I Sogni di un profeta - Fondazione Gesù Divino Operaio
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I Sogni di un profeta - Fondazione Gesù Divino Operaio
Don Giulio Salmi I sogni di un profeta a cura di Alberto Di Chio - 2008 1 Testi di don Giulio Salmi: - Testimone dello Spirito, 2003 - Don Giulio Salmi, dono di Dio per il nostro tempo, 2007 - Don Giulio Salmi, i sogni di un profeta, 2008 periodico della Fondazione Gesù Divino Operaio. I titoli sono redazionali. Si ringrazia Mauro Finelli per la preziosa collaborazione. La scelta dei testi è stata effettuata da don Alberto Di Chio. Prima edizione 2008 © Copyright 2008 Fondazione «Gesù Divino Operaio» Via M. E. Lepido, 196 40132 Bologna Tel. 051.40.10.27 Printed in Italy SAB, Trebbo di Budrio (Bologna), 2008 2 Prefazione È sempre difficile entrare nelle profondità del cuore umano, scoprirne i sentimenti e i pensieri, cogliere le motivazioni e le convinzioni che hanno guidato un’esistenza. Ma in alcuni casi rimane vivo il desiderio di conoscere sempre meglio e di penetrare nell’intimo di alcune persone che hanno lasciato una traccia indelebile anche nella nostra vita. Man mano che ci si allontana dalla vicenda terrena di Mons. Giulio Salmi – chiamato alla casa del Padre il 21 gennaio 2006, all’età di 86 anni – sentiamo doveroso continuare a scavare e riflettere sulla sua persona e sul vasto ministero sacerdotale da lui esercitato in tanti anni. Non è semplice riassumere in poche righe la vita di don Giulio: diventato prete nel 1943 in giovanissima età, la prima fase del suo servizio lo vide impegnato durante la guerra, rischiando la morte, nella cura e nell’assistenza eroica ai Rastrellati di molte province circostanti. Nel periodo postbellico, egli fu in prima linea nell’organizzare l’assistenza religiosa dei lavoratori nelle fabbriche bolognesi. Iniziò a Bologna – con la benedizione di Papa Pio XII – l’ONARMO con multiformi attività di carità a favore dei giovani, dei lavoratori, delle famiglie. È il periodo della nascita delle Case per ferie, l’organizzazione delle scuole professionali, della polisportiva a Villa Pallavicini e l’accoglienza di gran numero di giovani stranieri. Con la collaborazione di un gruppo di sacerdoti (come non ricordare don Libero e don Peppino?...) Villa Pallavicini diventò un centro di animazione e un segno di carità della Chiesa bolognese nei confronti di una vastissima gamma di persone di ogni provenienza. In una fase seguente della sua vita, don Giulio si concentrò su alcuni progetti a favore degli anziani (il ‘diurno’ che porta il nome del card. Nasalli Rocca), la Casa della carità, la ‘Maison beato Bartolomeo Dal Monte’ per giovani lavoratori, soprattutto il Villaggio della speranza per famiglie di anziani e giovani. L’ultimo periodo fu connotato dalla sofferenza fisica e dal silenzio: una lunga malattia lo costrinse alla inattività diretta e alla impossibilità di parlare. La vita di don Giulio diventò però ancora più eloquente per la croce accolta serenamente e umilmente: continuava a vigilare e ad 3 essere presente in tutte le occasioni, senza mai un lamento o un moto di ribellione di fronte alla pesantezza di quella sofferenza. Così è andato incontro al suo Signore, così l’abbiamo visto sino all’ultimo giorno quando – silenziosamente – si è addormentato per andare a contemplare faccia a faccia quel Cristo a cui aveva dedicato totalmente la vita. Resta tuttavia non solo il suo ricordo, ma anche il desiderio di una presenza ancora attuale. Soprattutto rimangono alcuni interrogativi: chi è stato davvero don Giulio? È stato soltanto uomo e sacerdote di un’azione straordinariamente ricca e multiforme? Quali erano i sentimenti profondi del suo cuore? E ci si accorge sempre di più della sua ricchezza interiore, dello spirito di preghiera e di contemplazione che lo animava, del ‘segreto’ intimo che – come fuoco – lo spingeva a donarsi ai fratelli più bisognosi. Bisogna dire che don Giulio è stato anzitutto uomo di preghiera e di incontro contemplativo con la Parola: ascoltata, accolta, assimilata, vissuta. Non era certamente don Giulio uno specialista di studi biblici o teologici. Rifuggiva da qualsiasi forma oratoria. Era allergico ai titoli e agli onori ecclesiastici, anzi spesso umoristicamente ne rideva. Tutto quello che poteva essere ricerca di sé o di affermazione mondana non gli apparteneva. Sua caratteristica era nascondersi e scomparire davanti agli onori degli uomini. E proprio per questo sempre più cresceva il suo ‘uomo interiore’, con una ricchezza che si percepiva semplicemente accostandosi a lui. Quanto più scarna era la sua parola nelle omelie, nei discorsi, negli incontri, tanto più si percepiva che non erano mai parole di circostanza per compiacere agli uomini, ma frutto di una sapienza che viene dall’alto, dall’accoglienza dello Spirito di Dio. Così anche don Giulio non fu mai tentato dal desiderio di scrivere o di lasciare sue memorie: ma quegli appunti o lettere o brevi scritti che ci ha lasciati – di origine quasi sempre occasionale – mantengono una ricchezza e un fascino di attualità che ci obbliga a riflessione e revisione interiore. Nel 2003 – quando la malattia lo aveva privato della possibilità di parlare – fu pubblicato un volume intitolato “Testimone dello Spirito”. Sono testi di don Giulio per lo più tratti dal periodico dell’Onarmo “Collaboriamo”. Nel 2007 vide la luce un fascicolo dal titolo: “Don Giulio Salmi, dono di Dio per il nostro tempo”. Oggi siamo lieti di pubblicare questo volume con una serie di testi di 4 don Giulio. Sono “I sogni di un profeta” come certamente egli è stato. Non sogni di illusione o di fantasie effimere, ma di ascolto del suo Signore, con lo sguardo al di là dell’attualità passeggera, gli occhi fissi in quel disegno di Dio che sempre supera la nostra aspettativa e il nostro buon senso. Sono pagine varie in cui don Giulio parla dell’Onarmo, delle Case per ferie, dell’assistenza religiosa nel mondo del lavoro, dei suoi progetti che a prima vista sembravano irrealizzabili. Non mancano pagine graffianti dove egli non ha paura di rimettersi in discussione o di provocare un serio esame di coscienza. Non va in cerca di consensi o di applausi, neppure da parte dei suoi più vicini collaboratori: ma desidera che si miri sempre all’essenziale, conservando lo spirito delle origini e le intuizioni che hanno guidano le varie attività in obbedienza allo Spirito. Spesso ritorna il ricordo dei ‘suoi’ arcivescovi: in particolare del card. Nasalli Rocca che ebbe piena fiducia di lui, giovanissimo prete, affidandogli compiti delicati e difficili, ma nello stesso tempo non facendogli mai mancare il sostegno concreto della sua paternità. E poi il card. Giacomo Lercaro che trasmise a don Giulio l’amore alla Parola e alla liturgia come anima di una pastorale missionaria instancabile e sempre aperta al soffio dello Spirito. Si sente come don Giulio Salmi dall’inizio agli ultimi giorni della sua vita ha saputo vivere in piena consonanza ecclesiale, attento ai segni dei tempi, ma soprattutto docile all’azione di Dio nella storia. Nel suo testamento svelerà il segreto di ogni azione apostolica: preghiera e disinteresse personale; comunione piena con il vescovo; abbandono completo alla divina Provvidenza. Le pagine che oggi vengono offerte agli amici di don Giulio e a tutti coloro che in qualche maniera sono venuti a contatto con la sua persona, sono verifica e testimonianza di questa fedeltà. C’è solo da auspicare che una ricerca sempre più approfondita possa ancora a poco a poco mettere in luce e conservare anche a coloro che verranno dopo di noi il ricordo di questo autentico ‘uomo di Dio’, capace di ‘sognare’ in docilità allo Spirito. Alberto Di Chio Bologna, 21 gennaio 2008 5 6 Un vecchio padre... Don Giulio si sente come un vecchio padre: con un messaggio ripetuto a tutti… U n padre vecchio ha sempre qualcosa da raccontare, per interessare e annoiare. Io sono vecchio: però ho da dirvi cose sempre nuove e sempre ascoltate. Ti invito per incontrarci e chiedere al Signore Gesù di perdonarci e di avere ancora pazienza perché ci vogliamo convertire tutti... (17 febbraio 1990) 7 Nella ‘piccola via’ di Santa Teresa Una costante nella vita di don Giulio è il riferimento a Santa Teresa di Gesù Bambino che ha insegnato a tutta la Chiesa la ‘piccola via’ della umiltà e dell’abbandono in Dio. H o celebrato la S. Messa in onore di S. Teresa del Bambino Gesù perché ci prepari meglio alla quaresima. La sua ‘piccola via’ deve essere la nostra via in cui camminiamo per raggiungere la meta prefissa. Come? Quando? Come lo vogliamo noi. Come lo vuole Lui. Tornavo ieri, dopo aver visitato la piccola Casa della Provvidenza a Torino e la tomba di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo; poi la tomba di San Giovanni Bosco – con l’origine dei salesiani – e la tomba di San Giuseppe Cafasso, il prete santificatore. Ho visto opere nuove: la casa dell’operaio (400 operai), la casa del giovane lavoratore (200 apprendisti): esperimenti nuovi di quest’anno che anche noi vogliamo fare. Ho vissuto lunedì a Milano il dramma e il dolore di don Zeno per Nomadelfia. Ho paragonato la piccola Casa della Provvidenza di Torino a Nomadelfia. Ho visto che non è l’estro o la novità che fanno le opere, ma la grazia di Dio in uomini docili, in servi inutili, solo votati completamente a Dio, alla sua Chiesa viva e palpitante nel sacerdozio e nel Papa. Soprattutto bisogna valutare nel governo delle nostre cose la realtà imponderabile che è la Provvidenza. Noi dobbiamo credere fino in fondo che è Dio che ci guida e che da noi – a volte – vuole cose che noi non avremmo mai creduto di fare. Nelle opere di Dio non bisogna mai fare calcoli finanziari, ma essere solo fonti piene di grazia. Ma noi dell’Onarmo che cosa dobbiamo fare? Continuare nel nostro amore di vera fraternità cristiana nel lavoro. Di donazione completa a Dio nell’ambiente in cui ci troviamo: nella famiglia, nella scuola, nelle officine, nell’impiego, nella mensa. 8 Cioè nella normalità dobbiamo fare straordinariamente le opere ordinarie: è questo che ci insegna S. Teresa di Gesù Bambino. Vorrei che tutti voi leggeste il libro “Storia di un’anima” e che lo Spirito Santo vi illuminasse. Domani è quaresima e la Chiesa – dunque Dio – ci chiama a una vera vita di grazia. Non tutti i tempi sono uguali, ma tutto il tempo deve essere speso per il Signore. Non è uguale il tempo della consacrazione della Messa al tempo di una ricreazione: ma l’uno ammette l’altro: per santificare il secondo occorre fare bene il primo. Così per maturare la messe occorre la primavera: così per santificare l’estate occorre la quaresima nello spirito della piccola via di S. Teresa di Gesù Bambino. (quaresima 1952) 9 10 Nella storia dell’Onarmo Don Giulio riflette sullo spirito degli inizi: in anni difficili, con la collaborazione di molti, è iniziata una grande avventura di servizio e di amore: non bisogna disperdere quello spirito... C redo sia opportuno per me e anche per voi fare un escursus della storia dell’ONARMO. Della sua fedeltà al Signore e della sua infedeltà al Signore. Narrare tutte le grazie che il Signore ci ha fatto, confessare tutti i nostri peccati. Vi ho chiamato per tempo a questo incontro, per dire tutto quello che ricordo e per aprire un dialogo ai tempi d’oggi. Per noi si apre la vita dell’ONARMO nel febbraio 1944. Quando l’Italia è divisa in due e gli italiani sono in guerra gli uni contro gli altri. Ma tutti i due mondi sono radicali: o con noi o contro di noi. Fortunatamente c’è un resto silenzioso, molto folto, di persone che ragiona e pensa di affidare al Signore quei fratelli, di mettersi al lavoro per gettare ponti, distruggere fortilizi e di presentarsi a tutti con il solo Vangelo di Gesù. Come sempre i primi generosi e i primi a capire queste verità (come per la Risurrezione di Gesù) furono le donne, che in 100 si misero al lavoro per fare ponti, fare dialoghi costruttivi su base di cose necessarie alla vita, portare con messaggi di vivi dispersi dalla guerra, speranza; e a chiamare altri a lavorare con loro. In questa fraternità venne la liberazione dai tedeschi e dai fascisti. Iniziò subito la caccia all’uomo dall’altra parte. Ecco, le stesse donne sfidando gli stessi pericoli iniziarono a fare le stesse cose di prima, portare messaggi di speranza, viveri di necessità, nascondere i presunti fascisti. Poi arrivò finalmente la pace degli italiani. Iniziò una nuova era. Non più eroismo fino alla morte, ma dare senso alla parola «Amore», fare partecipi tutti del pane, della casa e del lavoro, perchè ogni uomo fosse veramente libero. Momento difficile. Appaiono gli egoismi, le gelosie, il desiderio di comandare. Nascono le simpatie e le antipatie. L’umanità si mostra nella sua realtà. È finito il tempo degli eroi. Con queste donne e con questi uomini bisogna costruire un nuovo mondo, una nuova società, non fondata sul profitto, ma sulla fraternità. Ora non sono più i saggi anziani a credere a questo; ma i giovani e molti. L’ONARMO è presente in tutti i campi dove c’è uno spirito nuovo da infondere. L’ONARMO a Bologna è dei laici. Sono loro a infondere agli 11 altri laici questo spirito di fraternità. A certi livelli della vita ecclesiale ci sono: P. Giorgio Flich, Mons. Luigi Bettazzi, Mons. Luigi Dardani, Mons. G. Baroni, veri apostoli che cercano solo il Regno di Dio. È un crescere continuo, dove non si è accettati, si manda chi è accettato, dove si è combattuti si risponde con il Centro della Pace, dove ci si vuole morti, ci si presenta come vittime da uccidere. Si supera anche questo primo periodo di lotta intestina e si arriva all’entrata in Bologna come Vescovo di Mons. Giacomo Lercaro. Non è più il periodo clandestino, ma ora si agisce ai raggi del sole, Lui Pastore avanti avanti avanti, e noi gregge si tenta di seguire. Esplodono le iniziative. Il Cardinale Lercaro è sempre presente. Ma i laici dell’ONARMO sono sempre nello spirito dell’eroismo, o si sono adattati a un nuovo tenore di vita? Ecco le nostre colpe. Abbiamo ceduto le assistenti sociali Nardini Liliana, Wilma Decio, Lucilla Fronticelli, Gabriella Gardini, Giuseppina Vaccari Grossi, Giorgina Balboni Gottardi. Siamo diventati poveri; una società senza le donne è poverissima, non ha più il senso della misura. Gli uomini fanno poco da soli. Sono rimaste le collaboratrici delle varie attività con tutto l’entusiasmo e poi perderemo anche loro in parte divenendo sempre più poveri. Gli uomini, è successo come quando è stato arrestato Gesù, sono svaniti nel buio, solo pochi e qui ricordo Dante Calzoni che ha sempre conservato lo stesso spirito, anzi si è assunto il peso di tutta la baracca, pregando, soffrendo e portando la Croce ogni giorno. I soci fondatori sono spariti per sempre. Hanno iniziato altre attività alcune personali, altre sociali e pubbliche. Abbiamo gustato il calice fino all’ultima goccia. In più gli avvoltoi da sull’albero attendevano di scendere a consumare anche lo scheletro. Ma pensate! Fra questi c’erano anche sacerdoti che credevo amici. Poi si continua. Il Signore manda sempre dei segni visibili in uomini che incarnano l’ideale dell’ONARMO dei tempi eroici. I laici tornano sovrani con l’Associazione Matteo Talbot, si continua e si spera di fare sempre quello che piace al Signore. Sia, cari amici, il vostro motto: «Non mea, sed tua voluntas fiat...» (2 dicembre 1988) 12 Una fede matura Una riflessione di don Giulio – preparata per un gruppo di giovani – a proposito della fede e della razionalità dell’essere cristiani e dell’adesione a Cristo. Perché siamo cristiani? Essere cristiani significa essere uomini che credono a Gesù Cristo come figlio di Dio e vivono il suo Vangelo. Se così è, ti sorgono spontanee le domande: • Perché dobbiamo credere? • È ragionevole credere? • Le religioni non sono forse tutte uguali? • Come si fa a credere a Cristo che noi non abbiamo mai visto né toccato? Le risposte che qui in breve sono riassunte si fondano su questa premessa: l’atto di fede è l’atto più ragionevole che ci sia. Per poter credere con piena fiducia ad una persona devi essere sicuro ti parli con cognizione di causa, con vera competenza; e che inoltre quella persona non sia menzognera, cioè incapace di ingannarti in ciò che dice. Solo se è degna di fede – cioè se è tanto dotta e onesta da allontanare ogni sospetto di inganno e di menzogna – puoi credere a ciò che ti dice. Ora applica questi concetti alla fede cristiana. Per credere a Cristo quando parla agli uomini, devi essere certo che Egli abbia veramente parlato per insegnare le cose che riguardano la tua anima e la tua salvezza. Che Egli abbia dato le prove di essere degno di fede: non essendosi ingannato né avendo potuto né voluto ingannare quando ha sostenuto di essere il vero Figlio di Dio. Ora che Cristo abbia parlato è certo: i Vangeli che riportano il suo pensiero e la sua vita sono stati scritti da coloro che l’hanno ascoltato e quindi sono libri storici fuori discussione. Basti accennare alla testimonianza esplicita dei suoi contemporanei più vicini a Lui: non solo cristiani che si sono lasciati uccidere per questo, ma anche nemici, come 13 ebrei e pagani. Scriveva Rousseau: “dubitare dell’esistenza di Socrate sarebbe una pazzia: orbene la vita di Socrate di cui nessuno dubita è un fatto meno attestato che