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I Sogni di un profeta - Fondazione Gesù Divino Operaio

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I Sogni di un profeta - Fondazione Gesù Divino Operaio
Don Giulio Salmi
I sogni
di un profeta
a cura di Alberto Di Chio - 2008
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Testi di don Giulio Salmi:
- Testimone dello Spirito, 2003
- Don Giulio Salmi, dono di Dio per il nostro tempo, 2007
- Don Giulio Salmi, i sogni di un profeta, 2008
periodico della Fondazione Gesù Divino Operaio.
I titoli sono redazionali.
Si ringrazia Mauro Finelli per la preziosa collaborazione.
La scelta dei testi è stata effettuata da don Alberto Di Chio.
Prima edizione 2008
© Copyright 2008
Fondazione «Gesù Divino Operaio»
Via M. E. Lepido, 196
40132 Bologna
Tel. 051.40.10.27
Printed in Italy
SAB, Trebbo di Budrio (Bologna), 2008
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Prefazione
È sempre difficile entrare nelle profondità del cuore umano, scoprirne i sentimenti e i pensieri, cogliere le motivazioni e le convinzioni che
hanno guidato un’esistenza. Ma in alcuni casi rimane vivo il desiderio
di conoscere sempre meglio e di penetrare nell’intimo di alcune persone che hanno lasciato una traccia indelebile anche nella nostra vita.
Man mano che ci si allontana dalla vicenda terrena di Mons. Giulio
Salmi – chiamato alla casa del Padre il 21 gennaio 2006, all’età di 86
anni – sentiamo doveroso continuare a scavare e riflettere sulla sua persona e sul vasto ministero sacerdotale da lui esercitato in tanti anni.
Non è semplice riassumere in poche righe la vita di don Giulio: diventato prete nel 1943 in giovanissima età, la prima fase del suo servizio lo vide impegnato durante la guerra, rischiando la morte, nella cura
e nell’assistenza eroica ai Rastrellati di molte province circostanti. Nel
periodo postbellico, egli fu in prima linea nell’organizzare l’assistenza
religiosa dei lavoratori nelle fabbriche bolognesi. Iniziò a Bologna –
con la benedizione di Papa Pio XII – l’ONARMO con multiformi attività di carità a favore dei giovani, dei lavoratori, delle famiglie. È il periodo della nascita delle Case per ferie, l’organizzazione delle scuole
professionali, della polisportiva a Villa Pallavicini e l’accoglienza di
gran numero di giovani stranieri. Con la collaborazione di un gruppo di
sacerdoti (come non ricordare don Libero e don Peppino?...) Villa Pallavicini diventò un centro di animazione e un segno di carità della
Chiesa bolognese nei confronti di una vastissima gamma di persone di
ogni provenienza.
In una fase seguente della sua vita, don Giulio si concentrò su alcuni
progetti a favore degli anziani (il ‘diurno’ che porta il nome del card.
Nasalli Rocca), la Casa della carità, la ‘Maison beato Bartolomeo Dal
Monte’ per giovani lavoratori, soprattutto il Villaggio della speranza
per famiglie di anziani e giovani.
L’ultimo periodo fu connotato dalla sofferenza fisica e dal silenzio:
una lunga malattia lo costrinse alla inattività diretta e alla impossibilità
di parlare. La vita di don Giulio diventò però ancora più eloquente per
la croce accolta serenamente e umilmente: continuava a vigilare e ad
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essere presente in tutte le occasioni, senza mai un lamento o un moto di
ribellione di fronte alla pesantezza di quella sofferenza.
Così è andato incontro al suo Signore, così l’abbiamo visto sino all’ultimo giorno quando – silenziosamente – si è addormentato per andare a contemplare faccia a faccia quel Cristo a cui aveva dedicato totalmente la vita.
Resta tuttavia non solo il suo ricordo, ma anche il desiderio di una
presenza ancora attuale. Soprattutto rimangono alcuni interrogativi: chi
è stato davvero don Giulio? È stato soltanto uomo e sacerdote di
un’azione straordinariamente ricca e multiforme? Quali erano i sentimenti profondi del suo cuore?
E ci si accorge sempre di più della sua ricchezza interiore, dello spirito di preghiera e di contemplazione che lo animava, del ‘segreto’ intimo
che – come fuoco – lo spingeva a donarsi ai fratelli più bisognosi. Bisogna dire che don Giulio è stato anzitutto uomo di preghiera e di incontro
contemplativo con la Parola: ascoltata, accolta, assimilata, vissuta.
Non era certamente don Giulio uno specialista di studi biblici o teologici. Rifuggiva da qualsiasi forma oratoria. Era allergico ai titoli e
agli onori ecclesiastici, anzi spesso umoristicamente ne rideva. Tutto
quello che poteva essere ricerca di sé o di affermazione mondana non
gli apparteneva. Sua caratteristica era nascondersi e scomparire davanti agli onori degli uomini. E proprio per questo sempre più cresceva il
suo ‘uomo interiore’, con una ricchezza che si percepiva semplicemente accostandosi a lui. Quanto più scarna era la sua parola nelle omelie,
nei discorsi, negli incontri, tanto più si percepiva che non erano mai parole di circostanza per compiacere agli uomini, ma frutto di una sapienza che viene dall’alto, dall’accoglienza dello Spirito di Dio.
Così anche don Giulio non fu mai tentato dal desiderio di scrivere o
di lasciare sue memorie: ma quegli appunti o lettere o brevi scritti che
ci ha lasciati – di origine quasi sempre occasionale – mantengono una
ricchezza e un fascino di attualità che ci obbliga a riflessione e revisione interiore.
Nel 2003 – quando la malattia lo aveva privato della possibilità di
parlare – fu pubblicato un volume intitolato “Testimone dello Spirito”.
Sono testi di don Giulio per lo più tratti dal periodico dell’Onarmo
“Collaboriamo”. Nel 2007 vide la luce un fascicolo dal titolo: “Don
Giulio Salmi, dono di Dio per il nostro tempo”.
Oggi siamo lieti di pubblicare questo volume con una serie di testi di
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don Giulio. Sono “I sogni di un profeta” come certamente egli è stato.
Non sogni di illusione o di fantasie effimere, ma di ascolto del suo Signore, con lo sguardo al di là dell’attualità passeggera, gli occhi fissi in
quel disegno di Dio che sempre supera la nostra aspettativa e il nostro
buon senso.
Sono pagine varie in cui don Giulio parla dell’Onarmo, delle Case
per ferie, dell’assistenza religiosa nel mondo del lavoro, dei suoi progetti che a prima vista sembravano irrealizzabili.
Non mancano pagine graffianti dove egli non ha paura di rimettersi
in discussione o di provocare un serio esame di coscienza. Non va in
cerca di consensi o di applausi, neppure da parte dei suoi più vicini collaboratori: ma desidera che si miri sempre all’essenziale, conservando
lo spirito delle origini e le intuizioni che hanno guidano le varie attività
in obbedienza allo Spirito.
Spesso ritorna il ricordo dei ‘suoi’ arcivescovi: in particolare del
card. Nasalli Rocca che ebbe piena fiducia di lui, giovanissimo prete,
affidandogli compiti delicati e difficili, ma nello stesso tempo non facendogli mai mancare il sostegno concreto della sua paternità. E poi il
card. Giacomo Lercaro che trasmise a don Giulio l’amore alla Parola e
alla liturgia come anima di una pastorale missionaria instancabile e
sempre aperta al soffio dello Spirito.
Si sente come don Giulio Salmi dall’inizio agli ultimi giorni della
sua vita ha saputo vivere in piena consonanza ecclesiale, attento ai segni dei tempi, ma soprattutto docile all’azione di Dio nella storia.
Nel suo testamento svelerà il segreto di ogni azione apostolica: preghiera e disinteresse personale; comunione piena con il vescovo; abbandono completo alla divina Provvidenza.
Le pagine che oggi vengono offerte agli amici di don Giulio e a tutti
coloro che in qualche maniera sono venuti a contatto con la sua persona, sono verifica e testimonianza di questa fedeltà.
C’è solo da auspicare che una ricerca sempre più approfondita possa
ancora a poco a poco mettere in luce e conservare anche a coloro che
verranno dopo di noi il ricordo di questo autentico ‘uomo di Dio’, capace di ‘sognare’ in docilità allo Spirito.
Alberto Di Chio
Bologna, 21 gennaio 2008
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Un vecchio padre...
Don Giulio si sente come un vecchio padre:
con un messaggio ripetuto a tutti…
U
n padre vecchio ha sempre qualcosa da raccontare, per interessare
e annoiare. Io sono vecchio: però ho da dirvi cose sempre nuove e sempre ascoltate.
Ti invito per incontrarci e chiedere al Signore Gesù di perdonarci e di
avere ancora pazienza perché ci vogliamo convertire tutti...
(17 febbraio 1990)
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Nella ‘piccola via’ di Santa Teresa
Una costante nella vita di don Giulio
è il riferimento a Santa Teresa di Gesù Bambino
che ha insegnato a tutta la Chiesa
la ‘piccola via’ della umiltà e dell’abbandono in Dio.
H
o celebrato la S. Messa in onore di S. Teresa del Bambino Gesù
perché ci prepari meglio alla quaresima.
La sua ‘piccola via’ deve essere la nostra via in cui camminiamo per
raggiungere la meta prefissa. Come? Quando? Come lo vogliamo noi.
Come lo vuole Lui.
Tornavo ieri, dopo aver visitato la piccola Casa della Provvidenza a
Torino e la tomba di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo; poi la tomba di
San Giovanni Bosco – con l’origine dei salesiani – e la tomba di San
Giuseppe Cafasso, il prete santificatore. Ho visto opere nuove: la casa
dell’operaio (400 operai), la casa del giovane lavoratore (200 apprendisti): esperimenti nuovi di quest’anno che anche noi vogliamo fare.
Ho vissuto lunedì a Milano il dramma e il dolore di don Zeno per
Nomadelfia. Ho paragonato la piccola Casa della Provvidenza di Torino a Nomadelfia. Ho visto che non è l’estro o la novità che fanno le
opere, ma la grazia di Dio in uomini docili, in servi inutili, solo votati
completamente a Dio, alla sua Chiesa viva e palpitante nel sacerdozio e
nel Papa.
Soprattutto bisogna valutare nel governo delle nostre cose la realtà
imponderabile che è la Provvidenza. Noi dobbiamo credere fino in fondo che è Dio che ci guida e che da noi – a volte – vuole cose che noi
non avremmo mai creduto di fare. Nelle opere di Dio non bisogna mai
fare calcoli finanziari, ma essere solo fonti piene di grazia.
Ma noi dell’Onarmo che cosa dobbiamo fare? Continuare nel nostro
amore di vera fraternità cristiana nel lavoro. Di donazione completa a
Dio nell’ambiente in cui ci troviamo: nella famiglia, nella scuola, nelle
officine, nell’impiego, nella mensa.
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Cioè nella normalità dobbiamo fare straordinariamente le opere ordinarie: è questo che ci insegna S. Teresa di Gesù Bambino.
Vorrei che tutti voi leggeste il libro “Storia di un’anima” e che lo Spirito Santo vi illuminasse.
Domani è quaresima e la Chiesa – dunque Dio – ci chiama a una vera vita di grazia.
Non tutti i tempi sono uguali, ma tutto il tempo deve essere speso per
il Signore. Non è uguale il tempo della consacrazione della Messa al
tempo di una ricreazione: ma l’uno ammette l’altro: per santificare il
secondo occorre fare bene il primo.
Così per maturare la messe occorre la primavera: così per santificare
l’estate occorre la quaresima nello spirito della piccola via di S. Teresa
di Gesù Bambino.
(quaresima 1952)
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Nella storia dell’Onarmo
Don Giulio riflette sullo spirito degli inizi:
in anni difficili, con la collaborazione di molti,
è iniziata una grande avventura di servizio e di amore:
non bisogna disperdere quello spirito...
C
redo sia opportuno per me e anche per voi fare un escursus della
storia dell’ONARMO. Della sua fedeltà al Signore e della sua infedeltà
al Signore. Narrare tutte le grazie che il Signore ci ha fatto, confessare
tutti i nostri peccati. Vi ho chiamato per tempo a questo incontro, per dire tutto quello che ricordo e per aprire un dialogo ai tempi d’oggi.
Per noi si apre la vita dell’ONARMO nel febbraio 1944. Quando
l’Italia è divisa in due e gli italiani sono in guerra gli uni contro gli altri. Ma tutti i due mondi sono radicali: o con noi o contro di noi.
Fortunatamente c’è un resto silenzioso, molto folto, di persone che
ragiona e pensa di affidare al Signore quei fratelli, di mettersi al lavoro
per gettare ponti, distruggere fortilizi e di presentarsi a tutti con il solo
Vangelo di Gesù. Come sempre i primi generosi e i primi a capire queste verità (come per la Risurrezione di Gesù) furono le donne, che in
100 si misero al lavoro per fare ponti, fare dialoghi costruttivi su base
di cose necessarie alla vita, portare con messaggi di vivi dispersi dalla
guerra, speranza; e a chiamare altri a lavorare con loro.
In questa fraternità venne la liberazione dai tedeschi e dai fascisti.
Iniziò subito la caccia all’uomo dall’altra parte. Ecco, le stesse donne
sfidando gli stessi pericoli iniziarono a fare le stesse cose di prima, portare messaggi di speranza, viveri di necessità, nascondere i presunti fascisti. Poi arrivò finalmente la pace degli italiani. Iniziò una nuova era.
Non più eroismo fino alla morte, ma dare senso alla parola «Amore»,
fare partecipi tutti del pane, della casa e del lavoro, perchè ogni uomo
fosse veramente libero.
Momento difficile. Appaiono gli egoismi, le gelosie, il desiderio di
comandare. Nascono le simpatie e le antipatie. L’umanità si mostra nella sua realtà. È finito il tempo degli eroi.
Con queste donne e con questi uomini bisogna costruire un nuovo
mondo, una nuova società, non fondata sul profitto, ma sulla fraternità.
Ora non sono più i saggi anziani a credere a questo; ma i giovani e molti.
L’ONARMO è presente in tutti i campi dove c’è uno spirito nuovo da
infondere. L’ONARMO a Bologna è dei laici. Sono loro a infondere agli
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altri laici questo spirito di fraternità. A certi livelli della vita ecclesiale ci
sono: P. Giorgio Flich, Mons. Luigi Bettazzi, Mons. Luigi Dardani,
Mons. G. Baroni, veri apostoli che cercano solo il Regno di Dio. È un
crescere continuo, dove non si è accettati, si manda chi è accettato, dove
si è combattuti si risponde con il Centro della Pace, dove ci si vuole morti, ci si presenta come vittime da uccidere.
Si supera anche questo primo periodo di lotta intestina e si arriva all’entrata in Bologna come Vescovo di Mons. Giacomo Lercaro.
Non è più il periodo clandestino, ma ora si agisce ai raggi del sole, Lui
Pastore avanti avanti avanti, e noi gregge si tenta di seguire. Esplodono le
iniziative. Il Cardinale Lercaro è sempre presente.
Ma i laici dell’ONARMO sono sempre nello spirito dell’eroismo, o si
sono adattati a un nuovo tenore di vita? Ecco le nostre colpe.
Abbiamo ceduto le assistenti sociali Nardini Liliana, Wilma Decio,
Lucilla Fronticelli, Gabriella Gardini, Giuseppina Vaccari Grossi, Giorgina Balboni Gottardi. Siamo diventati poveri; una società senza le donne è poverissima, non ha più il senso della misura. Gli uomini fanno poco da soli. Sono rimaste le collaboratrici delle varie attività con tutto
l’entusiasmo e poi perderemo anche loro in parte divenendo sempre più
poveri.
Gli uomini, è successo come quando è stato arrestato Gesù, sono svaniti nel buio, solo pochi e qui ricordo Dante Calzoni che ha sempre conservato lo stesso spirito, anzi si è assunto il peso di tutta la baracca, pregando, soffrendo e portando la Croce ogni giorno.
I soci fondatori sono spariti per sempre. Hanno iniziato altre attività alcune personali, altre sociali e pubbliche.
Abbiamo gustato il calice fino all’ultima goccia. In più gli avvoltoi da
sull’albero attendevano di scendere a consumare anche lo scheletro.
Ma pensate! Fra questi c’erano anche sacerdoti che credevo amici.
Poi si continua. Il Signore manda sempre dei segni visibili in uomini
che incarnano l’ideale dell’ONARMO dei tempi eroici.
I laici tornano sovrani con l’Associazione Matteo Talbot, si continua e
si spera di fare sempre quello che piace al Signore.
Sia, cari amici, il vostro motto: «Non mea, sed tua voluntas fiat...»
(2 dicembre 1988)
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Una fede matura
Una riflessione di don Giulio – preparata per un gruppo di giovani –
a proposito della fede e della razionalità dell’essere cristiani
e dell’adesione a Cristo.
Perché siamo cristiani?
Essere cristiani significa essere uomini che credono a Gesù Cristo
come figlio di Dio e vivono il suo Vangelo. Se così è, ti sorgono spontanee le domande:
• Perché dobbiamo credere?
• È ragionevole credere?
• Le religioni non sono forse tutte uguali?
• Come si fa a credere a Cristo che noi non abbiamo mai visto né toccato?
Le risposte che qui in breve sono riassunte si fondano su questa premessa: l’atto di fede è l’atto più ragionevole che ci sia.
Per poter credere con piena fiducia ad una persona devi essere sicuro
ti parli con cognizione di causa, con vera competenza; e che inoltre
quella persona non sia menzognera, cioè incapace di ingannarti in ciò
che dice. Solo se è degna di fede – cioè se è tanto dotta e onesta da allontanare ogni sospetto di inganno e di menzogna – puoi credere a ciò
che ti dice.
Ora applica questi concetti alla fede cristiana.
Per credere a Cristo quando parla agli uomini, devi essere certo che
Egli abbia veramente parlato per insegnare le cose che riguardano la
tua anima e la tua salvezza.
Che Egli abbia dato le prove di essere degno di fede: non essendosi
ingannato né avendo potuto né voluto ingannare quando ha sostenuto di
essere il vero Figlio di Dio.
