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“Sei depresso? Scopa, ti passa la tensione”

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“Sei depresso? Scopa, ti passa la tensione”
[email protected] [email protected]
www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile
direttore
simone siliani
redazione
gianni biagi, sara chiarello, aldo
frangioni, rosaclelia ganzerli,
michele morrocchi, barbara setti
progetto grafico
emiliano bacci
Con la cultura
non si mangia
49
216
N° 1
“Sei depresso?
Scopa, ti passa
la tensione”
Francesca Immacolata Chaouqui
dalla telefonata intercettata
a monsignor Lucio Angel Vallejo Balda
L’immacolata
concezione
editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze
Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012
Da non
saltare
12
DICEMBRE
2015
pag. 2
Gianni Biagi
[email protected]
di
“
Un posto per ogni cosa e
ogni cosa al suo giusto posto”. Mi è tornato in mente
questo vecchio detto popolare,
che mia nonna mi ripeteva
spesso negli anni dell’adolescenza, entrando per la prima
volta dentro il Grande Museo
dell’Opera del Duomo realizzato su progetto architettonico
di Natalini. Architetti (Adolfo
Natalini e Fabrizio Natalini) e
Guicciardini& Magni Architetti (Piero Guicciardini, Marco
Magni, Nicola Capezzuoli,
Edoardo Botti, Giuseppe Lo
Presti) e progetto strutturale di
Leonardo Paolini. Un museo
completamente rinnovato e più
che raddoppiato nella superficie
espositiva. Il museo presenta
molti piani di lettura e una
argomentazione architettonica
complessa dove le cose sono al
posto giusto ma il posto non
è detto che sia quello che in
prima istanza ci si aspetta. I progettisti hanno infatti inventato
un luogo dove far convivere
insieme opere e modelli, dove
il tempo si è fermato e stanno
insieme nello stesso spazio e nello stesso tempo opere che erano
state divise per centinaia di
anni. Nel “paradiso” ricostruito
nel grande spazio - assurto a valore simbolico dell’intera opera
- dell’ex teatro degli Intrepidi,
la porta est del Battistero, opera
magistrale del Ghiberti, ritrova
la Madonna di Arnolfo di Cambio (la Madonna dagli occhi di
vetro della tradizione popolare
che la chiesa della Controriforma dovette quasi nascondere
alla eccessiva devozione popolare) dopo centinaia di anni di
separazione. Dice Adolfo Natalini che ha avuto la gentilezza
di guidarci nel percorso di visita
del museo: “ Progettare il museo
dell’Opera del Duomo vuol dire
partecipare a un’impresa durata
più di settecento anni.Vuol dire
aggiungere segni su un palinsesto su cui tanti prima di noi,
ma anche insieme a noi, hanno
impresso i loro segni. Il museo
narra una storia lunghissima,
ma nel complesso è un’opera
che rimette­insieme sculture pitture e arredi pensati per tempi
e luoghi diversi.I luoghi per cui
erano state pensate sono vicini
gli uni agli altri (il battistero,
Foto Ciampi
Il posto giusto
la cattedrale, il, campanile),
mentre i tempi sono lontani tra
loro; il museo raduna i luoghi e
i tempi attraverso la continuità”.
Nel grande spazio dell’ex
teatro, poi trasformato per
lungo tempo in garage, Natalini ha collocato su una parete
la ricostruzione della facciata
realizzata da Arnolfo di Cambio
e demolita nel 1587, e sull’altra ha posizionato le tre porte
del Battistero di San Giovanni
sovrastate dalle sculture originali
che raccontano la storia di San
Giovanni Battista. Uno spazio
reale e nello stesso simbolico,
uno spazio che investe il visitatore di emozioni nuove, dove
il vero e la copia giocano in un
sottile rapporto di rovesciamento dei ruoli.
Dice ancora Natalini: “Arnolfo
iniziò una grande opera dove
architettura e scultura erano
riunite come non avveniva
dall’antichità classica, creando il
maggior monumento di Firenze.
La facciata venne demolita verso
il 1587 “perché non più alla
moda”, pensando di sostituirla
con una nuova.
Questo non avvenne e solo
dopo tanti progetti e concorsi
una nuova facciata venne realizzata soltanto nel 1887.
Nel museo abbiamo evocato
l’antica facciata con un modello
a grandezza naturale, basato sul
disegno di Bernardo Poccetti
e frutto di profonde ricerche
sull’analisi del testo architettonico, sullo studio dei frammenti
lapidei e sulla comparazione
con manufatti coevi. Il grande
modello è realizzato con membrature architettoniche in resina
caricata con polvere di marmo
su una struttura metallica.
In questo grande modello sono
state ricollocate le sculture nelle
loro posizioni originali. Mentre
sui diversi monumenti vengono
sistemate copie delle statue originali e Il vero sorregge la copia,
qui le statue originali sono
sistemate sul modello e la copia
sorregge il vero. Il progetto ha
conservato la memoria del gran
vuoto del Teatro degli Intrepidi
trasformandolo in uno spazio
illuminato dall’alto in cui far
convivere le evocazioni delle
architetture con le opere che le
adornavano.
Le sculture maggiori sono
allestite su basamenti posti sotto
il grande modello, in modo
da permetterne una lettura
ravvicinata mentre tutte le altre
sono ricollocate nelle posizioni
originali e così vengono ricontestualizzate
Il modello al vero richiama la
singolare invenzione della tavoletta prospettica del Brunelleschi col Battistero ritratto dalla
Porta del Duomo Arnolfiano.
Parafrasando l’Alberti “e sappi
che cosa niuna dipinta parrà
pari alle vere dove non sia certa
distanza a vederle” potremmo
dire che nessuna cosa vera parrà
più tale se tolta dalla distanza
reale dell’osservatore.”
E il gioco della visione, e del
rimando prospettico con le altre
architetture della piazza San
Giovanni, continua nel percorso museale salendo al piano
sovrastante da dove l’opera
ricostruita, ma quasi irreale,
della facciata arnolfiana di Santa
Maria del Fiore, continua a dialogare con le statue e le formelle
del Campanile di Giotto attra-
Da non
saltare
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DICEMBRE
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pag. 3
verso le 15 aperture che dalla
sala si affacciano sul grande
vuoto della sala del “paradiso”.
E ancora più in alto al secondo piano sono i modelli per la
ricostruzione della facciata della
cattedrale ( a partire dal quello
di Bartolomeo Ammannati) a
dialogare, attraverso altre 15
aperture, con la ricostruzione
della stessa facciata. Racconta
Adolfo Natalini:”Sui due lati
lunghi si confrontano due facciate: quella Arnolfiana (abitata
dalle sculture) e quelle di marmo bianco con tre porte e 30
finestre. Le tre porte sono quelle
del Battistero:due, mirabili (del
Ghiberti) sono già installate,
la terza (di Andrea Pisano) lo
sarà nei prossimi mesi. Le porte
sono sigillate in grandi teche,
ma cinque varchi tra di loro
permettono di accedere alla sala.
Dietro alla facciata di marmo
bianco, su tre gallerie a diversi
livelli, sono ospitate le statue
antiche, quelle del campanile e i
modelli storici per la facciata del
duomo.
Attraverso le finestre le statue
dialogano con quelle della
facciata.
La parete traforata prosegue con
lo stesso ritmo nei lacunari della
copertura della grande sala,
dove le aperture, schermate da
una membrana opalina, fanno
piovere la luce zenitale proveniente dai lucernari.
Il visitatore partecipa così alla
messa in scena di una grande
vicenda architettonica che
allestisce le opere del Duomo
in modo chiaro, evocativo,
spettacolare.
Salendo all’ultimo piano, dalla
sala dei parati ci si può affacciare
sulla sala della facciata detta Sala
del Paradiso, vederla tutta insieme con un solo sguardo, questo
affaccio è chiamato infatti Il
Belvedere del Paradiso (Paradiso
era il nome dato in antico allo
spazio tra Battistero e Cattedrale), ma forse anche perché siamo
in alto vicino al cielo”
Il percorso museale scende ora
attraverso un tragitto che ci
permette di leggere, attraverso
modelli, filmati e oggetti e macchine di cantiere la storia della
costruzione della grande cupola
brunelleschiana, prosegue nuovamente al piano terra con la
grande sala che ospita le teche
entro una delle quali è collocata
Dialogo con Adolfo Natalini
sul Grande Museo dell’Opera del Duomo
Foto Ciampi
la Maddalena di Donatello e si
conclude con la sala dove è ospitata la Pietà di Michelangelo.
Un’opera questa che finalmente
può essere vista nella sua interezza, con una collocazione che
ne consente una visione a 360° e
che consente anche di percepire
le incertezze e le malinconie
dello scultore. Conclude Adolfo
Natalini: “ Michelangelo,
passati i 75 anni, “si placava in
lui l’ossessione della morte che
gli si preannunciava piuttosto
come liberazione dell’anima e
dolce riposo in Cristo” (Carli)
e scolpisce per sé un gruppo di
quattro figure, pensandolo forse
per la sua tomba. Nella figura di
Nicodemo che sorregge il Cristo
morto si crede sia il suo autoritratto: scriveva Michelangelo
in un madrigale “Del resto non
saprei...altro scolpir che le mie
afflitte membra”.
La Pietà ha avuto una storia
travagliata, presa a martellate
da Michelangelo stesso, poi
restaurata e migrata da un luogo
all’altro, finalmente approdata
al Museo...volevamo darle infine
una collocazione serena, dove
potesse trovare lo spazio e la
luce che le era destinata, così sta
su una sorta di mensa di pietra
in una stanza alta sotto la luce
che viene dall’alto.”
