...

saggio L`UOMO DELL`UMANESIMO RINASCIMENO

by user

on
Category: Documents
14

views

Report

Comments

Transcript

saggio L`UOMO DELL`UMANESIMO RINASCIMENO
Ambito artisticoletterario
L’UOMO DELL’UMANESIMO-RINASCIMENTO
1- LEON BATTISTA ALBERTI LIBRI DELLA FAMIGLIA libro I, Prologo
2- FICINO THEOLOGIA PLATONICA DE IMMORTATLITATE ANIMORUM libro XIII
[...] Quindi l'essenza dell'uomo è fondamentalmente simile alla natura divi-na, dal momento che l'uomo di per se
stesso, cioè con il suo senno e la sua abilità governa se stesso, per nulla circoscritto entro i limiti della natura
corporea, ed emula le singole opere della natura superiore. Ed ha tanto minor bisogno, in confronto ai bruti',
dell'aiuto della natura inferiore, quanto minore è, in confronto ai bruti, il numero delle difese che ha ricevuto dalla
natura; ma da se stesso, con i propri mezzi, si procura quelle difese: alimenti, vesti, giacigli, abitazioni,
suppellettili, armi. Quindi, sostenendosi con i pro-pri mezzi, si sostiene più efficacemente di quanto la stessa natura
faccia per gli O animali ….[…]
A ragione si diletta dell'elemento celeste, perché è l'unico vivente che ha origine dal cielo. Con la sua potenza
celeste si innalza al cielo e lo misura. Con la sua mente, che è più che celeste, supera il ciclo. Ne si vale soltanto
degli elementi l'uomo, ma li abbellisce: ciò che non fa nessuno dei bruti8. Come è ammirevole in tutto il mondo la
coltivazione della terra! Come è stupenda la costruzione degli edifìci e delle città! Come è ingegnosa l'irrigazione per
mezzo delle acque! Fa le veci di Dio, l'uomo, che abita in tutti gli elementi, di tutti O ha cura, e, presente sulla terra,
non è assente dal cielo. E non solo si serve degli elementi, ma anche di tutti gli esseri che negli elementi vivono: dei
terrestri, acquatici, volatili, per cibarsene, per sua comodità, per suo diletto; degli esse-ri superiori e celesti per la
dottrina magica10 ed i suoi prodigi.
Ne dei bruti si serve soltanto: comanda a loro. In realtà può avvenire che 5 con le armi ricevute dalla natura talune
specie di animali a volte si lancino contro l'uomo o sfuggano al suo stesso attacco: l'uomo invece con le armi che si
è procurato da solo evita gli assalti delle belve, e le volge in fuga, e le doma.
Chi ha mai veduto uomo alcuno sotto l'autorità delle bestie, come dappertut-to vediamo sia torme di belve
ferocissime sia armenti di miti animali ubbidi-0 rè agli uomini per tutta la loro vita? E non soltanto l'uomo domina gli
animali con la crudeltà, ma anche li governa, li assiste, li ammaestra. Sua è l'universa-le provvidenza di Dio, che è
causa universale. L'uomo dunque, che provvede universalmente sia agli esseri viventi sia alle cose inanimate, è in
certo senso un dio. È senza dubbio dio degli animali: si serve di tutti, a tutti comanda…..
3- LORENZO DEI MEDICI
CANTI CARNASCIALESCHI
CANZONA DI BACCO
Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia:
chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Quest'è Bacco e Arianna,
belli, e l'un dell'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe e altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo,
se non gente rozze e ingrate;
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l'asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d'anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s'altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi sian, giovani e vecchi,
lieto ognun, femmine e maschi.
Ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti,
arda di dolcezza il core,
non fatica, non dolore!
Ciò c'ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c'è certezza.
4- Angelo Poliziano
I'mi trovai, fanciulle, un bel mattino
I’mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezo maggio, in un verde giardino.
Eran d’intorno violette e gigli
fra l’erba verde e vaghi fior novelli,
azzurri gialli candidi e vermigli:
ond’io porsi la mano a cor di quelli
per adornar e mie biondi capelli
e cinger di grillanda el vago crino
I’mi trovai, fanciulle…
Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose e non pur d’un colore;
io corsi allor per empier tutto el grembo,
perch’era sì soave il loro odore,
che tutto mi senti’ destar el core
di dolce voglia e d’un piacer divino
I’mi trovai, fanciulle…
I’posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre’ dir quant’eran belle:
quale scoppiava dalla boccia ancora:
qual’eran un po’ passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: Va’ co’ di quelle
che più vedi fiorire in sullo spino.
I’mi trovai, fanciulle…
Quando la rosa ogni suo foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a mettere in ghirlande,
prima che sua belleza sia fuggita:
sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita,
coglian la bella rosa del giardino.
I’mi trovai, fanciulle…
MACHIAVELLI
5- A Francesco Vettori, Magnifico ambasciatore fiorentino
presso il Sommo Pontefice, proprio benefattore. In Roma)
