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53-72 PERINI, SALVATI II bozza:orientamento I bozza

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53-72 PERINI, SALVATI II bozza:orientamento I bozza
Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
AREE URBANE E CAMBIAMENTI
CLIMATICI: SOSTENIBILITÀ
O INSOSTENIBILITÀ?
di Luigi Perini*, Luca Salvati**
L’articolo illustra quali linee adottare per garantire lo sviluppo equilibrato
delle aree urbane senza sottovalutare gli effetti dei cambiamenti climatici e l’uso
del suolo.
This article outlines the different aspects and necessities of a balanced growth of
urban areas in order to minimize climate change and land consumption.
I
centri urbani, in particolare quelli con un numero di abitanti
superiore alle 500.000 unità, si caratterizzano per condizioni
climatiche significativamente diverse rispetto ad altri contesti
ambientali più o meno naturali. Complessivamente, le aree
urbane, molto spesso densamente abitate e degradate, rappresentano appena lo 0,2% della superficie della Terra dove però si
concentra il 47% della popolazione mondiale; in Europa la quota
di popolazione urbanizzata sale addirittura al 73% (Matzarakis
et al., 2007).
La crescente espansione delle aree urbane ed i profondi effetti
che ne derivano sull’atmosfera, hanno stimolato una crescente
attenzione verso lo studio del clima urbano, dei fenomeni
meteorologici ad esso correlati, della biologia, chimica e qualità
dell’aria. Dato il rilevante numero di persone interessate e le
notevoli ricadute sul benessere umano, lo studio del clima urbano e periurbano può essere ormai considerato una branca specialistica della climatologia. Le conoscenze che possono derivare
da questi studi sono necessarie per implementare i modelli di
previsione del tempo, di qualità dell’aria, nonchè per supportare la progettazione di insediamenti abitativi più efficienti sotto il
profilo della sostenibilità ambientale, più razionali in termini di
consumi di energia, di acqua e di rilascio di inquinanti.
* Direttore unità di ricerca C.M.A - C.R.A.
** Ricercatore R.P.S. - C.R.A.
SILVÆ - Anno VI n. 14 - 53
Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
Gli aspetti peculiari del clima urbano sono determinati in prevalenza dagli effetti della cosiddetta “isola di calore urbana“
o “Urban Heat Island” (UHI) che configura l’ambiente urbano come un’ “isola bioclimatica” in quanto luogo di peculiari
eventi meteo-climatici, non solo termici. L’UHI trae origine da
diverse cause concomitanti ma, in particolar modo, dalla percentuale di albedo espressa dalle superfici urbane, dalla capacità termica dei materiali che ricoprono il suolo e le strutture
della città, dalla conformazione e dall’orientamento delle
costruzioni in rapporto alla direzione e velocità del vento,
dalla riduzione parziale o totale delle superfici evaporanti.
Tutto ciò contribuisce a formare una sorta di cupola di calore,
alta generalmente 150-200 metri che, soprattutto nei mesi
invernali e nelle ore notturne, determina una vera e propria
“inversione termica in quota” (Fig.1). In aggiunta alle cause
strutturali dell’UHI, intervengono anche fattori di produzione attiva di calore come, ad esempio, gli impianti di climatizzazione (soprattutto per il riscaldamento delle abitazioni nei
mesi invernali), il traffico veicolare e le correlate produzioni
di gas combusti ed incombusti, nonché le attività metaboliche
dei residenti.
Negli anni più recenti, alla città “compatta”, caratterizzata da
un centro e da un tessuto periferico circostante, si è contrapposto il modello insediativo di città “diffusa”. In questo caso
le problematiche emergenti sono connesse essenzialmente
all’elevato grado di frammentazione abitativa che, in risposta
all’aumento delle distanze medie percorse, necessità di infrastrutture sempre più grandi ed invasive. Oltre alle ricadute
sulla qualità della vita e all’impatto paesaggistico, un tale sviluppo urbano comporta rilevanti oneri di funzionamento
dovuti, ad esempio, alla compromissione/distruzione delle
risorse naturali, agli elevati costi per la mobilità sia collettiva
che privata, nonché alla manutenzione edilizia e degli spazi
urbanizzati. Questo articolo intende, pertanto, proporre una
riflessione sui possibili impatti del cambiamento climatico
sulle aree, sempre più vaste, della periurbanizzazione mediterranea e sui possibili effetti che tale fenomeno ha sulle
variazioni climatiche a scala locale.
