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Novembre-Dicembre 2015
2/9/1988
Anno N.3
www.istitutobandini.it
Esente da autorizzazione C.M. n.242
Uomini contro
Uomini Contro. Ma quali
uomini? E contro chi? È
questa enigmatica domanda
il motivo conduttore del film
di Francesco Rosi, uscito nelle
sale italiane nel 1970 e
liberamente
ispirato
al
romanzo autobiografico del
1938 di Emilio Lussu, Un
anno sull’Altipiano, del quale il
regista altera ben poco oltre al finale, più drammatico e
spettacolare nella versione cinematografica, come si
addice al grande schermo. La novità di questo film,
rispetto ad altri immediatamente successivi ad eventi
tragici come la Grande guerra, è determinante e lo
distingue dai suoi analoghi: non illustra le atrocità
passate glorificando l’onore e l’orgoglio nel sacrificio
per la patria con demagogico patriottismo o, per
meglio dire, nazionalismo, ma, al contrario, mette in
luce l’assurdità, l’insensatezza profonda insita in una
guerra di logoramento come fu la Prima guerra
mondiale, in particolare sul fronte italiano e sul fronte
occidentale. Fu proprio quell’esasperato e ipocrita
nazionalismo, cieco alla realtà storica, che perseguitò il
regista Rosi anche a più di cinquant’anni dalla fine del
conflitto, costringendolo al ritiro della pellicola dalle
sale e costandogli una denuncia per vilipendio
dell’esercito. Ed è esattamente la causa di quest’ultima
anche la spiegazione dell’ambiguo titolo. Tramite
personaggi variamente elaborati e contrapposti, come i
sottufficiali Ottolenghi e Sassu (alter ego di Lussu
stesso, come è facile intuire) o il Generale Leone
(magistralmente interpretato dall’attore francese Alain
Cluny), il regista napoletano ci mostra quale era il vero
fronte, quali i veri eserciti nemici: non austriaci contro
italiani, ma soldati contro ufficiali. “Il nemico è quello
lì dietro di noi!” grida il tenente Ottolenghi nei suoi
ultimi attimi, e queste parole sono probabilmente
quelle che meglio descrivono, di tutto il film, quale
fosse il rapporto esistente tra gli alti gradi e quelli
bassi, tra una gerarchia fanatica, che mandava giovani
al macello, senza ripensamenti né rimorsi, in una
“guerra di morti di fame”, e quegli stessi disgraziati,
che si ritrovavano, loro malgrado, in quelle trincee, ad
Care lettrici, cari lettori,
lo scorso 28 novembre, gli alunni delle classi IV e V
hanno assistito alla proiezione del documentario di
Juri Guerranti 1915-1918: Siena e provincia nella Grande
guerra. L'incontro con il giornalista, previsto
nell'ambito delle commemorazioni per il centenario
dell'entrata in guerra dell'Italia, è stato seguito dalla
premiazione dei tre studenti vincitori del concorso,
interno all'Istituto, per le migliori recensioni ad uno a
scelta fra tre film sulla Grande guerra. Tutti e tre i film,
capolavori del cinema di guerra, tratti ciascuno da
altrettanti capolavori della narrativa sul tema, erano
stati presentati e proiettati a scuola nel mese di ottobre,
nell'ambito di una breve rassegna cinematografica. La
giuria, composta dal Dirigente Scolastico (presidente),
dalla prof.ssa Maria Menchetti (membro esterno) e dal
prof. Mario Scaccia (membro interno), ha espresso
particolare apprezzamento per tutti gli elaborati e per
l'impegno dei partecipanti, valutati, secondo il
regolamento del concorso, in forma del tutto anonima.
Gli studenti autori delle tre migliori recensioni sono
risultati: Lorenzo Gelli, per il film Uomini contro di
Francesco Rosi (1971), ispirato al romanzo Un anno
sull'altipiano di Emilio Lussu (1938); Sara De Santis, per
il film Niente di nuovo sul fronte occidentale di Delbert
Mann (1979), basato sull'omonimo romanzo di Erich
Maria Remarque (1929); Margherita Capannoli, per il
film Torneranno i prati di Ermanno Olmi (2014),
liberamente tratto dal racconto La paura di Federico De
Roberto (1921). Tutti e tre i vincitori hanno ricevuto un
attestato, valevole ai fini del credito formativo, e una
gift card da 50 euro per l'acquisto di libri messa in palio
dalla scuola e dalla Libreria Mondadori di Siena.
Ma in questo numero, che lascia grande spazio al tema
del primo conflitto mondiale e, più in generale, della
guerra, non potevamo non accennare ai recenti, tragici
fatti di Parigi. La foto scelta per la rubrica Bibliopolis
e le frasi celebri raccolte per la rubrica Librarsi
vogliono essere il nostro piccolo omaggio a questa
affascinante città ferita.
