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L`avventura di Eolo
Odissea (Libro X, vv. 1-79) L’avventura di Eolo Dopo essere sfuggiti al ciclope Polifemo, Ulisse e i suoi compagni approdano all’isola Eolia, dimora del re dei venti Eolo. Questi, amato dagli dei, vive in beatitudine assieme alla moglie e ai suoi dodici figli, sei maschi e sei femmine, sposati tra loro. Grazie all’aiuto di Eolo, Ulisse sembra poter tornare agevolmente a Itaca. Ma l’invidia dei compagni guasta i piani dell’eroe. 5 10 15 20 25 30 35 40 E all’isola Eolia arrivammo; qui stava Eolo Ippotade, caro ai numi immortali, nell’isola galleggiante: tutta un muro di bronzo, indistruttibile, la circondava, nuda s’ergeva la roccia. Dodici figli d’Eolo vivono nel palazzo, sei figlie e sei figli nel fiore degli anni; e qui le figlie dava ai figli in ispose. Essi per sempre col padre caro e con la madre amorosa banchettano: davanti a loro stanno infinite vivande, piena del fumo dei grassi, la casa risuona nell’atrio, il giorno; la notte presso le spose fedeli dormono in mezzo ai drappi, nei letti a trafori. Così dunque arrivammo alla loro città, e al bel palazzo, e un mese intero mi tenne con sé, mi chiedeva ogni cosa, Ilio e le navi d’Argo, e il ritorno degli Achei; e io tutto quanto gli dissi per ordine. Ma quando a mia volta chiedevo il ritorno e imploravo che mi facesse partire, non disse di no, preparò la partenza. Mi diede un otre, che fece scuoiando un bue di nove anni, e dentro degli urlanti uragani costrinse le strade; perché signore dei venti lo fece il Cronide, e può fermare e destare quello che vuole. Nella concava nave l’otre legava con una catenella d’argento, lucente, che non trapelassero fuori per nulla; e solo il vento di Zefiro mi mandò dietro a soffiare, che portasse le navi e noi pure; ma non doveva condurci a fine: perimmo, per la nostra pazzia. Nove giornate di seguito navigammo di giorno e di notte, al decimo già si scorgevano i campi paterni, gli uomini intorno ai fuochi vedevamo, vicini. Allora il sonno soave mi prese, ch’ero sfinito; continuamente alla barra ero stato, senza darla a nessuno dei compagni, perché più presto arrivassimo in patria; e i compagni parole fra loro parlavano, e dicevano che oro e argento a casa portavo, doni d’Eolo magnanimo, figlio d’Ippote. Così qualcuno diceva guardando l’altro vicino: «Vedi come costui è amato e onorato dagli uomini tutti, dei quali visita contrade e città. Da Troia si porta le molte belle ricchezze del suo bottino; e noi, fatta la medesima via, a mani vuote ce ne torniamo a casa. Ora poi anche questo gli ha dato per amicizia www.contucompiti.it 45 50 55 60 65 70 75 Eolo; presto, dunque, vediamo cos’è, quant’oro e argento c’è dentro l’otre». Così dicevano e vinse la mala idea dei compagni: sciolsero l’otre: i venti tutti fuori balzarono, e all’improvviso afferrandoli, al largo li riportò l’uragano, piangenti, lontano dall’isola patria. In quel momento io fui desto, e nel mio nobile cuore esitai per un attimo se gettandomi giù dalla nave dovessi uccidermi in mare, o soffrire in silenzio, e ancora tra i vivi restare. Soffersi e restai, ma giacqui avvolto nel manto in fondo alla nave; le navi eran portate dalla mala tempesta di nuovo all’isola Eolia, i compagni piangevano. Là, dunque, a terra scendemmo e attingemmo acqua, e subito presero il pasto presso l’agili navi i compagni. Poi, come di cibo fummo sazi e di vino, allora un araldo con me prendendo e un compagno, mossi verso il palazzo nobile d’Eolo; e lo trovai, che banchettava, vicino alla sposa e ai figliuoli. Entrati in casa, presso i pilastri, sopra la soglia sedemmo; e quelli in cuore stupivano e ci chiedevano: «Come tornasti, Odisseo? che demone odioso t’ha in preda? Con ogni cura noi t’avevam preparato il viaggio, che tu arrivassi in patria, a casa, o dovunque volevi». Così dissero; e io rispondevo angosciato nel cuore: «M’han rovinato i compagni maligni e con loro anche il sonno crudele. Ma rimediate cari: voi ne avete il potere». Così dicevo, con dolci parole invocandoli: essi in silenzio stavano: ma il padre rispondeva parole: «Via dall’isola, subito, obbrobrio dei vivi! Non è lecito a me dare aiuto o accompagno a un uomo ch’è in odio ai numi beati. Vattene, ché per l’odio degli immortali qui torni». E così detto mi cacciava di casa, che gravemente gemevo. Di là navigammo avanti sconvolti nel cuore. Oppresso era il cuore degli uomini dal faticoso remeggio, per nostra follia: non avevamo più aiuto. [da Omero, Odissea, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi] www.contucompiti.it