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
Il bilancio termico nelle aree urbane
L’energia radiante emessa dal sole che raggiunge la superficie
della Terra è fondamentalmente costituita da radiazioni elettromagnetiche ad onda corta. Una parte di essa viene assorbita e
poi riemessa sotto forma di radiazione ad onda lunga (infrarosso, ovvero termica) nell’atmosfera. L’aria, quindi, viene riscaldata principalmente dalle emissioni del suolo e non direttamente
dal sole. Nel caso di una superficie naturale, come ad esempio
un prato, il bilancio termico è dato dai seguenti elementi:
Q+H+E+G=0
Figura 1 - Immagine fotografica (a sinistra) e immagine termica (a destra) di un centro densamente urbanizzato (Tokyo) in continua espansione. L’immagine termica è stata ripresa nel mese di ottobre nel tardo
pomeriggio. (fonte: http://publish.uwo.ca/~javoogt/index.htm)
dove Q è la radiazione netta in tutte le lunghezze d’onda, H è il
calore sensibile, assorbito o trasmesso dall’aria o dalla superficie
del suolo nel corso di una variazione di temperatura, E è il calore latente, rilasciato o assorbito durante un cambiamento di stato
dell’acqua (ad esempio, l’evaporazione comporta assorbimento
di energia, mentre la condensazione comporta un rilascio di
energia), G è il calore trasmesso per conduzione dal terreno.
Il bilancio termico di una zona urbana risulta invece più complesso per la presenza di edifici e di altre particolari strutture. Il
bilancio termico deve pertanto comprendere almeno un termine
aggiuntivo (Qp) per considerare gli scambi di calore con le
superfici di strade e muri ed un ulteriore termine (Qf) per rapSILVÆ - Anno VI n. 14 - 55
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presentare il calore di induzione antropica generato dalla combustione di combustibili fossili:
Q + Qp +H + E + Qf = 0
Nelle suddette schematizzazioni sono ignorati gli apporti di
calore dovuti a fenomeni di avvezione. Tuttavia, se si assume
che una città è piuttosto uniforme per quanto riguarda tipo ed
uso del suolo, allora il fattore avvettivo è effettivamente trascurabile.
Si consideri, inoltre, che la vicinanza alla città di poli industriali,
soprattutto se di grandi dimensioni, è fonte di importanti emissioni (e quindi di accumulo) di calore. Gli impianti siderurgici,
ad esempio, irradiano mediamente ogni giorno nell’atmosfera
urbana quattro volte più energia della radiazione solare in entrata. Allo stesso modo, nei mesi invernali il riscaldamento domestico emette ulteriore energia nell’atmosfera urbana, mentre la
diffusione degli impianti di climatizzazione aggiunge un altro
carico di calore all’aria già surriscaldata dell’estate. Tutto ciò
determina un effetto sinergico nel consolidare il fenomeno dell’isola di calore anche in aree più lontane dal vero e proprio centro abitato (aree periurbanizzate).
Figura 2 - Bilancio termico in ambiente naturale e in area urbana
Non va dimenticato, inoltre, che la maggior parte dei materiali
utilizzati per costruire una città sono caratterizzati da elevata
conducibilità termica. In presenza di un differenziale termico fra
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
l’esterno e l’interno di un edificio, si instaura un flusso di calore
(in genere misurato in W) che attraversa lo spessore delle mura
da una superficie all’altra (dall’esterno verso l’interno e/o viceversa). Una città, quindi, si raffredda più lentamente durante la
notte di un’area non urbana. I materiali edili, inoltre, sono caratterizzati anche da elevata emittanza termica o potere di irraggiamento (in genere misurato in J), ovvero la capacità di una
superficie di accettare o rilasciare calore.
Il bilancio termico delle aree urbane è influenzato sensibilmente
dalla forte concentrazione di motori endotermici (mezzi di trasporto, dispositivi di climatizzazione, macchinari di produzione
industriali, etc.) dai cui processi di combustione derivano emissioni di gas ad “effetto serra”, ovvero sostanze che immesse in
atmosfera sono in grado di alterare lo scambio termo-radiativo
con la superficie terrestre e, quindi, di modificare l’equilibrio termico finale. La crescente domanda di trasporto urbano, in particolare nel modello di città diffusa, comporta una crescita significativa di emissioni con riflessi a scala locale e anche globale. Nel
2005, ad esempio, le emissioni dei trasporti hanno rappresentato
circa il 20% delle emissioni di gas serra nell’Unione Europea
(UE-25). Il trasporto su strada è responsabile del 93% di tutte le
emissioni dei trasporti con i suoi circa 900 milioni di tonnellate
di CO2. Nella UE-25, il numero di chilometri su strada di passeggeri è aumentato del 26% tra il 1990 e 2002, vale a dire molto
più dell’incremento del PIL nello stesso periodo. Il numero di
automobili è aumentato del 35% avvicinandosi a una media di
quattro macchine per 10 persone nella UE-15. La domanda per il
trasporto di merci (responsabile di circa un terzo delle emissioni
dei trasporti) è aumentato ancora più velocemente nello stesso
periodo, con un numero di tonnellate di merci per chilometro in
crescita del 36%. Anche se le emissioni sono state in qualche
modo mitigate da un aumento di efficienza dei motori, le emissioni di CO2 da trasporto su strada sono aumentate del 18%
(István, 2010).