Filomena Giannotti
1
aspettare la loro ora come fossero condannati nel
braccio della morte.
Lorenzo Gelli
V RIM
Quei sogni se ne vanno assieme alle vite umane,
portati via dalla macchina della morte che non guarda
in faccia nessuno. Non sarà risparmiato nemmeno
Paul, il quale, sporgendosi troppo per disegnare un
uccellino, muore sereno, il giorno prima della
capitolazione dell'esercito tedesco, mentre il bollettino
si limita a registrare: "Niente di nuovo sul fronte
occidentale".
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Fucili, granate, esplosioni,
uomini che prendono la mira,
sparano, si uccidono: è la
realtà della guerra, vissuta
dai ragazzi protagonisti del
film Niente di nuovo sul fronte
occidentale. Diretto nel 1979
da Delbert Mann e tratto
dall'omonimo romanzo di
Erich Maria Remarque, il film
è stato proiettato presso
l'Istituto Bandini, in occasione del centenario
dell'inizio della Prima guerra mondiale. È, infatti, nella
Germania del 1918 che si svolgono le vicende.
Dopo il diploma, Paul Bäumer, il protagonista, decide,
dietro incoraggiamento del professore, di dedicarsi ai
propri doveri verso la madrepatria; parte, così, insieme
ai suoi migliori amici, nonché ex-compagni di classe,
per arruolarsi. Prima di salire sul treno, ciascuno
provvede a rassicurare i propri familiari, e forse anche
sé stesso, di un certo ritorno.
In un primo momento i ragazzi vengono addestrati
duramente al fine di essere preparati per affrontare la
vita di trincea. Sono stremati, ma tutto sommato hanno
del cibo, ridono e scherzano, prendendo in giro il loro
maggiore Himmelstoss, proprio come è normale che si
comportino dei diciottenni. Purtroppo, però, giunge
anche il momento di mettere in pratica i duri
allenamenti: tutto il gruppo di Bäumer viene trasferito
al fronte. Subito si rendono conto che lo scontro con il
nemico e la vita di trincea non sono minimamente
paragonabili a ciò che fino ad allora avevano appreso.
Ogni giorno è una lotta: procurasi i viveri, stare
sempre in agguato, pronti ad attaccare e ad essere
attaccati. Gli scontri contro i francesi producono
sempre una carneficina, ma ciò che conta è sconfiggere
il nemico: da sempre in guerra si combatte, senza
domandarsi il perché di tanto odio. È proprio Paul, in
una scena molto significativa, che, dopo aver ucciso un
soldato francese per necessità di sopravvivenza, riflette
pensando a lui come a un fratello, un essere umano
che si trovava nella sua identica condizione, e non più
un nemico. Questo episodio, inoltre, provoca in lui
ulteriori rimorsi e turbamenti, che ormai lo tormentano
già da tempo per la morte di quasi tutti i suoi
compagni: Kemmerick, Kropp, Müller, Tjaden,
Westhus... Quei compagni dai quali non vedeva l'ora
di tornare, dopo un periodo di riposo a casa che gli era
stato concesso per un infortunio. Ormai erano loro a
rappresentare la sua famiglia. Paul, ora, è però solo, gli
rimangono solo i ricordi che riaffiorano alla mente e
che sono presenti in molte scene. Più volte, infatti, la
vicenda è interrotta da flashback, nei quali il
protagonista pensa alla vita e alle ambizioni di tutti i
suoi migliori amici prima della guerra.
Sara De Santis
IV TUR
Torneranno i prati
Nel novembre del 2014, in occasione del centenario
dello scoppio della Prima guerra mondiale, è uscito
nelle sale cinematografiche Torneranno i prati,
capolavoro di Ermanno Olmi.
Liberamente ispirata al racconto La paura di Federico
De Roberto, la vicenda è ambientata sull’Altopiano di
Asiago, fronte Nord-Est del conflitto.
Una truppa di soldati in una trincea ad alta quota
riceve la visita di un maggiore inviato dal comando di
divisione. L'ordine è devastante: a causa di
intercettazioni austriache, i soldati devono creare un
altro collegamento con il comando, ma in un luogo
strategico molto più esposto alle fucilate austriache.
Uscire fuori dalla trincea significa morire sotto i colpi
di un abilissimo cecchino. Ma gli ordini sono ordini e
vanno rispettati. I soldati escono uno dopo l’altro
strisciando sulla neve e cadendo dopo pochi secondi
nell’infinito bianco dell’altopiano. Il capitano,
sconvolto dalla notizia, rinuncia ai suoi gradi e viene
sostituito da un giovane tenente, incapace però di
prendere decisioni salde. Nel frattempo gli austriaci
lanciano razzi per stabilire esattamente la posizione
della trincea italiana, che verrà bombardata
pesantemente appena scoperta.