Il percorso museale è arricchito
da una nuova, e spettacolare, visione della cupola che si può godere dalla nuova terrazza aperta
sui tetti, in dialogo stretto con
le murature delle abitazioni di
piazza del Duomo.
riunione
di
famiglia
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Le Sorelle Marx
Presepi come piovesse! È una vera
presepe-mania: ne spuntano ogni
dove! Non ci si salva. Giornali
locali che lanciano concorsi fra le
scuole per … presepiarsi. Vecchi
laici socialisti che si scoprono pii
fan delle statuine. E ovviamente
si accendono confronti istituzionali e politici su chi è più...
presepiabile. Così è acclarato che,
ad esempio, il presidente della
Regione Toscana Enrico Rossi
ce l’ha più grosso del Presidente
del Consiglio Regionale Eugenio
Giani… il presepe, naturalmente.
Che ha fatto arrivare da Coreglia Antelminelli, la cui perizia
- giura Rossi - è competitiva con
quella dei presepari napoletani.
È in corso uno studio dell’Istituto
per le ricerche economiche della
Toscana per valutare l’incidenza
sul PIL del presepismo toscano.
Ma è già pronta la contromossa
di Giani: il presepe vivente nelle
sale del Consiglio. Fra i consiglieri
è in corso una lotta al coltello
per accaparrarsi le parti migliori. Intanto durante una lunga
riunione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio si è stabilito che,
in base al Toscanellum, il 75%
dei ruoli tocca al PD, il resto alle
varie opposizioni. Ovviamente al
presidente Giani toccherà il ruolo
di S.Giuseppe. Lui avrebbe voluto
quello del bambinello Gesù, ma
non erano disponibili mangiatoie
tanto capienti. Alla Monni (Pd)
tocca la Vergine Maria (qualcuno ha eccepito…), Marras
(capogruppo Pd) farà il bue e
l’asinello spetterà al pisano Maz-
I Cugini Engels
C’è grande subbuglio nei corridoi
di Palazzo Vecchio: il sindaco Nardella è su tutte le furie.
“Chiamatemi l’assessore alla
cultura!”
“Ma, signor sindaco, è lei… non
si ricorda?”
“Ma… certo! Possibile debba fare
tutto io in questo Comune? Voglio
sapere chi è questo cretino di
Bianchi… Chiamatemi Manuele
Braghero, lui sa tutto!”
“Cosa c’è Dario? Stai calmo, che
ti diventano tutte rosse le orecchie
quando ti agiti”
“Senti Manuele, ma lo sai che c’è
un tale Bianchi che dice di voler
mandare via Zubin Metha? Ma
siamo matti? Mi dicono che sia
Presepi,
presepi
ovunque
zeo (Pd). Alla fine, in onore del
principio democratico, il ruolo
del bambinello è toccato all’infante prodigio Giovanni Donzelli
(Fratelli d’Italia), per la sua nota
innocenza e bontà. Bambagioni
(Pd) guiderà la delegazione dei re
Magi, composta dai capigruppo
di Forza Italia (Mugnai) e Lega
Nord (Vescovi). I 5 Stelle, per
protesta contro la kasta, si sono
auto-relegati nel ruolo di pastori
e pecore. E giù, tutti in coro,
intonando “tu scendi dalle stelle,
pregevole iniziativa”.
Lo Zio di Trotzky
La fiducia
di Nardella
Saranno stati i lunghi anni di
esercizi al violino, ma Dario
Nardella è un uomo tenace.
E attento alle indicazioni che
gli vengono date. Per esempio
a partire dalla sua campagna
elettorale i consulenti d’immagine che Renzi gli aveva affibbiato
gli hanno detto che era troppo
serioso. Quindi via gli occhiali e
sorriso d’ordinanza. E lui ha sor-
riso, sempre. Non c’è foto senza
sorriso. Anche quando l’occasione
forse non l’imponeva lui, magari
colto da un dubbio, scorgendo
un flash sorrideva. “L’han detto i
consulenti di Matteo” deve aver
pensato qualche volta, poi come
il cane di Pavlov, la cosa è diventata automatica. Ecco che quindi
in questa fine 2015 temiamo che
qualche personaggio vicino al
premier abbia sussurrato all’orecchio del sindaco di Firenze che
la città doveva ritrovare fiducia
nell’amministrazione. Se l’abbia
Bianchi, chi era costui?
un commercialista: ma vada a
fare i conti e lasci stare la musica,
che di quella sono l’unico che ne
capisce!”
“Ma Dario, Bianchi è il Soprintendente del Maggio Musicale
Fiorentino!”
“Ah sì? È chi è quell’imbecille che
lo ha nominato? Ma come si fa ad
essere così fessi?”
“Guarda che l’hai nominato
tu…”
“Io? Ah, ma allora è un genio…”
“Veramente non molto: non
gli tornano neppure i conti del
Maggio”
“Ohibo’, ma questa è proprio bella… chi l’avrebbe mai detto…”
“Per la verità te l’avevano detto in
diversi, ma tu dicevi che siccome
era stato nominato prima Com-
fatto, come mormorano i maligni
per preparare la calata di Lotti a
Palazzo Vecchio non sappiamo,
ma di fatto Dario ha preso a
usare la parola fiducia ovunque.
Dal ristorante, alla giunta, dal
barbiere come nella cerimonia di
accensione dell’albero di Natale.
“Questo deve essere il Natale
della fiducia!” ha arringato in
Piazza del Duomo, agghindato
da Babbo Natale, riuscendo nella magnifica crasi tra il consiglio
di esser meno serioso e quello di
dare fiducia.
missario del Maggio da Renzi,
allora tutto era a posto… Ma
anche la Rosa Maria Di Giorgi lo
contesta perché ha licenziato tre
ballerini...”
“E infatti, va tutto bene, caro
Manuele: ora chiamo Zubin e lo
nomino ragioniere del Maggio,
Bianchi lo nomino Maestro del
coro, la Di Giorgi prima étoile
e Matteo viene a fare il Maestro
stabile dell’orchestra… e voglio
proprio vedere se quelle capre dei
musicisti osano contestare Renzi!
Vai, belle e fatto! Alla grande! Son
proprio forte eh Manuele?”
“Sì, sì certo… piuttosto vai a
pedalare per accendere l’albero di
Natale che è meglio”
12
DICEMBRE
2015
pag. 5
Danilo Cecchi
[email protected]
di
Q
uello del fotografo è un
mestiere polivalente, chi
impugna la fotocamera come
strumento di lavoro si trova a dovere fronteggiare situazioni diverse,
ad improvvisarsi alternativamente,
ad esempio, ritrattista o paesaggista,
e non sono affatto rari i fotografi
che nel corso della carriera passano
dal reportage alla moda ed alla
pubblicità, o viceversa, confondendo generi e stili. Così cercare
di classificare un fotografo in base
alle sue immagini è sempre un
poco rischioso, perché dall’archivio
possono saltare fuori fotografie che
contraddicono tutto quanto era
stato finora scritto e raccontato. Ciò
che fa maggiormente paura, per la
fama di un artista, è la scoperta di
quanto e come egli si sia compromesso, magari in gioventù, con
generi bassi e ritenuti moralmente
riprovevoli. Scoprire ad esempio
che un Nobel per la letteratura
scriveva romanzetti sconci, che un
famoso regista girava filmini porno,
che un fotografo arrivato era partito
dalla fotografia esplicita di nudo,
potrebbe rovinare agli occhi dei
benpensanti (o malpensanti) una
carriera ben costruita. Sempre qui
si scivola, del resto, sul nudo e sul
sesso, come se gli artisti non fossero
fatti anch’essi di carne e sangue, con
tutto quel che ne consegue. Poi ci
sono dei fotografi, alcuni disinibiti,
altri decisamente esibizionisti, che
delle immagini di nudo, esplicite ed
erotiche, hanno fatto una bandiera,
magari contrabbandandole per
opere d’arte, anche se la stagione
del “nudo artistico” in fotografia
dovrebbe essere tramontata da
un pezzo. Chi invece si pone al
di sopra di simili “querelles” fa
parte della non numerosa schiera
di fotografi che hanno praticato
la fotografia di nudo in maniera
lineare e professionale, senza falsi
pudori o imbarazzi di sorta. Come
il newyorkese Alfred Cheney Johnston (1885-1971), noto come il
fotografo delle Ziegfeld Follies, un
corpo di ballo di New York ispirato
al celebre music-hall parigino Folies
Bergére, ed attivo a Broadway dal
1907 al 1931, con brevi successivi
revival. L’incontro fra il talentuoso
fotografo e Florenz “Flo” Ziegfeld,
l’inventore delle Ziegfeld Follies
(sembra su consiglio della sua consorte di allora, l’entraineuse Anna
Held) avviene attorno al 1917,
anno in cui Alfred sottoscrive con
Alfred Cheney Johnston
Vestite di luce
“Flo” un contratto che lo consacra
come il fotografo “ufficiale” delle
ballerine di Ziegfeld, donne giovani
e bellissime che periodicamente si
alternano sui palchi dello spettacolo, e che Alfred sistematicamente
ritrae in diverse posizioni ed in
diversi abbigliamenti, oppure
preferibilmente velate, seminude o
completamente nude. Alfred lavora
esclusivamente in interni con luce
artificiale, utilizzando una enorme
fotocamera in legno per lastre di
formato 11x14 pollici (28x36cm)
e stampando esclusivamente per
contatto. Le sue immagini, utilizzate per promuovere gli spettacoli del
live-teather, diventano così famose
che il suo studio viene letteralmente
invaso da un numero imprecisato
di attrici, attricette e showgirls, che
vogliono farsi immortalare da questo fotografo, così abile nel mettere
a nudo l’anima, così come il corpo,
delle donne. Se uno degli scopi
dichiarati dell’impresario delle Ziegfeld Follies è quello di “glorificare
le ragazze americane”, è attraverso
le immagini di Johnston che le
“ragazze di Ziegfeld” impongono
un nuovo standard di bellezza per la
nuova generazione degli Americani.
Fra le giovanissime donne che si
susseguono sul palco di Ziegfeld e
davanti alla fotocamera di Johnston
troviamo nomi destinati a diventare
famosi, come ad esempio Fanny
Brice, Ann Pennington, Eva Tanguay, Nora Bayes, Marilyn Miller,
Gilda Gray, Ruth Etting, Josephine
Baker e Louise Brooks, ma fra le
clienti di Johnston troviamo anche
nomi come Mary Pickford, Gloria
Swanson, Barbara LaMarr, Claudette Colbert, Corinne Griffith e
moltissime altre attrici ed attori del
cinema. Le immagini di Johnston
sono tecnicamente impeccabili
e non mancano di buon gusto.
