano stati tanti spaghetti-western, e una Sardegna che al cinema raccontava soprattutto storie di pastori, di banditi e di codici d’onore, da Amedeo ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Archivio Storico del Cinema/AFE ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Gianmario Marras Nazzari a Ugo Tognazzi. Ora è DESERTO il mare a dominare. Pubbliciz“IN ROSA” zato, come set ideale, persino Qui a destra: il mare davanti alla “spiaggia sul sito on-line della Regione rosa” di Budelli, la Sardegna, che esalta l’ampiù conosciuta delle isole dell’arcipelago biente isolano come una sorta della Maddalena; di grande studio cinematol’arenile è oggi chiuso grafico all’aperto. ai turisti con l’intento di ripristinare la Sardegna selvaggia e inconcolorazione originaria taminata come un’isola deserche l’ha reso unico. Il ta. Lo stereotipo evidenteregista Michelangelo Antonioni ambientò mente funziona. E stimola la qui alcune scene di fantasia di registi e produttoDeserto rosso (1964), il suo primo film a ri. Pochi anni dopo Travolti…, colori. Sopra: Monica fu nientemeno che Francis Vitti e Antonioni sul Ford Coppola, il regista del set del film, Leone d’Oro al Festival del Padrino, a finanziare un film Cinema di Venezia. campione ai botteghini: Black Stallion. Storia dell’amicizia fra il dodicenne Alec e lo splendido purosangue nero Black, un rapporto che comincia e si sviluppa, anche qui, su un’isola deserta, guarda caso dopo un naufragio dal quale il ragazzo si salva per miracolo aggrappandosi al dorso dell’animale. Nel film di Carroll Ballard (1979) buoni sentimenti, emozione, avventura e natura si fondono. Il paesaggio è di prim’ordine. Le spettacolari cavalcate di Black si ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Archivio Storico del Cinema/AFE ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ LA NAUFRAGA MADONNA Gianmario Marras svolgono nello scenario di Piscinas, la spiaggia della mariA sinistra: atmosfere na di Arbus dominata dalle tropicali a cala Cartoe, imponenti dune color d’oro, arco sabbioso protetto regno di cervi e ginepri. I paeda due promontori a nord di Cala Gonone. saggi, oggi come quasi trenLa popstar Madonna t’anni fa, sono superbi: silenscelse di persona la zio, meravigliosi colori al traspiaggia per il remake di Travolti da un monto, suggestivi esempi di insolito destino... della archeologia mineraria che si Wertmuller. Il film, che andò nelle sale ammirano arrivando da Moncon il titolo di Swept tevecchio e Arbus fino alla away (2001), fu un magia di Ingurtòsu e Nafiasco al botteghino. Sopra: Madonna racàuli, i vecchi borghi abbansul set con Adriano donati dai minatori. Giannini, figlio di Ma il mare sardo come set fu Giancarlo Giannini, indimenticabile scoperto anni prima da due mattatore nella prima maestri del cinema italiano. versione del film. Nel primo film a colori di Michelangelo Antonioni, Deserto rosso, fu immortalata Budelli, la perla dell’arcipelago della Maddalena, spiaggia-mito, una delle più fotografate (e saccheggiate) dell’isola per i suoi granelli rosa dovuti alla frantumazione di un microrganismo, la Miniacina miniacea. Oggi l’arenile della piccola isola, gioiello del parco nazionale, è superprotetto (si può ammirare solo dalla barca o da terra): un sacrificio necessario per farla tornare splendente come un tempo. Come la si vede in quella lunga sequenza finale del film del regista ferrarese, girato nel 1964, con Monica Vitti (che sogna appunto la fuga verso una spiaggia completamente deserta) e Richard Harris. Il mare sardo incantò anche Florestano Vancini. Stesso anno di Deserto rosso, il 1964. Non i paradisi galluresi ma la perla del sud dell’Isola – Villasimius – per La calda vita, con una giovane Catherine Spaak, Fabrizio Ferzetti, Fabrizio Cappucci e ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Fotografie di Gianmario Marras ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Jacques Perrin. In una bella LE STORIE casa con vista mozzafiato sul DEL POETTO mare e lo stagno di Nottèri, A destra: il Poetto, la spiaggia di Cagliari; nella grande duna di sabbia si estende per quasi che divide la spiaggia di Siotto chilometri dalla collinetta della Sella mius, fu allestito il set che del Diavolo fino al spaziava in un ambiente non litorale della vicina ancora sommerso dall’invaQuartu Sant’Elena. Sopra: lo scrittore sione di villette e vacanzieri. Massimo Carlotto Di quei giorni resta la testifotografato al Poetto; monianza dello sceneggiatore il litorale della città sarda fa da scenografia Marcello Fondato: “Non credo a Il fuggiasco (2003), di aver visto da nessun’altra pellicola che il regista Andrea Manni ha parte una spiaggia con i gratratto dal suo libro. nelli così fini e bianchi”. Ma sbarcarono anche le spie e i cattivi di turno. Nel 1968 la Costa Smeralda affascinò anche il mitico 007 (nelle vesti di Roger Moore): La spia che mi amava, con Barbara Bach, dedicò alcune scene alle perle galluresi, le spiagge di Cala di Volpe, tra grandi hotel e mondanità. Persino la televisione in bianco e nero degli anni Sessanta si innamorò di un angolo suggestivo di Gallura: cala Spinosa, nei pressi di Capo Testa, a Santa Teresa di ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Massimo Ripani/Simephoto ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ SCENOGRAFIE DI ROCCIA Sopra: la roccia dell’elefante a cala di Volpe, in Costa Smeralda, mecca del turismo più raffinato e chic. Anche Roger Moore fece qui il suo bagno di mondanità in Agente 007La spia che mi amava, decimo film della saga di James Bond. Sotto: cala Spinosa, angolo suggestivo di costa gallurese vicino a capo Testa. Negli anni Sessanta ospitò alcune riprese dello sceneggiato televisivo in bianco e nero A come Andromeda. Giancarlo Deidda Gallura, ospitò alcune riprese dello sceneggiato A come Andromeda, con Paola Pitagora e Luigi Vannucchi. Una pennellata alla riviera catalana la riservò Nanni Moretti, che dedicò la sequenza finale del suo secondo “film-diario”, Aprile, alle Bombarde, la più famosa spiaggia di Alghero, col Lazzaretto e Maria Pia: il regista-attore si allontana tenendo per mano il figlio di un anno. Il mare e le spiagge di Villasimius sono stati il set anche del recente Cinque per due del regista francese François Ozon, che ripercorre la storia di una coppia a ritroso, dal divorzio al fidanzamento. Storie di amori, in latino e in versione gay, per un singolare film di Derek Jarman, Sebastiane (1976), con musiche di Brian Eno e danze falliche di Lindsay Kemp. Vicenda girata a cala Domestica (Buggerru), bella cala che si apre alla fine di un fiordo dominato da una torre spagnola. Una spiaggia legata profondamente all’epopea mineraria. Fino agli anni Quaranta del secolo scorso un trenino trasportava il piombo e lo zinco che venivano caricati sulle navi – le famose bilancelle – dirette a Carloforte. Bisogna tornare indietro nel tempo, al 1965, per trovare un ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Giancarlo Deidda ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ DA JARMAN A MORETTI, A CIASCUNO LA SUA LOCATION Gianmario Marras Sopra: cala Domestica si apre la strada verso il mare al termine di un fiordo, dominato da una torre spagnola. Derek Jarman vi girò Sebastiane (1976), curioso film recitato in latino che ha per protagonisti otto soldati dell’antica Roma, confinati qui dall’imperatore Diocleziano. Sotto: la spiaggia delle Bombarde, la più frequentata di Alghero, è stata utilizzata da Nanni Moretti per la sequenza finale di Aprile (1998); il regista-attore si allontana tenendo per mano il figlio Pietro. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Gianmario Marras ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ film di fantascienza, Due più cinque di Pietro Francisci, ambientato a S’Archittu, rocce quasi lunari e mare trasparente nel litorale di Cuglieri, sulla costa oristanese. “Il mondo del cinema si accorse che a due passi da Roma era possibile creare un set naturale”, dice Sergio Naitza, critico cinematografico dell’Unione Sarda, “dove si potevano trovare scenari perfetti per ambientare storie di solitudine, avventura, trame esotiche, giocando sull’aspetto selvaggio e selvatico dell’Isola, anche se spesso era una Sardegna poco riconoscibile. Di recente registi sardi hanno saputo sfruttare il paesaggio unico legandolo a una radice, all’identità dell’isola”. Viene da pensare subito a Salvatore Mereu e al suo Ballo a tre passi, il bel film di tre anni fa premiato dalla critica al Festival del Cinema di Venezia. Indimenticabile ed emozionante il primo episodio, dedicato alTUFFI “VIP” la scoperta del mare da parte A CALA FUILI Cala Fuili, ultima di un gruppo di ragazzi, al caletta della costa di battesimo dei tuffi tra le dune Cala Gonone prima di Porto Pino, nel litorale suldelle grotte del Bue Marino. È una delle citano, al confine con le spiagspiagge più belle ge di Teulada, terra di guerre della costa orientale sarda, chiusa da simulate, proibita al turismo. imponenti falesie Allo stesso mare è dedicato il bianche verticali. recente Piccola pesca, opera di Nelle sue acque si tuffò anche Claudia Enrico Pitzianti, che racconta Schiffer, a cui fu la protesta dei pescatori del affidata una piccola Sulcis contro le esercitazioni parte in Swept away (2001) di Guy Ritchie. militari. Il Poetto, la bella spiaggia di Cagliari ferita da uno scellerato ripascimento, si ritrova in Pesi leggeri, film di Enrico Pau sui sogni di gloria e d’amore di due giovani pugili, e nel Fuggiasco di Andrea Manni, tratto dal libro che Massimo Carlotto dedica alla sua latitanza. Ma eccoci alla scena finale, all’ultimo ciak. Sardegna, esterno giorno: ancora un naufragio. Protagonista nientemeno che Madonna. L’attrice e star del pop riuscì a convincere il marito Guy Ritchie a girare nel 2001 un remake di Travolti da un insolito destino..., che andò nelle sale col titolo di Swept away. Il suo partner era Giannini junior, Adriano figlio di Giancarlo. “Sono stata io a proporre a mio marito il film in questi luoghi affascinanti, ho amato moltissimo il film di Lina Wertmuller”, disse Madonna. I set? Tutto il meglio che si possa incontrare sulla costa orientale. Oltre cala Luna, anche cala Fuili, ultima caletta della costa di Cala Gonone prima delle grotte del Bue Marino, dove si tuffò anche un’ammirata Claudia Schiffer, a cui fu riservata una piccola parte nel film. Ma anche cala Cartoe, una lingua do- rata chiusa da due promontori, estreme propaggini del Supramonte di Dorgali: quello a sud è di calcare bianco, quello a nord di basalto scuro. “Travolti 2” fu un clamoroso fiasco al botteghino, il paragone con l’originale proprio non reggeva. Chi ne usciva trionfatrice era ancora la Sardegna. Quelle spiagge, da tempo meta di popolosi arrembaggi più che di avventurosi naufragi, portano qualche cicatrice provocata dal turismo di massa ma non hanno cambiato volto. Sono ancora “da film”. ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Giancarlo Deidda SENTINELLA ANTICA Il nuraghe Oes a Torralba, nella valle dei Nuraghi. È a pianta complessa, con soffitto fatto da un solaio di legno, appoggiato ad alcuni mensoloni di pietra; la scala è una spirale perfetta. Foresta Burgos e valle dei Nuraghi NUOVI SUSSURRI DAL PASSATO Sono ancora in corso gli studi sul nuraghe Costa, accessibile da poco perché sopra un ex sito militare. E forse Barumini non sarà più il re dell’archeologia DI EMILIANO FARINA 58 UNO SGUARDO STORICO Sopra: particolare di un affresco bizantino in una Domus de Janas a Sant’Andrea Priu. Pagina seguente, sopra: una panoramica delle Domus de Janas, sempre a Sant’Andrea Priu; sotto: il castello del Goceano, perlopiù chiamato “di Burgos”. Risale al XII secolo e domina il territorio circostante (la valle del Tirso) con una rocca ancora conservata in buona parte. Giancarlo Deidda D orme quieto sul letto del bosco, avvolto in un’immensa coperta di muschio e profumi. Tutt’intorno ha srotolato un tappeto d’erba illuminato dai raggi di luce che filtrano tra le fronde. Quello del gigante di pietra è un sonno profondo, lungo 3.500 anni incerti tra nuvole e sole. Tra gli oltre 7.000 che costellano la Sardegna, il nuraghe Costa di Foresta Burgos, provincia di Sassari, ha un qualcosa che lo rende particolare. Un fascino magnetico, capace al primo colpo d’occhio di catapultare in un tempo lontano chi si addentra tra gli alberi e le rocce di questo spicchio di Goceano. Era il tempo in cui gli Iliensi – popolo di guerrieri e pastori che diventeranno prima Tirreni e poi Sardi – abitavano quelle cinque torri circondate da capanne difese da una muraglia lunga oltre 70 metri, unica nel suo genere. Siamo tra il 1600 e il 1500 avanti Cristo, prima Età del Bronzo. Siamo sotto le frasche di un bosco di roverelle, sughere e lecci in cui fioriscono orchidee selvatiche e dove i quasi 800 metri di altitudine colorano l’antica fortezza di neve d’inverno e di verde d’estate. Per raggiungerla, passando dalla statale 131, basta prendere lo svincolo per Bolotana, nei pressi di Macomer, e poi puntare verso la frazione di Foresta Burgos. Un cartello vicino al bar indica il percorso per arrivare al villaggio nuragico. Conosciuto da circa trent’anni, ma inaccessibile fino a poco tempo fa perché il luogo in cui sorge era area militare, il nuraghe Costa è ancora oggetto di studi e scavi. Questi ultimi, iniziati nel 2004, hanno portato alla luce un ago in bronzo, una fibula e cocci di ceramica. Per il momento non è stato ritrovato alcun segno del passaggio delle legioni romane, ulteriore testimonianza della fiera resistenza dei sardi pellitti, ossia coperti di pelli. Se dalla gente del luogo il villaggio viene chiamato Sa Reggia, ci sarà pure un motivo. Infatti, nonostante una parte del complesso sia ancora sotto un cumulo di terra, c’è da pensare che l’area complessiva di 4.500 metri quadrati, il mastio con una camera centrale di 14 metri di diametro, un centinaio di capanne e una muraglia di protezione di tre metri con tanto di camminamento per la ronda, possano strappare il primato a quello ben più noto, al grande pubblico, di Barumini, nel Cagliaritano. Oltre alla bellezza del bosco che circonda Sa Reggia, c’è di più. Infatti il sito è l’ideale punto di parten- A pochi chilometri dal bosco che custodisce il nuraghe Costa, si erge il castello del Goceano, detto comunemente “di Burgos”. Dalla cima del picco che parte dall’interno dell’omonimo paese, il maniero del 1127 domina tutta la valle del Tirso. La rocca conserva ancora le mura di cinta, il torrione e il cortile interno. Nei sotterranei vi fu rinchiusa Adelasia, l’ultima giudicessa di Torres. Fino alla morte. Un’altra tappa da non perdere è la necropoli di Sant’Andrea Priu, in direzione di Bonorva. Scendendo verso la piana di Santa Lucia, attraverso la strada provinciale 43 si arriva alle venti Domus de Janas del 3700 avanti Cristo. Si tratta di grotte ricavate da una rupe in trachite rossa, splendidi esempi di architettura funeraria di età prenuragica. Al loro interno, affreschi paleocristiani e dipinti bizantini. Fotografie di Gianmario Marras Il castello di Burgos e Sant’Andrea Priu 59 LA TERRA DEL RICORDO Fotografie di Gianmario Marras A sinistra: uno scorcio del suggestivo territorio della valle dei Nuraghi. Sotto: nella vegetazione si vede una parte del muro del nuraghe Costa, a Foresta Burgos. Il complesso misura in tutto circa 4.500 metri quadri e per la sua notevole estensione è chiamato Sa Reggia. Si trova in provincia di Sassari e potrebbe eclissare, una volta terminati gli scavi del villaggio circostante, il celebre nuraghe di Barumini. za per una sorta di via dei nuraghi: la breve distanza rispetto ai complessi nuragici minori di S’Unighedda (con le Domus de Janas omonime), Arvas, Fraile, Chentina, e Sa Presone, fanno supporre che Sa Reggia fosse una delle città-capitali della Sardegna di 3.500 anni fa. Per scoprirlo attraverso un’escursione guidata basta rivolgersi alla Cooperativa Sa Reggia (079/79.37.05 oppure 347/9.01.89.30). Nonostante il disagio di staccarsi dalla magia del nuraghe Costa non sia così insopportabile, una visita alla frazione di Foresta Burgos addolcisce il ritorno nell’era moderna. Infatti dai primi del Novecento il Gianmario Marras UN PRIMATO CHE IL MEDITERRANEO CI INVIDIÒ Sopra e sotto: esterno e interno del nuraghe di Santu Antine (San Costantino), presso Torralba. Si tratta di uno dei nuraghi più grandiosi della Sardegna, poiché misura circa 18 metri di altezza (in origine, però, ne contava 22). Dopo le piramidi d’Egitto era la più alta costruzione del Mediterraneo preistorico. Giancarlo Deidda villaggio fu la sede del Centro di addestramento governativo dei cavalli utilizzati in guerra e per servizi di polizia. Almeno fino alla metà degli anni Cinquanta, quando l’esercito decise di dedicarsi anima e corpo ai mezzi meccanici. La missione di Foresta Burgos terminò e tutto ciò che è rimasto di allora sono caserme, vecchie stalle e caratteristici selciati militari. Abbandonati sì, ma ricchi di fascino. L’amore per il cavallo, però, non si può barattare coi motori. In questo senso, oggi Foresta Burgos ospita le strutture dell’Istituto di incremento ippico regionale dove scalpitano splendidi esemplari di anglo-arabo-sardi, cavallini della Giara e una colonia di asinelli bianchi dell’Asinara. Il salto dalla regione del Gocea- 62 no a quelle del Logudoro e del Mejlogu è veramente breve. Bastano, infatti, pochi chilometri per arrivare alla valle dei Nuraghi, una sorta di cerchio preistorico stretto tra i paesi di Torralba, Thiesi e Bonorva, per- MURETTI A SECCO Gianmario Marras A destra: il paesaggio rurale di Bonorva, borgo situato vicino alla valle dei Nuraghi, a 11 chilometri dall’abitato. In questa zona le tradizioni sono ancora molto sentite: qui è nato Palicu Mossa, conosciuto poeta in lingua sarda vissuto nell’800. Nei pressi si ergono le Domus de Janas di Sant’Andrea Priu. fettamente pianeggiante e ricco di sorgenti e torrenti. Considerato tra i più antichi e misteriosi dell’isola e tra i principali rappresentanti della civiltà nuragica, il solo territorio di Torralba ospita una trentina di caratteristiche torri tronco-coniche, circa una ogni chilometro quadrato. A vegliare su tutte è la reggia di Santu Antine: il nome deriva dalla vicina chiesetta dedicata all’imperatore romano Costantino, figura parti- colarmente celebrata dalla popolazione locale per aver concesso ai cristiani la libertà di culto. La reggia si trova adagiata su una lieve conca a poco più di tre chilometri da Torralba ed è tra le più importanti dell’isola insieme a Su Nuraxi di Barumini, Arrubiu di Orroli e Losa di Abbasanta. La struttura del complesso monumentale di Santu Antine risale al 1500 avanti Cristo ed è molto simile a 65 VASELLAME IN MOSTRA Fotografie di Gianmario Marras A destra: Museo Comunale della valle dei Nuraghi di Torralba; alcuni reperti esposti nella sala di Santu Antine, vetrina 1. In basso: altri oggetti in mostra al museo; sono diversi recipienti in terracotta, che contenevano dell’olio, usato sia per scopo alimentare sia durante le cerimonie sacre. Si consiglia la visita al museo prima di quella al nuraghe. quella di un castello medievale con tanto di villaggio ai piedi e mura protettive intorno, di cui oggi sono rimaste soltanto le tracce. È costituita da un trilobato con un grande cortile e un mastio centrale che originariamente raggiungeva i 22 metri di altezza, come un palazzo di otto piani. Il panorama che si gode dalla sua sommità è indescrivibile (anche se oggi dei tre piani ne sono rimasti due), soprattutto in primavera quando i primi venti caldi fanno danzare i campi di grano ancora verdi. E creano un imMANGIARE percettibile fruscio che rende ancora E DORMIRE Agriturismo di Giovanpiù seducente il millenario e indini Antonio Marras. sturbato silenzio della valle. Località Foresta Burgos, Una buona parte dei reperti rinve079/79.34.83. nuti durante gli scavi è conservata al Prezzo medio: Museo Comunale della Valle dei Nucirca 20 euro. raghi di Torralba (via Carlo Felice, Agriturismo Cunzadu 079/84.72.98. Il biglietto è cumulativo Mannu. Burgos, e prevede anche l’ingres079/79.33.28. so al nuraghe). L’esposiPernottamento e prima colazione: circa 20 euro. zione, inaugurata alla fiAgriturismo Coronas. ne degli anni Ottanta, è Bonorva, località articolata in due sezioni: Coronas, 079/86.68.42. ornate di un giardino laMenù a circa 20 euro. pidario del III-IV secolo Trattoria Su Lumarzu. dopo Cristo, le teche delBonorva, località la prima mostrano in Rebeccu, 079/86.79.33. quattro sale i ritrovamenMenù circa 22 euro. ti nella valle e in particoB&B Sa Codina lare quelli del nuraghe di di Sebastiano Manca. Torralba, piazza Santu Antine. La seconda Monsignor Pola 9, sezione ospita, invece, 079/84.71.09. mostre etnografiche temDoppia a 50 euro. poranee dedicate alla cultura popolare locale. Per capire meglio come vivevano i suoi antichi abitanti, un plastico ricostruisce la struttura originale del complesso, mentre una serie di pannelli ripercorre le fasi storiche della sua costruzione. · · · · · 67 ENOGASTRONOMIA Nevio Doz Sapori inconsueti, decisi e profumati In primo piano, il cascà carlofortino, una versione sarda del couscous tunisino: semola, verdure e, alcune volte, carne e pesce. L a Sardegna è un vero giacimento di sapori rari. Sarà per il clima, sarà per il territorio, sarà per la genuinità delle materie prime, sarà per l’attaccamento alle tradizioni e alla storia, che ha fatto convergere qui, in epoche diverse, il meglio delle culture gastronomiche mediterranee. Sta di fatto che ancora oggi in ogni angolo dell’isola si trovano alcune produzioni e diverse preparazioni uniche e caratteristiche che rimangono stampate nella memoria, legate inscindibilmente ai luoghi dove si degustano. Vini, salumi, pani e cereali, oli extravergini, formaggi, prodotti della terra... E tante piccole specialità sfiziose. Che dire degli asparagi selvatici che in stagione, talvolta, vengono serviti anche nei ristoranti, dei carciofi dal gusto forte e deciso, dei pomodori camone maturati sulla pianta (a differenza di quelli che troviamo nei mercati del continente), delle arance di Muravera, dolci e gustose, dello zafferano di San Gavino Monreale, o del miele di corbezzolo, che in questa terra raggiunge la sua apoteosi? Tra i gusti d’eccezione, an- che il tonno di corsa (ossia quello che passa nelle tonnare) di Carloforte, nell’inconfondibile scatola quadrangolare rossa e blu con le scritte in oro e in bianco, che viene pescato in mattanza tra la primavera e l’estate. Non è soltanto la qualità del pesce a caratterizzarne il gusto. Ci sono anche le modalità di lavorazione, rigorosamente a mano per scegliere i pesci migliori per l’inscatolamento, e le tecniche di lavorazione con procedimenti antichi. Il tutto solo con tonni appena pescati perché la polpa resti leggera e sapida, e quindi più 71 ENOGASTRONOMIA ENOGASTRONOMIA Fotografie di Prima Press A sinistra: pecorino, ricotta e carasau formano un abbinamento perfetto. Sopra: la zuppa gallurese, composta da strati di pane ricoperti da formaggi e verdure, immersa nel brodo di carne di pecora. Sotto: il famoso zafferano di San Gavino Monreale, dove se ne producono almeno 150 chili l’anno. → digeribile. Sempre a Carloforte il couscous diventa cascà: un piatto a base di semola di grano inumidita con acqua e olio, cotta a vapore e condita con molte verdure fresche preparate separatamente, tra cui il cavolo, le favette, i piselli, i ceci, i carciofi, le melanzane e la maggiorana. In realtà i sapori più tipici, anche se meno conosciuti dai turisti-forestieri, non vengono dal mare, a parte le aragoste di Alghero, i frutti di mare di Cagliari e i pesci dalla brace del golfo dell’Asinara, ma dalla terra. I sardi sono da sempre pastori e allevatori e storicamente non sono mai stati grandi pescatori. E quindi ecco la carne di pecora bollita (con il brodo si fa anche la zuppa gallurese, suppa cuatta, oppure, in Barbagia, su filindeu, un intreccio di pasta sottilissima fatta a mano con formaggio filante), il cinghialetto alla barbaricina, le bistecche di cavallo e di asino e i salumi: il capocollo, il guanciale di suino speziato, acconciato come il prosciutto e come la pancetta, il filetto, che secondo le zone si chiama ambidighedda o musteba, e la salsiccia affumicata e stagionata. I dominatori assoluti della cucina tradizionale sono il porcetto (sa porceddu) e l’agnello. Il segreto per gustarli al meglio sta nella semplicità della cottura: arrosto o anche al forno, per sette-otto ore. Il sale e l’aroma della macchia mediterranea per la brace (per la variante al forno: rami di mirto fresco su cui depositare il porcetto, un trito di aglio e prezzemolo per l’agnello) sono sufficienti per evocare gusti e sapori assolutamente da primordi. Non molti sanno che siamo nella patria di grandi mangiatori di lumache, che contendono alla Nevio Doz Un piatto di aragosta lessata. Le migliori vengono pescate davanti alla Riviera del Corallo e nel bellissimo mare di Alghero. 