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CAPRONI “RELIGIOSO”*

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CAPRONI “RELIGIOSO”*
PAOLO ZOBOLI
CAPRONI “RELIGIOSO”*
1. Il volume dell’Opera in versi di Giorgio Caproni ci consegna un’opera
poetica di straordinaria ricchezza e complessità, che si sviluppa per un
sessantennio nel cuore del Novecento con progressive e sorprendenti
acquisizioni e, nondimeno, con una profonda coerenza e fedeltà a se
stessa.1 Tutta la prima parte di essa viene raccolta e ordinata nel 1956 dal
Passaggio d’Enea, che costituisce dunque una vera e propria summa del
“primo” e del “secondo” Caproni.2 Dopo la nascita a Livorno nel 1912 e
l’infanzia trascorsa nella città toscana, la formazione del poeta è avvenuta in Liguria: la giovinezza a Genova e in Val Trebbia nutre i versi delle
Testo a stampa in P. ZOBOLI, Linea ligure. Sbarbaro, Montale, Caproni, Interlinea, Novara
2006 (Biblioteca letteraria dell’Italia unita, 12), pp. [63]-80.
1 G. CAPRONI, L’opera in versi, edizione critica a cura di L. Zuliani, introduzione di P.V.
Mengaldo, cronologia e bibliografia a cura di A. Dei, Mondadori, Milano 1998 (I Meridiani)
[= OV]. In ideale appendice, si consideri il Quaderno di traduzioni, a cura di E. Testa, prefazione di P.V. Mengaldo, Einaudi, Torino 1998 (Collezione di poesia, 274); per quanto riguarda
l’opera in prosa, sono oggi disponibili i racconti di Il labirinto, Garzanti, Milano 1992 (Gli elefanti), e le prose critiche di La scatola nera, prefazione di G. Raboni, ivi, 1996 (Saggi blu). Indispensabile punto di riferimento è la monografia di Adele DEI, Giorgio Caproni, Mursia, Milano 1992 (Civiltà letteraria del Novecento. Profili, 46). Si veda poi la Bibliografia a cura di
Ead. in OV, pp. [1841]-1867, e la Bibliografia di Giorgio Caproni. Aggiornamento (1997-2001), a
cura di E. Contu e A. Montani, in Giorgio Caproni. Quaderno bibliografico. Anno 2001, a cura di
G. Devoto, San Marco dei Giustiniani, Genova 2002, pp. [55]-83 (ma anche la Retrospettiva
caproniana dello stesso Montani, ibi, pp. 33-44). Si segnalano in particolare i due volumi a cura
di G. Devoto e S. Verdino, Genova a Giorgio Caproni (ivi, 1982) e Per Giorgio Caproni (ivi, 1997);
mentre fra i profili complessivi, oltre al libro di Adele Dei, hanno nutrito queste pagine L.
SURDICH, Giorgio Caproni. Un ritratto, presentazione di A. Tabucchi, Costa & Nolan, Genova
1990 (Riscontri, 22), e C. ANNONI, Vibrare sul tema. L’arpa magica di Giorgio Caproni, in “Testo”, 24 (1992), pp. [57]-91. È stata preziosa occasione di approfondimento, infine,
l’assistenza all’elaborazione della tesi di laurea di Michela Ziccardi, Invoca il non invocabile: la
ricerca religiosa nella poesia di Giorgio Caproni, discussa presso l’Università Cattolica di Milano,
relatore il prof. Enrico Elli, nell’anno accademico 2002-2003.
2 G. CAPRONI, Il passaggio d’Enea. Prime e nuove poesie raccolte, Vallecchi, Firenze 1956.
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prime esili raccolte, da Come un’allegoria (1936), a Ballo a Fontanigorda
(1938), a Finzioni (1941).3 In essi il contrasto tra la vivida percezione dei
fenomeni e il sentimento della labilità delle cose della terra cresce sul nucleo profondo del ricordo di Olga, la fidanzata morta in giovane età:
All’origine dei miei versi direi che c’è la giovinezza e il gusto quasi fisico della vita,
ombreggiata da un vivo senso della labilità delle cose, della loro fuggevolezza: coup de
cloche, come dicono i francesi, o continuo avvertimento della presenza, in tutto, della
morte.4
I libri successivi, Cronistoria (1943) e la terza parte del volume vallecchiano, Il passaggio d’Enea vero e proprio, registrano l’urto storico della
guerra, nei modi – rispettivamamente – di un avvicinamento all’esperienza dell’Ermetismo e di un’aspra tensione stilistica ed espressiva che
ben si potrebbe definire, con riferimento a un momento fondamentale
dello sperimentalismo dantesco, “petrosa”.5 Dal 1938, dopo il matrimonio con Rina (la fanciulla della Val Trebbia che anche nei versi contrappone tinte luminose a quelle funebri di Olga), Caproni si trasferisce a
Roma, dove vivrà, con la parentesi della guerra, sino alla fine dei suoi
giorni.