Notevole quella della ragazza nuda
in piedi, di profilo, leggermente
piegata in avanti, che guarda, con
la testa coperta dal panno nero,
dentro una grande fotocamera posta sul treppiede. Perfetta allegoria
della fotografia, nuda testimone
della realtà che le si pone di fronte
alla fotocamera (ed in questo caso
anche dietro). Al di là del contenuto erotico di molte delle immagini, che rimane una condizione
essenziale, lo scopo principale delle
fotografie di Johnston è quello di
esaltare la bellezza dei corpi. Come
se volesse dire, sommessamente
“Non sono nude, vedete, sono
vestite di luce”
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DICEMBRE
2015
pag. 6
Aldo Frangioni
Umberto Buscioni
Laura Monaldi
[email protected]
di
I
l ventaglio è uno degli
oggetti più comuni e più
antichi del mondo. Le sue
origini risalgono all’antichità
e alla notte dei tempi, nel momento in cui l’uomo ha sentito
il bisogno di muovere l’aria, con
diverse finalità ma con un medesimo gesto. Il “flabellum”,
la “ventarola” e il ventaglio
vero e proprio si sono evoluti
nel corso del tempo grazie alla
duttilità propria dell’oggetto e il
suo sviluppo è stato determinato in primo luogo dagli scambi
culturali. Si tratta in sostanza
di un prodotto sociale che ha
lasciato una traccia indelebile
nella Storia dell’umanità, che
ha solcato tutti i campi culturali
e sociali dalla politica alla comunicazione eversiva e rivoluzionaria, dall’etichetta dell’alta
società alla praticità bellica, sino
alla comunicazione pubblicitaria al ricordo di viaggio e alla
sfera religiosa (basti pensare al
modello “Cento facce”,
al “Grand tour” o
ai flabelli papali),
qualificandosi come
una moda, un’abitudine e un costume, in
grado di chiamare a
sé eccezionali intagliatori, laccatori e artisti in genere
per fare di questo straordinario
e versatile oggetto un raffinato
manufatto artistico. Nel corso
degli anni il ventaglio è divenuto un medium comunicativo
con un proprio linguaggio e una
propria accezione retorica, la cui
importanza ricalca tutti i contesti storico culturali del passato.
Non a caso rimane il gioiello
Aldo Frangioni
Paolo Staccioli
Ventagli
ad arte
che meglio ha interpretato il modo di vivere e l’idea
della società delle varie epoche, con forme e decori
straordinari e che ancora oggi suscita una curiosità e
un’ammirazione fuori dall’ordinario, poiché incarna
valenze e significati simbolici e, di conseguenza,
è passato alla storia per la sua artisticità. Proprio
la culturalità caratteristica di questo oggetto, solo
apparentemente comune e quotidiano, è oggetto di
una collezione inedita in mostra sabato 12 dicembre
al Quadro 0,96 di Fiesole. Nello spazio espositivo
più piccolo del mondo si avvicenderanno i pavesi
decorati, dipinti e realizzati da Pier Luigi Bacci,
Umberto Banchelli, Roberto Barni, Dario Bartolini,
Umberto Buscioni, CAVA (Osvaldo Cavandoli),
Lido Contemori, Fabio de Poli, Paolo della Bella,
Federico di Gesualdo, Falsi Gioielli (Silvia Franciosi), Aldo Frangioni, Marcello Guasti, Donato
Landi, Carla Manco, Umberto Mariani, Paolo
Staccioli, Sergio Staino, Francesco Vaccarone e Bill
Viola. L’esposizione mette in mostra una piccola ma
ricca parte della collezione di Luisa Moradei: una
raccolta dedicata non solo a rivalorizzare il ventaglio dal punto di vista estetico, ma anche volta a
recuperare la seduzione dell’Arte Contemporanea,
unendo tradizione e avanguardia, passato e presente, in un unicum che sintetizza le variegate interpretazioni del mondo contemporaneo. La collezione
di ventagli di Luisa Moradei ha il pregio di porsi a
metà strada tra l’amore per il prodotto artistico e il
risveglio culturale: un arieggiante messa in opera,
capace di reinventare di volta in volta l’universo dei
linguaggi contemporanei e l’Arte in sé, poiché di
fatto il ventaglio è sempre stato un oggetto estetico
e per tal motivo degno di divenire un autentico
supporto artistico a cui affidare la propria visione e
la propria interpretazione del mondo.
dalla collezione
di Luisa Moradei
a Quadro
0,96
12
DICEMBRE
2015
pag. 7
Alessandro Michelucci
[email protected]
di
fra musicisti scozzesi e irlandesi,
mentre i musicisti della piccola
isola erano rimasti sostanzialmente legati all’abito locale.
Il dublinese Eoghan Ó Ceannabháin, che suona anche col
gruppo Skipper’s Alley, ha preso
parte al progetto The Gathering:
Collected Oral Histories of the
Irish in Montana, ideato per
documentare il patrimonio
musicale di alcune comunità
irlandesi emigrate negli Stati
Uniti.
Mary Ann Kennedy, musicista
scozzese di formazione classica,
ha prodotto dischi di James
I
l gruppo celtico è la sola
famiglia linguistica europea composta unicamente
da idiomi che non hanno lo status di lingua nazionale ufficiale.
In teoria fa eccezione l’irlandese, riconosciuto dalla Costituzione dell’isola verde, ma nella
pratica anche qui prevale l’uso
dell’inglese.
Oggi queste sei lingue - bretone, cornico, gallese, irlandese,
manx e scozzese - sono parlate
poco anche nelle rispettive
regioni. Fino a poco tempo fa
alcune di loro venivano considerate estinte, ma in tempi
recenti questa tendenza si
sta invertendo. In ogni caso,
rimangono l’espressione di una
solidarietà politica e culturale
che si esprime prima di tutto
nella musica.
Lo conferma il CD Aon Teanga:
Un Çhengey (Una lingua), che è
stato realizzato da tre musicisti:
Ruth Keggin (Isola di Man),
Mary Ann Kennedy (Scozia)
ed Eoghan Ó Ceannabháin
(Irlanda).
Agli strumenti dei tre protagonisti - fra i quali arpa, fisarmonica e piano - si aggiungono
quelli suonati da alcuni ospiti
Fabrizio Pettinelli
[email protected]
di
In epoca lorenese non c’era il
mercato delle Cascine, ma i
fiorentini che volevano comprare
sulle bancarelle non avevano che
l’imbarazzo della scelta.
Si cominciava alla grande con le
fiere delle domeniche quaresimali; le prime tre si svolgevano
a Porta San Gallo e i banchi
riempivano la Piazza dell’Arco
Trionfale (oggi Piazza della
Libertà) per spingersi lungo Via
della Madonna della Tosse fino
all’omonima chiesa, costruita su
un terreno magnanimamente
concesso da tale signor Pancani,
con l’impegno solenne della
municipalità di ricordarlo nella
toponomastica cittadina: peccato
che, per la serie “fatta la grazia
gabbato lo santo”, la Via Pancani
fosse in seguito dedicata al più
titolato Giovanni Pascoli.
Le tre fiere di San Gallo, in ordine cronologico, erano dette dei
”curiosi”, degli “innamorati” e
dei “furiosi”, con riferimento allo
stato d’animo dei visitatori, ed
Fratellanza celtica
(basso, chitarra e viola). Il disco
(Watercolour Music, 205),
composto in prevalenza da brani tradizionali, celebra i legami
musicali, culturali e linguistici
dei tre popoli. Un lavoro fatto
col cuore, ricco di antiche melodie che conservano un fascino
enorme.
L’elegante confezione include
un libretto con note, fotografie
e testi originali accompagnati
dalla traduzione in inglese.
I titolari del disco sono coinvolti in vari progetti collaborativi.
Ruth Keggin, cantautrice emergente della sua isola, ha esordito
nel 2014 col CD Sheear (Purt
Sheearan Records). L’anno
prima aveva collaborato a un
progetto regionale che coinvolgeva tre musicisti mannesi e tre
norvegesi. Da questo è nato il
CD Norwegian Manx Collaboration: Arraneyn as Carryn Songs and Tunes (2014).
La presenza di Ruth Keggin in
Aon Teanga segna una novità assoluta: esistevano già numerosi
dischi nati dalla collaborazione
Graham, Catriona Watt e altri
musicisti. Presentatrice radiofonica, dirige l’etichetta Watercolour Music insieme al marito
Nick Turner.
Per finire, un rilievo veloce ma
doveroso. Negli ultimi anni si
parla molto di identità culturale. Aon Teanga ci ricorda che
questo concetto esprime valori
positivi soltanto quando non
nasconde livori nazionalistici.
In altre parole, se offre all’altro
la propria diversità mentre accoglie con curiosità quella altrui.
era costituito dalle pezze di tessuto vendute dalle “tessitore” di
Pistoia. Le pezze dovevano essere
rigorosamente filate a rocca e, soprattutto, bagnate con la saliva.
Guai alla tessitora che, invece di
sputarci sopra, si fosse inumidita
le dita nell’acqua: non è dato
sapere come si potesse riconoscere la differenza ma, visto che lo
dice una fonte autorevole come
Giuseppe Conti, c’è da credere
che le fiorentine di allora fossero
in grado di discernere fra tessuti
sputacchiati o semplicemente bagnati. La fiera proseguiva in Via
dei Servi e Piazza del Duomo
che pullulavano di banchi con le
più varie mercanzie.
Il 28 settembre
a Porta Romana
si svolgeva (e si è
svolta fino a non
moltissimi anni
fa) la “fiera degli
uccelli”, con gli
uccelli da richiamo
che raggiungevano
prezzi astronomici.