Ora che Cristo abbia parlato è certo: i Vangeli che riportano il suo
pensiero e la sua vita sono stati scritti da coloro che l’hanno ascoltato e
quindi sono libri storici fuori discussione. Basti accennare alla testimonianza esplicita dei suoi contemporanei più vicini a Lui: non solo cristiani che si sono lasciati uccidere per questo, ma anche nemici, come
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ebrei e pagani. Scriveva Rousseau: “dubitare dell’esistenza di Socrate
sarebbe una pazzia: orbene la vita di Socrate di cui nessuno dubita è un
fatto meno attestato che l’esistenza e la vita di Cristo”. (EMILIO, L. 4)
Se è tanto certo che Cristo abbia detto ciò che il vangelo ci riferisce,
è altrettanto vero che Egli sia Dio.
Il valore della sua dottrina è tanto elevato che solo nel Vangelo troviamo la risposta a tutti i problemi che agitano l’uomo e una perfezione
morale insegnata e vissuta in modo tanto sublime. Un uomo che parla e
vive così come è vissuto Cristo, non può essere un illuso o un ingannatore: merita di essere creduto.
Oltre a questa testimonianza di vita e di dottrina – degna solo di un
Dio –, si aggiunge quella dei miracoli: è la sfida che Egli ha lanciato!
Ora tra questi miracoli visti e controllati da tutti, amici e nemici, ve ne
è uno che Egli dà come prova decisiva: “dopo tre giorni risusciterò la
morte”. Questo fatto della resurrezione è talmente certo per le circostanze in cui è avvenuto e per la testimonianza di tanti testimoni oculari, che non si potrebbe spiegare come per almeno tre secoli i cristiani
siano stati tanto perseguitati, quando invece sarebbe stato certamente
più facile dichiarare falso e nascondere tale fatto preso a base della fede da tutti i cristiani.
Ora rifletti: Gesù viene sulla terra a nome di Dio di cui si dice figlio,
presentando con prove schiaccianti le sue credenziali in regola di ambasciatore autorizzato. Egli ti istruisce sul tuo destino eterno e ti insegna come devi vivere.
Dunque è ragionevole credergli in tutto, dal momento che sappiamo
che Dio – verità in persona – è intervenuto per confermare la sua missione.
La conclusione è una sola: io credo in Gesù Cristo e sono cristiano se
accetto tutto ciò che Egli mi insegna.
La nostra fede cristiana è l’unica fra tutte le religioni che può lanciare questa sfida ad ogni uomo che non ha pregiudizi: di non essere respinta prima di essere conosciuta.
(5 dicembre 1956)
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Un impegno di tutti
Don Giulio si rivolge alla grande schiera degli amici
per sollecitare una concorde collaborazione
per realizzare un’opera di giustizia e carità.
M
i permetto di sottoporre anche a te la soluzione di un problema
che mi assilla. Dieci anni fa sottoposi agli amici delle Case per ferie lo
stesso problema e fu risolto magnificamente. Tutti accettarono con entusiasmo e corrisposero quanto era necessario per iniziare la piccola casa di ospitalità di San Sisto.
Ora per far fronte alle ingenti spese e poter continuare quest’opera
che ritengo tanto utile alla formazione dei giovani lavoratori, necessita
un impegno collettivo.
È sufficiente che ogni ospite che è stato nelle nostre Case per ferie
corrisponda con una offerta di lire 1000 annuale, per vedere risolto il
problema.
La casa di ospitalità di San Petronio (ex Villa Pallavicini) prospera e
diviene un po’ la casa di tutti noi.
Confido nella tua generosità: tutti siamo portati a fare qualcosa di
buono in questi giorni. Ritengo che questa sia un’opera buona.
(Natale 1963)
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La presenza eucaristica
L’Eucaristia è fonte e culmine, radice e cardine della vita della Chiesa
e di ogni attività apostolica: don Giulio ha coscienza
che tutto nasce dall’altare e dall’incontro personale
con Cristo Eucaristia.
L
a presenza di Gesù nella Eucaristia nelle chiese cattoliche italiane.
Il desiderio di conoscere uomini e posti spinge l’uomo con l’aereo o
nave o auto o treno o autostop a visitare il mondo. Questa è stata ed è la
meta dell’uomo vivo in tutti i tempi.
In tutte le terre di Africa e di Asia, d’Europa e di America i luoghi più
insigni per arte sono i luoghi sacri al culto religioso.
Le magnifiche cattedrali in Germania, in Inghilterra e in Svezia hanno attrazione artistica: ma sono fredde per noi italiani. Sembra di entrare in un mondo estraneo al sacro e al divino. Manca qualcosa: manca
Gesù sacramentato. Sono luoghi di visita, ma non di permanenza. Si
ammira, ma non si adora.
Sia per noi bolognesi l’anno del congresso eucaristico un richiamo al
grande dono di Gesù di essere con noi tutti i giorni.
Sia risveglio di fede. Sia un pegno di amore verso lui e gli uomini.
Sia la speranza di essere veramente buoni, cioè nuovi ogni giorno per
lui nel donarci al servizio di tutti, specialmente dei più bisognosi.
(23 agosto 1977)
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Madre della luce
Una ‘visione’ di don Giulio lo porta a desiderare
di edificare un tempietto a Maria madre della luce.
I
l 9 settembre 1978 una grande luce si posò sul colle vicino alla Casa
per ferie ‘don Filippo Cremonini’. Una luce che creò nella mia anima
una grande gioia che si protrasse per tutta la notte.
Era la stessa gioia che provai a San Giovanni Rotondo alla S. Messa
di P. Pio.
Erano le 19 di quel giorno. Solo i ragazzi della Polisportiva intuirono
il mistero di quella luce. Con me videro il fenomeno Antonio Ciscato e
Mario Melega. Ebbi paura di andare al colle. Solo due mattine dopo
con Bruna e Pina mi recai.
Provai ancora per un momento quella gioia. Poi più.
Ora desidero fare un tempietto dedicato a “Maria SS.ma Madre della
divina luce”.
Dice il Signore: “Io sono la luce del mondo: chi cammina dietro di
me, non cammina nelle tenebre”.
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Le Case per ferie 40 anni dopo...
Ad alta voce don Giulio si esamina e ripensa
alle varie opere apostoliche create:
dopo 40 anni c’è ancora lo spirito delle origini?
Cosa bisogna fare per tornare al primitivo fervore?
I
l profeta Isaia oggi ci dice. «I brontoloni impareranno la lezione».
Gesù ci oggi dice: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede».
Il nostro quarantennio delle Case per ferie è iniziato. Il nostro lavoro
dell’ONARMO di Bologna ha 44 anni. Sono due cicli di vita.
Una riflessione comune: quello che è stato fatto è solo per Gesù, per
la fede in Lui. Non ci sono stati dei brontoloni in passato.
Ora vogliamo vedere assieme il nostro operare per vedere alla luce
della fede il nostro modo di essere nell’ONARMO. È un motivo solo di
fede in Cristo e nella sua Chiesa, o ci sono delle resistenze in noi? Siamo
dei brontoloni che non hanno capito la lezione di quello che è stato fatto. Viviamo come per conservare; o per creare sempre cose nuove per
essere pronti a comparire davanti a Dio in ogni momento della nostra vita. Ieri leggevamo nel Vangelo che le opere che non sono fatte sulla roccia che è Cristo, i venti, la pioggia e le tempeste le distruggono. Le nostre resistenze sono questi venti e queste bufere che distruggono.
Vediamo un po’ queste opere che hanno quarant’anni:
1) La Casa del Giovane Lavoratore ha conservato la sua originale na-
scita di prendere i ragazzi poveri, gli sbandati e farne degli uomini
onesti, oppure siamo diventati come altre opere che si sono istituzionalizzate? È questo un compito solo di don Giulio e compagni, oppure è viva in tutti noi questa preoccupazione? Che cosa abbiamo fatto,
come abbiamo reagito. Viviamo questo nostro essere alla Villa Pallavicini come testimonianza, o come operatore di lavoro delegando gli
altri a questo?
2) La polisportiva Antal Pallavicini è veramente un centro di preevan-
gelizzazione o è soltanto una società sportiva come tante altre? Per
cui si spendono soldi e fatica e non si dà nulla a quelle centinaia di
ragazzi che frequentano. Anche qui deleghiamo alcuni e noi ce ne disinteressiamo come se la cosa non fosse nostra.
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3) L’Ufficio di Via Marescalchi è veramente un fuoco che arde, che
accende i cuori e le menti per trovare unità di azione: tutti per uno e
uno per tutti sempre pronti a qualsiasi servizio, oppure si dividono i
compiti: io penso a questo e tu a quello, questo è compito mio e tu
non te ne devi interessare? Si vive e si soffre per tutte le opere come
e più di mio figlio, di mio padre, di mia madre? Ricordiamo le parole di Gesù: chi è mia madre? Sono coloro che fanno la volontà di
Dio.
4) Le Case per ferie hanno conservato la loro origine? Direi di no. Non
sono più vissute come opere di Dio e coloro che vi lavorano non sono più servi umili e incapaci che tutto hanno ricevuto da Dio, e tutto
debbono dare.
Sono sette le Case per ferie: sono un patrimonio economico nostro e
della Chiesa; abbiamo deciso che qualora non corrispondessero più
alle loro finalità di distruggerle perchè non divenissero come la Labarum Coeli un beneficio dei canonici. È meglio disfarsi subito vendendo e facendo case per i poveri. Tutte le nostre resistenze e le nostre personali visioni a compiere questo servizio sono contro la fede
in Gesù.
5) Il Villaggio per gli anziani è opera nostra oppure un capriccio di don
Giulio? Vediamo qual è il mio impegno per far crescere quest’opera,
oppure anche qui delego ad alcuni ed io mi astengo. Faccio il mio dovere o credo di fare abbastanza? Ma l’uomo non è come l’animale
che non ragiona; ha intelletto per dare consiglio e vita.
In questi giorni dicendo la S. Messa alla Casa della Carità alle sei e
mezzo del mattino, ho visto parteciparvi una decina fra uomini e donne
che pregano, cantano e si comunicano. Era così l’ONARMO nel 1948.
Tutti i collaboratori al mattino partecipavano alla S. Messa, dicevano
l’ufficio della Madonna e facevano la meditazione.
Ho pensato che il male oscuro di oggi è questa carenza di fede. Son
convinto che se aumenterà in noi la fede, si ritorna alle origini e scompare il cancro che ci consuma.
(5 dicembre 1985)
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I brontoloni e i silenziosi
Due categorie: i brontoloni e i silenziosi.
I collaboratori da che parte vogliono stare?
C
i sono due specie di collaboratori: i brontoloni e i silenziosi.
I brontoloni sono quelli che con la loro lingua distruggono quanto
fanno loro e quanto fanno gli altri. Sono vere calamità.
Ci sono i silenziosi che lavorano per la loro purificazione e costruiscono il Regno di Dio anche qui sulla terra.
Vediamo a quale categoria noi apparteniamo.
Per fare questo è necessario trovarsi davanti a Dio con umiltà e con
coraggio e dire con il profeta Davide: “Dissi, ed ora incomincio una vita nuova”.
Preghiera ed esercizi spirituali sono i mezzi per vedere se siamo
brontoloni: questi sono i mezzi per correggerci e divenire nuovi nello
spirito.
(2 febbraio 1988)
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Gli uni per gli altri
La legge evangelica dell’amore come può essere concretizzata
nella vita quotidiana dei collaboratori?
P
erché?
Perchè siamo fatti così: da una parte abbiamo doni in più che non
possiamo consumare in noi stessi, dall’altra non abbiamo tutto ciò che
serve. Siamo cioè nello stesso tempo troppo ricchi e troppo poveri. Siamo fatti in modo che dobbiamo continuamente scambiarci qualcosa.
Ma come avviene questo scambio?
Tutta la nostra organizzazione umana è una rete di scambio. Non è
certamente perfetta: lo scambio non avviene ancora «alla pari» fra tutti.
C’è chi dà poco e prende molto, c’è chi dà molto e prende poco. È ancora vero che nel mondo ci sono persone o popoli ricchi e persone o popoli poveri – oppressi e oppressori – sfruttati e sfruttatori. Tuttavia il nostro mondo è tutta una rete di scambio, di rapporto o relazioni umane.
Quale legge dovrebbe regolare questo scambio?
Gli uomini ne hanno adottate varie: dalla legge della necessità (riconoscendosi complementari) alla legge della giustizia, a quella dell’amore.
Solo la legge dell’amore, tuttavia, può risolvere pienamente (anche
sul piano psicologico) questa esigenza umana di scambio. Nessun’altra
infatti può arrivare alla profondità ove tutta l’esigenza umana di scambio viene pienamente soddisfatta.
Ecco perchè il Vangelo è un messaggio d’amore che ci annuncia, in
Cristo per mezzo dello Spirito Santo, che Dio è Padre e noi siamo tutti
fratelli. Ed ecco anche perchè il più grande comandamento è quello
dell’amore e, anzi, è il comandamento che riassume in sè e rifà ogni altro comandamento.
L’amore non è quindi solo un sentimento meraviglioso, un bisogno
del cuore: ma è una legge strutturale, una necessità esistenziale, è vita.
Non è che amiamo perchè abbiamo un cuore, ma abbiamo un cuore
perchè dobbiamo amare. Siamo realmente fatti per amare.
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Ma come si enuncia questa legge?
Si enuncia in tre modi.
1) Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. È un
modo precristiano. Una base di partenza. Il prologo dell’amore,
fondato sulla dignità della persona umana. È un modo ancora imperfetto, insufficiente alla esigenza umana di scambio. Non fare
del male non basta. Per amare occorre volere (e quindi realizzare)
il bene degli altri. In ogni caso non è un modo d’amare che basti al
cristiano.
2) Ama il prossimo tuo come te stesso.
Questa formulazione è già presente nell’A.T., ma con un senso restrittivo per quanto riguarda la parola «prossimo». Con questa formulazione siamo già nel cuore dell’amore. Deve però essere presa
alla lettera, intendendo cioè il significato espresso da ogni singola
parola, che è il seguente:
- Ama: un verbo all’imperativo, cioè un ordine per tutti. Indica che
amare non è un’attività facoltativa ma un dovere assoluto. Chi non
ama pecca come chi trasgredisce un qualsiasi altro comandamento
del Signore, pecca come chi ruba, chi ammazza, chi imbroglia,
ecc. ... Non amare è un peccato di omissione.
- Il prossimo tuo: (vedere qualsiasi dizionario) è la persona più vicina. Chiunque mi è vicino, anche solo casualmente, è il prossimo
che devo amare. Nel momento in cui una persona mi è vicina, mi
passa accanto, in quel momento diventa «mio prossimo da amare».
Così non ho scelta: debbo amare chiunque è nella situazione di poter ricevere il mio amore, di beneficiare d’un mio gesto d’amore.
Se tutti amassero la persona che hanno vicino, nessuno resterebbe
senza amore. L’amore si propagherebbe per contagio. Del resto è
impossibile amare i «lontani», le persone cioè con le quali non ci si
può mettere in qualche modo in contatto, in relazione, per il semplice motivo che non possono raccogliere il mio atto d’amore. Verso i lontani si può solo avere «disposizione ad amarli».
- Come: vuol dire = (uguale). È il segno di una equazione: io = gli
altri. E quindi, per la legge dell’equazione, gli altri = me. Questo
implica che se io ho diritto di mangiare, hanno diritto anche gli altri. E significa anche che io debbo essere disposto a portare gli altri
nella mia situazione e io a portarmi nella situazione degli altri, essere cioè disposto a «scambiarmi» con gli altri. Se sapessimo applicare questa legge dell’amore non ci sarebbe più chi mangia troppo e chi muore di fame, chi ha due vestiti e chi non ne ha nessuno.
26
3) Amatevi come io vi ho amato.
Questa è la vera formulazione evangelica. Con questa formulazione l’amore è portato alla sua massima misura e profondità. Ecco
perchè, così formulato, Cristo ha detto «vi do’ un comandamento
nuovo», ha parlato di «mio» comandamento.
Come Cristo ci abbia amato è scritto nel Vangelo ed è raffigurato nella Croce. È l’amore di chi non trattiene nulla per sè, di chi rinuncia di
essere alla pari e si pone al di sotto degli altri, l’amore che dà senza
chiedere, che si fa dono totale. L’amore servizio, vocazione, l’amore
eroico, il vero amore, dove tutto è gratis, oltre il dovere, come vuole la
natura dell’amore.
Come questa legge dell’amore è presente nel Vangelo?
È presente nel senso che il Vangelo è la rivelazione dell’amore. Il
Vangelo è uguale ad amore. Se io ricordo questa legge, ricordo tutto il
Vangelo. Se applico questa legge nella mia vita – nel senso verticale ed
orizzontale – applico tutto il Vangelo. Io sono cristiano solo quando
amo. E poichè per essere cristiano debbo essere uomo, io sono uomo
solo quando amo, per cui se non amo, non sono nè cristiano nè uomo.
Tutto questo è chiaro in ogni pagina del Vangelo, in ogni gesto e in
ogni parola del Signore. Ogni gesto del Signore – compresa
l’Incarnazione, la Morte e la Risurrezione – è un gesto d’amore. Ma
l’amore guida anche ogni sua parola e ogni suo insegnamento.
Gli stessi «comandamenti» (il famoso «decalogo») sono «riscritti» e
«ridati» in chiave d’amore. La loro «ritrascrizione evangelica» noi la
troviamo nell’enunciazione del comandamento dell’amore (Ama Dio e
ama il prossimo) e nel Pater noster. Gli antichi «comandamenti» sono
ancora validi e obbliganti anche dopo Cristo, ma debbono essere letti e
osservati tenendo presente questo perfezionamento apportato dalla legge dell’amore. («Non sono venuto ad abrogarli, i comandamenti, ma a
perfezionarli». E che sia proprio questo il perfezionamento preannunciato lo dice esplicitamente S. Paolo: «L’amore è il perfezionamento, il
completamento della legge». «Ogni comandamento viene assorbito dal
comandamento dell’amore»). Dopo Cristo quindi il decalogo non è più
una legge imposta dall’alto, che batte sulla testa degli uomini obbligandoli ad osservarla, ma diventa una esigenza interiore dell’uomo, un moto che parte dal di dentro, per un bisogno intimo della persona umana.