Nella Tabella 1 viene mostrato, per alcuni Paesi dell’EU, un confronto fra emissioni di CO2 e altre variabili connesse allo sviluppo urbano e alla dinamica demografica: i valori esprimono in
percentuale le variazioni intercorse tra il 1990 ed il 2000. In geneSILVÆ - Anno VI n. 14 - 57
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rale, si può notare una certa concordanza e proporzionalità fra
l’aumento di emissioni, l’espansione urbana e la ricchezza procapite, mentre la crescita della popolazione si presenta meno
direttamente rapportata alla maggiore produzione di emissioni.
Alcuni elementi caratteristici del clima urbano
Le aree urbane sono caratterizzate da una conformazione tridimensionale abbastanza complessa creata dall’insieme di edifici
e strade ad essi interposte. Questi particolari elementi, che
riproducono una sorta di reticolo di “canyon”, influenzano in
maniera particolare l’assorbimento
della
radiazione solare e, quindi, la
temperatura
delle superfici, i
tassi di evaporazione, la conservazione/irradiazione
del
calore e la direzione ed intensità del vento.
L’accostamento
della città alla
struttura
dei
canyon non è
Tabella 1 - Confronto fra variazioni di emissioni (CO2) e di altre varia- casuale. Le strabili nel periodo 1990-2000 per alcuni Paesi membri dell’Unione Eurode delimitate da
pea (István, 2010)
file di edifici da
entrambe le parti riproducono la struttura dei canyon naturali
scavati dai corsi d’acqua. La quantità di radiazione solare ricevuta da un canyon urbano nel suo complesso dipende dall’altezza degli edifici e dall’orientamento della strada. Inoltre, le
proprietà dei materiali utilizzati per la costruzione di edifici e
strade sono importanti, non solo a causa del loro potere di emis58 - SILVÆ - Anno VI n. 14
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sione termica, ma anche in relazione alle loro proprietà di riflettere la radiazione solare (albedo): nel canyon urbano, così come
in quello naturale, si può infatti innescare il cosiddetto fenomeno di “intrappolamento” dell’energia solare (solar trapping)
quando, a causa del reiterato riverbero da una parete all’altra
del canyon, aumenta la frazione di energia assorbita dalle
superfici. In generale, circa il 60% della radiazione netta viene
rilasciato nell’aria sotto forma di calore sensibile e il 30% è
immagazzinato nei muri e strade e appena il 10% viene utilizzato per i fenomeni di evaporazione dagli eventuali spazi verdi
o specchi d’acqua presenti in città (Spronken-Smit et al., 2006).
Queste percentuali variano ovviamente da città a città e da zona
a zona nella stessa città. Le condizioni degli strati più bassi dell’atmosfera risultano pertanto drasticamente modificate rispetto a quelle di altri ambienti più o meno naturali.
La presenza umana e le attività correlate, come già accennato,
producono inoltre ulteriore emissioni di calore, di vapore
acqueo e di sostanze inquinanti con conseguente aggravamento degli effetti sulla qualità dell’aria al di sopra delle città. Su
scale leggermente più ampie, l’urbanizzazione può anche portare a cambiamenti delle precipitazioni sopra e sottovento le
aree urbane. In effetti, l’urbanizzazione altera quasi ogni elemento climatico e meteorologico dell’atmosfera al di sopra
della città e, talvolta, anche sottovento rispetto alla città. Per lo
studio del clima urbano, così come per altri contesti ambientali, occorrono pertanto serie indagini sufficientemente lunghe e
complete di dati provenienti da fonti affidabili e qualificate.
Tutti gli studi confermano che l’isola di calore urbana è più
intensa nelle ore notturne, diminuisce all’aumentare della velocità del vento e della copertura nuvolosa, risulta meno evidente in estate ed i campi di temperatura sono strettamente collegati alla superficie e conformazione degli edifici, al tipo di
copertura/uso del suolo, alla presenza di vegetazione (spazi
verdi urbani) e all’irraggiamento di calore dovute all’attività
antropiche (Giridharan et al., 2004; Jonsson, 2004; Unger 2004).
