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Novembre-Dicembre 2015 2/9/1988 Anno N.3 www.istitutobandini.it Esente da autorizzazione C.M. n.242 Uomini contro Uomini Contro. Ma quali uomini? E contro chi? È questa enigmatica domanda il motivo conduttore del film di Francesco Rosi, uscito nelle sale italiane nel 1970 e liberamente ispirato al romanzo autobiografico del 1938 di Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano, del quale il regista altera ben poco oltre al finale, più drammatico e spettacolare nella versione cinematografica, come si addice al grande schermo. La novità di questo film, rispetto ad altri immediatamente successivi ad eventi tragici come la Grande guerra, è determinante e lo distingue dai suoi analoghi: non illustra le atrocità passate glorificando l’onore e l’orgoglio nel sacrificio per la patria con demagogico patriottismo o, per meglio dire, nazionalismo, ma, al contrario, mette in luce l’assurdità, l’insensatezza profonda insita in una guerra di logoramento come fu la Prima guerra mondiale, in particolare sul fronte italiano e sul fronte occidentale. Fu proprio quell’esasperato e ipocrita nazionalismo, cieco alla realtà storica, che perseguitò il regista Rosi anche a più di cinquant’anni dalla fine del conflitto, costringendolo al ritiro della pellicola dalle sale e costandogli una denuncia per vilipendio dell’esercito. Ed è esattamente la causa di quest’ultima anche la spiegazione dell’ambiguo titolo. Tramite personaggi variamente elaborati e contrapposti, come i sottufficiali Ottolenghi e Sassu (alter ego di Lussu stesso, come è facile intuire) o il Generale Leone (magistralmente interpretato dall’attore francese Alain Cluny), il regista napoletano ci mostra quale era il vero fronte, quali i veri eserciti nemici: non austriaci contro italiani, ma soldati contro ufficiali. “Il nemico è quello lì dietro di noi!” grida il tenente Ottolenghi nei suoi ultimi attimi, e queste parole sono probabilmente quelle che meglio descrivono, di tutto il film, quale fosse il rapporto esistente tra gli alti gradi e quelli bassi, tra una gerarchia fanatica, che mandava giovani al macello, senza ripensamenti né rimorsi, in una “guerra di morti di fame”, e quegli stessi disgraziati, che si ritrovavano, loro malgrado, in quelle trincee, ad Care lettrici, cari lettori, lo scorso 28 novembre, gli alunni delle classi IV e V hanno assistito alla proiezione del documentario di Juri Guerranti 1915-1918: Siena e provincia nella Grande guerra. L'incontro con il giornalista, previsto nell'ambito delle commemorazioni per il centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, è stato seguito dalla premiazione dei tre studenti vincitori del concorso, interno all'Istituto, per le migliori recensioni ad uno a scelta fra tre film sulla Grande guerra. Tutti e tre i film, capolavori del cinema di guerra, tratti ciascuno da altrettanti capolavori della narrativa sul tema, erano stati presentati e proiettati a scuola nel mese di ottobre, nell'ambito di una breve rassegna cinematografica. La giuria, composta dal Dirigente Scolastico (presidente), dalla prof.ssa Maria Menchetti (membro esterno) e dal prof. Mario Scaccia (membro interno), ha espresso particolare apprezzamento per tutti gli elaborati e per l'impegno dei partecipanti, valutati, secondo il regolamento del concorso, in forma del tutto anonima. Gli studenti autori delle tre migliori recensioni sono risultati: Lorenzo Gelli, per il film Uomini contro di Francesco Rosi (1971), ispirato al romanzo Un anno sull'altipiano di Emilio Lussu (1938); Sara De Santis, per il film Niente di nuovo sul fronte occidentale di Delbert Mann (1979), basato sull'omonimo romanzo di Erich Maria Remarque (1929); Margherita Capannoli, per il film Torneranno i prati di Ermanno Olmi (2014), liberamente tratto dal racconto La paura di Federico De Roberto (1921). Tutti e tre i vincitori hanno ricevuto un attestato, valevole ai fini del credito formativo, e una gift card da 50 euro per l'acquisto di libri messa in palio dalla scuola e dalla Libreria Mondadori di Siena. Ma in questo numero, che lascia grande spazio al tema del primo conflitto mondiale e, più in generale, della guerra, non potevamo non accennare ai recenti, tragici fatti di Parigi. La foto scelta per la rubrica Bibliopolis e le frasi