Con l’introduzione di questa legge nel mondo i rapporti tra gli uomini e Dio e tra l’uomo e gli altri uomini si modificano profondamente:
27
non più rapporti tra servo e padrone, tra creatura e Creatore, ma tra figli
e Padre; non più rapporti tra uomini in concorrenza, in difesa l’uno dell’altro, ma tra fratelli, tra persone che si cercano per farsi l’un l’altro
termine del proprio amore.
Io non posso più accontentarmi di osservare i comandamenti passivamente, ma, oltrepassando la semplice osservanza, mi faccio promotore dei loro contenuti più ampi, attivamente, col cuore. Non
m’accontento più di non recare danno a qualcuno, ma voglio, ho bisogno, di fare del bene. La legge da negativa si fa positiva.
Dio non è più il mio unico Signore, ma è il mio unico Padre. Non mi
basta non bestemmiare il suo nome, ma voglio santificarlo e farlo santificare. Non mi basta ubbidire ai suoi voleri, ma faccio dei suoi voleri
la mia vita, la mia gioia, il mio programma.
Così gli «altri» non sono più gente da rispettare, da non derubare, da
non uccidere, da non imbrogliare, ecc., ma sono fratelli da amare, ai
quali partecipare i miei doni. Non gente da ignorare, ma persone che
voglio accostare per farle termine del mio amore.
Riletti e accettati così, in chiave d’amore, i comandamenti diventano
la mia preghiera, e la mia preghiera diviene il mio programma, il mio
impegno di vita.
Solo comprendendo questo «perfezionamento» introdotto dalla legge dell’amore, posso capire il «discorso della Montagna» e capire perchè questo «discorso» sia considerato la «magna cartha» del Cristianesimo. E posso naturalmente capire ogni pagina del Vangelo, che è poi,
in definitiva, capire Cristo.
28
Amare: ma che significa
in concreto?
Possiamo dire di amare
oppure il nostro amore è solo superficiale e verbale?
S
ignifica ricordare e tradurre in pratica, in ogni momento, in ogni circostanza, che «Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli».
Naturalmente dobbiamo derivare il significato delle parole «padre» e
«fratello» dal valore che queste parole hanno nel contesto di una famiglia bene ordinata, autentica, sana. (Non per nulla la famiglia ha come
unica legge l’amore, al punto che se in una famiglia i membri sentono
il bisogno di consultare il «Codice Civile», qualunque esso sia, anche il
più perfetto, vuol dire che quella famiglia o è già fallita o sta avviandosi verso il fallimento).
Tradurre poi in pratica, in ogni circostanza della vita, che «Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli» significa instaurare con tutti gli uomini
quei rapporti (affettivi e dinamici) che comporta l’«essere una cosa sola» come Gesù ha chiesto al Padre.
Essere una cosa sola: non esiste un rapporto più intimo, più attivo,
più interdipendente, più impegnativo. Essere una cosa sola con tutti:
quindi la stessa legge per me e per gli altri, la stessa dignità, la stessa
giustizia. Ma questo è possibile solo nell’amore. Solo l’amore è capace
di produrre questa unità di «comunione». Ogni altro tipo di rapporto
può tutt’al più avvicinarli, gli uomini, ma non può unirli in comunione.
Da rapporti che prescindano dall’amore potrà nascere una «società» ma
non una «comunità». Questo però agli uomini non basta, avendo
l’uomo bisogno di «scambiarsi» con gli altri in tutto ciò che «ha» ma
anche in tutto ciò che «è».
Non è allora difficile comprendere come possa dire d’amare solo
quando cerco di trasferirmi negli altri e accolgo gli altri in me, o – in altre parole – quando offro la mia vita per ritrovarla negli altri.
Al contrario non posso dire d’amare quando il mio dare è interessato,
calcolato, condizionato, commerciato.
Non posso dire d’amare quando do quello che voglio e non quello di
cui gli altri hanno bisogno.
Non posso dire d’amare quando sono disposto a dare domani ma non
oggi.
29
Non posso dire d’amare quando do poco mentre potrei dare molto.
Non posso dire d’amare quando do il peggio mentre potrei dare il
meglio.
Non posso dire d’amare quando do qualcosa di quello che ho ma non
dono qualcosa di me stesso.
Non posso dire d’amare quando preferisco uno ad un altro.
Non posso dire d’amare quando – come scrive Pitigrilli – sono pronto a dare un bacio al lebbroso, ma non una stretta di mano al cretino.
Non posso dire d’amare quando so dare in pubblico ma non nascostamente.
Non posso dire d’amare quando nel dare scelgo la via più lunga e
non la più breve (ad es. balli di beneficienza!).
Non posso dire d’amare quando faccio pesare il mio dono.
Non posso dire d’amare quando anche do tutto, ma non so perdonare, comprendere, accettare gli altri.
Non posso dire d’amare quando mi vergogno del povero, dell’ignorante, del peccatore.
Non posso dire d’amare quando so piangere con chi piange, ma non
so gioire con chi gioisce.
Non posso dire d’amare quando provo più compiacimento per il dovere compiuto che per la gioia donata.
Non posso dire d’amare quando penso al bene che ho fatto che a
quello da fare.
Non posso dire d’amare quando, anche dando tutto me stesso, non
sento che ogni uomo è mio fratello.
Non posso dire d’amare in tutti questi casi e in tanti altri, perchè, così, non mi unisco ai miei fratelli in autentica comunione, non arrivo a
farmi «una cosa sola» con loro. Do qualcosa ma non tutto, do a modo
mio ma non alla maniera di chi accosto, mi protendo sulle sue necessità ma non su di lui.
È amore soltanto ciò che va diritto e subito alle necessità di un mio
fratello, se però contemporaneamente il mio cuore cerca il suo cuore.
Ma questo può avvenire solo quando vedo in lui veramente un fratello,
un uomo, una persona uguale a me. Soltanto in questo caso, infatti, colui che voglio amare mi si porrà innanzi con tutta l’esigenza di dignità e
giustizia che comporta l’essere uomo, e io sentirò che non potrò amarlo
senza rispettare in lui questa pregiudiziale che precede ogni mio dono.
«Amare» quindi significa, in definitiva, far «riuscire» l’uomo, «tutto» l’uomo» come uomo.
30
Fiducia nella Provvidenza
Dalla fede deriva la piena fiducia nella Provvidenza paterna di Dio.
Don Giulio ne fa continua esperienza e ne diventa testimone.
“
I
acta super Dominum curam tuam et Ipse te enutriet!” (SALMO 54)
Getta o cristiano ogni penosa cura nel tuo Signore che con paterno
amore nutre e governa ogni creatura!
Sono molti anni ormai che io lessi il versetto del Salmo su riportato
in un dischetto di marmo che ha per programma un totale abbandono
nelle mani della divina Provvidenza e ne fui commosso.
Conobbi poi in seguito che il principio indicato in quel versetto era
praticato integralmente da tutti quelli che appartenevano a quella casa
benedetta – orfani e maestri – ed anche il loro linguaggio aveva un che
di soprannaturale e di celeste.
Mi diceva, ad esempio, il venerato superiore: “Io temo soprattutto
due cose: i denari e le protezioni degli uomini. Le croci sono la benedizione e il sigillo che Dio mette alle opere veramente e totalmente sue.
La Provvidenza di Dio, quando vi è bisogno, opera anche miracoli straordinari per nutrire le sue creature. Dove comincia il calcolo dell’umana prudenza, ivi cessa la Provvidenza. Tutto è possibile a chi crede, dice Gesù. Fede: grande fede, sempre fede. Speranza contro ogni speranza. Preghiera e fiducia. Dio non ha mai fretta nelle sue cose, ma l’ora di
Dio suona quando egli lo vuole. Bisogna tenere pulita la casa dall’offesa di Dio”….
Canoni brevi e solenni: massime limpide e luminose che hanno formata la scienza regolatrice di tante opere che sfidano i secoli e le bufere, tra l’ammirazione del mondo affannoso calcolatore, tra lo stupore
degli statisti turbinosi e impenitenti ideatori di forme sempre nuove che
il tempo travolge nell’oblio.
A leggere queste massime si rimane profondamente pensosi perché
non fanno tutti altrettanto.
Purtroppo è di pochi questa fede che trasporta i monti e opera prodigi. Ai più è dato di battere la via dei più.
Ma perché non entrare in questo sistema soprannaturale e divino, divenire tutti strumenti e ministri, nella piccola azienda familiare, di ope31
re di bene per il prossimo, essere perseveranti confidando solo in Dio
per entrare in questa nuova atmosfera incomprensibile, che poi adagio
vi avvolge, vi trasforma, vi trascina, vi entusiasma, vi fa piangere, vi fa
gridare: o Dio, quanto sei grande! Quanto sei buono!...
Non sarebbe bene spesa tutta la vita, pur di entrare per un poco di
tempo in questa economia, in questa azienda divina? Oh, come sono
belle le opere di Dio, nate dal nulla, tra le contraddizioni,
l’indifferenza, il disprezzo dei più! I ministri della Provvidenza quanto
debbono soffrire e combattere: perché la scienza – questa nobile e superba matrona – vuole spiegare, vedere, conoscere tutto, mentre nelle
opere di Dio quasi tutto è incomprensibile dagli stessi strumenti della
Provvidenza. Se li interrogate, vi rispondono sorridenti guardando il
Cielo, come faceva con me uno di questi fortunati, dilatando gli occhi
che scintillavano di luce, rivelando infiniti, nascosti orizzonti: “io qui
dentro non sono che un povero casante: chi fa tutto è Dio”...
32
Don Filippo Cremonini
Con commozione e riconoscenza don Giulio ricorda l’insegnamento
e l’esempio ricevuto negli anni della formazione
da don Filippo Cremonini.
È
stato per me un Padre, un esempio, un modello come uomo e come
sacerdote. Aveva tutte le caratteristiche di un uomo del popolo e tutte le
finezze di un gentiluomo. Aveva una cultura eccezionale. Sapeva stare
con tutti, con i nobili, con i lavoratori, con gli uomini di scienza, con i
bambini, con i ragazzi e i giovani.
Conosceva Bologna alla perfezione e i bolognesi in particolare, con i
loro difetti e le loro virtù. Non tollerava i furbi e i diplomatici, in particolare gli uomini della Curia: non li considerava uomini ma arrivisti.
Aveva una attrazione particolare per l’istruzione catechistica a mo’ di
dialogo fra maestro e discepolo.
Un’altra sua prerogativa era di insegnare ai giovani, ragazzi e meno,
le virtù cristiane con tutti i mezzi: gite, teatro, sports e sempre la parola
del Vangelo.
Il merito specifico di don Filippo è la carità verso i più poveri: dare
pane, vitto e alloggio, e specialmente elevare la loro condizione con lo
studio, la disciplina e il sacrificio, dandone prima lui l’esempio.
Non ho conosciuto la giovinezza di don Filippo, nè la sua prima
azione apostolica di sacerdote, ma ho sentito da lui parlare del grande
Cardinale Svampa e degli eroi della Chiesa bolognese (es. don Bedetti,
don Mariotti, ecc.) che lui ha conosciuto in termini superlativi. A questi
si riferiva sempre per la rinascita delle fede a Bologna e ce li indicava
come modelli; a questi aggiungeva don Giovanni Calabria, suo angelo
tutelare e salvatore del suo sacerdozio in senso eroico.
Per don Filippo, don Calabria era un santo paragonabile a San Francesco d’Assisi per il suo amore alla povertà. Si incontravano tutti gli
anni, il 20 Luglio, finchè è vissuto don Giovanni, gli raccontava le sue
barzellette e ridevano di gioia; gli scriveva spesso e don Giovanni rispondeva.
A don Giovanni si deve l’iniziativa del Collegio «Buoni Fanciulli»
che don Filippo iniziò a Ponte Lame.
Povero e tutto affidato alla Provvidenza.
I ragazzi erano i più poveri.
33
Dai ragazzi desiderava solo studio, disciplina e grande pulizia personale. Soleva ripetere con S. Francesco di Sales che la pulizia è un ramo
del paradiso.
Così dotto ma così semplice, credeva a tutti e in modo particolare ai
ragazzi. Per lui erano tutti buoni e bravi; in tanti anni di insegnamento
non ha mai bocciato nessuno. I più bravi erano i figli del popolo, i più
tonti i figli dei ricchi eppure anche per questi chiedeva la promozione.
Era un piacere stare con lui; mi sembrava di stare con mio padre che
a un ragazzo di sette anni diceva tutti gli affari della famiglia e della vita sociale e politica.
Don Filippo diceva tutto dei segreti della Curia, della politica e giudicava con arguzia i dirigenti fascisti; con i socialisti ha fatto anche a
botte e ha sempre vinto. Questi con il fascismo sono stati mandati in
esilio e quando tornavano a Bologna, di soppiatto, lo venivano a trovare. Per me era un momento importante, sapere come pensavano e cosa
dicevano: una scuola che mi è servita per la vita.
Li tratteneva a mangiare e a dormire; noi, a 17 anni, sapevamo la storia del fascismo e quanto fossero falsi i tanti profeti del regime.
Sapevamo da lui direttamente che cosa fossero i socialisti e i danni
che avevano arrecato al popolo, e quanta arroganza avessero i nuovi
politici.
La guerra d’Africa per la presa dell’Etiopia era un mezzo per ingannare il popolo italiano; poi la guerra con Hitler fu un disastro.
Nel suo cuore rimaneva un ricordo triste dei tedeschi, non li accettava come alleati. Poi ci furono i bombardamenti di Bologna e la sua casa e la sua chiesa di Ponte Lame furono colpiti gravemente. Fu un duro
colpo per lui, ma questo nel 1943.
Prima aveva brindato per la fine di quel buffone che faceva la guerra
senza armi, il 25 luglio 1943. Nessuna simpatia per il re, massone e
senza idee sue.
A noi aveva già indicato, con precise parole, i suoi desideri:
- assistere gli operai nelle fabbriche;
- formare i giovani per essere operai cristiani nelle fabbriche;
- avere una carità assoluta per i bisognosi;
- essere sempre in comunione con il Vescovo perchè così voleva il
«suo» don Giovanni Calabria.
Questi sono stati i suoi insegnamenti.
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Farneto: centro del mondo?
L’angolo misterioso delle grotte del Farneto continua a riproporre
nella memoria di don Giulio gli anni felici della sua infanzia...
A
sinistra dell’entrata principale della grotta, c’è un buco entro il
quale l’amico Luigi Fantini vi scivolava sempre standovi dentro anche
per giorni. Ci parlava di scoperte straordinarie. Per noi ragazzi era un
buco così misterioso, ci stavamo davanti per delle ore pensando di andarci.
Un giorno di giugno del 1932, con i soliti amici Verardo, Dino e Angiolino, intorno alle 9 del mattino ci trovammo pronti per esplorare le
meraviglie nascoste in quel cunicolo stretto e sdrucciolevole. Presi candele dalla chiesa e fiammiferi da casa, con calzoni corti, scarpe rotte ed
una maglietta bucata. Incominciammo a scendere, Angiolino – il più
giovane (aveva 8 anni) scivolò e si mise a piangere, Dino e Verardo lo
portarono in superficie. Io ero troppo orgoglioso e pieno di paura in
quel sentiero buio e pieno di pericoli; ma continuai lo stesso. Poi uno
scivolone lungo e doloroso mi annientò completamente. Forse svenni.
Fatto sta che vidi attorno, a circa 400 metri di profondità, una meravigliosa valle immensa formata da quattro fiumi con acqua cristallina
che si univano nella parte nord della valle. Vi scorrevano veloci. La visione mi rinfrancò, mi diede forza e tentai di risalire. Alle ore 21 uscii
dal quell’oscuro cunicolo tutto sporco e bagnato. Mi rifugiai, a pochi
metri, a casa dell’amico Verardo; sua madre mi lavò e pulì i miei abiti.
Tornai a casa. La mamma, con lei eravamo sempre d’accordo, mi chiese se volevo mangiare, mi coricai e sognai quella splendida valle.
A ottobre andai in collegio, una vera prigione; ma là trovai Gesù, allora il Paradiso era in me. Penso sempre ai ragazzi in collegio, o in prigione. Se non trovano Gesù per loro è fatta.
Ora penso che in quella valle del Farneto Dio Padre ha creato l’uomo
sapiens, per cui il Farneto è il centro dell’Umanità.
35
36
Prete, chi sei?...
Riflessione autobiografica di don Giulio:
essere prete non è ricerca di carriera o di successo,
ma totale e generosa donazione ai fratelli,
senza nulla aspettarsi in cambio...
P
rete di campagna o di città, cappellano del lavoro, assistente di associazione, canonico, monsignore, sacrista, primicerio, penitenziere….
Ma quanti sono i titoli? E quante sono le prebende? E chi conta più le
specializzazioni, gli impieghi, gli incarichi, le sfumature di un magistero eterno ed insostituibile? Preti d’assalto, preti guastatori, preti operai:
ultima risorsa del cristianesimo attivo, ultima trincea oltre la quale sta il
campo biondeggiante di messe non colta, l’eldorado delle anime da
coltivare.
Chi sei tu, prete ignoto a questo secolo se non per i pregiudizi che ti
insultano? Ti chiamano ricco, ti dicono della schiera dei sazi, ti appellano ipocrita e doppio: sei tutt’al più un furbo per la massa. Uno di quelli che ha saputo risolvere il problema del pane. Comunque sempre un
gabbamondo fannullone.
Tirati fuori dunque da questa colluvie di fango, se puoi: dì pure al
mondo che sono tutte calunnie, che è tutta una congiura del demonio e
dei suoi servi.
Amico sacerdote: è il tuo destino, questo, credimi: essere il fiore del
mondo e morire ogni giorno un po’, nello struggimento di non poterti
comunicare. Sei prigioniero della tua santità. Anche se ti crederanno infatti, qualche residuo della calunnia rimarrà senz’altro e i più vicini, anch’essi, in un certo momento ti verranno meno. E tu allora ti darai da
fare a ricomporre le fila, a richiamare ancora una volta intorno a te degli amici. Questi cresceranno nella grazia e diverranno gli adulti del Signore. Poi si faranno le loro idee, la loro indipendenza di giudizio. E tu
sarai, ancora una volta, solo.