l’esistenza e la vita di Cristo”. (EMILIO, L. 4) Se è tanto certo che Cristo abbia detto ciò che il vangelo ci riferisce, è altrettanto vero che Egli sia Dio. Il valore della sua dottrina è tanto elevato che solo nel Vangelo troviamo la risposta a tutti i problemi che agitano l’uomo e una perfezione morale insegnata e vissuta in modo tanto sublime. Un uomo che parla e vive così come è vissuto Cristo, non può essere un illuso o un ingannatore: merita di essere creduto. Oltre a questa testimonianza di vita e di dottrina – degna solo di un Dio –, si aggiunge quella dei miracoli: è la sfida che Egli ha lanciato! Ora tra questi miracoli visti e controllati da tutti, amici e nemici, ve ne è uno che Egli dà come prova decisiva: “dopo tre giorni risusciterò la morte”. Questo fatto della resurrezione è talmente certo per le circostanze in cui è avvenuto e per la testimonianza di tanti testimoni oculari, che non si potrebbe spiegare come per almeno tre secoli i cristiani siano stati tanto perseguitati, quando invece sarebbe stato certamente più facile dichiarare falso e nascondere tale fatto preso a base della fede da tutti i cristiani. Ora rifletti: Gesù viene sulla terra a nome di Dio di cui si dice figlio, presentando con prove schiaccianti le sue credenziali in regola di ambasciatore autorizzato. Egli ti istruisce sul tuo destino eterno e ti insegna come devi vivere. Dunque è ragionevole credergli in tutto, dal momento che sappiamo che Dio – verità in persona – è intervenuto per confermare la sua missione. La conclusione è una sola: io credo in Gesù Cristo e sono cristiano se accetto tutto ciò che Egli mi insegna. La nostra fede cristiana è l’unica fra tutte le religioni che può lanciare questa sfida ad ogni uomo che non ha pregiudizi: di non essere respinta prima di essere conosciuta. (5 dicembre 1956) 14 Un impegno di tutti Don Giulio si rivolge alla grande schiera degli amici per sollecitare una concorde collaborazione per realizzare un’opera di giustizia e carità. M i permetto di sottoporre anche a te la soluzione di un problema che mi assilla. Dieci anni fa sottoposi agli amici delle Case per ferie lo stesso problema e fu risolto magnificamente. Tutti accettarono con entusiasmo e corrisposero quanto era necessario per iniziare la piccola casa di ospitalità di San Sisto. Ora per far fronte alle ingenti spese e poter continuare quest’opera che ritengo tanto utile alla formazione dei giovani lavoratori, necessita un impegno collettivo. È sufficiente che ogni ospite che è stato nelle nostre Case per ferie corrisponda con una offerta di lire 1000 annuale, per vedere risolto il problema. La casa di ospitalità di San Petronio (ex Villa Pallavicini) prospera e diviene un po’ la casa di tutti noi. Confido nella tua generosità: tutti siamo portati a fare qualcosa di buono in questi giorni. Ritengo che questa sia un’opera buona. (Natale 1963) 15 16 La presenza eucaristica L’Eucaristia è fonte e culmine, radice e cardine della vita della Chiesa e di ogni attività apostolica: don Giulio ha coscienza che tutto nasce dall’altare e dall’incontro personale con Cristo Eucaristia. L a presenza di Gesù nella Eucaristia nelle chiese cattoliche italiane. Il desiderio di conoscere uomini e posti spinge l’uomo con l’aereo o nave o auto o treno o autostop a visitare il mondo. Questa è stata ed è la meta dell’uomo vivo in tutti i tempi. In tutte le terre di Africa e di Asia, d’Europa e di America i luoghi più insigni per arte sono i luoghi sacri al culto religioso. Le magnifiche cattedrali in Germania, in Inghilterra e in Svezia hanno attrazione artistica: ma sono fredde per noi italiani. Sembra di entrare in un mondo estraneo al sacro e al divino. Manca qualcosa: manca Gesù sacramentato. Sono luoghi di visita, ma non di permanenza. Si ammira, ma non si adora. Sia per noi bolognesi l’anno del congresso eucaristico un richiamo al grande dono di Gesù di essere con noi tutti i giorni. Sia risveglio di fede. Sia un pegno di amore verso lui e gli uomini. Sia la speranza di essere veramente buoni, cioè nuovi ogni giorno per lui nel donarci al servizio di tutti, specialmente dei più bisognosi. (23 agosto 1977) 17 18 Madre della luce Una ‘visione’ di don Giulio lo porta a desiderare di edificare un tempietto a Maria madre della luce. I l 9 settembre 1978 una grande luce si posò sul colle vicino alla Casa per ferie ‘don Filippo Cremonini’. Una luce che creò nella mia anima una grande gioia che si protrasse per tutta la notte. Era la stessa gioia che provai a San Giovanni Rotondo alla S. Messa di P. Pio. Erano le 19 di quel giorno. Solo i ragazzi della Polisportiva intuirono il mistero di quella luce. Con me videro il fenomeno Antonio Ciscato e Mario Melega. Ebbi paura di andare al colle. Solo due mattine dopo con Bruna e Pina mi recai. Provai ancora per un momento quella gioia. Poi più. Ora desidero fare un tempietto dedicato a “Maria SS.ma Madre della divina luce”. Dice il Signore: “Io sono la luce del mondo: chi cammina dietro di me, non cammina nelle tenebre”. 19 20 Le Case per ferie 40 anni dopo... Ad alta voce don Giulio si esamina e ripensa alle varie opere apostoliche create: dopo 40 anni c’è ancora lo spirito delle origini? Cosa bisogna fare per tornare al primitivo fervore? I l profeta Isaia oggi ci dice. «I brontoloni impareranno la lezione». Gesù ci oggi dice: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede». Il nostro quarantennio delle Case per ferie è iniziato. Il nostro lavoro dell’ONARMO di Bologna ha 44 anni. Sono due cicli di vita. Una riflessione comune: quello che è stato fatto è solo per Gesù, per la fede in Lui. Non ci sono stati dei brontoloni in passato. Ora vogliamo vedere assieme il nostro operare per vedere alla luce della fede il nostro modo di essere nell’ONARMO. È un motivo solo di fede in Cristo e nella sua Chiesa, o ci sono delle resistenze in noi? Siamo dei brontoloni che non hanno capito la lezione di quello che è stato fatto. Viviamo come per conservare; o per creare sempre cose nuove per essere pronti a comparire davanti a Dio in ogni momento della nostra vita. Ieri leggevamo nel Vangelo che le opere che non sono fatte sulla roccia che è Cristo, i venti, la pioggia e le tempeste le distruggono. Le nostre resistenze sono questi venti e queste bufere che distruggono. Vediamo un po’ queste opere che hanno quarant’anni: 1) La Casa del Giovane Lavoratore ha conservato la sua originale na- scita di prendere i ragazzi poveri, gli sbandati e farne degli uomini onesti, oppure siamo diventati come altre opere che si sono istituzionalizzate? È questo un compito solo di don Giulio e compagni, oppure è viva in tutti noi questa preoccupazione? Che cosa abbiamo fatto, come abbiamo reagito. Viviamo questo nostro essere alla Villa Pallavicini come testimonianza, o come operatore di lavoro delegando gli altri a questo? 2) La polisportiva Antal Pallavicini è veramente un centro di preevan- gelizzazione o è soltanto una società sportiva come tante altre? Per cui si spendono soldi e fatica e non si dà nulla a quelle centinaia di ragazzi che frequentano. Anche qui deleghiamo alcuni e noi ce ne disinteressiamo come se la cosa non fosse nostra. 21 3) L’Ufficio di Via Marescalchi è veramente un fuoco che arde, che accende i cuori e le menti per trovare unità di azione: tutti per uno e uno per tutti sempre pronti a qualsiasi servizio, oppure si dividono i compiti: io penso a questo e tu a quello, questo è compito mio e tu non te ne devi interessare? Si vive e si soffre per tutte le opere come e più di mio figlio, di mio padre, di mia madre? Ricordiamo le parole di Gesù: chi è mia madre? Sono coloro che fanno la volontà di Dio. 4) Le Case per ferie hanno conservato la loro origine? Direi di no. Non sono più vissute come opere di Dio e coloro che vi lavorano non sono più servi umili e incapaci che tutto hanno ricevuto da Dio, e tutto debbono dare. Sono sette le Case per ferie: sono un patrimonio economico nostro e della Chiesa; abbiamo deciso che qualora non corrispondessero più alle loro finalità di distruggerle perchè non divenissero come la Labarum Coeli un beneficio dei canonici. È meglio disfarsi subito vendendo e facendo case per i poveri. Tutte le nostre resistenze e le nostre personali visioni a compiere questo servizio sono contro la fede in Gesù. 5) Il Villaggio per gli anziani è opera nostra oppure un capriccio di don Giulio? Vediamo qual è il mio impegno per far crescere quest’opera, oppure anche qui delego ad alcuni ed io mi astengo. Faccio il mio dovere o credo di fare abbastanza? Ma l’uomo non è come l’animale che non ragiona; ha intelletto per dare consiglio e vita. In questi giorni dicendo la S. Messa alla Casa della Carità alle sei e mezzo del mattino, ho visto parteciparvi una decina fra uomini e donne che pregano, cantano e si comunicano. Era così l’ONARMO nel 1948. Tutti i collaboratori al mattino partecipavano alla S. Messa, dicevano l’ufficio della Madonna e facevano la meditazione. Ho pensato che il male oscuro di oggi è questa carenza di fede. Son convinto che se aumenterà in noi la fede, si ritorna alle origini e scompare il cancro che ci consuma. (5 dicembre 1985) 22 I brontoloni e i silenziosi Due categorie: i brontoloni e i silenziosi. I collaboratori da che parte vogliono stare? C i sono due specie di collaboratori: i brontoloni e i silenziosi. I brontoloni sono quelli che con la loro lingua distruggono quanto fanno loro e quanto fanno gli altri. Sono vere calamità. Ci sono i silenziosi che lavorano per la loro purificazione e costruiscono il Regno di Dio anche qui sulla terra. Vediamo a quale categoria noi apparteniamo. Per fare questo è necessario trovarsi davanti a Dio con umiltà e con coraggio e dire con il profeta Davide: “Dissi, ed ora incomincio una vita nuova”. Preghiera ed esercizi spirituali sono i mezzi per vedere se siamo brontoloni: questi sono i mezzi per correggerci e divenire nuovi nello spirito. (2 febbraio 1988) 23 24 Gli uni per gli altri La legge evangelica dell’amore come può essere concretizzata nella vita quotidiana dei collaboratori? P erché? Perchè siamo fatti così: da una parte abbiamo doni in più che non possiamo consumare in noi stessi, dall’altra non abbiamo tutto ciò che serve. Siamo cioè nello stesso tempo troppo ricchi e troppo poveri. Siamo fatti in modo che dobbiamo continuamente scambiarci qualcosa. Ma come avviene questo scambio? Tutta la nostra organizzazione umana è una rete di scambio. Non è certamente perfetta: lo scambio non avviene ancora «alla pari» fra tutti. C’è chi dà poco e prende molto, c’è chi dà molto e prende poco. È ancora vero che nel mondo ci sono persone o popoli ricchi e persone o popoli poveri – oppressi e oppressori – sfruttati e sfruttatori. Tuttavia il nostro mondo è tutta una rete di scambio, di rapporto o relazioni umane. Quale legge dovrebbe regolare questo scambio? Gli uomini ne hanno adottate varie: dalla legge della necessità (riconoscendosi complementari) alla legge della giustizia, a quella dell’amore. Solo la legge dell’amore, tuttavia, può risolvere pienamente (anche sul piano psicologico) questa esigenza umana di scambio. Nessun’altra infatti può arrivare alla profondità ove tutta l’esigenza umana di scambio viene pienamente soddisfatta. Ecco perchè il Vangelo è un messaggio d’amore che ci annuncia, in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, che Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli. Ed ecco anche perchè il più grande comandamento è quello dell’amore e, anzi, è il comandamento che riassume in sè e rifà ogni altro comandamento. L’amore non è quindi solo un sentimento meraviglioso, un bisogno del cuore: ma è una legge strutturale, una necessità esistenziale, è vita. Non è che amiamo perchè abbiamo un cuore, ma abbiamo un cuore perchè dobbiamo amare. Siamo realmente fatti per amare. 25 Ma come si enuncia questa legge? Si enuncia in tre modi. 1) Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. È un modo precristiano. Una base di partenza. Il prologo dell’amore, fondato sulla dignità della persona umana. È un modo ancora imperfetto, insufficiente alla esigenza umana di scambio. Non fare del male non basta. Per amare occorre volere (e quindi realizzare) il bene degli altri. In ogni caso non è un modo d’amare che basti al cristiano. 2) Ama il prossimo tuo come te stesso. Questa formulazione è già presente nell’A.T., ma con un senso restrittivo per quanto riguarda la parola «prossimo». Con questa formulazione siamo già nel cuore dell’amore. Deve però essere presa alla lettera, intendendo cioè il significato espresso da ogni singola parola, che è il seguente: - Ama: un verbo all’imperativo, cioè un ordine per tutti. Indica che amare non è un’attività facoltativa ma un dovere assoluto. Chi non ama pecca come chi trasgredisce un qualsiasi altro comandamento del Signore, pecca come chi ruba, chi ammazza, chi imbroglia, ecc. ... Non amare è un peccato di omissione. - Il prossimo tuo: (vedere qualsiasi dizionario) è la persona più vicina. Chiunque mi è vicino, anche solo casualmente, è il prossimo che devo amare. Nel momento in cui una persona mi è vicina, mi passa accanto, in quel momento diventa «mio prossimo da amare». Così non ho scelta: debbo amare chiunque è nella situazione di poter ricevere il mio amore, di beneficiare d’un mio gesto d’amore. Se tutti amassero la persona che hanno vicino, nessuno resterebbe senza amore. L’amore si propagherebbe per contagio. Del resto è impossibile amare i «lontani», le persone cioè con le quali non ci si può mettere in qualche modo in contatto, in relazione, per il semplice motivo che non possono raccogliere il mio atto d’amore. Verso i lontani si può solo avere «disposizione ad amarli». - Come: vuol dire = (uguale). È il segno di una equazione: io = gli altri. E quindi, per la legge dell’equazione, gli altri = me. Questo implica che se io ho diritto di mangiare, hanno diritto anche gli altri. E significa anche che io debbo essere disposto a portare gli altri nella mia situazione e io a portarmi nella situazione degli altri, essere cioè disposto a «scambiarmi» con gli altri. Se sapessimo applicare questa legge dell’amore non ci sarebbe più chi mangia troppo e chi muore di fame, chi ha due vestiti e chi non ne ha nessuno. 26 3) Amatevi come io vi ho amato. Questa è la vera formulazione evangelica. Con questa formulazione l’amore è portato alla sua massima misura e profondità. Ecco perchè, così formulato, Cristo ha detto «vi do’ un comandamento nuovo», ha parlato di «mio» comandamento. Come Cristo ci abbia amato è scritto nel Vangelo ed è raffigurato nella Croce. È l’amore di chi non trattiene nulla per sè, di chi rinuncia di essere alla pari e si pone al di sotto degli altri, l’amore che dà senza chiedere, che si fa dono totale. L’amore servizio, vocazione, l’amore eroico, il vero amore, dove tutto è gratis, oltre il dovere, come vuole la natura dell’amore. Come questa legge dell’amore è presente nel Vangelo? È presente nel senso che il Vangelo è la rivelazione dell’amore. Il Vangelo è uguale ad amore. Se io ricordo questa legge, ricordo tutto il Vangelo. Se applico questa legge nella mia vita – nel senso verticale ed orizzontale – applico tutto il Vangelo. Io sono cristiano solo quando amo. E poichè per essere cristiano debbo essere uomo, io sono uomo solo quando amo, per cui se non amo, non sono nè cristiano nè uomo. Tutto questo è chiaro in ogni pagina del Vangelo, in ogni gesto e in ogni parola del Signore. Ogni gesto del Signore – compresa l’Incarnazione, la Morte e la Risurrezione – è un gesto d’amore. Ma l’amore guida anche ogni sua parola e ogni suo insegnamento. Gli stessi «comandamenti» (il famoso «decalogo») sono «riscritti» e «ridati» in chiave d’amore. La loro «ritrascrizione evangelica» noi la troviamo nell’enunciazione del comandamento dell’amore (Ama Dio e ama il prossimo) e nel Pater noster. Gli antichi «comandamenti» sono ancora validi e obbliganti anche dopo Cristo, ma debbono essere letti e osservati tenendo presente questo perfezionamento apportato dalla legge dell’amore. («Non sono venuto ad abrogarli, i comandamenti, ma a perfezionarli». E che sia proprio questo il perfezionamento preannunciato lo dice esplicitamente S. Paolo: «L’amore è il perfezionamento, il completamento della legge». «Ogni comandamento viene assorbito dal comandamento dell’amore»). Dopo Cristo quindi il decalogo non è più una legge imposta dall’alto, che batte sulla testa degli uomini obbligandoli ad osservarla, ma diventa una esigenza interiore dell’uomo, un moto che parte dal di dentro, per un bisogno intimo della persona umana. Con l’introduzione di questa legge nel mondo i rapporti tra gli uomini e Dio e tra l’uomo e gli altri uomini si modificano profondamente: 27 non più rapporti tra servo e padrone, tra creatura e Creatore, ma tra figli e Padre; non più rapporti tra uomini in concorrenza, in difesa l’uno dell’altro, ma tra fratelli, tra persone che si cercano per farsi l’un l’altro termine del proprio amore. Io non posso più accontentarmi di osservare i comandamenti passivamente, ma, oltrepassando la semplice osservanza, mi faccio promotore dei loro contenuti più ampi, attivamente, col cuore. Non m’accontento più di non recare danno a qualcuno, ma voglio, ho bisogno, di fare del bene. La legge da negativa si fa positiva. Dio non è più il mio unico Signore, ma è il mio unico Padre. Non mi basta non bestemmiare il suo nome, ma voglio santificarlo e farlo santificare. Non mi basta ubbidire ai suoi voleri, ma faccio dei suoi voleri la mia vita, la mia gioia, il mio programma. Così gli «altri» non sono più gente da rispettare, da non derubare, da non uccidere, da non imbrogliare, ecc., ma sono fratelli da amare, ai quali partecipare i miei doni. Non gente da ignorare, ma persone che voglio accostare per farle termine del mio amore. Riletti e accettati così, in chiave d’amore, i comandamenti diventano la mia preghiera, e la mia preghiera diviene il mio programma, il mio impegno di vita. Solo comprendendo questo «perfezionamento» introdotto dalla legge dell’amore, posso capire il «discorso della Montagna» e capire perchè questo «discorso» sia considerato la «magna cartha» del Cristianesimo. E posso naturalmente capire ogni pagina del Vangelo, che è poi, in definitiva, capire Cristo. 