Definito dallo stesso regista come un film “che non
parla della guerra, ma del dolore della guerra”,
Torneranno i prati esprime a pieno l’angoscia provocata
dal Primo conflitto mondiale. Ad ottenere questo
effetto contribuiscono tutti gli elementi del film: la
fotografia - curata dal figlio del regista Fabio Olmi e
vincitrice di vari premi -, che ricorre ad un filtro color
seppia; le musiche di Paolo Fresu, ispirate al
cosiddetto “Silenzio”; la minima sceneggiatura dello
stesso regista. I dialoghi sono poveri e per lo più in
dialetto, diverso a seconda della provenienza dei
soldati: questo aspetto, ripreso dal plurilinguismo del
racconto di De Roberto, evidenzia in particolar modo il
problema, ancora persistente nell’Italia di inizio
Novecento, della mancanza di unità sul piano
linguistico.
Molto accentuato il
contrasto
tra
il
vivere sottoterra dei
soldati e la bellezza
incontaminata della
natura al di fuori
della trincea. Sono
infatti poche le scene
2
cruente e di combattimento nella pellicola rispetto al
risalto che Olmi attribuisce alla flora e alla fauna
circostanti. Ciò, se possibile, fa apparire ancora più
grave la situazione dei soldati, letteralmente sepolti
nelle trincee, che invidiano le migliori condizioni di
vita di alberi e animali di montagna. Toccante a questo
proposito la scena in cui due soldati ammirano una
volpe che corre sotto un larice, commentando lo
splendido colore dorato che assume l'albero in
autunno.
È da questo contrasto che Olmi riesce a far emergere
tutta l’assurdità di una guerra in cui migliaia di
giovani sono stati mandati a combattere senza una
spiegazione ragionevole e in cui spesso sono rimasti
intrappolati, sotto i prati tornati a primavera a
ricoprire i loro corpi per sempre.
Margherita Capannoli
V TUR
Rigoni Stern
Mario
Scurati Antonio
Serra Renato
Serrano
Marcela
Turoldo Maria
David
Ventura
Stefano
Virgilio
N 1 60
N 1 65
Quel che c'è nel mio cuore
B 51 62
Amare
B 51 61
Vogliamo viaggiare, non
emigrare
B 56 44
Eneide
N 1 51
Gli interrogativi sulla guerra di Svetlana Aleksievič,
premio Nobel per la Letteratura 2015
"L'arte solleva degli interrogativi. E quelle domande
che fa circolare non hanno nulla di moderno, sono
antiche e si ritrovano in tutte
le culture".
Questa riflessione dell'artista
francese Boltanski riassume
esattamente la sensazione che
ho avuto leggendo Ragazzi di
zinco di Svetlana Aleksievič,
scrittrice bielorussa premio
Nobel per la Letteratura lo
scorso ottobre, pubblicato nel
2013 da Edizioni e/o.
Il suo è un romanzo corale
che dà voce a medici, infermiere, microbiologhe,
ufficiali e soldati semplici. E madri. Tante madri.
Protagonisti e protagoniste della guerra "nascosta"
dell'Armata Rossa in Afghanistan, dal 1980 al 1989.
Dieci anni di guerra: conseguenze immediate, un
milione e mezzo di vittime afghane, cinque milioni di
profughi,
un
tessuto
sociale
e
urbanistico
completamente devastato. Migliaia di vittime
sovietiche. Migliaia di mutilati, nel corpo e nell'anima.
Alcuni dei sopravvissuti li ritroviamo, oggi,
addestratori dell'ISIS.
La guerra, ci dice la scrittrice, è un incubo che ci lascia
in eredità un incubo: si può scegliere di viverlo da soli,
rievocando di giorno e di notte l'orrore vissuto e
compiuto, o riprodurlo di nuovo, da qualche altra
parte. La guerra diventa un'abitudine. Una
professione.
L'autrice, nel suo romanzo, pone interrogativi sull'arte,
sul ruolo e la responsabilità dello scrittore, sulla
guerra, ma, soprattutto, sull'ideologia e le sue tragiche
conseguenze. Sono gli stessi interrogativi di E. M.
Remarque, scrittore che ci racconta la Prima guerra
mondiale. Parole come "onore" e "orgoglio",
fondamentali nell'ideologia, non sono parole neutre,
astratte. Si traducono sempre in un braccio armato.