Solo! Che mestiere ingrato quello del prete! Che pesantezza sul cuore quando, alla sera, dopo tanta fatica, dopo tante miserie ascoltate in
confessionale, dopo tante incomprensioni, storture, arrovellamenti o
languori – il che per l’anima è lo stesso – dovrai la sera tornare a vincere la bestia che, mille volte domata, chiede ancora una staffilata. E fosse pure quella definitiva! Domani tornerà all’attacco, sta sicuro. Che fare allora?
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“Resistete saldi nella fede”, ti dice il breviario. E poi vai a letto. Rendiamo grazie a Dio, davvero, Signore, anche questa è passata!
Dicono che noi preti non facciamo niente, o Signore. Eccoti la mia
giornata piena di lavoro. So che troppo spesso quest’oggi ho seguito il
mio gusto personale. So che qualche momento ho dimenticato di essere un servo inutile. Dammi la buona notte, o Signore.
Questa è la vita del sacerdote come l’ho vista io. Questo per me è il
sacerdote. Che importa se tanti non sono così? Il sacerdote che penso
io, povero cappellano di campagna o misero scribacchino di curia, ha
questo profilo ideale. Mi piace pensarlo così. Ne ho visti tanti che sono
così.
38
I miei impegni...
Don Giulio si esamina e si propone un cammino spirituale
in vista di un apostolato generoso di vita sacerdotale nella Chiesa.
1.
Essere più carico di vita interiore, partecipando ogni mese ad un
ritiro spirituale.
2.
In un giorno di ogni settimana dedicare una mezza giornata alla
propria formazione spirituale.
3.
Far partecipi anche gli amici collaboratori di questa ricchezza spirituale.
4.
Organizzare ritiri mensili per i ragazzi della Villa.
5.
Fare ritiro bimensile per i collaboratori.
6.
Esercizi chiusi di tre giorni per coloro che si avviano all’apostolato in mezzo agli altri.
7.
Credere fino in fondo alla nostra vocazione tra gli operai e al nostro affetto per i poveri.
8.
Visitare l’azienda ogni settimana, fare un gruppo di preghiera e di
carità. Formarli con un ritiro bimensile.
9.
Valorizzare la Villa Pallavicini con le sue opere, in particolare la
casa S. Petronio.
10. Distribuire bene gli incarichi ai collaboratori e incontrarsi ogni settimana per la verifica.
11. Dare tutto me stesso per la formazione spirituale dei ragazzi della
casa.
39
12. Fare una scelta per i collaboratori delle Case per ferie e formarli
per questo apostolato.
13. Una più costante penetrazione spirituale per gli allievi del Centro
esterni.
14. Una conoscenza anche solo di persona dei ragazzi della Polisportiva Pallavicini.
15. Contatti con tutti coloro che si interessano della evangelizzazione
del mondo operaio.
16. Amarci di più fra noi e collaborare per creare una comunità di affetti e di ideali apostolici.
17. Verifica settimanale del modo di agire di noi sacerdoti.
18. Trovare altri sacerdoti che collaborino con noi.
19. Intensificare il sorgere di gruppi di preghiera fra gli amici delle
Case per ferie.
20. Necessità personale di una formazione culturale più intensa.
21. Necessità di abbandonare la scuola per essere più a disposizione
dei ragazzi e delle varie opere della Villa.
(23 settembre 1968)
40
Alcune idee...
Nel suo servizio di animazione nel mondo del lavoro,
don Giulio delinea una strada da percorrere a livello personale,
parrocchiale, di cappellani del lavoro.
1. Fare un lavoro di inchiesta per conoscere un cristiano che operi in
ogni ambiente di lavoro. Poi questi cerchi un compagno o più, altrimenti la fidanzata o la moglie o la sorella.
2. Ritrovarsi periodicamente a Villa Pallavicini o alla sera di qualche giorno della settimana o al sabato o alla domenica anche con la famiglia.
3. Curare scrupolosamente questi incontri su “Vangelo e Chiesa”.
4. Tenere i contatti sempre su un piano spirituale.
5. Inventare la festa delle matricole del lavoro.
(settembre 1976)
41
Per le parrocchie
1. Una attenzione speciale per le parrocchie di periferia.
2. Inserire la comunità dei credenti, partecipanti alla Eucaristia domenicale, alle esigenze di giustizia e di verità esistenti in parrocchia, con
preghiere, solidarietà e partecipazione a scoprire sempre meglio la
giustizia.
3. Scoprire nella S. Scrittura le scelte di fondo fatte da Gesù: le pecore
deboli, inferme, ferite, le smarrite e disperse. (cf. Ez. 34,4).
(settembre 1976)
42
Per i cappellani del lavoro
1. Conservare tutto ciò che è buono in questo campo apostolico, incrementarlo là dove si trovi sacerdoti disposti a lavorare in spirito di silenzio e di annunzio e preannunzio evangelico.
2. Coordinare i sacerdoti al lavoro in diocesi.
3. Formare assistenti o consulenti per le associazioni cristiane (ACLI –
MCL – ACI)
4. Tenere riunioni ordinarie fisse.
5. Studiare sempre più a fondo la funzione del gruppo sacerdotale per il
mondo del lavoro.
(settembre 1976)
43
44
Evangelizzazione operaia
Quale strategia deve la Chiesa usare
per accostare ed evangelizzare il mondo operaio?
C
onstatato che l’azione cattolica italiana per sua natura non è un movimento di evangelizzazione operaia; constatato che le ACLI non vogliono essere un movimento di evangelizzazione operaia, necessita
creare a Bologna un movimento operaio che formi, colleghi, sostenga i
militanti. Questo movimento deve lavorare per il ‘bene totale’ della
classe operaia, certi che senza una vita totalmente cristiana non si può
realizzare la evangelizzazione della classe operaia.
Il movimento deve aiutare gli operai a dare questa testimonianza cristiana in conformità di una vita vissuta e spesa per il messaggio da portare agli altri perché sia ricevuto.
Deve dare ai militanti una prospettiva che consenta loro la capacità
di legare abitualmente la fede alla vita, aiutandoli a vivere insieme, osservare insieme, riflettere insieme, decidere insieme per un’azione apostolica che parta dai fatti della vita quotidiana personale e di gruppo.
Deve riunire degli uomini che hanno calato la fede in un impegno
temporale in cui sono impegnati per ragioni naturali:
• senso della giustizia da portare nel mondo operaio e nelle strutture
sociali;
• senso della solidarietà di azioni;
• senso del sacrificio per valutare la classe operaia;
• senso della dignità del lavoratore che si realizza con il prendersi la
responsabilità e si svilisce nella passività.
Motivi e imperativi di fede:
la nuova società deve ‘sottomettere la terra’;
il peccato insito nella ingiustizia da allontanare;
la carità da vivere;
il senso della redenzione da scoprire e da vivere nel sacrificio e nell’impegno;
• la dignità di figlio di Dio da far rispettare in ogni uomo.
•
•
•
•
45
Si deve fare oggetto dell’evangelizzazione le persone, non direttamente l’organizzazione della società.
Deve conservare un’assoluta, reale e visibile autonomia da qualsiasi
altra organizzazione politica, sindacale, non pretendendo di sostituirsi
né di condizionare nessun movimento temporale.
Deve rappresentare nella Chiesa la classe operaia e la Chiesa – Corpo mistico – nella classe operaia.
Per questo il movimento non deve avere altra missione che quella
della Chiesa.
46
Le Case per ferie
Una relazione che non solo ripercorre alcune tappe
dalla nascita delle Case per ferie,
ma ne richiama lo spirito autentico da non disperdere.
1. Finalità delle Case per ferie
Le Case per ferie sono nate per dare al lavoratore la possibilità di riposare fisicamente nei luoghi dove la bellezza e la quiete della natura
possono aiutare il sacerdote a restituirgli il concetto e l’amore di Dio,
dell’amicizia, della fraternità.
La situazione religiosa e morale della società di oggi è certamente
molto preoccupante: chiunque viva senza bende agli occhi può facilmente rendersi conto che il mondo attuale non può proprio definirsi un
mondo cristiano.
Le cause sono molte e non è facile racchiuderle in un’unica sintesi; la
ribellione a Dio è sempre stato uno dei più grandi misteri dell’umanità,
mistero che neppure la verità del libero arbitrio riesce ad illuminare
sufficientemente, in quanto resta sempre oscuro il fatto che l’uomo possa decidersi ad approfittare della propria libertà proprio contro Dio.
Questa constatazione non elimina, comunque, la necessità che ogni
tentativo di risanamento cristiano tenga conto di quelle che sono le cause specifiche del male in un determinato settore e ne adegui in conformità il metodo di lavoro; e le Case per ferie dell’ONARMO sono appunto uno di questi esperimenti nel settore delle classi lavoratrici, le
quali, dato il numero delle persone che vi appartengono, costituiscono
indubbiamente un grave problema dell'apostolato moderno.
L’opera delle Case per ferie si serve di un momento della vita del lavoratore – il periodo delle ferie estive – per isolarlo dalla propaganda
avversaria che oggi è uno degli impedimenti alla vita e al pensiero cristiano, e per tentare di riportarlo alla considerazione di quei problemi
spirituali che con troppa facilità vengono archiviati e trascurati.
Per cercare questo era necessario realizzare un incontro tra lavoratori e sacerdote che avesse come base di partenza il precetto evangelico
della carità, essendo provato che l’uomo si lascia più facilmente convincere dalle opere di bene che dalle dottrine anche le più belle.
La stessa scelta delle Dolomiti come luogo dell’incontro non è per
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puro caso: l’ambiente esterno ha una grande importanza educativa;
l’uomo ha bisogno di una coreografia e per parlargli di Dio nessuna coreografia è più suggestiva ed efficace di quella alpina, espressione veramente trionfale della creazione divina.
Ecco le Case per ferie: un albergo di tipo famigliare aperto a tutti,
con prezzi accessibili anche ai più poveri, dove in un ambiente caldo di
bontà si associa il riposo fisico ad una scuola di rieducazione ed integrazione spirituale.
Probabilmente da principio le Case per ferie sono state apprezzate e si
sono affollate più per le possibilità che offrivano di trascorrere le vacanze sulle Dolomiti che per gli altri motivi, ma oggi l’elemento spirituale
si è ben inserito e ne costituisce il loro miglior pregio, dando sicura garanzia che non sono una inutile variazione di vecchi metodi di lavoro.
La carità, la vera carità evangelica, questi frutti doveva darli. Il Vangelo ritradotto fedelmente ed integralmente nella lingua del popolo, è
sempre il libro della vita per tutti, anche per quelli cui le abitudini e le
preoccupazioni quotidiane, alimentate di dottrine materialiste, l’hanno
strappato di mano e sostituito con i manuali tecnici e d’affari. Lo spirito, particella di Dio, non si combina con ingredienti di questa terra: il
suo elemento affine è Dio e null’altro può pacificarlo.
2. Nascita e sviluppo delle Case per ferie
Se si dovesse fare una storia completa, in molti capitoli, ci si potrebbe divertire a dare agli inizi della Case per ferie un sapore di avventura.
I primi infatti furono 20 giovani assieme al loro cappellano del lavoro nel 1947, partendo da Bologna con una attrezzatura da carovanieri,
andarono ad addentrarsi in Val di Fassa, dentro ad una baita di legno,
per trascorrere in modo cristiano le ferie estive.
Non c’era certamente in tutti la conoscenza che stavano per fondare
una opera nuova del Signore, ma tutti ripartirono dalla Val di Fassa con
gli occhi ed il cuore pieni di meravigliose bellezze e commozioni.
Ci fu un operaio che espresse un desiderio: «Vorrei che l’anno prossimo anche i miei amici di lavoro potessero venire quassù!» e questo si
è avverato.
Dalla baita del 1947, si passò all’albergo «FEDAIA» di Alba di Canazei, vecchio, disadorno e scomodo, ma capace. Nel 1945 e ’50 all’albergo Fedaia si aggiunse l’albergo «BELVEDERE» di San Vigilio di
Marebbe.
Nel 1951 abbandonato il vecchio Fedaia per il nuovo albergo dell’ONARMO «Matteo Talbot», conservato ancora l’albergo Belvedere
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di San Vigilio, è stata aperta la terza Casa per ferie in Val Fiscalina con
sede nell’albergo «BAGNI DI MOSO».
Nel 1952 hanno funzionato sei Case per ferie: Alba di Canazei, San
Vigilio di Marebbe, Bagni di Moso, Funés e Sotto Stelvio.
Nel 1953 le Case aperte sono state quattro: Alba di Canazei, San Vigilio, Perra di Fassa e Milano Marittima. Quest’ultima a tipo sperimentale, solo per nuclei famigliari, al mare.
Anno Operai
1947
1950
1952
1953
20
502
824
863
Impiegati Studenti
–
347
801
359
Professionisti
Totale
Ospiti
Totale Spese
di gestione
–
73
135
246
20
1140
2161
1794
£. 121.700
£. 10.235.000
£. 29.465.000
£. 21.240.000
–
218
401
326
Il prospetto indicato dà in sintesi l’idea del lavoro compiuto e una visione delle vaste proporzioni che tale organizzazione ha assunto.
Le cifre su riportate dicono con chiarezza che le Case per ferie non
sono più un’avventura, ma un’OPERA per l’evoluzione spirituale e sociale dei lavoratori, il cui bagaglio di esperienze, sofferenza e benedizioni incoraggia ed impegna tutti a continuare.
E fu proprio per garantire la continuità delle opere e per tradurla in
una istituzione sempre meglio funzionante che gli stessi bolognesi vollero una Casa propria.
Nel 1949 fu acquistato un appezzamento di terreno di mq. 767 e venne pagato metro per metro dai vecchi ospiti e amici, senza alcuna difficoltà. Il 2 giugno 1950, mons. Babini Vescovo di Forlì, in rappresentanza del compianto Card. Nasalli Rocca, Arcivescovo di Bologna, presiedette alla cerimonia della posa della prima pietra, e il 2 giugno 1951,
esattamente un anno dopo, il nuovo albergo fu benedetto ed inaugurato,
pronto per essere abitato.
L’albergo costruito a cento metri dalla chiesa parrocchiale di Alba di
Canazei (Val di Fassa - Trento) fu denominato Casa per ferie MATTEO
TALBOT e dedicata alla Madonna delle Nevi.
3. Case per ferie di proprietà dell’ONARMO di Bologna
- Casa «Matteo Talbot» di Alba di Canazei (TN)
- Casa «Teresa Martin» di San Vigilio di Marebbe
- Casa «Mons. Ferdinando Baldelli» di San Silvestro di Dobbiaco (BZ)
- Casa «Santa Maria» di Milano Marittima (RA)
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- Casa «Don Filippo Cremonini» di Massignano (AP)
- Casa «San Giovanni» di Castiglione dei Pepoli (BO)
A queste sei Case di proprietà, deve essere aggiunta la Casa «Madonna del Lavoro» di Cogne (AO).
4. Direzione e personale
La direzione della Casa per ferie è di tipo attivo e basata sull’autogoverno degli ospiti. In ogni turno i giorni più difficoltosi sono i primi
due. Il giorno successivo all’arrivo il direttore o l’assistente illustrano a
pranzo le finalità della Casa, ponendo in evidenza lo scopo del riposo,
il valore spirituale della montagna e la necessità di rispettare le norme
vigenti per il buon andamento della casa, chiamando ciascuno a collaborare nell’organizzare gite, feste, spettacoli, ecc., rendendo cioè evidente la necessità di una corresponsabilità dei singoli al buon andamento di questa grande famiglia.
Si tende a creare un senso di necessità del reciproco aiuto nella vita
comune, quasi come avviene in cordata su per una parete rocciosa, con
questo spirito nasce spontaneamente negli elementi migliori, e quindi
negli altri, un clima di fraternità, pieno di canti, di gite ed escursioni, di
giochi e di feste.
I dirigenti, vivendo con naturale familiarità, troveranno in queste manifestazioni i momenti più felici e facili per suscitare e maturare nelle
anime le crisi feconde di idee più chiare e di decisioni morali.
Il sacerdote, pur sovraintendendo la direzione della Casa, rimane soprattutto il sacerdote, maestro e guida spirituale delle anime. Cura in
modo particolare lo spirito e l’attività apostolica del direttore e del personale della Casa ed organizza la vita spirituale della Casa.
Il sacerdote avrà sempre il periscopio della sua sensibilità a fior
d’acqua per avvertire il più piccolo accenno di risveglio alla Grazia.
Il direttore, è l’autorità, colui che decide, tuttavia sempre con il parere ed il consiglio dell’assistente. La Casa per ferie ha infatti una appartenenza piuttosto laica, ma sempre subordinata ad ogni costo all’autorità vera: il sacerdote.
L’economo ed i collaboratori ai vari servizi sono il principale aiuto al sacerdote e al direttore nell’attuazione del clima particolare della
Casa per ferie e debbono pertanto, possedere doti particolari: grande
sincerità, modestia e spirito di sacrificio.
In sostanza si tende ad un metodo democratico, di spontaneità e naturalezza di rapporto tra gli ospiti e la direzione della Casa, in modo da
favorire quel processo di semplificazione morale di maturazione spirituale così fecondo di meravigliosi risultati.
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5. Assistenza religiosa nelle Case per ferie
In ogni Casa per ferie vi è un sacerdote che con ogni mezzo cerca di
crearvi un ambiente spirituale e che, approfittando di ogni occasione,
avvicina i singoli ospiti, parlando loro di Dio. Gli ospiti difficilmente
gli oppongono resistenza perchè la sua caratteristica è quella dell’amico sincero e generoso.
Nelle Case per ferie convergono operai, impiegati, studenti e professionisti, gente cioè che appartiene al mondo del lavoro e che vive in
mezzo a mille preoccupazioni ogni giorno.
Queste persone vengono alle Case per ferie direttamente dai luoghi
del lavoro o della scuola e arrivano per riposarsi e distendere i nervi,
scegliendo le Case per ferie perchè non possono andare altrove: finiscono però per preferirle ad altri posti perchè l’ambiente piace.
La Casa si riempie così di gente diversa per educazione religiosa e
morale, diversa per tendenze politiche, di diversa età, ed avvicina senza alcuna distinzione operai e professionisti, iscritti all’azione cattolica
e comunisti, oltre alla gran massa di gente neutrale.