celebri raccolte per la rubrica Librarsi vogliono essere il nostro piccolo omaggio a questa affascinante città ferita. Filomena Giannotti 1 aspettare la loro ora come fossero condannati nel braccio della morte. Lorenzo Gelli V RIM Quei sogni se ne vanno assieme alle vite umane, portati via dalla macchina della morte che non guarda in faccia nessuno. Non sarà risparmiato nemmeno Paul, il quale, sporgendosi troppo per disegnare un uccellino, muore sereno, il giorno prima della capitolazione dell'esercito tedesco, mentre il bollettino si limita a registrare: "Niente di nuovo sul fronte occidentale". Niente di nuovo sul fronte occidentale Fucili, granate, esplosioni, uomini che prendono la mira, sparano, si uccidono: è la realtà della guerra, vissuta dai ragazzi protagonisti del film Niente di nuovo sul fronte occidentale. Diretto nel 1979 da Delbert Mann e tratto dall'omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, il film è stato proiettato presso l'Istituto Bandini, in occasione del centenario dell'inizio della Prima guerra mondiale. È, infatti, nella Germania del 1918 che si svolgono le vicende. Dopo il diploma, Paul Bäumer, il protagonista, decide, dietro incoraggiamento del professore, di dedicarsi ai propri doveri verso la madrepatria; parte, così, insieme ai suoi migliori amici, nonché ex-compagni di classe, per arruolarsi. Prima di salire sul treno, ciascuno provvede a rassicurare i propri familiari, e forse anche sé stesso, di un certo ritorno. In un primo momento i ragazzi vengono addestrati duramente al fine di essere preparati per affrontare la vita di trincea. Sono stremati, ma tutto sommato hanno del cibo, ridono e scherzano, prendendo in giro il loro maggiore Himmelstoss, proprio come è normale che si comportino dei diciottenni. Purtroppo, però, giunge anche il momento di mettere in pratica i duri allenamenti: tutto il gruppo di Bäumer viene trasferito al fronte. Subito si rendono conto che lo scontro con il nemico e la vita di trincea non sono minimamente paragonabili a ciò che fino ad allora avevano appreso. Ogni giorno è una lotta: procurasi i viveri, stare sempre in agguato, pronti ad attaccare e ad essere attaccati. Gli scontri contro i francesi producono sempre una carneficina, ma ciò che conta è sconfiggere il nemico: da sempre in guerra si combatte, senza domandarsi il perché di tanto odio. È proprio Paul, in una scena molto significativa, che, dopo aver ucciso un soldato francese per necessità di sopravvivenza, riflette pensando a lui come a un fratello, un essere umano che si trovava nella sua identica condizione, e non più un nemico. Questo episodio, inoltre, provoca in lui ulteriori rimorsi e turbamenti, che ormai lo tormentano già da tempo per la morte di quasi tutti i suoi compagni: Kemmerick, Kropp, Müller, Tjaden, Westhus... Quei compagni dai quali non vedeva l'ora di tornare, dopo un periodo di riposo a casa che gli era stato concesso per un infortunio. Ormai erano loro a rappresentare la sua famiglia. Paul, ora, è però solo, gli rimangono solo i ricordi che riaffiorano alla mente e che sono presenti in molte scene. Più volte, infatti, la vicenda è interrotta da flashback, nei quali il protagonista pensa alla vita e alle ambizioni di tutti i suoi migliori amici prima della guerra. Sara De Santis IV TUR Torneranno i prati Nel novembre del 2014, in occasione del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale, è uscito nelle sale cinematografiche Torneranno i prati, capolavoro di Ermanno Olmi. Liberamente ispirata al racconto La paura di Federico De Roberto, la vicenda è ambientata sull’Altopiano di Asiago, fronte Nord-Est del conflitto. Una truppa di soldati in una trincea ad alta quota riceve la visita di un maggiore inviato dal comando di divisione. L'ordine è devastante: a causa di intercettazioni austriache, i soldati devono creare un altro collegamento con il comando, ma in un luogo strategico molto più esposto alle fucilate austriache. Uscire fuori dalla trincea significa morire sotto i colpi di un abilissimo cecchino. Ma gli ordini sono ordini e vanno rispettati. I soldati escono uno dopo l’altro strisciando sulla neve e cadendo dopo pochi secondi nell’infinito bianco dell’altopiano. Il capitano, sconvolto dalla notizia, rinuncia ai suoi gradi e viene sostituito da un giovane tenente, incapace