Nella morte di uomini per mano di altri uomini. La
guerra, ci insegnano Remarque e Aleksievič, è "una
miscela di idealismo e sogni". Dalle tragiche
Si riporta di seguito l'elenco, aggiornato al
16/11/2015, dei nuovi acquisti. Si tratta
di titoli in parte suggeriti dai giovani lettori del
giornalino nella rubrica Prossimamente in biblioteca,
in parte dai docenti, nell'ambito di singole discipline,
come Economia, o dei vari progetti promossi dal
nostro Istituto, quali ad esempio l'“Incontro con la
letteratura” o il “Giorno della Memoria”. Alcuni dei
testi (De Roberto, Lussu, Remarque, Rigoni Stern,
Serra) sono relativi al centenario della Prima guerra
mondiale o rappresentano importanti novità letterarie
(Magris, Svetlana).
Aleksievic
Svetlana
Barrie James
Matthew
Brown Dan
De Roberto
Federico
Debenedetti
Giacomo
Franzinelli
Mimmo,
Graziano Nicola
Latouche Serge
Lussu Emilio
Magris Claudio
Malvezzi Pietro
e altri
Mattei Laura e
Santucci Paola
Modiano
Patrick
Modiano Sami
Piketty Thomas
Remarque Erich
Maria
Il tempo migliore della nostra
vita
Esame di coscienza di un
letterato
N15
Antonietta Maria Bernardi
Informazioni sulla biblioteca
Aleksievic
Svetlana
I racconti di guerra
Tempo di seconda mano.
La vita in Russia dopo il crollo
del comunismo
N 1 62
Preghiera per Cernobyl'
N 1 63
Peter Pan
N 1 68
Inferno
La paura e altri racconti della
Grande Guerrra
N 1 69
N 1 545-6
16 ottobre 1943
S 2 31-2
Un'odissea partigiana
N 1 59
La scommessa della decrescita
Un anno sull'altipiano
Non luogo a procedere
Lettere di condannati a morte
della Resistenza italiana
N 1 67
N 1 52
N 1 61
Frosini e la sua magia
N 1 64
Dora Bruder
S 2 35-6
Per questo ho vissuto
Il capitale nel XXI secolo
Niente di nuovo sul fronte
occidentale
S 2 33-4
N 1 66
N 1 58
N 1 53
3
conseguenze, immediate e differite. Le parole di Saša,
giovanissimo soldato sovietico, entrano in risonanza
con quelle di Paul, il protagonista di Im Westen Nichts
Neues (Niente di nuovo sul fronte occidentale). Il dolore
della madre di Saša è lo steso dolore delle madri di
tutte le vittime di tutte le guerre.
Tante le immagini che restano negli occhi, quando
chiudiamo i due libri: "Il tuo mitra mette radici nel tuo
corpo... Come un terzo braccio"; "Che cosa ho imparato
stando qui? Credete che si possa imparare il bene o la
misericordia? O la gioia?"; "Io piango tutto il tempo
per quella ragazza di Mosca [che ero], con la testa
piena di letture, quella ragazza che non c'è più."
L'idealismo evapora, il sangue rimane.
Simona Fabbris
on an iron stick, “planted” in the lawn around the
Tower are the suggestive testimony of a nation, the
United Kingdom, cohesive in the pain and the will to
remember its fallen in a war like World War I which
opened a wound in the hearts of a nation not yet
healed after a century.
Lorenzo Gelli
V RIM
Hartmannswillerkopf théâtre de l'amitié retrouvée
entre la France et l'Allemagne
Un siècle auparavant, la France et l'Allemagne se
déclarèrent la guerre. Le 3 août 2014 exactement, c'est
mains dans la mains que les deux chefs d’états,
Hollande et Gauck, ont remonté ensemble la longue
tranchée d'honneur pour se
rappeler des trente mille
soldats qui ont perdu leur vie.
Ils ont déposé la première
pierre d'un futur musée
Franco-Allemand dédié à la
mémoire des deux nations,
dont l'ouverture est prévue en
2017. C’est ainsi que les deux
chefs d'états ont montré la
force de l'amitié entre leurs
deux pays, qu'ils rappellent
leur histoire ensemble en toutes ses nuances.
Amal Bahaeddine
III RIM
C'è posta da Montalcino
Diciassette
Diciassette, un numero come un altro: gli anni di tua
sorella, le volte che hai preso un’insufficienza, il
numero di treni che hai perso, il giorno che ti sei rotta
il menisco e che magari era pure un venerdì. Ma se
accanto a 17 ci scrivessi milioni? Subito nella nostra
mente si crea un’immagine molto più ampia e riesce
difficile immaginarsi materialmente una cifra del
genere. Potrebbero essere i soldi che spende un
magnate americano in macchine da corsa, oppure gli
abitanti dei Paesi Bassi; comunque la si metta è
impossibile avere in testa un’idea precisa di ogni
banconota e ogni olandese, perché è semplicemente
troppo. Aggiungiamo la parola decisiva, quella che
dice di cosa stiamo parlando: 17 milioni di morti, fra
soldati e civili. Questa è la cifra stimata - ma
arrotondata per difetto e senza che ci sia accordo tra i
vari storiografi -, delle vittime della Prima guerra
mondiale, questi sono 17 milioni di uomini, donne,
bambini. Storicamente abbiamo il dovere civico di
sapere come sono andate le cose, ma dal punto di vista
morale, c’è qualcuno che possa dire di avere vinto?