Ovviamente, al fine di individuare e studiare le caratteristiche
del clima urbano è necessario operare un confronto con un sito
di riferimento (sito “rurale” o “naturale”), in quanto è proprio
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
dalla comparazione tra queste due differenti realtà che è possibile desumere le specificità dell’UHI (Hawkins et al., 2004;
Sakakibara and Owa, 2005). Da un’indagine condotta a Roma
(Stazione del Collegio Romano vs Stazione Aeroportuale di
Ciampino) e Milano (Stazione di Brera-Duomo vs Stazione
Aeroportuale di Linate) è stato evidenziato un comportamento
delle temperature minime e delle temperature massime abbastanza dissomigliante. Per quanto riguarda le prime, le differenze fra i valori registrati in città e fuori città tendono leggermente ad attenuarsi nei mesi più caldi permanendo, tuttavia, in
maniera significativa per tutto l’arco dell’anno. I valori di temperatura massima, invece, risultano maggiormente correlati e
con un andamento quasi coincidente presentando differenze
significative solo per alcuni mesi (Tabella 2). Le ragioni di questi comportamenti risiedono nel fatto che le temperature minime derivano da condizioni termiche espresse dallo strato di
atmosfera più prossimo al suolo, mentre le temperature massime, dipendendo in genere da riscaldamento per convezione e
conseguente rimescolamento di tutta la massa d’aria sovrastante il suolo, sono rappresentative delle condizioni termiche
della troposfera (Beltrano e Perini, 1997). Un discorso analogo
può essere esteso alle temperature invernali rispetto a quelle
estive per il lento rilascio di calore dal suolo e da tutte le altre
superfici presenti nel tessuto urbano. Anche da questo specifico caso si può confermare che nelle ore diurne la differenza tra
le zone urbana ed extraurbana sia trascurabile per poi aumentare gradualmente durante le ore serali e notturne.
Clima e forma città
La procedura analizzata prima, benché risulti essere la più diffusa, non tiene conto della complessa articolazione dell’ambiente urbano e, di conseguenza, del gradiente che si esprime lungo
l’asse di collegamento dal centro della città all’aperta campagna.
Per avere una più circostanziata cognizione di causa, sarebbe
utile distinguere le varie tipologie di ambienti per i quali si
dispone delle informazioni climatiche che poi si andrà a comparare. La procedura di classificazione dei siti si può basare, ad
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Tabella 2 - Coefficienti di correlazione e significatività delle differenze fra temperature di siti
“urbani” e “suburbani” di Milano e Roma (Beltrano e Perini, 1997)
esempio, sul criterio delle Zone Climatiche Locali (LCZ), ovvero
aree relativamente omogenee per quanto riguarda le caratteristiche che ne influenzano le proprietà termiche come, ad esempio,
la frazione di superficie edificata, il rapporto altezza-larghezza
degli edifici (H/W), il fattore di vista cielo (SVF), l’altezza degli
elementi che costituiscono la “rugosità” della superficie (ZH), il
flusso di calore di origine antropica (QF), la superficie di irraggiamento termico (Stewart and Oke, 2009). Il fattore di scala è
fondamentale nel processo di classificazione in quanto la rappresentatività di una stazione meteorologica varia a seconda del
tipo di strumentazione disponibile, delle condizioni all’intorno
della stazione e dalla geometria della superficie (Oke, 2004). Le
misurazioni di temperatura (rilevate in capannina e a 2 m dal
suolo) hanno, infatti, un raggio di rappresentatività abbastanza
ridotto se rilevate all’interno di un’area edificata piuttosto che in
campo aperto. Le dimensioni spaziali delle LCZ sono quindi
variabili in funzione delle condizioni di misurazione imposte dal
sito, anche se l’evidenza empirica suggerisce che l’area di rapSILVÆ - Anno VI n. 14 - 61
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presentatività intorno ad un sensore di temperatura installato in
una zona urbanizzata non si estende al di là di qualche centinaio
di metri.
Nella Fig. 3 si mostra un esempio di classificazione LCZ in cui
sono considerati anche fotografie ed immagini telerilevate dei
siti considerati.