Magnifico ambasciatore. Tarde non furon mai grazie divine. .. io vi conforto a seguire così, perché chi lascia i sua comodi per
li comodi d'altri, e’ perde e’ sua, e di quelli non li è saputo grado. E poiché la fortuna vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla fare, stare
quieto e non le dare briga, e aspettar tempo che la lasci fare qualche cosa agl’huomini; e all’hora starà bene a voi durare più fatica,
vegliar più le cose, e a me partirmi di villa e dire: eccomi. Non posso pertanto, volendo rendere pari grazie, dirvi in questa mia lettera
altro …
Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di
questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de' mia: gòdomi un
pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in sulla strada, nell'hosteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de' paesi
loro; intendo varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d'huomini. …
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di
loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto
amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli
della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico
ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.
Die 10 Decembris 1513.
6- PRINCIPE Capitolo XXV Quantum fortuna in rebus humanis possit, et quomodo illi sit occurrendum.
[Quanto possa la Fortuna nelle cose umane, et in che modo se li abbia a resistere]
E' non mi è incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio,
che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo, potrebbono iudicare che
non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne' nostri tempi, per la
variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dí, fuora d'ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi
sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere
vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi. Et
assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa
parte terreno, pongono da quell'altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare.
E, benché sieno cosí fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et
argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso.
Similmente interviene della fortuna: la quale dimonstra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li sua impeti,
dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla. E se voi considerrete l'Italia, che è la sedia di queste variazioni e quella che ha
dato loro el moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo: ché, s'ella fussi reparata da conveniente virtù,
come la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatte le variazioni grandi che ha, o la non ci sarebbe venuta. E
questo voglio basti avere detto quanto allo avere detto allo opporsi alla fortuna, in universali.
Ma, restringendomi più a' particulari, dico come si vede oggi questo principe felicitare, e domani ruinare, sanza averli veduto mutare
natura o qualità alcuna: il che credo che nasca, prima, dalle cagioni che si sono lungamente per lo adrieto discorse, cioè che quel
principe che s'appoggia tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia. Credo, ancora, che sia felice quello che riscontra el modo del
procedere suo con le qualità de' tempi; e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e' tempi. …
Da questo ancora depende la variazione del bene: perché, se uno che si governa con respetti e pazienzia, e' tempi e le cose girono in
modo che il governo suo sia buono, e' viene felicitando; ma, se e' tempi e le cose si mutano, rovina, perché non muta modo di
procedere. Né si truova uomo sí prudente che si sappi accomodare a questo; sí perché non si può deviare da quello a che la natura
l'inclina; sí etiam perché, avendo sempre uno prosperato camminando per una via, non si può persuadere partirsi da quella. E però lo
uomo respettivo, quando elli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare; donde rovina: ché, se si mutassi di natura con li tempi e con
le cose, non si muterebbe fortuna…
Concludo, adunque, che, variando la fortuna, e stando li uomini ne' loro modi ostinati, sono felici mentre concordano insieme, e, come
discordano, infelici. Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo; perché la fortuna è donna, et è necessario,
volendola tenere sotto, batterla et urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedano. E
però sempre, come donna, è amica de' giovani, perché sono meno respettivi, più feroci e con più audacia la comandano.
7- Francesco Guicciardini STORIA D'ITALIA Lib.1, cap.1
Proposito e fine dell'opera. Prosperità d'Italia intorno al 1490. La politica di Lorenzo de' Medici ed il desiderio di pace de'
príncipi italiani. La confederazione de' príncipi e l'ambizione de' veneziani.
[…]Ma le calamità d'Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora lo stato suo, e insieme le cagioni dalle quali ebbeno
l'origine tanti mali) cominciorono con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini quanto le cose universali erano