73 Fotografie di Prima Press ENOGASTRONOMIA Gusti d’Ogliastra Francia il primato di chi ha cominciato ad apprezzare questo cibo. Negli insediamenti umani protosardi, fra Sassari e Porto Torres, sono stati ritrovati enormi quantità di gusci. A tutt’oggi, infatti, soprattutto i sassaresi sono golosi di lumache di ogni ge- nere, tipologia e dimensione. La Sardegna più autentica in tavola mette anche i suoi formaggi. Oltre al binomio pecorino e malloreddus, vanno assaggiati anche il fiore sardo, magari alla griglia, i caprini, che si trovano qua e là in piccoli caseifici, il bo- In pochi chilometri si sale dalle magnifiche spiagge fino alla montagna e si entra in un universo gastronomico d’altri tempi. L'Ogliastra (23 paesi, 65.000 abitanti, 80 chilometri di litorale), selvaggia e incontaminata dalle coste al Supramonte e ai caratteristici Tacchi, regala tradizioni culinarie dal sapore antico, prodotti tipici che non conoscono contaminazioni e che forse sono alla base del miracolo racchiuso nel Dna che assicura lunghe vite a uomini e donne della terra degli olivastri. La tradizione ha il sapore soprattutto dei culurgionis, i fagottini di pasta ripieni di patate, formaggio, cipolla e l'indispensabile mentuccia. Analoghi gli ingredienti per un'altra prelibatezza, sa coccoi prena, una sorta di focaccia farcita dal gusto inimitabile, che una volta riempiva le bisacce dei pastori nei periodi trascorsi lontani da casa. Dai pascoli profumati di timo e serpillo arriva un altro nettare, su casu axedu (foto in basso), il formaggio acido ottenuto aggiungendo al latte appena munto il caglio del capretto. Ogliastra vuol dire soprattutto Cannonau, il rosso per eccellenza, che ha segnato la storia di tanti paesi, da Jerzu a Gairo, da Cardedu a Osìni, ideale con le carni di capra, piatto tipico del menù tradizionale. Prodotti della terra che, con le specialità di mare, fanno parte delle proposte di ristoranti, agriturismo e alberghi che hanno investito su una gastronomia di ottimo livello. (Lello Caravano) In alto e a sinistra: i malloreddus, i conosciutissimi gnocchetti sardi, si fanno come tutte le paste locali, con ottima semola e con acqua tiepida poco salata. L’insieme viene lavorato fino ad avere una pasta liscia, con l’aspetto di un bastoncino sottile, tagliato a tocchetti che, fatti rotolare sul fondo di un canestro, assumono la tipica forma ovale di conchiglia vuota. 74 75 nassai, il callu de cabrettu, il casizolu, il caso e il gioddu, uno specialissimo yogurt di latte di pecora da “sposare” con le diverse varietà di miele isolano. E poi ci sono i pani, al plurale (il pistocco è il più antico, solo farina di frumento e acqua), e i cereali. Con forme diverse secondo i periodi dell’anno e i luoghi dell’isola. Il pane più famoso, anche sul continente, è il pane carasau, o “cartamusica”; nasce da un impasto molto lievitato di semola di grano duro e lievito naturale acido: fragile e sottilissimo come una sfoglia, è l’accompagnamento ideale “a tutto pasto” (e mai raffermo) sulle tavole sarde. Di altrettanta fama godono i malloreddus, gnocchetti a base di semola di grano e acqua, ottenuti schiacciando e cavando con il pollice un po’ di impasto per volta. Loro condimento ideale sono gli speciali sughi allo zafferano. Anche il riso dell’oristanese ha qualcosa di speciale, come tutto quello che è commestibile sull’isola. E poi ci sono gli oli, una realtà in crescita, con alcune realtà di valore: gli oli extravergini del Nuorese, di Alghero, quello del Parteolla (dal latino partes olea), a nord-est di Cagliari (Dolianova, Serdiana, Soleminis, Donori, Ussana), e quello di Seneghe, dall’omonimo centro del Munti Ferro. I vini isolani sono, invece, già affermati, unici per il territorio che li rende molto minerali, per la luce, che facilita la concentrazione polifenoli- A destra: il pane pistoccu, che prende forse le radici del nome nella storia di Roma, dove le antiche corporazioni di fornai erano chiamate pistores. In alto: il pane carasau, il più conosciuto, viene sempre infornato due volte. 76 Fotografie di Prima Press ENOGASTRONOMIA ca, e per la continua innovazione tecnica. Stagione dopo stagione la qualità cresce. Di pari passo con il numero di bottiglie vendute, sul mercato italiano e all’estero. Dominano i grandi vitigni autoctoni: in prima fila Cannonau di Sardegna e Carignano del Sulcis tra i rossi, Vermentino di Gallura tra i bianchi. I primi due, di sapore robusto, si abbinano a stufato d’agnello, porchetta allo spiedo o arrosto, capretto arrosto e piatti di carne a scelta. Il terzo, di profumi fruttati, è perfetto con frutti di mare, carciofi, patate e pecorino sardo fresco. Ornella D’Alessio 77 Sant’Efisio CAGLIARI IN FESTA Ogni 1° maggio tutta la città è in strada con il Santo. Da 350 anni DI WALTER FALGIO FOTOGRAFIE DI GIANCARLO DEIDDA P oco importa se il martire guerriero Efisio, nato in Oriente nel III secolo, ha assunto le sembianze di un aristocratico spagnolo con pizzetto, baffetti all’insù e lungo manto rosso. Poco importa perché si tratta del santo più celebre della Sardegna e la sua statua seicentesca, non troppo fedele all’iconografia originaria, viene issata su un cocchio dorato trainato da buoi e portata in processione da ben 350 anni. Ogni 1° maggio una folla di fedeli l’accompagna in preghiera dal centro di Cagliari sino alla spiaggia di Nora, luogo della decapitazione; per il resto dell’anno l’Efisio spagnolesco è custodito con ogni cura dall’Arci- In primo piano, donne vestite nello sgargiante costume arancione di Desulo, paese barbaricino tra le cime del Gennargentu. La Sagra di Sant’Efisio è l’unica processione che dura 4 giorni lungo un percorso di oltre 30 chilometri. 79 SUONI E COLORI IN MEMORIA DEL SANTO CHE FECE LA GRAZIA UNA STRAORDINARIA RASSEGNA ALL’APERTO DI ARTE ORAFA Sopra: la processione si snoda accompagnata dal suono ancestrale delle launeddas, un antichissimo strumento composto da tre canne di misura e spessore diversi. Alla processione partecipano decine e decine di gruppi in costume provenienti dall’intera Sardegna. I festeggiamenti si perpetuano da secoli come ringraziamento a Sant’Efisio per la liberazione di Cagliari da una terribile pestilenza. Sopra: pendenti, collane, bottoni a forma di campanellini - come quelli qui illustrati - anelli, spille e medaglioni ornano i costumi tradizionali. Oltre a rappresentare uno spettacolo nello spettacolo, questi monili si ricollegano spesso ad antichi rituali che richiamano la vita, la fertilità e l’amore. Sotto: la bacheca che custodisce la figura del santo in processione. confraternita del Gonfalone nel silenzio di una chiesetta del quartiere storico di Stampace. Il martire che viene da Elia capitolina è prima di tutto il cuore di un rito antico, profondamente radicato, che da secoli si perpetua per sciogliere un voto. Poi arriva la festa, festa grande coi mille colori. Con le filigrane, i fazzoletti, i medaglioni, i corsetti e i grembiuli delle occasioni importanti. Festa che risuona nei ritmi ancestrali delle launeddas e che si incarna in migliaia di volti sorridenti. La ragione per cui la processione del santo martire si ripete senza interruzione da centinaia d’anni, persino sotto le bombe del 1943, risiede nella fede della gente. L’origine storica di un evento che coinvolge decine di gruppi in costume provenienti da ogni angolo dell’isola, che rimette lentamente in movimento sa tracca, poderoso carro a buoi simbolo del mondo contadino, che anima cavalieri e pariglie, risale invece al 1656. Allora Cagliari era investita da una terribile pestilenza. Il morbo imperversava in Sardegna da quattro anni e aveva provocato migliaia di morti. La città si affidò al santo promettendo solenni festeggiamenti se l’epidemia fosse stata debellata. A settembre, una pioggia liberatrice fu interpretata come il segnale della grazia divina e la peste cominciò a scemare. Dal maggio del 1657 il santo lascia la chiesetta di Stampace per dirigersi verso il luogo del martirio, la costa 80 UNA SOSTA AL RISTORANTE Spinnaker del Corsaro di Marina Piccola, porticciolo turistico di Marina Piccola, 070/37.02.95; chiuso i lunedì festivi solo a mezzogiorno e dal 22 dicembre al 1° gennaio. Piatti consigliati: tagliatelle fresche con arselle di Marceddì e bottarga di muggine di Cabras, scaloppa di dentice della pesca locale con gamberi rossi del golfo di Cagliari. Buona cantina. Menù degustazione con tre portate: 45 euro. Menù crostacei: 70 euro. Mariò, via Dei Genovesi 12/16, 070/65.35.64; chiuso domenica e lunedì. Aperto da poco più di un anno, al piano terra di un palazzo ottocentesco nel quartiere di Castello appartenuto al tenore Giovanni Matteo De Candia, detto “Mariò”. Da ammirare la cisterna punica. Splendida terrazza panoramica. Da gustare il riso Venere con tonno fresco e rughetta e per gli amanti dei formaggi l’antipasto di caprino pralinato alle noci con miele d’acacia e fiori di zucca ripieni di taleggio, gorgonzola e ricotta. Prezzo medio: 30 euro circa. La Bohème, via Lai 48, 070/ 48.24.44; chiuso lunedì. Inaugurato recentemente, propone tagliatelle ai frutti di mare e asparagi e secondi a base di pesce fresco tutti i giorni. Menù turistico a pranzo: 10 euro; la sera: circa 30 euro. 82 Omnia labrpor est claqudicpa COSTUMI TRADIZIONALI La processione di Sant’Efisio è anche l’occasione per assistere a una sfilata di giovanissime, fiere di mostrare gli straordinari, ricchissimi vestiti, ornati di trine e merletti; questi abiti sono il frutto di un’arte sapiente, tramandata nei secoli tra le diverse generazioni. 83 ALBERGHI T Hotel, via Dei Giudicati, 070/47.40.01; www.thotel.it, [email protected]. Quattro stelle moderno inaugurato l’anno scorso, con una torre panoramica; l’offerta è di 207 camere. Interior design realizzato da Marco Piva. Con ristorante, bar, centro benessere e centro fitness. Sette sale congressi. Doppia e prima colazione in camera standard: 139,50 euro. Holiday Inn, via Ticca, 800.78.82.40, 070/53.79; www.ichotelsgroup.com, [email protected]. Quattro stelle a 2 chilometri dall’aeroporto con 69 camere classiche e 23 camere executive. Sauna, centro fitness, piscina coperta. Doppia e prima colazione in camera standard: 120 euro; con pagamento anticipato di 14 giorni sul sito internet: 79 euro. Sardegne.com. Il neonato servizio www.sardegne.com offre pacchetti turistici con prenotazione telematica. È il primo tour operator specializzato nella promozione di itinerari “inediti” locali, tra cultura, natura ed enogastronomia. Proposta per Sant’Efisio: 4 giorni e tre notti a 250 euro. LUNGO LE STRADE DEL CENTRO STORICO Nelle foto di queste pagine: la seicentesca statua di Sant’Efisio procede su un cocchio dorato trascinato da buoi. La processione prende l’avvio dalla chiesa nel quartiere storico di Stampace e si snoda tra ali di folla per le vie del centro storico fino al porto, dove è salutata dalle sirene delle navi. di Nora. Qui Efisio sarebbe stato decapitato presumibilmente il 15 gennaio del 303. Le notizie storiche, però, non sono certe. La passione del santo è raccontata in un codice vaticano latino piuttosto tardo risalente al XIII secolo che ricalca la vicenda del martirio di Procopio. Secondo questa testimonianza, divenuto ufficiale romano, dall’Asia minore Efisio giunge in Italia per combattere i cristiani. Ma durante un viaggio è investito da una luce accecante che gli rivela la voce di Gesù Cristo. Una croce, segno tangibile del miracolo, resta impressa nella sua mano destra. Da quel giorno il militare dimentica gli dei dell’Olimpo e si converte al Dio cristiano. Giunto nel frattempo in Sardegna per combattere i barbaricini, comincia un’opera di evangelizzazione che gli costerà spaventose torture e la condanna a morte. La prigione dove il santo sa- rebbe stato flagellato è identificata dalla tradizione nella cripta sotto la chiesa stampacina, naturalmente in via Sant’Efisio. Discesa una ripida scala, la si può ancora visitare (info: 070/66.86.32; orari: tutti i giorni dalle 16 alle 19, chiuso il lunedì). Il luogo di culto conserva parte delle reliquie del martire dentro una teca nell’altare maggiore e altre due statue del santo tra le quali una conosciuta come “Sant’Efis sballiau”, ovvero una copia sbagliata che riporta l’immagine della croce nella mano sinistra e la palma del martirio invertita nella destra. L’altra statua, opera dello scultore sardo Giuseppe Antonio Lonis, vive il suo momento di gloria il lunedì dell’Angelo, quando viene portata in processione sino alla cattedrale cagliaritana nel quartiere di Castello, in memoria di un’altra decisiva intercessione. Nel 1793, durante l’assedio francese, 85 LA FESTA DURA QUATTRO GIORNI i cagliaritani aiutati da Efisio e da una tempesta riuscirono a reIn basso, si conclude spingere gli invasori. la “vestizione” del Santo: la statua La grande processione del 1° è pronta per essere maggio è dunque l’omaggio della trasportata nella Sardegna intera a una delle figure lunga processione che la condurrà fino più popolari della devozione cittaa Pula e a Nora. dina. Alle 12 in punto, dopo una Tornerà a Cagliari Messa solenne, il cocchio dorato il 4 maggio. trainato dai buoi fa capolino in via Sant’Efisio. Il lungo percorso verso la chiesetta di Pula è cominciato. Il santo è avvolto dal manto di broccato, ornato con pizzi, fiocchi e ricami floreali. Gli si restituiscono anche gli sfarzosi gioielli del tesoro e la spada da guerriero omaggio degli ex combattenti. Al termine della sfilata delle traccas, dei gruppi in costume sardo e dei cavalieri del Campidano, il corteo si immette in via Azuni scortato dai miliziani a cavallo vestiti di rosso con sciabola e archibugio. Gli angeli custodi del santo sono suddivisi in tre gruppi per i tre quartieri storici di Cagliari: Marina, Stampace e Villanova. Pare appartenessero a un corpo volontario che avrebbe dovuto difendere il cocchio da eventuali assalti di pirati e banditi. Segue il Terzo guardiano con la sua Guardianìa, cavalieri scelti in frac nero. Figura centrale della processione, responsabile dell’organizzazione e depositario dello stendardo dell’Arciconfraternita del Gonfalone, che dal 1539 attende al culto del santo. Sempre a cavallo ecco l’Alter Nos in frac, cilindro e fascia tricolore con l’onorificenza del Toson d’Oro al petto concessa alla città di Cagliari Manifestazioni Dalla fine di aprile a tutto maggio a Cagliari si svolge una lunga e variegata serie di manifestazioni coordinata dall’Assessorato Comunale al Turismo (info 070/6.77.84.70; www.comune.cagliari.it). 28 aprile/10 maggio, VI Festival Musicale di Sant’Efisio, Teatro Lirico di Cagliari (via Sant’Alenixedda, 070/4.08.22.30-4.08.22.49; www.teatroliricodicagliari.it). 28 aprile/6 maggio, Festival Echi Lontani: Feste Musicali per Sant’Efisio. Programma: 28 Aprile, Chiesa di Santa Chiara, Mozart Barocco; 6 Maggio: Chiesa di Santa Croce, Bernard Brauchli: sonate e variazioni di Mozart. 29 aprile/28 maggio: Lorenzo D’Andrea, Mostra sul jazz al Centro Comunale d’Arte e Cultura Castello di San Michele (via Sirai, 070/50.06.56). 1° maggio: 350a Festa di Sant’Efisio. Quest’anno partecipano anche gruppi folk stranieri da Salamanca e dalla Corsica. Biglietti per assistere alla festa dagli spalti: Avis Cagliari, 070/55.30.02. 6/7 maggio: Gran Premio del Mediterraneo-Sardegna 2006, Campionato del Mondo F.1 di Motonautica. 16 maggio: Festival Internazionale di Musica. Presentazione ufficiale dell’Accademia e Festival Internazionale di Musica di Cagliari a Parigi. 19/20 maggio: Stagione dei Concerti al Teatro Lirico di Cagliari, musiche di Gustav Mahler. 21 maggio: V Triathlon Kid Città di Cagliari. 27/28 maggio: VII Festival dei Dragon Boat e Palio dei Quartieri 2006 (Marina Piccola). nel 1679 da Carlo II re di Spagna. Rappresenta la municipalità ed è scortato dai mazzieri in livrea seicentesca. Cappellano e confratelli con gli abiti penitenziali attorniano il santo, reggono un crocifisso ligneo del Settecento e trasportano le lanterne dorate del 1956, tricentenario della festa. Così il cocchio prosegue sotto l’occhio vigile dei rappresentanti dei corpi militari dello Stato in alta uniforme. Sbocca in piazza Yenne, prosegue per corso Vittorio Emanuele, in via Sassari, in piazza del Carmine, via Crispi, risale via Angioy, appare in largo Carlo Felice in un mare di folla e, infine, annunciato dalle launeddas, solca via Roma. Sul tappeto di petali di rose, sa ramadura, Sant’Efisio percorre il tratto più emozionante della processione. Le autorità gli rendono omaggio, le sirene delle navi in porto lo salutano, gli stendardi rossoblu del palazzo municipale sventolano sotto il cielo azzurro. Ancora pochi metri e il cocchio lentissimo lascerà Cagliari per poi farvi ritorno il 4 maggio. Dopo una breve sosta nella tenuta Ballero a Giorgino, Efisio andrà incontro al tramonto sulla strada in riva al mare. Da qui, lasciata la mondanità della festa, comincia il raccoglimento intenso del pellegrinaggio. Sant’Efisio-Pula e Nora ...E LA SAGRA CONTINUA Nel percorso tra Cagliari e Nora la sagra si trasforma in una festa campestre all’insegna della semplicità e dell’ospitalità DI LAURA FLORIS - FOTOGRAFIE DI GIANCARLO DEIDDA C agliari e la sua festa sono alle spalle. La lunga processione che dal 1° maggio accompagna Sant’Efisio a Nora prosegue dopo il vivido riconoscimento della città al suo salvatore. Il milite martire fa tappa a Giorgino, un villaggio di pescatori. All’interno della tenuta di una famiglia cagliaritana c’è una chiesetta. Qui si consuma un’altra importante sequenza dello scioglimento del voto, il rito si rinnova con un’altra vestizione. Il santo, così come volle un avo dell’antica famiglia, viene spogliato degli abiti sfarzosi riservati alla tappa cittadina e rivestito con semplici indumenti. Anche il cocchio dora- La processione dopo la rituale tappa a Pula si dirige, lungo il mare, verso la chiesetta romanica di Nora, luogo dove avvenne il martirio del Santo, edificata sulle rovine di un oratorio paleocristiano. 89 3 maggio, le cerimonie religiose si svolgono proprio a I confratelli intonano i tradizionali gocius, le laudi poNora: alle 11 la Messa solenne viene officiata nello polari in sardo, mentre il corteo attende fuori. Dopo spiazzo sul mare, l’unico in grado di contenere la fiuquesto cerimoniale, Sant’Efisio viene rimesso nel cocmana degli oltre 5.000 fedeli che ogni anno partecipachio per la tappa decisiva. A Nora arriverà all’ora del no al rituale. La chiesa rimane aperta per ospitare i tramonto. Lo scenario è commovente. La chiesetta rovisitatori. Poi c’è un altro momento partimanica, intitolata al santo e costruita su colarmente toccante. Prima del tramonto, un'area di culto paleocristiano, si erge sul NELLA CRIPTA intorno alle 17,45, inizia una processione mare. I colori della sera addolciscono l’at- La statua di S. Efisio viene collocata su sulla spiaggia. La statua viene condotta mosfera. La sensazione è di raccoglimento e un altare allestito dentro le rovine di Nora su una lettiga porpreghiera sul luogo nel quale, secondo la nella navata destra chiesa di Nora. tata sulle spalle dai membri della confratradizione, avvenne la decapitazione. Il della Da qui, luogo del ternita. Occorre soffermarsi un attimo su martire viene deposto su un piccolo altare martirio, dopo diverse questo straordinario sito archeologico. La allestito all’interno della chiesa, nella nava- celebrazioni, la statua del santo verrà città di Nora, della quale sono ancora visita di destra. A custodirlo per tutta la notte riportata a Cagliari bili i resti, fu fondata dai fenici intorno sarà la confraternita di Cagliari. L’indomani, la sera del 4 maggio. to è sostituito da un carro di campagna. Così, senza orpelli, il simulacro giungerà sul luogo del martirio per ritornare a Cagliari la sera del 4 maggio. Dopo Giorgino, la prima sosta sulla statale Sulcitana è a Maddalena Spiaggia, dove avviene l’incontro con gli abitanti di Capoterra. Si prosegue per la borgata di Su Loi e quindi si giunge a Villa d’Orri, stupenda casa rurale della fine del Settecento dove alloggiarono i Savoia in esilio. Nella suggestiva cappella della villa, i fedeli ricevono la benedizione e baciano la statua in segno di devozione. Il cammino riprende verso Sarroch, dove il corteo viene accolto dai fuochi d’artificio e dalle note della banda musicale. Dopo aver trascorso la notte e aver calcato lo LUNGO LA splendido tappeto di fiori (Sa RamaSPIAGGIA dura) di Villa San Pietro, intorno a In alto: giunto mezzogiorno il santo entra finalmente a Nora, il santo è condotto in a Pula. Ora inizia uno dei momenti processione più intensi di tutta la processione. Il alla chiesetta paleocristiana luogo del martirio si avvicina, cresce di Sant’Efisio. l’attesa. Ad accogliere il simulacro in A destra: la statua località Su Rundò ci sono proprio tutdi Sant’Efisio, abbandonati ti: la banda cittadina, il gruppo folk, le gli abiti sfarzosi autorità civili e naturalmente migliaia riservati alla di cittadini per i quali la festa rappretappa cagliaritana, prosegue il suo senta il momento religioso più sentito viaggio vestita di tutto l’anno. Qui avviene il passagcon indumenti più semplici. gio di consegne tra la confraternita di 90 Cagliari e quella di Pula, anche se la prima non abbandonerà mai la statua del santo. La cittadina di Pula è in fermento da giorni. Le strade e le piazze sono piene di bandiere colorate. Dai balconi pendono drappi e arazzi. E nell’aria c’è un profumo intensissimo. Sono i petali dei fiori, le foglie di menta, mirto ed elicriso che sprigionano le loro essenze. Intorno alle 14,30 l’arrivo nella parrocchia di San Giovanni Battista, nella piazza di Chiesa. Qui, alle 18 la cittadinanza riceve la benedizione e il tragitto riprende fino alla chiesetta campestre di San Raimondo. Il rito è suggestivo. Nella cappella privata le autorità cittadine ricevono “su cumbidu”, l’invito a base di dolci sardi e moscato. IL CORTEO RELIGIOSO SFILA SOTTO LA TORRE DEL CORTELLAZZO Un momento della processione di Sant’Efisio lungo la spiaggia di Nora. Sullo sfondo il promontorio del capo di Pula, dominato dalla torre del Cortellazzo, eretta da Filippo II di Spagna nei primi anni del XVII secolo. ALBERGHI E RISTORANTI Hotel Flamingo, località Santa Margherita, Pula, 070/9.20.83.61; www.hotelflamingo.it. Ristorante, piscina, minigolf, boutique, tennis, centro benessere, palestra. Possibilità di praticare diversi sport sci nautico, windsurf e golf. 