Struttura urbana ed architettura degli edifici giocano un ruolo
basilare nel determinare i vari microclimi che si riscontrano nelle
diverse zone della città e, di conseguenza, anche sul comfort termico percepito dai suoi abitanti. Elementi come l’altezza e la larghezza degli edifici, l’ampiezza e l’orientamento delle strade, la
presenza o meno di verde pubblico, sono elementi che oggi
entrano di diritto nei criteri di progettazione delle aree urbane,
proprio al fine di garantire migliori condizioni di vivibilità nell’ambiente cittadino. Le temperature più elevate che si registrano nell’ambiente urbano rispetto agli ambienti rurali e naturali,
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impongono una riflessione approfondita anche sulle conseguenze del riscaldamento globale (global warming) sulle città. Le
proiezioni relative agli scenari IPCC1 indicano, oltre ad un
apprezzabile aumento della temperatura, anche un aumento
considerevole delle onde di calore (heat wave), sia in termini di
frequenza che di durata ed intensità. In base a ciò, l’ambiente
urbano, risultando più vulnerabile, è destinato a subire le ripercussioni più gravi del cambiamento climatico soprattutto per
quanto riguarda i rischi che ne possono derivare per la salute
umana. Cause principali dell’insorgenza del fenomeno “modificazioni del clima urbano” sono l’aumento di temperatura misurato a livello globale, noto anche come riscaldamento globale
antropogenico (AGW), l’incremento dell’anidride carbonica prodotto dalle attività antropiche, il progressivo processo di inurbamento della popolazione mondiale (Georgiadis, 2008). La meteorologia e la climatologia dell’ambiente urbano non sono soltanto
il risultato della ‘fisica’ che è sottesa alla ripartizione dell’energia
solare sulla superficie terrestre, bensì anche il prodotto di una
‘mediazione culturale’ che investe il modo di concepire e
costruire le città, sia in termini di materiali che di design urbanistico. Fra i criteri utilizzati, sia in fase di progettazione, sia per il
monitoraggio delle diverse condizioni termiche che possono
presentarsi in città, vi è la cosiddetta Temperatura Fisiologica Equivalente (PET)2, un indice funzionale che combina opportunamente temperatura, umidità e ventosità e mediante il quale è
possibile verificare come le condizioni termiche (ed il correlato
“comfort termico”)3 possano variare, non solo da zona a zona a
seconda dei diversi parametri architettonici, ma anche in base
alle stagioni e alle ore della giornata (Johansson, 2006).
1 Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Organismo internazionale delle Nazioni Unite istituito per la valutazione dello stato attuale e dei cambiamenti del clima e delle
potenziali conseguenze ambientali e socio-economiche (http://www.ipcc.ch).
2 Equivale alla temperatura che si avrebbe in un ambiente interno (una stanza) in cui ci fossero le stesse condizioni microclimatiche dell’esterno in base a: temperatura dell’aria (Ta), temperatura media radiante (Tmrt), velocità del vento (V), pressione di vapore (Vp).
3 Il comfort termico viene definito dalla ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating
and Air Conditioning Engineers INC) come una condizione di benessere psicofisico dell’individuo rispetto all’ambiente in cui vive e opera. La valutazione di tale stato soggettivo può
essere oggettivata e quantificata mediante l’utilizzo di indici integrati che tengono conto sia
dei parametri microclimatici ambientali (Ta, Tr, Va, rh), sia del dispendio energetico (dispendio metabolico MET) connesso all’attività lavorativa, sia della tipologia di abbigliamento (isolamento termico CLO) comunemente utilizzato (www.ashrae.org).
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
Nella città di Fez (Marocco), ad esempio, in un quartiere caratterizzato da un rapporto H/W pari a 4 ed un orientamento della
strada est-ovest, la soglia di benessere (PET= 33 °C) è superata
abbondantemente a livello stradale per buona parte della giornata, salvo quelle poche ore in cui il cono d’ombra degli edifici
riesce a riportare i valori di PET nei limiti del comfort termico.
Sotto i porticati, in particolare quelli del lato nord della strada, il
comfort termico rimane invece sempre su livelli di buona vivibilità (Ahmed, 2003). L’esempio evidenzia come alcuni elementi
caratteristici della città, in questo caso i porticati, possano svolgere anche un ruolo funzionale nel mitigare condizioni ambientali altrimenti estreme. Naturalmente, considerata la complessità
dell’intero sistema urbano, è necessario quanto opportuno considerare l’insieme di tutte le componenti architettoniche e di
arredo urbano (rapporto H/W, orientamento delle strade, alberature, etc.) da cui dipende il microclima locale.
Sempre più spesso, quindi, gli studi sull’isola urbana di urbana di calore si avvalgono di dati ad alta risoluzione temporale
(orari e infraorari) che consentono di monitorare eventi meteorologici a scala sub-giornaliera evidenziati da discontinuità
termiche dovute a fenomeni di avvezione, al rapido passaggio
di fronti, a temporali, etc. (Szymanowski, 2005). In tal senso,
anche la geometria degli edifici e la maggiore concentrazione
di aerosol rappresentano le cause che maggiormente concorrono a determinare fenomeni meteorologici peculiari e a marcare le maggiori differenze rispetto alle aree rurali. Un esempio
è dato dagli eventi temporaleschi che diventano molto più violenti quando nella loro traiettoria di spostamento incontrano
una città.