28 Amare: ma che significa in concreto? Possiamo dire di amare oppure il nostro amore è solo superficiale e verbale? S ignifica ricordare e tradurre in pratica, in ogni momento, in ogni circostanza, che «Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli». Naturalmente dobbiamo derivare il significato delle parole «padre» e «fratello» dal valore che queste parole hanno nel contesto di una famiglia bene ordinata, autentica, sana. (Non per nulla la famiglia ha come unica legge l’amore, al punto che se in una famiglia i membri sentono il bisogno di consultare il «Codice Civile», qualunque esso sia, anche il più perfetto, vuol dire che quella famiglia o è già fallita o sta avviandosi verso il fallimento). Tradurre poi in pratica, in ogni circostanza della vita, che «Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli» significa instaurare con tutti gli uomini quei rapporti (affettivi e dinamici) che comporta l’«essere una cosa sola» come Gesù ha chiesto al Padre. Essere una cosa sola: non esiste un rapporto più intimo, più attivo, più interdipendente, più impegnativo. Essere una cosa sola con tutti: quindi la stessa legge per me e per gli altri, la stessa dignità, la stessa giustizia. Ma questo è possibile solo nell’amore. Solo l’amore è capace di produrre questa unità di «comunione». Ogni altro tipo di rapporto può tutt’al più avvicinarli, gli uomini, ma non può unirli in comunione. Da rapporti che prescindano dall’amore potrà nascere una «società» ma non una «comunità». Questo però agli uomini non basta, avendo l’uomo bisogno di «scambiarsi» con gli altri in tutto ciò che «ha» ma anche in tutto ciò che «è». Non è allora difficile comprendere come possa dire d’amare solo quando cerco di trasferirmi negli altri e accolgo gli altri in me, o – in altre parole – quando offro la mia vita per ritrovarla negli altri. Al contrario non posso dire d’amare quando il mio dare è interessato, calcolato, condizionato, commerciato. Non posso dire d’amare quando do quello che voglio e non quello di cui gli altri hanno bisogno. Non posso dire d’amare quando sono disposto a dare domani ma non oggi. 29 Non posso dire d’amare quando do poco mentre potrei dare molto. Non posso dire d’amare quando do il peggio mentre potrei dare il meglio. Non posso dire d’amare quando do qualcosa di quello che ho ma non dono qualcosa di me stesso. Non posso dire d’amare quando preferisco uno ad un altro. Non posso dire d’amare quando – come scrive Pitigrilli – sono pronto a dare un bacio al lebbroso, ma non una stretta di mano al cretino. Non posso dire d’amare quando so dare in pubblico ma non nascostamente. Non posso dire d’amare quando nel dare scelgo la via più lunga e non la più breve (ad es. balli di beneficienza!). Non posso dire d’amare quando faccio pesare il mio dono. Non posso dire d’amare quando anche do tutto, ma non so perdonare, comprendere, accettare gli altri. Non posso dire d’amare quando mi vergogno del povero, dell’ignorante, del peccatore. Non posso dire d’amare quando so piangere con chi piange, ma non so gioire con chi gioisce. Non posso dire d’amare quando provo più compiacimento per il dovere compiuto che per la gioia donata. Non posso dire d’amare quando penso al bene che ho fatto che a quello da fare. Non posso dire d’amare quando, anche dando tutto me stesso, non sento che ogni uomo è mio fratello. Non posso dire d’amare in tutti questi casi e in tanti altri, perchè, così, non mi unisco ai miei fratelli in autentica comunione, non arrivo a farmi «una cosa sola» con loro. Do qualcosa ma non tutto, do a modo mio ma non alla maniera di chi accosto, mi protendo sulle sue necessità ma non su di lui. È amore soltanto ciò che va diritto e subito alle necessità di un mio fratello, se però contemporaneamente il mio cuore cerca il suo cuore. Ma questo può avvenire solo quando vedo in lui veramente un fratello, un uomo, una persona uguale a me. Soltanto in questo caso, infatti, colui che voglio amare mi si porrà innanzi con tutta l’esigenza di dignità e giustizia che comporta l’essere uomo, e io sentirò che non potrò amarlo senza rispettare in lui questa pregiudiziale che precede ogni mio dono. «Amare» quindi significa, in definitiva, far «riuscire» l’uomo, «tutto» l’uomo» come uomo. 30 Fiducia nella Provvidenza Dalla fede deriva la piena fiducia nella Provvidenza paterna di Dio. Don Giulio ne fa continua esperienza e ne diventa testimone. “ I acta super Dominum curam tuam et Ipse te enutriet!” (SALMO 54) Getta o cristiano ogni penosa cura nel tuo Signore che con paterno amore nutre e governa ogni creatura! Sono molti anni ormai che io lessi il versetto del Salmo su riportato in un dischetto di marmo che ha per programma un totale abbandono nelle mani della divina Provvidenza e ne fui commosso. Conobbi poi in seguito che il principio indicato in quel versetto era praticato integralmente da tutti quelli che appartenevano a quella casa benedetta – orfani e maestri – ed anche il loro linguaggio aveva un che di soprannaturale e di celeste. Mi diceva, ad esempio, il venerato superiore: “Io temo soprattutto due cose: i denari e le protezioni degli uomini. Le croci sono la benedizione e il sigillo che Dio mette alle opere veramente e totalmente sue. La Provvidenza di Dio, quando vi è bisogno, opera anche miracoli straordinari per nutrire le sue creature. Dove comincia il calcolo dell’umana prudenza, ivi cessa la Provvidenza. Tutto è possibile a chi crede, dice Gesù. Fede: grande fede, sempre fede. Speranza contro ogni speranza. Preghiera e fiducia. Dio non ha mai fretta nelle sue cose, ma l’ora di Dio suona quando egli lo vuole. Bisogna tenere pulita la casa dall’offesa di Dio”…. Canoni brevi e solenni: massime limpide e luminose che hanno formata la scienza regolatrice di tante opere che sfidano i secoli e le bufere, tra l’ammirazione del mondo affannoso calcolatore, tra lo stupore degli statisti turbinosi e impenitenti ideatori di forme sempre nuove che il tempo travolge nell’oblio. A leggere queste massime si rimane profondamente pensosi perché non fanno tutti altrettanto. Purtroppo è di pochi questa fede che trasporta i monti e opera prodigi. Ai più è dato di battere la via dei più. Ma perché non entrare in questo sistema soprannaturale e divino, divenire tutti strumenti e ministri, nella piccola azienda familiare, di ope31 re di bene per il prossimo, essere perseveranti confidando solo in Dio per entrare in questa nuova atmosfera incomprensibile, che poi adagio vi avvolge, vi trasforma, vi trascina, vi entusiasma, vi fa piangere, vi fa gridare: o Dio, quanto sei grande! Quanto sei buono!... Non sarebbe bene spesa tutta la vita, pur di entrare per un poco di tempo in questa economia, in questa azienda divina? Oh, come sono belle le opere di Dio, nate dal nulla, tra le contraddizioni, l’indifferenza, il disprezzo dei più! I ministri della Provvidenza quanto debbono soffrire e combattere: perché la scienza – questa nobile e superba matrona – vuole spiegare, vedere, conoscere tutto, mentre nelle opere di Dio quasi tutto è incomprensibile dagli stessi strumenti della Provvidenza. Se li interrogate, vi rispondono sorridenti guardando il Cielo, come faceva con me uno di questi fortunati, dilatando gli occhi che scintillavano di luce, rivelando infiniti, nascosti orizzonti: “io qui dentro non sono che un povero casante: chi fa tutto è Dio”... 32 Don Filippo Cremonini Con commozione e riconoscenza don Giulio ricorda l’insegnamento e l’esempio ricevuto negli anni della formazione da don Filippo Cremonini. È stato per me un Padre, un esempio, un modello come uomo e come sacerdote. Aveva tutte le caratteristiche di un uomo del popolo e tutte le finezze di un gentiluomo. Aveva una cultura eccezionale. Sapeva stare con tutti, con i nobili, con i lavoratori, con gli uomini di scienza, con i bambini, con i ragazzi e i giovani. Conosceva Bologna alla perfezione e i bolognesi in particolare, con i loro difetti e le loro virtù. Non tollerava i furbi e i diplomatici, in particolare gli uomini della Curia: non li considerava uomini ma arrivisti. Aveva una attrazione particolare per l’istruzione catechistica a mo’ di dialogo fra maestro e discepolo. Un’altra sua prerogativa era di insegnare ai giovani, ragazzi e meno, le virtù cristiane con tutti i mezzi: gite, teatro, sports e sempre la parola del Vangelo. Il merito specifico di don Filippo è la carità verso i più poveri: dare pane, vitto e alloggio, e specialmente elevare la loro condizione con lo studio, la disciplina e il sacrificio, dandone prima lui l’esempio. Non ho conosciuto la giovinezza di don Filippo, nè la sua prima azione apostolica di sacerdote, ma ho sentito da lui parlare del grande Cardinale Svampa e degli eroi della Chiesa bolognese (es. don Bedetti, don Mariotti, ecc.) che lui ha conosciuto in termini superlativi. A questi si riferiva sempre per la rinascita delle fede a Bologna e ce li indicava come modelli; a questi aggiungeva don Giovanni Calabria, suo angelo tutelare e salvatore del suo sacerdozio in senso eroico. Per don Filippo, don Calabria era un santo paragonabile a San Francesco d’Assisi per il suo amore alla povertà. Si incontravano tutti gli anni, il 20 Luglio, finchè è vissuto don Giovanni, gli raccontava le sue barzellette e ridevano di gioia; gli scriveva spesso e don Giovanni rispondeva. A don Giovanni si deve l’iniziativa del Collegio «Buoni Fanciulli» che don Filippo iniziò a Ponte Lame. Povero e tutto affidato alla Provvidenza. I ragazzi erano i più poveri. 33 Dai ragazzi desiderava solo studio, disciplina e grande pulizia personale. Soleva ripetere con S. Francesco di Sales che la pulizia è un ramo del paradiso. Così dotto ma così semplice, credeva a tutti e in modo particolare ai ragazzi. Per lui erano tutti buoni e bravi; in tanti anni di insegnamento non ha mai bocciato nessuno. I più bravi erano i figli del popolo, i più tonti i figli dei ricchi eppure anche per questi chiedeva la promozione. Era un piacere stare con lui; mi sembrava di stare con mio padre che a un ragazzo di sette anni diceva tutti gli affari della famiglia e della vita sociale e politica. Don Filippo diceva tutto dei segreti della Curia, della politica e giudicava con arguzia i dirigenti fascisti; con i socialisti ha fatto anche a botte e ha sempre vinto. Questi con il fascismo sono stati mandati in esilio e quando tornavano a Bologna, di soppiatto, lo venivano a trovare. Per me era un momento importante, sapere come pensavano e cosa dicevano: una scuola che mi è servita per la vita. Li tratteneva a mangiare e a dormire; noi, a 17 anni, sapevamo la storia del fascismo e quanto fossero falsi i tanti profeti del regime. Sapevamo da lui direttamente che cosa fossero i socialisti e i danni che avevano arrecato al popolo, e quanta arroganza avessero i nuovi politici. La guerra d’Africa per la presa dell’Etiopia era un mezzo per ingannare il popolo italiano; poi la guerra con Hitler fu un disastro. Nel suo cuore rimaneva un ricordo triste dei tedeschi, non li accettava come alleati. Poi ci furono i bombardamenti di Bologna e la sua casa e la sua chiesa di Ponte Lame furono colpiti gravemente. Fu un duro colpo per lui, ma questo nel 1943. Prima aveva brindato per la fine di quel buffone che faceva la guerra senza armi, il 25 luglio 1943. Nessuna simpatia per il re, massone e senza idee sue. A noi aveva già indicato, con precise parole, i suoi desideri: - assistere gli operai nelle fabbriche; - formare i giovani per essere operai cristiani nelle fabbriche; - avere una carità assoluta per i bisognosi; - essere sempre in comunione con il Vescovo perchè così voleva il «suo» don Giovanni Calabria. Questi sono stati i suoi insegnamenti. 34 Farneto: centro del mondo? L’angolo misterioso delle grotte del Farneto continua a riproporre nella memoria di don Giulio gli anni felici della sua infanzia... A sinistra dell’entrata principale della grotta, c’è un buco entro il quale l’amico Luigi Fantini vi scivolava sempre standovi dentro anche per giorni. Ci parlava di scoperte straordinarie. Per noi ragazzi era un buco così misterioso, ci stavamo davanti per delle ore pensando di andarci. Un giorno di giugno del 1932, con i soliti amici Verardo, Dino e Angiolino, intorno alle 9 del mattino ci trovammo pronti per esplorare le meraviglie nascoste in quel cunicolo stretto e sdrucciolevole. Presi candele dalla chiesa e fiammiferi da casa, con calzoni corti, scarpe rotte ed una maglietta bucata. Incominciammo a scendere, Angiolino – il più giovane (aveva 8 anni) scivolò e si mise a piangere, Dino e Verardo lo portarono in superficie. Io ero troppo orgoglioso e pieno di paura in quel sentiero buio e pieno di pericoli; ma continuai lo stesso. Poi uno scivolone lungo e doloroso mi annientò completamente. Forse svenni. Fatto sta che vidi attorno, a circa 400 metri di profondità, una meravigliosa valle immensa formata da quattro fiumi con acqua cristallina che si univano nella parte nord della valle. Vi scorrevano veloci. La visione mi rinfrancò, mi diede forza e tentai di risalire. Alle ore 21 uscii dal quell’oscuro cunicolo tutto sporco e bagnato. Mi rifugiai, a pochi metri, a casa dell’amico Verardo; sua madre mi lavò e pulì i miei abiti. Tornai a casa. La mamma, con lei eravamo sempre d’accordo, mi chiese se volevo mangiare, mi coricai e sognai quella splendida valle. A ottobre andai in collegio, una vera prigione; ma là trovai Gesù, allora il Paradiso era in me. Penso sempre ai ragazzi in collegio, o in prigione. Se non trovano Gesù per loro è fatta. Ora penso che in quella valle del Farneto Dio Padre ha creato l’uomo sapiens, per cui il Farneto è il centro dell’Umanità. 35 36 Prete, chi sei?... Riflessione autobiografica di don Giulio: essere prete non è ricerca di carriera o di successo, ma totale e generosa donazione ai fratelli, senza nulla aspettarsi in cambio... P rete di campagna o di città, cappellano del lavoro, assistente di associazione, canonico, monsignore, sacrista, primicerio, penitenziere…. Ma quanti sono i titoli? E quante sono le prebende? E chi conta più le specializzazioni, gli impieghi, gli incarichi, le sfumature di un magistero eterno ed insostituibile? Preti d’assalto, preti guastatori, preti operai: ultima risorsa del cristianesimo attivo, ultima trincea oltre la quale sta il campo biondeggiante di messe non colta, l’eldorado delle anime da coltivare. Chi sei tu, prete ignoto a questo secolo se non per i pregiudizi che ti insultano? Ti chiamano ricco, ti dicono della schiera dei sazi, ti appellano ipocrita e doppio: sei tutt’al più un furbo per la massa. Uno di quelli che ha saputo risolvere il problema del pane. Comunque sempre un gabbamondo fannullone. Tirati fuori dunque da questa colluvie di fango, se puoi: dì pure al mondo che sono tutte calunnie, che è tutta una congiura del demonio e dei suoi servi. Amico sacerdote: è il tuo destino, questo, credimi: essere il fiore del mondo e morire ogni giorno un po’, nello struggimento di non poterti comunicare. Sei prigioniero della tua santità. Anche se ti crederanno infatti, qualche residuo della calunnia rimarrà senz’altro e i più vicini, anch’essi, in un certo momento ti verranno meno. E tu allora ti darai da fare a ricomporre le fila, a richiamare ancora una volta intorno a te degli amici. Questi cresceranno nella grazia e diverranno gli adulti del Signore. Poi si faranno le loro idee, la loro indipendenza di giudizio. E tu sarai, ancora una volta, solo. Solo! Che mestiere ingrato quello del prete! Che pesantezza sul cuore quando, alla sera, dopo tanta fatica, dopo tante miserie ascoltate in confessionale, dopo tante incomprensioni, storture, arrovellamenti o languori – il che per l’anima è lo stesso – dovrai la sera tornare a vincere la bestia che, mille volte domata, chiede ancora una staffilata. E fosse pure quella definitiva! Domani tornerà all’attacco, sta sicuro. Che fare allora? 37 “Resistete saldi nella fede”, ti dice il breviario. E poi vai a letto. Rendiamo grazie a Dio, davvero, Signore, anche questa è passata! Dicono che noi preti non facciamo niente, o Signore. Eccoti la mia giornata piena di lavoro. So che troppo spesso quest’oggi ho seguito il mio gusto personale. So che qualche momento ho dimenticato di essere un servo inutile. Dammi la buona notte, o Signore. Questa è la vita del sacerdote come l’ho vista io. Questo per me è il sacerdote. Che importa se tanti non sono così? Il sacerdote che penso io, povero cappellano di campagna o misero scribacchino di curia, ha questo profilo ideale. Mi piace pensarlo così. Ne ho visti tanti che sono così. 38 I miei impegni... Don Giulio si esamina e si propone un cammino spirituale in vista di un apostolato generoso di vita sacerdotale nella Chiesa. 