2. Il seme del piangere (1959) e Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965) segnano a tutti gli effetti, dopo la summa vallecchiana, un
3 Le tre raccolte si leggono oggi in OV, rispettivamente alle pp. [5]-23, [25]-42 e [43]-61.
A conferma della loro stretta contiguità, nel Passaggio d’Enea esse costituiscono il Primo libro,
che dall’ultima prende il titolo complessivo (appunto Finzioni). Per la biografia del poeta si
veda la Cronologia a cura di Adele Dei premessa a OV (pp. [XLV]-LXXVIII).
4 F. CAMON, Giorgio Caproni, in ID., Il mestiere di poeta, Lerici, Milano 1965 (Saggi, 36), pp.
[125]-136 (a p. 128). Sull’argomento si veda il monumentale contributo di P. ZUBLENA, Cartoline da Vega. Il tema della morte nella poesia di Caproni: dal lutto alla meditatio mortis, in Nell’opera
di Giorgio Caproni, “Istmi”, 5-6 (1999), pp. 53-124.
5 Nel Passaggio d’Enea, Cronistoria (Vallecchi, Firenze) costituisce il Secondo libro, Stanze della
funicolare il Terzo libro che, anticipato dall’omonima plaquette del 1952 (De Luca, Roma), prenderà forma a sé nell’edizione Einaudi del 1968 (Il «Terzo libro» e altre cose): Cronistoria si legge
oggi in OV, pp. [63]-108; il Terzo libro, con il titolo Il passaggio d’Enea, ibi, pp. [109]-180. Nei
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momento di transizione della poesia di Caproni.6 Nel primo libro – singolarissimo canzoniere “amoroso” per la madre Anna Picchi, morta nel
1950 – il poeta compie un viaggio a ritroso nel tempo, fino alla Livorno
che vede la giovinezza e il fidanzamento di Annina. Ancora una volta si
pone il contrasto tra la leggerezza e la luminosità della giovane e
l’incombere della morte: ma adesso la poesia di Caproni si affaccia
sull’“oltre”. Se Olga, nei testi che chiudono le prime due plaquettes, accosta i vetri e si appanna nella memoria mentre l’acqua della Trebbia continua a scorrere, Annina è colta, in Ad portam inferi, all’inizio del suo viaggio verso il nulla, mentre in una stazione nebbiosa, ove il tempo segnato
dall’orologio è fermo, attende «l’ultima coincidenza / per l’ultima destinazione».7 Senza soluzione di continuità, nel testo eponimo del libro
successivo un viaggiatore cerimonioso si congeda dai suoi muti compagni di scompartimento nel momento in cui vede «dal finestrino, oltre il
fumo / umido del nebbione / che li avvolge, rosso / il disco della sua
stazione».8 Se Annina attendeva la partenza, il viaggiatore del Congedo è
giunto alla sua «nuova sede»: ma ciò che lo attende, il mondo di là, è ignoto. La Prudenza della guida consiglia, poco dopo:
Sostiamo. Che ne sappiamo,
noi tutti, di quel che ci aspetta
di là, passata la cresta?
Ci sono mormorii
diversi. Voci. Brusii.
due libri ci sembra di poter individuare – pur nella sostanziale continuità (in divenire)
dell’Opera in versi – un “secondo” Caproni.
6 Ibi, pp. [181]-[235] e [237]-272: dal Seme del piangere in poi i libri del poeta escono presso
Garzanti. Su questo “terzo” Caproni si veda G. BÀRBERI SQUAROTTI, Poesia e teologia: l’ultimo
Caproni («Il seme del piangere», «Il congedo», «Il muro della terra»), in Genova a Giorgio Caproni, pp.
131-146.
7 Ad portam inferi, 9-10 (OV, pp. 204-207: a p. 204). Le allusioni precedenti, rispettivamente, a Dietro i vetri (ibi, p. 23) e Ad Olga Franzoni (ibi, p. 42).