Nella Figura 4 sono mostrate le traiettorie percorse (linee bianche) da alcune celle temporalesche (celle 1, 2 e 3) durante una
forte tempesta che investì la città di Baltimora (U.S.A) nel
Luglio del 2004. Una prima cella temporalesca, in avvicinamento a Baltimora da sud (a partire dalle 18:01), nel raggiungere l’ambiente urbano si suddivise in due parti (cella 1 e cella
2) mentre un altro nucleo (cella 3), in avvicinamento da ovest
rimase unica e non interessò l’abitato. La cella 2, rimasta
intrappolata nella zona sud-occidentale della città per quasi
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
mezz’ora, determinò un
evento particolarmente
violento (tempo stimato
di ritorno di 200 anni)
riproponendo però uno
schema abbastanza consueto per Baltimora
determinato
proprio
dalla particolare disposizione degli edifici che
riesce ad “intercettare”
le perturbazioni provenienti da sud. (Fonte
Alexander
Ntelekos,
Princeton
University
Fig. 4 - Traiettorie di spostamento e sviluppo di un evento temporalesco sulla città di Baltimora (USA) nel mese School of Engineering).
di Luglio 2004 (fonte: Urban Climate NewsQuarterly - L’interazione tra la temwww.urban-climate.org).
pesta e la città, come
nell’esempio riportato, comporta quasi sempre gravi conseguenze per gli abitanti delle città e non pochi problemi ai loro
amministratori. In merito a ciò le osservazioni scientifiche confermano che negli eventi temporaleschi si assiste ad una maggiore piovosità nella parte sottovento della città piuttosto che
nel lato sopravento, anche se le situazioni al contorno (presenza di rilievi, mare, altre città) possono modificare localmente
gli esiti di un evento temporalesco. Oltre all’isola di calore e
alla struttura del tessuto urbano (altezza e disposizione degli
edifici), un terzo fattore può incidere sui fenomeni meteorologici in ambiente urbano: la presenza di aerosol (pulviscolo,
particolato)4, ovvero particelle minuscole sospese in atmosfe4 Con la sigla PM10 si identificano polveri, fumo, microgocce di sostanze liquide in sospensione nell’atmosfera sotto forma di particelle microscopiche, il cui diametro è uguale o inferiore
a 10 µm (10 millesimi di millimetro). Le polveri sottili hanno due ulteriori suddivisioni: fini
(tra 0,1 e 2,5 micron) e ultrafini (inferiori a 0,1 micron). Tutte queste particelle possono essere
immesse in atmosfera tal quali (particelle primarie) o a seguito di reazione in atmosfera di
composti chimici, quali ossidi di azoto e zolfo, ammoniaca e composti organici (particelle
secondarie). Le fonti del particolato possono essere sia antropiche che naturali. Fra le prime si
ritrovano quelle connesse a processi di combustione quali: motori, utilizzo di combustibili
(oli, carbone, legno, rifiuti, rifiuti agricoli), emissioni industriali (cementifici, fonderie, miniere), mentre le fonti naturali sono date dall’aerosol marino, da particelle di suolo eroso e trasportato dal vento, da aerosol biogenici (spore, pollini, microbi), da ceneri di incendi boschivi e di emissioni vulcaniche.