1. Essere più carico di vita interiore, partecipando ogni mese ad un ritiro spirituale. 2. In un giorno di ogni settimana dedicare una mezza giornata alla propria formazione spirituale. 3. Far partecipi anche gli amici collaboratori di questa ricchezza spirituale. 4. Organizzare ritiri mensili per i ragazzi della Villa. 5. Fare ritiro bimensile per i collaboratori. 6. Esercizi chiusi di tre giorni per coloro che si avviano all’apostolato in mezzo agli altri. 7. Credere fino in fondo alla nostra vocazione tra gli operai e al nostro affetto per i poveri. 8. Visitare l’azienda ogni settimana, fare un gruppo di preghiera e di carità. Formarli con un ritiro bimensile. 9. Valorizzare la Villa Pallavicini con le sue opere, in particolare la casa S. Petronio. 10. Distribuire bene gli incarichi ai collaboratori e incontrarsi ogni settimana per la verifica. 11. Dare tutto me stesso per la formazione spirituale dei ragazzi della casa. 39 12. Fare una scelta per i collaboratori delle Case per ferie e formarli per questo apostolato. 13. Una più costante penetrazione spirituale per gli allievi del Centro esterni. 14. Una conoscenza anche solo di persona dei ragazzi della Polisportiva Pallavicini. 15. Contatti con tutti coloro che si interessano della evangelizzazione del mondo operaio. 16. Amarci di più fra noi e collaborare per creare una comunità di affetti e di ideali apostolici. 17. Verifica settimanale del modo di agire di noi sacerdoti. 18. Trovare altri sacerdoti che collaborino con noi. 19. Intensificare il sorgere di gruppi di preghiera fra gli amici delle Case per ferie. 20. Necessità personale di una formazione culturale più intensa. 21. Necessità di abbandonare la scuola per essere più a disposizione dei ragazzi e delle varie opere della Villa. (23 settembre 1968) 40 Alcune idee... Nel suo servizio di animazione nel mondo del lavoro, don Giulio delinea una strada da percorrere a livello personale, parrocchiale, di cappellani del lavoro. 1. Fare un lavoro di inchiesta per conoscere un cristiano che operi in ogni ambiente di lavoro. Poi questi cerchi un compagno o più, altrimenti la fidanzata o la moglie o la sorella. 2. Ritrovarsi periodicamente a Villa Pallavicini o alla sera di qualche giorno della settimana o al sabato o alla domenica anche con la famiglia. 3. Curare scrupolosamente questi incontri su “Vangelo e Chiesa”. 4. Tenere i contatti sempre su un piano spirituale. 5. Inventare la festa delle matricole del lavoro. (settembre 1976) 41 Per le parrocchie 1. Una attenzione speciale per le parrocchie di periferia. 2. Inserire la comunità dei credenti, partecipanti alla Eucaristia domenicale, alle esigenze di giustizia e di verità esistenti in parrocchia, con preghiere, solidarietà e partecipazione a scoprire sempre meglio la giustizia. 3. Scoprire nella S. Scrittura le scelte di fondo fatte da Gesù: le pecore deboli, inferme, ferite, le smarrite e disperse. (cf. Ez. 34,4). (settembre 1976) 42 Per i cappellani del lavoro 1. Conservare tutto ciò che è buono in questo campo apostolico, incrementarlo là dove si trovi sacerdoti disposti a lavorare in spirito di silenzio e di annunzio e preannunzio evangelico. 2. Coordinare i sacerdoti al lavoro in diocesi. 3. Formare assistenti o consulenti per le associazioni cristiane (ACLI – MCL – ACI) 4. Tenere riunioni ordinarie fisse. 5. Studiare sempre più a fondo la funzione del gruppo sacerdotale per il mondo del lavoro. (settembre 1976) 43 44 Evangelizzazione operaia Quale strategia deve la Chiesa usare per accostare ed evangelizzare il mondo operaio? C onstatato che l’azione cattolica italiana per sua natura non è un movimento di evangelizzazione operaia; constatato che le ACLI non vogliono essere un movimento di evangelizzazione operaia, necessita creare a Bologna un movimento operaio che formi, colleghi, sostenga i militanti. Questo movimento deve lavorare per il ‘bene totale’ della classe operaia, certi che senza una vita totalmente cristiana non si può realizzare la evangelizzazione della classe operaia. Il movimento deve aiutare gli operai a dare questa testimonianza cristiana in conformità di una vita vissuta e spesa per il messaggio da portare agli altri perché sia ricevuto. Deve dare ai militanti una prospettiva che consenta loro la capacità di legare abitualmente la fede alla vita, aiutandoli a vivere insieme, osservare insieme, riflettere insieme, decidere insieme per un’azione apostolica che parta dai fatti della vita quotidiana personale e di gruppo. Deve riunire degli uomini che hanno calato la fede in un impegno temporale in cui sono impegnati per ragioni naturali: • senso della giustizia da portare nel mondo operaio e nelle strutture sociali; • senso della solidarietà di azioni; • senso del sacrificio per valutare la classe operaia; • senso della dignità del lavoratore che si realizza con il prendersi la responsabilità e si svilisce nella passività. Motivi e imperativi di fede: la nuova società deve ‘sottomettere la terra’; il peccato insito nella ingiustizia da allontanare; la carità da vivere; il senso della redenzione da scoprire e da vivere nel sacrificio e nell’impegno; • la dignità di figlio di Dio da far rispettare in ogni uomo. • • • • 45 Si deve fare oggetto dell’evangelizzazione le persone, non direttamente l’organizzazione della società. Deve conservare un’assoluta, reale e visibile autonomia da qualsiasi altra organizzazione politica, sindacale, non pretendendo di sostituirsi né di condizionare nessun movimento temporale. Deve rappresentare nella Chiesa la classe operaia e la Chiesa – Corpo mistico – nella classe operaia. Per questo il movimento non deve avere altra missione che quella della Chiesa. 46 Le Case per ferie Una relazione che non solo ripercorre alcune tappe dalla nascita delle Case per ferie, ma ne richiama lo spirito autentico da non disperdere. 1. Finalità delle Case per ferie Le Case per ferie sono nate per dare al lavoratore la possibilità di riposare fisicamente nei luoghi dove la bellezza e la quiete della natura possono aiutare il sacerdote a restituirgli il concetto e l’amore di Dio, dell’amicizia, della fraternità. La situazione religiosa e morale della società di oggi è certamente molto preoccupante: chiunque viva senza bende agli occhi può facilmente rendersi conto che il mondo attuale non può proprio definirsi un mondo cristiano. Le cause sono molte e non è facile racchiuderle in un’unica sintesi; la ribellione a Dio è sempre stato uno dei più grandi misteri dell’umanità, mistero che neppure la verità del libero arbitrio riesce ad illuminare sufficientemente, in quanto resta sempre oscuro il fatto che l’uomo possa decidersi ad approfittare della propria libertà proprio contro Dio. Questa constatazione non elimina, comunque, la necessità che ogni tentativo di risanamento cristiano tenga conto di quelle che sono le cause specifiche del male in un determinato settore e ne adegui in conformità il metodo di lavoro; e le Case per ferie dell’ONARMO sono appunto uno di questi esperimenti nel settore delle classi lavoratrici, le quali, dato il numero delle persone che vi appartengono, costituiscono indubbiamente un grave problema dell'apostolato moderno. L’opera delle Case per ferie si serve di un momento della vita del lavoratore – il periodo delle ferie estive – per isolarlo dalla propaganda avversaria che oggi è uno degli impedimenti alla vita e al pensiero cristiano, e per tentare di riportarlo alla considerazione di quei problemi spirituali che con troppa facilità vengono archiviati e trascurati. Per cercare questo era necessario realizzare un incontro tra lavoratori e sacerdote che avesse come base di partenza il precetto evangelico della carità, essendo provato che l’uomo si lascia più facilmente convincere dalle opere di bene che dalle dottrine anche le più belle. La stessa scelta delle Dolomiti come luogo dell’incontro non è per 47 puro caso: l’ambiente esterno ha una grande importanza educativa; l’uomo ha bisogno di una coreografia e per parlargli di Dio nessuna coreografia è più suggestiva ed efficace di quella alpina, espressione veramente trionfale della creazione divina. Ecco le Case per ferie: un albergo di tipo famigliare aperto a tutti, con prezzi accessibili anche ai più poveri, dove in un ambiente caldo di bontà si associa il riposo fisico ad una scuola di rieducazione ed integrazione spirituale. Probabilmente da principio le Case per ferie sono state apprezzate e si sono affollate più per le possibilità che offrivano di trascorrere le vacanze sulle Dolomiti che per gli altri motivi, ma oggi l’elemento spirituale si è ben inserito e ne costituisce il loro miglior pregio, dando sicura garanzia che non sono una inutile variazione di vecchi metodi di lavoro. La carità, la vera carità evangelica, questi frutti doveva darli. Il Vangelo ritradotto fedelmente ed integralmente nella lingua del popolo, è sempre il libro della vita per tutti, anche per quelli cui le abitudini e le preoccupazioni quotidiane, alimentate di dottrine materialiste, l’hanno strappato di mano e sostituito con i manuali tecnici e d’affari. Lo spirito, particella di Dio, non si combina con ingredienti di questa terra: il suo elemento affine è Dio e null’altro può pacificarlo. 2. Nascita e sviluppo delle Case per ferie Se si dovesse fare una storia completa, in molti capitoli, ci si potrebbe divertire a dare agli inizi della Case per ferie un sapore di avventura. I primi infatti furono 20 giovani assieme al loro cappellano del lavoro nel 1947, partendo da Bologna con una attrezzatura da carovanieri, andarono ad addentrarsi in Val di Fassa, dentro ad una baita di legno, per trascorrere in modo cristiano le ferie estive. Non c’era certamente in tutti la conoscenza che stavano per fondare una opera nuova del Signore, ma tutti ripartirono dalla Val di Fassa con gli occhi ed il cuore pieni di meravigliose bellezze e commozioni. Ci fu un operaio che espresse un desiderio: «Vorrei che l’anno prossimo anche i miei amici di lavoro potessero venire quassù!» e questo si è avverato. Dalla baita del 1947, si passò all’albergo «FEDAIA» di Alba di Canazei, vecchio, disadorno e scomodo, ma capace. Nel 1945 e ’50 all’albergo Fedaia si aggiunse l’albergo «BELVEDERE» di San Vigilio di Marebbe. Nel 1951 abbandonato il vecchio Fedaia per il nuovo albergo dell’ONARMO «Matteo Talbot», conservato ancora l’albergo Belvedere 48 di San Vigilio, è stata aperta la terza Casa per ferie in Val Fiscalina con sede nell’albergo «BAGNI DI MOSO». Nel 1952 hanno funzionato sei Case per ferie: Alba di Canazei, San Vigilio di Marebbe, Bagni di Moso, Funés e Sotto Stelvio. Nel 1953 le Case aperte sono state quattro: Alba di Canazei, San Vigilio, Perra di Fassa e Milano Marittima. Quest’ultima a tipo sperimentale, solo per nuclei famigliari, al mare. Anno Operai 1947 1950 1952 1953 20 502 824 863 Impiegati Studenti – 347 801 359 Professionisti Totale Ospiti Totale Spese di gestione – 73 135 246 20 1140 2161 1794 £. 121.700 £. 10.235.000 £. 29.465.000 £. 21.240.000 – 218 401 326 Il prospetto indicato dà in sintesi l’idea del lavoro compiuto e una visione delle vaste proporzioni che tale organizzazione ha assunto. Le cifre su riportate dicono con chiarezza che le Case per ferie non sono più un’avventura, ma un’OPERA per l’evoluzione spirituale e sociale dei lavoratori, il cui bagaglio di esperienze, sofferenza e benedizioni incoraggia ed impegna tutti a continuare. E fu proprio per garantire la continuità delle opere e per tradurla in una istituzione sempre meglio funzionante che gli stessi bolognesi vollero una Casa propria. Nel 1949 fu acquistato un appezzamento di terreno di mq. 767 e venne pagato metro per metro dai vecchi ospiti e amici, senza alcuna difficoltà. Il 2 giugno 1950, mons. Babini Vescovo di Forlì, in rappresentanza del compianto Card. Nasalli Rocca, Arcivescovo di Bologna, presiedette alla cerimonia della posa della prima pietra, e il 2 giugno 1951, esattamente un anno dopo, il nuovo albergo fu benedetto ed inaugurato, pronto per essere abitato. L’albergo costruito a cento metri dalla chiesa parrocchiale di Alba di Canazei (Val di Fassa - Trento) fu denominato Casa per ferie MATTEO TALBOT e dedicata alla Madonna delle Nevi. 3. Case per ferie di proprietà dell’ONARMO di Bologna - Casa «Matteo Talbot» di Alba di Canazei (TN) - Casa «Teresa Martin» di San Vigilio di Marebbe - Casa «Mons. Ferdinando Baldelli» di San Silvestro di Dobbiaco (BZ) - Casa «Santa Maria» di Milano Marittima (RA) 49 - Casa «Don Filippo Cremonini» di Massignano (AP) - Casa «San Giovanni» di Castiglione dei Pepoli (BO) A queste sei Case di proprietà, deve essere aggiunta la Casa «Madonna del Lavoro» di Cogne (AO). 4. Direzione e personale La direzione della Casa per ferie è di tipo attivo e basata sull’autogoverno degli ospiti. In ogni turno i giorni più difficoltosi sono i primi due. Il giorno successivo all’arrivo il direttore o l’assistente illustrano a pranzo le finalità della Casa, ponendo in evidenza lo scopo del riposo, il valore spirituale della montagna e la necessità di rispettare le norme vigenti per il buon andamento della casa, chiamando ciascuno a collaborare nell’organizzare gite, feste, spettacoli, ecc., rendendo cioè evidente la necessità di una corresponsabilità dei singoli al buon andamento di questa grande famiglia. Si tende a creare un senso di necessità del reciproco aiuto nella vita comune, quasi come avviene in cordata su per una parete rocciosa, con questo spirito nasce spontaneamente negli elementi migliori, e quindi negli altri, un clima di fraternità, pieno di canti, di gite ed escursioni, di giochi e di feste. I dirigenti, vivendo con naturale familiarità, troveranno in queste manifestazioni i momenti più felici e facili per suscitare e maturare nelle anime le crisi feconde di idee più chiare e di decisioni morali. Il sacerdote, pur sovraintendendo la direzione della Casa, rimane soprattutto il sacerdote, maestro e guida spirituale delle anime. Cura in modo particolare lo spirito e l’attività apostolica del direttore e del personale della Casa ed organizza la vita spirituale della Casa. Il sacerdote avrà sempre il periscopio della sua sensibilità a fior d’acqua per avvertire il più piccolo accenno di risveglio alla Grazia. Il direttore, è l’autorità, colui che decide, tuttavia sempre con il parere ed il consiglio dell’assistente. La Casa per ferie ha infatti una appartenenza piuttosto laica, ma sempre subordinata ad ogni costo all’autorità vera: il sacerdote. L’economo ed i collaboratori ai vari servizi sono il principale aiuto al sacerdote e al direttore nell’attuazione del clima particolare della Casa per ferie e debbono pertanto, possedere doti particolari: grande sincerità, modestia e spirito di sacrificio. In sostanza si tende ad un metodo democratico, di spontaneità e naturalezza di rapporto tra gli ospiti e la direzione della Casa, in modo da favorire quel processo di semplificazione morale di maturazione spirituale così fecondo di meravigliosi risultati. 