Il giorno dopo, San Michele,
“fiera delle giuggiole” a Porta alla
Croce. Il 28 ottobre, San Simone, “fiera dei marroni” al Canto
degli Aranci (Via Ghibellina
angolo Via Verdi) con la Piazza
Santa Croce piena di mobili e
attrezzi da cucina.
La stagione delle fiere si chiudeva
per San Martino, l’11 novembre, sul Ponte a Santa Trinita e
Via Maggio: vista la stagione,
i prodotti che andavano per
la maggiore erano i “preti” e i
“trabiccoli”, marchingegni che
forse qualcuno ricorda negli anni
dell’infanzia, che servivano per
scaldare i letti.
Piazza della Libertà
Firenze, città
delle fiere
erano spesso onorate dalla presenza del Granduca in persona.
La quarta domenica si svolgeva
la fiera di Porta al Prato, mentre
la domenica successiva si passava
alla “fiera dei contratti”, a Porta
Romana, alla quale abbiamo già
avuto occasione di accennare,
durante la quale i cozzoni combinavano i pateracchi fra giovani
coppie di contadini. La sesta
domenica, infine, si svolgeva a
Porta San Frediano la “fiera dei
rifiniti”, dove evidentemente
gli affari dovevano essere magri,
visto che i portafogli dei clienti
si erano prosciugati nelle cinque
domeniche precedenti.
Il 25 marzo, l’importante fiera
della Santissima Annunziata che,
a parte le “rificolone”, era analoga a quella dell’8 settembre: in
entrambe, infatti, il pezzo forte
12
DICEMBRE
2015
pag. 8
Simone Siliani
[email protected]
di
S
e pensate che ormai destra
e sinistra pari son e che
vivere sotto un governo
conservatore sia sostanzialmente equivalente che vivere
sotto un governo progressista,
questo articolo vi offre qualche
elemento di riflessione diversa.
Soprattutto se vivete in Inghilterra e siete dei frequentatori
di biblioteche pubbliche (tema
che in quel paese è oggetto di
continuo dibattito pubblico
anche sui maggiori quotidiani,
inspiegabilmente per noi italiani
appassionati di Leopolde e altri
contorcimenti politici). Infatti,
uno studio della Chatered of
Public Finance and Accountancy
(Cipfa, istituto di studi nato nel
1885, sostenuto dalle autorità
locali e finalizzato a studi e
ricerche relative alla finanza
pubblica) rivela che da quando
David Cameron è diventato
primo Ministro nel 2010 il
finanziamento pubblico alle biblioteche ha subito un taglio di
180 milioni di sterline (-16%)
e il sistema ha perso il 14% dei
suoi fruitori. Nel solo biennio
2014-2015 sono state chiuse
106 biblioteche pubbliche
(-2,6%), passando così da 4.023
a 3.917; chiusure che hanno
colpito maggiormente il Galles
(-11%), meno l’Inghilterra
(-2%) e la Scozia (-1%), cioè le
aree più povere si impoveriscono di più anche di biblioteche.
Ne ha parlato il Guardian del 9
dicembre scorso, cioè un grande
quotidiano nazionale perché,
contrariamente alla vulgata che
ci viene ammannita in Italia, in
Gran Bretagna i finanziamenti
pubblici alla cultura – e in questo caso alle biblioteche pubbliche – sono elevati e sono oggetto di diverse politiche pubbliche
(d’accordo, cosa che da noi è
ormai un lontano ricordo). Una
questione nazionale, tanto che il
governo Cameron cerca addirittura di difendersi. Il portavoce
del Governo infatti replica che il
sistema della biblioteche conta
ancora 265 milioni di accessi
(ma segnano un -3,9% rispetto
ai 276 milioni del 2013-2014),
che sono state aperte o rinnovate diverse biblioteche (a Stafford
e Camberwell, o la “Arnold”
di Nottingham e la “Leyton”
nell’east Londra) e che sono
La differenza
tra library e biblioteca
stati inseriti in molte biblioteche servizi nuovi (libero accesso
Wi-Fi, prestito online, sostegno
all’accesso digitale alle banche
dati). Ma il direttore della Cipfa
ribadisce che il loro rapporto
offre una lettura realistica e cupa
della situazione perché i tagli di
bilancio continuano a colpire i
servizi meno protetti e sempre
meno persone usano le bibliodi
teche pubbliche per effetto di
questi tagli. Certo, aumentano
i volontari nelle biblioteche
(+19% nel 2014-15), ma
parallelamente diminuiscono i
bibliotecari assunti (-4%), fatto
che indica un impoverimento di
professionalità e di qualità dei
servizi offerti. Resta, tristemente, il fatto che nel periodo
2014-15 i tagli ai bilanci delle
biblioteche in tutto il Regno
Unito sono stati di 50 milioni di sterline, passando da 1
miliardo di sterline a 0,95. Una
questione che potrebbe addirittura entrare nella campagna
elettorale prossima che vedrà
opposti il giovane e moderno
conservatore David Cameron e
l’attempato ma per ora vincente
laburista Jeremy Corbyn.
mondo e un paese con troppi
difetti e sempre gli stessi: ancora
troppo ingiusto e squilibrato,
dove si premiano i furbi penalizzando il merito e i bisogni, in
cui contano più le amicizie che la
competenza, più la quantità della
qualità. In quella letterina c’è una
richiesta precisa: la richiesta di
una “possibilità”. Possibilità di
cambiare. In effetti il problema è
tutto lì. Dalla corruzione che dilaga alle finte rottamazioni, dalle
fregature sempre in agguato alle
tasse che se diminuiscono da una
parte aumentano dall’altra, dalla
burocrazia sempre più invasiva
alle difficoltà a trovare un lavoro
per arrivare in fondo al mese.
Tanti indicatori che certificano
un fatto: finora tante promesse
ma pochi cambiamenti veri.
Qualche passione. La voglia di
cambiare non muore mai, non si
scoraggia mai del tutto, non si lascia imprigionare dall’indifferenza. C’è qualcosa di “rinnovabile”
che alimenta questo bisogno.
In modo che tutti possano dare
mano. In fino dopo tante delusioni perché non provare anche
con Babbo Natale?
Auguriamoci che quella letterina
arrivi a destinazione e che arrivi
alla svelta, prima che anche Lui
venga rottamato. Naturalmente
solo a parole...
Remo Fattorini
Segnali
di fumo
“Come vorrei che fosse possibile
cambiare il mondo che c’è”.
Questo auspicio non è stato
indirizzato alla politica, né a
qualche leader e nemmeno ai
nostri intellettuali, ma a Babbo
Natale, attraverso uno dei tanti
foglietti appesi all’albero nella
stazione di Santa Maria Novella.
Per più motivi e qualche passione
l’ho fotografato.
I motivi. In quelle parole c’è
l’espressione di un bisogno (che
anch’io ho condiviso e condivido): quello di “cambiare” questo
mondo e questo paese. Un
12
DICEMBRE
2015
pag. 9
Roberto Giacinti
[email protected]
di
R
iapre il teatro Niccolini
grazie all’editore Mauro
Pagliai che lo ha fatto
rinascere dopo vent’anni di silenzio “per restituire qualcosa a
Firenze, che mi ha dato tanto”.
Pagliai, per la Città, assume
la connotazione di mecenate,
infatti c’è voluto coraggio ad
investire in questo settore certamente meno speculativo di
un megastore, di una boutique
o in un fastfood!
Questo luogo lo si conosceva
come teatro del Cocomero dal
nome della strada poi denominata via Ricasoli, perché dedicata alla famiglia Ricasoli, che
sebbene avesse il palazzo più
importante in piazza Goldoni,
aveva qui il palazzo di Bettino.
Lì si giocava anche a carte e a
dadi, ma Pietro Leopoldo nel
1773 lo vietò.
Sempre qui comparve nel 1793
il personaggio di Stenterello, il popolano all’apparenza
sciocco, ma irriverente verso le
autorità.
La prossima riapertura sarà
un evento festoso per la Città
come lo fu quando fu inaugurato nel 1657 quando a Firenze, a teatro, andavano solo i
Medici e la loro ristrettissima
cerchia di eletti.
Il teatro del Cocomero era
qualcosa di completamente
diverso; lo voleva il gruppo di
aristocratici che stimolava rappresentazioni di testi italiani e
francesi promuovendo l’apertura ad un pubblico decisamente più ampio.
Tra i più assidui frequentatori
ricordiamo Vittorio Alfieri
e Giovan Battista Niccolini,
grande tragediografo pisano,
il quale vi rappresentò molte
tragedie per cui il teatro gli fu
intitolato nel 1860.
E poi nella sala del Cocomero
ci sarà spazio per la neonata
Accademia degli Infuocati, recentemente rifondata, che nel
secoli scorsi gestiva il teatro, il
cui simbolo (una sfera incendiaria che esplode) è dipinto
sul soffitto, che avrà il compito
di organizzare eventi culturali.
Qui speriamo che si pensi anche ai giovani ed in particolare
ai piccoli, magari avviando la
costituzione di una Associazione del Cocomero con la quale
Il teatro del cocomero
promuovere le rappresentazioni a loro adatte.
E’ importante per un giovane
appassionarsi al teatro, io lo
devo ad Alfonso Spadoni, per
Lido Contemori
[email protected]
di
Il migliore
dei Lidi
possibili
La proposta
del Governo per
sostenere la Banca
delle Marche, la Banca
Etruria, la Carichieti
e la Carife
Disegno
di Lido Contemori
Didascalia di Aldo Frangioni
trentadue anni mitico direttore
del Teatro della Pergola a cui
si deve, appunto, l’avvio degli
abbonamenti “Eti21” dedicati
ai ragazzi, che mi invitava nella
sua barcaccia aiutandomi ad
apprendere e ad elaborare il
senso critico, anche col racconto delle storie delle Compagnie
di volta in volta in scena!