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Tre ristoranti, piscina, idromassaggio. Escursioni in barca e sport acquatici. Prezzo (alta stagione): 330 euro al giorno, in mezza pensione, per due persone. Ristorante Su Talleri, località Peddana, Pula, Strada Statale 195 chilometro 32,000, 070/9.20.94.04. Cucina a base di pesce. Prezzo medio: 30 euro. Ristorante Zia Leunora, via Trieste 19, Pula, 070/9.20.95.59. Crostacei e grigliate di pesce. Prezzo medio: 30-35 euro. UNA FESTA SENZA FINE Nelle foto di questa pagina: Pula accoglie festosamente la processione di Sant’Efisio. In alto, un momento del lungo corteo a Villa d’Orri, sulla strada per Pula. Per le vie riccamente addobbate della cittadina sfilano uomini e donne con i costumi dell’isola, seguiti dai Cavalieri del Campidano (al centro) e dai membri della confraternita (in basso) , vestiti con la mozzetta bianca e il saio azzurro: sono loro a precedere il cocchio con la statua del santo. Nella pagina seguente: un quadro con l’effigie di Sant’Efisio. 94 all’VIII secolo avanti Cristo e divenne un porto strategico per tutti i traffici del Mediterraneo. La città prosperò per circa 1.500 anni. Dopo i fenici arrivarono i cartaginesi, quindi i romani. A testimoniare lo splendore di quest’epoca contribuiscono le rovine dei templi, delle terme, delle sfarzose case e i resti dei preziosi mosaici. Interessanti sono anche i condotti sotterranei, costruiti in quel periodo per il convoglio e lo scarico delle acque. Nell’anfiteatro romano che si af- faccia sul mare e guarda su una cinquecentesca torre spagnola si tiene ogni anno il festival La notte dei poeti, una manifestazione teatrale di forte richiamo per il pubblico di turisti e residenti. Ecco che il santo fa ritorno in chiesa. È lì che questa volta, intorno alle 19, viene celebrata la Messa. Quando ormai sopraggiunge il buio, migliaia di fiaccole spezzano l’oscurità e illuminano il sentiero che conduce la statua del martire nella chiesa par- 95 UN CALEIDOSCOPIO DI COLORI SGARGIANTI E PARTICOLARI PREZIOSI Nelle foto di questa pagina: forse nessun’altra regione italiana vanta tanti abiti tradizionali, tutti tra loro diversissimi, e la sagra di Sant’Efisio rappresenta la più imponente e importante sfilata di costumi sull’Isola. Lo spettacolo di colori, tessuti, manufatti e gioielli offerti in quest’occasione è unico al mondo: trine, merletti, pizzi e ricami sono tutti rigorosamente realizzati a mano. rocchiale di San Giovanni Battista. Sono le 21: questo è in assoluto il momento più intimo di tutta la processione. In silenzio si procede e si cantano preghiere antiche. Già da un mese quella strada è stata percorsa dal silenzio e dalle preghiere. Alcune donne, in ossequio ad un’antica usanza, hanno adempiuto al rito delle novene. Per nove giorni consecutivi, a partire dall’inizio di aprile, hanno compiuto quel tragitto assorte in contemplazione. Nessuna parola, neppure un saluto per chi le incontrava nel corso di un cammino fatto di attesa e di devozione. Dopo aver trascorso la notte nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, il santo si prepara alla partenza. La mattina del 4 maggio un corteo composto soprattutto da giovani si raccoglie per accompagnare Sant’Efisio nelle varie tappe del suo rientro a Cagliari, 32 chilometri che si snodano lungo la statale 195. La festa di Pula, quella che i suoi abitanti attendono e vivono come l’appuntamento religioso più importante dell’anno, termina qui. Lascia un senso di grande pienezza. Ma allo stesso tempo il vuoto dell’arrivederci. Al prossimo mese di maggio, quando il rito si ripeterà per la 351a volta. 96 Boschi e foreste La riserva naturale di Monte Arcosu è situata nella parte nord-orientale dei Monti del Sulcis. Una buona parte della zona è integrata nel bacino idrografico del Rio Santa Lucia. UNA TERRA COLOR SMERALDO Dalla foresta primaria di lecci nel Supramonte di Orgosolo all’Oasi del Wwf di Monte Arcosu. Un viaggio attraverso le bellezze di una natura sopravvissuta ai millenni e all’arrivo dell’uomo DI LELLO CARAVANO 100 Giorgio Marcoaldi/Panda Photo N el bosco millenario il sole raramente fa capolino, il silenzio è rotto solo dai sinistri scricchiolii di rami e alberi: di tanto in tanto precipitano a terra, si schiantano, muoiono, qualche volta rinascono. Sas Baddes, Supramonte di Orgosolo, è un paradiso inviolato. Qui sopravvive una rarità botanica unica al mondo: la foresta primaria di lecci, mai sottoposta a taglio dall’uomo. Alberi di 2030 metri, vegliardi vegetali che raggiungono anche i mille anni di vita, in lotta solo col vento e la neve. Qui è possibile ammirare il ciclo biologico completo delle piante: nascita, morte, rinascita. Tra calcari, muschi, alberi imponenti e contorti, dalle forme fantastiche, rami schiantati a terra sotto il peso dell’età, va in scena la biodiversità dell’isola. La foresta orgolese, di proprietà dell’Ente Regionale Foreste, è uno degli angoli più suggestivi dei Supramonti, tradizionale meta delle associazioni escursionistiche, che organizzano sia percorsi di trekking sia più comode gite in fuoristrada. Da qui con una suggestiva passeggiata sotto le fronde, quasi al buio, si arriva al nuraghe Mereu, bastione di bianco calcare che domina la gola di Gorroppu: un paesaggio che regala una magia unica. Da non trascurare la visita al leccio millenario di Badde Tureddu, uno dei più imponenti e spettacolari patriarchi verdi d’Italia, un mo- Nevio Doz Escursioni per tutti Domenico Ruiu/Panda Photo Domenico Ruiu/Panda Photo IN TRENO, FRA IL VERDE BOSCHIVO Sopra: un tònnero, una guglia calcarea tipica dell’Ogliastra. Sotto: una grandiosa lecceta del Supramonte di Orgosolo. Pagina seguente: il Trenino Verde attraversa zone tra le più selvagge e meno conosciute della Sardegna, nelle quali la ferrovia sembra inserita da sempre. Ci sono quattro linee che percorrono la regione a nord, nel centro-ovest e nel sud, da Cagliari direttamente verso il cuore isolano. numento verde che nasce dentro un gigantesco masso, mentre a poche decine di metri si possono ammirare le fioriture delle peonie rosa. Nella Sardegna tutta spiagge e mare c’è un cuore verde che non cessa di battere neanche in estate. Boschi sopravvissuti alle devastazioni e agli incendi, grandi distese di lecci e macchia mediterranea, aree forestali di pregio in gran parte di proprietà demaniale. Insomma, i panorami dell’interno non sono soltanto campi e pascoli riarsi dalle alte temperature e dalla siccità di luglio e agosto. C’è tutto un mondo di endemismi vegetali e specie rare, che attrae botanici da tutto il pianeta, ci sono scrigni faunistici con mufloni, cervi, martore, aquile, avvoltoi, grifoni, gipeti, astori, c’è la storia dell’uomo-pastore, ci sono anche molte tradizioni gastronomiche. Un’alternativa alle spiagge? Non solo. Questo Eden espone i suoi gioielli più preziosi soprattutto in primavera e autunno, quando il bosco mostra il suo volto migliore, tra ineguagliabili colori e saporiti frutti. Per chi trascorre le vacanze in Ogliastra, merita una visita un altro paradiso verde, Montarbu, a Seui. Boschi senza fine, ma soprattutto un fantastico scenario di tacchi o tònneri, le caratteristiche guglie di calcare che dominano il paesaggio da Gairo a Osìni (Perda Liana è il più conosciuto), dove si rifugiano mufloni e cervi. I panorami più suggestivi li regala il Trenino Verde, che conduce i turisti attraverso la foresta in un paesaggio di cascate e gallerie, lo stesso ammirato dai viaggiatori dell’Ottocento che si avventuravano sulla linea ferrata a scartamento ridotto. La Sardegna verde è varia. Nella foresta demaniale di monte Pisano, a Bono, nel Goceano (provincia di Sassari), è possibile ammirare il più esteso bosco di tassi dell’isola e forse d’Italia. Sos Niberos, a mille metri d’altezza, è un gioiello che la Regione ha consacrato monumento naturale. L’esemplare più maesto- Dal Supramonte alla Giara, dalle leccete ai nuraghi, dai mufloni ai cavallini. L’offerta di escursioni (a piedi, in fuoristrada o a cavallo, accompagnati da guide esperte) alla scoperta della Sardegna verde e segreta è molto ricca. Barbagia Insolita (sede a Oliena, 0782/28.60.05) propone suggestivi itinerari nel Supramonte orgolese, da Monte Novo San Giovanni a Sas Baddes e nuraghe Mereu, con pranzo nel bosco. Da segnalare, in particolare per le leccete del Supramonte, Zente (0784/9.43.78) e coop Ghivine (0784/ 9.67.21), a Dorgali, nonché Gorroppu (0782/ 64.92.82) a Urzulei: offrono anche free climbing, escursioni archeologiche e in grotta, e pranzi negli ovili. A Monte Maccione (Oliena), la coop turistica Enis gestisce anche un albergo nel bosco (0784/ 28.83.63). Per le escursioni tra codule e ginepri secolari nel selvaggio Supramonte di Baunei, da segnalare la coop Goloritzè (0782/61.05.99-368/7.02.89.80), che gestisce un rifugio nell’altopiano del Golgo). Altro scenario: il Flumendosa, tra cascate, gole e alberi di leccio e fillirea con Andalas (340/2.65.41.78). Per le visite nel fantastico scenario dei tacchi ogliastrini rivolgersi ad Archè (320/8.87.65.38): escursioni alla Scala di San Giorgio a Osìni e ai nuraghi Serbissi, Urceni e Orruttu. Per ammirare S’Ortu Mannu a Villamassargia si possono contattare i cacciatori dell’autogestita Simiu (339/3.89.17.77-334/1.65.85.22). Per gli itinerari nei boschi del Sulcis e di Marganai, a piedi o in fuoristrada: Centro Etnos (0781/4.31.37, Iglesias, specializzato anche nelle escursioni tra le vecchie miniere), Andaledda Tours (070/9.43.80.07, Assemini), coop Antarias (349/1.56.40.23, Siliqua). Propongono trekking a cavallo nel Sulcis: Circolo ippico Monte Fracca (0781/95.54.75, Santadi), Guide equestri ambientali (347/8.32.06.54, San Giovanni Suergiu). Infine, la Giara tra sugherete e cavallini: Sa Jara (348/2.92.49.83, Tuili), Sa Jara Manna (070/9.36.81.70), S’Ala de Mengianu (349/ 0.75.86.02, gestisce la biglietteria e il punto di sosta sul versante di Gesturi). (Lello Caravano) 103 Vincenzo Loi e Simonetta Pisano/Panda Photo UNA NATURA LUSSUREGGIANTE E BENIGNA, RICCA DI FAUNA Sopra: un tratto della valle fluviale del rio Picocca, che scorre nel Parco Naturale dei Sette Fratelli-Monte Genis (58.546 ettari). Sotto: un guardiaparco allatta un cucciolo di cervo sardo nell’Oasi del Wwf di Monte Arcosu, non lontano da Chia. Giorgio Marcoaldi/Panda Photo so si trova a Ucca ’e Grile, nei pressi di una sorgente e di un’area di sosta: un albero millenario alto 11 metri con una circonferenza di oltre sette. Per gli incontri più suggestivi, uno degli indirizzi giusti è la Giara: un altopiano di nero basalto esteso 45 chilometri quadrati tra le province di Cagliari, Oristano e Nuoro (gli ingressi più interessanti da Gesturi e Tuili). Tra impenetrabili boschi di sughere e stagni, is paulis, coperti in primavera dalle fioriture di ranuncoli, è facilissimo imbattersi nei cavallini selvatici, is quaddeddus, forse introdotti dai Fenici. Ma ci sono anche i paradisi verdi sul mare. Da Villasimius a Pula è sufficiente volgere lo sguardo verso l’interno per scoprire un mondo di alberi, rocce e ruscelli. Dai Sette Fratelli (il nome deriva dalle sette cime della piccola catena montuosa), tra Burcei, Sinnai e San Vito, con i sentieri ben tracciati e una fauna ricchissima, alla foresta del Sulcis, quasi 23.000 ettari, il più esteso bosco di lecci del Mediterraneo. Una vera miniera di natura, da Pantaleo a Piscinamanna, da Is Cannoneris a monte Nieddu fino alla riserva del Wwf a monte Arcosu: è il regno per eccellenza del cervo sardo, a due passi dalle spiagge di Chia e Santa Margherita. Foreste di proprietà della Regione, ben gestite e tutelate, che custodiscono le tracce del lavoro dell’uomo. È il caso di Marganai (tra Iglesias, Domusnovas e Fluminimaggiore) e del giardino botanico Linasia, che conserva sotto le sue fronde i paesaggi e i palazzi della civiltà mineraria, Arenas e Sa Duchessa in particolare, che conferiscono all’ambiente un fascino particolare. “Ora il prossimo passo”, spiega il direttore regionale dell’Ente Foreste, Graziano Nudda, “sarà l’apertura del bosco ai privati, per le attività silvocolturali e di turismo sostenibile. C’è molto da vedere. Fra tante eccellenze e tipologie segnalo una particolarità: all’Asinara, ieri supercarcere per mafiosi e brigatisti, oggi parco nazionale, c’è una lecceta degna del Supramonte”. Tra le curiosità, un piccolo gioiello a Villamasargia, nell’Iglesiente: S’Ortu Mannu (l’orto grande), un bosco composto soltanto di ulivi secolari, una sorta di giardino incantato dove, sotto le rovine del castello di Gioiosa Guardia, svetta sa reina, la regina, un albero di circa dieci metri di circonferenza. Un caso unico, un altro bel fiore all’occhiello della Sardegna col cuore verde. 105 I “deserti” dell’isola SABBIA FINISSIMA Il vento modella il cordone di candide dune di sabbia che delimita la lunga spiaggia di Porto Pino, sulla costa sud-occidentale dell’isola. L’oro della sabbia e il blu dell’acqua per paesaggi straordinari come Chia, Porto Pino, Piscinas, Pistis, Capo Comino... DI DANIELE CASALE Giancarlo Deidda TRA LE DUNE E SUL MARE SCOLPITE DAL MAESTRALE Nevio Doz A destra: le dune dorate di Piscinas (Arbus); tra macchia mediterranea, sabbia e villaggi minerari ormai abbandonati trova rifugio la fauna selvatica. In basso a sinistra: la “casa del poeta”, originale dimora costruita sotto un grande ginepro tra le dune di Pistis e il mare. Nella pagina seguente: le dune a capo Comino, promontorio che chiude a nord il golfo di Orosei; è l’unico habitat costiero di questo genere su tutta la costa orientale. I l piede affonda e la gamba scompare fin quasi al ginocchio. Il passo è lento, del resto è faticoso scalare una montagna di sabbia alta più o meno 30 metri. Arrivi in cima e ti rendi conto che le dune sono decine, una a fianco all’altra: una distesa ora dorata ora di un bianco che ti abbaglia. Sullo sfondo, il mare: quello azzurro e cristallino della Sardegna. Un’isola che non smette di stupire, di svelare ancora angoli segreti, straordinari. Eppure, a Porto Pino, Piscinas, Pistis ma anche a Chia, Is Arenas e capo Comino sembrano mancare solo i miraggi e le palme perché possano essere confusi con qualche località sahariana. Dune alte come palazzi e persino un de- serto – fino a pochi decenni fa tra i più estesi del Mediterraneo – sono un altro degli scenari che la Sardegna regala al visitatore che non si accontenta di spiaggia e ombrellone o di un’escursione nel Gennargentu. Un viaggio in poche aree circoscritte, localizzate nelle zone meridionali e occidentali dell’isola: lì dove per intere settimane soffia impetuoso il maestrale, il vento spinge la sabbia così forte che ogni anno le dune sono diverse. Una corsa, quella dei minuscoli granelli, interrotta soltanto dai ginepri curvati da raffiche che non lasciano tregua. Dall’altra parte della costa, a est, a capo Comino, che chiude a nord il golfo di Orosei, sono presenti le uniche dune affacciate sul mar Tirreno. La casa del poeta Giancarlo Deidda Antonello Lai Chi non ne ha sentito parlare non la troverà mai. Soprattutto perché, finché non ci si accede, è difficile distinguerla dal resto della vegetazione mediterranea. Però è unica: si chiama “sa domu ‘e su poeta”, la casa del poeta, e altro non è che un immenso ginepro coccolone trasformato in un rifugio che guarda il mare e le dune di Pistis. Un rifugio particolare: chi lo ha creato, trent’anni fa circa, è un signore di Gùspini, che ha voluto che ogni forestiero lasciasse due, tre strofe in rima alla fine della sua visita. E le poesie improvvisate sono ancora tutte lì: foglietti arrangiati, pagine di quaderno e persino pezzi di cartone che lasciano spazio alla fantasia, purché in rima, di chi ha avuto la fortuna di arrivare da queste parti. È un angolo di paradiso, questa “dimora”. Un paziente lavoro del suo inventore ha trasformato una pianta in una casa. Il “tetto” è ricoperto da piccoli cespugli essiccati di elicriso, profumatissimo arbusto tipico della macchia mediterranea. Il tronco principale del ginepro separa naturalmente le “stanze”: non manca quella dedicata ai componimenti. Poco fuori, un piccolo giardino di succulente. E poi la vista sulle immense dune di Pistis e sull’azzurro mare, che si raggiunge dopo 10 minuti di cammino. Tutt’attorno, il verde e, soprattutto, il silenzio. Per arrivare a “sa domu ‘e su poeta” occorre seguire, da Torre dei Corsari, la provinciale per Oristano. Dopo 5 chilometri, poco prima di un tornante, si imbocca sulla sinistra una strada bianca, riconoscibile per la presenza di una casa. Dopo 300 metri si gira a sinistra, altri 100 metri e si parcheggia. “Sa domu” è sulla destra. Giancarlo Deidda 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 Le dune di Chia, sulla costa meridionale dell’isola, sono una distesa di sabbia granitica, ora dorata ora più rossastra, interrotta qua e là da enormi esemplari di ginepri fenici. Montagne di arena in mezzo a calette tutte da scoprire. Solo a Porto Pino e Piscinas però queste montagne di sabbia incutono timore e rispetto. Porto Pino, che ricade nei territori di Teulada e Sant’Anna Arresi e così chiamato per la lussureggiante presenza di centinaia e rari pini d’Aleppo, è una lunghissima striscia di spiaggia che termina con le imponenti dune. FASCINO Per arrivarci, occorre mettere in conto una DI CONTRASTI passeggiata di mezz’ora sulla battigia: ma lo In alto: le vaste spiagge di Chia, lungo la costa spettacolo della meta ripaga ogni fatica. Una meridionale dell’Isola, muraglia di sabbia bianchissima si staglia a nei pressi di capo Spartivento; la sabbia poche decine di metri da un mare trasparengranitica, di tonalità te. Appena si cominciano a scalare, le dune dal dorato al rossastro, svelano tutti i loro segreti e il più sorprendente affiora proprio dalla rena: tronchi ormai fossilizzati di ginepri spuntano qua e là, trasformando il percorso in un sentiero lunare. Non è finita, perché dalla cima si scopre l’altro tesoro: nascosta dalla barriera dunale vegeta una fitta pineta di pini d’Aleppo che offre riparo dal sole. Un consiglio: è pericoloso avventurarsi nelle montagne di sabbia al di fuori della stagione balneare, perché si tratta di territorio militare che solo d’estate viene aperto ai turisti. Dirigendosi più a nord, seguendo la costa occidentale, tra villaggi minerari abbandonati dove gli unici abitanti sono i cervi e distese di rosmarino e lentisco, Piscinas (Arbus) è davvero un mondo a parte. Nonostante la notorietà, questo posto mantiene intatta la sua wilderness. Davanti il mare, alle spalle una sconfinata prateria di macchia mediterra- nea su cui spicca la sagoma curiosa di monte Arcuentu, che ricorda un volto dormiente. In mezzo, su un fronte di cinque chilometri, quelle dune color oro, immense e sterminate, sicuro rifugio per volpi e conigli. Contrariamente a Porto Pino, è d’obbligo visitare Piscinas lontano dai mesi caldi (luglio e agosto), quando il popolo dei camperisti sceglie altre destinazioni e soprattutto quando queste montagne sembrano vergini dalle impronte dei turisti. Si risale in auto, si percorrono ancora 30 chilometri in direzione nord, seguendo la provinciale che lambisce la Costa Verde, e si arriva a torre dei Corsari: dall’avamposto costiero spuntano altre dune, quelle di Pistis, caratteristiche perché prive di vegetazione pioniera. Il viaggio continua verso settentrione e, oltrepassato Oristano, sulla statale 292 prima di arrivare a S’Archittu (Cuglieri) a sinistra si nota una folta pineta, crea un affascinante contrasto con il mare. 110 111 Nevio Doz Johanna Huber/Simephoto 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 quella di Is Arenas. Niente di strano, se non fosse che quegli alberi risalgono agli anni Cinquanta del Novecento, quando venne messo in atto uno dei più imponenti tentativi di forestazione. Nessuna vena ecologista, ma il bisogno di frenare l’avanzata del deserto, all’epoca tra i più estesi del Mediterraneo, che rischiava anno dopo anno di sommergere i paesi vicini, VEGETAZIONE come Riola e Narbolìa. Sforzo in parte riuscito e ora, dove un tempo si vedeva solo sabbia a per- PIONIERA Sopra: folti cespugli dita d’occhio, tra le dune “soffocate” dal verde di ginepro e di lentisco c’è persino un campo da golf. Una spiaggia lun- colonizzano le dune delle spiagge di Chia. ga sei chilometri separa la pineta dal mare. Sullo sfondo i resti L’ultima tappa dell’itinerario è sulla costa della torre costiera orientale, nei pressi di capo Comino, che chiude di origine spagnola, risalente al XVII secolo; a nord il golfo di Orosei. Ci troviamo nei territori dalla torre si gode tra Siniscola e Orosei, che vantano splendide un notevole panorama perle come il litorale di Bèrchida e la laguna di che abbraccia il litorale verso sud, fino al faro Bidderosa. Le dune, le uniche della costa orienta- di capo Spartivento. A sinistra: a cavallo sul le, si stagliano sulla spiaggia di Silìta, colonizzate bagnasciuga nei pressi dai ginepri e da candidi gigli marini. di torre dei Corsari, non lontano dalle dune di sabbia di Pistis. 