50 5. Assistenza religiosa nelle Case per ferie In ogni Casa per ferie vi è un sacerdote che con ogni mezzo cerca di crearvi un ambiente spirituale e che, approfittando di ogni occasione, avvicina i singoli ospiti, parlando loro di Dio. Gli ospiti difficilmente gli oppongono resistenza perchè la sua caratteristica è quella dell’amico sincero e generoso. Nelle Case per ferie convergono operai, impiegati, studenti e professionisti, gente cioè che appartiene al mondo del lavoro e che vive in mezzo a mille preoccupazioni ogni giorno. Queste persone vengono alle Case per ferie direttamente dai luoghi del lavoro o della scuola e arrivano per riposarsi e distendere i nervi, scegliendo le Case per ferie perchè non possono andare altrove: finiscono però per preferirle ad altri posti perchè l’ambiente piace. La Casa si riempie così di gente diversa per educazione religiosa e morale, diversa per tendenze politiche, di diversa età, ed avvicina senza alcuna distinzione operai e professionisti, iscritti all’azione cattolica e comunisti, oltre alla gran massa di gente neutrale. Questo è l’ambiente nel quale il sacerdote ed i suoi collaboratori debbono lavorare in un periodo relativamente breve. Dieci o venti giorni infatti non sono molti per chi, prima ancora di cominciare, ha bisogno di crearsi le condizioni favorevoli, il clima di fiducia e quanto può essere utile a far cadere le prevenzioni, oggi comuni a tanti, nei confronti del sacerdote e del suo lavoro. Ma poichè gli ospiti non possono fermarsi oltre i giorni concessi per le ferie, il sacerdote deve lavorare in intensità. Nonostante tutto, parlando dopo una esperienza di sette anni, si può affermare che l’ambiente è abbastanza favorevole e che si possono ottenere buoni risultati. Naturalmente l’ambiente non lavora da sè, nè il clima di famiglia e di serenità che vi si forma sfocia obbligatoriamente in un processo spirituale nè il riposo e l’allentamento della tensione quotidiana conducono necessariamente in chiesa, come non basta che la natura di per sè elevi l’uomo a Dio; occorre sempre che il sacerdote sappia convincere gli ospiti e sappia raccogliere e costringere questa prima spontanea elevazione in una forma di educazione spirituale. L’uomo di solito fa fatica a rinunciare alle proprie abitudini e non si può neppure pretendere che lo faccia senza prima venire in possesso della verità. È anche vero che le grandi anime soltanto, per di più privilegiate, si preparano alla conversione da sè o meglio condotte da uno stimolo interiore della mente o del cuore; le altre, la maggioranza, hanno tutte bisogno di un episodio, di un impulso dall’esterno, hanno bisogno in genere dell’aiuto di un’altra persona. Non va neppure dimentica51 to che Iddio non interviene, di norma con un miracolo, ma lascia che l’uomo percorra tutta la strada della conversione, la quale di solito è lunga e faticosa. Perciò il sacerdote, che vive vicino all’uomo e vuole portarlo a Cristo, deve essere prudente ed intuitivo, deve sapere attendere, deve soprattutto essere strumento impersonale della Grazia del Signore. A queste condizioni, e se vi si aggiunge generosità e spirito di sacrificio, qualcosa si ottiene: l’uomo per quanto ribelle sia non può mai distruggere la propria origine divina, nè può senza sgomento continuare a seppellire Iddio sotto il creato. *** L’assistente spirituale della Case per ferie non è un sacerdote diverso dagli altri e non usa metodi speciali; anche egli si serve delle regole comuni dell’incitamento della sua coscienza sacerdotale e, come tutti gli altri, adegua il proprio lavoro all’ambiente, alla mentalità e alle necessità di ognuno di quelli ai quali vuol fare un po’ di bene. Come ogni anima è un caso a sè, anche ogni categoria di persone ha una propria sofferenza e un proprio modo di cercare FUGGIRE Iddio: e questo bisogna assolutamente conoscere e tener presente. Bisogna soprattutto ricordare che le anime non vanno aggredite. L’aggressione fa dei vinti o dei prigionieri, ma non convince nè porta all’amore. Per portare all’amore si deve cominciare proprio con l’amore. La verità può essere crocifissa, anche da un ignorante, ma per sconvolgere l’amore ci vuole un degenerato. Ecco prechè l’uomo ha meno prevenzioni contro l’amore che contro la dottrina. La crisi della persona umana e lo smantellamento interiore dell’individuo più che un prodotto di teorie filosofiche e sociali errate, sono una conseguenza di uno stato di fatto nel quale l’uomo non è più fratello del suo prossimo e non vuole più condizionare la sua vita a questo rapporto soprannaturale. Ne deriva che il sacerdote il quale vuole parlare ad un’anima deve rompere questo egoismo: almeno per iniziare il colloquio egli deve fondersi col bisogno che è in quell’anima. Questo apostolato di amicizia è agevolato, rispetto ad altri metodi, dal fatto che l’amicizia predispone l’animo di entrambi a non opporsi reciprocamente per pura prevenzione, vizio questo che danneggia la verità più della stessa ignoranza. La tensione classista e la frattura delle relazioni sociali, originate dalle dottrine antievangeliche, non possono eliminare completamente il contenuto umano dell’uomo; pertanto, valorizzando questo fatto, si può ancora – in un ambiente favorevole e dopo aver sottratto l’uomo, alme52 no per un po’ di tempo, alla persecuzione snervante del mondo iroso e settario in cui vive – tentare di riaccostarlo a Cristo e di ridargli il gusto del precetto della carità. Molti non amano il bene perchè conoscono solo il male, molti odiano Cristo perchè conoscono solo satana: nelle Case per ferie si cerca di cambiare questa situazione col far conoscere anche il bene e Cristo, servendosi specialmente dell’esempio dei buoni e degi atti di bontà, ed evitando ogni inutile aggressione polemica. Una gentilezza spontanea, un consiglio dato al momento giusto, una conversazione sincera e serena, l’esempio di coerenza tra parola, insegnamento e fatti, finiscono sempre con aprire una porta alla confidenza, e chi confida qualche segreto della propria anima è per metà conquistato. Ma quel che più attrae è certamente il mostrare la gioia vera che il cristiano prova nel servire il suo prossimo, senza calcoli di interesse nè malizia di ricompensa, e servirlo anche quando costa sacrificio, non facendo distinzione se il suo sacrificio è grave o leggero e se il beneficiato è un amico o uno sconosciuto. Nessuno saprà resistere a lungo a questo contegno e verrà a ringraziare, dando al sacerdote la possibilità di dire la prima parola spirituale e di continuare il lavoro di formazione già iniziato. Risultati ottenuti Non c’è cosa più difficile e imprecisa che fare un bilancio spirituale: non è però impossibile vedere che le Case per ferie nei loro sette anni di vita hanno dato notevoli risultati. Molte persone venute in montagna unicamente per trascorrervi le ferie sono tornate a casa mutate. Lassù, nel silenzio della natura, hanno sentito la voce di Dio e il bisogno di accostarsi alla Grazia. Eccone alcuni esempi. «Prima di entrare all’ONARMO la mia vita e il mio carattere erano sempre incostanti, mi trovavo sempre ad essere dalla parte più comoda. Lei una sera di due anni fa mi fece cambiare idea, ebbe la pazienza di spiegare come dovessi mutare totalmente i miei atteggiamenti, il mio punto di vista. Grazie di avermi aiutata a migliorare e preghi un poco anche per me». (da una lettera di una studentessa all’assistente). «Sono venuto a Canazei pieno di prevenzioni. Preciso: non senza fede perchè questa non mi è mai venuta meno, ma distante, con l’animo pieno di pregiudizi, di cattiverie quasi e di astio e col proposito di procurare seccatura ad ogni minima imperfezione dell’organizzazione. Invece, dieci giorni lassù fra la grande cordialità sincera, umana, onesta, 53 hanno totalmente cambiato il mio animo... Ho bisogno di rigenerazione, di una redenzione per la mia anima». (da una lettera di un operaio all’assistente). «I giorni trascorsi in montagna con l’ONARMO, rappresentano per noi la riserva di serenità, il ricordo dolce e riposante al quale si ricorre nei momenti più neri, al termine di una giornata di lavoro. Questo perchè i giorni trascorsi lassù sono stati belli, tersi, improntati a soddisfazioni spirituali. Lassù i nostri pensieri erano sempre indirizzati verso le cose migliori: nella nostra mente si apriva come una finestra su un mondo di sensazioni dimenticate, perdute nella voragine di meschinità, di piccole cattiverie, ecc.». (da una lettera all’assistente). Qualcosa si è ottenuto. La partenza dalle Case al termine di ogni turno è sempre uno spettacolo suggestivo. Molti non sanno nascondere la loro commozione: è troppo bello vivere in un ambiente sereno ed amico e ritrovare se stesso secondo la legge della natura e della Grazia. Tornando a casa, al lavoro, mancherà loro quella pace delle cose che l’eccitazione della vita cittadina distrugge. L’uomo soffre quando è costretto a vivere una vita troppo estrema; l’uomo ha bisogno di sè ancor più che del suo prossimo. Vita religiosa delle Case per ferie Gli ospiti della Case per ferie sono di passaggio: così l’assistenza spirituale deve avere quasi un carattere impressionistico. Le stesse pratiche religiose – riportate alla loro limpidezza liturgica – raccolgono dalle cime alpine quella semplicità e freschezza che è nella natura fedele a Dio e in questo ambito invitano a credere e pregare. Nelle Case per ferie nessuno è obbligato a particolari pratiche religiose, ma tutto si fa perchè ognuno senta il bisogno di entrare in chiesa e di inginocchiarsi con sincerità. Le preghiere sociali dell’ONARMO sono come la musica di fondo che accompagna il colloquio e la confessione di ognuno con il Signore. Le nostre preghiere ufficiali sono tre: la Santa Messa, la meditazione, le lodi del mattino e della sera (rosario facoltativo). La Santa Messa, troppo spesso declassata ad un atto della vita quotidiana del sacerdote, viene riportata con ogni cura e spiegazione, alla sua vera sostanza di sacrificio e di rifugio sotto la Croce del Signore di tutta l’umanità sferzata dalla paura e dagli egoismi ribelli a Dio. La Meditazione quotidiana è una delle preghiere e dei metodi di formazione meno praticato ed amato. L’uomo moderno, distratto e su54 perficiale fa fatica a concentrarsi in una qualsiasi forma di studio: la pigrizia intellettuale accarezzata dai metodi didattici moderni, è un dato di fatto innegabile. Atteso poi che il cristianesimo prima di diventare azione è pensiero, è necessario trovare un modo di meditazione possibile anche ai più distratti. Così, lassù che è possibile, si cerca dalla sfolgorante bellezza della natura dolomitica quei pensieri e commozioni, che adattati con delicatezza e carità ai diversi stati d’animo, aprano la mente e il cuore verso gli orizzonti più belli e più veri per i quai, soprattutto, l’uomo è stato creato. 55 Il mio fallimento?... Non è un momento di pessimismo: ma don Giulio si chiede fino a che punto i doni di Dio sono stati conservati e valorizzati e quali sono le strade di un recupero. È un momento di riflessione su noi e sulla nostra opera. C’è qualcosa che secondo me non funziona a tutti i livelli. Abbiamo dimenticato la nostra consacrazione al Signore e la nostra donazione all’ONARMO. Abbiamo lasciato la preghiera. La Santa Messa quotidiana, impegno assoluto per ogni collaboratore, è diventato un impegno domenicale come tutti gli altri; si arriva al paradosso che nelle Case per ferie gli ospiti vanno alla S. Messa feriale e i collaboratori a zonzo. Non possiamo trasmettere nulla ai giovani se non abbiamo ricevuto dal Signore. Sono qui per dichiararvi il mio fallimento, credo sia venuto il tempo (i segni sono tanti) di lasciarvi, perchè così come vi comportate non è conforme a quanto vuole il Signore. Speriamo che il Signore ci converta tutti in questo Avvento e che il Natale ci trovi svegli, per rinascere in Cristo ed essere nuovi come ai tempi della chiamata del Signore a quest’opera. (Avvento 1975) 56 Lettera agli ex-rastrellati Don Giulio scrive – dopo alcuni decenni – agli ex-Rastrellati (PRO-RA) per invitarli ad un incontro nel ricordo di una esperienza terribile passata insieme... C aro amico, ti ricordi quando mano nemica ti strappò dalla tua casa, dal tuo paesello, dalla tua bella città, e ti deportò alle Caserme Rosse di Bologna? o al lavoro forzato nel fronte della Gotica? Nei tuoi occhi pieni di lacrime erano riprodotti i volti dei tuoi cari: la tua favella così bella e armoniosa taceva. Desideravi un volto amico, un fratello che ti fosse vicino. Ci incontrammo anche per soli pochi istanti in quel luogo di dolore: ci comprendemmo. Deponesti ogni timore e mi dicesti le tue pene. Gesù mi mandò a te. Avevo paura degli uomini, ero tanto giovane, ne vidi tanti, più di 35.000, vecchi, giovani, in quel misero stato fisico e morale che ben ricordi. Tutti mi voleste bene, in questo giovane prete vedeste Gesù. Egli vi parlò, voi piangeste, cioè toglieste dal vostro cuore un po’ di affanno. Io vi ascoltai, piansi con voi, vi amai fino ad offrir la mia vita per la vostra salvezza, in modo particolare la mia preghiera e il mio affetto furono per coloro a cui toccò la deportazione in Germania. Conobbi il dolore e la bellezza della vostra anima toscana dalle mille vibrazioni spirituali. Lo stesso spirito di amore e di fiducia trovai nei nostri fratelli deportati sul fronte della Gotica: la stessa sensazione, la stessa vibrazione; la stessa comprensione: Gesù era con noi. 21 Aprile 1945: fummo liberati dall’oppressione. Rimase fra di noi il vincolo dell’affetto e della amicizia. 57 Ed ora vogliamo come i discepoli di Emmaus dire a Gesù: «Rimani perchè si fa sera». Nel tempio di Dio faremo un ricordo marmoreo per rammentare i nostri morti rastrellati. Nel cuore di Dio deporremo la nostra speranza, la salvezza delle nostre belle città e della nostra Patria. Viva Gesù! Necessità assoluta della testimonianza cristiana. Le parole devono trovare rispondenza in gesti e segni coerenti e significativi. I giovani non sono da capire, sono da amare. 58 L’Onarmo di Bologna e i comunisti In dialogo, senza pregiudizi, con umile generosità si può superare ogni barriera per incontrare tutto l’uomo e ogni uomo... S iamo partiti per il nostro lavoro in fabbrica e fuori senza pensare all’iscrizione, degli uomini, a partiti politici. Per noi tutti i partiti sono buoni, tutti i partiti sono indifferenti. Partito significa parte dell’uomo, così abbiamo pensato che non poteva includere tutto l’uomo. Questa realtà metafisica in pratica ci ha lasciati alle volte un po’ perplessi. Abbiamo visto alcuni partiti, anche nel dopo guerra: «o con noi o contro di noi». Comunisti o fascisti. Chi non era comunista era fascista. Ma erano pochi quelli che in pratica erano così. C’era la famiglia, la moglie, i figli, le tradizioni delle proprie radici familiari. C’erano i defunti, i cimiteri, i contrasti con i figli, a impedire questo integralismo del partito; c’era quella intelligenza del bolognese che sa sempre scegliere al momento opportuno. Lascia un posto nel suo essere per cambiare le cose a tempo opportuno. Di questo ne siamo sicuri. Lo spirito di generosità è insito in tutti i bolognesi; basta pensare il numero stragrande di associati alle cooperative. Occorreva il momento per mettersi in dialogo, senza pregiudiziali e non pensare di avere più verità e più conoscenza. 59 60 Il terzo millennio ci attende L’antico programma ‘preghiera-azione-sacrificio’ è ancora valido negli anni che si affacciano al grande Giubileo del 2000 voluto da Giovanni Paolo II. S tiamo vivendo gli ultimi giorni di un’epoca storica. E già all’orizzonte si profila l’alba di un nuovo giorno: il terzo millennio. La Pasqua del Signore illumina questo passaggio epocale che non è un semplice cambiamento di data o un calendario che si rinnova. L’umanità sta entrando in una nuova fase storica e impensabili sono le prospettive che stanno davanti. Di fronte a questo misterioso orizzonte noi cristiani ci poniamo con la certezza che il nostro futuro, per quanto grandi siano gli interrogativi e profonde le oscurità, è nelle mani del Signore ed è da Lui illuminato. Nella tradizione cattolica il Giubileo è un grande evento religioso. È l’anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, è l’anno della riconciliazione tra i contendenti, della conversione e della penitenza sacramentale e, di conseguenza, della solidarietà, della speranza, della giustizia, dell’impegno al servizio di Dio nella gioia e nella pace con i fratelli. L’anno giubilare è soprattutto l’anno di Cristo, portatore di vita e di grazia all’umanità. Grandi sono le attese per questo passaggio epocale, la cui aurora in questi giorni è segnata non dai colori della speranza che si apre alla luce, ma dai bagliori di una guerra, di tante guerre, di cui non si conoscono gli sbocchi, ma ne conosciamo bene il tributo di sangue, di sofferenza, di violenza su tanti innocenti. Si apre un Anno Santo. E il pensiero corre agli anni della giovinezza sacerdotale di don Giulio, quando a fine febbraio 1944 il Cardinale convocò don Giulio per affidargli una missione a rischio che avrebbe segnato tutta la sua vita: “Te mando alle Casermette Rosse” (da “APPUNTI STORICI E NODI DELLA MEMORIA” di Mons. Gherardi - pag. 17). Arriva in quell’inferno di sofferenza e di odio con un umile altarino da 61 campo dicendo “Sono venuto a dire Messa”. È qui la radice dell’ONARMO e di tutto quello che ne seguirà: “Sono venuto a dirvi Messa e a dirvi: Fratelli miei, Dio è con voi. Non vi scoraggiate. Tutto è possibile quando Gesù lo vuole, perchè è l’amico degli oppressi” (id. pag. 20). È il volto dell’amico degli oppressi, amati da Dio, in oltre 50 anni di attività, acquista i connotati di migliaia di collaboratori che con la grazia del Signore, la generosità che non guarda né ad orari sindacali o a giorni festivi o feriali, operano il miracolo della carità. Don Calabria (proclamato santo appena pochi giorni fa’ il 18 aprile) scrive proprio in quei giorni a don Giulio: “Ogni iniziativa, per riuscire efficace, deve avere la benedizione di Dio. Non basta il bel programma: occorre il sigillo divino; e questo viene sempre dal vescovo”. Forza portante dell’ONARMO furono – e lo sono anche oggi – la cerchia innumerevole dei collaboratori “perchè dato comune e qualificante di tale opera è la matrice popolare che conferisce al popolo santo di Dio il suo ruolo effettivo e primario” (id. pag. 28). Ma tutto sarebbe stato vano –“come pula al vento”– se non ci fosse stata fedeltà a tre parole che allora erano il programma dei giovani di Azione Cattolica: “PREGHIERA, AZIONE, SACRIFICIO”. Il lungo cammino di CROCE e di LUCE dell’ONARMO, “pugno di lievito che fermenta la massa” ha avuto il suo cuore nella adorazione alla LABARUM COELI, nel rosario e, specie, nella LITURGIA EUCARISTICA quotidiana, “alfa e omega di ogni impresa” (id. pag. 31). Cosa aspetta all’ONARMO all’alba del terzo millennio? Scrive il Papa nel messaggio per la Quaresima appena passata: «Ancora oggi si dischiudono davanti a noi spazi enormi nei quali la carità di Dio deve farsi presente attraverso l’opera dei cristiani. Le nuove povertà e le grandi questioni che angosciano molti cuori attendono molte risposte concrete e pertinenti. Chi è solo, chi si trova ai margini della società, chi ha fame, chi è vittima della violenza, chi non ha speranza, deve poter sperimentare, nella sollecitudine della Chiesa, la tenerezza del Padre celeste che, fin dall’inizio del mondo, ha pensato ad ogni uomo per colmarlo della sua benedizione... Ci sono molti “Lazzari” che bussano alle 62 porte della società: sono tutti coloro che non partecipano ai vantaggi materiali del progresso. Vi sono perduranti situazioni di miseria che non possono non scuotere la coscienza del cristiano, e richiamargli il dovere di farvi fronte con urgenza sia personalmente che in modo comunitario». Maria con la sua presenza ci conforti, ci illumini, ci benedica! 