8 Congedo del viaggiatore cerimonioso, 25-28 (ibi, pp. 243-245: alle pp. 243-244): la citazione seguente, v. 23 (ibi, p. 243).
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Non altro.9
È a questo punto che si affaccia nell’opera del poeta il tema religioso,
prima affidato a particolari del tutto marginali (la «cieca [...] reliquia del
Santo» di Sagra, in Ballo a Fontanigorda, i Due appunti in appendice al Seme).10 Di fronte al mistero dell’“oltre” Caproni non si affida ad alcunché
di positivo; scendendo dal treno del tempo, infatti, il viaggiatore cerimonioso si congeda anche dalla religione: «Ed anche a lei, sacerdote, / congedo, che m’ha chiesto s’io / (scherzava!) ho avuto in dote / di credere
al vero Dio».11 È l’insofferenza, tipica del poeta, nei confronti di ogni fede
istituzionale e di ogni pacifica soluzione del problema religioso. In una
“prosopopea” successiva, Lamento (o boria) del preticello deriso (significativamente dedicata «a Mézigue», e cioè “a me stesso”), l’esistenza di Dio
non è infatti accettata pacificamente, bensì dolorosamente cercata, da un
«povero prete»:
non so più agire
e prego; prego non so ben dire
chi e per cosa; ma prego:
prego (e in ciò consiste
– unica! – la mia conquista)
non, come accomoda dire
al mondo, perché Dio esiste:
ma, come uso soffrire
io, perché Dio esista.12
3. Le istanze metafisiche e religiose, le domande sull’“oltre” che si affacciano prima nel Seme e poi più decisamente nel Congedo, trovano un verti-
9 Prudenza della guida, 30-35 (ibi, pp. 247-248: a p. 248); e si tratterà, ancora una volta, di
una discesa ad portam inferi, se il testo presenta («mormorii / diversi. Voci. Brusii») una proverbiale citazione dantesca: «Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira, / voci
alte e fioche, e suon di man con elle» (Inf., III, 25-27: il rilievo è di C. ANNONI, Vibrare sul
tema, p. 76n).
10 Sagra, 15 e 17 (OV, p. 40); Due appunti (ibi, pp. 228-229).
11 Congedo del viaggiatore cerimonioso, 79-82 (ibi, p. 245).
12 Lamento (o boria) del preticello deriso, 133-141 (ibi, pp. 254-258: a p. 258): la citazione precedente, in clausola, al v. 145 (ibidem).
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ginoso sviluppo nell’ultima, splendida stagione dell’opera poetica di Caproni.13 Il muro della terra (1975), Il franco cacciatore (1982) e Il Conte di Kevenhüller (1986) – ai quali va aggiunta la postuma e incompiuta Res amissa
(1991) – sono legati da profondissime affinità strutturali e tematiche, così da costituire un grande trittico: anche gli estremi cronologici dei tre libri (rispettivamente 1964-1975, 1973-1982 e 1979-1986) presentano non
casuali sovrapposizioni.14 In essi il poeta affina la sua “canzonetta indurita”, il verso contratto e folgorante sul bianco della pagina, mentre si infittiscono e si complicano le partizioni interne: tra le sezioni del singolo
libro, e poi tra un libro e l’altro, si stabiliscono continui richiami e rimandi, ora sottili ora evidenti, mentre l’uso musicale delle variazioni sul
tema diviene sempre più uno dei princìpi compositivi di Caproni.15 Al
trittico dei volumi maggiori si affiancano, ad essi cronologicamente e
tematicamente paralleli, i brevi, epigrammatici componimenti riuniti sotto il titolo di Versicoli del controcaproni, scritti tra il 1969 e il 1979 e così
detti, chiarisce il poeta, «perché gli fanno il verso, e anche perché si sono
scritti da soli, contro la sua volontà».16
Nel Muro della terra la poesia di Caproni si scontra dunque con il limite
dell’inconoscibile: «Nessuno / potrà mai perforare / il muro della terra».17 Nel Franco cacciatore la quête di Dio, spinta fino al limite estremo
dell’Ultimo borgo, porta ancora una volta il poeta, in uno dei testi più alti
del libro, ad affacciarsi, senza possibilità di proseguire, sui «luoghi / non
È Il grande Caproni (per noi, il “quarto”) di cui parla Stefano Verdino nel numero monografico Omaggio a Giorgio Caproni, 1, “Resine”, n.s., [XIII] (1991), 47, pp. 53-70; si veda anche,
alle pp. 5-19 del medesimo numero, M. FORTI, Il labirinto metafisico dell’ultimo Caproni.