Der Krieg von Otto Dix
2014
war
das
hundert
Jahre
Jubiläum
des
Anfangs des Ersten
Weltkriegs
in
Deutschland.
In
vielen
deutschen
Städten
wurden
Veranstaltungen
und Events geplant: Filme, Ausstellungen, Konzerte,
Vorlesungen. Die Stadt Dresden hat eine Ausstellung
mit den Werken vom Maler Otto Dix von 5. April bis
13 Juli 2014 realisiert.
Otto Dix (1891-1969) hat mit seinen Darstellungen
Toten und Verwundeten des Krieges stark und
bedeutungsvoll repräsentiert. Man kann sie in
Triptychon Der Krieg (1929-1932) sehen. Auf der linken
Tafel kann man den Auszug von Soldaten im
Morgengrauen sehen; in der zentralen Tafel wird das
Schlachtfeld als Stadt des Todes dargestellt; endlich
erzählt die rechte Tafel die Rückkehr aus der Schlacht.
Die Predella stellt die Ruhe der Soldaten dar. Der Krieg
ist das wichtigste Werk in der Galerie Neue Meister
von Kunnstsammlungen Dresden im Albertinum. Hier
konnte man die Entstehung des Werks sehen: von den
ersten Zeichnungen bis zum vollendeten Gemälde.
Sehr beeindrückend ist der extreme Realismus, mit
dem der Künsler den Krieg malt. Im Dresdener
Luce Scheggi
The foreign file
800000 poppies as many as the British
soldiers who died in World War I
When I first saw the red ocean streaming down the
Tower of London, it almost looked macabre, like all
the prisoners executed among those four ancient walls
had shed their blood to fill the old ditch. Then,
approaching and inquiring, I found out I wasn’t so
wrong after all.
In fact, the only difference was about to whom that
blood belonged.
Those
spectacular
800.000
“poppies”,
hand-made
ceramic
red flowers
4
Kupferstich Kabinett kann man auch Dokumente über
den Krieg (Feldpostkarten und Plakaten) finden.
Durch die Kunst versucht man, die historische
Vergangenheit nicht zu vergessen.
Maria Cristina De Mare e Sara De Santis
IV TUR
pur fra ruvidezze e ingenuità,
hanno costituito l’imperituro
lascito della cultura illuminista
del Settecento e dell’ideologia
politica
democratica
dell’Ottocento: la sensazione che
sia rinata e si sia diffusa
rigogliosamente nei popoli la
“barbarie”, ovvero una volontà
dichiarata ed esasperata di
estrema violenza, priva di alcuna
remora morale. A ciò si aggiunga il timore che questa
barbarie, fecondata dai massacri indiscriminati del
primo trentennio del secolo, sia destinata a perpetuarsi
per lunghissimo tempo ancora a causa di un fenomeno
di grave rottura intergenerazionale: quella perdita e
quel rifiuto della memoria storica, i cui primi segnali
sono stati avvertiti – non casualmente – proprio
all’indomani della Seconda guerra mondiale.
Gaetano Greco
Professore di Storia Moderna - Università di Siena
Il topo di biblioteca
Il Novecento: un “secolo breve”?
Nel 1994, lo storico inglese di scuola marxista Eric J.
Hobsbawm, già noto per tre fortunati volumi dedicati
alla storia dell’Ottocento, pubblicò un poderoso saggio
dal titolo The Age of Extremes. The Short Twentieth
Century, 1914-1991, subito tradotto in italiano con un
titolo significativamente invertito: Il Secolo breve. 19141991: l’era dei grandi cataclismi.
In questo saggio, Hobsbawm avanzò una proposta
interpretativa sulla periodizzazione del Novecento,
definendolo appunto come un “secolo breve”, lungo
non già un centinaio di anni, ma meno di ottanta,
mentre per l’Ottocento dei libri precedenti aveva usato
la categoria di “secolo lungo”, prospettandone una
durata di ben centoventicinque anni, dal 1789 al 1914.