63 Risposte ad un questionario Don Giulio risponde alle domande di un questionario sulla vita e il ministero del prete nella Chiesa con affermazioni brevi ma chiare. 1. Il compito vero del sacerdote è quello dell'evangelizzazione del Popolo di Dio con la Parola e della manifestazione di Gesù con i Sacramenti. 2. Il Vescovo è il segno visivo del Sacramento della Chiesa, pertanto è la garanzia dell’autenticità del ministero dei presbiteri. 3. Il Vescovo è il segno di Dio nella Chiesa e pertanto si richiede un segno visibile: non muto, non incerto, non diplomatico, non assente. 4. Non vi è Chiesa senza Vescovo, pertanto il Vescovo è il massimo carisma di Dio, e le relazioni dei presbiteri con il Vescovo sono paragonabili alle relazioni delle membra di un corpo con il capo. 5. Per me difficoltà non vi sono, se non mancanza di conoscenza e di fiducia reciproca, e pertanto si lavora in linea per lo stesso fine, ma a volte senza calore. 6. Il Vangelo ha costituito gli apostoli, pietra angolare, e San Paolo e San Pietro parlano delle virtù del Vescovo, successore degli apostoli, e la Tradizione, specie in s. Ignazio di Antiochia, si concreta nel trium: Vescovo - Presbiterio - Popolo si Dio, che è indispensabile per la Chiesa. 7. Ribadisce questo principio ed allarga al Vescovo il servizio alla Chiesa per la verifica della fede, del ministero, della pietà di ogni membro della Chiesa. 8. Si richiede oggi una unità più assoluta fra Vescovo e presbiterio, per un’azione più profonda e più viva nel presentare la Chiesa, dono di Dio agli uomini. 9. L’autoritarismo si verifica solo quando il Vescovo interviene nelle cose opinabili; nella verità di fede il Vescovo è sempre Cristo che insegna e comanda. 64 Il Vescovo quando è pastore è una autorità divina, quando è uomo politico o economico è un consigliere. 10. Il Vescovo è il carisma della visibilità della Chiesa e pertanto in Lui ogni fedele sente il pastore e ne gode della sua paternità che è la stessa di Gesù; quando indulge nei metodi umani per raggiungere il Regno di Dio, fa il paternalistico. 11. Per me l’obbedienza al Vescovo è naturale, come le membra di un corpo eseguono i comandi del cervello, così i sacerdoti che cercano il Regno di Dio cercano il Cristo visibile nella Chiesa che è il Vescovo. 12. I sacerdoti sono una partecipazione del ministero episcopale, pertanto, essendo unico il presbiterio ed unico il Vescovo, esiste solo l’unità per la diffusione del Regno di Dio. 13. Il Vescovo solo ha il carisma divino nella Diocesi di fare la pastorale, ma per essere Chiesa (Vescovo - Presbiterio e Popolo di Dio) è dunque necessario che questi tre elementi siano essenziali e indispensabili per la garanzia dell’unità che si verifica nel Vescovo. 14. Non delegando, ma responsabilizzando tutti, e facendo capire agli incaricati suoi che il loro è un servizio alla verità e all’amore. 15. I collaboratori del Vescovo, non debbono intervenire nelle cose opinabili per dare giudizi, ma considerarsi come amici e consiglieri; nelle cose di fede inviare i sacerdoti al Vescovo, unico arbitro divino per interpretare la Chiesa. 16. Una unità del presbiterio con il Vescovo, e sia il Vescovo a liberare la Chiesa da strutture non necessarie al suo Regno, perchè emerga nella Chiesa la santità, la donazione e la trasparenza del Cristo per tutti. 17. Realizzare il Regno di Dio in una unità fra Vescovo - Presbiterio e Popolo di Dio. Far valere di più i segni dello Spirito Santo e abolire inutili strutture giuridiche e amministrative che soffocano, per la loro natura, la libertà del Vangelo. 65 66 Cardinale Nasalli Rocca A 60 anni dalla realizzazione del Seminario arcivescovile, don Giulio rievoca la figura del card. Nasalli Rocca mettendone in evidenza soprattutto la paternità nei confronti dei suoi preti. I l Cardinale amava i suoi preti di un amore paterno. Il Cardinale amava l’Italia come un vero risorgimentale. Il Cardinale amava la diocesi di Bologna come una famiglia. Avrebbe voluto vedere spesso i suoi sacerdoti e sapere tutto di loro, delle loro necessità e dava ad ognuno consigli utili e validi. Ho conosciuto il Cardinale nel 1942 a Monte Acuto Ragazza ove era in visita pastorale. Chi la preparava era don Filippo Cremonini molto amico di don Tozzi Fontana parroco di quella comunità. Era salito lassù sopra un asinello: tutto il popolo lo accolse con grande gioia. Si prepara a celebrare la S. Messa. Don Angelo Magagnoli ed io, arrivammo a Messa iniziata avendo alla stazione di S. Benedetto Val di Sambro chiesto di Monte Acuto, ci indirizzarono a Monte Acuto Vallese e di là a piedi raggiungemmo Monte Acuto Ragazza. Si divertì a tavola a prenderci in giro e di versare ottimo vino perchè dovevamo avere tanta sete e tanta fame. Dopo pranzo ci prese da parte. Volle sapere dei nostri studi e della nostra vocazione a favore degli operai. Noi allora facevamo la seconda Teologia. Si interessò dei professori. Ci vide magri, chiamò Filippo pregando di darci molto da mangiare. La sera dormimmo in canonica e prima di coricarsi venne a darci la buona notte. Noi due non stavamo nella pelle e tutta la notte sognavamo il nostro futuro apostolato in mezzo agli operai. Servimmo la S. Messa e ci disse di andarlo a trovare spesso, e d’informarlo della nostra ordinazione sacerdotale. Cosa che facemmo con piacere. Il Collegino dei Buoni Fanciulli non era ancora un vero seminario; occorreva di essere presentati al Vescovo. Allora Lui, il Cardinale Arcivescovo ci fece un lungo esame della nostra vocazione per ben tre ore, e poi ci disse di mettere per iscritto quanto aveva detto. Non solo approvò dicendo che Lui e Lui solo poteva giudicare della idoneità al Sa67 cerdozio, in più ci ottenne di celebrare la S. Messa a 23 anni nel quarto anno di Teologia con un biglietto di S.E. il Cardinal Rossi che aveva chiesto direttamente al S. Padre. Disponeva di noi non appena ordinati come voleva e di questo era gelosissimo. Mi mandò cappellano a S. Paolo di città per due mesi. L’impatto con Mons. Schiassi mi fu salutare come maestro di confessionale e di puntualità nella celebrazione della S. Messa. Due cose che non ho dimenticato. Accogliendo la richiesta della professoressa Maria Bagini, delegata del Fascio femminile provinciale, donna di grande carità e di fede, mi fece cappellano alle Caserme Rosse di via Corticella per assistere gli operai italiani che andavano a lavorare spontaneamente in Germania. Si presentarono dal febbraio al marzo 14 operai e 4 ragazze in cerca di ventura e 10 operai tutti con problemi finanziari o in conflitto con la questura. La mia nomina suscitò nei professori perplessità, ritenendo disdicevole che un prete in quell’ambiente con la richiesta di un dirigente di Salò. Gli fu riferito. Rispose: stai tranquillo, ma tu informami di ogni cosa che accade. Le cose si cambiarono in marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto e settembre. Arrivarono moltissimi uomini deportati dai Tedeschi. La presenza del sacerdote diveniva un segno di speranza per i Rastrellati ed anche per gli uomini addetti al Campo. Sostenuto sempre, oltre il Cardinale, da Mons. Gallinetti che mandò, d’accordo con Suor Lucia, due Suore Visitandine. Monsignor Faggioli divenne l’angelo della Provvidenza. Sono momenti tragici di Bologna. Il Cardinale mi vuole vedere fino a tre volte al giorno. La sua parola è per me forza e costanza di lavorare il più possibile. La fiducia nell’aiuto di Dio mi porta speranza e gioia. Non vede le cose così tragiche, ma è una burrasca che passerà. Mi sgrida perchè dico solo una parte del Rosario. “Io le dico tutte e tre perchè il Rosario ha tre parti”. Ha una fede nell’intervento della Madonna. Come un bimbo in braccio a sua Madre. Quando impara dai suoi informatori che sarà installata una stazione radio di avvistamento a S. Luca, corre subito dal generale Kesserling pregando di togliere quella stazione, perchè S. Luca è il simbolo della fede di Bologna e poi la casa della sua Madonna. 68 Per ragioni artistiche Dolmann si interessa presso il generale Wolf e così il Santuario non subirà la distruzione. Sono due i suoi amori grandi. Gesù nell'Eucarestia e la devozione alla Madonna di S. Luca. Il terzo amore sono i suoi Sacerdoti. Ma anche i fedeli, il popolo di Dio, sono sempre nel suo cuore. Non con gesti eclatanti, ma con segni semplici e continuativi. Padre Marella mi ha riferito di un incontro con il Cardinale il quale lo ha ascoltato e benedetto. Gli ho riferito quello che faccio e quello che vorrei fare. Ha soggiunto il Cardinale: «Io non sono capace di farlo; ma sono felice che tu lo faccia. Continua e il tuo Vescovo ti sarà sempre garante». Padre Marella ha ancora detto: «Mi sono sempre sentito in comunione con il Cardinale». E dicendo questo due grosse lacrime solcano il suo volto. Venne l’allarme che tutti gli uomini validi di Bologna saranno deportati in Germania. S’informa. La notizia è vera. Si confida e parte la sua arte diplomatica; un vero campione in questo campo e riesce ad ottenere che il decreto sia tolto. Così salva dalla deportazione 30.000 uomini, popolo a Lui affidato. Natale 1944: fame e pericolo incombenti. Il Cardinale prepara dopo rigorosa informazione sulle necessità delle famiglie oltre 2.000 pacchi di generi di prima necessità che fanno la meraviglia delle distributrici: circa 50 ragazze. C’è di tutto e in abbondanza. Anche le famiglie dei perseguitati politici sono assistite. Venuta la liberazione, il Cardinale è in piena attività. Con il fiuto diplomatico scansa tutte le vie trasversali e rimane tetragono, forte Vescovo di una città distrutta e rivoluzionaria. Ha una certezza: è stata la Madonna a liberare Bologna. Porta in S. Pietro l’immagine di S. Luca. Centinaia di migliaia di persone affollano la chiesa venerando l’immagine della Beata Vergine di S. Luca. Uscendo dal cortile della Curia, mandano baci alla finestra del Cardinale dicendo forte: «È stato Lui con la Madonna a salvare Bologna». 69 Lascio la Curia e mi ritiro in Via Riva Reno 122. Anche lì ci viene a trovare e vede che 1000 persone ogni giorno mangiano. Riceve il ringraziamento di 700 rastrellati venuti a questo scopo per vedere le Casermette Rosse. Ora dice: «Bisogna evangelizzare gli operai». Il clima è rovente politicamente. Ci dà un consiglio. Se un operaio si confessa, non domandate se è un comunista e se lo dichiarasse ditegli: per quali ragioni? Economiche o contro la Chiesa. Se dicono per ragioni economiche: Assolvete! Perchè i padroni sono dei birboni. Il Cardinale era un politico, incline al fascismo? No, era un italiano vero. Un italiano risorgimentale. Non aveva simpatia per gli stranieri. Metteva tutti nello stesso fascio: Tedeschi-Anglo Americani. Con la dottrina di San Tommaso, le truppe di occupazione erano i legittimi rappresentanti di quel triste momento. Non riteneva legittimo il governo di Salò. Faceva fatica a ritenere legittimo il Comitato di liberazione nazionale. Quanto ha lavorato per questo Manzini... Come apprezzava Padre Marella, così lo infastidiva che il Segretario di Stato ogni settimana scrivesse per don Scarpellini perchè aveva scritto su la Crociata Italica. Scarpellini è un buon prete, lo richiamava dolcemente per obbedienza, ma non voleva che i suoi preti fossero giudicati da funzionari di Curia. Amava la Chiesa cattolica e il Papa di un amore profondo. Godeva dei trionfi della Chiesa come di un dono personale. Conosceva tutti i Vescovi e specialmente i nunzi apostolici. Per la Chiesa bisognava rinunciare a tutto. Un episodio: suo cugino S. E. Mario Nasalli Rocca aveva rinunciato alla nomina di nunzio in Polonia, per star vicino alla mamma. S’infuriava. Non sapeva che divenendo prete si rinuncia al padre e alla madre... Era nobile di nascita, ma di una nobiltà che effondeva attorno a sè un alone di grazia e di pace. 70 Un episodio: ero ospite alla canonica di Pragatto. Il Cardinale capitava qualche volta a pranzo dal conte Cavallini con il suo segretario. Il segretario si fermava dal conte per affari. Lui raggiungeva a piedi la canonica e su un panchetto si fermava a giocare a briscola con la Celestina sorella del parroco e con Adelina la donna dei servizi. Conversava con loro anche delle ore, come un vecchio amico, informandosi di tutta la vita della parrocchia. Poi è arrivato mons. Dante. “Purtroppo devo partire”. Le saluta dando loro la mano e arrivederci a presto... (1992) 71 72 Cardinale Giacomo Lercaro In chiave autobiografica, don Giulio ripensa al ministero episcopale del card. Lercaro e a ciò che ha significato quel vescovo nella Chiesa bolognese. G ià esisteva nel 1952 un gruppo di sacerdoti che si dedicava al mondo del lavoro. Il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, esperto delle cose romane, era molto perplesso sulle iniziative della Pontificia Opera di Assistenza, ma era molto soddisfatto sull’Opera dell’ONARMO. Consigliava mons. Baldelli a lasciare la Pontificia per cotituire un ONARMO più efficiente. Il Cardinale Nasalli Rocca, grande diplomatico e politico, prevedeva la scomparsa del comunismo, allo stesso modo del fascismo. Ci diceva che i veri nemici della Chiesa erano: la Massoneria e l’Islam. Pertanto la sua pastorale era quella di accogliere tutto ciò che di bene c’è nel comunismo, ed evangelizzare più profondamente gli operai sui dieci Comandamenti e sulla missione della nostra Chiesa nel mondo. Addirittura a noi, sacerdoti nelle fabbriche, diceva di non chiedere mai in confessione se erano comunisti e, se si professavano comunisti, di chieder loro se lo erano per motivi economici, in tal caso assolverli; se invece lo erano contro Dio e la Chiesa, no. Questo era un modo di svolgere pastorale operaia a largo raggio. I comunisti, però, con forza e violenza dominavano l’intera Diocesi. I sacerdoti sottoposti a questi soprusi erano disorientati. Alcuni eminenti prelati in studio e posizione di comando si rivolgevano a Roma per un cambio di svolta, con la scelta di un nuovo Vescovo. Si fanno incontri a S. Petronio. Il Cardinale è informato, allora nomina Vescovo Ausiliare mons. Dario Bolognini, uomo di grande cultura e di saggio senno. La nomina non calma gli animi del gruppo. Il Cardinale riceve il sindaco Dozza che vuole fargli firmare il proclama della Pace, e, lui lo consiglia di firmare quello dell’O.N.U.: i rapporti con il Comune sono solo diplomatici. La situazione generale nelle fabbriche si mantiene calda. In udienza da Papa Pio XII, dopo il saluto, torna indietro e mi chie73 de se è vero quanto scrive l’Unità: che alla Calzoni, il 98% ha votato C.G.L. - Dico sì, perchè io ero cappellano in quella fabbrica. I fossati sono grandi, i ponti sono pochi. Si arriva al 13 marzo 1952 quando santamente, come era vissuto, muore il card. Nasalli Rocca. I funerali sono solenni e sembrano aprirsi dei varchi. In aprile 1952 si sa che l’Arcivescovo di Ravenna, mons. Giacomo Lercaro, sarà il nuovo Vescovo di Bologna. Nome che suscita grande speranza. È conosciuto ed apprezzato all’Università, così anche nel mondo del lavoro come presidente della consulta dell’ONARMO di Genova. Il 22 giugno... è una accoglienza trionfale. Bologna ha un Vescovo. In quel clima eccitato e violento, oppone, senza conoscere i bolognesi, una pastorale di verità ad ogni attacco comunista. Noi, in fabbrica, rimaniamo confusi. Gli attacchi contro l’Arcivescovo si fanno più violenti, come mai avvenuto prima. Cresce la polemica contro Padre Marella ed il Cardinale. Padre Marella risponde attaccando i comunisti come falsi. In questo momento avviene l’incontro tra l’Arcivescovo ed i preti del mondo del lavoro. Il Cardinale non ci conosceva e noi non avevamo mai parlato con Lui perchè il presidente delle Opere Cattoliche, non ci aveva mai permesso di parlare. Noi facevamo parte dell’ala fedele al Card. Nasalli Rocca. L’intervento del segretario, ma specialmente quello di Mons. Bettazzi ci permise di parlare e di esporre tutti i nostri programmi. Mons. Bolognini mi disse di essere aperto come con il Card. Nasalli Rocca e di dirgli non solo quello che si tentava di fare, ma anche i progetti dell’Opera che si volevano fare. Il Card. Lercaro ascoltò con molta attenzione – si vedeva dal suo aspetto che desiderava proprio questa specie di gruppo sacerdotale per entrare nelle fabbriche. Cominciò la nostra cooperazione ai suoi desideri. Mi avvidi subito che i modi di operare erano molto diversi. Lui si offriva come mallevadore del nostro operare, che riteneva già buono. Volle che tutti i sacerdoti che uscivano dal Seminario dell’ONARMO fossero formati personalmente da Lui per fondare una comunità di sacerdoti a tempo pieno. Lui stesso ci garantiva presso i datori di lavoro. Così, ben presto, tutti gli ambienti di lavoro più grossi ebbero il loro cappellano. Diceva: come ogni scuola ha i suoi insegnanti, così ogni fabbrica deve avere il suo cappellano. Durante il Concilio, mandò don Dossetti a spiegarcelo. 