14 Sigliamo i quattro volumi, rispettivamente, MT (OV, pp. [273]-390), FC (ibi, pp. [391]531), CK (ibi, pp. [533]-702) e RA (ibi, pp. [755]-920).
15 La definizione di «canzonetta indurita» è del poeta stesso, nell’intervista Un poeta in cerca
dell’anima, a cura di C. Cavalleri, in “Studi cattolici”, XXVII (1983), 272, pp. 603-606 (a p.
604).
16 Sigliamo la raccolta VC (OV, pp. [703]-724: la citazione a p. [705]). Più circoscritto
l’interesse della raccoltina che, in OV (pp. [725]-754), si legge tra VC e RA: Erba francese
(1978).
17 MT Anch’io, 3-5 (ibi, p. 325).
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giurisdizionali».18 Quest’ultimo testo trova, nel 1990, una preziosa glossa
d’autore che, tra l’altro, la ricollega esplicitamente e niente affatto casualmente all’immagine centrale del “muro della terra”:
Ho già detto [...] che sono un razionalista che pone dei limiti alla ragione. Nella sua
continua ricerca (non importa di che) la ragione è sempre destinata a incontrare un
muro (“il muro della terra” appunto) o un “ultimo borgo”, oltre il quale non può avere accesso: quelli che ho chiamato “i luoghi – per lei – non giurisdizionali”. Questo, forse, perché l’uomo ragiona soltanto in quanto uomo: anzi, in forma di uomo.
Ma com’è l’universo fuori dalla visione che lui ne ha? Valga un solo esempio elementare: l’uomo vede a colori. Ma è risaputo che “i colori” altro non sono che l’impressione, nei suoi occhi, di certe radiazioni esterne, diversamente tradotte o non recepite
da altri animali. E allora, com’è realmente l’universo fuori dalla visione che ne abbiamo? Spingiamoci più in là di questa considerazione puramente fisica. E tutto il resto?
Noi chiamiamo “nulla” ciò che non possiamo conoscere. Ecco... “tutto”!19
Nel passo Caproni si serve indubbiamente di concetti e persino di lessico kantiani. La ragione che giudica sé stessa rinvia naturalmente alla
Critica della ragion pura: e il concetto di “limite” alla relativa nozione fissata nei Prolegomeni a ogni futura metafisica.20 Ma, soprattutto, i «luoghi non
giurisdizionali» dell’Ultimo borgo rinviano, con analogo termine giuridico,
alla deduzione trascendentale, ovvero alla “giustificazione” della pretesa di
usare i concetti puri dell’intelletto come costitutivi di un’esperienza che
non è prodotta dall’intelletto medesimo.21 Dunque, luoghi “giurisdizio-
FC L’ultimo borgo, 23-24 (ibi, p. 437).
Il muro dello stoicismo, a cura di P. Mattei, in “L’informatore librario”, 4 aprile 1990 (parzialmente riportato in A. DEI, Giorgio Caproni, p. 185). Concetti analoghi il poeta aveva espresso in G. MARIANI - L. BIGIARETTI - M. PICCHI - A. BARBUTO, Incontro con Giorgio Caproni, in “Studi romani”, XXXI (1983), 3-4, pp. 298-306: «Potrebbe anche essere [quella di
FC] la ricerca di Dio, ma io penso che si tratti della ricerca in se stessa, cioè il poter superare
[...] il “muro della terra” (Dante), che è il limite della ricerca umana; il poter cercare che cosa
vi sia oltre la ragione umana, che è destinata a incontrare questo muro oltre il quale non dico
precisamente che ci sia il nulla, ma certamente c’è l’inconoscibile, c’è l’altra terra ignota, ci
sono quelli che chiamo “i luoghi non giurisdizionali” dove alla nostra ragione non è lecito
entrare e capire» (p. 298).
20 Per i concetti kantiani di “limite” e “confine” si veda La casa sul mare: sull’escatologia dei
primi «Ossi», in ZOBOLI, Linea ligure, pp. 143-187 (a p. 156n).