La sua proposta mirò a individuare – nell’uno come
nell’altro caso – dei “caratteri”, che permettessero di
definire in modo unitario un’epoca con le sue
scansioni interne. Quanto al Novecento, a parere di
Hobsbawm, i suoi caratteri specifici consisterebbero
nei “cataclismi”, nelle catastrofi, che a partire dal 1914
hanno segnato una cesura netta e irreversibile con
l’epoca precedente, e delle loro conseguenze: l’“Età
dell’oro”, corrispondente al bipolarismo fra USA e
Unione Sovietica (dal 1946 al 1973), e la “Frana”, con
l’implosione dell’Unione Sovietica e del suo sistema di
relazioni internazionali (dal 1973 al 1991, anno della
prima guerra irachena). La sconfitta dei regimi
totalitari, tuttavia, non avrebbe portato – come invece
ha sostenuto nel 1992 l’economista Francis Fukuyama
– alla “fine della Storia”, bensì all’inizio di un’epoca di
disordine indecifrabile.
Il libro di Hobsbawm è ricco di fatti, personaggi e
problematiche e, al pari di altri capolavori della
storiografia del Novecento (uno per tutti: Civiltà e
imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, del francese
Fernand Braudel), merita un’attenta lettura, “distesa”
dall’inizio alla fine, e una rilettura più “random”, per
coglierne gli spunti utili per approfondimenti
personali.
In queste poche righe, preme segnalare soprattutto
due aspetti, che paiono convincenti a chi, come
l’autore, ha vissuto la maggior parte della sua vita in
quel breve secolo. In primo luogo, la constatazione che
in quei decenni si è consumato il disfacimento
dell’egemonia europea: dopo il trionfo ottocentesco
dell’imperialismo europeo, la “Guerra civile europea”
del 1914-1945, con le sue più dirette conseguenze
(Guerra fredda, decolonizzazione), ha spostato fuori
dall’Europa il pernio (e in gran parte anche il governo)
della dimensione ormai mondiale assunta dalla storia
dell’umanità. Vi è, poi, una sensazione, invero assai
amara per chi ha attraversato il Novecento
continuando a coltivare quegli ideali umanistici, che,
L'angolo della poesia
Quando
pensiamo
alla
poesia,
pensiamo a qualcosa di antico, che
appartiene al passato. Di sonetti oggi ne
vediamo pochi, ma siamo sicuri che la poesia si sia
estinta? L’autore proposto in questo articolo è la
conferma che non è così.
Fabrizio Cristiano De André (nato a Genova nel 1940 e
venuto a mancare nel 1999) è stato uno dei più grandi
cantautori italiani. Un uomo che può essere
considerato un poeta moderno, per aver unito
l’eleganza della poesia con l’arte popolare della
musica.
Poiché da giovane rimase molto scosso dai racconti di
guerra di suo zio, numerose sono le canzoni che De
André ha dedicato a questo tema, tra le quali La guerra
di Piero, del 1964.
Questa
canzone,
che
alterna
la
narrazione dei fatti
ai
pensieri
del
soldato,
Piero,
mentre sta per
raggiungere
il
fronte, si apre con la descrizione del suo giaciglio di
morte, dove i papaveri rossi, fiori spontanei e dal
colore acceso, raffigurano la semplicità e l’allegria
della vita. Prosegue con il flashback che ripercorre la
marcia fino al momento in cui il soldato incontra “un
uomo in fondo alla valle” con il suo “stesso identico
umore/ ma la divisa di un altro colore”. Nonostante
tutto Piero non vuole uccidere un essere umano; un
uomo che è impaurito come lui, che ha vissuto le sue
stesse emozioni e in cui rivede se stesso. Ma il soldato
del fronte opposto, davanti alla paura, reagisce
sparando al protagonista e uccidendolo. Gli ultimi
pensieri di Piero si rivolgono alla sua amata che
simboleggia la normalità delle vite di tutti quegli
uomini che hanno trovato la morte nella guerra:
“Dentro alla bocca stringevi parole/ troppo gelate per
5
sciogliersi al sole”. Sono le parole che Piero non ha
detto e che non potrà pronunciare mai più, perché
congelate con lui nel freddo della morte, che né il sole
di maggio né l'amore della sua amata Ninetta
potranno mai più sciogliere.
possibilità di visitare la cosiddetta “Venezia del Nord”,
capitale dei Paesi Bassi: Amsterdam.
Questa magnifica città, famosa per i suoi canali, i
palazzi pittoreschi, le chiese gotiche e altre attrazioni, è
nota anche per aver ospitato la famiglia Frank, di
origine ebrea, che aveva abbandonato la Germania
durante il periodo delle deportazioni naziste per
sfuggire ai campi di concentramento.