74 Lui stesso, tutte le settimane voleva essere informato e, quasi sempre, ogni mese ci faceva una meditazione, insistendo che la formazione religiosa era l’elemento necessario per essere perseveranti nel nostro lavoro. Ci indicava i metodi e le forme di preghiera comune e di vita apostolica. L’avvento a Papa di Giovanni XXIII ci trovò preparati ai colloqui con i più duri ed anche a un maggiore allargamento del nostro apostolato. Le opere che reggevano il Centro professionale, la Casa di Ospitalità per Giovani Lavoratori e le Case per ferie furono da Lui visitate ed anche vissute personalmente. Così il Centro della Pace, presso di noi, radunò 300 fabbriche per conoscere e meditare il pensiero della Chiesa. Il Cardinale stesso distribuì 10.000 copie della Pacem in Terris e volle che fossero i cappellani in persona a dare il libro, perchè è parola della Chiesa. Così fu portato in fabbrica e letto da tanti lavoratori L’Avvenire d’Italia seguendo i lavori del Concilio. Per noi sacerdoti sacerdoti di fabbrica, era una bella primavera piena di speranza per la Chiesa. Nel febbraio 1968, il Cardinale lasciò la direzione della Chiesa Bolognese facendo tutti noi orfani. 75 L’epoca lercariana... Ancora la presenza del card. Giacomo Lercaro nella Chiesa bolognese: don Giulio sente di dover collaborare responsabilmente in una attività multiforme a favore del mondo del lavoro. P er conoscere più a fondo l’opera pastorale del cardinale Lercaro bisogna fare riferimento alla situazione religiosa di Bologna al suo arrivo a Bologna nel 1952. Grandi e invalicabili fossati dividevano la diocesi. Da una parte i cristiani e dall’altra i comunisti. I sindacati erano in mano ai comunisti. La situazione delle fabbriche era disastrosa. Gli industriali rigettavano il cappellano del lavoro per non compromettersi. I giornali – eccetto L’Avvenire d’Italia – non si pronunciavano pur sapendo. Io stesso all’azienda del gas fui aggredito da due robusti operai per gettarmi nel fuoco. Alla Sabiem fu fatto lo sciopero per la venuta del cappellano che fu espulso a viva forza. Alla Calzoni, appena entravo, minacce a mia madre perché mi aveva messo al mondo. Così nelle altre grosse fabbriche. Nel 1947 dando la possibilità gratuita a figli degli operai, ben 400 ragazzini usufruirono gratuitamente delle cure marine. Nel 1948 ad Alba di Canazei furono portati cento operai ogni dieci giorni per tre mesi. Si aprì un varco attraverso il quale si entrò nel loro animo. La situazione generale rimase però ancora incandescente. In questo clima si innesta l’opera pastorale del cardinale. Istituisce una comunità di cappellani del lavoro. Li forma e li prepara al servizio. Tutti i sacerdoti che escono dal seminario dell’Onarmo sono mandati in questa comunità. Diventa una schiera compatta di dieci sacerdoti, di cui sette in vita comune. Dirà don Giorgio Nanni, segretario del cardinale: “è contento di venire ai vostri incontri perché vede tante persone che non incontra con gli altri gruppi, dove sono sempre le stesse persone. Si informa delle opere sussidiarie all’opera dei cappellani. Li visita, si ferma a pranzo. Ha una preferenza per le case dei giovani lavoratori a San Sisto e San Michele fuori San Donato. Per questo donerà la Villa Pallavicini avuta da un benefattore milanese e vorrà che nel 1955 si istituisca una casa di ospitalità, una base sportiva, un centro professionale. Lui stesso passa dieci giorni nelle Case per ferie in montagna. 76 Diventa un assistente ideale della casa. Tutti gli anni vuol incontrare gli ospiti e ne vorrebbe ogni anno ancora di più. Nel 1962 la costanza dei sacerdoti della comunità ha raggiunto l’assistenza religiosa nelle maggiori fabbriche di Bologna. Passato il tempo della pre-evangelizzazione, comincia il tempo della evangelizzazione. Lui stesso ne vede i frutti ed afferma continuamente che sono sorte le conferenze di san Vincenzo attraverso le quali si è aperta la venuta del cappellano. Mensilmente c’è il ritrovo degli operai per il ritiro spirituale. Ha molto giovato l’avvento al soglio pontificio di Giovanni XXIII e il Concilio ecumenico. Però i fossati non sono stati ricolmati. Piace al cardinale il centro per la pace a cui hanno aderito 300 aziende e alla cui guida c’è il prof. Paolo Prodi e il prof. Giovanni Favilli. È contento che gli incontri si facciano a Villa Pallavicini e nella sede della casa dell’Onarmo. Questo preoccupa la CEI e il cardinale Urbani, informato dal SIFAR, manda una brutta lettera al cardinale Lercaro. La leggo: ma non ho visto la risposta. Mi fu detto che non era molto buona. Debbo aggiungere che il capitano del SIFAR venne a scusarsi perché aveva preso un granchio. Era una grande primavera della Chiesa verso una speranza di ottime notizie per la sua vita. Poi venne il suo abbandono dalla guida dela diocesi. Gli operai si sentirono orfani di un Padre spirituale. Non così alcuni industriali che celebrarono il suo funerale con una festa da ballo. Così mi fu riferito da una loro signora, la quale partecipando ai funerali e vedendo la commozione dei fedeli e la folla dei partecipanti, mi disse: “ma allora era un bravo vescovo, e non un comunista...” *** Il vescovo Danio Bolognini, vicario generale della diocesi di Bologna, mi disse di comportarmi con il nuovo arcivescovo come avevo agito con il cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, dicendogli tutto quello che facevo ed anche quello che desideravo fare. Mi fu molto difficile presentare l’Onarmo come opera diocesana all’assistente dell’Azione cattolica, ma l’intervento di mons. Luigi Bettazzi e del segretario don Giorgio Nanni mi aprirono la strada. Furono due anni di attesa, per me molto proficui per la mia maturazione spirituale. Mons. Bolognini si oppose alla mia andata a Roma ed io vidi la volontà del Signore. Il primo colloquio in arcivescovado con il cardina77 le Lercaro fu per me una rivelazione. C’era una differenza di impostazione nella pastorale, ma i suoi occhi meravigliosi si riempirono di gioia quando esposi il nostro lavoro verso gli operai. Sembrava che aspettasse da tempo questo lavoro apostolico. Mi sembrava di avergli dato il più grande conforto e tanta ispirazione. Poi i nostri incontri furono numerosi e scoprivo nuove iniziative per giungere a tutti gli uomini e donne che lavoravano nelle fabbriche. La sua casa fu aperta ai licenziati della Ducati che da lui ricevevano parole di giustizia e pane per le loro famiglie. Desidera andare sul posto di lavoro, stringere migliaia di mani, farsi operaio tra gli operai. Il suo desiderio più grande è di costituire una comunità di sacerdoti addetti al ministero esclusivo dell’assistenza religiosa agli operai in fabbrica. Ogni mese vuole questi sacerdoti vicini a sé per formarli ad una vita spirituale intensa e piena di prospettive apostoliche. Non li lascia mai soli: quando un cappellano del lavoro viene minacciato di essere scacciato dalla fabbrica, Lui si trova ai cancelli dell’uscita degli operai per ribadire la sua solidarietà. Così pure quando un altro cappellano di fabbrica a causa di informazioni false e sbagliate viene deferito a un Congregazione romana, Lui in persona si interessa per chiarire l’equivoco e dare fiducia a tutti noi sacerdoti impegnati nel mondo del lavoro. Ogni iniziativa per penetrare nel mondo del lavoro ha la sua impronta. Le Case per ferie dei lavoratori le visita tutte e desidera che se ne aggiunga una ogni anno. Mostra il suo entusiasmo per le case dei giovani lavoratori: Lui stesso ne dà l’esempio nella sua casa. Vorrebbe che ogni canonica della città ospitasse gratuitamente questi ragazzi della montagna bolognese in cerca di lavoro. Dice: non una, ma venti, trenta case per i giovani lavoratori. Ho in dono una villa da un benefattore e vuole che si faccia di quella villa una casa di ospitalità per giovani, un centro professionale, una base sportiva. Non è tranquillo finchè non vede realizzato il suo piano. Viene spesso a Villa Pallavicini, porta grandi suoi amici. Ne vorrebbe altre tre nei punti cardinali della città, attuando una profezia del venerato canonico Mariotti. È a contatto continuo con i giovani, ascoltando le loro preoccupazioni e le loro necessità. Nell’anno mariano 1953-54 costruisce un villaggio per giovani sposi in condizioni disagiate: questo come segno della Chiesa per sollecitare le autorità civili, gli enti pubblici, le associazioni industriali. Alla posa della prima pietra erano presenti anche l’on. Gior78 gio La Pira e don Giuseppe Dossetti: il discorso pronunciato, di cui posseggo l’originale, è veramente un capolavoro da Padre della Chiesa. Ha un’anima veramente cattolica. Vuole la Chiesa bolognese missionaria. Istituisce il “Samaritano” per aiutare la Chiesa dell’Eritrea. Così vuole una Chiesa povera che aiuti i poveri. Nella periferia di Bologna a Corticella don Giuseppe Nozzi gli dà come dono di nuovo parroco una “Casa della carita”. Ne vorrebbe tante in diocesi. Vuole noi sacerdoti così trasparenti da essere in dialogo costante con tutti gli uomini a qualsiasi ideologia appartengano, purchè non perdiamo la nostra identità di sacerdoti della Chiesa cattolica, portatori di verità e di pace. A Villa Pallavicini sorge il “Centro della pace”. Centinaia di operai lo frequentano e leggono con attenzione il Vangelo e l’enciclica “Pacem in terris”: è per loro una grande scoperta. Il cardinale Lercaro ha distribuito personalmente diecimila copie di “Pacem in terris”. Il cardinale Giacomo Lercaro è stato una grande primavera di speranza per la nostra Chiesa di Bologna. *** In ogni fabbrica come in ogni scuola ci vuole un cappellano di fabbrica. Se mancano i sacerdoti, assumere dei laici formati per farne dei diaconi permanenti: così la Chiesa è presente in questo mondo così vicino per le sue qualità di povertà, ma ora così lontano dal Cristo vivente nella Chiesa. Lercaro voleva anime consacrate solo a questo compito e voleva con tutti i mezzi arrivare a questo scopo in fabbrica. Nascono così le case degli apprendisti. Ne vorrebbe una in ogni parrocchia. Nascono le feste del lunedì di pasqua a Villa Revedin. Ecco le Case per ferie per lavoratori: ne vorrebbe una ogni anno... Così il suo amore per questo ministero già svolto a Genova, diveniva operativo a Bologna. Quanto ha fatto perché sorgesse una comunità di sacerdoti dedicati esclusivamente a questo ministero! Egli li curava, con una meditazione mensile di circa due ore. Così volle che don Dossetti di persona venisse a Villa Pallavicini a tenerci informati sul Concilio ecumenico. Per questo apostolato per me era sempre aperto il suo studio per studiare le varie strategie per sfondare le trincee che si erano create sia da parte delle commissioni interne sia da parte dei datori di lavoro. 79 Statuto dei Cappellani del Lavoro Onarmo Firmato dal card. Lercaro il 3 ottobre 1960, riportiamo lo Statuto dei cappellani Onarmo nel mondo del lavoro, così come don Giulio l’aveva preparato e realizzato. 1. L’Associazione dei Cappellani del Lavoro dell’ONARMO di Bologna è costituita allo scopo di svolgere apostolato religioso fra le classi lavoratrici, mediante la presenza attiva e costante del sacerdote a ciò delegato, inserito negli ambienti di lavoro «come sacerdote e nient’altro che come sacerdote». 2. Le attività del Cappellano del Lavoro si esplicano particolarmente in queste forme: a) Apostolato della preghiera. b) Conferenza aziendale di S. Vincenzo de’ Paoli. c) Ritiri minimi mensili. d) L’attuazione cristiana delle relazioni umane negli ambienti di lavoro. e) La realizzazione metodica di una catechesi appropriata. f) Riunioni formative di lavoratori, anche fuori degli ambienti di lavoro. 3. I Cappellani del Lavoro si impegnano, inoltre, a conservare i contatti con i Parroci, allo scopo di unire maggiormente o di riportare i singoli operai alla comunità parrocchiale di provenienza e di lavoro. I Parroci delle zone, in cui sono situati i vari complessi industriali e aziendali, dovranno operare affinché da parte dei Cappellani del Lavoro si attui un diretto rapporto pastorale fra la parrocchia e i lavoratori. 4. L’Associazione dipende direttamente dall’Ordinario Diocesano, che ne nomina il Direttore e, su proposta di questo, il Segretario, i singoli Cappellani o altri Sacerdoti Ausiliari in tale apostolato. 5. Il Direttore diocesano dell’Associazione ha il dovere di riunire, almeno due volte al mese, tutti i Cappellani e Sacerdoti Ausiliari, per comunicare loro le direttive dell’Ordinario, per coordinare l’attività 80 dei singoli secondo le linee organizzative suggerite dalla Direzione Centrale, o comunque per un reciproco fraterno aiuto in unione di preghiera e di studio. Tali riunioni dovranno sempre iniziarsi o concludersi con una breve lettura biblica e con la recita comunitaria di una parte del Breviario. 6. Ogni Cappellano del Lavoro dovrà presentare, oralmente, al Direttore diocesano una relazione trimestrale sulla propria attività svolta. Il Direttore diocesano presenterà, ogni anno, una relazione generale all’Ordinario sul lavoro svolto da tutti i Cappellani e Sacerdoti Ausiliari nei singoli settori ed ambienti di lavoro. 7. Ogni anno, tutti i Cappellani del Lavoro e Sacerdoti Ausiliari dedicheranno un congruo periodo di tempo allo studio e all’aggiornamento dei principali problemi del mondo del lavoro. Il programma e la durata di tale corso sarà fissato dal Direttore, previa approvazione dell’Ordinario. (3 ottobre 1960) 81 C’è una pastorale del mondo del lavoro? In che senso si può parlare di una pastorale specifica per il mondo del lavoro? Nell’unica azione di evangelizzazione della Chiesa, bisogna far maturare una sensibilità nuova e concreta. I nsistere che non vi è una vera pastorale specializzata del mondo del lavoro, ma una attenzione ai valori di questa nuova cultura che ci viene da questa grande quantità dei nostri fedeli che partecipano al lavoro. I nostri partecipanti alla S. Messa domenicale sono nella più grande maggioranza bambini o figli di lavoratori. È necessario capire questa nuova mentalità, partecipare e far crescere questa cultura. Non essere estranei o tanto meno giudici, ma fratelli e padri che aiutano a crescere. Sono già tanti i sacerdoti della nostra diocesi che si sono impegnati nel passato e nel presente a capire questo e partecipare alla vita di questi nostri fratelli. Non è necessario fare cose straordinarie di ministero, di introdurre strade e metodi nuovi per chi non si sente: ma rendere tutta la comunità eucaristica parrocchiale partecipe di questa attenzione. In particolare nei quattro momenti importanti del loro incontro con i sacerdoti parroci: battesimi, prime Comunioni e Cresime, matrimonio e funerali, sentire e partecipare con bontà, comprensione e servizio uniforme: non lasciare in essi alcuna sensazione di forma di interesse e di denaro. La parrocchia ha un ruolo molto importante per annunciare il Vangelo di salvezza nel suo modo di essere e di operare. Le opere della carità conquistano il cuore e testimoniano la fede. Alcune proposte pratiche da farsi come metodo pastorale: • celebrare con una festa particolare le nuove leve del lavoro e continuare con segreteria eletta fra i lavoratori questa festa ogni anno; • premiare in ogni parrocchia i giovani che di giorno lavorano e di sera studiano; • inserire nella vita parrocchiale la festa di san Giuseppe il 1 maggio, con consuetudine, dando rilievo a questa festa liturgica, con distribuzione delle encicliche papali e di documenti dei vescovi su questo problema del lavoro. 82 Appunti per un vicariato... Don Giulio elenca una serie di iniziative e soprattutto di atteggiamenti interiori per la evangelizzazione del mondo del lavoro. 1. Incontro delle nuove leve del lavoro in ogni parrocchia di Bologna e nei Vicariati del forese. 2. Cose semplici e preparate ad hoc, con attenzione i loro problemi. 3. Invito personale e – se necessario – visita a casa o telefonata: i giovani sono molto sensibili. 4. Evitare discorsi celebrativi ed interventi di autorità civili. 5. Meglio far parlare i giovani già impegnati sia sindacalmente sia religiosamente. 6. Poi curare una segreteria parrocchiale. 7. Sempre a disposizione per interventi personali e per indicazioni. 8. Fatte le leve, sentito il loro parere, organizzare in un teatro una festa tutta per loro e – se si vede l’opportunità – preparare anche una S. Messa ad hoc. 9. Continuare poi ogni anno questa consuetudine e fare del 1 maggio una festa di tutta la diocesi in un luogo indicato dal centro pastorale. N.B. Anche oggi i giovani e le giovani sono contente di essere interpellate. Dare rilievo alla loro manifestazione. Considerare importanti le loro dichiarazioni in assemblea. Non spaventarsi dell’insuccesso del numero. Essere costanti nel fare la proposta ogni anno. Organizzare una segreteria efficiente (qui ricorrere alle donne, agli studenti). 