però di prendere decisioni salde. Nel frattempo gli austriaci lanciano razzi per stabilire esattamente la posizione della trincea italiana, che verrà bombardata pesantemente appena scoperta. Definito dallo stesso regista come un film “che non parla della guerra, ma del dolore della guerra”, Torneranno i prati esprime a pieno l’angoscia provocata dal Primo conflitto mondiale. Ad ottenere questo effetto contribuiscono tutti gli elementi del film: la fotografia - curata dal figlio del regista Fabio Olmi e vincitrice di vari premi -, che ricorre ad un filtro color seppia; le musiche di Paolo Fresu, ispirate al cosiddetto “Silenzio”; la minima sceneggiatura dello stesso regista. I dialoghi sono poveri e per lo più in dialetto, diverso a seconda della provenienza dei soldati: questo aspetto, ripreso dal plurilinguismo del racconto di De Roberto, evidenzia in particolar modo il problema, ancora persistente nell’Italia di inizio Novecento, della mancanza di unità sul piano linguistico. Molto accentuato il contrasto tra il vivere sottoterra dei soldati e la bellezza incontaminata della natura al di fuori della trincea. Sono infatti poche le scene 2 cruente e di combattimento nella pellicola rispetto al risalto che Olmi attribuisce alla flora e alla fauna circostanti. Ciò, se possibile, fa apparire ancora più grave la situazione dei soldati, letteralmente sepolti nelle trincee, che invidiano le migliori condizioni di vita di alberi e animali di montagna. Toccante a questo proposito la scena in cui due soldati ammirano una volpe che corre sotto un larice, commentando lo splendido colore dorato che assume l'albero in autunno. È da questo contrasto che Olmi riesce a far emergere tutta l’assurdità di una guerra in cui migliaia di giovani sono stati mandati a combattere senza una spiegazione ragionevole e in cui spesso sono rimasti intrappolati, sotto i prati tornati a primavera a ricoprire i loro corpi per sempre. Margherita Capannoli V TUR Rigoni Stern Mario Scurati Antonio Serra Renato Serrano Marcela Turoldo Maria David Ventura Stefano Virgilio N 1 60 N 1 65 Quel che c'è nel mio cuore B 51 62 Amare B 51 61 Vogliamo viaggiare, non emigrare B 56 44 Eneide N 1 51 Gli interrogativi sulla guerra di Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la Letteratura 2015 "L'arte solleva degli interrogativi. E quelle domande che fa circolare non hanno nulla di moderno, sono antiche e si ritrovano in tutte le culture". Questa riflessione dell'artista francese Boltanski riassume esattamente la sensazione che ho avuto leggendo Ragazzi di zinco di Svetlana Aleksievič, scrittrice bielorussa premio Nobel per la Letteratura lo scorso ottobre, pubblicato nel 2013 da Edizioni e/o. Il suo è un romanzo corale che dà voce a medici, infermiere, microbiologhe, ufficiali e soldati semplici. E madri. Tante madri. Protagonisti e protagoniste della guerra "nascosta" dell'Armata Rossa in Afghanistan, dal 1980 al 1989. Dieci anni di guerra: conseguenze immediate, un milione e mezzo di vittime afghane, cinque milioni di profughi, un tessuto sociale e urbanistico completamente devastato. Migliaia di vittime sovietiche. Migliaia di mutilati, nel corpo e nell'anima. Alcuni dei sopravvissuti li ritroviamo, oggi, addestratori dell'ISIS. La guerra, ci dice la scrittrice, è un incubo che ci lascia in eredità un incubo: si può scegliere di viverlo da soli, rievocando di giorno e di notte l'orrore vissuto e compiuto, o riprodurlo di nuovo, da qualche altra parte. La guerra diventa un'abitudine. Una professione. L'autrice, nel suo romanzo, pone interrogativi sull'arte, sul ruolo e la responsabilità dello scrittore, sulla guerra, ma, soprattutto, sull'ideologia e le sue tragiche conseguenze. Sono gli stessi interrogativi di E. M. Remarque, scrittore che ci racconta la Prima guerra mondiale. Parole come "onore" e "orgoglio", fondamentali nell'ideologia, non sono parole neutre, astratte. Si traducono sempre in un braccio armato. Nella morte di uomini per mano di altri uomini. La guerra, ci insegnano Remarque e Aleksievič, è "una miscela di idealismo e sogni". Dalle tragiche Si riporta di seguito l'elenco, aggiornato al 16/11/2015, dei nuovi acquisti. Si tratta di titoli in parte suggeriti dai giovani lettori del giornalino nella rubrica Prossimamente in biblioteca, in parte dai docenti, nell'ambito