La nozione di profitto fra diritto penale ed economia Brevi note in
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La nozione di profitto fra diritto penale ed economia Brevi note in
La nozione di profitto fra diritto penale ed economia Brevi note in tema “231” 1. Premessa – 2. I fatti: una decisione nel segno della continuità – 3. Un breve excursus storico – 4. Le Sezioni Unite “Fisia Italimpianti S.p.a.” – 5. La soluzione del caso concreto. 1. Premessa. Con la sentenza in esame1, la Corte di Cassazione torna a ribadire la netta distinzione fra il significato del termine profitto in ambito economico-aziendalistico e in quello penale. In virtù della sempre crescente importanza attribuita dal legislatore al contrasto anche economico della criminalità, e al ruolo di primo piano assunto dalla confisca in tale contesto, pare utile soffermarsi sul tema per svolgere alcune precisazioni. 2. I fatti: una decisione nel segno della continuità. Nell’ambito di un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al compimento di frodi in commercio, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Pesaro otteneva dal locale Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni della società “F.A.Z. M. Srl” fino all’ammontare di 1.307.397,42 euro. A seguito dell’impugnazione proposta dai legali della Società, il Tribunale del Riesame di Pesaro riformava parzialmente il decreto, rideterminando l’importo confiscabile in 666.207,24 euro. Alla base di tale cospicua riduzione vi era una diversa interpretazione del concetto di profitto del reato. Il collegio, infatti, a differenza del G.I.P. riteneva che l’ammontare totale della somma da sottoporre alla cautela reale dovesse essere calcolato al netto dei costi sostenuti, scorporando quindi le imposte (e, nello specifico, l’IVA), nonché i costi documentati necessari all’espletamento del commercio dei beni. Il Procuratore della Repubblica si è quindi rivolto alla Suprema Corte, lamentando l’erroneità dell’interpretazione del termine profitto adottata dal giudice del riesame. La Corte di Cassazione, investita della questione, ha accolto integralmente il ricorso dell’accusa, richiamando in modo telegrafico i numerosi precedenti con cui le Sezioni Unite hanno più volte precisato la diversa portata da attribuire al vocabolo in questione nell’ambito economico-aziendalistico e in quello penale. 3. Un breve excursus storico. Il tema dell’esatta definizione del profitto nel sistema penale ha da sempre messo alla prova dottrina e giurisprudenza. Il termine, infatti, è presente in una molteplicità di contesti Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2015, n. 15249. La sentenza è già stata oggetto di un flash su questo sito, si veda: http://www.aodv231.it/documentazione_descrizione.php?id=1547&sheet=&sez=2&Corte-di-Cassazione-%96-IIISez--Penale-%96-sentenza-14-aprile-2015-n--15249/2015-del-14-aprile-2015-(udienza-11/11/2014). 1 1 normativi eterogenei2, senza che però il legislatore si sia mai curato di darne una definizione generale. Per quanto qui d’interesse, la nozione di profitto confiscabile storicamente è stata elaborata a partire dall’art. 240 c.p., nell’ambito del quale si distinguono il prezzo, il prodotto e, appunto, il profitto del reato. Secondo una ricostruzione ormai ampiamente assodata, il prodotto è costituito dall’oggetto materiale derivante dalla realizzazione dell’illecito, il prezzo consiste nell’utilità data al reo al fine di commettere il reato, mentre il profitto rappresenta l’utilità economica ottenuta a seguito della commissione del reato3. A questi tre termini, la giurisprudenza ne ha affiancato un quarto, ossia il c.d. provento del reato, con il quale si indicano complessivamente tanto il prodotto, quanto il profitto4. La citata suddivisione, però, nulla dice circa l’esatto significato di ciascun vocabolo nell’ambito del diritto penale. Al contrario, tali definizioni hanno subito posto in luce come l’accezione da attribuire a ciascun termine, in questo contesto, fosse diversa dal c.d. “senso comune”. Il termine “prezzo” è, a tal proposito, estremamente eloquente. Basti pensare a una condotta illecita realizzata tramite prestazioni corrispettive, quali la cessione di sostanze stupefacenti. Ai fini penali, la somma pagata in cambio della droga, comunemente ritenuta appunto il “prezzo”, dev’essere invece qualificata come profitto, poiché rappresenta “l’utilità economica data dal reato”. Si potrebbe correttamente parlare di prezzo, invece, solo con riferimento a un’eventuale somma corrisposta allo spacciatore affinché ponga in essere la condotta illecita5. Svolta questa necessaria premessa, è ora possibile concentrarsi più diffusamente sull’interpretazione della nozione di profitto. L’impostazione tradizionale seguita dalla Cassazione, anche a sezioni unite, ha sostanzialmente inteso il profitto di cui all’art. 240 c.p. quale sinonimo di “vantaggio economico” tratto dal reato, con ciò intendendo tutto ciò che si è ricavato in conseguenza della commissione dell’illecito, senza operare alcuna distinzione fra “profitto lordo” e “profitto netto”6. Il vero criterio selettivo, secondo