12
DICEMBRE
2015
pag. 10
Paolo Marini
[email protected]
di
È
ancora possibile trovare in
circolazione quella merce
rara che è una rappresentazione obiettiva della realtà,
mentre tutto è così smaccatamente oggetto di manipolazione
faziosa o, comunque, interessata? Il Censis accredita la propria
indagine sulla situazione sociale
del Paese - che viene sfornata,
ogni anno, dal 1967 – come
“il più qualificato e completo
strumento di interpretazione
della realtà italiana”. Pochi
giorni fa è uscito il 49° rapporto
che. in effetti, pare tutt’altro
che uno spot o una gigionata.
Il titolo (“Una società a bassa autopropulsione, che non
ritrova il gusto del rischio”) è
già un controcanto alla propaganda allucinogena del governo.
“Nell’Italia dello zero virgola
continua a gonfiarsi la bolla del
cash cautelativo” (come conferma un’inflazione inesistente
malgrado le iniezioni monetarie
della Banca Centrale Europea) e
in 4 anni (giugno 2011-giugno
2015) il patrimonio finanziario degli italiani è cresciuto
di 401,5 miliardi (+6,2% in
termini reali): sono soldi riposti,
perché “il risparmio è ancora la
scialuppa di salvataggio nel quotidiano”, se è vero che nell’anno trascorso ben 3,1 milioni
di famiglie hanno intaccato i
propri risparmi per fronteggiare
le spese mensili.
C’è mancanza di fiducia,
come io sostengo, o di ‘fame’,
come altri (mi) suggeriscono?
Si Potrebbe azzardare che, in
generale (le indagini statistiche
fanno sempre torto ai milioni di
casi singoli), non si sia (ancora)
messi così male da ‘dovere’ ma
neppure orientati così bene da
‘volere’ rischiare. Il rapporto
raffigura una società ‘seduta’,
dove un numero importante di
cittadini percepisce l’assunzione
del rischio come un azzardo che
“lascerebbe impresse cicatrici
profonde sulle (...) solitarie
biografie personali”. Così,
per esempio, “tra il 2009 e il
2015 si osserva una riduzione
dell’11,2% dei negozi di ferramenta, dell’11% dei negozi di
abbigliamento, del 10,8% delle
librerie, del 10,5% delle macellerie, del 9,9% dei negozi di
Una società seduta
(a tavola)
calzature, dell’8,7% dei negozi
di articoli sportivi. Crescono
invece del 37% i take away, del
15,5% i ristoranti, del 10%
i bar, dell’8,2% le gelaterie e
pasticcerie”. Insomma, consolare frustrazioni e mancanza di
prospettive nella tavola, così
ripiegano gli italiani? In effetti,
è facile constatare la crescente
pervasività del cibo, non si
sente che parlare di cene, di
ricette, di cucina, che siano i
nuovi panes et circenses? Che
Massimo Cavezzali
[email protected]
di
si siano volturati impegno e
progettualità con la resa ad un
edonismo tanto banale, quanto
(sottilmente) disperato?
Altri dati interessanti emergono
dallo studio: anzitutto quel
55,3% di italiani che vuole il
taglio delle tasse, anche a costo
di una riduzione dei servizi
pubblici, posto che “l’esigenza
della riallocazione del risparmio
in modo più funzionale all’economia reale si lega strettamente
alla richiesta di scongelare quo-
Scavezzacollo
te del (...) reddito aspirate dalla
fiscalità”. Il dato (per quanto
da prendere con le molle, per
più di una ragione) riporta al
nodo gordiano di una tassazione
esosa al servizio di una estesa ed
allegra gestione pubblica che (al
di là di estemporanee operazioni
di ‘maquillage’) nessuno osa
mettere in discussione. Forse
non è un caso se tra i cittadini
“solo quote minime hanno fiducia nei partiti politici (9%), nel
Governo (16%), nel Parlamento
nazionale (17%), e la percentuale di quanti ripongono fiducia
nell’operato delle autorità regionali e locali (il 22%) è meno
della metà di quanto si riscontra
in media nel resto del continente (47%).” D’altronde non
è la politica-pifferaia che può
infondere la fiducia che serve,
bensì quella capace di progetti a
lungo termine (di cui quasi non
abbiamo memoria) potrebbe,
semmai, arare il terreno adatto
al recupero - tutto individuale di fiducia e di iniziativa.
Diciamolo pure: se continueremo a comportarci, a vivere
così - da servi, da sudditi -, da
chi mai dovremo aspettare un
cambiamento?
12
DICEMBRE
2015
pag. 11
Simonetta Zanuccoli
[email protected]
di
I
l primo settembre del
1715 moriva nel castello di
Versailles, residenza ufficiale
del re e della sua corte, Luigi
XIV. A trecento anni da questo
evento, nell’ambito di una serie
di manifestazioni, la reggia di
Versailles fino al 21 febbraio
2016 presentata la mostra Le
Roi est mort. In esposizione
dipinti, medaglie, gioielli, statue,
documenti, ornamenti e mobili
funerari...provenienti dai più
grandi musei e collezioni francesi
e internazionali presentati in
una ambientazione con effetti
spettacolari disegnata dal famoso
scenografo e regista teatrale Pier
Luigi Pizzi. La mostra, la prima
sul tema, attraverso una lunga
e rigorosa ricerca durata tre
anni e che ha visto impegnati
studiosi di varie discipline, vuole
documentare gli ultimi giorni e
la morte del Luigi XIV, aspetti
questi rimasti ai margini della
storia di un re sul quale tanto si è
scritto. L’intento è anche quello
di capire il significato religioso,
politico e sociale dei complessi
cerimoniali funerari nelle corti
francesi dell’ ancien régime. Il
Re moriva sotto gli occhi di quei
cortigiani il cui rango consentiva
di assistere a tutte le fasi della sua
vita fin dalla nascita. Con la formula le Roi est mort, vive le Roi!
si annunciava al popolo contemporaneamente la morte del
Re e l’avvento del suo successore
affermando così la continuità e
l’assolutismo monarchico. Mentre a corte iniziava il periodo
di lutto secondo una rigida etichetta (documentata alla mostra
da un’ampia sezione di ritratti
e stampe miniate), al Re morto
veniva preso il calco in cera del
volto, che poi forgiato in metalli
preziosi sarebbe stato esposto
durante i riti funebri, e poi
sottoposto a autopsia (presente
a Le Roi est mort in manoscritto
la descrizione di quella del Luigi
XIV) per estrarre, secondo una
tradizione nata del 1300 con la
morte di Filippo il Bello, il cuore
e le viscere che avevano due
tumulazioni diverse da quella del
corpo. Quest’ultimo veniva poi
imbalsamato, sempre davanti
ai soliti cortigiani, e rinchiuso
in una tripla bara di quercia e
piombo. Mentre il nuovo sovrano e la regina restavano nella
Le Roi est mort,
vive le Roi!
Pittori nelle terre
di Lucchesia
Inaugura il 19 dicembre la mostra “Dipingere l’incantesimo
– Pittori nelle terre di Lucchesia
di inizio ‘900” al Palazzo delle
Esposizioni (Fondazione Banca
del Monte di Lucca piazza San
Martino, 7 – Lucca).
La mostra, che prosegue idealmente il percorso avviato con le
esposizioni: “Fra il Tirreno e le
Apuane” che si è tenuta a Lucca
e “The Enchanted Land” che si
è svolta a Glasgow, è curata da
Umberto Sereni.
“Dipingere l’incantesimo” riunisce una cinquantina di dipinti
di pittori lucchesi e stranieri,
sui tre piani del prestigioso
edificio, sono esposte opere che
provengono anche da collezioni
private e raramente presentate al
pubblico.
Il filo conduttore è il paesaggio lucchese: dalla Versilia, alla
Piana, alla Garfagnana, che
in quel periodo storico entrò
da protagonista nei dipinti di
autori lucchesi e stranieri.
reggia vestiti a lutto, lui in rosso,
lei in bianco, il feretro con corpo
veniva trasportato con una fastosa cerimonia alla basilica reale
di Saint Denis dove rimaneva
esposto per 40 giorni. Per tutto
questo tempo questo tempo, con
un rituale dal sapore tribale, si
continuava ad offrire al Re defunto cibo e cure come se fosse
vivo mentre le cerimonie religiose si svolgevano in tutta la Francia di giorno e di notte. Durante
l’inumazione, nella magnificenza
di un funerale-spettacolo che nel
corso dei secoli aveva stimolato
la fantasia architettonica delle
decorazioni funebri, nella cripta
oltre al feretro venivano messe
le insegne delle imprese militari
e del potere come lo scudo, le
armi lo scettro e la corona.
Luigi XIV morì il primo settembre per una cancrena ad una
gamba all’inizio curata come
sciatica dal medico di corte,
Fagon, con impacchi di vino
di Borgogna caldo e latte di
asina. Il suo era stato un regno
lunghissimo durato 70 anni da
quando nel 1643 a soli 5 anni
era diventato re. Il lungo corteo
funebre lasciò la reggia di Versailles l’8 settembre all’imbrunire
per raggiungere alla luce delle
torce, tra suoni di tamburi e
canti, all’alba la basilica di Saint
Denis, a nord di Parigi, allestita
con grandiosa teatralità in nero,
oro e argento e illuminata da
migliaia di candele. Il suo cuore
fu invece seppellito nella chiesa
di Saint-Louis des Jésuites e le
viscere a Notre Dame.
Io sono Apollo, Dio del Sole e tutto
spende per me e intorno a me.
Inchinatevi o voi al mio cospetto
e abbandonatevi alla luce che io
emano ma pochi decenni dopo,
durante la Rivoluzione, neppure il grande Re Sole fu lasciato
riposare nella basilica di Saint
Denis. Chiesa e tombe come la
sua, quella della madre, Anna
d’Austria, di Maria de Medici e
di Enrico IV furono profanate
e i resti dispersi in anonime
fosse comuni. Del potente Luigi
XIV rimane solo il cuore in
un’ampolla di vetro nella cripta
di Saint Denis sotto l’altare
maggiore.
Piccola nota di cattivo gusto: è
possibile seguire su un sito web
in tempo reale, ora per ora, gli
ultimi suoi giorni. Ormai il re è
veramente nudo!