112 ARTIGIANATO Fotografie di Gianmario Marras Ricordo dell’Isola: dalle sagre ai salotti Sopra: alcuni esemplari di maschere dei mamuthones, vere e proprie opere d’arte realizzate da Ruggero Mameli nel suo laboratorio di Mamoiada. Pagina seguente: la divisa “completa” da mamuthones, esposta nel Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada, mostra tutto il fascino inquietante di queste straordinarie e ancora misteriose figure ancestrali. N La maschera del mamuthone ere come la notte. Grevi come l’offesa. Appese al grosso trave del laboratorio, is viseras – le facce – lo osservano mute come teste d’impiccato. Ruggero Mameli non ha paura: i mamuthones gli danno i brividi solo quando ballano carichi di campanacci per le vie del paese. Mamoiada, duemilasettecento anime nella Barbagia di Ollolai. Nelle due stanze al pianterreno della sua casa, l’artigiano Mameli dà forma ad incubi ancestrali scolpendo nella maschera del mamuthone la silenziosa rassegnazione dell’uomo bue. La maschera ha occhi infossati, fronte prominente, labbra pronunciate. Chi è il mostro? Il nemi114 co sconfitto e soggiogato. O la vittima destinata al sacrificio umano. O il vecchio ormai inutile condotto alla morte dalla sua stessa famiglia. Mameli non ha teorie da propugnare, solo le sensazioni che il legno trasmette alle sue mani mentre gli danno la forma. È il più conosciuto fabbricante di viseras. Nel suo piccolo, un artigiano unico al mondo. Da trent’anni ogni mattina afferra gli attrezzi e si specchia nel legno che plasma con austera pazienza. Cavare l’incubo dal pero selvatico, dalla quercia, dal corbezzolo e dal biancospino è un rito preciso come un’antica preghiera. Tre giorni di fatica: segare il tronco con luna crescente, tagliare, sgrossare, estrarre la faccia dalla massa informe e poi rifinire con asce, scalpelli, sgorbie e resolza, il coltello tradizionale. Infine bollire e asciugare il legno, appenderlo alla trave per la stagionatura. Due mesi sospeso tra terra e soffitto, l’uomo bue è tornato: pronto per la vernice fosca che dipinge il volto di nerofumo. Il risultato è ogni volta un pezzo unico, contrassegnato dalle tre “m”, Mamuthones - Mameli - Mamoiada, che certificano l’originalità dell’opera. Le viseras di Mameli sono arrivate nel resto d’Europa, in America e in Asia. Sfilano nei carnevali di Barbagia, brillano alla luce dei grandi fuochi che illuminano Mamoiada ogni 17 di gennaio, occhieggiano ai curiosi nelle case dei collezionisti e degli appassionati di Sardegna. Perché l’incubo si è fatto opera d’ar115 ARTIGIANATO ARTIGIANATO Sopra: campanacci (i sonazzos) di Carlo Sulis, “maestro campanaro” di Tonara, paese alle pendici del Gennargentu. Sono fatti tutti a mano, come una volta, e vengono ancora utilizzati per il bestiame oppure venduti come alcuni dei più richiesti souvenir messi in mostra nelle vetrine etno-chic delle grandi città. Ne esistono di almeno cinquanta tipologie diverse - ovali, quadrate, lunghe - ciascuna delle quali risponde ad altrettante diverse destinazioni d’uso. te, simbolo scuro dell’Isola primordiale e più vera. Mamoiada è sede anche del Museo delle Maschere Mediterranee che, oltre a quelle tradizionali del carnevale barbaricino, ospita maschere provenienti dal bacino del Mediterraneo (Grecia, Slovenia, Croazia e arco alpino). I campanacci Fra presse e crogioli incandescenti, venticinque fasi di lavorazione per raggiungere l’ovale perfetto e il giusto suono. Carlo Sulis è l’ultimo esponente di un mestiere in via d’estinzione: il campanaro. Essere l’ultimo, o quasi, di una razza speciale di fabbri non lo preoccupa. Anzi. Dalla sua fucina partono i sonazzos che finiranno al collo delle greggi di Sar116 degna, Toscana, Abruzzo e Sicilia. Ma anche nelle vetrine dei negozi etno-chic o nella teca ben illuminata di case molto eleganti. Perché l’unicità del campanaccio ne ha fatto un oggetto di tendenza. Si compra perché è utile, si espone perché è bello: segno inconfondibile di Sardegna. Il padre di Carlo e suo nonno, sonaggiargios prima di lui, non l’avrebbero mai immaginato. Figurarsi: il sonaglio destinato a capre, mucche e cani che finisce in esposizione a Cagliari e Milano. Ma se è unico, vuol dire che è esclusivo, e allora via alla caccia dell’esemplare più bello. Vietato parlarne al singolare, perché il campanaccio assume fogge e dimensioni diverse a seconda della destinazione d’uso. Tre le forme principali: ovale, quadrato e lungo, ma ne esistono al- meno cinquanta tipologie diverse. Ognuno con la sua voce, perché “Sas campanas funti comente sa gente: ognuna tene’ sa osce sua” (Le campane sono come le persone: ognuna ha la sua voce). E perché l’accordatura avviene a mano, pezzo per pezzo, fino a raggiungere quell’inconfondibile tono. Carlo Sulis è un artigiano coraggioso e spericolato, con l’aspetto di un magrissimo fuochista. Comincia dal foglio di lamiera, lo taglia a strisce, lo riduce in piccoli pezzi. Lo sagoma, lo sbozza, sorveglia l’imbutitura. Lo passa a fuoco, lo tuffa nell’ottone, a millecinquecento gradi, nei catini sigillati con l’argilla. Tutto a mano, sempre brigando col fuoco, il martello e l’incudine, perché la tradizione celebri ancora una volta il suo rito. Ma la campana è ancora muta. Allora Sulis afferra il mar- Sopra: una sala del Museo del Coltello Sardo, inaugurato da poco ad Arbus; qui si custodiscono pezzi unici, di grande valore artistico. Sotto: Giampaolo Cancedda mostra alcune delle sue creazioni realizzate nel laboratorio-atelier di Guspini. tello, e l’accorda fidandosi dell’orecchio. Solo dopo si applica il batacchio, e il sonaglio è pronto. Farlo ogni giorno. Farlo dieci, cento, mille volte. Far di mestiere il campanaro stanca. Ma è impagabile l’ebbrezza di vincere ancora una volta il ferro e il fuoco, e sentire che dalla materia informe promana quel suono unico di vento e di Sardegna. I coltelli Gli eschimesi hanno trentaquattro modi di dire “ghiaccio”. In Sardegna ci sono più di trenta parole diverse per indicare un unico oggetto: il coltello. Segno di un legame assoluto che risale alla notte dei tempi. Quando il sardo era o pastore o agricoltore e la lama panciuta, a foglia di mirto, a punta tronca, retrattile o fissa, era il prolungamento della sua stessa mano. La storia del coltello sardo è una storia plurale, perché ogni zona ha la sua lama. E quindi è una storia cantata a più voci. Perché l’arte di fabbricare arresojas non si è perduta, non è rimasta patrimonio esclusivo di pochi. Anzi. Da quindici anni almeno gli artigiani hanno riscoperto la vocazione antica e ricominciato in gran numero a forgiare lame, entrando stabilmente nell’olimpo della coltelleria italiana. Un successo testimoniato da ordini a valanga, spesso impossibili da esaudire. Perché la qualità richiede dedizione. Giorni di lavoro e produzioni numerate. Investire nell’eccellenza ha prodotto buoni frutti. Antonio Fogarizzu, ex assistente di volo Meridiana, ha detto addio alle ali d’argento appuntate sul taschino per tornare ai coltelli, passione di famiglia. A 35 anni è considerato uno dei migliori coltellinai in circolazione, vende in tutto il mondo attraverso il suo sito internet, è inseguito dai giornalisti della stampa specializzata come 117 ARTIGIANATO una star del “Grande fratello”. Merito anche del suo sorriso da fotoromanzo, ma soprattutto di un’arte ereditata dal nonno e dal padre, che lui ha saputo sganciare dalla tradizione per inseguire creatività e perfezione d’artista. I Fogarizzu, insieme ad Antonio Deroma e Raimondo Sistigu, hanno reso Pattada capitale sarda del coltello. Un ruolo che il piccolo centro del Sassarese divide con Guspini, cuore nobile della neonata provincia del Medio Campidano. A Guspini lavora Giampaolo Cancedda, che firma le sue lame con lo pseudonimo di Furitto (furetto). Baffoni folti, carattere non facile, Cancedda è l’emblema dell’artigiano antimoderno. Sui suoi pezzi ammette un’unica garanzia, la sua firma. Si sente un anarchico. Colpa del suo primo mestiere – l’allevatore – abbandonato quando ha scoperto di avere nelle mani l’abilità di cavare la perfezione dal metallo incandescente. Il coltello ha fruttato bene. Furitto è finito in tivù e sui giornali, e lasciata la fucina di campagna ai piedi di un monte dal nome sinistro (Le Streghe), ha aperto un laboratorio atelier al centro del paese. Dalla sua bottega il coltello guspinese ha raggiunto mezzo mondo: Francia, Germania, Australia e Stati Uniti. Sopra: una splendida realizzazione di Antonio Fogarizzu, di Pattada, che a soli 35 anni è considerato uno dei coltellinai più eminenti. La famiglia Fogarizzu, insieme con i Deroma e i Sistigu, ha fatto di Pattada la capitale sarda del coltello. Da utensile d’uso quotidiano a oggetto di culto per i collezionisti, il coltello è diventato il simbolo di un sapere locale che produce qualità e nuova ricchezza. L’economista keynesiano Antonio Sassu gli ha addirittura dedicato un libro. Secondo Sassu un sapere locale può innescare un circolo economico virtuoso. La conferma è nei fatti. Ad Arbus ha aperto il Museo del Coltel- lo Sardo. E ogni anno, tra Guspini e Pattada, si svolge “Arresojas, Biennale del Coltello Sardo”. La mostra, che a fine luglio sarà ospitata nel suggestivo borgo minerario di Montevecchio, attira ogni anno migliaia di visitatori ed è l’occasione ideale per mettere in vetrina la Sardegna meno scontata ma più affascinante: l’Isola della cultura e del metallo. Giovanni Antonio Lampis Dove comprare I MAMUTHONES Ruggero Mameli, via Crisponi 19, Mamoiada (Nuoro), 0784/5.62.22. Sito internet: www.mascheremameli.com. Prezzi: 80150 euro, a secondo del tipo di legno. Museo delle Maschere Mediterranee, piazza Europa 15, Mamoiada (Nuoro), 0784/56.90.18. Apertura: tutti i giorni, lunedì escluso. Costo del biglietto: 4 euro. Sito internet: www.museodellemaschere.it. I CAMPANACCI Carlo Sulis, via Giovanni XXIII 4-6, Tonara (Nuoro), 0784/6.38.45-6.35.78. Sito 118 internet: www.campanacci.it. Prezzi: da 1,50 a 50 euro. I COLTELLI Antonio, Pietro e Salvatore Fogarizzu, via E. Fermi 3, Pattada (Sassari), 079/ 75.52.27. Sito internet: www.fogarizzu. com. Per ammirare le creazioni di Antonio Fogarizzu: www.fogarizzuknives.com Antonio Deroma, piazza Vittorio Veneto, Pattada (Sassari), 079/75.40.40. Sito internet: web.tiscali.it/antonioderoma. Raimondo Sistigu, via Duca d’Aosta 20, Pattada (Sassari), 079/75.54.10. Giampaolo Cancedda, detto “Furitto”, via Zeppara 73, Guspini (Medio Campidano), 338/9.27.38.08. Museo del Coltello, via Roma 15, Arbus (Medio Campidano), 070/9.75.92.20. Sito internet: museodelcoltello.it. Nelle sale, ricostruzione del laboratorio ottocentesco di un fabbro. Arresojas, Biennale del Coltello Sardo, Montevecchio – Guspini. La manifestazione si svolge ogni anno a cavallo tra l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto. Per informazioni: Pro loco Guspini, 335/ 5.79.79.43. Sito internet: www.arresojas.net. 119 TURISMO EQUESTRE TURISMO EQUESTRE Fotografie di Giancarlo Deidda Girotondo a cavallo in Barbagia Alcuni partecipanti alla cavalcata del “Ballu tundu a caddu” nei pressi di Gavoi, tappa iniziale di un tour equestre che dura cinque giorni e che si svolge tutt’intorno a Nuoro, “capitale” della Barbagia. A cavallo della Sardegna. O meglio, del suo cuore, la Barbagia. Un’isola nell’isola. Con i suoi profumi, i suoi sapori, un’alba e un tramonto che, da una gola all’altra, non sono mai uguali. L’hanno ribattezzato “Ballu tundu a caddu”, mettendo insieme già nel nome le tradizioni popolari (su ballu tundu, ovvero il ballo tondo, che è una delle coreografie più diffuse tra i gruppi folk) e uno dei simboli del lavoro per molti sardi, il cavallo (caddu, nel Nuorese). 122 Un ballo in sella tra lecci e ginepri che gira intorno alla “capitale” barbaricina, Nuoro. Quattro giorni e quattro notti tra gole e dirupi, boschi e laghi, nuraghi e mufloni e, con un po’ di fortuna, il volo di un’aquila. Una fatica ripagata non solo dal piacere per gli occhi, ma anche per il palato. Soprattutto quando, la sera, lasciato il cavallo in stalla, ci si può rifocillare in un agriturismo con il guanciale di maiale stagionato in montagna, i ravioli ripieni di formaggio e conditi con il sugo di pecora, o gli arrosti di maialetto o di capra. Sessantacinque i cavalieri protagonisti dell’edizione dello scorso anno. Una quindicina i comuni coinvolti in un’iniziativa a metà strada tra lo sport equestre e l’escursionismo. “Quest’anno ‘Ballu tundu a caddu’ conoscerà la sua terza edizione”, spiega il promotore, Mario Cadau, presidente del centro di turismo equestre Taloro che, a Fonni, ha sede accanto allo splendido lago di Gusana (info: www.centroequestretaloro.com; 0784/5.84.22; 348/6.92.70.12). In genere il periodo prescelto è giugno. Si parte da Ollolai per arrivare a Ovodda, passando per Gavoi, Fonni, Orgosolo, Oliena, Orune, Orotelli, Oniferi, Orani, Sarule, Olzai e Tiana. Nel saliscendi si incontrano i laghi di Gusana, Olai e Cuchinadorza. Oppure le chiese campestri di Sant’Efisio, del Buon Pastore e il santuario di Nostra Signora di Gonare, che svetta dall’alto dei suoi 1.100 metri su tutti i cristiani di Sardegna. Arte religiosa, ma anche archeologia, come le domus de janas (letteralmente case delle fate, antiche sepolture) di “San Concas” o i dolmen di “Su verre”. Ambiente, tradizioni, storia e cultura si fondono, in “Ballu tundu a caddu”, con i profumi e i sapori della cucina tipica dell’interno della Sardegna. Ma, a parte il trionfo della natura, l’itinerario mette in vetrina paesi spesso uno di fianco all’altro ma con un’identità diversa e difesa con fierezza. Il consiglio è di perdersi, di tanto in tanto, davanti ai murales di Orgosolo, che ha trasformato le facciate delle case in tante tele per i maestri dei murales. O di farsi rapire dalle leggende sui gelidi inverni di Fonni, il paese più alto della Sardegna. O magari da quelle dei simpatici demoni che animano il carnevale barbaricino. Ma i grandi protagonisti di cinque giorni alla scoperta della Sardegna più vera sono il cavallo e il territorio. Una simbiosi millenaria in terra di Gennargentu (la porta d’Argento), tra le vigne e gli oliveti ai piedi del Monte Corrasi, spiati dai cinghiali che scrutano l’invasore intento a risalire il rio Aratu. Cinque giorni vissuti in un’altra Sardegna. Insieme ai barbaricini, sardi fieri, operosi e ospitali. Emanuele Dessì Questo “evento”, a metà strada tra lo sport equestre e l’escursionismo, si snoda lungo nella foto siamo nel territorio del comune di Fonni) che permette di conoscere ambiente, un itinerario (n tradizioni, storia e cultura di una delle zone interne meno conosciute della Sardegna. 123 L’ampia piazza Roma, cuore della cittadina di Carbonia, nel Sulcis. È una spianata dove risaltano la parrocchiale di San Ponziano, con un’interessante cappella votiva dedicata a Santa Barbara, e il lungo edificio municipale. Le città di fondazione Inventate dal fascismo negli anni Venti e Trenta in zone minerarie o terre di bonifica, Carbonia, Arborea e Fertilia sono tre originali esempi di “città nuove” DI WALTER FALGIO Giancarlo Deidda NELLA MENTE DELL’ARCHITETTO Dalla cima del monolite trachitico, ex torre littoria sulla piazza centrale, si coglie come in un’istantanea l’idea della “città nuova”. Inventata dal fascismo nel 1937 e inaugurata l’anno dopo, Carbonia era un ventaglio di tetti bassi, vicini e ordinati. Un accampamento di pietra sulla miniera, steso su un declivio di medesima pietra davanti al mare. Un alveare di bianco calcare e rosso trachite riempito di lavoratori spaesati e annichiliti dalla fatica. Oggi, l’ultima città di fondazione del regime è PIANIFICAZIONE divenuta un centro attivo e URBANISTICA moderno che riesce ad arA destra: veduta sui monizzare lo spessore traquartieri periferici di Carbonia dall’alto vagliato della storia minedel colle Rosmarino. raria con la spinta propulRisalta bene l’uniformità siva dello sviluppo turisticostruttiva nell’ambito delle diverse tipologie co. Una visita a Carbonia abitative. Pagina seguente, riserva molte gradevoli in basso: l’elegante sorprese, perché proprio e geometrico porticato della costruzione adesso la città sulcitana viche ospita gli uffici ve una stagione di rinascipubblici (a sinistra) ; l’imponente torre civica ta senza precedenti. in bugnato rustico, Con sensibilità e rigore i prospiciente su piazza nuclei principali del regolaRoma, è uno dei tanti edifici presi a simbolo re progetto urbanistico sono della cittadina (a destra). stati riportati alla loro bellezza essenziale e severa. A cominciare proprio dalla torre civica nella piazza Roma, l’ex casa del Fascio, sede degli uffici comunali e visitabile su richiesta (0781/6.17.54). Il tetto del rude edificio di bugnato rustico è un ottimo punto d’osservazione da raggiungere con l’ascensore panoramico. All’ingresso troneggia un bassorilievo di Venanzio Crocetti con allegorie fasciste, riscoperto casualmente durante un restauro. Al primo piano, in quella che era la sala del direttorio perfettamente recuperata, ben si combina il dipinto dell’aeropittore futurista Corrado Forlin. L’abbagliante granito della piazza Roma, riportata alla sua prima conformazione l’anno scorso, esalta l’utopia razionalista dell’ex Dopolavoro centrale, ora sala consiliare. Progettato da Giuseppe Pulitzer-Finali, l’edificio contrappone sobrie colonne alla robustezza della torre e si connette orizzontalmente con il Teatro Centrale (0781/67.16.19, rassegna Cedac, www.cedacsarde gna.it) e del Teatro Lirico di Cagliari (070/4.08.22.30, www.teatroliricodicagliari.it). Dalla parte opposta della piazza, abbellita con sculture di Giò Pomodoro e di Pinuccio Sciola, il municipio. Chiude il lato est il complesso parrocchiale di San Ponziano, progettisti Cesare Valle e Ignazio Guidi. La monumentalità della costru- 126 Fotografie di Giancarlo Deidda Carbonia zione, e in particolare l’abside, ricordano i profili di una fortificazione. All’interno, splendida Via Crucis lignea di Eugenio Tavolara. Dalla piazza, spianata dominante della città affacciata verso il mare, si diramano i principali assi viari che mettono in comunicazione con le periferie. Nella vicinissima via Napoli, l’ex casa del direttore della miniera ora Museo Archeologico Villa Sulcis (in restauro, 0781/69.11.31) e altre ville un tempo destinate ai responsabili aziendali. Nella parallela via Campania si trova il Museo di Paleontologia Martel (9-13, 16-20, 0781/69.10.06, chiuso il lunedì). Man mano che ci si allontana dal centro, la tipologia costruttiva gerarchicamente si impoverisce sino ad arrivare all’altra faccia della Carbonia che fu. Quella popolare e operaia. Percorrendo la commerciale via Gramsci, proseguendo e risalendo via Satta che abbraccia i giardini pubblici del colle Rosmarino, si giunge al quartiere Lotto B. I cameroni che ancora resistono nella zona di via Fiume ospitavano fino a 60 minatori per stanza. Diversi sono stati ristrutturati, altri saranno recuperati dal Comune come quello trasformato in chiesetta operaia al numero 23 di via Sicilia. Le derelitte e povere residenze sono un passaggio obbligato se si vuol capire Carbonia: i cuori e le braccia che hanno tenuto in piedi questa città vivevano qui. Dalla terra del carbone il viaggio alla ricerca delle città di fondazione novecentesche prosegue verso nord, sempre sulla costa occidentale, sino ad Arborea, 17 chilometri da Oristano. Impareggiabile l’itinerario che dalla statale 126, che collega Iglesias con Carbonia, prosegue per Fontanamare, Nebida, Ma- sua. Da qui la stradina si inerpica, costeggia le miniere di Aquaresi e Montecani per poi ridiscendere al mare di Buggerru. Ci si ricongiunge alla 126 in direzione Arbus, Guspini, Terralba e quindi Arborea. Il percorso tra panorami, spiagge come Nebida e Cala Domestica, faraglioni e archeologia industriale si completa in una giornata, preferibilmente in primavera e, date le condizioni delle strade, senza fretta. L’altra Carbonia: mare, archeologia e miniere Carbonia, oltre che città-museo dell’architettura moderna, significa anche mare. A pochi minuti dalla città si trovano le spiagge di Sant’Antioco e di Porto Pino. Significa archeologia, con il parco di Monte Sirai e l’insediamento fenicio-punico (0781/67.39.66), le Domus de Janas e le necropoli preistoriche di Monte Crobu e di Cannas di Sotto. Ma soprattutto Carbonia vuol dire miniera. Il 2 giugno, dalle ceneri degli impianti di Serbariu aperti nel 1939 e chiusi nel 1964, sorgerà il Centro italiano della cultura del carbone. La mascotte Crabò, gioco di parole tra capra e carbone in lingua sarda, accompagnerà i visitatori in un mondo a parte: la miniera rinata. La vecchia lampisteria, dove un tempo c’erano i macchinari per la ricarica delle lampade Edison e i locali di servizio dei minatori, diventa un museo. Nell’area tutt’intorno tornano a vivere i luoghi di lavoro e di lotta. Ecco la rimessa delle biciclette, inizio e fine della giornata del minatore, ecco i locali della grande caldaia che forniva l’acqua alle docce. Nei padiglioni della torneria e delle forge oggi c’è una sede dell’Università di Cagliari dove si svolge il master in Recupero e conservazione dell’architettura moderna. Nelle ex officine ci sono il Museo Paleontologico e, nel magazzino materiali, il Centro di ricerca per l’energia pulita. Confluiranno a Serbariu esperti di fama mondiale. E sottoterra, nelle gallerie, si potrà ammirare una ricostruzione perfetta delle tecniche estrattive dagli anni Quaranta a oggi. Il mega-progetto di recupero dell’area industriale coordinato dal Comune prevede anche un vicino centro intermodale. NEL CUORE DELLA BONIFICA Fotografie di Gianmario Marras A sinistra: suggestivo scorcio dell’idrovora di Sassu che si eleva nella campagna a nord di Arborea, vicino allo stagno di S’Ena Arrubia. L’imponente edificio, in purissimo stile modernista, è una “macchina futurista”, opera di Flavio Scano. Pagina seguente: la parrocchiale del Cristo Redentore sulla centrale piazza Maria Ausiliatrice di Arborea. Accanto, un alto campanile, al cui interno è collocato un grande serbatoio che può contenere una riserva d’acqua di 40 metri cubi. Arborea Il piccolo centro vicino a Oristano, una delle prime città di fondazione del fascismo, venne inaugurato il 29 ottobre nel 1928 col nome di Villaggio Mussolini. Nel 1930 diverrà comune e si chiamerà Mussolinia di Sardegna. Era un borgo per mille persone, pianificato al centro dell’area di bonifica terralbese, vicino ad altre corti coloniche dove vivevano immigrati veneti, friulani e dell’Emilia Romagna. L’incontro di stili diversi – da una sorta di Neomedievale eclettico di Carlo Avanzini al Razionalismo di Giovanni Battista Ceas, a ciò che è stato definito “macchinismo futurista” di Flavio Scano – fanno di Arborea un esempio straordinario nello scenario urbanistico delle “città nuove”. Sulla piazza principale Maria Ausiliatrice, un rettangolo con un prato d’erba (così lo descrisse Elio Vittorini in Sardegna come un’infanzia) si affacciano la chiesa, il dopolavoro, la scuola, la villa del presidente delle Bonifiche 128 Sarde e del direttore dei lavori, il municipio (Museo Archeologico, 0783/86.71.82) e la locanda. In questi edifici, primi fabbricati del centro, si coglie non senza sorpresa la vistosa commistione tra Liberty e Neoromanico, tra stile lombardo e accenni di Modernismo. Nell’abside della chiesa del Cristo Redentore, una pala di Filippo Figari. A pochi passi dal nucleo originario, a costituire il nuovo polo urbano della cittadina verso Alabirdis, si presentano le creazioni razionaliste di Ceas: l’ex casa del Fascio con la torre littoria e l’ex casa del Balilla, entrambe del 1935. Due episodi tanto rilevanti quanto poco conosciuti dell’architettura italiana del Novecento. A corredo finale del catalogo dei linguaggi costruttivi espressi nella città della bonifica, sta la “macchina futurista” di Scano, quell’idrovora di Sassu che ancora suggestiona davanti allo stagno di S’Ena Arrubia: poco fuori Arborea, verso nord. DOVE DORMIRE E MANGIARE CARBONIA Agriturismo San Giorgio, località Flumentepido Terra Niedda, 0781/67.59.48-328/8.73.15.91 Casa rurale in pietra ristrutturata a pochi chilometri dalle spiagge. Doppia, mezza pensione, alta stagione: 55 euro. Ristorante Tanit, località Sirai, 0781/67.37.93. Menù a base di pesce: 30 euro. Ristorante Bovo da Tonino, via Costituente 18, 0781/6.22.17 Specialità: tonno al Cannonau, spaghettini ai ricci di mare. Menù: massimo 40 euro. ARBOREA Locanda del Gallo Bianco, piazza Maria Ausiliatrice 10, 0783/ 80.02.41, www.locandadelgallo bianco.it. Suggestivo alberghetto del 1929 al centro della città, con piacevoli arredi d’epoca. Doppia e prima colazione: 45 euro. Fotografie di Gianmario Marras FERTILIA Hotel Bellavista, piazza Venezia Giulia 1, 079/93.01.24. Semplice albergo affacciato sul mare, nel nucleo storico della cittadina. Doppia e prima colazione, alta stagione: 64 euro. Fertilia Sopra: uno degli edifici abitativi di Fertilia, realizzati secondo i dettami del piano regolatore definitivo del 1939. In alto, a destra: la semplice facciata della parrocchiale di San Marco, il santo patrono, e la sua torre campanaria. 