di singole discipline, come Economia, o dei vari progetti promossi dal nostro Istituto, quali ad esempio l'“Incontro con la letteratura” o il “Giorno della Memoria”. Alcuni dei testi (De Roberto, Lussu, Remarque, Rigoni Stern, Serra) sono relativi al centenario della Prima guerra mondiale o rappresentano importanti novità letterarie (Magris, Svetlana). Aleksievic Svetlana Barrie James Matthew Brown Dan De Roberto Federico Debenedetti Giacomo Franzinelli Mimmo, Graziano Nicola Latouche Serge Lussu Emilio Magris Claudio Malvezzi Pietro e altri Mattei Laura e Santucci Paola Modiano Patrick Modiano Sami Piketty Thomas Remarque Erich Maria Il tempo migliore della nostra vita Esame di coscienza di un letterato N15 Antonietta Maria Bernardi Informazioni sulla biblioteca Aleksievic Svetlana I racconti di guerra Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo N 1 62 Preghiera per Cernobyl' N 1 63 Peter Pan N 1 68 Inferno La paura e altri racconti della Grande Guerrra N 1 69 N 1 545-6 16 ottobre 1943 S 2 31-2 Un'odissea partigiana N 1 59 La scommessa della decrescita Un anno sull'altipiano Non luogo a procedere Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana N 1 67 N 1 52 N 1 61 Frosini e la sua magia N 1 64 Dora Bruder S 2 35-6 Per questo ho vissuto Il capitale nel XXI secolo Niente di nuovo sul fronte occidentale S 2 33-4 N 1 66 N 1 58 N 1 53 3 conseguenze, immediate e differite. Le parole di Saša, giovanissimo soldato sovietico, entrano in risonanza con quelle di Paul, il protagonista di Im Westen Nichts Neues (Niente di nuovo sul fronte occidentale). Il dolore della madre di Saša è lo steso dolore delle madri di tutte le vittime di tutte le guerre. Tante le immagini che restano negli occhi, quando chiudiamo i due libri: "Il tuo mitra mette radici nel tuo corpo... Come un terzo braccio"; "Che cosa ho imparato stando qui? Credete che si possa imparare il bene o la misericordia? O la gioia?"; "Io piango tutto il tempo per quella ragazza di Mosca [che ero], con la testa piena di letture, quella ragazza che non c'è più." L'idealismo evapora, il sangue rimane. Simona Fabbris on an iron stick, “planted” in the lawn around the Tower are the suggestive testimony of a nation, the United Kingdom, cohesive in the pain and the will to remember its fallen in a war like World War I which opened a wound in the hearts of a nation not yet healed after a century. Lorenzo Gelli V RIM Hartmannswillerkopf théâtre de l'amitié retrouvée entre la France et l'Allemagne Un siècle auparavant, la France et l'Allemagne se déclarèrent la guerre. Le 3 août 2014 exactement, c'est mains dans la mains que les deux chefs d’états, Hollande et Gauck, ont remonté ensemble la longue tranchée d'honneur pour se rappeler des trente mille soldats qui ont perdu leur vie. Ils ont déposé la première pierre d'un futur musée Franco-Allemand dédié à la mémoire des deux nations, dont l'ouverture est prévue en 2017. C’est ainsi que les deux chefs d'états ont montré la force de l'amitié entre leurs deux pays, qu'ils rappellent leur histoire ensemble en toutes ses nuances. Amal Bahaeddine III RIM C'è posta da Montalcino Diciassette Diciassette, un numero come un altro: gli anni di tua sorella, le volte che hai preso un’insufficienza, il numero di treni che hai perso, il giorno che ti sei rotta il menisco e che magari era pure un venerdì. Ma se accanto a 17 ci scrivessi milioni? Subito nella nostra mente si crea un’immagine molto più ampia e riesce difficile immaginarsi materialmente una cifra del genere. Potrebbero essere i soldi che spende un magnate americano in macchine da corsa, oppure gli abitanti dei Paesi Bassi; comunque la si metta è impossibile avere in testa un’idea precisa di ogni banconota e ogni olandese, perché è semplicemente troppo. Aggiungiamo la parola decisiva, quella che dice di cosa stiamo parlando: 17 milioni di morti, fra soldati e civili. Questa è la cifra stimata - ma arrotondata per difetto e senza che ci sia accordo tra i vari storiografi -, delle vittime della Prima guerra mondiale, questi sono 17 milioni di uomini, donne, bambini. Storicamente abbiamo il dovere civico di sapere come sono andate le cose, ma dal punto di vista morale, c’è qualcuno che possa dire di avere vinto? Der Krieg von Otto Dix 2014 war das hundert Jahre Jubiläum des Anfangs des Ersten