12
DICEMBRE
2015
pag. 12
Claudio Cosma
[email protected]
di
I
l 14 dicembre 2015 si inaugura l’ultima mostra della
trilogia fiesolana “A un passo
da ...” col terzo pittore, dopo
Vairo Mongatti e Aldo Frangioni.
Come curatore, ho usato diligentemente le regole classiche in uso
nell’arte contemporanea nella
scelta degli artisti che rappresenteranno una specifica idea. Nel
nostro caso tre pittori, quindi vicinanza di tecnica e nello specifico
tre artisti della stessa generazione,
quindi anche vicini anagraficamente e culturalmente. Una idea
critica consistente nel collegare
spazi diversi con un percorso reale
e uno di fantasia e nella pudica
volontà di non voler fare mostra
dei propri talenti o al contrario di
voler celare le proprie mancanze,
esponendo due soli lavori per volta, in condizioni contrarie alle logiche delle esposizioni tradizionali
e oramai, per me, inflazionate. Gli
stessi spazi espositivi, consistenti
in una piccola vetrina e nel difficile spazio, segnato da forti preesistenze, di un ristorante etnico.
Lo scarto maggiore è geografico,
i due primi sono rispettivamente
di Firenze e di Fiesole, ma il terzo
è di New York. Tutti hanno a che
vedere con il mio spazio fiorentino, ovvero la Fondazione Sensus,
dove hanno partecipato ad alcune
mostre a tema e dove i loro lavori
sono esposti in permanenza,
inoltre Fred Charap sarà protagonista a maggio prossimo di una
personale, che rappresenterà a
Firenze a sua prima consistente
esibizione. Anticipo anche che i
tre artisti con i lavori scelti per la
mostra “A un passo da ...” saranno
oggetto di una replica di questa
da Sensus, essendomi particolarmente piaciuto come si sia svolta
la mostra fiesolana.
Io personalmente non sono un
curatore, ma semplicemente una
persona estremamente fortunata
da poter disporre del vasto spazio
fiorentino e della vetrina di Fiesole per esprimere la mia passione
per l’arte contemporanea allestendo in questi spazi i lavori che ho
raccolto a partire dagli anni ‘80 e
organizzando mostre con gli artisti che mi interessano, sia per farli
conoscere, anche se spesso questi
artisti sono già ben conosciuti
ed apprezzati, sia, sopratutto per
disporre le loro opere secondo un
mio specifico linguaggio estetico
A un passo
Fred Charap, White Wall, 2015
Fred Charap, Ashes, 2011
da
New York
Fred Charap, Love Song, 2015
che prima della realizzazione di
Sensus esisteva solamente nei
miei pensieri e che dal dicembre
del 2012, data della sua creazione, è ha disposizione del piccolo
numero di appassionati che per
una qualche maniera, mai casuale,
vengono a contatto con me.
Fred Charap, ebreo newyorchese
trasferitosi da tanti anni in un
delizioso paesino della Maremma
toscana, costruisce muri, aggregati
di materiali in uso ai pittori che di
tela, corde, colla e molteplici strati
di colore ad olio, diventano vere
e proprie sculture atte a elaborare
ed esplorare i significati semantici
e biopolitici racchiusi nella parola
stessa.
“La parola Muro evoca innumerevoli e contraddittori aspetti
del vivere contemporaneo, ma
rimanda allo stesso tempo a
quanto tale parola appartenga a
tutte le epoche dell’uomo, dalla
Grande Muraglia cinese, che non
è riuscita ad impedire l’invasione
per la quale era stata edificata,
ai muri dell’Hortus Conclusus,
che racchiudeva, proteggendola,
la vita cortese e di meditazione
conventuale che lì si svolgeva
nel Medioevo. Il Muro diventa
quindi una difesa di valori intellettuali ed estetici, dei giardini del
Rinascimento e parallelamente le
mura di costrizione razziale dei
ghetti. Il muro è anche il rappresentante della domesticità nelle
pareti divisorie delle nostre case e
si contrappone ai recinti dei Campi di Concentramento dove si è
compiuto il più disumano degli
accadimenti del secolo passato.
I Campi, come le trincee sono
protetti da recinti di filo spinato,
a volte elettrificato per segnare un
“limite invalicabile” (termine ancora usato per le proprietà dell’esercito) tra la libertà che attiene al
libero arbitrio dell’individuo e la
violenza del potere statuale” (da
un mio testo del 2012 di analogo
contenuto). La collocazione dei
muri di Charap appartiene allo
stesso comune genere mimetico, infatti sia ad India che nella
Vetrina potranno sembrare non i
raffinati lavori d’arte che sono, ma
affioramenti di pietre dopo una
perdita di intonaco che al visitatore sprovveduto potranno apparire
come frutto di un recente sisma.
In due luoghi diversi di Fiesole:
Sensus Vetrina in piazza Mino
accanto al Ristorante Vinandro e il
Ristorante India, in via Gramsci
12
DICEMBRE
2015
pag. 13
Barbara Setti
twitter @Barbara_Setti
di
I
l termine sentiment deriva dal
gergo finanziario e significa
originariamente, in borsa,
l’umore dominante nella giornata
tra gli operatori e l’andamento del
mercato che ne deriva. In rete il sentiment si può definire come il pensiero degli utenti espresso sul web
nei confronti di prodotti, servizi,
brand, ecc. Il web sentiment viene
analizzato e ascoltato per rilevare le
opinioni degli utenti e catalogare
le loro opinioni suddividendole,
appunto, per brand, prodotti, ecc.
Travel Appeal, startup fondata nel
2014 da Mirko Lalli e incubata
in H-Farm, ha appena pubblicato
l’analisi dei 25 più importanti
musei italiani, analizzandone il
web sentiment o, più efficacemente, guardandoli con gli occhi dei
visitatori.
È comparato il monitoraggio dal
30 novembre 2013 al 30 novembre 2014 con quello 2014/2015,
analizzando sostanzialmente tutti i
canali social: tripadvisor, facebook,
google+, foursquare, yelp.
I contenuti analizzati sono cresciuti
da quasi 25 mila a più di 28 mila e
si nota sempre più forte la presenza
di tripadvisor, che dal 66% (15.941
contenuti) del 2013/2014 sale
al 92% del 2014/2015 24.453),
soprattutto a discapito di facebook
(da 7.496 nel 2013/2014 a poco
più di mille nel 2014/2015). Il
resto è molto minoritario e statico,
a parte google+ che triplica i contenuti (da 223 del 2013/2013 a 643
del 2014/2015).
La valutazione globale di soddisfazione su tutti i canali è costante e si
aggira sul 79%.
I giudizi più alti, sostanzialmente
uniformi nei due periodi analizzati,
sono relativi alle impressioni generali, cioè la percezione del museo
e l’esperienza nel suo complesso
(80%), come vengono percepiti
gli spazi, in termini di sale, mostre,
percorsi, segnaletica, illuminazione, pulizia (81%), la posizione e
l’accessibiltà dei luoghi (84%).
Cresce l’apprezzamento sui servizi
di ristorazione, che passa da un non
lusinghiero 65%, considerando che
siamo in Italia, al 77%. E qui apro
una parentesi. Senza arrivare agli
chef stellati di musei come il Gugghenheim di Bilbao, il Museum
of Modern Art di New York o il
Rijkmuseum di Amsterdam, spesso
nei nostri musei la ristorazione o i
bar sono tristi autogrill.
I sentiment
di un museo
Calano anche se di poco i giudizi
sui servizi (bagni, servizi tecnologici
di comunicazione, wi-fi, ecc.) da
61% a 59%, scende di 10 punti, da
un bell’80% al 70%, la percezione degli eventi interni (attività
didattiche, laboratori, corsi, presentazioni), crolla il giudizio sulla
percezione dell’accessibilità e delle
infrastrutture (parcheggi, percorsi,
ascensori, ecc.), da un 78% a un
non lusinghiero 65%. Immaginando che in un anno la situazione,
nei musei, non sia molto cambiata,
propendo piuttosto a ritenere che
il pubblico sia sempre più esigente, perchè abituato a viaggiare e
a richiedere sempre di più quelli
che si possono considerare servizi
essenziali.
Rasenta a stento la sufficienza il
giudizio sui costi. In una recente
intervista Mirko Lalli evidenzia
come, rispetto alla media dei musei
occidentali, quelli italiani non siano
affatto tra i più cari e che, quindi,
si tratti piuttosto di una cattiva o
non adeguata comunicazione e
percezione del valore del museo.
Sono perfettamente d’accordo con
questa analisi, che si collega con
quanto sopra rispetto ai servizi
essenziali. Credo anche che i Musei
italiani siano pensati, e parlo dei
principali come quelli analizzati da
questa ricerca, solo per i turisti, sia
interni che esterni, e pochissimo
per i residenti, ad esclusione di
quelli in età scolare. Se è pur vero
che recentemente si sono fatti passi
avanti in questo senso, con le domeniche gratuite, mi chiedo perché
non si riesca a pensare e a istituire,
per esempio, una card per residenti,
che a fronte di un pagamento annuo, consenta di entrare nei musei
quante volte si vuole. Per il gusto
di andare a vedere una sola opera,
per fare una passeggiata dentro un
museo e non in un centro commerciale, per considerare il Museo parte
della città come una strada, una
facciata, una chiesa o una statua.
Come dice Alan Bennet in quello
splendido libriccino che è Una visita guidata, “[nella National Gallery]
la gente viene qui per le ragioni più
varie: per rilassarsi un po’, o per
ripararsi dalla pioggia, o per guarda-
TRAVEL APPEAL
INFOGRAPHIC
25 importanti musei italiani
visti con gli occhi dei visitatori.