questa teoria, sarebbe da rinvenirsi nella diretta derivazione causale (dell’utilità economica) dal delitto7. Il vocabolo è piuttosto ricorrente all’interno della legislazione penale, assumendo di volta in volta significati differenti. Esso infatti può costituire oggetto del dolo specifico, è talvolta evento del reato, è preso in considerazione ai fini dell’applicazione delle circostanze ed è oggetto di confisca. Per una ricognizione dell’uso di tale termine nell’ordinamento penale si veda L. PISTORELLI, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell’interpretazione delle sezioni unite, in Cass. pen., 2008, pp. 4562 ss. 3 Fra i numerosi autori che hanno affrontato il tema, si vedano A. ALESSANDRI, Confisca nel diritto penale, in Digesto penale, Vol. III, Torino, 1989; ID., Criminalità economica e confisca del profitto, in E. DOLCINI – C.E. PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, p. 203; T.E. EPIDENDIO, La nozione di profitto oggetto di confisca a carico degli enti, in Dir. pen. proc., 2008, p. 1271; ID., La confisca, in G. CANZIO – L.D. CERQUA – L. LUPARIA (a cura di), Diritto penale delle società, 2014, p. 651; A. FUX, Ulteriori precisazioni sui confini della nozione di profitto: è necessaria l’”esternalità”, in Cass. pen., 2014, p. 3253; A.M. MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001;. 4 Così Cass. pen., ss. uu., 3 luglio 1996, n. 9149, Chabni. 5 Proprio in questi termini si è espressa Cass. pen., sez. VI, 22 marzo 1994, n. 6624. 6 Così Cass. pen., ss. uu., 3 luglio 1996, n. 9149, Chabni; Cass. pen., ss. uu., 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli, in http://www.aodv231.it/images/pdf/1457-10-Sentenza%2029951_2004.pdf; Cass. pen., ss. uu., 25 ottobre 2005, n. 41936, Muci. 7 Sulla spinta della legislazione internazionale tale criterio si è via via affievolito, arrivando ora a ricomprendere anche i beni oggetti di investimento dei profitti illeciti. Per un’approfondita disamina della questione si vedano CORTE DI CASSAZIONE, UFFICIO DEL MASSIMARIO, SEZIONE PENALE, La nozione di profitto confiscabile nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 17 giugno 2014, in http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Relazione_pen_41_14.pdf e F. MUCCIARELLI - C.E. PALIERO, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in www.penalecontemporaneo.it del 20 aprile 2015. 2 2 A fronte di una simile interpretazione, la dottrina maggioritaria ha da subito sostenuto come tale concezione fosse forse ammissibile con esclusivo riferimento ad attività totalmente illecite, mentre si rivelerebbe inadeguata in relazione alla fisiologica attività d’impresa, nel cui ambito possa occasionalmente verificarsi un reato8. In questa seconda ipotesi, allora, sarebbe confiscabile unicamente il “profitto netto”, ossia decurtato delle spese legittimamente sostenute nell’esercizio dell’attività. Secondo i sostenitori di questa teoria, una soluzione siffatta sarebbe perfettamente idonea a perseguire la funzione riequilibratrice e di dissuasione dall’ulteriore commissione di illeciti che ispira il D. Lgs. 231/2001, rispettando al contempo i principi di proporzione e determinatezza9. Qualora invece si dovesse fare applicazione dei ben più rigidi criteri indicati dalla giurisprudenza, vi sarebbe il concreto rischio di provocare in un rilevante numero di casi l’automatico fallimento dell’impresa10. 4. Le Sezioni Unite “Fisia Italimpianti Spa”. A suffragare la validità dell’interpretazione giurisprudenziale del termine profitto anche nell’ambito del “decreto 231” sono intervenute nel 2008 le Sezioni Unite11, le quali hanno però operato alcune rilevanti precisazioni. Queste, infatti, hanno innanzitutto evidenziato come “l’istituto della confisca previsto dal D. Lgs. n. 231 del 2001 […] si connota in maniera differenziata a seconda del concreto contesto in cui è chiamato ad operare”, enucleando poi tre distinte figure di confisca: quella di cui all’art. 1912, qualificata come sanzione principale; quella dell’art. 6, co. 513, strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto; quella dell’art. 15, co. 414, avente natura di sanzione sostitutiva. La distinzione operata dalla Suprema Corte non è stata di puro stile, in quanto il differente scopo cui sono rivolti i tre istituti si riverbera direttamente anche sulla nozione di profitto confiscabile. E, infatti, nell’ipotesi di confisca derivante dalla gestione commissariale disciplinata dall’art. 15 D. Lgs. 231/01, il profitto s’identifica con l’utile netto “essendo collegat[o] ad un’attività lecita che viene proseguita – sotto il controllo del giudice – da un commissario giudiziale nell’interesse della collettività […] e non può che avere ad oggetto, proprio per il venire meno di ogni nesso causale con l’illecito, la grandezza contabile residuale”. Per le rimanenti ipotesi di confisca e, in particolare, per quella disciplinata dall’art. 19, il Supremo Collegio ha invece condiviso l’orientamento giurisprudenziale maturato in riferimento all’art. 240 c.p., ribadendo che “il profitto del reato, in definitiva, va inteso come complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, per dare concreto significato operativo a tale nozione, l’utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico”. Per un’accurata ricostruzione del panorama dottrinale S. GIAVAZZI, Commento all’art. 19 d. lgs. 231/2001, in A,. GIARDA – E. M. MANCUSO – G. SPANGHER – G. VARRASO (a cura di), Responsabilità ‘penale’ delle persone giuridiche, Milano, 2007, p. 178. Più di recente, ma con esclusivo riferimento all’iter seguito dalla giurisprudenza, anche T.E. EPIDENDIO, La confisca, cit., pp. 652 ss. 9 M. PELISSERO, La responsabilità degli enti, in F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, 2007, p. 898; A. ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, cit., p. 2153. 10 T.E. EPIDENDIO, La nozione di profitto oggetto di confisca a carico degli enti, cit., p. 1273. 11 Cass. pen., ss. uu., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.a., in http://www.aodv231.it/images/pdf/Cass%2026654-08.pdf. 12 Per comodità del lettore si riportano di seguito i testi degli articoli. Art. 19, co. 1 “Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede”. 13 “È comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”. 14 “Il profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività viene confiscato”. 8 3 Proprio a questo punto, però, i giudici di legittimità hanno operato un’altra, rilevante distinzione, precisando che una simile concezione “rigorista” può trovare applicazione esclusivamente nel caso di attività criminali tout court. Qualora invece il reato venga occasionalmente consumato nell’ambito di una normale attività d’impresa, sarà necessario compiere un’ulteriore verifica relativa ai profili di rilevanza penale dell’operazione economica. Nel caso in cui la legge qualifichi come illecito l’intero rapporto contrattuale (c.d. reato contratto15), allora l’intero profitto andrà considerato indebito e sottoponibile a confisca. Se invece, ad assumere rilevanza penale, è la semplice fase di formazione della volontà contrattuale o di esecuzione dello stesso (c.d. reato in contratto16), allora sarà possibile individuare degli aspetti leciti del rapporto, con la conseguenza che il corrispondente profitto potrà non essere direttamente ricollegabile al reato (e quindi non essere confiscato). Detto in altri termini, in questo caso non sarà oggetto della misura reale quella parte di utilità corrispondente a una prestazione regolarmente eseguita e accettata dalla controparte17, nonché le somme corrispondenti alle imposte versate, ai crediti non ancora incassati e ai beni futuri in genere. 5. La soluzione del caso concreto. I principi espressi dalle Sezioni Unite nella pronuncia “Fisia Italimpianti S.p.a.” sono stati condivisi in modo pressoché unanime dalla successiva giurisprudenza e hanno trovato applicazione anche nella sentenza oggetto di queste brevi note. Nella vicenda in esame, infatti, la Corte ha innanzitutto valutato l’incidenza dei reati contestati (ossia l’associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio) nella vita dell’impresa, giungendo alla conclusione di trovarsi di fronte all’espletamento di un’attività totalmente illecita. Ciò in quanto in questo caso ad essere oggetto di sanzione penale è la stessa operazione commerciale18. Pertanto, i giudici di legittimità hanno integralmente condiviso l’interpretazione del GIP, secondo cui doveva essere considerato profitto e, quindi, sottoposto a confisca (e a sequestro preventivo) tutto quanto fosse direttamente ricollegabile al reato, senza operare alcuna distinzione fra “profitto lordo” e “profitto netto”. DAVIDE AMATO In questo caso il negozio giuridico costituisce di per sé reato, a prescindere dalla sua esecuzione. Si veda F.C. BEVILACQUA, La natura problematica del profitto confiscabile nei confronti degli enti, in Riv. it. dir. pen. proc., 2009, p. 1125. Per una disamina più approfondita dello specifico tema in questione, nonché dei differenti risvolti in ambito civile e penale, UFFICIO DEL MASSIMARIO, SEZIONE PENALE, La nozione di profitto confiscabile nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cit., pp. 17 ss. 16 Qui il contratto non è nullo, ma eventualmente annullabile. Sia consentito rinviare nuovamente a UFFICIO DEL MASSIMARIO, SEZIONE PENALE, op. cit., pp. 17 ss. 17 Correttamente T.E. EPIDENDIO, La nozione di profitto oggetto di confisca a carico degli enti, cit, p. 1277 rileva come, tuttavia, ciò che viene sottratto alla confisca non sia il corrispettivo pattuito nel contratto (poiché artificiosamente stabilito in forza dell’illecito commesso), quanto il valore della prestazione comunque ricevuta dalla controparte (con tutti i relativi problemi volti ad esattamente definirne l’ammontare). Esprime qualche perplessità circa la soluzione adottata dalla Cassazione anche F.C. BEVILACQUA, La natura problematica del profitto confiscabile nei confronti degli enti, cit., p. 1130, la quale propende invece per la tesi del c.d. profitto netto. 18 Utilizzando la definizione precedente indicata, la frode in commercio, essendo attività illecita di per sé, è quindi da qualificarsi come “reato contratto”. 15 4