Questo è l’ambiente nel quale il sacerdote ed i suoi collaboratori debbono lavorare in un periodo relativamente breve. Dieci o venti giorni infatti non sono molti per chi, prima ancora di cominciare, ha bisogno di
crearsi le condizioni favorevoli, il clima di fiducia e quanto può essere
utile a far cadere le prevenzioni, oggi comuni a tanti, nei confronti del
sacerdote e del suo lavoro. Ma poichè gli ospiti non possono fermarsi oltre i giorni concessi per le ferie, il sacerdote deve lavorare in intensità.
Nonostante tutto, parlando dopo una esperienza di sette anni, si può
affermare che l’ambiente è abbastanza favorevole e che si possono ottenere buoni risultati.
Naturalmente l’ambiente non lavora da sè, nè il clima di famiglia e di
serenità che vi si forma sfocia obbligatoriamente in un processo spirituale nè il riposo e l’allentamento della tensione quotidiana conducono
necessariamente in chiesa, come non basta che la natura di per sè elevi
l’uomo a Dio; occorre sempre che il sacerdote sappia convincere gli
ospiti e sappia raccogliere e costringere questa prima spontanea elevazione in una forma di educazione spirituale.
L’uomo di solito fa fatica a rinunciare alle proprie abitudini e non si
può neppure pretendere che lo faccia senza prima venire in possesso
della verità. È anche vero che le grandi anime soltanto, per di più privilegiate, si preparano alla conversione da sè o meglio condotte da uno
stimolo interiore della mente o del cuore; le altre, la maggioranza, hanno tutte bisogno di un episodio, di un impulso dall’esterno, hanno bisogno in genere dell’aiuto di un’altra persona. Non va neppure dimentica51
to che Iddio non interviene, di norma con un miracolo, ma lascia che
l’uomo percorra tutta la strada della conversione, la quale di solito è
lunga e faticosa.
Perciò il sacerdote, che vive vicino all’uomo e vuole portarlo a Cristo, deve essere prudente ed intuitivo, deve sapere attendere, deve soprattutto essere strumento impersonale della Grazia del Signore.
A queste condizioni, e se vi si aggiunge generosità e spirito di sacrificio, qualcosa si ottiene: l’uomo per quanto ribelle sia non può mai distruggere la propria origine divina, nè può senza sgomento continuare a
seppellire Iddio sotto il creato.
***
L’assistente spirituale della Case per ferie non è un sacerdote diverso
dagli altri e non usa metodi speciali; anche egli si serve delle regole comuni dell’incitamento della sua coscienza sacerdotale e, come tutti gli
altri, adegua il proprio lavoro all’ambiente, alla mentalità e alle necessità di ognuno di quelli ai quali vuol fare un po’ di bene.
Come ogni anima è un caso a sè, anche ogni categoria di persone ha
una propria sofferenza e un proprio modo di cercare FUGGIRE Iddio:
e questo bisogna assolutamente conoscere e tener presente. Bisogna soprattutto ricordare che le anime non vanno aggredite. L’aggressione fa
dei vinti o dei prigionieri, ma non convince nè porta all’amore. Per portare all’amore si deve cominciare proprio con l’amore. La verità può
essere crocifissa, anche da un ignorante, ma per sconvolgere l’amore ci
vuole un degenerato. Ecco prechè l’uomo ha meno prevenzioni contro
l’amore che contro la dottrina.
La crisi della persona umana e lo smantellamento interiore dell’individuo più che un prodotto di teorie filosofiche e sociali errate, sono una
conseguenza di uno stato di fatto nel quale l’uomo non è più fratello del
suo prossimo e non vuole più condizionare la sua vita a questo rapporto soprannaturale.
Ne deriva che il sacerdote il quale vuole parlare ad un’anima deve
rompere questo egoismo: almeno per iniziare il colloquio egli deve fondersi col bisogno che è in quell’anima. Questo apostolato di amicizia è
agevolato, rispetto ad altri metodi, dal fatto che l’amicizia predispone
l’animo di entrambi a non opporsi reciprocamente per pura prevenzione, vizio questo che danneggia la verità più della stessa ignoranza.
La tensione classista e la frattura delle relazioni sociali, originate dalle dottrine antievangeliche, non possono eliminare completamente il
contenuto umano dell’uomo; pertanto, valorizzando questo fatto, si può
ancora – in un ambiente favorevole e dopo aver sottratto l’uomo, alme52
no per un po’ di tempo, alla persecuzione snervante del mondo iroso e
settario in cui vive – tentare di riaccostarlo a Cristo e di ridargli il gusto
del precetto della carità.
Molti non amano il bene perchè conoscono solo il male, molti odiano Cristo perchè conoscono solo satana: nelle Case per ferie si cerca di
cambiare questa situazione col far conoscere anche il bene e Cristo,
servendosi specialmente dell’esempio dei buoni e degi atti di bontà, ed
evitando ogni inutile aggressione polemica.
Una gentilezza spontanea, un consiglio dato al momento giusto, una
conversazione sincera e serena, l’esempio di coerenza tra parola, insegnamento e fatti, finiscono sempre con aprire una porta alla confidenza,
e chi confida qualche segreto della propria anima è per metà conquistato.
Ma quel che più attrae è certamente il mostrare la gioia vera che il
cristiano prova nel servire il suo prossimo, senza calcoli di interesse nè
malizia di ricompensa, e servirlo anche quando costa sacrificio, non facendo distinzione se il suo sacrificio è grave o leggero e se il beneficiato è un amico o uno sconosciuto.
Nessuno saprà resistere a lungo a questo contegno e verrà a ringraziare, dando al sacerdote la possibilità di dire la prima parola spirituale
e di continuare il lavoro di formazione già iniziato.
Risultati ottenuti
Non c’è cosa più difficile e imprecisa che fare un bilancio spirituale:
non è però impossibile vedere che le Case per ferie nei loro sette anni di
vita hanno dato notevoli risultati. Molte persone venute in montagna
unicamente per trascorrervi le ferie sono tornate a casa mutate. Lassù,
nel silenzio della natura, hanno sentito la voce di Dio e il bisogno di accostarsi alla Grazia.
Eccone alcuni esempi.
«Prima di entrare all’ONARMO la mia vita e il mio carattere erano
sempre incostanti, mi trovavo sempre ad essere dalla parte più comoda. Lei una sera di due anni fa mi fece cambiare idea, ebbe la pazienza
di spiegare come dovessi mutare totalmente i miei atteggiamenti, il mio
punto di vista. Grazie di avermi aiutata a migliorare e preghi un poco
anche per me». (da una lettera di una studentessa all’assistente).
«Sono venuto a Canazei pieno di prevenzioni. Preciso: non senza fede perchè questa non mi è mai venuta meno, ma distante, con l’animo
pieno di pregiudizi, di cattiverie quasi e di astio e col proposito di procurare seccatura ad ogni minima imperfezione dell’organizzazione. Invece, dieci giorni lassù fra la grande cordialità sincera, umana, onesta,
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hanno totalmente cambiato il mio animo... Ho bisogno di rigenerazione, di una redenzione per la mia anima». (da una lettera di un operaio
all’assistente).
«I giorni trascorsi in montagna con l’ONARMO, rappresentano per
noi la riserva di serenità, il ricordo dolce e riposante al quale si ricorre nei momenti più neri, al termine di una giornata di lavoro. Questo
perchè i giorni trascorsi lassù sono stati belli, tersi, improntati a soddisfazioni spirituali. Lassù i nostri pensieri erano sempre indirizzati verso le cose migliori: nella nostra mente si apriva come una finestra su
un mondo di sensazioni dimenticate, perdute nella voragine di meschinità, di piccole cattiverie, ecc.». (da una lettera all’assistente).
Qualcosa si è ottenuto. La partenza dalle Case al termine di ogni turno è sempre uno spettacolo suggestivo. Molti non sanno nascondere la
loro commozione: è troppo bello vivere in un ambiente sereno ed amico e ritrovare se stesso secondo la legge della natura e della Grazia.
Tornando a casa, al lavoro, mancherà loro quella pace delle cose che
l’eccitazione della vita cittadina distrugge. L’uomo soffre quando è costretto a vivere una vita troppo estrema; l’uomo ha bisogno di sè ancor
più che del suo prossimo.
Vita religiosa delle Case per ferie
Gli ospiti della Case per ferie sono di passaggio: così l’assistenza
spirituale deve avere quasi un carattere impressionistico. Le stesse pratiche religiose – riportate alla loro limpidezza liturgica – raccolgono
dalle cime alpine quella semplicità e freschezza che è nella natura fedele a Dio e in questo ambito invitano a credere e pregare.
Nelle Case per ferie nessuno è obbligato a particolari pratiche religiose, ma tutto si fa perchè ognuno senta il bisogno di entrare in chiesa
e di inginocchiarsi con sincerità. Le preghiere sociali dell’ONARMO
sono come la musica di fondo che accompagna il colloquio e la confessione di ognuno con il Signore.
Le nostre preghiere ufficiali sono tre: la Santa Messa, la meditazione,
le lodi del mattino e della sera (rosario facoltativo).
La Santa Messa, troppo spesso declassata ad un atto della vita quotidiana del sacerdote, viene riportata con ogni cura e spiegazione, alla
sua vera sostanza di sacrificio e di rifugio sotto la Croce del Signore di
tutta l’umanità sferzata dalla paura e dagli egoismi ribelli a Dio.
La Meditazione quotidiana è una delle preghiere e dei metodi di
formazione meno praticato ed amato. L’uomo moderno, distratto e su54
perficiale fa fatica a concentrarsi in una qualsiasi forma di studio: la pigrizia intellettuale accarezzata dai metodi didattici moderni, è un dato
di fatto innegabile.
Atteso poi che il cristianesimo prima di diventare azione è pensiero,
è necessario trovare un modo di meditazione possibile anche ai più distratti.
Così, lassù che è possibile, si cerca dalla sfolgorante bellezza della
natura dolomitica quei pensieri e commozioni, che adattati con delicatezza e carità ai diversi stati d’animo, aprano la mente e il cuore verso
gli orizzonti più belli e più veri per i quai, soprattutto, l’uomo è stato
creato.
55
Il mio fallimento?...
Non è un momento di pessimismo: ma don Giulio si chiede
fino a che punto i doni di Dio sono stati conservati e valorizzati
e quali sono le strade di un recupero.
È
un momento di riflessione su noi e sulla nostra opera. C’è qualcosa che secondo me non funziona a tutti i livelli. Abbiamo dimenticato la
nostra consacrazione al Signore e la nostra donazione all’ONARMO.
Abbiamo lasciato la preghiera. La Santa Messa quotidiana, impegno
assoluto per ogni collaboratore, è diventato un impegno domenicale come tutti gli altri; si arriva al paradosso che nelle Case per ferie gli ospiti vanno alla S. Messa feriale e i collaboratori a zonzo.
Non possiamo trasmettere nulla ai giovani se non abbiamo ricevuto
dal Signore.
Sono qui per dichiararvi il mio fallimento, credo sia venuto il tempo
(i segni sono tanti) di lasciarvi, perchè così come vi comportate non è
conforme a quanto vuole il Signore.
Speriamo che il Signore ci converta tutti in questo Avvento e che il
Natale ci trovi svegli, per rinascere in Cristo ed essere nuovi come ai
tempi della chiamata del Signore a quest’opera.
(Avvento 1975)
56
Lettera agli ex-rastrellati
Don Giulio scrive – dopo alcuni decenni –
agli ex-Rastrellati (PRO-RA) per invitarli ad un incontro nel ricordo
di una esperienza terribile passata insieme...
C
aro amico,
ti ricordi quando mano nemica ti strappò dalla tua casa, dal tuo paesello, dalla tua bella città, e ti deportò alle Caserme Rosse di Bologna?
o al lavoro forzato nel fronte della Gotica?
Nei tuoi occhi pieni di lacrime erano riprodotti i volti dei tuoi cari: la
tua favella così bella e armoniosa taceva.
Desideravi un volto amico, un fratello che ti fosse vicino.
Ci incontrammo anche per soli pochi istanti in quel luogo di dolore:
ci comprendemmo. Deponesti ogni timore e mi dicesti le tue pene.
Gesù mi mandò a te.
Avevo paura degli uomini, ero tanto giovane, ne vidi tanti, più di
35.000, vecchi, giovani, in quel misero stato fisico e morale che ben ricordi.
Tutti mi voleste bene, in questo giovane prete vedeste Gesù.
Egli vi parlò, voi piangeste, cioè toglieste dal vostro cuore un po’ di
affanno. Io vi ascoltai, piansi con voi, vi amai fino ad offrir la mia vita
per la vostra salvezza, in modo particolare la mia preghiera e il mio affetto furono per coloro a cui toccò la deportazione in Germania.
Conobbi il dolore e la bellezza della vostra anima toscana dalle mille
vibrazioni spirituali.
Lo stesso spirito di amore e di fiducia trovai nei nostri fratelli deportati sul fronte della Gotica: la stessa sensazione, la stessa vibrazione; la
stessa comprensione: Gesù era con noi.
21 Aprile 1945: fummo liberati dall’oppressione.
Rimase fra di noi il vincolo dell’affetto e della amicizia.
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Ed ora vogliamo come i discepoli di Emmaus dire a Gesù: «Rimani
perchè si fa sera».
Nel tempio di Dio faremo un ricordo marmoreo per rammentare i nostri morti rastrellati.
Nel cuore di Dio deporremo la nostra speranza, la salvezza delle nostre belle città e della nostra Patria.
Viva Gesù!
Necessità assoluta
della testimonianza cristiana.
Le parole devono trovare rispondenza
in gesti e segni coerenti e significativi.
I giovani non sono da capire,
sono da amare.
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L’Onarmo di Bologna
e i comunisti
In dialogo, senza pregiudizi, con umile generosità si può superare
ogni barriera per incontrare tutto l’uomo e ogni uomo...
S
iamo partiti per il nostro lavoro in fabbrica e fuori senza pensare all’iscrizione, degli uomini, a partiti politici. Per noi tutti i partiti sono
buoni, tutti i partiti sono indifferenti. Partito significa parte dell’uomo,
così abbiamo pensato che non poteva includere tutto l’uomo.
Questa realtà metafisica in pratica ci ha lasciati alle volte un po’ perplessi. Abbiamo visto alcuni partiti, anche nel dopo guerra: «o con noi
o contro di noi». Comunisti o fascisti. Chi non era comunista era fascista. Ma erano pochi quelli che in pratica erano così.
C’era la famiglia, la moglie, i figli, le tradizioni delle proprie radici
familiari. C’erano i defunti, i cimiteri, i contrasti con i figli, a impedire
questo integralismo del partito; c’era quella intelligenza del bolognese
che sa sempre scegliere al momento opportuno.
Lascia un posto nel suo essere per cambiare le cose a tempo opportuno.
Di questo ne siamo sicuri. Lo spirito di generosità è insito in tutti i
bolognesi; basta pensare il numero stragrande di associati alle cooperative.
Occorreva il momento per mettersi in dialogo, senza pregiudiziali e
non pensare di avere più verità e più conoscenza.
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60
Il terzo millennio ci attende
L’antico programma ‘preghiera-azione-sacrificio’
è ancora valido negli anni che si affacciano
al grande Giubileo del 2000 voluto da Giovanni Paolo II.
S
tiamo vivendo gli ultimi giorni di un’epoca storica. E già all’orizzonte si profila l’alba di un nuovo giorno: il terzo millennio.
La Pasqua del Signore illumina questo passaggio epocale che non è
un semplice cambiamento di data o un calendario che si rinnova.
L’umanità sta entrando in una nuova fase storica e impensabili sono
le prospettive che stanno davanti. Di fronte a questo misterioso orizzonte noi cristiani ci poniamo con la certezza che il nostro futuro, per
quanto grandi siano gli interrogativi e profonde le oscurità, è nelle mani del Signore ed è da Lui illuminato.
Nella tradizione cattolica il Giubileo è un grande evento religioso. È l’anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, è
l’anno della riconciliazione tra i contendenti, della conversione e della
penitenza sacramentale e, di conseguenza, della solidarietà, della speranza, della giustizia, dell’impegno al servizio di Dio nella gioia e nella pace con i fratelli. L’anno giubilare è soprattutto l’anno di Cristo,
portatore di vita e di grazia all’umanità.
Grandi sono le attese per questo passaggio epocale, la cui aurora in
questi giorni è segnata non dai colori della speranza che si apre alla luce, ma dai bagliori di una guerra, di tante guerre, di cui non si conoscono gli sbocchi, ma ne conosciamo bene il tributo di sangue, di sofferenza, di violenza su tanti innocenti.
Si apre un Anno Santo. E il pensiero corre agli anni della giovinezza
sacerdotale di don Giulio, quando a fine febbraio 1944 il Cardinale
convocò don Giulio per affidargli una missione a rischio che avrebbe
segnato tutta la sua vita: “Te mando alle Casermette Rosse” (da “APPUNTI STORICI E NODI DELLA MEMORIA” di Mons. Gherardi - pag. 17). Arriva in quell’inferno di sofferenza e di odio con un umile altarino da
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campo dicendo “Sono venuto a dire Messa”. È qui la radice dell’ONARMO e di tutto quello che ne seguirà: “Sono venuto a dirvi Messa e a dirvi: Fratelli miei, Dio è con voi. Non vi scoraggiate. Tutto è
possibile quando Gesù lo vuole, perchè è l’amico degli oppressi” (id.
pag. 20).
È il volto dell’amico degli oppressi, amati da Dio, in oltre 50 anni di
attività, acquista i connotati di migliaia di collaboratori che con la grazia del Signore, la generosità che non guarda né ad orari sindacali o a
giorni festivi o feriali, operano il miracolo della carità.
Don Calabria (proclamato santo appena pochi giorni fa’ il 18 aprile)
scrive proprio in quei giorni a don Giulio: “Ogni iniziativa, per riuscire
efficace, deve avere la benedizione di Dio. Non basta il bel programma: occorre il sigillo divino; e questo viene sempre dal vescovo”.
Forza portante dell’ONARMO furono – e lo sono anche oggi – la
cerchia innumerevole dei collaboratori “perchè dato comune e qualificante di tale opera è la matrice popolare che conferisce al popolo santo
di Dio il suo ruolo effettivo e primario” (id. pag. 28).