I DATI ANALIZZATI
24 Mesi
PERIODO
MONITORATO
Fino al 30 Novembre 2015
comparato con i 12 mesi precedenti
CANALI
ANALIZZATI
30 Novembre 2014
29 Novembre 2013
30 Novembre 2015
CONTENUTI
ANALIZZATI
28.106
29 Novembre 2014
24.880
(Il 66,26% proviene da TripAdvisor)
24.453 (Il 92,04% proviene da TripAdvisor)
15.941
7.496
1.024
223
643
313
310
87
135
>
>
79,57%
79,01%
SODDISFAZIONE GENERALE
DEI VISITATORI
Sentiment complessivo attuale valutato in 12 mesi su tutti i canali
re i quadri, o magari per guardare
le persone che guardano i quadri”.
A proposito, la National Gallery è
gratuita, ma questo sarebbe tema
per un altro articolo.
SENTIMENT
Il Museo che raggiunge
DETTAGLIO l’indice più
elevato di sentiment è il fiorentino
80,51%
79,59%
Museo
Nazionale del Bargello,
con
il 94,14%, seguito dalla Galleria
Nazionale
e
75,22% dell’Umbria (90,51%)
74,63%
dalla Reggia di Caserta (90,44%).
Il primo
museo archeologico
è
81,05%
81,07%
quello di Taranto, all’ottavo posto
con quasi l’86%, il primo di arte
contemporanea
il MART al 79,65%
sesto,
70,03%
il Museo Nazionale del Cinema di
Torino 59,08%
al quinto posto. Al61,29%
decimo
posto il primo museo scientifico, il
MUSE di Trento, al quattordicesi65,02%
78,01%
mo la prima
area archeologica,
che
è quella di Paestum.
Se si84,63%
fa un confronto con i primi
84,42%
5 musei nazionali più visitati
nel 2014 (Circuito Archeologi65,66%
77,03%
co “Colosseo,
Foro Romano
e
Palatino”, Museo degli Uffizi, Scavi
di Pompei,
Galleria dell’Accade51,32%
50,03%
mia e Museo Nazionale di Castel
Sant’Angelo) - le cui statistiche
sono recentemente
uscite sul sito
MUSEI & SENTIMENT
del MIBACT - sono presenti
nell’indice di Travel Appeal solo gli
Uffizi, al 21mo posto. Nell’elenco
del Ministero il Bargello è al 29mo
posto, come numero di visitatori, la
Galleria Nazionale dell’Umbria non
è nei primi 30, la reggia di Caserta,
30 Novembre 2014
30 Novembre 2015
DISTRIBUZIONE DEI GIUDIZI
PER SENTIMENT
Giudizi Positivi
rilevati nei contenuti
30 Novembre 2014
29 Novembre 2013
29 Novembre 2014
Giudizi Negativi
rilevati nei contenuti
29 Novembre 2013
30 Novembre 2015
29 Novembre 2014
IMPRESSIONI
GENERALI
Giudizi orientati alla percezione generale dei musei
e alla valutazione dell’esperienza nel complesso.
ACCOGLIENZA
Giudizi sulla percezione dell’accoglienza: personale,
assistenza, biglietteria, code, guide, folla, attesa, ecc.
SPAZI
Giudizi sulla percezione degli spazi: sale, mostre, percorsi, allestimenti,
illuminazione, segnaletica, pulizia, luoghi interni, luoghi esterni, ecc.
ATTIVITÀ
& EVENTI
Giudizi sulla percezione degli eventi interni: laboratori, attività
didattiche, corsi, presentazioni, ecc.
SERVIZI
Giudizi sulla percezione dei servizi: bagni, serv. tecnologici, di
comunicazione, di climatizzazione, wifi, bookshop, guide, ecc.
ACCESSIBILITÀ
Giudizi sulla percezione dell’accessibilità e delle infrastrutture:
percorsi, parcheggi, ascensori, pedane, trasporti, ecc.
POSIZIONE
Giudizi sulla posizione e raggiungibilità dei luoghi.
RISTORAZIONE
Giudizi sulla percezione qualitativa della ristorazione interna ai
musei: bar, ristoranti, caffetterie, ecc.
COSTI
Giudizi sulla percezione dei costi riferiti ai biglietti d’ingresso e all’acquisto
di servizi e prodotti interni ai musei (ristorazione e bookshop).
94,14%
90,51%
90,44%
90,05%
88,05%
87,97%
86,33%
85,81%
85,76%
85,54%
84,06%
83,37%
82,99%
81,71%
81,61%
80,77%
79,50%
78,20%
77,96%
77,61%
77,50%
77,41%
77,31%
73,01%
Museo Nazionale del Bargello
Galleria Nazionale dell'Umbria
Reggia di Caserta
Galleria Estense
Museo di Capodimonte
Museo Nazionale del Cinema di Torino
MART - Museo di Arte Moderna e Contemporanea
Museo Nazionale Archeologico di Taranto
Palazzo Reale di Genova
MUSE - Museo delle Scienze
Palazzo Ducale di Mantova
Palazzo Reale di Torino
Galleria Borghese
Parco Archeologico di Paestum
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea
Pinacoteca di Brera
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
Galleria Nazionale d'Arte Antica in Palazzo Corsini
Gallerie dell'Accademia di Venezia
Museo Archeologico di Napoli
Galleria degli Uffizi
Galleria Nazionale d'Arte Antica in Palazzo Barberini
Galleria Nazionale delle Marche
Musei Vaticani
assieme al circuito monumentale
Vanvitelliano (Palazzo Reale, Parco
e Giardino all’inglese), all’11mo.
Da questi numeri l’idea che mi
sono fatta è che i visitatori che
lasciano traccia, che parlano della
loro visita al museo, sono visitatori
consapevoli, autonomi, che forse
viaggiano meno in gruppo o in
gruppi organizzati. Che, insomma,
decidono e si scelgano la visita,
creandosi un loro itinerario in autonomia, secondo traiettorie meno
mainstream e massificate dei grandi
musei. Provo così a spiegarmi, per
esempio, il podio della ricerca di
Travel Appeal. Stupisce tuttavia che
nella classifica di Travel Appeal non
ci sia la Venaria Reale o l’Egizio di
Torino. Non mi stupisce invece
l’alto livello in classifica dei musei
non artistici o non archeologici,
oppure di arte contemporanea: è da
tempo noto che sono i più attivi nei
canali social.
E qui veniamo all’ultimo punto.
Quasi tutti i musei (92%) hanno
un sito web attivo, molti (rispettivamente il 64% e il 52%) usano
facebook e twitter, molto pochi
gestiscono le loro immagini (solo
il 24% su instagram, 12% su
pinterest), un po’ meglio (44%) su
youtube.
Ma, mi chiedo, cosa servono queste
pagine, se le recensioni con risposta
sono lo 0,02% con una media di 6
giorni per rispondere?
Non penso a raffinatezze come i
recenti nuovi video su youtube del
British Museum o alla serie Angel
Trail della National Gallery di Londra (a proposito, il direttore è un
italiano, si chiama Gabriele Finaldi), ma all’idea che la gestione dei
canali social diventi parte integrante
della gestione di un museo. Le cose
si stanno comunque muovendo,
al di fuori dei canali istituzionali,
basti pensare a #svegliamuseo, per
fare solo un esempio. Oppure, che
fine hanno fatto i terribili @Bronzo
A e @Bronzo B, che per un certo
periodo cinguettavano senza sosta
per parlare dei Bronzi di Riace nel
nuovo museo di Reggio Calabria?
Presenza, attenzione, cultura della
rete, contenuti e continuità, se
devo pensare alle parole chiave che
spessissimo mancano, in quella che
dovrebbe essere la redazione social
di un museo. E ricordarsi che si è lì
per i visitatori, a loro disposizione,
per incuriosirli, interessarli e soprattutto parlare con loro. Si chiama
engagement, se fatto bene funziona,
eccome.
Bizzaria
degli
oggetti
12
DICEMBRE
2015
pag. 14
Cristina Pucci
[email protected]
a cura di
Barella
Dalla collezione di Rossano
C
onsiderando che per
Barella, diminutivo di
bara, si intende “un
piano di assi fra due stanghe
per trasportare chicchessia”,
quella acquistata da Rossano
ne è una versione elegantissima. Databile intorno al 1920,
in legno curvato e con la
seduta e lo schienale di “paglia
di Vienna”, mantiene sul retro
uno “chicchissimo” contrassegno di fabbrica “Carter,Invalid
Chair Maker, London”. La
Carter è rimasta attiva fino al
1954, vi allego una immagine
illustrativa dei suoi prodotti
conservata in un Museo Londinese, fra essi riconoscibile
il nostro modello. E’ proprio
questo marchio di fabbrica che ci permette di non
ritenerla una “portatina”, oltre
forse alla sua struttura abbastanza semplice, le portantine
erano infatti decorate e spesso
sormontate da bellissimi ed
elaborati abitacoli e, forse
anche erano state dismesse
all’inizio del ‘900.
Il primo strumento usato per
trasportare i malati, almeno
qui da noi a Firenze, si chiamava “zana” ed era una specie
di gerla da mettersi sulle
spalle nella quale si infilava il
malcapitato sofferente. Ad essa
fece seguito il “cataletto”, una
specie di cassone cui erano
fissate due pertiche.
Michele Rescio
[email protected]
di
Togliamo i semi dell’anguria e
tagliamola a pezzi. Laviamo e
tagliamo i pomodori. Mettiamo il pomodoro a pezzi in una
casseruola con un po’ d’acqua e
portiamo a ebollizione. Lasciamo
a fuoco medio fino a quando il
pomodoro è cotto. Passiamo i
pomodori e l’acqua che è stata
rilasciata dallo schiacciapatate.
Mettiamo da parte la salsa di
pomodoro ottenuta. Mescoliamo
la salsa di pomodori con l’anguria
tagliata a pezzi. Mettiamo da parte
un po’ di anguria per la decorazione. Aggiungiamo le foglie di
basilico e i cubetti di ghiaccio.
Sbattiamo tutto bene fino a ottenere la consistenza desiderata.
Serviamo in una ciotola ben
Nel 1244 nasce infatti, a
Firenze, la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia,
prima istituzione di soccorso
organizzato, di ispirazione
cristiana per cui la cura ed
il soccorso agli ammalati
erano visti come opera di
carità volontaria ed anonima.