130 Da Oristano si imbocca la statale 131 direzione Sassari, poi Alghero e a 7 chilometri si incontra Fertilia, una frazione con porticciolo turistico (079/93.05.65). L’originario centro rurale funzionale alla bonifica della Nurra, la cui prima pietra fu posta nel marzo del 1936, mantiene ancora una spiccata identità. Caso raro in Italia. L’ampia piazza San Marco, sul mare, è circondata dagli uffici della rappresentanza comunale, con la vicina torre, da abitazioni, albergo, teatro e dall’ex casa del Fascio. Dalla porticata via Pola si giunge alla chiesa di San Marco, con mosaici di Giuseppe Biasi. Nel parco adiacente si trova la dinamica e futurista scuola elementare di Arturo Miraglia, primo progettista di Fertilia. In questo piccolo borgo si insediarono inizialmente contadini ferraresi; a questi si aggiunsero, nel dopoguerra, profughi giuliani. In tempi più recenti ha perso la sua connotazione rurale e ha sviluppato, grazie alla sua bella posizione sul litorale, una vocazione turistica. 131 Alghero (Sassari) LE TORRI DI “ALGUER” Un itinerario suggestivo lungo le mura e le torri catalano-aragonesi che cingono il centro storico del vecchio borgo marinaro DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI GIANMARIO MARRAS Veduta del centro storico di Alghero, con la cattedrale di Santa Maria sullo sfondo e in primo piano parte della cinta muraria e delle torri, in gran parte demolite a partire dalla fine del XIX secolo. A lghero, la catalana Alguer, frizzante come una coppa di champagne, continua a rinnovarsi. E a valorizzarsi riscoprendo i tesori più antichi. Nasce così il museo diffuso, un insieme di realtà diverse, collegate in un itinerario culturale che comprende il complesso del Caval Marì, che tra luglio e agosto ospita la terza edizione della mostra “Trama doppia” dello stilista Antonio Marras, il 134 Museo Diocesano e quelli in fieri della Città, in via Carlo Alberto accanto alla chiesa di San Michele, e del Corallo, in una villa Liberty all’inizio di via XX Settembre (apertura entro la fine del 2006). E poi le torri, che insieme alle mura cingono il centro storico e si mostrano in tutta la loro imponenza, fiere custodi dell’antico borgo genovese, diventano dei veri e propri centri espositivi. È un’iniziativa in divenire, ma promette molto bene. La torre di Porta a Terra MEDIOEVO (Portal Reial), la prima a essere SUL MARE stata recuperata, nei secoli pasIn alto: uno sati era l’ingresso principale delscorcio del porto turistico di la città e oggi mantiene il suo Alghero visto ruolo in chiave moderna. Al piadai Bastioni Magellano; sullo no terra ospita il Centro di sfondo, il profilo informazione e accoglienza turidi capo Caccia. stica (Cooperativa Itinera, 079/ A sinistra: la torre di Santa 9.73.40.45), oltre a un angolo deBarbara o della dicato ai libri su Alghero e la Polveriera, dove Sardegna, mentre al primo piano venivano depositate le accoglie il museo multimediale: polveri per i nove computer touch screen per cannoni collocati poco distante. conoscere il passato della città. Nella pagina La storia è suddivisa in temi diseguente: il porto versi, dal periodo pre-genovese turistico e alle spalle il campanile fino al 1867, quando Alghero gotico-catalano perse la funzione di piazzaforte. della cattedrale Ognuno, liberamente, può apdi Santa Maria. profondire gli aspetti che gli interessano. In mezzo al salone troneggia un grande plastico di Alghero fortificata, prima dell’abbattimento delle mura avvenuto nella seconda metà dell’Ottocento. Salendo sulla terrazza, appena aperta al SPALTI E CANNONI Sopra: uno dei cannoni situati alle spalle della più bella e imponente delle sei torri catalanoaragonesi, la torre dello Sperone, oggi torre Sulis in onore del patriota Vittorio Sulis, qui rinchiuso dal 1799 per 21 anni. Una scala elicoidale ricavata nelle mura perimetrali permette l’accesso alla terrazza. Destinata in origine a luogo carcerario, la torre, restaurata, è oggi uno spazio espositivo. Nella pagina seguente: torre della Maddalena inglobata nel bastione omonimo, l’unico superstite dei tre bastioni fortificati costruiti nel XVI secolo. Situata nella zona del porto, ha dimensioni minori rispetto alle altre. È chiamata anche torre Garibaldi da quando l’”eroe dei due mondi” approdò ad Alghero nel 1855. 136 pubblico, si ha una visuale a 360 gradi sul centro storico e sul porto turistico, sullo sfondo del promontorio di Capocaccia. Uno spettacolo. Da quest’estate proprio da Porta a Terra partono sette itinerari tematici guidati, tra cui quello dedicato ai panorami crepuscolari. Il più suggestivo e romantico. Al tramonto si sale nei punti alti del centro storico, tra cui il campanile della cattedrale, e si osserva il sole che infuoca il golfo. Da quest’anno il centro informazioni propone anche visite audioguidate in sei lingue, compreso ovviamente il catalano, parlato comunemente tra la gente di Alghero. La torre di San Giovanni, appena restaurata, diventa uno spazio espositivo attrezzato per mostre temporanee. Lungo l’itinerario vale una sosta la Slurperia, in largo San Francesco che in estate propone cinquanta gusti di gelato diversi: da provare il gelato al torrone di Tonara. Pochi passi ed ecco piazza Sulis: una spianata sul mare dominata dalla cinquecentesca torre dell’Esperò Reial o Sulis, in onore di Vincenzo Sulis, notaio, patriota e memorialista, una sorta di Che Guevara della Sardegna. Nel 1793 combattè attivamente contro l’invasione dei francesi e poi fu protagonista delle insurrezioni antipiemontesi per cacciare il viceré da Cagliari (1794). Condannato al carcere a vita, venne rinchiuso prima nella torre dell’Aquila a Cagliari e, dal 1799, nella torre dello Sperone di Alghero (oggi torre Sulis), dove visse fino al 1821, quando fu graziato dal re 137 Vittorio Emanuele. Morì esule alla Maddalena nel 1834. Interessante l’autobiografia di Sulis riscritta dai “Marinai del Tempo”, un gruppo di studenti del liceo classico Gramsci di Olbia, pubblicata dalla piccola casa editrice sassarese Doramarkus. La torre Sulis a settembre ospiterà una mostra di foto, curata da Salvatore Ligios, che s’inserisce nei network europei dei festival di fotografia (European month of photography e Festival of Union), a cui partecipano 20 giovani fotografi europei. In piazza Sulis si concentrano alcuni dei grandi nomi della ristorazione algherese: Il Pavone (079/97.95.84) , che propone una cucina creativa, e La Lepanto (079/97.91.16), dove si mangiano le migliori aragoste. Seguendo il litorale verso nord, davanti al UN LUNGO pronao della seicentesca chiesa del Carmen, si CAMMINO incontra la torre di San Giacomo o dei cani, DI PIETRA perché nel XX secolo era utilizzata anche come L’ultimo tratto canile, prossima sede di un nuovo spazio mudelle fortificazioni spagnole è seale. Una sosta per un drink al Girasol (079/ costituito dai 9.73.50.16), fruit bar per ogni età, dove fanno bastioni Marco frullati e cocktail dal sapore esotico, o per un Polo, recentemente restaurati; pranzo alla trattoria La Cuina (079/97.69.38), separano l’antico dove preparano piatti della vecchia cucina alquartiere ebraico dal mare, che si gherese: minestra di pesce, di ricotta fresca, apre verso nord agliata di pescatrice e di gattuccio, ricci e sarsul bellissimo dine fritte. Da qui comincia la passeggiata sulla muralla (la muraglia in algherese). Il percorso di pietra che circonda l’antico borgo di origine genovese prosegue sui bastioni Marco Polo, recentemente restaurati. È l’angolo più intimo, più autentico, parallelo alla zona un tempo abitata dagli ebrei catalani, che hanno avuto un ruolo importante come finanziatori per la conquista spagnola di Alghero. La passeggiata lungo il mare arriva alla Garitta reale, utilizzata storicamente come punto vedetta e deposito di armi. La torre della Polveriera e quella della Madonnina (Sant’Elm) sono ancora da recuperare. L’ultima parte di bastioni, la più bohémienne, d’estate pullula di artisti di strada. Seduti ai tavolini del Caffè Latino (079/97.65.41), si assiste a simpatici spettacoli improvvisati. Con una scalinata si scende alla Porta a mare, detta Poltu Salve (in passato era il solo ingresso in città dal mare), dove si dice sia passato Garibaldi. Chiude il giro la Maddalenetta, unico forte rimasto del sistema catalano-aragonese. Il recupero di questo monumento storico, grazie a un elegante allestimento teatrale dotato di 500 posti a sedere, ha trasformato un severo baluardo in una delle due sedi dei grandi eventi di Festivalguer (www.sardegnaconcerti.it), insieme all’anfiteatro Maria Pia, sul litorale per Fertilia. panorama della rada di Alghero. 138 139 Turismo religioso VACANZE DELLO SPIRITO Un nuovo modo di viaggiare, ideale per chi apprezza uno stile di vita semplice, a contatto con la natura, che predispone a momenti di riflessione e meditazione Gianmario Marras DI LAURA FLORIS L’elegante facciata della basilica di San Pietro di Sorres, a Borutta. Risaltano le arcate che cadenzano i tre ordini e la bifora centrale, situata proprio sopra il portale. due laterali più piccole. A colpire è la ricchezza delle decorazioni fatte di intarsi, cornici, archi, pilastri e colonnine. L’architettura interna è sobria ed elegante, valorizzata dal contrasto policromo della pietra. Sono migliaia i turisti che ogni anno si recano a visitare la basilica e che decidono di alloggiare nel convento per condividere le suggestioni della vita monastica. Contattando i monaci (info 079/82.40.01) è infatti possibile trascorrere qualche giorno all’interno della maestosa struttura. A un patto però: che si segua alla lettera la regola del santo che fondò quell’ordine nel VI secolo. L’ora et labora è l’imperativo che sorregge la vita dei monaci. Sveglia dunque alle 5.25, seguita da 20 minuti di preghiera collettiva. Alle 6.30 colazione e alle 7.30 le lodi mattutine. Messa alle 8 e, dalle 9 alle 12.40, il lavoro. Coltivazione della campagna, dei vigneti, degli uliveti, degli orti e della pineta. Oppure l’affascinante lavoro del restauro dei libri antichi che giungono da tutte le biblioteche dell’isola per essere rimessi a nuovo. Il rito del pranzo, secondo l’insegnamento di Benedetto da Norcia (480-547), si svolge in un rigoroso silenzio, rotto solo dalla lettura di testi religiosi da parte di un membro della comunità. Il pomeriggio, lectio divina, lettura e studio della Bibbia. Breve ricreazione e alle 21 a letto. Il monastero di San Pietro di Sorres è meta privilegiata anche di gruppi e associazioni che vi svolgono gli esercizi spirituali. Per alloggiare è prevista un’offerta libera. Periodo ideale per visitare il complesso benedettino è il mese di giugno. A Borutta, infatti, si celebra la festa dell’Ottava del Corpus Domini, così chiamata perché cade otto giorni dopo la solennità religiosa. I fedeli giungono in processione dal paese alla basilica. Dopo la Fotografie di Giancarlo Deidda U n viaggio alla ricerca di un bene sempre più raro e prezioso. Il silenzio. Per riflettere, leggere, studiare, osservare la natura e dedicare qualche ora alla contemplazione. La Sardegna offre anche questo. E sempre più in voga è il cosiddetto “turismo religioso”. Chi lo pratica sceglie la propria meta sulla base di requisiti talvolta opposti rispetto al turista classico. Letti scomodi, pasti frugali, stile di vita morigerato. Sull’altopiano calcareo che sovrasta Borutta, Bonnanaro e Torralba (a 40 chilometri a sud-est di Sassari, in prossimità della statale 131), sorge il monastero di San Pietro di Sorres, fondato nel 1112 dai Benedettini. È un sito pieno di fascino, con un pregevole equilibrio tra ambiente e architettura. La basilica, uno dei più suggestivi esempi dello stile romanico-pisano, fu edificata tra il 1170 e il 1200. Ha una navata centrale e I CAPPUCCINI DI SANLURI A sinistra: la semplice facciata della chiesa di Sanluri, nel Medio Campidano; fondata nel Seicento e dedicata a San Francesco, fa parte del complesso conventuale dei frati Cappuccini. Sopra: il piccolo chiostro del convento, che ospita attualmente cinque frati. Dentro l’edificio si può visitare il museo di oggetti sacri, inaugurato nel 1911. 145 Antonio Saba DEVOZIONE celebrazione della messa, per le vie e le Uno dei periodi suggeriti per visitare il POPOLARE Sopra: il santuario piazze del paese si organizzano spettacoli, convento di Sanluri è la fine del mese di setdi Santa Greca canti e balli (info 079/82.40.25). tembre per non mancare all’appuntamento sorge all’ingresso Spostandosi nella parte meridionale della con una delle feste popolari più celebrate nel dell’abitato di Decimomannu. Sardegna, nella zona del Medio CampidaCagliaritano: Santa Greca, che ricorre a DeciÈ noto soprattutto no, e percorrendo la statale 131, a circa 45 momannu (a 18 chilometri da Cagliari, sulla per il culto chilometri da Cagliari si trova un’altra sorstatale 130) nell’ultima domenica del mese. tributato alla santa con una delle feste presa per gli amanti del turismo religioso. È Si tratta di un giorno molto atteso dai fedeli popolari più sentite il convento dei Cappuccini (info 070/ che costituisce anche un momento di grande del Cagliaritano (l’ultima domenica 9.30.71.07) edificato a breve distanza delsocialità. La santa, come attesta una lapide di settembre). l’antico borgo di Sanluri, su uno dei colli funeraria ritrovata nel 1614 tra i ruderi di più panoramici del territorio. Dal sagrato, un’antica chiesa del paese, sarebbe vissuta nelle giornate limpide lo sguardo può spaziare su tra il III e il IV secolo e sarebbe morta all’età di 20 anni. tutta la pianura del Campidano, dal massiccio vulcaLa tradizione colloca il suo martirio nel periodo delle nico dell’Arcuentu fino a cogliere i contorni della persecuzioni degli imperatori Diocleziano e MassimiaSella del Diavolo, promontorio che si affaccia sul lino. Santa Greca viene festeggiata anche il 12 gennaio e torale cagliaritano. La struttura, la cui costruzione fu il 1° maggio. Nei giorni che precedono le feste di magavviata nel 1609, può ospitare circa 20 persone. I fragio e settembre si eseguono alcuni riti di antica origine: ti sono attualmente soltanto cinque. Una parte degli la vestizione della statua e la decorazione dell’abito con alloggi è costituita dalle cellette utilizzate dai relinumerosi oggetti preziosi, tra cui antiche catene, spilli giosi nel 1600. All’interno del convento è stato allee anelli d’oro. Durante queste ricorrenze, dalla chiesa stito un interessante museo (inaugurato nel 1991) parrocchiale di Sant’Antonio Abate parte la processioche raccoglie oggetti sacri, reperti archeologici, artine preceduta dal grande reliquiario, che arriva al sangianato locale e opere delle arti e dei mestieri esercituario di Santa Greca, risalente al XIV secolo. Sul piaztati dai frati. Le sale espositive sono ricavate in un’azale avviene l’incontro del simulacro con la reliquia. la interna del convento alla quale si accede dal nuoNumerose le manifestazioni di devozione popolare. vo chiostro. Ai lati delle porte di ingresso è possibile Nel santuario, ai piedi di Santa Greca, ciocche di capelvedere gli antichi strumenti dei laboratori di fisica li, fotografie, stampelle e altri oggetti testimoniano la ri(orario: 9-12 e 16-18, solo per appuntamento). conoscenza dei fedeli per le grazie ottenute. 147 FESTIVAL LETTERARI Libri, racconti e fiabe attraverso l’Isola Sopra: la compagnia “La Pola” racconta fiabe in piazza San Sepolcro, uno dei palcoscenici di strada dove prendono forma le performance del “Marina Café Noir”, festival di letterature applicate che si tiene nel quartiere storico Marina a Cagliari. A Cagliari, dal 9 all’11 giugno, in uno dei quartieri più belli della città, si apre e si diffonde un evento caldo e singolare. “Marina Café Noir” (www.marinacafenoir.it) è un tutt’uno con le scalette ripide, i muri contorti, le finestre colorate delle antiche case sul porto. È un festival letterario e tanto altro. È la condivisione di esperienze artistiche aperte, originalissime, a partire da un libro, da una riga, da un titolo. L’associazione Chourmo (www.chourmo.it), anima della tre giorni, ha messo in scena gli abitanti di Marina, ha stimolato le molteplici attività del quartiere, i laboratori artigiani come quello 150 del fabbro che volentieri accompagna alcune serate a suon di incudine e martello. Sono parte del festival le gallerie d’arte, i bar, i tanti locali, le vetrine a tema. Da piazza Savoia a piazza San Sepolcro, alle Scalette Santa Teresa si trovano i palcoscenici di strada dove prendono forma le performance. Una babele di linguaggi e suggestioni libere. La scrittura è sempre lo spunto di produzioni assolutamente inedite, eccentriche e popolari. Teatro, jazz, pop, e mille forme espressive insieme restituiscono il libro. Nasce così la letteratura applicata. Stili come il noir, ma non solo il noir, sono usati per fare storie e lanciare messaggi sociali. Giunto alla sua quarta edizione, quest’anno il festival mette in movimento almeno 200 attivisti culturali per esplorare “mappe del nuovo mondo”, etica della libertà, per lanciarsi in ricognizioni nella memoria. A giugno protagonista la letteratura dal sapore multietnico e globale, a settembre si prosegue con le feste per i ragazzi, a dicembre proposte più strettamente musicali. Da Cagliari si vola per 180 chilometri nel cuore della provincia di Nuoro, nella Barbagia di Ollolai. Gavoi è un paesino di granito scolpito su un lago trasparente, Gusana. Qui i primi tre giorni di luglio prende avvio “L’Isola delle storie” (www.isoladellestorie.it). Al centro ancora la letteratura vissuta tra 151 Gianmario Marras FESTIVAL LETTERARI Sopra: “L’Isola delle storie” di Gavoi, in Barbagia, festival di letteratura con incontri, letture, laboratori e interviste. Nella foto lo scrittore Ascanio Celestini legge un brano del suo Storie di uno scemo di guerra. In basso, a destra: animazione al “Marina Café Noir”. strade e piazze di un piccolo borgo. Ospiti internazionali, decine di eventi, incontri per grandi e bambini, mostre fotografiche e d’illustrazione, spettacoli musicali e teatrali, documentari. Attorno, boschi, monti, santuari campestri e la Sardegna nascosta della Barbagia. Tanto spazio è dedicato ai bambini. A partire da un tema, i più piccoli si raccolgono davanti a un cantastorie o a un trampoliere. Partecipano a giochi nati dalle parole di una favola. A Gavoi trovano ospitalità le infinite forme della scrittura proposte, discusse e appunto giocate prima di tutto dagli ospiti. Il paese è protagonista dell’iniziativa, tutta la comunità si mette a di- Storie di “Mille e un Nuraghe” L’arte del raccontare ha il suo festival. “Mille e un Nuraghe” (www.milleunnuraghe.it) si tiene a Perfugas, 45 chilometri da Sassari, dal 12 al 16 luglio. Diverse facce della narrazione, antiche o moderne, prendono vita nei sereni paesaggi dell’Anglona (www.anglonaweb.it). Oltre agli spettacoli, il festival comprende esposizioni d’arte contemporanea, laboratori sui saperi locali (la cucina, la tessitura, il ballo), visite guidate nel territorio; da quest’anno, la giornata conclusiva sarà interamente dedicata al mercato, concepito come un suq, dove narratori e artisti si mescolano a mercanti e artigiani. Il festival del racconto di Perfugas prende il via nel 2003, a partire dalla lunga esperienza di ricerca dell’Associazione Archivi del Sud sulla narrativa di tradizione orale. La festa è rivolta a tutti, ma soprattutto ai viaggiatori più attenti che sanno conciliare un paesaggio di nuraghi, chiese campestri, pozzi sacri, foreste pietrificate, con un evento di confronto culturale. Info: Archivi del Sud, 079/98.65.85, [email protected],; Museo Archeo-Paleobotanico di Perfugas, 079/56.42.41. sposizione dei tantissimi che si avvoltolano nelle ripide strade. Nuovi festival letterari nascono e crescono in Sardegna non a caso. L’isola e i suoi scrittori attraversano una stagione eccezionale. Al punto che si sente l’esigenza di uscire per condividere e “masticare” letteratura. La Sardegna che non ti aspetti è anche tra libri e racconti. Walter Falgio MODA MODA Pagina precedente e in basso: due belle immagini dell’atelier di Luciano Bonino con alcuni dei prestigiosi modelli che lo hanno reso famoso anche fuori Sardegna. Sotto: lo stilista nel centro di Cagliari. I l giovanissimo Silvio Betterelli, sardo di Macomer, stupisce l’alta moda romana mettendo in passerella abiti in lino e sonazzos, i campanacci che pendono al collo di pecore, capre e cani di piccola taglia. Dice di ammirare Antonio Marras, l’algherese direttore artistico di Kenzo. E si vede. La moda di Marras e le collezioni di Betterelli, presente e futuro dell’haute couture pensata in Sardegna, partono in fondo da un’intuizione comune: attingere 154 alla tradizione e superarla, ma senza stravolgerla. Cambiano linee, tessuti e colori, ma sempre nel segno di sobrietà, praticità e concretezza. Rinnovare senza rinnegare. Valorizzare motivi e materiali del passato con un tocco di leggerezza in più. È questa la cifra stilistica unificante della moda isolana, che accomuna lo stile “sardesco” di Luciano Bonino, l’etno chic delle Sorelle Piredda, il su misura di Paolo Modolo e Giovanni Mura, l’archeologia sartoriale di Giampaolo Gabba e l’innovazione dei tessuti in sughero firmati Anna Grindi. Raffinato e cosmopolita Il primo atelier era uno stanzone bohémien nel quartiere di Castello a Cagliari. Pezze di tessuto ovunque, cartamodelli e molta umidità. La creatività è una selva oscura: un ginepraio di piccoli fallimenti, un tratturo scosceso pieno di inciampi. Là, in mezzo al tratturo, stava Luciano Bonino. Lui solo e la sua cocciuta vocazione di fare il sarto. Nata sul banco di un grande magazzino, sul timido calore della lana plissettata; diventata grande in solitudine, senza maestri né scuola. Chi nasce anarchico cresce libero: essere privo di numi tutelari significa tracciare linee in libertà, guidato dagli oscuri capricci dell’anima. Così hanno preso forma gli abiti che assomigliano alle tuniche giapponesi di 3.000 anni fa più che a Saint Laurent, Dior e Valentino. Dalle prime gonne, sciarpe e stole d’ispirazione sarda agli scialli di lana bouclée, fino all’ultima creazione: un abito nero di seta plissettata, ieratico e di rigore austero, che sembra uscito da un romanzo di Jane Austen. In tre decenni di lavoro, Bonino è diventato uno degli stilisti sardi più celebrati, creativi e ricercati. Raffinato e cosmopolita, capace di raccogliere e distillare gli umori di Parigi e del lontano Oriente per mescolarli alle eleganti suggestioni del suo stile “sardesco”, osserva Cagliari dai finestroni del nuovo atelier spalancati sul trambusto Gianmario Marras Fotografie di Antonio Saba All’insegna di sobrietà e concretezza 155 MODA Massimo Locci MODA Fotografie di Antonio Saba A sinistra: una fase della lavorazione di un capo nell’atelier cagliaritano delle sorelle Piredda. Sopra: i loro abiti, dal taglio semplice ed essenziale, rievocano la Sardegna dell’interno. Sotto: ritratto sulla spiaggia del Poetto, con la Sella del Diavolo sullo sfondo. autoctono di Stampace. Lì, tra gli alti soffitti decorati, l’antiquariato impero e il viavai delle clienti, il tratturo si è aperto, il ginepraio si è sciolto, la selva oscura è diventata un giardino fiorito popolato di raffinati sottintesi che legano il Mediterraneo all’Europa, la sontuosa cortigiana alla donna involta nel costume sardo tradizionale. In nome di un’unica, umanissima eleganza. Le quattro sorelle Sono in quattro: Betty, Paola, Patrizia e Rita. Ma, per favore, non chiamatele per nome. Loro sono per tutti, semplicemente, le Sorelle Piredda. Quelle degli scialli e degli abiti ieratici, del vestito da sposa in lana grezza e dei gialli ricami che rievocano gusto e stilemi della Sardegna dell’interno. Per loro la moda è questione di famiglia. Comincia la nonna Francesca, sarta nel quartiere cagliaritano di Castello, prosegue la madre Angela. E poi arrivano loro. Ancora bambine si arrampicano sulla vecchia Singer di famiglia e imparano giocando l’arte del cucito. Cominciano coi costumi da bagno, arrivano ad abiti, scialli, stivali e accessori. Dalle prime creazioni alle più recenti, sempre fedeli alla linea: taglio semplice ed essenziale e ispirazione barbaricina per trasferire nella donna misteri e profumi di Sardegna. La loro invenzione è una riscoperta: lo scialle. Sete pesanti, lunghe frange intrecciate a mano, ricami in oro e in argento che annodano simboli d’Oriente e Occidente: i fiori e il sole, la gallinella e le decorazioni dei gioielli dell’antica città di Tharros. Quando l’eleganza moderna ha sentori d’antico. Il signore del velluto Tre giorni di lavoro sui velluti più pregiati: così nasce un abito firmato Paolo Modolo. Per molti, ma Sopra: Paolo Modolo, un maestro del velluto, con i suoi modelli di alta sartoria nell’atelier di Orani (Nuoro). non per tutti. Non è una questione di prezzo. Di pazienza, piuttosto. Perché per indossare un Modolo originale bisogna rassegnarsi a una lista d’attesa lunga sette mesi, a meno di non essere un cliente eccellente, anzi eccellentissimo. Un esempio: l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. “Mi ordina un abito nuovo quando deve partecipare a occasioni importanti e mi dà tempo tre giorni”, racconta Modolo, “è l’unico per cui faccio eccezioni”. Questione di riconoscenza. Nel 1997 Cossiga disse che il suo sarto viveva a Orani, 3.000 anime nel cuore della Sardegna. Bastò a sdoganare un ex minatore e i suoi velluti proiettandolo nell’olimpo dei sarti che contano. Chi l’avrebbe immaginato? Terzo di nove figli, padre pastore e madre casa157 MODA linga, Paolo Modolo a dieci anni aveva già deciso: “Farò il sarto”. Da bambino osservava la mamma cucire. Gli piaceva toccare la stoffa, seguire con gli occhi la corsa dell’ago e del filo. Quinta elementare, sei anni a bottega dal sarto del paese, a 17 anni Modolo apre la sua prima sartoria. Tempi difficili. La concorrenza è agguerrita, non c’è spazio per un altro artigiano. L’esperimento dura un decennio; a 27 anni suonati il maestro del velluto entra in sonno e cambia mestiere: minatore. S’impiega nella miniera di talco di Orani, ci lavora per 22 anni. Nelle ore libere dal lavoro, continua a cucire il velluto. Un tran tran massacrante, fino alla pensione. Nel 1997 rimette su bottega, poi arriva Cossiga e il resto è una storia ben nota. Nel suo atelier lavorano in sei, lui compreso. Tre giornate per confezionare un tre pezzi, pantalone giacca e gilet: stare a guardare è un lusso che non può (e non vuole) permettersi. I suoi abiti costano da 600 a 1.000 euro, a seconda del velluto. La prossima frontiera? L’orbace, tessuto autarchico. Lana di pecora sarda, ruvido e robusto: bellissimo. Diverso dai velluti di Zegna e Visconti di Modrone che lo hanno reso famoso. Una nuova sfida, come la collezione 2006 che anche quest’anno presenterà nello scenario fatato di Monte Gonare. Al calar della notte, si apriranno le passerelle. Ma sarà festa già dalla mattina, con un banchetto imbandito per dare il benvenuto ai 600 ospiti che arriveranno da mezza Italia per fargli visita. Alta sartoria e ospitalità col sapore di Sardegna. Il mito della perfezione Orani è l’indiscussa capitale sarda del velluto. Vietato stupirsi 158 Massimo Locci Giampaolo Gabba con alcuni capi da lui realizzati nell’atelier di Nuoro. Le sue creazioni, di grande successo, si ispirano all’antico guardaroba sardo. quindi se per trovare un altro fuoriclasse non bisogna andar lontano. Giovanni Mura cuce i suoi abiti a poche centinaia di metri da Paolo Modolo. Storie simili. Comincia a dieci anni, apprendista tra Orani e Nuoro, a 18 apre bottega. La sua non è l’epopea di un successo travolgente, ma la lenta ascesa dell’artigiano che si costruisce un nome e una robusta reputazione con la fatica quotidiana. Quindici ore di lavoro al giorno, sei giorni su sette, per 44 anni. Sempre pronto, sempre preciso, sempre presente. Dicono che nelle rifiniture sia un mito. Venticinque ore per cucire una giacca; più di tre giorni per mettere in piedi un abito completo. Il segreto è la passione. Nei 27 metri quadrati del suo mini-atelier, dove all’inizio sforbiciava da solo, ora lavorano in quattro. Merito degli ordini che aumentano allungando le liste d’attesa: almeno quattro mesi per il classico tre pezzi, prezzi che partono da 600 euro e crescono (“Ma non di molto”) a seconda del tipo di velluto. Entro l’anno si cambia: nuovo atelier nel corso Garibaldi. Ma i tessuti e le abili mani che li lavorano continueranno a essere le 159 MODA stesse: avanti ancora, di padre in figlio, con la medesima, meticolosa lentezza di sempre. Alla ricerca del vestito perduto Suo padre, che cominciò commerciando tessuti americani, non lo avrebbe mai immaginato. Giampaolo Gabba sorride quando pensa a quanto è strano il destino. Ha vissuto in giro per l’Italia, ha viaggiato per l’Europa. E proprio lì, lontano da casa, è arrivata l’intuizione. “Ho visto i sudtirolesi vestiti di velluto, i valdostani con le piume in testa, i francesi con un ridicolo cravattino”. Ha riflettuto, rimuginato e concluso: “Possiamo farlo anche noi”. Risultato, un progetto creativo folle, ma perfettamente riuscito: riprendere l’abbigliamento tradizionale sardo, attualizzarlo e rimetterlo in circolazione. In pillole: convertire il folclore in etno chic, il costume tradizionale in prêt-à-porter. Operazione riuscita. Oggi Gabba nel suo atelier di Nuoro realizza e vende capi che si ispirano all’antico guardaroba sardo. Il suo mercato principale è nell’isola. Ma gli articoli delle sue due linee sono già arrivati in molti Paesi del mondo, dalla Scozia alla Nuova Zelanda. La camicia sarda è il capo di maggior successo, progettata per indossarla con o senza giacca e garantire massima vestibilità e comfort. Ultima creazione, la giacca plissettata ispirata al gonnellino dell’abito tradizionale maschile. Obiettivo: coniugare fatturato e memoria storica nel nome di un inedito esperimento di archeologia sartoriale. Tessuto e brevettato in Sardegna Resistente, impermeabile e ignifugo. Non si macchia. Non si graffia. Si stira e si lava in lavatrice a 30 gradi. Il tessuto perfetto si chiama suberis, discendente diretto del sughero. Lo ha scoperto Anna Grindi, energica imprendi160 Sotto e a destra: il rivoluzionario filato di suberis, utilizzabile non soltanto in pelletteria ma anche nell’abbigliamento, è una fibra nuova creata da Anna Grindi di Tempio Pausania. È un tessuto molto versatile: mescola sughero e fibre naturali. trice di Tempio Pausania, dopo una vita passata a cercare la formula per rendere il sughero morbido, sottile, vestibile, addirittura elegante. Il risultato è una fibra nuova, protetta da un brevetto mondiale che assegna alla Grindi S.r.l. l’esclusiva mondiale nella produ- Info utili Luciano Bonino, via Azuni 50, Cagliari, 070/65.76.49 Sorelle Piredda, via Procida 13, Cagliari, 070/38.04.08 Paolo Modolo, corso Garibaldi 141, Orani (Nuoro), 0784/7.49.90 Giovanni Mura, piazza XX Settembre 9, Orani (Nuoro), 349/1.83.98.53 Giampaolo Gabba, via Giovanni Spano 20, Nuoro, 340/9.23.40.95 Suberis S.r.l., via Roma 47, Tempio Pausania (Sassari), 079/63.36.32-67.40.58-63.18.64, www.suberis.it Showroom anche a Porto Cervo e aeroporto di Olbia. zione di abbigliamento, pelletteria, arredamento in suberis. Perché la fibra scoperta a Tempio, prima che bella, è versatile. Il sughero, inaspettatamente, finisce nelle trame dei tendaggi, nella valige più esclusive, nei divani, nelle cinte e perfino nelle scarpe. Merito di una combinazione top secret che unisce il sughero alle altre fibre utilizzando componenti solo naturali. Un segreto alla base di fatturati in crescita e piani di espansione commerciale travolgenti. Entro l’anno gli showroom Suberis apriranno in piazza Duomo a Firenze, in via della Spiga a Milano e a New York. Si aggiungono ai punti vendita di Porto Cervo, aeroporto di Olbia e Tempio Pausania. 161 MUSEO ITINERARI INEDITI 162 C appellino o bandana, una borraccia capiente, binocolo e macchina fotografica. È tutto quel che serve per inforcare il quad, mezzo a quattro ruote tanto sgraziato quanto affidabile per condurvi a tu per tu con la natura più incontaminata. Ed è qui, nel cuore millenario dell’isola, che potrete inebriarvi di aromi, colori e sapori. In sella a un quad si può gironzolare per alcuni degli scorci più suggestivi dell’isola: spiagge, valloni, dirupi, calette, pietraie, foreste secolari, torrenti in secca, aree nuragiche. Da filmare e catturare. Anche grazie alla duttilità di queste moto rozze esteticamente, ma robuste e sicure. In Italia hanno preso piede di recente. E la Sardegna li ha adottati dall’anno scorso. La Barbagia e il Dall’alto: battello Supramonte più in navigazione sul Flumendosa; aspro. Il Goceatour in quad no e la catena nel cuore aspro dei Sette Fratelli. della Barbagia, in terra nuorese. I graniti del Lim- Archivio Barbagia Insolita Giancarlo Deidda Gianmario Marras Quad e battello: si parte per l’avventura bara e i sentieri inesplorati o quasi delle montagne di Capoterra e del Guspinese. Il quad si rivela facile e divertente da guidare. Una bestia meccanica che si arrampica docilmente e guada i corsi d’acqua. Capace di adattarsi alla perfezione alle strade sterrate e impervie. Col quad si va in cima alle montagne. La neve? Se c’è, e sul Gennargentu anche a primavera inoltrata può capitare, nessun problema, divora anche quella. E il visitatore potrà godere di paesaggi inesplorati e suggestivi. Insomma, un mezzo che si presta al trascorrere di una giornata diversa. Eccitante sì, ma senza manie di rambismo: infatti, lo spasso si coniuga con la sicurezza. E il cambio auto163 Le moto di Naturquad Partenza da Sa Rocca Tunda, località montana distante 7 chilometri da Dolianova. Dopo circa 9 chilometri, attraversando boschi di lecci e sugherete, prima tappa con visita a un antico ovile e degustazione di formaggi tipici. Si percorrono quindi 17 chilometri di sterrato in località Su Monti Mannu; breve sosta con visita al nuraghe Sa Domm’e S’Orcu, che domina gran parte del Campidano. Pranzo all’agriturismo San Giorgio. Visita alla chiesa campestre in località San Giorgio, risalente ai primi del Novecento. Si prosegue per circa 10 chilometri, verso S’arrocc’e Su Stori, poi verso S’Arrideli, guadando varie volte il Flumendosa. A Dolianova, visita alla cattedrale romanica (XII secolo). Naturquad fornisce ai partecipanti: casco, gilet multitasche e scorta d’acqua. Info: Cooperativa Giovanile di Dolianova (Cagliari), 339/2.11.40.12. matico e la frenata integrale permettono la conduzione anche ai meno esperti di fuoristrada e moto. Per andarci su è sufficiente il casco e la patente, A o B. Ma il senso dell’avventura rimane unico. Scolpito nella mente di chi ama questa regione. D’altronde, la materia prima in Sardegna abbonda. Tramonti e albe magiche a ridosso delle scogliere. Notti al chiaro di luna guadagnate tra sugherete e 164 Fotografie Archivio Barbagia Insolita ITINERARI INEDITI macchia mediterranea. Ma anche brevi escursioni per gustare il formaggio fresco, il latte appena munto, la pancetta e il prosciutto di cinghiale negli ovili più remoti. Il tutto senza i rischi consueti nel turismo mordi e fuggi: la fregatura in montagna non c’è. La qualità e la prelibatezza delle proposte enogastronomiche sono una costante. E le pause, dopo aver rombato su ciottolati e collinette, guadagnando anfratti e valloni, è quanto mai appagante. Provare per credere. E di recente, anche dalle parti di Villasimius, ma per il solo periodo estivo, sul fronte sudoccidentale, a Gonnesa, e all’interno, a Perdasdefogu, sempre in provincia di Cagliari, si stanno attivando cooperative giovanili che vogliono sfruttare il quad per una serie di In alto: alcuni turisti durante intelligenti e pro- un’escursione ficue opzioni per alla Tomba Giganti godere nei detta- dei di S’Ena gli della natura e Thomes. dal vivo. Escur- A sinistra: il test drive di sioni e passeg- una 4x4 su una giate che bandi- pista sterrata. Gli itinerari su misura di Barbagia Insolita Propone itinerari inconsueti in Barbagia e Gallura. Le escursioni durano circa otto ore ma possono essere modellate su richiesta dei visitatori. Si parte guidati da uno scout e con un fuoristrada d’appoggio per l'assistenza logistica. Su richiesta, Barbagia Insolita organizza pacchetti di più giorni, weekend e tour della Sardegna, con pernottamento in hotel e agriturismo. Vengono anche for- niti servizi vari (visite archeologiche e naturalistiche, pacchetti incentive, escursioni a terra per navi da crociera, programmi di team building e outdoor training in occasione di eventi aziendali e convention). Barbagia Insolita cura anche escursioni in canoa: Su Gologone, Iriai e il lago di Liscia sono gli scenari delle pagaiate. Info: 0784/28.60.05; www.barbagiainsolita.it 165 A destra: il lago artificiale del Cedrino, nel Gennargentu, è ben indicato come meta ideale per canoate particolarmente interessanti. scono la frenesia. E, anzi, sono ispirate a un armonico rapporto con l’ambiente. Le proposte variano da luogo a luogo. Ma il discorso prioritario è basato su un forte senso dell’ospitalità, su servizi professionalizzati, sulla curiosità: elemento chiave per scolpire nei turisti una gita indimenticabile. I prezzi variano a seconda dell’escursione: dai 50 ai 140 euro se si usa un mezzo singolo o doppio e se l’impiego è per la mezza o l’intera giornata. Ma, oltre al quad, per gli amanti del “nuovo purché intelligente” nell’isola sta prendendo piede anche un altro mezzo: il battello a pala. Sì, chi vuole inebriarsi di sole e aromi naturali nel cuore della Sardegna millenaria e incantata può mettere in scaletta anche una gita sui laghi Flumendosa, Mulargia e Is Barroccus. Anche in questo caso Archivio Barbagia Insolita ITINERARI INEDITI si tratta di iniziative fresche di esordio. La navigata ha un qualcosa di esotico e affascinante. E la si può abbinare con una serie di percorsi e itinerari terrestri particolarmente distanti da mode e manie passeggere. Tutto nasce dall’intesa Natura e archeologia per Laghi & Nuraghi Cascate, grotte, foreste, altipiani, gole e colline. Qui, dove la natura si rivela attraverso panorami inaspettati e suggestivi, una manciata di paesi raccolti intorno a tre specchi d’acqua di un blu purissimo invitano in una terra fuori dal tempo. Esterzili, Goni, Isili, Mandas, Nurallao, Nurri, Orroli, Sadali, Serri, Siurgus Donigala: sono i Comuni riuniti nel Consorzio Turistico Laghi & Nuraghi sulle rive dei laghi Flumendosa, Mulargia e Is Barroccus. Il Consorzio, nato a metà degli anni 90 per promuovere le attività turistiche del territorio, riunisce anche alcune strutture alberghiere: il Villaggio Antichi Ovili, Omu Axiu e Castellinaria a Orroli, il Borgo dei Carbonai, immerso nei boschi di Esterzili, lo Janas Village a Sadali, l’Hotel Istellas sul lago Flumendosa e l’Hotel Beauty Farm Canali Nur a Nurri. Il loro è un invito a conoscere una Sardegna insolita e affascinante, il cuore di un’isola magica, di una terra unica. Il cuore della Sardegna. I paesaggi hanno il fascino straordinario del territorio che si estende dal Sarcidano a sud, verso il Campidano di Cagliari e l’Alta Trexenta, e a nord verso la Barbagia di Seulo. Paesaggi che cambiano carattere tra regioni agricole e aree pastorali, con una varietà rara e suggestiva. Diffusi sono l’ambiente della quercia, le foreste di castagno, ma avvicinandosi alla Barbagia la natura si fa aspra e potente, con rare specie botaniche e faunistiche. La regione ha vocazione agropastorale, ma vi si svolgono attività tradizionali quali l’artigianato tessile e del rame battuto. Tra le numerose testimonianze archeologiche del territorio emergono le eccezionali statuemenhir di Nurallao, le splendide architetture nuragiche di Is Paras a Isili e Arrubiu a Orroli. Il territorio dei comuni che si affacciano sui laghi del Flumendosa, Mulargia e Is Barroccus, offre a chi si spinge all'interno dell’isola percorsi archeologici e itinerari enogastronomici. Info: 070.2110432, www.laghienura ghi.com; Cooperativa Is Janas, 0782/ 84.72.69. di un pool di comuni dai nomi difficili da reperire su riviste patinate o nel passaparola di vip e gente comune. Ma la realtà è dalla loro: persone illuminate che animano comunità piccole e belle. Forse, proprio perché raccontano e custodiscono con garbo i propri tesori ambientali. In sostanza, un bel colpo per quanti vogliono andare oltre le spiagge imperdibili e le acque color indaco. Tra l’altro, i laghi sono situati in un contesto ambientale da fiaba. Un set da cartolina che accomuna la mini-crociera sul battello con alcuni sport acquatici, la degustazione di prodotti enogastronomici locali, le visite ai siti archeologici di maggior pregio, gli incontri con gli artigiani della pelle, dei tappeti e degli utensili, le sagre, le musiche, i balli e i riti tradizionali. Un imbarazzo della scelta trasversale a gusti, età, preferenze. Il tutto a poche decine di minuti d’auto da dune sabbiose, scogliere da sballo, ma anche da qualificati centri benessere e termali. In definitiva, una Sardegna da scoprire anche con il supporto di mezzi e idee fuori cliché. Un gioco per nulla difficile se si può offrire una natura selvaggia, capace di stupire e di farsi amare con passione. Mario Frongia 167 Gianmario Marras Spiaggia di Bidderosa (Nuoro) UN PARADISO A NUMERO CHIUSO Prima il bagno nel golfo di Orosei, poi il relax sotti i pini marittimi dell’oasi naturalistica. Per i più veloci e fortunati DI PATRIZIA MOCCI 168 CINQUE CALETTE DA CARTOLINA La spiaggia dell’oasi di Bidderosa, vicino a Orosei, mostra tutto il suo fascino irresistibile, con i pini marittimi che incorniciano il mare smeraldo e la sabbia candida. L’ingresso alle cinque calette che formano l’oasi è a numero chiuso. 