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ra e presenti in concentrazioni particolarmente elevate nelle
aree urbane a causa principalmente delle emissioni industriali
e automobilistiche. Tali elementi, oltre ai danni diretti sulla
salute umana, hanno effetti sulla propagazione ed assorbimento della radiazione solare incidendo sia sulla “trasparenza” dell’aria, sia sui processi fisici di condensazione dell’umidità atmosferica in quanto potenziali nuclei di condensazione
(favorirebbero così la formazione di smog e nebbie). Le opinioni degli esperti sono divergenti sugli effetti degli aerosol,
qualcuno pensa che essi tendano a ridurre le precipitazioni,
altri sono convinti del contrario. Dopo una momentanea battuta di arresto subìta dagli studi sulle precipitazioni in
ambiente urbano (Lowry, 1998), l’utilizzo di nuove tecnologie
ha dato però un nuovo impulso alla ricerca riguardo gli effetti
della città sulla formazione delle nuvole, sulle precipitazioni e
sulle tempeste. Tali tecnologie, come ad esempio il telerilevamento da satellite 5 (Schumacher and Houze, 2000), del
LIDAR6 (Zhou et al., 2004) e del radar Doppler (Russo et al.,
2005), consentono di studiare in maniera dettagliata la precipitazione piovosa sia nei suoi aspetti quantitativi, sia per
quanto riguarda la formidabile variabilità spaziale che la
caratterizza. Tali strumenti e tecnologie, quindi, benché necessitino di attenta calibrazione a terra, si prestano molto bene
allo studio di aree relativamente limitate come, per l’appunto,
possono essere considerate le città. Da tali studi (Souch and
Grimmond, 2006) è stato possibile confermare le intuizioni
precedenti e cioè che l’urbanizzazione ha effetti positivi sulle
precipitazioni attraverso l’incremento dei nuclei igroscopici di
condensazione dell’umidità atmosferica, per via della turbolenza dell’aria dovuta alla maggiore “rugosità” delle superfici,
5 Si fa particolare riferimento al Tropical Rainfall Measuring Mission (TRMM), ovvero una missione spaziale congiunta tra la NASA e la Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA), progettata per monitorare e studiare nello specifico le piogge tropicali. Il termine si riferisce indistintamente sia alla stessa missione, sia al satellite utilizzato per raccogliere i dati. TRMM fa
parte di un progetto di lungo termine per studiare la Terra come un sistema globale. Il satellite è stato lanciato il 27 Novembre 1997 dal Tanegashima Space Center di Tanegashima, in
Giappone e dispone dei seguenti sensori: Precipitation Radar (PR); Microwave Imager (TMI);
Visible and Infrared Scanner (VIRS); Clouds and the Earth’s Radiant Energy System (CERES);
Lightning Imaging Sensor (LIS).
6 Light Detection and Ranging; o Laser Imaging Detection and Ranging è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie mediante un
impulso laser. Consente anche di stimare la concentrazione di particolari elementi in atmosfera.
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
per i moti convettivi causati dalle proprietà e dai differenti
stati termici dei materiali presenti, per la convergenza dei
venti sull’area urbana che possono dar luogo a nuvole “piovose” e per l’apporto di vapor acqueo di origine antropica.
Conclusioni
La città contemporanea (post-urbana) presenta forme di sviluppo, decentramento e diffusione che poco si raccordano alla concezione del passato, principalmente a causa di un diverso fattore di scala oltre che di regole e organizzazione degli spazi
(Choay, 1996). Come evidenziato in questo breve escursus, il
clima urbano presenta caratteristiche tanto peculiari da giustificare un approccio specialistico al suo studio e alla soluzione
delle problematiche connesse alla qualità della vita dei suoi abitanti. Le particolari condizioni ambientali della città non consentono di osservare/misurare le variabili meteo-climatiche secondo gli standard convenzionali raccomandati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM-WMO) e anche gli schemi
“classici” della modellistica meteo-climatologica mal si adattano
all’ambiente cittadino. La ricerca scientifica è pertanto focalizzata sulla comprensione dei processi che determinano il clima
urbano oltre che sugli effetti che ne derivano per i suoi abitanti.
Nelle città la temperatura supera mediamente di 1-2 °C quella
delle aree rurali circostanti; tale peculiarità è particolarmente
evidente nelle ore notturne e in estate quando il differenziale
aumenta sensibilmente riducendo l’escursione termica giornaliera. Nelle città il traffico veicolare, la climatizzazione degli edifici, la qualità dei materiali di copertura (cemento e asfalto) delle
superfici urbane concorrono a surriscaldare l’aria e riducono o
impediscono l’infiltrazione di acqua nel suolo. La rarefazione
del verde, inoltre, associata alla minore ventilazione e al sigillamento dei suoli, riducono in città l’efficacia delle forme di mitigazione naturali. Il cambiamento climatico, oltre a peggiorare le
condizioni di vivibilità nell’ambiente urbano, può aggravare
anche le preesistenti condizioni di inquinamento: l’ondata di
calore verificatasi in Europa nel 2003, evento paradigmatico del
cambiamento climatico, ha avuto nelle città gravi effetti sanitari
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
diretti (Conti et al., 2005). Per porre rimedio agli aspetti negativi
citati, sono necessarie strategie di intervento mirate a migliorare
le condizioni ambientali in città. Le strategie comunitarie e i relativi atti sono riferimenti e strumenti importanti per una politica
nazionale per le città. Tra questi: il Libro Verde “L’adattamento
ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l’UE”; la Strategia tematica sull’ambiente urbano
COM/2004 e COM/2006; la Carta di Lipsia 2007; il VI Programma d’azione ambiente e altri di settore. Strategia energetica europea 20+20+20; l’Agenda 21 e il 5° Aalborg commitment.