Weltkriegs in Deutschland. In vielen deutschen Städten wurden Veranstaltungen und Events geplant: Filme, Ausstellungen, Konzerte, Vorlesungen. Die Stadt Dresden hat eine Ausstellung mit den Werken vom Maler Otto Dix von 5. April bis 13 Juli 2014 realisiert. Otto Dix (1891-1969) hat mit seinen Darstellungen Toten und Verwundeten des Krieges stark und bedeutungsvoll repräsentiert. Man kann sie in Triptychon Der Krieg (1929-1932) sehen. Auf der linken Tafel kann man den Auszug von Soldaten im Morgengrauen sehen; in der zentralen Tafel wird das Schlachtfeld als Stadt des Todes dargestellt; endlich erzählt die rechte Tafel die Rückkehr aus der Schlacht. Die Predella stellt die Ruhe der Soldaten dar. Der Krieg ist das wichtigste Werk in der Galerie Neue Meister von Kunnstsammlungen Dresden im Albertinum. Hier konnte man die Entstehung des Werks sehen: von den ersten Zeichnungen bis zum vollendeten Gemälde. Sehr beeindrückend ist der extreme Realismus, mit dem der Künsler den Krieg malt. Im Dresdener Luce Scheggi The foreign file 800000 poppies as many as the British soldiers who died in World War I When I first saw the red ocean streaming down the Tower of London, it almost looked macabre, like all the prisoners executed among those four ancient walls had shed their blood to fill the old ditch. Then, approaching and inquiring, I found out I wasn’t so wrong after all. In fact, the only difference was about to whom that blood belonged. Those spectacular 800.000 “poppies”, hand-made ceramic red flowers 4 Kupferstich Kabinett kann man auch Dokumente über den Krieg (Feldpostkarten und Plakaten) finden. Durch die Kunst versucht man, die historische Vergangenheit nicht zu vergessen. Maria Cristina De Mare e Sara De Santis IV TUR pur fra ruvidezze e ingenuità, hanno costituito l’imperituro lascito della cultura illuminista del Settecento e dell’ideologia politica democratica dell’Ottocento: la sensazione che sia rinata e si sia diffusa rigogliosamente nei popoli la “barbarie”, ovvero una volontà dichiarata ed esasperata di estrema violenza, priva di alcuna remora morale. A ciò si aggiunga il timore che questa barbarie, fecondata dai massacri indiscriminati del primo trentennio del secolo, sia destinata a perpetuarsi per lunghissimo tempo ancora a causa di un fenomeno di grave rottura intergenerazionale: quella perdita e quel rifiuto della memoria storica, i cui primi segnali sono stati avvertiti – non casualmente – proprio all’indomani della Seconda guerra mondiale. Gaetano Greco Professore di Storia Moderna - Università di Siena Il topo di biblioteca Il Novecento: un “secolo breve”? Nel 1994, lo storico inglese di scuola marxista Eric J. Hobsbawm, già noto per tre fortunati volumi dedicati alla storia dell’Ottocento, pubblicò un poderoso saggio dal titolo The Age of Extremes. The Short Twentieth Century, 1914-1991, subito tradotto in italiano con un titolo significativamente invertito: Il Secolo breve. 19141991: l’era dei grandi cataclismi. In questo saggio, Hobsbawm avanzò una proposta interpretativa sulla periodizzazione del Novecento, definendolo appunto come un “secolo breve”, lungo non già un centinaio di anni, ma meno di ottanta, mentre per l’Ottocento dei libri precedenti aveva usato la categoria di “secolo lungo”, prospettandone una durata di ben centoventicinque anni, dal 1789 al 1914. La sua proposta mirò a individuare – nell’uno come nell’altro caso – dei “caratteri”, che permettessero di definire in modo unitario un’epoca con le sue scansioni interne. Quanto al Novecento, a parere di Hobsbawm, i suoi caratteri specifici consisterebbero nei “cataclismi”, nelle catastrofi, che a partire dal 1914 hanno segnato una cesura netta e irreversibile con l’epoca precedente, e delle loro conseguenze: l’“Età dell’oro”, corrispondente al bipolarismo fra USA e Unione Sovietica (dal 1946 al 1973), e la “Frana”, con l’implosione dell’Unione Sovietica e del suo sistema di relazioni internazionali (dal 1973 al 1991, anno della prima guerra irachena). La sconfitta dei regimi totalitari, tuttavia, non avrebbe portato – come invece ha sostenuto nel 1992 l’economista Francis Fukuyama – alla “fine della Storia”, bensì all’inizio di un’epoca di disordine indecifrabile. Il libro di Hobsbawm è ricco di fatti, personaggi e problematiche e, al pari di altri capolavori della