83 84 Nella situazione bolognese oggi Come Vicario episcopale per il mondo del lavoro, don Giulio propone alcune linee operative nella nuova situazione di Bologna. L’ industrializzazione della nostra città. La città di Bologna ha accolto nel suo perimetro di grande città un numero considerevole di diocesani dai colli e dal piano, riducendo moltissimo il numero degli abitanti di molti comuni della provincia. Il problema degli immigrati da altre città non è a Bologna così grave come a Milano, Torino, Genova. La nostra diocesi, in questo dopo-guerra, non ha risentito violentemente del cambiamento di mentalità, in quanto la classe operaia di Bologna non si è maturata attraverso una formazione di vita comune nelle aziende, ma attraverso la lotta politica dei partiti di massa. Solo con l’autunno caldo, e con le dimostrazioni del movimento studentesco gli operai hanno avuto un ripensamento, e i più sensibili hanno portato avanti nuove lotte più umane nelle avances dei dibattiti sindacali nelle aziende. Purtroppo le compensazioni economiche interessano vivamente gli operai bolognesi, portandoli ad una loro alienazione. Non si deve dimenticare il diffuso edonismo e materialismo che ha portato tutti, operai compresi, ad una scarsa combattività e ad un animo accomodante, per cui ci si rifiuta – in ogni campo – di prendere posizioni chiare a tutti i livelli. Pertanto non sono credibili certi avvicinamenti fra temi evangelici, collegati ad un discorso operaio di povertà, progresso, creatività e comunità, di fraternità. Sono alcuni pseudo valori in cui ci si illude di credere; sono sentimentalismi o forme arcaiche di un pensiero politico e di un linguaggio socio-politico ripetuto, ma che non esprime esperienze autentiche di vita vissuta. Non è vero che l’industrializzazione porti per se stessa la scristianizzazione (vedi per esempio la diocesi di Bergamo nella quale le industrie sono presenti da oltre 150 anni), ma denuncia, fa emergere, e significa la fine di un regime di cristianità, rompendo un collegamento sociologico fra religione e società rurale. 85 La fine di un regime mette a nudo il vuoto in cui noi ci troviamo, (dico noi perchè i nostri padri non lo erano e il collegamento sociologico poteva esprimere una realtà di fede). La realtà è che Bologna, piena di chiese e con tutte le sue tradizioni gloriose, è in fondo simile alla pagana Corinto, con in più la remora psicologica di un messaggio non ascoltato perchè pare già di averlo sentito e rifiutato. Chi sono i lavoratori? Sono i nostri uomini e le nostre donne che vengono in chiesa e formano la comunità ecclesiale. È in questa che deve avvenire la conversione più profonda, la Grazia dello Spirito che illumina tutti coloro in mezzo ai quali vivono. La pastorale non è specializzata, ma è una, sola, e comune a tutti: è cioè l’ascolto e l’annuncio della parola di Dio, testimoniata dalla intera Chiesa locale. Tutta la comunità deve testimoniare Cristo Risorto, non con temi sociologici o reclamistici, ma annunciare la resurrezione di Cristo come centro e salvezza dell’uomo intero in ogni sua aspirazione. Dagli Atti degli Apostoli, cap. 2 e cap. 4, ci vengono tutte le indicazioni pratiche di soluzione del problema. Esse si concretano in queste parole: «CONVERSIONE, POVERTÀ, PREGHIERA, EUCARESTIA, COMUNITÀ DI BENI, TESTIMONIANZA E ANNUNCIO». Alcune indicazioni per i sacerdoti: 1) È finito il tempo della delega del problema del mondo del lavoro ad alcuni sacerdoti specializzati. 2) Il problema del mondo del lavoro deve essere assunto e risolto da tutto il presbiterio diocesano. 3) Metodo operativo: a) ogni zona pastorale (vicariati) deve avere un centro propulsore di laici e sacerdoti. b) nel centro diocesano deve sorgere una commissione pastorale in cui emerga un gruppo di sacerdoti, uniti nella preghiera e nello studio e nell’azione di alta tensione evangelizzatrice. c) favorire nuove sperimentazioni apostoliche nel mondo del lavoro studiate e meditate da questo gruppo centrale diocesano e sottoposte a verifica dal consiglio presbiteriale e pastorale. (13 luglio 1971) 86 Come può la Chiesa inserirsi nel mondo del lavoro? La Chiesa può operare solo nella fedeltà al Vangelo delle beatitudini: non con spirito di crociata o di potenza umana, ma nella mitezza e nella umiltà della croce di Cristo. N ella nostra società sono avvenuti tanti cambiamenti, si è modificato il nostro modo di pensare cristianamente ed il nostro modo di vivere. Si è tentato di cristianizzare l’ambiente esterno, e di dare alla nostra vita un ideale e gli apologisti cristiani hanno voluto vederci sempre un trionfo del Cristo anche negli avvenimenti umani. Abbiamo dimenticato la nostra origine di poveri, di figli di poveri, e ci siamo, noi preti, molte volte adagiati a questa nostra evoluzione civile, come una conquista, ed abbiamo accettato lo stesso giudizio dei nostri familiari ed amici come una comprensione di una nostra elevazione, a cui avevamo diritto. Tutte le strutture civili e religiose avevano bisogno del nostro modo di essere così, faceva molto società bene. Ciò ha fatto perdere a noi, e a chi non tollerava questa falsa interpretazione evangelica del valori della vita, una frattura. Da parte di noi preti una certa difesa di questa società borghese, per bene e moderata, con un fare paternalistico, assistenziale, ed anche autoritario. Noi portavamo la verità, chi era contro di noi era contro la verità. Pertanto imporre, minacciare, dividere, formare gruppi, combattere, difendere, fare barriera, fare baluardo, frenare. Cioè rispondere con mezzi umani, mancando di fede, ad una sfida che ci viene da Satana. Occorre rientrare in noi stessi, pregare lo Spirito Santo, leggere il Vangelo, accettare le categorie evangeliche come base del nostro operare, presentarci come preti che desiderano di sapere, ascoltare, ascoltare, ascoltare. Non ribattere, non polemizzare, ma valorizzare ciò che hanno acquisito gli operai con sacrifici, carcere, e tanta buona volontà. Ricercare in noi le cause del loro male, e condannarci noi preti stessi per l’amore ad una città umana, fatta poi male, ma soprattutto far loro capire che li amiamo e per noi non ci sono degli esclusi, e questo con verità. Alle volte ciò porta scandalo per i fedelissimi amici, ma non im87 porta, bisogna tirare avanti finchè la prova del nostro amore non diventi una forma di vita apostolica, e condanna aperta di tutto il male, compreso quello nascosto, ma intuito dai lavoratori. Il nostro presentarci a loro deve essere trasparente e chiaro. Evangelico fino in fondo, cioè solidarietà con i poveri, e maledizione per i prepotenti ricchi. Il Vangelo della paternità di Dio, l’uguaglianza dei figli di Dio. Ci dicono gli operai comunisti: come si può essere veri fratelli, e assiederci alla stessa mensa eucaristica con il fratello ricco e con quello che non ha da mangiare? Come può un ricco, così fatto dal lavoro degli operai, ritenersi in Grazia e capace di ricevere il Cristo eucaristico, quando la sua giustizia è solo legale, e lui sa di poter dare di più, e non lo fa? Come si può recitare il Magnificat: «Ha riempito di beni i poveri, ed ha rimandato a mani vuote i ricchi, ha esaltato i deboli ed ha annientato i prepotenti»? La nostra giustizia non è forse uguale a quella del mondo? Non siamo forse anche noi preti figli del tempo, e per questo ragioniamo secondo i principi del tempo? Adattando il Cristianesimo alle situazioni del tempo, secondo le nostre vedute, i nostri studi, la nostra educazione? Ma se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Non ritengo per nulla che la nostra giustizia sia superiore a quella del mondo, noi ci teniamo tutti i privilegi, li adoperiamo, e li consideriamo un bene per il popolo, questo è un impedimento alla giustizia. Mi sono accorto che noi dobbiamo convertirci al Signore, rivestirci solo della parola del Vangelo, ed essere Chiesa in mezzo a loro, cioè sacramento di salvezza. Ridare agli operai prove di verità e di amore concreto. Considerare loro, piuttosto che i padroni, più vicini a capire il Regno di Dio. La nostra lingua non parli mai male di nessuno, cerchiamo di tacere e di ascoltare sempre, sempre pronti all’aiuto fraterno, dimostrarci poveri e distaccati. Non difendere strutture civili ed ecclesiastiche che essi condannano, ma vogliono da noi nessuna condanna. Non essere dei loro in questi giudizi, ma essere fra loro per poter portare la luce della fede che essi desiderano. Non mai elogiare o condannare il loro tenore di vita, ma farli crescere in una visione di vita più elevata, dobbiamo essere il lievito di Cristo, che poi Lui farà il resto. 88 Don Angelo Magagnoli Nel cinquantesimo di ordinazione sacerdotale di don Magagnoli, don Giulio esprime tutto il suo affetto nei confronti di un fratello e amico: quasi coetanei, collaboratori pur nella diversità di idee e di carattere, uniti anche nel mistero della morte, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. S iamo vissuti insieme dal 1932 al 1952. Abbiamo attinto dalla parola e dall’esempio di don Filippo Cremonini una forma di vita e una conoscenza profonda degli uomini, delle situazioni politiche e religiose della società. Bologna era una piccola città di provincia che don Filippo conosceva molto bene: sia come bravo professore che preparava agli esami i figli dell’alta società sia come sacerdote che conversava con i figli del popolo nell’umile borgo delle Lame e con le lavandaie del canale di Reno. Don Angelo ed io imparammo da lui ad amare i figli del popolo; questa era l’unica forza per liberare l’Italia dalla tirannide del fascismo. Ospitava nella sua casa molti esiliati che ci informavano di cosa pensavano all’estero della nostra Italia mussoliniana. Era un’educazione viva ed interessante. Io ero entusiasta. Don Angelo era più riflessivo e meno espressivo nel parlare della rovina che il fascismo portava all’Italia. Inoltre eravamo molto concordi a non volerci legare a nessuna congregazione religiosa. Così nel 1936 dopo un colloquio con padre Caronti, decidemmo apertamente di non aderire ai «Buoni Fanciulli» di Verona. Furono quegli anni dal 1937 al 1940 i più burrascosi e i più belli perchè la nostra amicizia divenne scuola di apostolato e sogno di grandi avventure per la classe operaia. Nel 1938 ci fu un incontro con Mons. F. Baldelli direttore generale dell’ONARMO, il quale ci illustrò l’opera dell’ONARMO. Don Angelo sempre parco di parole, si infiammò a questo apostolato, e volle iniziare subito il lavoro, facendo l’elenco delle grosse fabbriche di Bologna. Don Filippo cominciò l’assistenza spirituale alla Manifattura Tabacchi. Noi vedemmo il successo di questa opera. Ma ascoltammo anche le 89 parole delle operaie tra cui vi erano anche donne «accompagnate» che si portavano al sacramento dell’Eucarestia e uomini da poco che facevano a gara a preparare l’altare. Avevamo solo 18 anni ma tanti per vedere e sentire. Don Angelo non ha mai giudicato, era l’uomo adatto per andare in fabbrica e formare uomini adatti alla fabbrica. Nel 1940 arriva don Alessandro Barozzi mandato dal Cardinale. La vita del Collegino prende fiato in un’apertura più diocesana. Noi diventiamo con lui i catechisti di Valverde. La chiesa del Collegino diventa il primo seme della nuova parrocchia. Nel 1943, don Angelo viene eletto Direttore del Collegino, don Barozzi parroco. Don Angelo ama la disciplina e vuole sia osservata anche se la guerra ha sfoltito il Collegino. È sempre puntuale in ogni cosa come se fossimo in pace. Avvengono i primi contrasti. Sono padre spirituale ma non ci sono mai. Per me le regole valgono poco, quello che è necessario è lavorare per vincere i tedeschi e i fascisti. Don Angelo accoglie Ebrei al Collegino, ma nessuno lo sa. Mette il Collegino a disposizione della Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli e vengono nel 1945 decine di partigiani. Accoglie nel Collegino alcuni rastrellati scappati dai tedeschi e viene alle volte a confessare i detenuti alle Caserme Rosse. Nel frattempo è direttore di un centro di accoglienza in via Riva Reno 122. Poi la Liberazione. Immediatamente riapre il Collegino divenuto Seminario per la formazione dei Cappellani del lavoro e si mette al lavoro. Don Angelo ha un carattere stupendo. Non demorde dalle difficoltà, è sereno in quello che compie con spirito di sacrificio e di abnegazione. Tutto a gloria di Dio. 90 Lasciatemi sognare Per don Giulio ‘sognare’ non è illusione o fuga dalla realtà: ma concreta obbedienza al suo Signore che è capace di operare e trasformare il cuore di ogni uomo. I santi hanno costruito i nuovi mondi con i sogni e visioni. Il Vangelo quando parla di San Giuseppe parla di sogni... San Giuseppe ci ha dato il Cristo Gesù sano e salvo per operare le nostra redenzione. Ho sempre sognato ad occhi aperti. Poi mi sono accorto che Gesù ama i nostri sogni e ci svela nei sogni la sua volontà. Quante volte ho sognato una casa per i fattorini! Erano i miei compagni di infanzia e vedevo che stavano per perdersi in bische e cose brutte. La casa si è fatta, anzi tre: San Sisto nel 1952, San Michelino nel 1953, San Petronio nel 1955: veri e autentici luoghi di tanto amore e di tanta fede. Il terzo millennio della Redenzione che sta per iniziare trova i giovani e le famiglie in situazioni diverse. Non è più il bisogno di un pane, di un letto, di un mestiere, ma la necessità di aprirsi a nuovi orizzonti di questa realtà sociale in cui viviamo qui a Bologna. Sono i figli dei divorziati, che non si trovano con la matrigna o con il patrigno. Sono gli immigrati interni in cerca di un lavoro o di uno studio. Sono gli anziani lasciati soli quando i figli vanno a lavorare. Sono gli immigrati che non hanno familiari e non sanno a chi lasciare i figli quando vengono ricoverati in ospedale. Sono gli stranieri in cerca di lavoro o di un diploma o di una laurea. Sono persone che cercano degli amici per riprendersi dallo stress quotidiano… Ecco, la Villa Pallavicini si presta a questo. Quando una sciagura ci capita, siamo qui per lenire i dolori dei fratelli, per fasciare le ferite. Era un sogno dei tempi lontani quando nel 1945 andai cappellano nelle fabbriche e quando – sempre nel 1945 – vidi passare mamme e spose in giro per l’Italia a cercare i loro cari. 91 Un SOS tempestivo, di poca durata, ma senza burocrazia, con tanta carità. Lo chiameremo SOS Madonna della Quercia, con sede a Borgo Panigale, Villa Pallavicini, via Marco Emilio Lepido 196, Bologna. Così alla Spazio Verde E. 87 si aggiunge questo segno della comunità cristiana bolognese. È un piccolo segno, ma pieno di amore e di speranza che illumini l’avvento del terzo millennio della redenzione di Cristo per divenire faro di luce per tutti coloro che cercano pace e salvezza: cioè il Cristo, nostra pace e nostro salvatore. 92 93 94 Indice Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. Un vecchio padre... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Nella ‘piccola via’ di Santa Teresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Nella storia dell’Onarmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Una fede matura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Un impegno di tutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » La presenza eucaristica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Madre della luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Le Case per ferie 40 anni dopo... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » I brontoloni e i silenziosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Gli uni per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Amare: ma che significa in concreto? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Fiducia nella Provvidenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Don Filippo Cremonini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Farneto: centro del mondo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Prete, chi sei?... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » I miei impegni... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Alcune idee... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Per le parrocchie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Per i cappellani del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Evangelizzazione operaia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Le Case per ferie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il mio fallimento?... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Lettera agli ex-rastrellati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » L’Onarmo di Bologna e i comunisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il terzo millennio ci attende . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Risposte ad un questionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Cardinale Nasalli Rocca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Cardinale Giacomo Lercaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 95 3 7 8 11 13 15 17 19 21 23 25 29 31 33 35 37 39 41 42 43 45 47 56 57 59 61 64 67 73 L’epoca lercariana... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. Statuto dei Cappellani del Lavoro Onarmo . . . . . . . . . . . . . . . » C’è una pastorale del mondo del lavoro? . . . . . . . . . . . . . . . . » Appunti per un vicariato... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Nella situazione bolognese oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Come può la Chiesa inserirsi nel mondo del lavoro? . . . . . . . » Don Angelo Magagnoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Lasciatemi sognare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 96 76 80 82 83 85 87 89 91