allora piú liete e piú felici. Perché manifesto è che, dappoi che lo imperio romano, indebolito principalmente per la mutazione degli
antichi costumi, cominciò, già sono piú di mille anni, di quella grandezza a declinare alla quale con maravigliosa virtú e fortuna era
salito, non aveva giammai sentito Italia tanta prosperità, né provato stato tanto desiderabile quanto era quello nel quale sicuramente si
riposava l'anno della salute cristiana mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e prima e poi furono congiunti. Perché, ridotta
tutta in somma pace e tranquillità, coltivata non meno ne' luoghi piú montuosi e piú sterili che nelle pianure e regioni sue piú fertili, né
sottoposta a altro imperio che de' suoi medesimi, non solo era abbondantissima d'abitatori, di mercatanzie e di ricchezze; ma illustrata
sommamente dalla magnificenza di molti príncipi, dallo splendore di molte nobilissime e bellissime città, dalla sedia e maestà della
religione, fioriva d'uomini prestantissimi nella amministrazione delle cose publiche, e di ingegni molto nobili in tutte le dottrine e in
qualunque arte preclara e industriosa; né priva secondo l'uso di quella età di gloria militare e ornatissima di tante doti, meritamente
appresso a tutte le nazioni nome e fama chiarissima riteneva.
8- PICO DELLA MIRANDOLA
ORATIO HOMINIS DE DIGNITATE
§ 4. Il racconto della creazione
10. Già il sommo Padre, Dio architetto aveva foggiato questa dimora del mondo, che noi vediamo, il tempio augustissimo della divinità, secondo le
leggi della sapienza arcana.
11. Aveva ornato con le intelligenze la regione iperurania; aveva animato i globi eterei di anime eterne; aveva riempito le parti escrementizie e sozze
del mondo inferiore con turba di animali di ogni specie.
12. Ma, compiuta l'opera, l'artefice desiderava che vi fosse qualcuno che sapesse apprezzare il significato di tanto lavoro, che ne sapesse amare la
bellezza, ammirarne la grandezza11.
13. Perciò, terminata ogni cosa, come attestano Mosè e Timeo, pensò alla fine di produrre l'uomo12.
14. Ma tra gli archetipi non c'era di che dar formare la nuova progenie, non c'era nei tesori qualcosa a elargire in eredità al figlio, non c'era tra i seggi
di tutto il mondo dove potesse sedere il contemplatore dell'universo.
15. Tutto era ormai pieno; tutto era stato distribuito tra gli ordini, sommi, medi, infimi.
16. Ma sarebbe stato tuttavia indegno della potestà paterna venir meno in quest'ultimo parto, quais fosse incapace di generare; indegno della
sapienza,ondeggiare per mancanza di consiglio in un'opera necessaria; indegno dell'amore benefico che colui che avrebbe lodato negli altri la divina
liberalità fosse indotto a condannarla a suo riguardo.
§ 5. Il discorso di Dio all'uomo
17. Stabilì infine l'attimo artefice che a colui cui non si poteva dare nulla di proprio fosse comune quanto apparteneva ai singoli13.
18. Prese perciò l'uomo, opera dall'immagine non definita14, e postolo nel mezzo del mondo15 così gli parlò: «Non ti abbiamo dato, o Adamo, una
dimora certa, né un sembiante proprio, né una prerogativa peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti la dimora, il sembiante, le
prerogative che tu da te stesso avrai scelto.
19.La natura agli altri esseri, una volta definita, è costretta entro le leggi da noi dettate.
20. Nel tuo caso sarai tu, non costretto da alcuna limitazione, secondo il tuo arbitrio, nella cui mano ti ho posto, a decidere su di essa.
21. Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi più facilmente guardare attorno a quanto è nel mondo.
22. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale16, perché come libero, straordinario17plasmatore e scultore di te stesso, tu ti
possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito.
23. Potrai degenerare nei esseri inferiori, che sono i bruti; potrai rigenerarti, secondo la tua decisione, negli esseri superiori, che sono divini».
24. O somma liberalità di Dio Padre,1 somma e mirabile felicità dell'uomo!2
25. Al quale è dato avere ciò che desidera, essere ciò che vuole.
26. I bruti nascendo recano seco (come dice Lucilio) dall'utero della madre tutto ciò che possederanno.3
27. Gli spiriti superni o sin dall'inizio o poco dopo diventarono quello che saranno nelle perpetue eternità.
28. Nell'uomo nascente il Padre infuse semi di ogni tipo e germi d'ogni specie di vita.
29. I quali cresceranno in colui che li avrà coltivati e in lui daranno i loro frutti. Se saranno vegetali, diventerà pianta; se sensibili [sensitivo?]
abbrutirà. Se razionali, riuscirà animale celeste. Se intellettuali, sarà angelo e figlio di Dio.4
31. E se, non contento della sorte di nessuna creatura, si raccoglierà nel centro della sua unità, fattosi uno spirito solo con Dio, nella solitaria caligine5
del Padre, colui che è collocato sopra tutte le cose su tutte primeggerà.
9- Leonardo da vinci, L’UOMO VITRUVIANO
Fly UP