storiografia del Novecento (uno per tutti: Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, del francese Fernand Braudel), merita un’attenta lettura, “distesa” dall’inizio alla fine, e una rilettura più “random”, per coglierne gli spunti utili per approfondimenti personali. In queste poche righe, preme segnalare soprattutto due aspetti, che paiono convincenti a chi, come l’autore, ha vissuto la maggior parte della sua vita in quel breve secolo. In primo luogo, la constatazione che in quei decenni si è consumato il disfacimento dell’egemonia europea: dopo il trionfo ottocentesco dell’imperialismo europeo, la “Guerra civile europea” del 1914-1945, con le sue più dirette conseguenze (Guerra fredda, decolonizzazione), ha spostato fuori dall’Europa il pernio (e in gran parte anche il governo) della dimensione ormai mondiale assunta dalla storia dell’umanità. Vi è, poi, una sensazione, invero assai amara per chi ha attraversato il Novecento continuando a coltivare quegli ideali umanistici, che, L'angolo della poesia Quando pensiamo alla poesia, pensiamo a qualcosa di antico, che appartiene al passato. Di sonetti oggi ne vediamo pochi, ma siamo sicuri che la poesia si sia estinta? L’autore proposto in questo articolo è la conferma che non è così. Fabrizio Cristiano De André (nato a Genova nel 1940 e venuto a mancare nel 1999) è stato uno dei più grandi cantautori italiani. Un uomo che può essere considerato un poeta moderno, per aver unito l’eleganza della poesia con l’arte popolare della musica. Poiché da giovane rimase molto scosso dai racconti di guerra di suo zio, numerose sono le canzoni che De André ha dedicato a questo tema, tra le quali La guerra di Piero, del 1964. Questa canzone, che alterna la narrazione dei fatti ai pensieri del soldato, Piero, mentre sta per raggiungere il fronte, si apre con la descrizione del suo giaciglio di morte, dove i papaveri rossi, fiori spontanei e dal colore acceso, raffigurano la semplicità e l’allegria della vita. Prosegue con il flashback che ripercorre la marcia fino al momento in cui il soldato incontra “un uomo in fondo alla valle” con il suo “stesso identico umore/ ma la divisa di un altro colore”. Nonostante tutto Piero non vuole uccidere un essere umano; un uomo che è impaurito come lui, che ha vissuto le sue stesse emozioni e in cui rivede se stesso. Ma il soldato del fronte opposto, davanti alla paura, reagisce sparando al protagonista e uccidendolo. Gli ultimi pensieri di Piero si rivolgono alla sua amata che simboleggia la normalità delle vite di tutti quegli uomini che hanno trovato la morte nella guerra: “Dentro alla bocca stringevi parole/ troppo gelate per 5 sciogliersi al sole”. Sono le parole che Piero non ha detto e che non potrà pronunciare mai più, perché congelate con lui nel freddo della morte, che né il sole di maggio né l'amore della sua amata Ninetta potranno mai più sciogliere. possibilità di visitare la cosiddetta “Venezia del Nord”, capitale dei Paesi Bassi: Amsterdam. Questa magnifica città, famosa per i suoi canali, i palazzi pittoreschi, le chiese gotiche e altre attrazioni, è nota anche per aver ospitato la famiglia Frank, di origine ebrea, che aveva abbandonato la Germania durante il periodo delle deportazioni naziste per sfuggire ai campi di concentramento. L'abitazione di Anna Frank, nascosta dietro una libreria girevole, è situata lungo il canale Prinsengracht 263 (“Canale del principe”). La giovane vi visse, insieme alla famiglia e ad altri otto compagni, per due anni, foto Carolina Cadelo (III A TUR) finché i nazisti scoprirono il rifugio e tutti i clandestini vennero deportati nei campi di concentramento. Il padre di Anna, Otto Frank, fu l'unico a sopravvivere. Poco prima di entrare in clandestinità, Anna aveva ricevuto un diario in dono per il suo compleanno. Iniziò immediatamente a scrivere e durante il periodo trascorso nel nascondiglio annotò gli avvenimenti dell'alloggio segreto, parlando di sé, scrivendo brevi racconti e tenendo nota delle citazioni di scrittori famosi in uno speciale quaderno delle "belle frasi", entrambi visibili all'interno del museo. Questa struttura, al termine della Seconda guerra mondiale, rischiò di essere demolita, ma alcuni cittadini protestarono e fondarono la Casa di Anna Frank, che è oggi il terzo museo più visitato di Amsterdam. Infatti per accedervi è necessario fare lunghe file ed occorre la prenotazione anticipata. È stata un'emozione vedere con i miei occhi gli stessi luoghi che hanno ispirato ad Anna Frank, nascosta nel suo rifugio, le intramontabili pagine del suo foto Carolina Cadelo (III A TUR) diario, che rimane forse il più terribile atto d'accusa contro la barbarie nazista. La guerra di Piero Dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma son mille papaveri rossi. Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente. Così dicevi ed era inverno e come gli altri verso l'inferno te ne vai triste come chi deve il vento ti sputa in faccia la neve. Fermati Piero, fermati adesso lascia che il vento ti passi un po' addosso dei morti in battaglia ti porti la voce chi diede la vita ebbe in cambio una croce. Ma tu non lo udisti e il tempo passava con le stagioni a passo di giava ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di primavera. E mentre marciavi con l'anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore. Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra a coprire il suo sangue. E se gli sparo in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire ma il tempo a me resterà per vedere vedere gli occhi di un uomo che muore. E mentre gli usi questa premura quello si volta, ti vede e ha paura ed imbraccia l'artiglieria non ti ricambia la cortesia. Cadesti in terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che il tempo non ti sarebbe bastato a chiedere perdono per ogni peccato. Cadesti interra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno e non ci sarebbe stato un ritorno. Ninetta mia crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio Ninetta bella dritto all'inferno avrei preferito andarci in inverno. Silvia Pianigiani III A TUR E mentre il grano ti stava a sentire dentro alle mani stringevi un fucile dentro alla bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole. Dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi. Vado a teatro Chi ha detto che non si possono conciliare istruzione e divertimento? Il nostro Istituto ci sta offrendo l’opportunità di potenziare le lingue straniere partecipando a spettacoli teatrali esclusivamente in lingua e a corsi di laboratorio teatrale. Ad esempio, lo scorso 25 Novembre molte classi si sono recate al Teatro dei Rozzi a Siena per assistere allo spettacolo in lingua inglese The Canterville Ghost, una rivisitazione moderna del classico di Oscar Wilde a cura dell'“American Drama Group Europe”. La compagnia, restando comunque abbastanza fedele alla Laura Palla V CAT Lo scaffale di Anna Frank Per questo numero questa rubrica non tratterà di un libro sulla Shoah ma della casa della stessa Anna Frank. Infatti lo scorso 11 novembre, insieme ad altri alunni delle classi terze, coinvolti nello scambio culturale con la scuola olandese “Almende College”, ho avuto la 6 vicenda originale del racconto di Wilde, ha saputo coinvolgere gli studenti con divertenti coreografie accompagnate da musiche vivaci e brani cantati dal vivo. Inoltre, le classi che studiano francese si recheranno a Montepulciano il prossimo 17 Dicembre per “6rano 3.0”, uno spettacolo teatrale ispirato al capolavoro di Edmond Rostand Cyrano de Bergerac. L’Istituto “Bandini” ha poi organizzato anche un laboratorio teatrale che prevede la messa in scena di uno spettacolo in inglese, sotto la guida del prof. Alfredo Camozzi, insegnante in pensione appassionato di teatro, e il supporto dei proff. Mignozzi, Petrocchi, Ruggiero e Vita. Lo spettacolo si intitola Arsenic and Old Lace (Arsenico e vecchi merletti) ed è basato sull'omonima commedia di Joseph Kesselring (drammaturgo statunitense), da cui è stato tratto anche il noto film di Frank Capra del 1944. Teresa Bartalini V TUR dalla loro realtà costruendo ali di carta con cui un giorno andare in paradiso, e grazie a Lucia e Federico, con gli occhi colmi d’amore. Fabiana Cusimano III A TUR Il bello della squola (… ora di Storia dell’Arte… una studentessa inizia ad analizzare un celebre quadro…) “Intanto possiamo dire che L’urlo di Munch fu dipinto da Van Gogh”. (… interrogazione di Italiano) “Tra le Operette Morali di Leopardi abbiamo letto il Dialogo della Natura e di un Islandese e… Il Gallo Silvestro!” “Prof. ma allora se ci riferiamo alle personalità di