Nel 2005, su iniziativa del sindaco della città di Londra, nacque
il gruppo “C40” cui aderirono inizialmente 18 città fra le più
importanti del Mondo. Nel 2009 il “C40” ha tenuto il suo terzo
summit a Seoul (Corea del Sud) dove sono intervenute 65 città,
con 24 sindaci (tra cui: Londra, Toronto, Tokyo, Seul, Copenhagen, Sydney, Addis Abeba, San Paolo, Lima, Bangkok, Città del
Messico, Nuova Delhi), 13 assessori di Amministrazioni locali
(tra cui: New Yort, Melbourne, Pechino, Parigi, Rio de Janeiro,
Atene, Los Angeles) e 28 delegazioni. Per l’Italia erano presenti
Roma e Milano (anche se quest’ultima non è membro effettivo
del “C40”). Alla conclusione dell’incontro, riconoscendo l’importanza di un coordinamento tra le grandi città per realizzare
programmi di intervento e divulgare i risultati in merito alla
riduzione delle emissioni per combattere il cambiamento climatico, è stata sottoscritta un’importante e solenne Dichiarazione
con l’assunzione di precisi impegni in relazione alle politiche e
alle misure per affrontare il cambiamento climatico nelle città:
“Per affrontare il cambiamento climatico, le città adotteranno ed attueranno le politiche e le misure più idonee alla loro situazione. È importante che le città del “C40” collaborino con tutte le altre città del Mondo per
condividere le migliori pratiche e tecnologie. Nel definire i propri piani
d’azione per affrontare il cambiamento climatico, le città considereranno
in via preferenziale le seguenti misure di dimostrata efficacia:
1. Adottare misure istituzionali di lungo periodo che, opportunamente
basate su studi scientifici, afferiscano a fondi specifici stanziati per il
cambiamento climatico.
2. Evitare, mitigare o ritardare l’impatto del cambiamento climatico
attraverso la riduzione delle emissioni dei gas serra:
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
i. adottare linee guida eco-compatibili nella progettazione e ristrutturazione delle costruzioni, nell’illuminazione, nell’isolamento termico etc. attraverso incentivi e certificazioni mirate al risparmio di
energia e/o all’uso di energie o rinnovabili;
ii. adottare un sistema sostenibile di mobilità attraverso politiche che
favoriscano il trasporto pubblico e della bicicletta, promuovere un
land-use sostenibile attraverso un’accorta progettazione urbana che
consideri il rispetto del paesaggio naturale, la diffusione di spazi
verdi ed un basso consumo di energia;
iii. garantire risorse e strutture a tutta la città e promuovere programmi di riciclaggio;
iv. aumentare la quota delle energie rinnovabili sul totale dei consumi
energetici.
3. Adattare la città alle inevitabili conseguenze del cambiamento climatico e dei conseguenti possibili danni garantendo ai cittadini un
ambiente sicuro ed elevati livelli di qualità della vita:
i. realizzare infrastrutture e piani di gestione che possano proteggere
i cittadini dagli eventi meteo-climatici estremi;
ii. realizzare opportune reti informative in caso di catastrofi e di
costante monitoraggio meteo-climatologico;
iii. preparare misure di protezione per le fasce di popolazione più vulnerabili alle onde di calore e migliorare i sistemi di controllo per
eventuali diffusioni di contagiose;
iv. rafforzare la capacità di prevedere cambiamenti nell’ecosistema
urbano riguardo il peggioramento della qualità dell’aria e altre
forme di inquinamento, migliorando nel contempo i sistemi di rapida allerta;
v. migliorare la gestione della distribuzione dell’energia e prevedere le
fluttuazioni della domanda;
vi. considerare i possibili impatti del cambiamento climatico (ad esempio
riguardo agli effetti dell’isola di calore) nella pianificazione urbana;
vii. migliorare la gestione delle risorse idriche.
4. Incoraggiare l’impegno dei singoli cittadini contro le cause del cambiamento climatico:
i. rendere consapevoli le persone dell’ammontare di emissioni prodotte individualmente nella normale attività giornaliera (“impronta
ecologica”);
ii. incoraggiare stili di vita a basso impatto ambientale;
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Aree urbane e cambiamenti climatici: sostenibilità o insostenibilità?
iii. supportare l’attività delle organizzazioni civiche contro il cambiamento climatico;
iv. promuovere campagne di educazione ambientale per formare le
nuove generazioni.
In conclusione, la dimensione urbana moderna e le ragioni dello
sviluppo economico ammettono purtroppo poche alternative
che, in estremo, possono essere rapportate alla seguente affermazione “...due modi ci sono per non soffrirne: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige apprendimento continuo: cercare di sapere chi e che cosa in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio.” (Calvino, 1973)
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