Per mantenersi sconosciuti i
“confratelli” indossavano un
tonacone corredato da un
terrifico cappuccio nero con
due fori per gli occhi detto
buffa, dismesso nemmeno da
tanto visto
che gli “uomini neri” sopravvivono nei miei spaventati
ricordi infantili. In visita alla
Casa di Garibaldi a Caprera
rimasi colpita dalla bellezza
retrò della sedia a rotelle che
troneggia nell’atrio e accoglie
i visitatori, gli fu donata dal
Comune di Milano nel 1880,
è così che ho appreso della sua
forzosa immobilità senile, causata dalla ferita ad una gamba
e, dicesi, dall’artrite reumatoide. Non circolano facilmente
notizie sulla fragilità, sia pure
acquisita, dei Supereroi!
Zuppa di cocomero
fredda con i pezzetti di anguria,
guarniamo con foglie di basilico
e condiamo con un filo d’olio
d’oliva, sale e pepe macinato al
momento.
Ingredienti:
1 anguria
600 g pomodori maturi
Cubetti di ghiaccio
Foglie di basilico e olio al basilico
Pepe, olio e sale.
12
DICEMBRE
2015
pag. 15
Scottex
Aldo Frangioni presenta
L’arte del riciclo di Paolo della Bella
Il cappio di carta o citazione da L’origine
du monde di Gustave Courbet: scegliete
Scultura
leggera
47
Dopo il successo registrato al
Teatro Argentina di Roma e
quello al Teatro dell’Opera di
Firenze con quasi 1.000 spettatori
paganti, torna in scena in Toscana
Eneide di Krypton – un nuovo
canto, al Teatro Verdi di Pisa,
l’11 e 12 dicembre alle 21, grazie
alla programmazione congiunta
fra Teatro di Pisa e Fondazione
Toscana Spettacolo onlus, la quale
con questa scelta coniuga concretamente il rapporto fra teatro e
musica, così come indica il nuovo
decreto ministeriale.
Eneide è infatti un importante
esempio di come l’estetica teatrale
innovativa e la musica insieme
costituiscano una vera e propria
tessitura drammaturgica.
Dal vivo Gianni Maroccolo, Antonio Aiazzi e Francesco Magnelli
eseguono le musiche, mentre i
tre performer Martina Belloni,
Giorgio Coppone e Marta Tabacco
agiscono la scena virtuale generata
dalla figura di Giancarlo Cauteruccio, regista/attore, che attraverso la
sua particolare narrazione si pone
come deus ex machina.
L’opera teatrale, in questa lettura
registica, fonda la sua posizione
Un nuovo canto dell’Eneide
poetica e politica sulla considerazione di Enea, eroe sacro, come
rappresentante -forse- del primo
migrante della storia, fuggito da
Troia per approdare sulle coste
latine, portando con sé una nuova
civiltà che sarà destinata a segnare
fortemente l’occidente partendo
dalla fondazione di Roma.
Uno spettacolo che risulta essere
di cocente attualità in questi tempi
segnati dall’emergenza e dalla
paura, come ben analizza Giuliano
Compagno nel libro Epica di un
migrante (Iacobelli Editore), scritto su Eneide di Krypton, lanciando un forte segnale di riflessione
verso le nuove generazioni.
lectura
dantis
12
DICEMBRE
2015
pag. 16
Canto XII
Disegni di Pam
Testi di Aldo Frangioni
Dante e Virgilio entrano nella selva dei suicidi, i dannati sono tramutati in alberi, dove le Arpie fanno il loro
nido, incontrano un illustre personaggio che si è tolto la vita e rocconta di tanti altri che nel periodo di crisi
economica, anche per colpa dei banchi, hanno disperatamente fatto analogo estremo gesto
Le figlie di Taumante e dell’Elettra,
appollaiate sopra strane piante,
feronci na’ paura maledetta.
Esseri dall’aspetto ributtante
faceano nido sopra degli arbusti,
da lì venia un grido attorcigliante.
Per timore bloccai li passi giusti,
pensai che lui pensò che io pensassi
ch’omini si celassero nei fusti,
e lo Maestro a me “Se tu tagliassi
dagli alberi un picciolo rametto,
lo pensier tuo più chiaro esso si fassi”.
E così feci, con un colpo netto.
E il legno si lagnò dello mio gesto:
“Non hai pietà per me che son negletto”
e raccontammi, con vociare mesto,
che s’era, di sua volontà, la vita tolto.
La stessa cosa fè l’inter foresto:
come quest’artigian d’usura colto,
o l’altro ancor colpito da gabella,
e di recente il bosco è ancor più folto
a molti si tagliò sua vita bella
gente che potea campa’ senza penuria,
a causa d’un banco perse la cervella
per la mala finanza dell’Etruria
dove i fiorini eran fatti di carta.
Così fine venne dolor, non la goduria.
in
giro
12
DICEMBRE
2015
pag. 17
Un tè da Ristori
Toscana del ‘900
la Toscana dell’arTe
Teatro di Villa Torlonia
domenica 13 dicembre 2015, ore 17.00
Modigliani,Viani, soffici, rosai
e gli alTri grandi MaesTri nella Toscana del ‘900
OUTSTANDING
installazione di luce di Fabrizio Crisafulli
12 - 13 dicembre 2015
Inaugurazione: sabato 12 dicembre - ore 18,00
Orario domenica 13 dicembre: 10-13/16-19,30
IL TEATRO DEI LUOGHI
LO SPETTACOLO GENERATO DALLA REALTA’
presentazione del libro di Fabrizio Crisafulli
con Fabrizio Crisafulli, partecipano:
Dario Evola (Accademia di Belle Arti, Roma)
Raimondo Guarino (Università RomaTre, Roma)
Bjørn Laursen (Università di Roskilde, Danimarca)
Silvia Tarquini (edizioni Artdigiland)
Coordina Paolo Ruffini
ingresso libero fino ad esaurimento posti disponibili
Il giorno di Santa Lucia, protettrice della vista e della luce, Fabrizio Crisafulli, di ritorno dalla Danimarca, dove ha
ricevuto la laurea ad honorem per la sua ricerca teatrale all’Università di Roskilde, espone il suo innovativo
approccio al teatro con un’istallazione di luce intitolata Outstanding e la presentazione del volume Il teatro dei
luoghi. Lo spettacolo generato dalla realtà (Artdigiland, 2015). Interverranno con lui Dario Evola (Accademia di
Belle Arti, Roma), Raimondo Guarino (Università RomaTre, Roma), Bjørn Laursen (Università di Roskilde,
Danimarca) e Silvia Tarquini (edizioni Artdigiland), coordinati da Paolo Ruffini.
Il volume analizza i caratteri e le modalità operative di quel particolare tipo di ricerca che Crisafulli, noto anche
come filosofo della luce, ha chiamato “teatro dei luoghi”, a oltre vent’anni dalla sua prima formulazione,
descrivendo, attraverso riflessioni ed esempi concreti, gli sviluppi di un modo radicalmente nuovo di concepire e
fare il teatro. Il “luogo” e l’insieme delle relazioni che lo costituiscono vengono assunti come matrici
della creazione teatrale, in tutti i suoi aspetti: la drammaturgia, il corpo, la parola, lo spazio, la luce, il suono, la
tecnica. Il testo fa definitivamente chiarezza sul fatto che il “teatro dei luoghi” – nell’uso comune a volte inteso (e
frainteso) semplicemente come teatro che si svolge fuori dagli edifici teatrali – non è definito dallo spazio dove si
realizza lo spettacolo, ma dall’idea stessa di “luogo” e dal modo specifico in cui il lavoro si relaziona al sito, in
qualsiasi posto si svolga.
Fabrizio Crisafulli, architetto di formazione, è regista teatrale ed artista visivo. Con la sua compagnia, e come autore di
installazioni, svolge la propria attività in Italia e in ambito internazionale. Il suo lavoro è incentrato sulla ricerca delle necessità
e motivazioni comuni del teatro, della danza e delle arti visive, in direzione di un’unità poetica. Aspetti peculiari del suo lavoro
sono l’uso della luce come soggetto autonomo di costruzione drammaturgica e il teatro dei luoghi, ricerca, quest’ultima, che
affianca alla produzione per il palcoscenico. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma. Svolge, in Italia e all’estero, attività
pedagogica e laboratoriale presso università, accademie, festival e istituzioni teatrali. Tra le sue pubblicazioni, il volume Luce
attiva. Questioni della luce nel teatro contemporaneo, Titivillus, 2007, tradotto in inglese e francese (Artdigiland, 2013 e 2015).
Informazioni e approfondimenti: http://fabriziocrisafulli.org/
TEATRO DI VILLA TORLONIA Via Lazzaro Spallanzani, 1A 00161 Roma tel. 06 4404768 – 060608
[email protected]
UFFICIO STAMPA Carla Romana Antolini 393 9929813 [email protected]
Amedeo Modigliani, Portrait de Simone, 1915.
Sarà possibile acquistare le opere esposte
Franco Ristori - Via F. Gianni, 10-12r - 50134 Firenze - T. +39 055 48.63.92 - www.francoristori.com - [email protected]
L
immagine
ultima
12
DICEMBRE
2015
pag. 18
Dall’archivio
di Maurizio Berlincioni
[email protected]
Q
uarantamila e più, è quel dice la fascia di un’altra giovane donna, decisamente arrabbiata, che mostra la sua lingua spavalda ai nostri
obiettivi. In realtà a giudicare dalla massa di gente che si era radunata per le strade del centro questa cifra era sicuramente approssimata per difetto. Non ero il solo a fotografarla mentre eravamo al bordo esterno di questa folla di giovani e meno giovani accorsi da tutte
le parti della città e diretti verso il Central Park per dimostrare tutta la loro rabbia contro questa guerra asiatica così poco amata. Queste
manifestazioni stavano raccogliendo, col passare del tempo, un consenso sempre più ampio e decisamente sempre più trasversale.
NY City, agosto 1969
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