169 Gianmario Marras un massimo di 130 auto al giorno, ma se soffia il ponente nessuno può varcare la soglia: troppo pericoloso, dicono gli uomini della Forestale, in caso di incendio diventerebbe una trappola senza via d’uscita. L’ingresso è gestito, da qualche anno a questa parte, dalla Pro Loco che, attraverso una convenzione con il comune di Orosei, vende i biglietti a chi ha voglia di lasciarsi alle spalle la routine quotidiana per immergersi, anche solo per una giornata intera, in un’oasi di pace. Quest’anno la stagione è cominciata prima, a Pasqua. Una proposta del presidente della Pro Loco Salvatore Pira accolta dal commissario prefettizio, che a maggio lascia il posto ai nuovi amministratori comunali. Chi vuole avventurarsi GIGLI CANDIDI Johanna Huber L a spiaggia che non ti aspetti si spalanca dopo un percorso sterrato di quattro chilometri, incorniciato da ginepri, sughere e lecci. Agli occhi si apre un paradiso da cartolina – uno dei pochi a numero chiuso in Sardegna – con i colori smeraldo del mare e il bianco candido della sabbia finissima. Tutto questo è l’oasi di Bidderosa, cinque calette da sogno custodite all’interno di un parco che si estende su 860 ettari, protetti dall’Ente Foreste che con un accordo li ha affidati al comune di Orosei (provincia di Nuoro, nella costa orientale dell’Isola). Il parco si trova a tredici chilometri a nord di Orosei, lungo la strada statale 125. Il cancello si apre da giugno a settembre per A sinistra: fiori bianchi di giglio marino (Pancratium maritimum) sulla spiaggia di Bidderosa. È una pianta erbacea perenne, alta attorno ai cinquanta centimetri, che cresce sulle dune litoranee e sulle spiagge. Sotto: la meravigliosa spiaggia di Berchida, che si incontra procedendo verso nord dopo l’oasi di Bidderosa. Johanna Huber Bidderosa è il fiore all’occhiello di Orosei, un centro belvedere, dove è davvero difficile non fermarsi per che da qualche anno ha deciso di scommettere sul turilasciare libero lo sguardo: davanti agli occhi si apre smo. Cinquemila posti letto, fra alberghi e residence; uno splendido panorama che permette di abbracciare un numero imprecisato di seconde case, attività comil golfo di Orosei e le sue peculiarità. merciali che spuntano come funghi. Ma c’è anche l’altra Protetta da oltre trent’anni da vincolo forestale, la faccia: tante cave in marmo e granito si affacciano sulla zona era coperta da una rigogliosa pineta fino al 1978, strada, un biglietto da visita non certo edificante. E poi quando un terribile incendio distrusse circa 500 ettari, c’è il centro storico di Orosei: si sviluppa intorno a piazmettendo a nudo il paesaggio desertico, quasi lunare za del Popolo, piazza Sas Animas e piazza Sant’Anto(ma sempre suggestivo) dei rilievi che, come spesso nio e conserva architetture civili e religiose che docusuccede in Sardegna, nascondono alla vista il mare, mentano l’importanza del paese attraverso le diverse pure così vicino. L’anno successivo le fiamme divoraepoche storiche. Circondata da edifici religiosi, piazza rono 150 ettari. A ripopolare il parco di verde pensarodel Popolo è dominata dalla parrocchiale di San Giacono gli uomini della Forestale che si sono preoccupati di mo Apostolo (di impianto romanico, mantenere viva questa oasi: ma ristrutturata nel 1700). E si possohanno provveduto a mettere a DUE STAGNI AZZURRI no ammirare ancora la torre del cadimora nuove piante laddove il Nella pagina precedente: suggestiva veduta dall’alto del golfo di Orosei. In stello (secolo XIV), i palazzi signorili fuoco le aveva arse. Oggi chiloprimo piano, l’oasi di Bidderosa con di periodo baronale (secolo XVImetri e chilometri di stradine uno dei suoi due stagni. L’area protetta, XVIII) e il complesso di Sant’Antonio sterrate appaiono in ordine e le gestita dalla Forestale, comprende 860 ettari di costa ed entroterra. Qui sotto: Abate: cortile con chiesa, torre di avspiagge pulite. Anche quando un altro scorcio della spiaggia di vistamento, pozzo e un recinto di cavisitatori poco civili abbandonaBidderosa. Il nome deriva da cuilaria bidderosa, un antico ovile della zona. sette (secolo XIV-XVII). no i resti di un pasto più o meno veloce. Un risultato ottenuto anche con il lavoro degli operatori della Pro Loco: lo scorso anno sei giovani hanno trovato occupazione per una stagione, grazie all’introito derivante dalla vendita dei biglietti. Una parte dei quattrini viene utilizzata dal comune per svolgere lavori di manutenzione e di pulizia, mentre il resto serve per finanziare le manifestazioni della Pro Loco e, assicurano i responsabili dell’associazione turistica, per garantire alcuni servizi sempre all’interno dell’oasi. a piedi può farlo in tutte le stagioni, senza dover acquistare il biglietto. Un’occasione per ammirare, cogliendo meglio i dettagli, lo straordinario panorama che si apre al di là del cancello. Un suggestivo rincorrersi di verde, pinete, artistici rilievi di granito, ginepri secolari adagiati su litorali di sabbia candida, incorniciati da selvaggia macchia mediterranea. Ma c’è anche un’altra possibilità per arrivare alle splendide calette: attraversare la lingua di mare che separa Bidderosa da cala Ginepro. Nessun problema con la bassa marea, l’acqua è alta un metro e in un attimo si arriva dall’altra parte con zaini e vestiti. Può capitare però che al momento di tor- 172 nare indietro non servano pochi passi, ma quattro bracciate. Chi vuole può risalire a nuoto il canale con le sponde che, metro dopo metro, si fanno più alte. Oltre alle calette, divise in cinque spiagge numerate (con il biglietto viene indicato il numero della spiaggia dove fermarsi), all’interno dell’oasi è possibile ammirare il laghetto di Sa Curcurica (“la zucca”): si trova subito, a pochi passi dall’inizio del tragitto che porta al mare e alla vetta del monte Urcatu, accessibile in auto o ancora meglio, se il sole non è molto caldo, a piedi attraverso un sentiero naturalistico. Si arriva così, fino a una piccola casupola, una sorta di Per accedere all’oasi di Bidderosa in auto occorre acquistare il biglietto presso la Pro Loco di Orosei (piazza del Popolo; si può anche prenotare allo 0784/99.83.67, tutti i giorni dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 17 alle 20). L’accesso è fino alle 12: chi arriva dopo deve cambiare meta. Quest’anno la stagione è iniziata a Pasqua e termina il 25 settembre. Il costo del biglietto per auto è di 12 euro fino al 20 luglio; 14 euro dal 21 luglio al 31 agosto. Ogni giorno possono entrare al massimo 130 auto. Ulteriori informazioni si possono ottenere visitando il sito della Pro Loco: www.proloco-orosei.it Gianmario Marras INFORMAZIONI Quartu Sant’Elena (Cagliari) LA CITTÀ CHE NON TI ASPETTI Rinomata da sempre per i suoi pani e dolci, è ora anche meta turistica grazie alle bellezze naturali nascoste e alla vivacità del folklore e dell’artigianato DI DANIELE CASALE - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA Lo stagno di Molentargius, confine naturale tra Quartu e il mare del Poetto, è una delle più suggestive zone umide cagliaritane. Suoi ospiti abituali, i bellissimi fenicotteri rosa. 174 175 I mmaginarsi Quartu Sant’Elena è raccontare di una città che cresce senza dimenticare un originale centro storico, le tradizioni secolari, i suoi tesori che profumano di pane e i circa 30 chilometri di costa che orlano di mare azzurro un territorio tra i più generosi della Sardegna. Quartu Sant’Elena, la terza città dell’Isola per numero di abitanti, distante appena sei chilometri da Cagliari, da tempo scommette e investe su cultura e turismo per valorizzare un patrimonio particolarmente vario: dalle numerose dimore campidanesi, che conservano i canoni dell’antica architettura agricola, ai palazzotti liberty; dagli ambienti naturali impreziositi da spiagge, scogliere a picco sulla costa e stagni, habitat dei fenicotteri rosa, fino ai prodotti eno-gastronomici rinomati a livello internazionale. Senza dimenticare i manufatti dell’artigianato artistico: le ceramiche a lavorazione raku e i gioielli dalla tipica lavorazione a filigrana, indossati dalle ragazze in occasione delle feste locali. Una cornice ideale per poter trascorrere una vacanza: e la ricettività è di prim’ordine, con hotel affacciati sul mare e bed and breakfast ospitali come casa propria. Per gli amanti del mare, un porticciolo, quello di Capitana, può contare su 450 posti barca. Diversi anche gli sport da praticare: dalla vela al diving, dal trekking all’equitazione passando per il tiro a volo e il golf. Se il litorale di Quartu, con in testa le perle di cala Regina, Kala ‘e Moru e Mari Pintau (spiaggia davvero “affrescata” con il turchese abbacinante del mare e il candore della sabbia), ogni anno viene apprezzato o riscoperto dai turisti nuovi e affezionati, obiettivo dell’amministrazione comunale è valorizzare quanto ancora la città deve far conoscere non solo ai vacanzieri, ma anche agli stessi quartesi. Ecco perché diventano di edizione in edizione più ricche e importanti manifestazioni come il festival del folklore in- 176 ternazionale “Sciampitta” (nel mese di luglio): vetrine decisive che consentono alla città di promuovere i prodotti locali e ai partecipanti di apprezzarne genuinità, nel caso delle specialità enogastronomiche, e originalità per i manufatti artigiani. Perché è vero che chi arriva a Quartu Sant’Elena dalla bella e recente strada litoranea viene rapito dal rosa dei suoi fenicotteri, ormai ospiti abituali dello stagno di Molentargius, confine naturale tra la città e il blu del mare del Poetto. Ma è altresì innegabile che chi si addentra nel dedalo delle strette viuzze del centro storico riesce talvolta a sentire ancora il profumo, quasi a sfiorare la fragranza del pane: su moddizzosu e su coccoi rimangono tra i simboli di questa città che non ha dimenticato le sue origini di borgo rurale. Tanto che per il pane tipico l’amministrazione comunale da tempo ha intrapreso la strada per ottenere un marchio di riconoscimento dell’Unione Europea. Dal pane ai dolci: le botteghe riescono da secoli a donare un gusto unico ai candelaus (piccoli recipienti di pasta di mandorla aromatizzati con essenza di fiori d’arancio), ai piricchittus (fatti di uova, farina e glassa), alle pardulas (formaggelle). Un tesoro da gustare sorseggiando i vini, che possono contare su una cantina le cui etichette stanno conquistando anche importanti mercati a livello internazionale. Un comparto, quello enogastronomico, su cui Quartu scommette NATURA molto e che pian piano si E GASTRONOMIA sta qualificando con reti A destra: la spiaggia di di produzioni e filiere deMari Pintau, una delle più dicate. Perché la promobelle del litorale di Quartu. zione di una città passa Sotto, da sinistra: piazza Sant’Elena, con la chiesa necessariamente dalle sue parrocchiale omonima; origini, seppure umili e fenicotteri rosa in volo sugli stagni intorno alla legate ai ritmi senza temcittà; su coccoi, uno dei po dell’agricoltura. pani simbolo di Quartu. 177 Sassarese/Le vie del gusto SAPORI ANTICHI E GENUINI Un territorio ricco e diversificato che si rispecchia nell’eccellenza dei suoi prodotti e della sua cucina DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI GIANMARIO MARRAS Scorpacciate di pesce e crostacei all’aperto lungo i bastioni del centro storico di Alghero. 178 M mazione nel contesto delle feste legate ai cicli della vita e del tempo. Le feste erano occasione per grandi incontri conviviali che rompevano i ritmi severi e duri della vita agropastorale: i matrimoni, la Pasqua (sentita anche più del Natale), le commemorazioni dei santi e dei morti, le celebrazioni per i raccolti, le feste patronali e le sagre a sfondo religioso. A ogni occasione corrispondeva un dolce, una pietanza, una specialità diversa. Attraverso il folklore, come attraverso la storia e la natura, si scopre la vera anima dei sapori della Sardegna. Anche il pane qui assume una grande importanza: può essere utilizzato sia per il consumo quotidiano che per la preparazione di primi piatti, tra cui pan ‘a fittas e la zuppa gallurese. Rinomate sono la spianata (pani latu o pani lentu) di Ozieri Rita Marongiu/Simephoto orbide colline e rade pianure contornate da tavolati calcarei, altipiani basaltici, massicci granitici e coni di vulcani spenti da millenni, rocce addolcite dal lavorio del mare alternate a lunghe spiagge sabbiose, caratterizzano il Nord della Sardegna, regione dolce e aperta che offre una continua varietà sia dei paesaggi che dei prodotti che si ritrovano nella tavola. Non è un caso che proprio qui sia nata la prima Strada del Gusto e dei Sapori dell’isola, un itinerario costituito per offrire al visitatore il non plus ultra delle potenzialità produttive dell’enogastronomia caratteristica del territorio che si somma al ricco patrimonio storico, archeologico e ambientale. Per apprezzare al meglio le peculiarità dei prodotti delI MILLE SAPORI la zona è opportuno sofferDEL GRANO marsi ogni tanto e immerIn alto: le pagnotte di Osilo si accompagnano gersi nella cultura e nella bene con le zuppe. natura, che fanno di questa In basso: una carrellata isola uno dei gioielli più di dolci della Sardegna settentrionale. Nella preziosi del Mediterraneo. pagina seguente: pardulas Gli aromi e i sapori origi(in alto), sfoglie di pasta nano da una civiltà antica e ripiene di formaggio; forme di pane zichi misteriosa, ricca di signifi(in basso) , specialità cative testimonianze, che di Bonorva disponibile morbida o secca. hanno avuto la loro subli- e della Gallura, di forma circolare, morbida, flessibile, senza mollica, o le grandi pagnotte di Tissi, Osilo e Usini, eccellenti quanto il pane zichi (nelle varianti morbida o secca), tradizionale di Bonorva, Cheremule, Cossoine e Olmedo. La lavorazione del grano raggiunge il suo culmine, sfiorando l’arte effimera, con la produzione di dolci: acciuleddhi, mendegadas, trizzas od origliette tipici del periodo carnevalesco gallurese così come le frisjoli longhi (frittelle lunghe), l’aranzada a base di scorza di arance candite nel miele e mandorle del Goceano. Che dire delle copulette o copulettas col bordo ondulato, diffuse nel Logudoro e in particolare a Ozieri, dove è possibile scoprire tra i dolci tipici anche i “sospiri”, praline di morbida pasta di mandorle e miele, ricoperte da una leggera glassa? Ma la perfetta sintesi tra il dolce e il salato sono le casadinas o pardulas, sfoglie di pasta di forma tondeggiante, arricciate sui lembi, ripiene di formaggio o ricotta, preparate in occasione della Pasqua e MIELE E FORMAGGIO A sinistra: le seadas o sebadas, focacce di grano duro ripiene di formaggio e ricoperte di miele. Sotto: una forma di pecorino, il re dei formaggi sardi, delizioso da gustare con miele di corbezzolo, dal gusto amaro e pungente. L’abbinamento formaggio-miele ricorre spesso nella gastronomia dell’isola. Nella pagina precedente: sospiri di Ozieri, golosissimi dolci a base di pasta di mandorle, miele, limone e zucchero. ORO DI GALLURA Filari di vigne nella Gallura settentrionale, patria del Vermentino Docg, nettare dal colore giallo paglierino brillante, dal gusto secco, pieno, caldo e ricco di nerbo come la terra che gli ha dato i natali. del Natale. Forse più conosciute e diffuse in tutta l’isola le seadas o sebadas, focacce di pasta di grano duro ripiene di formaggio, fritte e coperte di miele di corbezzolo. L’uso del formaggio nei dolci è legato indissolubilmente alla tradizionale attività delle popolazioni sarde nel corso dei millenni: la pastorizia. Il re dei formaggi è il pecoriUN PIATTO no, al punto che in Sardegna DA RE ci sono tre Dop: Pecorino sarL’aragosta “alla do, Pecorino romano, Fiore catalana”, tipico piatto sardo. Ottimi quelli di Nule e algherese, è una preparazione molto di Osilo, e il nuovo erborinaraffinata, apprezzata to di Thiesi, chiamato dai buongustai di tutto il mondo. ovinfort. Straordinarie le perette di latte vaccino intero, soprattutto quelle di Berchidda e Perfugas. Dai formaggi alle carni il passo è breve. Il pregio delle carni isolane è costituito dagli allevamenti allo stato brado, siano ovini, bovini o suini. Tra le eccellenze spiccano l’agnello sardo Igp, il prosciutto di pecora di Ploaghe, stagionato fino a sei mesi, e la salsiccia sarda, prodotta un po’ in tutta l’isola. La generosità del territorio si ritrova anche nei vini Doc tipici del territorio: il vitigno rosso Cagnulari, tipi- 186 co degli areali di Usini e Alghero, il Cannonau prodotto in ogni parte della Sardegna, il Moscato di SorsoSennori, il Torbato di Alghero, vitigno vinificato da solo per ottenere l'omonimo vino e come base per un ottimo spumante brut, il Vermentino di Gallura Docg. Lungo la Strada del Gusto e dei Sapori sono anche indicati i ristoranti dove si possono degustare i piatti che più rispecchiano il territorio, dall’aragosta alla catalana, tipica di Alghero, alla zuppa Castellanese propria di Castelsardo, i due storici insediamenti genovesi; dai ravioli di ricotta agli arrosti di maialetto o di agnello, agli ortaggi, gustosi e saporiti. L’idea ispiratrice del progetto Interreg Strada del Gusto e dei Sapori Nord Sardegna è quella di condurre per mano il turista sulle tracce dell’eccellenza, nel rispetto della tradizione. L’obiettivo è aiutarlo nella scelta di aziende certificate che fanno parte del club di prodotto. L’elenco completo e sempre aggiornato si trova sul sito www.stradadelgusto.com, arricchito di informazioni di ogni genere tra cui offerte, pacchetti turistici e link sui trasporti. Uno strumento studiato appositamente al fine di creare un itinerario ideale e individuale alla scoperta dei tesori enogastronomici, culturali e storici del Nord Sardegna. ARRAMPICATA Fotografie di Corrado Conca Cala Gonone: in parete a strapiombo sul blu Sopra: free climber in azione sulle falesie sopra le acque cristalline di cala Luna, nel golfo di Orosei. P er gli amanti dell’arrampicata è un vero paradiso. Si trova nel cuore della Sardegna, dove la natura selvaggia regala uno spettacolo difficile da dimenticare. Le pareti rocciose si immergono a strapiombo sul mare, il paesaggio agrodolce alterna gole, grotte, anfratti e falesie. La vegetazione rada del Supramonte lascia spazio alle morbide valli coltivate, fino al golfo di Orosei e alle sue acque cristalline. Eccoci nel territorio di Dorgali (Nuoro), dove i suggestivi monumenti naturali si fondono con le testimonianze del passato. E dove i resti dei villaggi nuragici, perfettamente conservati, lasciano intravedere le misteriose tracce dei popoli che abitarono l’isola. Ne dà prova il Museo Civico Archeologico del paese (via La Marmora, 0784/ 92.72.36), che accompagna il visitatore in un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo. Dalle ceramiche del Neolitico ai monili di epoca fenicia, fino alle lucerne e alle monete in uso al tempo dei Romani. Oggetti preziosi in quello che viene considerato il capoluogo dell’artigianato barbaricino, dove è ancora vivo e sentito il legame con gli antichi mestieri. I numerosi laboratori, rinomati in tutta la Sardegna, riproducono i manufatti della tradizione: brocche, bronzetti, cesti, tappeti e le filigrane, conosciute per la finezza della lavorazione. A sette chilometri da Dorgali si trova la frazione marina di Cala Gonone, luogo di richiamo per migliaia di turisti in tutte le stagioni dell’anno. La zona è costellata di reperti archeologici e anfratti imperdibili: le grotte di Ispinigoli, ambienti carsici dove furono ritrovati monili vitrei di epoca fenicia e resti di ossa attribuiti a giovani donne; le grotte del Bue Marino, un tempo regno della foca monaca, che frequentava in gran numero queste acque; il villaggio nuragico di Serra Orrios. E poi il nuraghe Mannu, la gola di Su Gorroppu, il villaggio nuragico di Tiscali... Un mondo da esplorare per gli amanti della storia e della speleologia, un ambiente selvaggio da sfidare per chi predilige gli sport estremi. A Dorgali si organizzano corsi di free climbing, deltaplano, 189 ARRAMPICATA Per dormire e mangiare Hotel Nettuno, via Vasco de Gama, Cala Gonone, 0784/9.33.10, www.nettuno-hotel.it Prezzo doppia da 50 a 90 euro. Bella posizione a cento metri dal mare. Hotel Bue Marino, via Vespucci 8, Cala Gonone, 0784/92.00.78, www.hotelbue marino.it. Prezzo doppia, fronte mare, da 72 a 122 euro. A pochi metri dalla spiaggia centrale e dal porticciolo turistico. Agriturismo Canales, in località Canales, Dorgali, 0784/9.67.60-340/ 5.65.38.81-347/1.75.06.86. Specialità cucina dorgalese. Prezzo menù fisso: 22 euro. Ristorante Il Pescatore, via Acquadolce, Cala Gonone, 0784/9.31.74. Menù speciale con pescato fresco: da 25 a 30 euro. Corrado Conca buone condizioni climatiche rendono possibile questo sport anche in inverno. Nella zona di Dorgali si possono percorrere circa mille vie. Partendo da Cala Gonone, tutte le pareti sono raggiungibili a piedi e le più distanti si trovano a cinque chilometri dal paese. L’ambiente offre soluzioni variegate e adatte a tutti: ci sono percorsi facili per gli arrampicatori alle prime armi e itinerari complessi per i più capaci. Tra le vie più ripetute: Sole Incantatore, per la mitica aguglia di Goloritzè e tutte quelle della falesia La Poltrona e attorno alla grotta di Biddiriscottai. Per documentarsi si può consultare il libro Pietra di luna (di Maurizio Oviglia, edizione Saredit), la guida Arrampicare a Cala Gonone (di Corrado Conca, edizione Segnavia) e il sito www.sardinia point.it/sardiniaclimb/ Sopra: Margheddie, parete per free climber nei dintorni di Cala Gonone. parapendio, canyoning e bungee jumping (info: Comune di Dorgali, 0784/9.62.43). In particolare, le caratteristiche pareti rocciose a strapiombo sull’acqua offrono la location ideale per chi pratica l’arrampicata. Le rocce sono prevalentemente di tipo calcareo, ricche di appigli e per questo maggiormente “scalabili” rispetto a quelle granitiche. I periodi ideali per l’arrampicata sono le mezze stagioni. Ma la presenza di pareti sempre in ombra nelle ore pomeridiane permette di arrampicare con temperature accettabili anche in estate. E le 190 INFORMAZIONI Assessorato al Turismo, corso Umberto 37, Dorgali (Nuoro), 0784/ 92.72.36. Ufficio Informazioni Turistiche via La Marmora 108, 0784/ 9.62.43, [email protected], www.dorgali.it; Informazioni Turistiche a Cala Gonone, viale Bue Marino, 0784/9.36.96. 191 CHEF D’ECCELLENZA CHEF D’ECCELLENZA Semplice e fashion: l’alta cucina sarda si fa strada sulle migliori tavole dell’Isola sto della sua infanzia, tra la cucina di mamma, gli olivi e i vigneti attorno a San Gavino. Ecco allora servita la zuppa di nove erbe, gnocchi di caprino e pepe nero, tutta giocata sui profumi e le delizie di campo. E poi crema di sedano verde con bottarga e ricci di mare, terrina di maialino affumicato con composta di pera alle spezie e gelato di cipolle con pesce affumicato in casa e prosciutto croccante. Sant’Antioco (Carbonia-Iglesias) è il regno di Achille Pinna, chef dell’hotel Moderno (via Nazionale 82, 0781/8.31.05). Roberto Petza lo chiama “mio fratello” e lui si dimostra all’altezza impiattando per gli ospiti gamberi rossi con crema di ceci e insalatine al balsamico con infusione al finocchietto, spaghetti alla chitarra con cuori e gambi di carciofi, pomodorini e trigliette, ventresca di tonno con erbette, spezie, succo di barbabietola e olio al basilico. Apre da giugno fino a settembre ma non lascia la sua casa ed il suo hotel “perché solo qui trovo gli ingredienti che mi consentono di lavorare al massimo”. Il massimo, per questo giovane talento dei fornelli, è puntare su materie prime d’eccellenza, e niente compromessi. Pazienza se il bilancio di fine stagione è più magro delle attese. L’unica religione è il cliente. U ltima arrivata al “gran ballo” di pentole e fornelli, l’alta cucina sarda ha azzeccato la formula per risultare fashion. Essere se stessa, senza trucco e senza inganno. Innanzitutto semplice. E dichiaratamente fedele alle sue origini agro-pastorali, come tradizione insegna. Giusto una ripulita qua e là: alleggerire il gusto per dare lustro al piatto, e l’incantesimo è compiuto. 