Pascoli e D’annunzio si può dire che fossero autori diversissimi… agli antilopi!” Prossimamente in biblioteca (… ora di Religione…) “Prof. ma che vuol dire Agnus Dei…il giorno dell’agnello?” Ciò che inferno non è, pubblicato il 28 ottobre 2014 dalla casa editrice Mondadori, è l'ultima fatica letteraria di Alessandro d’Avenia. Dopo lo strepitoso successo di Bianca come il latte, rossa come il sangue e di Cose che nessuno sa, lo scrittore palermitano dedica il libro a Padre Pino Puglisi, scherzosamente soprannominato “3P”, da lui conosciuto personalmente in quanto insegnante di religione nel suo stesso Istituto. Tutta la trama ruota intorno a “3P”: il diciassettenne Federico, finita la scuola, si prepara per una vacanza studio ad Oxford. I suoi programmi però cambiano quando il suo professore di religione, padre Puglisi, lo invita a dargli una mano, prima della partenza, con i bambini del “Padre Nostro”, un centro di Brancaccio che don Pino ha inaugurato per strapparli alla vita di quel posto. Il ragazzo accetta, ignaro del fatto che quando attraverserà il passaggio a livello che separa Brancaccio dalla sua città, Palermo, gli cambierà la vita: dovrà stare attento ai “padrini” che controllano il quartiere. Ma conoscerà anche dei dolci e indifesi bambini che sperano in una vita migliore. E, soprattutto, incontrerà Lucia, che trova il coraggio di guardare con occhi luminosi quel mondo fatto di mafia e povertà… fino al 15 settembre 1993. Una data che segna Brancaccio e, non solo: il giorno del suo 56º compleanno, don Pino viene ucciso con un colpo alla nuca, per il suo costante impegno evangelico e sociale. Una vera e propria esecuzione mafiosa. D’Avenia racconta questa storia con una tale intensità da trasportarti fin dentro uno dei quartieri più poveri di Palermo, e riuscendo, al tempo stesso, a ritrarre perfettamente l’adolescenza. Ed è per questo motivo che lo consiglio vivamente a tutti i ragazzi della mia età. Non mancheranno le emozioni, grazie a “3P”, che riesce ad aiutare tutti, anche solo con un sorriso, grazie ai suoi bambini, che cercano di evadere (… ora di Scienze…) “Prof. ma per guardare meglio le stelle ce l’abbiamo qui a scuola uno stetoscopio?” (studentessa straniera) “Prof. per piacere oggi non mi interroghi…ho un mal di testa allucinogeno!” (… al rientro dalla pausa natalizia… l’insegnante di Lettere si rivolge ad un alunno:) “Allora, parlami del libro che avete letto durante le vacanze di Natale.” (… l’alunno… il quale non ha letto il libro… imbarazzato esita, poi capta un suggerimento da parte di un compagno e risponde:) “Eh… bé… naturalmente abbiamo letto con interesse una delle opere più affascinanti di Calvino … Il Barbone Rampante”. A cura di Francesco Petrocchi 7 vita a Parigi negli anni Venti, sono aumentate a dismisura in seguito ai tragici attentati del 13 Novembre. Il libro è stato visto infatti come un omaggio ai parigini e molte persone ne hanno lasciato copie sui luoghi dell'attentato accompagnate da candele, fiori e messaggi commoventi. Chiara Bellucci IV TUR Librarsi “Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna, perché Parigi è una festa mobile” (Ernest Hemingway) "Ci sono due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi” (Ernest Hemingway) “Parigi è come un oceano. Gettateci una sonda e non ne conoscerete mai la profondità” (Honoré de Balzac) “Come artista, un uomo non ha altra patria in Europa che Parigi” (Friedrich Nietzsche) “Molti vanno a Parigi, ma pochi ci sono stati” (Francesco Algarotti) “Ho sotto gli occhi i cinquemila ettari del mondo in cui si è pensato di più, parlato di più e scritto di più” (Jean Giradoux) “In ogni arcobaleno di Parigi si vede qualche arco di trionfo” (Mieczyslaw Horszowski) “Salvare Parigi è più che salvare la Francia, è salvare il mondo. Parigi è il centro stesso dell'umanità. Parigi è città sacra. Chi attacca Parigi attacca in massa tutto il genere umano” (Victor Hugo) A cura di Silvia Pianigiani III A TUR Bibliopolis: libri, foto e fantasia Oltre agli autori dei vari contributi, si ringraziano per aver collaborato a questo numero: Roberto Ciampalini e i proff. Claudia Busini, Alessandra Gentili e Laura Tommasi. In Francia le vendite di Festa mobile, il romanzo autobiografico scritto da Ernest Hemingway sulla sua Impaginazione a cura di Marius Birlad (IV SIA) 8