Ma tutto sarebbe stato vano –“come pula al vento”– se non ci fosse
stata fedeltà a tre parole che allora erano il programma dei giovani di
Azione Cattolica: “PREGHIERA, AZIONE, SACRIFICIO”.
Il lungo cammino di CROCE e di LUCE dell’ONARMO, “pugno di
lievito che fermenta la massa” ha avuto il suo cuore nella adorazione
alla LABARUM COELI, nel rosario e, specie, nella LITURGIA EUCARISTICA quotidiana, “alfa e omega di ogni impresa” (id. pag. 31).
Cosa aspetta all’ONARMO all’alba del terzo millennio?
Scrive il Papa nel messaggio per la Quaresima appena passata:
«Ancora oggi si dischiudono davanti a noi spazi enormi nei quali
la carità di Dio deve farsi presente attraverso l’opera dei cristiani. Le nuove povertà e le grandi questioni che angosciano molti
cuori attendono molte risposte concrete e pertinenti. Chi è solo,
chi si trova ai margini della società, chi ha fame, chi è vittima della violenza, chi non ha speranza, deve poter sperimentare, nella
sollecitudine della Chiesa, la tenerezza del Padre celeste che, fin
dall’inizio del mondo, ha pensato ad ogni uomo per colmarlo della sua benedizione... Ci sono molti “Lazzari” che bussano alle
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porte della società: sono tutti coloro che non partecipano ai vantaggi materiali del progresso. Vi sono perduranti situazioni di miseria che non possono non scuotere la coscienza del cristiano, e
richiamargli il dovere di farvi fronte con urgenza sia personalmente che in modo comunitario».
Maria con la sua presenza ci conforti, ci illumini, ci benedica!
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Risposte ad un questionario
Don Giulio risponde alle domande di un questionario sulla vita
e il ministero del prete nella Chiesa con affermazioni brevi ma chiare.
1. Il compito vero del sacerdote è quello dell'evangelizzazione del Popolo di Dio con la Parola e della manifestazione di Gesù con i Sacramenti.
2. Il Vescovo è il segno visivo del Sacramento della Chiesa, pertanto è
la garanzia dell’autenticità del ministero dei presbiteri.
3. Il Vescovo è il segno di Dio nella Chiesa e pertanto si richiede un
segno visibile: non muto, non incerto, non diplomatico, non assente.
4. Non vi è Chiesa senza Vescovo, pertanto il Vescovo è il massimo
carisma di Dio, e le relazioni dei presbiteri con il Vescovo sono paragonabili alle relazioni delle membra di un corpo con il capo.
5. Per me difficoltà non vi sono, se non mancanza di conoscenza e di
fiducia reciproca, e pertanto si lavora in linea per lo stesso fine, ma
a volte senza calore.
6. Il Vangelo ha costituito gli apostoli, pietra angolare, e San Paolo e
San Pietro parlano delle virtù del Vescovo, successore degli apostoli, e la Tradizione, specie in s. Ignazio di Antiochia, si concreta nel
trium: Vescovo - Presbiterio - Popolo si Dio, che è indispensabile
per la Chiesa.
7. Ribadisce questo principio ed allarga al Vescovo il servizio alla
Chiesa per la verifica della fede, del ministero, della pietà di ogni
membro della Chiesa.
8. Si richiede oggi una unità più assoluta fra Vescovo e presbiterio, per
un’azione più profonda e più viva nel presentare la Chiesa, dono di
Dio agli uomini.
9. L’autoritarismo si verifica solo quando il Vescovo interviene nelle
cose opinabili; nella verità di fede il Vescovo è sempre Cristo che
insegna e comanda.
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Il Vescovo quando è pastore è una autorità divina, quando è uomo
politico o economico è un consigliere.
10. Il Vescovo è il carisma della visibilità della Chiesa e pertanto in Lui
ogni fedele sente il pastore e ne gode della sua paternità che è la
stessa di Gesù; quando indulge nei metodi umani per raggiungere il
Regno di Dio, fa il paternalistico.
11. Per me l’obbedienza al Vescovo è naturale, come le membra di un
corpo eseguono i comandi del cervello, così i sacerdoti che cercano
il Regno di Dio cercano il Cristo visibile nella Chiesa che è il Vescovo.
12. I sacerdoti sono una partecipazione del ministero episcopale, pertanto, essendo unico il presbiterio ed unico il Vescovo, esiste solo
l’unità per la diffusione del Regno di Dio.
13. Il Vescovo solo ha il carisma divino nella Diocesi di fare la pastorale, ma per essere Chiesa (Vescovo - Presbiterio e Popolo di Dio) è
dunque necessario che questi tre elementi siano essenziali e indispensabili per la garanzia dell’unità che si verifica nel Vescovo.
14. Non delegando, ma responsabilizzando tutti, e facendo capire agli
incaricati suoi che il loro è un servizio alla verità e all’amore.
15. I collaboratori del Vescovo, non debbono intervenire nelle cose opinabili per dare giudizi, ma considerarsi come amici e consiglieri;
nelle cose di fede inviare i sacerdoti al Vescovo, unico arbitro divino per interpretare la Chiesa.
16. Una unità del presbiterio con il Vescovo, e sia il Vescovo a liberare
la Chiesa da strutture non necessarie al suo Regno, perchè emerga
nella Chiesa la santità, la donazione e la trasparenza del Cristo per
tutti.
17. Realizzare il Regno di Dio in una unità fra Vescovo - Presbiterio e
Popolo di Dio.
Far valere di più i segni dello Spirito Santo e abolire inutili strutture giuridiche e amministrative che soffocano, per la loro natura, la
libertà del Vangelo.
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66
Cardinale Nasalli Rocca
A 60 anni dalla realizzazione del Seminario arcivescovile,
don Giulio rievoca la figura del card. Nasalli Rocca mettendone
in evidenza soprattutto la paternità nei confronti dei suoi preti.
I
l Cardinale amava i suoi preti di un amore paterno.
Il Cardinale amava l’Italia come un vero risorgimentale.
Il Cardinale amava la diocesi di Bologna come una famiglia.
Avrebbe voluto vedere spesso i suoi sacerdoti e sapere tutto di loro,
delle loro necessità e dava ad ognuno consigli utili e validi.
Ho conosciuto il Cardinale nel 1942 a Monte Acuto Ragazza ove era
in visita pastorale. Chi la preparava era don Filippo Cremonini molto
amico di don Tozzi Fontana parroco di quella comunità.
Era salito lassù sopra un asinello: tutto il popolo lo accolse con grande gioia. Si prepara a celebrare la S. Messa.
Don Angelo Magagnoli ed io, arrivammo a Messa iniziata avendo
alla stazione di S. Benedetto Val di Sambro chiesto di Monte Acuto, ci
indirizzarono a Monte Acuto Vallese e di là a piedi raggiungemmo
Monte Acuto Ragazza.
Si divertì a tavola a prenderci in giro e di versare ottimo vino perchè
dovevamo avere tanta sete e tanta fame. Dopo pranzo ci prese da parte.
Volle sapere dei nostri studi e della nostra vocazione a favore degli
operai.
Noi allora facevamo la seconda Teologia. Si interessò dei professori.
Ci vide magri, chiamò Filippo pregando di darci molto da mangiare.
La sera dormimmo in canonica e prima di coricarsi venne a darci la
buona notte.
Noi due non stavamo nella pelle e tutta la notte sognavamo il nostro
futuro apostolato in mezzo agli operai.
Servimmo la S. Messa e ci disse di andarlo a trovare spesso, e
d’informarlo della nostra ordinazione sacerdotale.
Cosa che facemmo con piacere.
Il Collegino dei Buoni Fanciulli non era ancora un vero seminario;
occorreva di essere presentati al Vescovo. Allora Lui, il Cardinale Arcivescovo ci fece un lungo esame della nostra vocazione per ben tre ore,
e poi ci disse di mettere per iscritto quanto aveva detto. Non solo approvò dicendo che Lui e Lui solo poteva giudicare della idoneità al Sa67
cerdozio, in più ci ottenne di celebrare la S. Messa a 23 anni nel quarto
anno di Teologia con un biglietto di S.E. il Cardinal Rossi che aveva
chiesto direttamente al S. Padre.
Disponeva di noi non appena ordinati come voleva e di questo era
gelosissimo.
Mi mandò cappellano a S. Paolo di città per due mesi. L’impatto con
Mons. Schiassi mi fu salutare come maestro di confessionale e di puntualità nella celebrazione della S. Messa. Due cose che non ho dimenticato.
Accogliendo la richiesta della professoressa Maria Bagini, delegata
del Fascio femminile provinciale, donna di grande carità e di fede, mi
fece cappellano alle Caserme Rosse di via Corticella per assistere gli
operai italiani che andavano a lavorare spontaneamente in Germania.
Si presentarono dal febbraio al marzo 14 operai e 4 ragazze in cerca
di ventura e 10 operai tutti con problemi finanziari o in conflitto con la
questura.
La mia nomina suscitò nei professori perplessità, ritenendo disdicevole che un prete in quell’ambiente con la richiesta di un dirigente di
Salò.
Gli fu riferito. Rispose: stai tranquillo, ma tu informami di ogni cosa
che accade.
Le cose si cambiarono in marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto e settembre. Arrivarono moltissimi uomini deportati dai Tedeschi.
La presenza del sacerdote diveniva un segno di speranza per i Rastrellati ed anche per gli uomini addetti al Campo. Sostenuto sempre, oltre
il Cardinale, da Mons. Gallinetti che mandò, d’accordo con Suor Lucia, due Suore Visitandine. Monsignor Faggioli divenne l’angelo della
Provvidenza.
Sono momenti tragici di Bologna.
Il Cardinale mi vuole vedere fino a tre volte al giorno. La sua parola
è per me forza e costanza di lavorare il più possibile. La fiducia nell’aiuto di Dio mi porta speranza e gioia. Non vede le cose così tragiche,
ma è una burrasca che passerà. Mi sgrida perchè dico solo una parte del
Rosario. “Io le dico tutte e tre perchè il Rosario ha tre parti”. Ha una fede nell’intervento della Madonna. Come un bimbo in braccio a sua
Madre.
Quando impara dai suoi informatori che sarà installata una stazione
radio di avvistamento a S. Luca, corre subito dal generale Kesserling
pregando di togliere quella stazione, perchè S. Luca è il simbolo della
fede di Bologna e poi la casa della sua Madonna.
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Per ragioni artistiche Dolmann si interessa presso il generale Wolf e
così il Santuario non subirà la distruzione.
Sono due i suoi amori grandi. Gesù nell'Eucarestia e la devozione alla Madonna di S. Luca.
Il terzo amore sono i suoi Sacerdoti. Ma anche i fedeli, il popolo di
Dio, sono sempre nel suo cuore.
Non con gesti eclatanti, ma con segni semplici e continuativi. Padre
Marella mi ha riferito di un incontro con il Cardinale il quale lo ha
ascoltato e benedetto. Gli ho riferito quello che faccio e quello che vorrei fare. Ha soggiunto il Cardinale: «Io non sono capace di farlo; ma
sono felice che tu lo faccia. Continua e il tuo Vescovo ti sarà sempre
garante».
Padre Marella ha ancora detto: «Mi sono sempre sentito in comunione con il Cardinale». E dicendo questo due grosse lacrime solcano il
suo volto.
Venne l’allarme che tutti gli uomini validi di Bologna saranno deportati in Germania. S’informa. La notizia è vera. Si confida e parte la
sua arte diplomatica; un vero campione in questo campo e riesce ad ottenere che il decreto sia tolto.
Così salva dalla deportazione 30.000 uomini, popolo a Lui affidato.
Natale 1944: fame e pericolo incombenti. Il Cardinale prepara dopo
rigorosa informazione sulle necessità delle famiglie oltre 2.000 pacchi
di generi di prima necessità che fanno la meraviglia delle distributrici:
circa 50 ragazze.
C’è di tutto e in abbondanza. Anche le famiglie dei perseguitati politici sono assistite.
Venuta la liberazione, il Cardinale è in piena attività. Con il fiuto diplomatico scansa tutte le vie trasversali e rimane tetragono, forte Vescovo di una città distrutta e rivoluzionaria.
Ha una certezza: è stata la Madonna a liberare Bologna.
Porta in S. Pietro l’immagine di S. Luca. Centinaia di migliaia di
persone affollano la chiesa venerando l’immagine della Beata Vergine
di S. Luca. Uscendo dal cortile della Curia, mandano baci alla finestra
del Cardinale dicendo forte: «È stato Lui con la Madonna a salvare Bologna».
69
Lascio la Curia e mi ritiro in Via Riva Reno 122. Anche lì ci viene a
trovare e vede che 1000 persone ogni giorno mangiano. Riceve il ringraziamento di 700 rastrellati venuti a questo scopo per vedere le Casermette Rosse.
Ora dice: «Bisogna evangelizzare gli operai».
Il clima è rovente politicamente. Ci dà un consiglio. Se un operaio si
confessa, non domandate se è un comunista e se lo dichiarasse ditegli:
per quali ragioni? Economiche o contro la Chiesa. Se dicono per ragioni economiche: Assolvete!
Perchè i padroni sono dei birboni.
Il Cardinale era un politico, incline al fascismo?
No, era un italiano vero.
Un italiano risorgimentale.
Non aveva simpatia per gli stranieri. Metteva tutti nello stesso fascio: Tedeschi-Anglo Americani.
Con la dottrina di San Tommaso, le truppe di occupazione erano i legittimi rappresentanti di quel triste momento.
Non riteneva legittimo il governo di Salò. Faceva fatica a ritenere legittimo il Comitato di liberazione nazionale. Quanto ha lavorato per
questo Manzini...
Come apprezzava Padre Marella, così lo infastidiva che il Segretario
di Stato ogni settimana scrivesse per don Scarpellini perchè aveva
scritto su la Crociata Italica. Scarpellini è un buon prete, lo richiamava
dolcemente per obbedienza, ma non voleva che i suoi preti fossero giudicati da funzionari di Curia.
Amava la Chiesa cattolica e il Papa di un amore profondo. Godeva
dei trionfi della Chiesa come di un dono personale.
Conosceva tutti i Vescovi e specialmente i nunzi apostolici.
Per la Chiesa bisognava rinunciare a tutto.
Un episodio: suo cugino S. E. Mario Nasalli Rocca aveva rinunciato
alla nomina di nunzio in Polonia, per star vicino alla mamma.
S’infuriava. Non sapeva che divenendo prete si rinuncia al padre e alla
madre...
Era nobile di nascita, ma di una nobiltà che effondeva attorno a sè un
alone di grazia e di pace.
70
Un episodio: ero ospite alla canonica di Pragatto. Il Cardinale capitava qualche volta a pranzo dal conte Cavallini con il suo segretario. Il
segretario si fermava dal conte per affari. Lui raggiungeva a piedi la
canonica e su un panchetto si fermava a giocare a briscola con la Celestina sorella del parroco e con Adelina la donna dei servizi. Conversava con loro anche delle ore, come un vecchio amico, informandosi di
tutta la vita della parrocchia.
Poi è arrivato mons. Dante. “Purtroppo devo partire”. Le saluta dando loro la mano e arrivederci a presto...
(1992)
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72
Cardinale Giacomo Lercaro
In chiave autobiografica, don Giulio ripensa al ministero episcopale
del card. Lercaro e a ciò che ha significato quel vescovo
nella Chiesa bolognese.
G
ià esisteva nel 1952 un gruppo di sacerdoti che si dedicava al mondo del lavoro.
Il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, esperto delle cose
romane, era molto perplesso sulle iniziative della Pontificia Opera di
Assistenza, ma era molto soddisfatto sull’Opera dell’ONARMO. Consigliava mons. Baldelli a lasciare la Pontificia per cotituire un ONARMO più efficiente.
Il Cardinale Nasalli Rocca, grande diplomatico e politico, prevedeva
la scomparsa del comunismo, allo stesso modo del fascismo. Ci diceva
che i veri nemici della Chiesa erano: la Massoneria e l’Islam. Pertanto
la sua pastorale era quella di accogliere tutto ciò che di bene c’è nel comunismo, ed evangelizzare più profondamente gli operai sui dieci Comandamenti e sulla missione della nostra Chiesa nel mondo. Addirittura a noi, sacerdoti nelle fabbriche, diceva di non chiedere mai in confessione se erano comunisti e, se si professavano comunisti, di chieder
loro se lo erano per motivi economici, in tal caso assolverli; se invece
lo erano contro Dio e la Chiesa, no.
Questo era un modo di svolgere pastorale operaia a largo raggio.
I comunisti, però, con forza e violenza dominavano l’intera Diocesi.
I sacerdoti sottoposti a questi soprusi erano disorientati. Alcuni eminenti prelati in studio e posizione di comando si rivolgevano a Roma
per un cambio di svolta, con la scelta di un nuovo Vescovo. Si fanno incontri a S. Petronio. Il Cardinale è informato, allora nomina Vescovo
Ausiliare mons. Dario Bolognini, uomo di grande cultura e di saggio
senno. La nomina non calma gli animi del gruppo.
Il Cardinale riceve il sindaco Dozza che vuole fargli firmare il proclama della Pace, e, lui lo consiglia di firmare quello dell’O.N.U.: i rapporti con il Comune sono solo diplomatici.
La situazione generale nelle fabbriche si mantiene calda.
In udienza da Papa Pio XII, dopo il saluto, torna indietro e mi chie73
de se è vero quanto scrive l’Unità: che alla Calzoni, il 98% ha votato
C.G.L. - Dico sì, perchè io ero cappellano in quella fabbrica.
I fossati sono grandi, i ponti sono pochi. Si arriva al 13 marzo 1952
quando santamente, come era vissuto, muore il card. Nasalli Rocca. I
funerali sono solenni e sembrano aprirsi dei varchi.
In aprile 1952 si sa che l’Arcivescovo di Ravenna, mons. Giacomo
Lercaro, sarà il nuovo Vescovo di Bologna. Nome che suscita grande
speranza. È conosciuto ed apprezzato all’Università, così anche nel
mondo del lavoro come presidente della consulta dell’ONARMO di
Genova.
Il 22 giugno... è una accoglienza trionfale. Bologna ha un Vescovo.