192 Al posto della bacchetta magica, un mestolo. Invece del genio della lampada, un cuoco. Roberto Petza guida la lunga marcia della tavola sarda verso le frontiere dell’eccellenza. Il suo cursus honorum lo riassume così: prima la scuola alberghiera ad Alghero; poi quindici anni in giro tra Corsica, Lombardia, Svizzera e Inghilterra, infine il rientro nella natia Sardegna. Proprio a San Gavino, suo paese d’origine, apre il ristorante S’Apposentu. Nel 2001 lo trasferisce a Cagliari, nella prestigiosa sede del Teatro Lirico (via Sant’Alenixedda, 070/4.08.2 3.15). I riconoscimenti arrivano a pioggia: nel 2005, “miglior cuoco italiano emergente” per la guida de L’Espresso e “migliore performance” per i critici del Gambero Rosso. Secondo Petza, la Sardegna in bocca ha il gu- Gianmario Marras Fotografie di Adriano Mauri Nella pagina precedente: Achille Pinna sul lungomare di Sant’Antioco; per le sue creazioni punta sul pescato di giornata. Sotto a sinistra: Roberto Petza, chef del ristorante S’Apposentu, che ha sede nel Teatro Lirico di Cagliari. Sotto a destra: Claudio Sfiller, chef executive del Forte Village (Santa Margherita di Pula); guida uno staff di cento persone tra cuochi e pasticcieri. 193 CHEF D’ECCELLENZA CHEF D’ECCELLENZA Damiano Lochi (a sinistra nella foto), cuoco originario di Oristano, sceglie il pesce per la cucina del Flamingo Resort di Santa Margherita di Pula. Fotografie di Adriano Mauri uno gli ingredienti del suo menù e assaggia personalmente ogni piatto. Soltanto così riesce a servire un impareggiabile risotto ai crostacei in cialda di parmigiano croccante e la celebratissima treccia di filetti di pesci misti in guazzetto di vongole. Si chiama Claudio Sfiller lo chef executive del Forte Village (a Santa Margherita di Pula, 070/9.21.71), uno dei più blasonati resort del mondo. Deve gestire e soddisfare ogni giorno gli appetiti di migliaia di clienti dal Il segreto per conquistarlo? L’immediatezza, il pescato di giornata che passa dal mare al piatto in un paio d’ore al massimo. La cucina è innanzitutto un bagno di umiltà. Lo studio sui libri è importante, ma il talento conta, come nel calcio: puoi conoscere a memoria schemi di gioco e regole, ma alla fine è sul campo (o tra i fornelli) che devi dimostrare quanto vali. La sua patria è il mondo ma ogni estate ritorna in Sardegna per vezzeggiare i clienti del Flamingo Resort (070/9.20.83.61) di Santa Margherita di Pula (Cagliari). Damiano Lochi da Oristano è uno dei cuochi sardi più corteggiati all’estero. Dopo gli esordi al Cala di Volpe, ha governato le cucine di mezzo mondo: in Svizzera, Francia, Inghilterra, Germania, Emirati Arabi e Giappone, mantenendosi sempre ad altissimi livelli. Trenta collaboratori ai suoi ordini e una precisione maniacale: sceglie uno per Carlo Deiana, chef dell’hotel La Bitta (Porto Frailis-Arbatax), raccoglie erbe aromatiche vicino alla piscina dell’albergo. Il mare di Villasimius è prodigo di “materie prime” per i piatti di Bruno Cogoni, chef dell’hotel Cormoran. 194 → palato molto esigente. Ci riesce con la forza dei ventidue ristoranti del Forte, dall’alto di due decenni ai fornelli delle cucine più prestigiose. Ha scritto i sofisticatissimi menù dell’hotel Gallia e di Giannino, storico indirizzo di Milano. Ma alla domanda “qual è il suo piatto preferito?”, il palato ritorna al gusto inconfondibile del risotto all’isolana. Della Sardegna adora la fregola, “naturale evoluzione del cous-cous”. Ma il nazionalismo è un lusso che in cucina non può permettersi: guida uno staff internazionale di cento uomini, tra cuochi e pasticcieri; scrive, assaggia e controlla ogni giorno la carta del ristorante francese, brasiliano, indiano, giapponese, e la lista è ancora lunga. Si sente anche artista, questo è certo. Ma mentre chiede ordine e rigore in cucina, mentre fa ai suoi uomini l’ultima raccomandazione o il consiglio giusto per fare grande un piatto, somiglia di più al comandante di un veliero: perché la nave vada è necessario che tutto sia in ordine, che ognuno faccia la sua parte, a cominciare dal più alto in grado. Ha una storia diversa Bruno Cogoni, chef dell’hotel Cormoran (località Campus, 070/ 7.93.40) di Villasimius (Cagliari). Nel 1964 entra in cucina dalla porta di servizio: lavapiatti. Stregato dai riti e dagli odori, decide: “Farò il cuoco”. Scuola alberghiera ad Alghero, poi Svizzera, Olanda e alla fine Villasimius, la sua casa. In cucina nessuna filosofia: solo qualità delle materie prime, precisione e tanto amore. Piatto simbolo, una bandiera della Sardegna a tavola: spaghetti al sugo d’aragosta. Nella cucina dell’hotel La Bitta di Arbatax (Ogliastra), in località Porto Frailis (0782/66.70.80), Carlo Deiana predica al suo staff velocità e precisione per realizzare piatti piacevoli da vedere e buoni da mangiare. Impossibile? Lui ci riesce grazie alle tecniche 195 Adriano Mauri CHEF D’ECCELLENZA Patron e cuoco dell’hotel Vittoria di Arbatax, Battista Corda brandisce i “ferri del mestiere”: pesci e aragoste. apprese sui banchi di scuola e perfezionate in bilico tra le cucine di Arbatax e Milano. Ai suoi clienti serve medaglioni di San Pietro con cous-cous di verdure su salsa verde ma quando pensa alla Sardegna sente in bocca i gusti antichi del culurgione e della cordula, la treccia di interiora arrostita a fuoco lento, come si faceva una volta, sulle braci di casa. Battista Corda è chef e patron dell’hotel Victoria di Arbatax (via Monsignor Virgilio 72, 0782/62.34.57). Trentadue anni in cucina, specializzazione a Parigi e in Lussemburgo, per arrivare a una verità semplice e rivoluzionaria: la materia prima di qualità è tutto, la tecnica fa il resto. Quindi tutte le mattine al porto, ad aspettare l’arrivo del pesce più fresco. E al mercato, o dai produttori amici, per intercettare gli ingredienti migliori. 196 Solo così può finire nel piatto la sua spigola con vernaccia e porcini: superlativa. Stefano Lioni guida la cucina dell’hotel Genna ‘e Masone (località Genna ‘e Masone, 0782/ 2.40.29) di Cardedu (Ogliastra) dopo una gavetta internazionale tra Olanda, Germania e Svizzera. A Rotterdam e Berlino ha capito la sua vocazione: lavorazione al minuto di ingredienti freschissimi, niente cibi già pronti da scaldare all’ultimo istante. A Cardedu ha trovato quello che cercava: materie prime rese uniche dal sole e dal mare di Sardegna. Il risultato è il raviolo di spigola con estratto di gambero. O lo spezzatino di maiale all’aceto di moscato. Cosa c’è di speciale? “Solo qui trovo animali che brucano a dieci metri dalle onde, e nelle carni senti il retrogusto salmastro del vento”. Dalla cucina del ristorante Guardiola (piazza Bastione 4, 079/47.04.28) di Castelsardo (Sassari), Stefano Locci predica il rispetto della tradizione. La forza della Sardegna, spiega, sta nelle tagliatelle con le vongole e il pomodoro fresco. Semplici e buone. L’ingrediente più importante è l’attesa. Ogni mattina aspetta le barche che tornano dalla pesca cercando il giusto filetto di cernia per il suo strudel di pesce. E si emoziona quando vede il pescato di giornata, gli scorfani guizzanti e l’altra minutaglia del sottocosta. Segreti dice di non averne. Tranne uno, semplice e sicuro come una vecchia ricetta: stare ad ascoltare chi ha più esperienza di lui. In cucina e al mercato. Lo ha sempre fatto. E dai fornelli del suo ristorante non smetterà di ascoltare le voci del mare e della sua gente. Giovanni Antonio Lampis 197 RISTORANTI Alla ricerca dei sapori perduti Fotografie di Nevio Doz Pagina precedente: lo chef Mario Loccheddu davanti al suo ristorante Sas Benas di Santu Lussurgiu, dove la cucina sa di territorio. A sinistra: sempre al Sas Benas, prima degli antipasti, vengono serviti buoni salumi e sfiziosi crostini. I l cartello all’ingresso è eloquente: “Non si servono paste asciutte”. Non fatevi illusioni, dunque. Alla trattoria La Balena (via di Santa Gilla 25, 070/28.84.15) avrete una sola certezza: state mangiando il pesce più fresco di Cagliari, cucinato come solo i pescatori sanno fare. E allora provate a gustare le tenere carni dell’orata al sale o la profumata consistenza dell’aragosta alla catalana, bollita e condita con l’olio e il pomodoro. Niente trucchi, niente intingoli: solo sapore di mare in purezza. La Sardegna è un continente di subregioni e microclimi. A distanza di poche decine di chilometri cambia il dialetto, cambiano le facce, cambia il mondo. E il mondo è diverso anche in cucina. Da Cagliari in poco più di un’ora d’auto si raggiunge il Montiferru. Il pesce del Golfo degli Angeli lascia spazio al bue rosso. Non è una divinità pagana, ma gli abitanti di Seneghe lo venerano come se lo fosse. Mattea Usai gli ha dedicato il suo ristorante, che si chiama appunto Al Bue Rosso (piazza Montiferru 3-4, 338/2.36.90.26): un laboratorio del gusto dove le rarissime carni di razza sardo-modicana, allevate nei vicini pascoli del Montiferru e tutelate da Slow Food, incontrano l’olio profumato spremuto nei piccoli frantoi locali, le tenaci paste fatte in casa e il delicato aroma del formaggio casitzolu. Dal bue rosso Mattea ricava il pâté di fegato, il pâté di milza, e la lingua salmistrata. Sapori unici, come il pecorino stravecchio che incontra il miele di castagno. La cucina che sa di territorio è la carta vincente del ristorante Sas Benas di Santu Lussurgiu (piazza San Giovanni, 0783/55.08.70). Olio di Seneghe, carni rosse modicane e casitzolu, insaporiti con gli aromi del bosco. Singolare il carrello degli antipasti, con insalata di bollito e dadolata di pomodori, cosciotto di maiale affumicato con erbe selvatiche servito freddo con insalatina e parmigiano a scaglie. Tra i primi, particolarmente apprezzate le tagliatelle fatte in casa con porcini e cinghiale. Ottimi i secondi, tutti di carne: una menzione speciale per la tagliata con cicorietta e casitzolu. Qualche decina di chilometri per arrivare a Nuoro, capoluogo della Barbagia. Il miglior indirizzo a tavola è il ristorante Da Giovanni (via IV Novembre, 0784/ 3.05.62). Nella carta si ritrovano ricette in via d’estinzione, autentici pezzi di archeologia gastronomica. Assolutamente da non perdere la minestra con la merca: una magia di pasta e patate, colorata dal pomodoro e arricchita con lo speciale formaggio ricavato dal latte cagliato acido, messo in salamoia ed essiccato. I più for199 RISTORANTI Adriano Mauri A sinistra: l’interno del ristorante Al Bue Rosso di Seneghe, chiamato così perché vi sono cucinate solo carni di razza sardo-modicana. In basso, a sinistra: sebadas (pasta, formaggio, miele), il dolce sardo più classico, una delle specialità della trattoria Da Angelo di Tortolì. In basso, a destra: la fregola, frutto della lavorazione della semola, è alla base di molti primi. Ottimi quelli dell’Oasi, a Teti. tempo, tra i fornelli governati da Anna Maria Mele a dominare è la tradizione più pura. Ma in tempi di chef e haute cuisine il nome giusto è tempio di sapori perduti. Passione e amore consentono di trasferire la natura dai campi al piatto, conservando al palato la freschezza e il silenzio della Sardegna dell’interno. E allora vale la pena di gustare le insalatine di acetosella, ranoleccio e nasturzio. O la zuppa coi funghi e la fregola sarda. Le pentole poggiate sui bassi fornelli somigliano agli alambicchi d’uno stregone ed esalano profumi sconosciuti: il maialetto in umido con il gingiolu, ciliegia invernale che cresce a Meana Sardo; o le polpettine di capra e il maiale con le castagne. Come dessert, da provare il buffu- Fotografie di Prima Press tunati potranno gustare il brodoso aroma del filindeu, una pasta a trama fitta cucinata nel brodo di pecora e condita con il formaggio fresco acido di un giorno. Unico. Una manciata di chilometri per raggiungere Teti e il suo fiore all’occhiello, il ristorante L’Oasi (via Trento 10, 0784/6.82.11). Verrebbe da chiamarlo trattoria perché, come le antiche cucine d’un 201 RISTORANTI RISTORANTI Fotografie di Adriano Mauri chiusura, carezzato il palato coi dolcetti fatti in casa, l’acquavite e il mirto distillati con passione dai produttori della zona. Lungo la provinciale, che collega il bivio per Lanusei a Villagrande, si incontra il ristorante Il Bosco (località Parco di Santa Barbara, 0782/3.25.05). Qui Giorgio Mura porta in tavola prosciutto (quello sardo, fatto con maiali al pascolo brado che si nutrono solo Sopra: il ristorante Il Bosco, tutto immerso nella grande oasi verde di Santa Barbara, tra Lanusei e Villagrande. In basso: una bottiglia di crema di liquirizia, uno dei profumatissimi distillati prodotti da Anna Maria Mele, del ristorante L’Oasi, a Teti. Prima Press littu, pane di mandorle e miele. In alternativa, il bastone: pasta frolla arrotolata, all’interno noci, nocciole, mandorle e le marmellate che Anna Maria confeziona personalmente in casa. Dolci sapori antichi che solo all’Oasi – dove nulla è già visto o scontato – si possono incontrare. Dopo il caffè, i distillati di questa superba signora dei fornelli: crema di liquirizia e di corbezzolo e liquori di alloro, fichi d’India e finocchietto. Discendendo verso sud, in meno di un’ora d’auto si raggiunge l’Ogliastra. Una cucina fedele a se stessa, che non ama le contaminazioni: a tavola dominano i piatti di terra, le carni arrosto e i frutti del bosco, cucinati nel rigoroso rispetto della tradizione pastorale. A Tortolì, nella trattoria Da Angelo (via Piemonte 25, 0782/62.35.33), la cuoca Anna Boi prepara a mano culurgiones (saporite conchiglie di pasta ripiene di patate e pecorino), malloreddus e mustazzolos da condire col sugo di pomodoro o col ragù di selvaggina. Tra i secondi dominano il maiale, l’agnello, la pecora e la capra arrosto. Per dessert, il dolce più classico: la sebada, due dischi di pasta farciti col formaggio fresco, fritti e tuffati nel miele in un croccante e felice connubio di dolce e salato. A Lanusei, la trattoria La Madonnina (località Monte Paulis, strada Sa Serra, 346/ 3.17.14.84 o 348/5.23.60.21) serve prosciutti di pecora e di cinghiale, malloreddus col sugo di selvaggina, cinghiale alla cacciatora e tutti gli arrosti della tradizione ogliastrina: capra, agnello e maialino da latte. Da provare i ravioli con polpa di porchetto o di pecora conditi con crema ai porcini. In Sopra: il ristorante L’Oasi, a Teti, è un vero e proprio “tempio” di sapori antichi grazie ad Anna Maria Mele, signora dei fornelli di provata bravura. di ghiande e niente mangimi chimici) e casaxedu col miele, pasta fresca col caglio di capretto, culurgiones e arrosti di capra e di maiale. Siamo nel regno della cucina sarda più autentica. Il culurgione cambia sapore da un paese all’altro: a Villagrande lo preparano con patate, formaggio di pecore e di capra, basilico, grasso di pecora e di maiale. E la paniscedda, che al Bosco è un pane condito con miele, uva cotta, mandorle e uva passa, è sconosciuta altrove. A confermare che in Sardegna, anche in cucina, ogni paese è un mondo a parte. Giovanni Antonio Lampis BED AND BREAKFAST Ospitalità familiare in ambienti accoglienti S e una notte d’inverno un viaggiatore fosse sbarcato in Sardegna, dove avrebbe trovato un letto e un cappuccino? Chiusi gli hotel sulla costa. Pochi e deprimenti gli alberghi di città. Nell’interno il deserto, o quasi. La rivoluzione è arrivata da lontano. Tradizione anglosassone e una frase difficile: bed and breakfast. Molti sanno scriverla, tutti sanno cosa significa: letto e colazione, prezzi contenuti. In principio era solo una branda con brioche e caffellatte, riscaldati dall’ospitalità rustica, ma cortese, dei padroni di casa. Oggi, 204 con prezzi che non superano quasi mai i 70 euro, il B&B targato Sardegna offre camere con vista sull’isola più bella: dalla Costa Smeralda al verde silenzio di Orroli; dal collinoso Montiferru all’Iglesiente-Guspinese, cuore del Parco Geominerario della Sardegna, dove cultura e archeologia industriale affondano nel deserto di Piscinas e s’infrangono contro il Mediterraneo più agitato. Proprio a Iglesias, centro del Parco Geominerario, il B&B La Babbajola (via Giordano 13) accoglie i visitatori nelle tre grandi stanze di un appartamento d’epo- ca situato nell’agglomerato storico della città. In agosto, tra le strette viuzze tutto intorno, sfila l’imponente corteo medievale e i balestrieri si sfidano in gare d’abilità. Da non perdere il Museo Minerario. A qualche minuto di auto, una costa mozzafiato e imponenti opere d’ingegneria industriale a picco sul mare di Porto Flavia. La camera matrimoniale costa 50 euro in ogni periodo dell’anno. Informazioni: www.lababbajola.it. Prenotazioni: 347/6.14.46.21. Pochi chilometri più a nord, ancora all’interno del Parco Geominerario della Sardegna, il B&B La Miniera Fiorita (località Montevecchio, Guspini) invita a scoprire le meraviglie liberty di Montevecchio, il villaggio metallifero che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio culturale dell’umanità. Siamo nella Sardegna sudoccidentale, lungo la strada che collega Guspini al mare della Costa Verde. La Miniera Fiorita offre 16 camere doppie con bagno privato in un’oasi di pace che mette insieme storia, natura e ospitalità. A breve distanza, le dune di Piscinas, Pagina precedente il più grande e a destra: l’esterno e un interno deserto natura- dell’Antica Dimora del Gruccione, le d’Europa. Lussurgiu, Un paesaggio a Santu che conserva sahariano, con intatto il suo vero, intenso fascino la sabbia che di casa padronale. cambia colore, In basso, a destra: i toni candidi una delle ampie camere della dei gigli del Miniera Fiorita, deserto e i cerche si trova nel borgo minerario vi che all’imdi Montevecchio. brunire lasciano la macchia mediterranea per arrampicarsi sulle montagne di sabbia, estensione costiera del loro regno. La sera si cena sotto il bel porticato rinfrescato dalla brezza, l’unica voce che rompe il silenzio dei boschi attorno. La camera doppia costa 94 euro in alta stagione, 77 euro negli altri periodi dell’anno. Prenotazioni: Hello Sardinia, 070/4.52.56.87, www.hellosardinia.com Risalendo a nord, una leggera deviazione verso l’interno consente di raggiungere il paese di Santu Lussurgiu. Tra i vicoli in selciato e le botteghe degli artigiani si trova l’Antica Dimora del Gruccione (via M. Obinu 31), uno dei B&B più suggestivi e celebrati di tutta l’isola. Il grande portone ad arco introduce nell’edificio padronale d’impianto spagnoleggiante: una struttura in pietra con archi a volta, travi a vista e ammennicoli in ferro battuto che ospita camere ampie e accoglienti, tutte dotate di bagno privato. Il B&B possiede un ristorante che serve piatti del territorio cucinati con passione nel rigoroso rispetto della tradizione. La camera doppia costa 76 euro in ogni periodo dell’anno. Informazioni: 0783/55.03.00, www.antica dimora.com Prenotazioni: Hello Sardinia, 070/4.52.56.87, www.hel losardinia.com Rotta verso la Sardegna settentrionale, destinazione Costa Smeralda. A 15 minuti dalle spiagge dei vip, il B&B Lu Aldareddu (località Plebi, Olbia) accoglie i suoi ospiti in tre camere confortevoli arredate con mobili d’antiquariato, ciascuna con bagno privato e aria condizionata, ricavate in uno stazzo gallure- Gianmario Marras Gianmario Marras BED AND BREAKFAST 205 BED AND BREAKFAST se dell’Ottocento, sapientemente ristrutturato in modo da lasciarne inalterata la tradizionale facciata in lastre di granito e il tetto in coppo sardo. A disposizione dei visitatori l’ampia sala con camino, la libreria e il salotto, la sala bar e la sala biliardo. La notte, mentre le cicale friniscono e nel cielo si contano centinaia di stelle, si cena all’aperto, tra i bagliori del barbecue e i profumi del frutteto, con la brezza del golfo di Olbia che tempera l’afa di agosto. La camera doppia costa 120 euro in alta stagione, 95 euro negli altri periodi dell’anno. Informazioni: 333/2.24.93.89, www.bedandbreak fastlualdareddu.com. Prenotazioni: Hello Sardinia, 070/4.52.56.87, www.hellosardinia.com Tra i profumi del mirto, del lentischio e del ginepro, il B&B Lu Pastruccialeddu (località Pastruc206 cialeddu, Arzachena) riserva camere arredate in stile sardo, ricavate in strutture uniche nel loro genere, accurate citazioni della cultura megalitica della Sardegna preistorica. Alle spalle il suggestivo anfiteatro di graniti dei Monti Ghjolghjiu, tutto attorno 57 ettari In alto: Lu Pastruccialeddu è immerso in un incantevole scenario rurale, vicino alle spiagge del bellissimo golfo di Arzachena e della Costa Smeralda. A destra: una delle tre accoglienti camere, arredate con pregevoli mobili d’antiquariato, del Lu Aldareddu, uno stazzo dell’800 sul golfo di Olbia. di macchia mediterranea: un enorme giardino naturale per uno scenario da sogno. A cinque chilometri le spiagge del golfo di Arzachena. A breve distanza i lidi ruggenti della Costa Smeralda, ritrovo estivo del jet set internazionale: Porto Rotondo, Porto Cervo, Liscia Gianmario Marras BED AND BREAKFAST Ruja e Capriccioli. La camera doppia (con bagno privato, tv e frigo-bar) costa 110 euro in alta stagione, 66 euro negli altri periodi dell’anno. Informazioni: 0789/8.17.77, www.pastruccialeddu.com. Prenotazioni: Sardegna B&B Reservation, 070/7.26.50.07. Se vi va chiamatelo B&B, ma La Cava del Tom (via della Cava del Tom 11-13, Porto Rotondo) ha tono e personalità da hotel per clienti molto esigenti. Sembra sorto dal granito dell’antica cava romana di Porto Rotondo, e proprio il granito scalpellato a mano è il tema dominante della facciata, delle terrazze e dei viottoli aperti sul maSopra: il suggestivo complesso di Omu Axiu, a Orroli, che comprende, oltre all’albergo diffuso, una vasta dimora padronale adibita a Museo Etnografico e del Ricamo. Le belle e confortevoli camere degli ospiti sono caratterizzate da arredamenti e tessuti tipici di artigianato sardo. 208 re. L’interno è arredato in stile minimalista da un famoso architetto, e nell’immenso giardino due piscine invitano a rinfrescarsi per stemperare la calura dei pomeriggi più torridi. I viaggiatori possono indugiare sul patio che guarda verso Cala di Volpe, e consumare la ricca colazione a base di crostate fatte in casa dalla nonna. Le spiagge più fotografate del mondo sono lì, a un soffio da voi. E per visitare le baie più esclusive e riservate si può prenotare un’escursione sull’imbarcazione della famiglia. Le camere (quattro matrimoniali, una doppia e una singola, tutte con bagno privato, aria condizionata, tv e frigo-bar) costano 200 euro a persona in alta stagione, 110 euro negli altri periodi dell’anno. Informazioni: 337/ 37.99.60, www.cavadeltom.com. Prenotazioni: Sardegna B&B Reservation, 070/7.26.50.07. Dal mare della Costa più ambita alle acque lacustri di Orroli. Nella regione del Flumendosa e del lago Mulargia, l’albergo diffuso Omu Axiu (via Roma 46, Orroli) riceve i suoi ospiti in nove camere doppie e due mini-suite. Vietato parlare di semplice accoglienza: Agostino Vargiu e il suo staff sono maestri dell’ospitalità a 360 gradi. A Omu Axiu si gusta la cucina tradizionale più saporita, con i salumi fatti in casa, i maccaronis de busa e la pecora in cappotto. E si imparano i segreti della fregola, nella scuola di cucina sempre a disposizione dei visitatori. L’azienda comprende anche un piccolo, prezioso Museo Etnografico e del Ricamo. Un servizio di battelli è a disposizione per andare alla scoperta dei laghi, autentica ricchezza di questa bella zona. Informazioni: www.omuaxiu.it. Prenotazioni: 0782/84.50.23. Giovanni Antonio Lampis