L'abitazione di Anna Frank,
nascosta dietro una libreria
girevole, è situata lungo il
canale Prinsengracht 263
(“Canale del principe”). La
giovane vi visse, insieme alla
famiglia e ad altri otto
compagni, per due anni,
foto Carolina Cadelo (III
A TUR)
finché i nazisti scoprirono il
rifugio e tutti i clandestini
vennero deportati nei campi di concentramento. Il
padre di Anna, Otto Frank, fu l'unico a sopravvivere.
Poco prima di entrare in clandestinità, Anna aveva
ricevuto un diario in dono per il suo compleanno.
Iniziò immediatamente a scrivere e durante il periodo
trascorso nel nascondiglio annotò gli avvenimenti
dell'alloggio segreto, parlando di sé, scrivendo brevi
racconti e tenendo nota delle citazioni di scrittori
famosi in uno speciale quaderno delle "belle frasi",
entrambi visibili all'interno del museo.
Questa struttura, al termine della Seconda guerra
mondiale, rischiò di essere demolita, ma alcuni
cittadini
protestarono
e
fondarono la Casa di Anna
Frank, che è oggi il terzo museo
più visitato di Amsterdam.
Infatti per accedervi è necessario
fare lunghe file ed occorre la
prenotazione anticipata.
È stata un'emozione vedere con i
miei occhi gli stessi luoghi che
hanno ispirato ad Anna Frank,
nascosta nel suo rifugio, le
intramontabili pagine del suo
foto Carolina Cadelo
(III A TUR)
diario, che rimane forse il più
terribile atto d'accusa contro la
barbarie nazista.
La guerra di Piero
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi.
Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.
Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
E mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.
E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore.
E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbraccia l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato.
Cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno.
Silvia Pianigiani
III A TUR
E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
Vado a teatro
Chi ha detto che non si possono
conciliare istruzione e divertimento? Il nostro Istituto
ci sta offrendo l’opportunità di potenziare le lingue
straniere
partecipando
a
spettacoli
teatrali
esclusivamente in lingua e a corsi di laboratorio
teatrale.
Ad esempio, lo scorso 25 Novembre molte classi si
sono recate al Teatro dei Rozzi a Siena per assistere
allo spettacolo in lingua inglese The Canterville Ghost,
una rivisitazione moderna del classico di Oscar Wilde
a cura dell'“American Drama Group Europe”. La
compagnia, restando comunque abbastanza fedele alla
Laura Palla
V CAT
Lo scaffale di Anna Frank
Per questo numero questa rubrica non
tratterà di un libro sulla Shoah ma della
casa della stessa Anna Frank.
Infatti lo scorso 11 novembre, insieme ad altri alunni
delle classi terze, coinvolti nello scambio culturale con
la scuola olandese “Almende College”, ho avuto la
6
vicenda originale del racconto di Wilde, ha saputo
coinvolgere gli studenti con divertenti coreografie
accompagnate da musiche vivaci e brani cantati dal
vivo.
Inoltre, le classi che studiano francese si recheranno a
Montepulciano il prossimo 17 Dicembre per “6rano
3.0”, uno spettacolo teatrale ispirato al capolavoro di
Edmond Rostand Cyrano de Bergerac.
L’Istituto “Bandini” ha poi organizzato anche un
laboratorio teatrale che prevede la messa in scena di
uno spettacolo in inglese, sotto la guida del prof.
Alfredo Camozzi, insegnante in pensione appassionato
di teatro, e il supporto dei proff. Mignozzi, Petrocchi,
Ruggiero e Vita. Lo spettacolo si intitola Arsenic and
Old Lace (Arsenico e vecchi merletti) ed è basato
sull'omonima commedia di Joseph Kesselring
(drammaturgo statunitense), da cui è stato tratto anche
il noto film di Frank Capra del 1944.
Teresa Bartalini
V TUR
dalla loro realtà costruendo ali di carta con cui un
giorno andare in paradiso, e grazie a Lucia e Federico,
con gli occhi colmi d’amore.
Fabiana Cusimano
III A TUR
Il bello della squola
(… ora di Storia dell’Arte… una
studentessa inizia ad analizzare un celebre quadro…)
“Intanto possiamo dire che L’urlo di Munch fu dipinto
da Van Gogh”.
(… interrogazione di Italiano)
“Tra le Operette Morali di Leopardi abbiamo letto il
Dialogo della Natura e di un Islandese e… Il Gallo
Silvestro!”
“Prof. ma allora se ci riferiamo alle personalità di
Pascoli e D’annunzio si può dire che fossero autori
diversissimi… agli antilopi!”
Prossimamente in biblioteca
(… ora di Religione…)
“Prof. ma che vuol dire Agnus Dei…il giorno
dell’agnello?”
Ciò che inferno non è, pubblicato il 28
ottobre 2014 dalla casa editrice Mondadori,
è l'ultima fatica letteraria di Alessandro d’Avenia.