In quel clima eccitato e violento, oppone, senza conoscere i bolognesi, una pastorale di verità ad ogni attacco comunista.
Noi, in fabbrica, rimaniamo confusi. Gli attacchi contro
l’Arcivescovo si fanno più violenti, come mai avvenuto prima. Cresce
la polemica contro Padre Marella ed il Cardinale. Padre Marella risponde attaccando i comunisti come falsi.
In questo momento avviene l’incontro tra l’Arcivescovo ed i preti del
mondo del lavoro. Il Cardinale non ci conosceva e noi non avevamo
mai parlato con Lui perchè il presidente delle Opere Cattoliche, non ci
aveva mai permesso di parlare. Noi facevamo parte dell’ala fedele al
Card. Nasalli Rocca. L’intervento del segretario, ma specialmente
quello di Mons. Bettazzi ci permise di parlare e di esporre tutti i nostri
programmi. Mons. Bolognini mi disse di essere aperto come con il
Card. Nasalli Rocca e di dirgli non solo quello che si tentava di fare, ma
anche i progetti dell’Opera che si volevano fare.
Il Card. Lercaro ascoltò con molta attenzione – si vedeva dal suo
aspetto che desiderava proprio questa specie di gruppo sacerdotale per
entrare nelle fabbriche. Cominciò la nostra cooperazione ai suoi desideri.
Mi avvidi subito che i modi di operare erano molto diversi. Lui si offriva come mallevadore del nostro operare, che riteneva già buono.
Volle che tutti i sacerdoti che uscivano dal Seminario dell’ONARMO
fossero formati personalmente da Lui per fondare una comunità di
sacerdoti a tempo pieno. Lui stesso ci garantiva presso i datori di lavoro. Così, ben presto, tutti gli ambienti di lavoro più grossi ebbero il loro cappellano. Diceva: come ogni scuola ha i suoi insegnanti, così
ogni fabbrica deve avere il suo cappellano.
Durante il Concilio, mandò don Dossetti a spiegarcelo.
74
Lui stesso, tutte le settimane voleva essere informato e, quasi sempre, ogni mese ci faceva una meditazione, insistendo che la formazione
religiosa era l’elemento necessario per essere perseveranti nel nostro
lavoro. Ci indicava i metodi e le forme di preghiera comune e di vita
apostolica.
L’avvento a Papa di Giovanni XXIII ci trovò preparati ai colloqui
con i più duri ed anche a un maggiore allargamento del nostro apostolato.
Le opere che reggevano il Centro professionale, la Casa di Ospitalità per Giovani Lavoratori e le Case per ferie furono da Lui visitate ed
anche vissute personalmente. Così il Centro della Pace, presso di noi,
radunò 300 fabbriche per conoscere e meditare il pensiero della Chiesa.
Il Cardinale stesso distribuì 10.000 copie della Pacem in Terris e volle che fossero i cappellani in persona a dare il libro, perchè è parola della Chiesa. Così fu portato in fabbrica e letto da tanti lavoratori
L’Avvenire d’Italia seguendo i lavori del Concilio. Per noi sacerdoti sacerdoti di fabbrica, era una bella primavera piena di speranza per la
Chiesa.
Nel febbraio 1968, il Cardinale lasciò la direzione della Chiesa
Bolognese facendo tutti noi orfani.
75
L’epoca lercariana...
Ancora la presenza del card. Giacomo Lercaro nella Chiesa
bolognese: don Giulio sente di dover collaborare responsabilmente
in una attività multiforme a favore del mondo del lavoro.
P
er conoscere più a fondo l’opera pastorale del cardinale Lercaro bisogna fare riferimento alla situazione religiosa di Bologna al suo arrivo
a Bologna nel 1952. Grandi e invalicabili fossati dividevano la diocesi.
Da una parte i cristiani e dall’altra i comunisti. I sindacati erano in mano ai comunisti. La situazione delle fabbriche era disastrosa. Gli industriali rigettavano il cappellano del lavoro per non compromettersi. I
giornali – eccetto L’Avvenire d’Italia – non si pronunciavano pur sapendo. Io stesso all’azienda del gas fui aggredito da due robusti operai
per gettarmi nel fuoco. Alla Sabiem fu fatto lo sciopero per la venuta
del cappellano che fu espulso a viva forza. Alla Calzoni, appena entravo, minacce a mia madre perché mi aveva messo al mondo. Così nelle
altre grosse fabbriche.
Nel 1947 dando la possibilità gratuita a figli degli operai, ben 400 ragazzini usufruirono gratuitamente delle cure marine.
Nel 1948 ad Alba di Canazei furono portati cento operai ogni dieci
giorni per tre mesi. Si aprì un varco attraverso il quale si entrò nel loro
animo.
La situazione generale rimase però ancora incandescente. In questo
clima si innesta l’opera pastorale del cardinale. Istituisce una comunità
di cappellani del lavoro. Li forma e li prepara al servizio.
Tutti i sacerdoti che escono dal seminario dell’Onarmo sono mandati in questa comunità. Diventa una schiera compatta di dieci sacerdoti,
di cui sette in vita comune. Dirà don Giorgio Nanni, segretario del cardinale: “è contento di venire ai vostri incontri perché vede tante persone che non incontra con gli altri gruppi, dove sono sempre le stesse persone. Si informa delle opere sussidiarie all’opera dei cappellani. Li visita, si ferma a pranzo. Ha una preferenza per le case dei giovani lavoratori a San Sisto e San Michele fuori San Donato. Per questo donerà la
Villa Pallavicini avuta da un benefattore milanese e vorrà che nel 1955
si istituisca una casa di ospitalità, una base sportiva, un centro professionale. Lui stesso passa dieci giorni nelle Case per ferie in montagna.
76
Diventa un assistente ideale della casa. Tutti gli anni vuol incontrare gli
ospiti e ne vorrebbe ogni anno ancora di più.
Nel 1962 la costanza dei sacerdoti della comunità ha raggiunto
l’assistenza religiosa nelle maggiori fabbriche di Bologna. Passato il
tempo della pre-evangelizzazione, comincia il tempo della evangelizzazione. Lui stesso ne vede i frutti ed afferma continuamente che sono sorte le conferenze di san Vincenzo attraverso le quali si è aperta la venuta
del cappellano. Mensilmente c’è il ritrovo degli operai per il ritiro spirituale.
Ha molto giovato l’avvento al soglio pontificio di Giovanni XXIII e
il Concilio ecumenico. Però i fossati non sono stati ricolmati.
Piace al cardinale il centro per la pace a cui hanno aderito 300 aziende e alla cui guida c’è il prof. Paolo Prodi e il prof. Giovanni Favilli. È
contento che gli incontri si facciano a Villa Pallavicini e nella sede della casa dell’Onarmo.
Questo preoccupa la CEI e il cardinale Urbani, informato dal SIFAR,
manda una brutta lettera al cardinale Lercaro. La leggo: ma non ho visto la risposta. Mi fu detto che non era molto buona. Debbo aggiungere
che il capitano del SIFAR venne a scusarsi perché aveva preso un granchio.
Era una grande primavera della Chiesa verso una speranza di ottime
notizie per la sua vita.
Poi venne il suo abbandono dalla guida dela diocesi. Gli operai si
sentirono orfani di un Padre spirituale. Non così alcuni industriali che
celebrarono il suo funerale con una festa da ballo. Così mi fu riferito da
una loro signora, la quale partecipando ai funerali e vedendo la commozione dei fedeli e la folla dei partecipanti, mi disse: “ma allora era
un bravo vescovo, e non un comunista...”
***
Il vescovo Danio Bolognini, vicario generale della diocesi di Bologna, mi disse di comportarmi con il nuovo arcivescovo come avevo
agito con il cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, dicendogli tutto
quello che facevo ed anche quello che desideravo fare.
Mi fu molto difficile presentare l’Onarmo come opera diocesana all’assistente dell’Azione cattolica, ma l’intervento di mons. Luigi Bettazzi e del segretario don Giorgio Nanni mi aprirono la strada. Furono
due anni di attesa, per me molto proficui per la mia maturazione spirituale. Mons. Bolognini si oppose alla mia andata a Roma ed io vidi la
volontà del Signore. Il primo colloquio in arcivescovado con il cardina77
le Lercaro fu per me una rivelazione. C’era una differenza di impostazione nella pastorale, ma i suoi occhi meravigliosi si riempirono di gioia quando esposi il nostro lavoro verso gli operai. Sembrava che aspettasse da tempo questo lavoro apostolico. Mi sembrava di avergli dato il
più grande conforto e tanta ispirazione. Poi i nostri incontri furono numerosi e scoprivo nuove iniziative per giungere a tutti gli uomini e donne che lavoravano nelle fabbriche.
La sua casa fu aperta ai licenziati della Ducati che da lui ricevevano
parole di giustizia e pane per le loro famiglie.
Desidera andare sul posto di lavoro, stringere migliaia di mani, farsi
operaio tra gli operai. Il suo desiderio più grande è di costituire una comunità di sacerdoti addetti al ministero esclusivo dell’assistenza religiosa agli operai in fabbrica. Ogni mese vuole questi sacerdoti vicini a
sé per formarli ad una vita spirituale intensa e piena di prospettive apostoliche. Non li lascia mai soli: quando un cappellano del lavoro viene
minacciato di essere scacciato dalla fabbrica, Lui si trova ai cancelli
dell’uscita degli operai per ribadire la sua solidarietà. Così pure quando
un altro cappellano di fabbrica a causa di informazioni false e sbagliate
viene deferito a un Congregazione romana, Lui in persona si interessa
per chiarire l’equivoco e dare fiducia a tutti noi sacerdoti impegnati nel
mondo del lavoro. Ogni iniziativa per penetrare nel mondo del lavoro
ha la sua impronta.
Le Case per ferie dei lavoratori le visita tutte e desidera che se ne aggiunga una ogni anno.
Mostra il suo entusiasmo per le case dei giovani lavoratori: Lui stesso ne dà l’esempio nella sua casa. Vorrebbe che ogni canonica della città ospitasse gratuitamente questi ragazzi della montagna bolognese in
cerca di lavoro. Dice: non una, ma venti, trenta case per i giovani lavoratori.
Ho in dono una villa da un benefattore e vuole che si faccia di quella
villa una casa di ospitalità per giovani, un centro professionale, una base sportiva. Non è tranquillo finchè non vede realizzato il suo piano.
Viene spesso a Villa Pallavicini, porta grandi suoi amici. Ne vorrebbe
altre tre nei punti cardinali della città, attuando una profezia del venerato canonico Mariotti.
È a contatto continuo con i giovani, ascoltando le loro preoccupazioni e le loro necessità. Nell’anno mariano 1953-54 costruisce un villaggio per giovani sposi in condizioni disagiate: questo come segno della
Chiesa per sollecitare le autorità civili, gli enti pubblici, le associazioni
industriali. Alla posa della prima pietra erano presenti anche l’on. Gior78
gio La Pira e don Giuseppe Dossetti: il discorso pronunciato, di cui
posseggo l’originale, è veramente un capolavoro da Padre della Chiesa.
Ha un’anima veramente cattolica. Vuole la Chiesa bolognese missionaria. Istituisce il “Samaritano” per aiutare la Chiesa dell’Eritrea. Così
vuole una Chiesa povera che aiuti i poveri. Nella periferia di Bologna a
Corticella don Giuseppe Nozzi gli dà come dono di nuovo parroco una
“Casa della carita”. Ne vorrebbe tante in diocesi.
Vuole noi sacerdoti così trasparenti da essere in dialogo costante con
tutti gli uomini a qualsiasi ideologia appartengano, purchè non perdiamo la nostra identità di sacerdoti della Chiesa cattolica, portatori di verità e di pace.
A Villa Pallavicini sorge il “Centro della pace”. Centinaia di operai
lo frequentano e leggono con attenzione il Vangelo e l’enciclica “Pacem in terris”: è per loro una grande scoperta.
Il cardinale Lercaro ha distribuito personalmente diecimila copie di
“Pacem in terris”. Il cardinale Giacomo Lercaro è stato una grande primavera di speranza per la nostra Chiesa di Bologna.
***
In ogni fabbrica come in ogni scuola ci vuole un cappellano di fabbrica. Se mancano i sacerdoti, assumere dei laici formati per farne dei
diaconi permanenti: così la Chiesa è presente in questo mondo così vicino per le sue qualità di povertà, ma ora così lontano dal Cristo vivente nella Chiesa.
Lercaro voleva anime consacrate solo a questo compito e voleva con
tutti i mezzi arrivare a questo scopo in fabbrica.
Nascono così le case degli apprendisti. Ne vorrebbe una in ogni parrocchia. Nascono le feste del lunedì di pasqua a Villa Revedin. Ecco le
Case per ferie per lavoratori: ne vorrebbe una ogni anno...
Così il suo amore per questo ministero già svolto a Genova, diveniva
operativo a Bologna.
Quanto ha fatto perché sorgesse una comunità di sacerdoti dedicati
esclusivamente a questo ministero! Egli li curava, con una meditazione
mensile di circa due ore. Così volle che don Dossetti di persona venisse a Villa Pallavicini a tenerci informati sul Concilio ecumenico. Per
questo apostolato per me era sempre aperto il suo studio per studiare le
varie strategie per sfondare le trincee che si erano create sia da parte
delle commissioni interne sia da parte dei datori di lavoro.
79
Statuto dei Cappellani
del Lavoro Onarmo
Firmato dal card. Lercaro il 3 ottobre 1960,
riportiamo lo Statuto dei cappellani Onarmo nel mondo del lavoro,
così come don Giulio l’aveva preparato e realizzato.
1. L’Associazione dei Cappellani del Lavoro dell’ONARMO di Bologna è costituita allo scopo di svolgere apostolato religioso fra le classi lavoratrici, mediante la presenza attiva e costante del sacerdote a
ciò delegato, inserito negli ambienti di lavoro «come sacerdote e
nient’altro che come sacerdote».
2. Le attività del Cappellano del Lavoro si esplicano particolarmente in
queste forme:
a) Apostolato della preghiera.
b) Conferenza aziendale di S. Vincenzo de’ Paoli.
c) Ritiri minimi mensili.
d) L’attuazione cristiana delle relazioni umane negli ambienti di
lavoro.
e) La realizzazione metodica di una catechesi appropriata.
f) Riunioni formative di lavoratori, anche fuori degli ambienti di
lavoro.
3. I Cappellani del Lavoro si impegnano, inoltre, a conservare i contatti con i Parroci, allo scopo di unire maggiormente o di riportare i singoli operai alla comunità parrocchiale di provenienza e di lavoro.
I Parroci delle zone, in cui sono situati i vari complessi industriali e
aziendali, dovranno operare affinché da parte dei Cappellani del Lavoro si attui un diretto rapporto pastorale fra la parrocchia e i lavoratori.
4. L’Associazione dipende direttamente dall’Ordinario Diocesano, che
ne nomina il Direttore e, su proposta di questo, il Segretario, i singoli Cappellani o altri Sacerdoti Ausiliari in tale apostolato.
5. Il Direttore diocesano dell’Associazione ha il dovere di riunire, almeno due volte al mese, tutti i Cappellani e Sacerdoti Ausiliari, per
comunicare loro le direttive dell’Ordinario, per coordinare l’attività
80
dei singoli secondo le linee organizzative suggerite dalla Direzione
Centrale, o comunque per un reciproco fraterno aiuto in unione di
preghiera e di studio.
Tali riunioni dovranno sempre iniziarsi o concludersi con una breve
lettura biblica e con la recita comunitaria di una parte del Breviario.
6. Ogni Cappellano del Lavoro dovrà presentare, oralmente, al Direttore diocesano una relazione trimestrale sulla propria attività svolta.
Il Direttore diocesano presenterà, ogni anno, una relazione generale
all’Ordinario sul lavoro svolto da tutti i Cappellani e Sacerdoti Ausiliari nei singoli settori ed ambienti di lavoro.
7. Ogni anno, tutti i Cappellani del Lavoro e Sacerdoti Ausiliari dedicheranno un congruo periodo di tempo allo studio e all’aggiornamento dei principali problemi del mondo del lavoro.
Il programma e la durata di tale corso sarà fissato dal Direttore, previa approvazione dell’Ordinario.
(3 ottobre 1960)
81
C’è una pastorale
del mondo del lavoro?
In che senso si può parlare di una pastorale specifica
per il mondo del lavoro? Nell’unica azione di evangelizzazione
della Chiesa, bisogna far maturare una sensibilità nuova e concreta.
I
nsistere che non vi è una vera pastorale specializzata del mondo del
lavoro, ma una attenzione ai valori di questa nuova cultura che ci viene
da questa grande quantità dei nostri fedeli che partecipano al lavoro. I
nostri partecipanti alla S. Messa domenicale sono nella più grande
maggioranza bambini o figli di lavoratori. È necessario capire questa
nuova mentalità, partecipare e far crescere questa cultura. Non essere
estranei o tanto meno giudici, ma fratelli e padri che aiutano a crescere.
Sono già tanti i sacerdoti della nostra diocesi che si sono impegnati
nel passato e nel presente a capire questo e partecipare alla vita di questi nostri fratelli. Non è necessario fare cose straordinarie di ministero,
di introdurre strade e metodi nuovi per chi non si sente: ma rendere tutta la comunità eucaristica parrocchiale partecipe di questa attenzione.
In particolare nei quattro momenti importanti del loro incontro con i
sacerdoti parroci: battesimi, prime Comunioni e Cresime, matrimonio e
funerali, sentire e partecipare con bontà, comprensione e servizio uniforme: non lasciare in essi alcuna sensazione di forma di interesse e di
denaro.
La parrocchia ha un ruolo molto importante per annunciare il Vangelo di salvezza nel suo modo di essere e di operare. Le opere della carità
conquistano il cuore e testimoniano la fede.
Alcune proposte pratiche da farsi come metodo pastorale:
• celebrare con una festa particolare le nuove leve del lavoro e continuare con segreteria eletta fra i lavoratori questa festa ogni anno;
• premiare in ogni parrocchia i giovani che di giorno lavorano e di sera studiano;
• inserire nella vita parrocchiale la festa di san Giuseppe il 1 maggio,
con consuetudine, dando rilievo a questa festa liturgica, con distribuzione delle encicliche papali e di documenti dei vescovi su questo
problema del lavoro.
82
Appunti per un vicariato...
Don Giulio elenca una serie di iniziative
e soprattutto di atteggiamenti interiori
per la evangelizzazione del mondo del lavoro.
1. Incontro delle nuove leve del lavoro in ogni parrocchia di Bologna e
nei Vicariati del forese.
2. Cose semplici e preparate ad hoc, con attenzione i loro problemi.
3. Invito personale e – se necessario – visita a casa o telefonata: i giovani sono molto sensibili.
4. Evitare discorsi celebrativi ed interventi di autorità civili.
5. Meglio far parlare i giovani già impegnati sia sindacalmente sia religiosamente.
6. Poi curare una segreteria parrocchiale.
7. Sempre a disposizione per interventi personali e per indicazioni.
8. Fatte le leve, sentito il loro parere, organizzare in un teatro una festa
tutta per loro e – se si vede l’opportunità – preparare anche una S.
Messa ad hoc.
9. Continuare poi ogni anno questa consuetudine e fare del 1 maggio
una festa di tutta la diocesi in un luogo indicato dal centro pastorale.
N.B. Anche oggi i giovani e le giovani sono contente di essere interpellate. Dare rilievo alla loro manifestazione. Considerare importanti le
loro dichiarazioni in assemblea. Non spaventarsi dell’insuccesso del
numero. Essere costanti nel fare la proposta ogni anno. Organizzare
una segreteria efficiente (qui ricorrere alle donne, agli studenti).
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84
Nella situazione bolognese oggi
Come Vicario episcopale per il mondo del lavoro,
don Giulio propone alcune linee operative
nella nuova situazione di Bologna.
L’
industrializzazione della nostra città.
La città di Bologna ha accolto nel suo perimetro di grande città un
numero considerevole di diocesani dai colli e dal piano, riducendo moltissimo il numero degli abitanti di molti comuni della provincia.
Il problema degli immigrati da altre città non è a Bologna così grave
come a Milano, Torino, Genova.
La nostra diocesi, in questo dopo-guerra, non ha risentito violentemente del cambiamento di mentalità, in quanto la classe operaia di Bologna non si è maturata attraverso una formazione di vita comune nelle
aziende, ma attraverso la lotta politica dei partiti di massa. Solo con
l’autunno caldo, e con le dimostrazioni del movimento studentesco gli
operai hanno avuto un ripensamento, e i più sensibili hanno portato
avanti nuove lotte più umane nelle avances dei dibattiti sindacali nelle
aziende.
Purtroppo le compensazioni economiche interessano vivamente gli
operai bolognesi, portandoli ad una loro alienazione.
Non si deve dimenticare il diffuso edonismo e materialismo che ha
portato tutti, operai compresi, ad una scarsa combattività e ad un animo
accomodante, per cui ci si rifiuta – in ogni campo – di prendere posizioni chiare a tutti i livelli.
Pertanto non sono credibili certi avvicinamenti fra temi evangelici,
collegati ad un discorso operaio di povertà, progresso, creatività e comunità, di fraternità. Sono alcuni pseudo valori in cui ci si illude di credere; sono sentimentalismi o forme arcaiche di un pensiero politico e di
un linguaggio socio-politico ripetuto, ma che non esprime esperienze
autentiche di vita vissuta.
Non è vero che l’industrializzazione porti per se stessa la scristianizzazione (vedi per esempio la diocesi di Bergamo nella quale le industrie sono presenti da oltre 150 anni), ma denuncia, fa emergere, e significa la fine di un regime di cristianità, rompendo un collegamento
sociologico fra religione e società rurale.
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La fine di un regime mette a nudo il vuoto in cui noi ci troviamo,
(dico noi perchè i nostri padri non lo erano e il collegamento sociologico poteva esprimere una realtà di fede).
La realtà è che Bologna, piena di chiese e con tutte le sue tradizioni
gloriose, è in fondo simile alla pagana Corinto, con in più la remora
psicologica di un messaggio non ascoltato perchè pare già di averlo
sentito e rifiutato.
Chi sono i lavoratori? Sono i nostri uomini e le nostre donne che vengono in chiesa e formano la comunità ecclesiale. È in questa che deve
avvenire la conversione più profonda, la Grazia dello Spirito che illumina tutti coloro in mezzo ai quali vivono.
La pastorale non è specializzata, ma è una, sola, e comune a tutti: è
cioè l’ascolto e l’annuncio della parola di Dio, testimoniata dalla intera
Chiesa locale.
Tutta la comunità deve testimoniare Cristo Risorto, non con temi sociologici o reclamistici, ma annunciare la resurrezione di Cristo come
centro e salvezza dell’uomo intero in ogni sua aspirazione.
Dagli Atti degli Apostoli, cap. 2 e cap. 4, ci vengono tutte le indicazioni pratiche di soluzione del problema. Esse si concretano in queste parole: «CONVERSIONE, POVERTÀ, PREGHIERA, EUCARESTIA,
COMUNITÀ DI BENI, TESTIMONIANZA E ANNUNCIO».
Alcune indicazioni per i sacerdoti:
1) È finito il tempo della delega del problema del mondo del lavoro ad
alcuni sacerdoti specializzati.
2) Il problema del mondo del lavoro deve essere assunto e risolto da tutto il presbiterio diocesano.
3) Metodo operativo:
a) ogni zona pastorale (vicariati) deve avere un centro propulsore di
laici e sacerdoti.
b) nel centro diocesano deve sorgere una commissione pastorale in
cui emerga un gruppo di sacerdoti, uniti nella preghiera e nello
studio e nell’azione di alta tensione evangelizzatrice.
c) favorire nuove sperimentazioni apostoliche nel mondo del lavoro
studiate e meditate da questo gruppo centrale diocesano e sottoposte a verifica dal consiglio presbiteriale e pastorale.
(13 luglio 1971)
86
Come può la Chiesa inserirsi
nel mondo del lavoro?
La Chiesa può operare solo nella fedeltà al Vangelo delle beatitudini:
non con spirito di crociata o di potenza umana,
ma nella mitezza e nella umiltà della croce di Cristo.
N
ella nostra società sono avvenuti tanti cambiamenti, si è modificato il nostro modo di pensare cristianamente ed il nostro modo di vivere.
Si è tentato di cristianizzare l’ambiente esterno, e di dare alla nostra vita un ideale e gli apologisti cristiani hanno voluto vederci sempre un
trionfo del Cristo anche negli avvenimenti umani.
Abbiamo dimenticato la nostra origine di poveri, di figli di poveri, e
ci siamo, noi preti, molte volte adagiati a questa nostra evoluzione civile, come una conquista, ed abbiamo accettato lo stesso giudizio dei nostri familiari ed amici come una comprensione di una nostra elevazione, a cui avevamo diritto. Tutte le strutture civili e religiose avevano bisogno del nostro modo di essere così, faceva molto società bene.
Ciò ha fatto perdere a noi, e a chi non tollerava questa falsa interpretazione evangelica del valori della vita, una frattura.
Da parte di noi preti una certa difesa di questa società borghese, per
bene e moderata, con un fare paternalistico, assistenziale, ed anche autoritario.
Noi portavamo la verità, chi era contro di noi era contro la verità.
Pertanto imporre, minacciare, dividere, formare gruppi, combattere, difendere, fare barriera, fare baluardo, frenare. Cioè rispondere con mezzi umani, mancando di fede, ad una sfida che ci viene da Satana.
Occorre rientrare in noi stessi, pregare lo Spirito Santo, leggere il
Vangelo, accettare le categorie evangeliche come base del nostro operare, presentarci come preti che desiderano di sapere, ascoltare, ascoltare, ascoltare.
Non ribattere, non polemizzare, ma valorizzare ciò che hanno acquisito gli operai con sacrifici, carcere, e tanta buona volontà.
Ricercare in noi le cause del loro male, e condannarci noi preti stessi
per l’amore ad una città umana, fatta poi male, ma soprattutto far loro
capire che li amiamo e per noi non ci sono degli esclusi, e questo con
verità. Alle volte ciò porta scandalo per i fedelissimi amici, ma non im87
porta, bisogna tirare avanti finchè la prova del nostro amore non diventi una forma di vita apostolica, e condanna aperta di tutto il male, compreso quello nascosto, ma intuito dai lavoratori.
Il nostro presentarci a loro deve essere trasparente e chiaro. Evangelico fino in fondo, cioè solidarietà con i poveri, e maledizione per i prepotenti ricchi. Il Vangelo della paternità di Dio, l’uguaglianza dei figli
di Dio. Ci dicono gli operai comunisti: come si può essere veri fratelli,
e assiederci alla stessa mensa eucaristica con il fratello ricco e con
quello che non ha da mangiare? Come può un ricco, così fatto dal lavoro degli operai, ritenersi in Grazia e capace di ricevere il Cristo eucaristico, quando la sua giustizia è solo legale, e lui sa di poter dare di più,
e non lo fa? Come si può recitare il Magnificat: «Ha riempito di beni i
poveri, ed ha rimandato a mani vuote i ricchi, ha esaltato i deboli ed ha
annientato i prepotenti»? La nostra giustizia non è forse uguale a quella del mondo? Non siamo forse anche noi preti figli del tempo, e per
questo ragioniamo secondo i principi del tempo? Adattando il Cristianesimo alle situazioni del tempo, secondo le nostre vedute, i nostri studi, la nostra educazione?
Ma se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli.
Non ritengo per nulla che la nostra giustizia sia superiore a quella del
mondo, noi ci teniamo tutti i privilegi, li adoperiamo, e li consideriamo
un bene per il popolo, questo è un impedimento alla giustizia.
Mi sono accorto che noi dobbiamo convertirci al Signore, rivestirci
solo della parola del Vangelo, ed essere Chiesa in mezzo a loro, cioè sacramento di salvezza. Ridare agli operai prove di verità e di amore concreto.
Considerare loro, piuttosto che i padroni, più vicini a capire il Regno
di Dio.
La nostra lingua non parli mai male di nessuno, cerchiamo di tacere
e di ascoltare sempre, sempre pronti all’aiuto fraterno, dimostrarci poveri e distaccati.
Non difendere strutture civili ed ecclesiastiche che essi condannano,
ma vogliono da noi nessuna condanna. Non essere dei loro in questi
giudizi, ma essere fra loro per poter portare la luce della fede che essi
desiderano.
Non mai elogiare o condannare il loro tenore di vita, ma farli crescere in una visione di vita più elevata, dobbiamo essere il lievito di Cristo,
che poi Lui farà il resto.
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Don Angelo Magagnoli
Nel cinquantesimo di ordinazione sacerdotale di don Magagnoli,
don Giulio esprime tutto il suo affetto nei confronti di un fratello
e amico: quasi coetanei, collaboratori pur nella diversità di idee
e di carattere, uniti anche nel mistero della morte,
a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro.
S
iamo vissuti insieme dal 1932 al 1952. Abbiamo attinto dalla parola
e dall’esempio di don Filippo Cremonini una forma di vita e una conoscenza profonda degli uomini, delle situazioni politiche e religiose della società.
Bologna era una piccola città di provincia che don Filippo conosceva
molto bene: sia come bravo professore che preparava agli esami i figli
dell’alta società sia come sacerdote che conversava con i figli del popolo nell’umile borgo delle Lame e con le lavandaie del canale di Reno.
Don Angelo ed io imparammo da lui ad amare i figli del popolo; questa era l’unica forza per liberare l’Italia dalla tirannide del fascismo.
Ospitava nella sua casa molti esiliati che ci informavano di cosa pensavano all’estero della nostra Italia mussoliniana. Era un’educazione viva
ed interessante. Io ero entusiasta. Don Angelo era più riflessivo e meno
espressivo nel parlare della rovina che il fascismo portava all’Italia.
Inoltre eravamo molto concordi a non volerci legare a nessuna congregazione religiosa.
Così nel 1936 dopo un colloquio con padre Caronti, decidemmo
apertamente di non aderire ai «Buoni Fanciulli» di Verona.
Furono quegli anni dal 1937 al 1940 i più burrascosi e i più belli perchè la nostra amicizia divenne scuola di apostolato e sogno di grandi
avventure per la classe operaia.
Nel 1938 ci fu un incontro con Mons. F. Baldelli direttore generale
dell’ONARMO, il quale ci illustrò l’opera dell’ONARMO. Don Angelo
sempre parco di parole, si infiammò a questo apostolato, e volle iniziare
subito il lavoro, facendo l’elenco delle grosse fabbriche di Bologna.
Don Filippo cominciò l’assistenza spirituale alla Manifattura Tabacchi. Noi vedemmo il successo di questa opera. Ma ascoltammo anche le
89
parole delle operaie tra cui vi erano anche donne «accompagnate» che
si portavano al sacramento dell’Eucarestia e uomini da poco che facevano a gara a preparare l’altare.
Avevamo solo 18 anni ma tanti per vedere e sentire.
Don Angelo non ha mai giudicato, era l’uomo adatto per andare in
fabbrica e formare uomini adatti alla fabbrica.
Nel 1940 arriva don Alessandro Barozzi mandato dal Cardinale. La
vita del Collegino prende fiato in un’apertura più diocesana. Noi diventiamo con lui i catechisti di Valverde. La chiesa del Collegino diventa il
primo seme della nuova parrocchia.
Nel 1943, don Angelo viene eletto Direttore del Collegino, don Barozzi parroco. Don Angelo ama la disciplina e vuole sia osservata anche se la guerra ha sfoltito il Collegino. È sempre puntuale in ogni cosa
come se fossimo in pace. Avvengono i primi contrasti. Sono padre spirituale ma non ci sono mai. Per me le regole valgono poco, quello che è
necessario è lavorare per vincere i tedeschi e i fascisti.
Don Angelo accoglie Ebrei al Collegino, ma nessuno lo sa. Mette il
Collegino a disposizione della Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli e
vengono nel 1945 decine di partigiani. Accoglie nel Collegino alcuni
rastrellati scappati dai tedeschi e viene alle volte a confessare i detenuti alle Caserme Rosse.
Nel frattempo è direttore di un centro di accoglienza in via Riva Reno 122.
Poi la Liberazione. Immediatamente riapre il Collegino divenuto Seminario per la formazione dei Cappellani del lavoro e si mette al lavoro.
Don Angelo ha un carattere stupendo. Non demorde dalle difficoltà,
è sereno in quello che compie con spirito di sacrificio e di abnegazione.
Tutto a gloria di Dio.
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Lasciatemi sognare
Per don Giulio ‘sognare’ non è illusione o fuga dalla realtà:
ma concreta obbedienza al suo Signore
che è capace di operare e trasformare il cuore di ogni uomo.
I
santi hanno costruito i nuovi mondi con i sogni e visioni. Il Vangelo
quando parla di San Giuseppe parla di sogni... San Giuseppe ci ha dato
il Cristo Gesù sano e salvo per operare le nostra redenzione.
Ho sempre sognato ad occhi aperti. Poi mi sono accorto che Gesù
ama i nostri sogni e ci svela nei sogni la sua volontà.
Quante volte ho sognato una casa per i fattorini! Erano i miei compagni di infanzia e vedevo che stavano per perdersi in bische e cose brutte. La casa si è fatta, anzi tre: San Sisto nel 1952, San Michelino nel
1953, San Petronio nel 1955: veri e autentici luoghi di tanto amore e di
tanta fede.
Il terzo millennio della Redenzione che sta per iniziare trova i giovani e le famiglie in situazioni diverse.
Non è più il bisogno di un pane, di un letto, di un mestiere, ma la necessità di aprirsi a nuovi orizzonti di questa realtà sociale in cui viviamo qui a Bologna.
Sono i figli dei divorziati, che non si trovano con la matrigna o con il
patrigno. Sono gli immigrati interni in cerca di un lavoro o di uno studio. Sono gli anziani lasciati soli quando i figli vanno a lavorare. Sono
gli immigrati che non hanno familiari e non sanno a chi lasciare i figli
quando vengono ricoverati in ospedale. Sono gli stranieri in cerca di lavoro o di un diploma o di una laurea. Sono persone che cercano degli
amici per riprendersi dallo stress quotidiano…
Ecco, la Villa Pallavicini si presta a questo. Quando una sciagura ci
capita, siamo qui per lenire i dolori dei fratelli, per fasciare le ferite.
Era un sogno dei tempi lontani quando nel 1945 andai cappellano
nelle fabbriche e quando – sempre nel 1945 – vidi passare mamme e
spose in giro per l’Italia a cercare i loro cari.
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Un SOS tempestivo, di poca durata, ma senza burocrazia, con tanta
carità. Lo chiameremo SOS Madonna della Quercia, con sede a Borgo
Panigale, Villa Pallavicini, via Marco Emilio Lepido 196, Bologna.
Così alla Spazio Verde E. 87 si aggiunge questo segno della comunità cristiana bolognese.
È un piccolo segno, ma pieno di amore e di speranza che illumini
l’avvento del terzo millennio della redenzione di Cristo per divenire faro di luce per tutti coloro che cercano pace e salvezza: cioè il Cristo,
nostra pace e nostro salvatore.
92
93
94
Indice
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
Un vecchio padre... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Nella ‘piccola via’ di Santa Teresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Nella storia dell’Onarmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Una fede matura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Un impegno di tutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
La presenza eucaristica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Madre della luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Le Case per ferie 40 anni dopo... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
I brontoloni e i silenziosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Gli uni per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Amare: ma che significa in concreto? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Fiducia nella Provvidenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Don Filippo Cremonini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Farneto: centro del mondo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Prete, chi sei?... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
I miei impegni... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Alcune idee... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Per le parrocchie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Per i cappellani del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Evangelizzazione operaia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Le Case per ferie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Il mio fallimento?... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Lettera agli ex-rastrellati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
L’Onarmo di Bologna e i comunisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Il terzo millennio ci attende . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Risposte ad un questionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Cardinale Nasalli Rocca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Cardinale Giacomo Lercaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
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L’epoca lercariana... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
Statuto dei Cappellani del Lavoro Onarmo . . . . . . . . . . . . . . . »
C’è una pastorale del mondo del lavoro? . . . . . . . . . . . . . . . . »
Appunti per un vicariato... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Nella situazione bolognese oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Come può la Chiesa inserirsi nel mondo del lavoro? . . . . . . . »
Don Angelo Magagnoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
Lasciatemi sognare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
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