Dopo lo strepitoso successo di Bianca come il latte, rossa
come il sangue e di Cose che nessuno sa, lo scrittore
palermitano dedica il libro a Padre Pino Puglisi,
scherzosamente soprannominato “3P”, da lui
conosciuto personalmente in quanto insegnante di
religione nel suo stesso Istituto.
Tutta la trama ruota intorno a “3P”: il diciassettenne
Federico, finita la scuola, si prepara per una vacanza
studio ad Oxford. I suoi programmi però cambiano
quando il suo professore di religione, padre Puglisi, lo
invita a dargli una mano, prima della partenza, con i
bambini del “Padre Nostro”, un centro di Brancaccio
che don Pino ha inaugurato per strapparli alla vita di
quel posto. Il ragazzo accetta, ignaro del fatto che
quando attraverserà il passaggio a livello che separa
Brancaccio dalla sua città, Palermo, gli cambierà la
vita: dovrà stare attento ai “padrini” che controllano il
quartiere. Ma conoscerà anche dei dolci e indifesi
bambini che sperano in una vita migliore. E,
soprattutto, incontrerà Lucia, che trova il coraggio di
guardare con occhi luminosi quel mondo fatto di mafia
e povertà… fino al 15 settembre 1993. Una data che
segna Brancaccio e, non solo: il giorno del suo 56º
compleanno, don Pino viene ucciso con un colpo alla
nuca, per il suo costante impegno evangelico e sociale.
Una vera e propria esecuzione mafiosa.
D’Avenia racconta questa storia con una tale intensità
da trasportarti fin dentro uno dei quartieri più poveri
di Palermo, e riuscendo, al tempo
stesso, a ritrarre perfettamente
l’adolescenza. Ed è per questo motivo
che lo consiglio vivamente a tutti i
ragazzi
della
mia
età.
Non
mancheranno le emozioni, grazie a
“3P”, che riesce ad aiutare tutti,
anche solo con un sorriso, grazie ai
suoi bambini, che cercano di evadere
(… ora di Scienze…)
“Prof. ma per guardare meglio le stelle ce l’abbiamo
qui a scuola uno stetoscopio?”
(studentessa straniera)
“Prof. per piacere oggi non mi interroghi…ho un mal
di testa allucinogeno!”
(… al rientro dalla pausa natalizia… l’insegnante di
Lettere si rivolge ad un alunno:)
“Allora, parlami del libro che avete letto durante le
vacanze di Natale.”
(… l’alunno… il quale non ha letto il libro…
imbarazzato esita, poi capta un suggerimento da parte
di un compagno e risponde:)
“Eh… bé… naturalmente abbiamo letto con interesse
una delle opere più affascinanti di Calvino … Il
Barbone Rampante”.
A cura di Francesco Petrocchi
7
vita a Parigi negli anni Venti, sono aumentate a
dismisura in seguito ai tragici attentati del 13
Novembre. Il libro è stato visto infatti come un
omaggio ai parigini e molte persone ne hanno lasciato
copie sui luoghi dell'attentato accompagnate da
candele, fiori e messaggi commoventi.
Chiara Bellucci
IV TUR
Librarsi
“Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi
da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto
della tua vita, essa ti accompagna, perché
Parigi è una festa mobile” (Ernest Hemingway)
"Ci sono due posti al mondo dove possiamo vivere
felicemente: a casa e a Parigi” (Ernest Hemingway)
“Parigi è come un oceano. Gettateci una sonda e non
ne
conoscerete
mai
la
profondità”
(Honoré de Balzac)
“Come artista, un uomo non ha altra patria in Europa
che Parigi” (Friedrich Nietzsche)
“Molti vanno a Parigi, ma pochi ci sono stati”
(Francesco Algarotti)
“Ho sotto gli occhi i cinquemila ettari del mondo in cui
si è pensato di più, parlato di più e scritto di più” (Jean
Giradoux)
“In ogni arcobaleno di Parigi si vede qualche arco di
trionfo” (Mieczyslaw Horszowski)
“Salvare Parigi è più che salvare la Francia, è salvare il
mondo. Parigi è il centro stesso dell'umanità. Parigi è
città sacra. Chi attacca Parigi attacca in massa tutto il
genere umano” (Victor Hugo)
A cura di Silvia Pianigiani
III A TUR
Bibliopolis: libri, foto e fantasia
Oltre agli autori dei vari contributi, si
ringraziano per aver collaborato a questo
numero: Roberto Ciampalini e i proff.
Claudia Busini, Alessandra Gentili e Laura
Tommasi.
In Francia le vendite di Festa mobile, il romanzo
autobiografico scritto da Ernest Hemingway sulla sua
Impaginazione a cura di Marius Birlad (IV SIA)
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