21 «I giuristi, quando trattano di facoltà e pretese, distinguono in una questione giuridica
quel che è di diritto (quid iuris) da ciò che si attiene al fatto (quid facti); ed esigendo la dimostrazione dell’uno e dell’altro punto, chiamano la prima, quella che deve dimostrare il diritto,
o anche la pretesa, d e d u z i o n e »: Deduzione dei concetti puri dell’intelletto, in I. KANT, Critica
18
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nali” per l’uso delle categorie – della ragione – sono solo quelli della natura come insieme di fenomeni, dell’esperienza: luoghi «non giurisdizionali» quelli appunto che oltrepassano il “limite” dell’esperienza stessa.
L’immortalità dell’anima e Dio resteranno prima idee regolative (e non
costitutive) della ragion pura, nella prima Critica, e poi, nella seconda,
postulati della ragion pratica.
Nella prima Critica, inoltre, Kant aveva rappresentato la terra dell’esperienza come un’isola sicura circondata da un mare tempestoso e infido.22 Il rinvio caproniano, nelle note, a Inferno, X, 1-3 («Ora sen va per
un secreto calle, / tra ’l muro de la terra e li martìri, / lo mio maestro, e io
dopo le spalle») designa esplicitamente quello del “muro della terra”, invece, come un perimetro infernale; ma oltre il confine, oltre le mura infuocate della città di Dite, non si trova nulla, come è detto proprio in limine al libro:
«Confine», diceva il cartello.
Cercai la dogana. Non c’era.
Non vidi, dietro il cancello,
ombra di terra straniera.23
E poi, prima dei Due svolazzi finali, in chiusura di esso:
«Avanti! Ancòra avanti!»
urlai.
Il vetturale
si voltò.
«Signore,»
mi fece. «Più avanti
non ci sono che i campi.»24
della ragion pura, traduzione di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza, Bari 19853, 2 tt.
(Biblioteca Universale Laterza, 19), t. I, pp. 121-157 (a p. 121).
22 Del principio della distinzione di tutti gli oggetti in Fenomeni e Noumeni, ibi, pp. 243-260 (a p.
243): cfr. ancora La casa sul mare..., p. 158.
23 MT Falsa indicazione (OV, p. [281]).
24 MT I campi (ibi, p. 383).
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Oltre il “muro della terra” non c’è neanche l’ombra di un’altra “terra”,
per quanto straniera, ma solo un nulla che, per essere assolutamente incomprensibile, non tollera neppure la determinazione dell’articolo: «Dopo di noi non c’è nulla. / Nemmeno il nulla, / che già sarebbe qualcosa».25 Aveva scritto Kant: «il territorio di là dalla sfera dei fenomeni (per
noi) è vuoto».26 Ma si tratta – come ammonisce quel «per noi» tra parentesi – non di un vuoto, di un nulla assoluto, bensì di quello che Kant definisce un nihil privativum e Schopenhauer un «nulla relativo»:
Così adunque ogni nihil negativum, o nulla assoluto, quando venga subordinato a un
concetto più alto, apparirà sempre qual semplice nihil privativum, o nulla relativo, che
può sempre scambiare il suo segno con ciò che esso nega, sì che questo diventi a sua
volta negazione, ed esso viceversa diventi posizione.27
È certo a questo «nulla relativo» che Caproni rinvia quando afferma
che non c’è «il nulla, ma certamente c’è l’inconoscibile, c’è l’altra terra
ignota, ci sono quelli che chiamo “i luoghi non giurisdizionali” dove alla
nostra ragione non è lecito entrare e capire» o che «noi chiamiamo “nulla” ciò che non possiamo conoscere». La poesia di Caproni si spinge
dunque al limite di quel vuoto, che peraltro trabocca oltre il muro, invade le zone di confine, “ultimi borghi” della “terra” e insieme avamposti
del nulla, che assumono gli aspetti, straniati, dei borghi appenninici e
delle zone spopolate della Val Trebbia.28 Il confronto con l’inconoscibile
porta dunque con sé la «frana della ragione» anche entro i confini stes-
25 CK Pensatina dell’antimetafisicante, 3-5 (ibi, p. [675]). Una variazione sul tema in un breve
testo di RA: «Non c’è il Tutto. / Non c’è il Nulla. C’è / soltanto il non c’è» (ibi, p. 839).
26 I. KANT, Del principio della distinzione..., p. 257.
27 A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, introduzione di C. Vasoli,
traduzione di P. Savj-Lopez e G. De Lorenzo, Laterza, Bari 19842, 2 tt. (Biblioteca Universale Laterza, 66), t. II, p. 533 (IV, 71): il filosofo rimanda alla distinzione kantiana formulata
alla conclusione dell’Analitica trascendentale (I. KANT, Critica della ragion pura, vol. I, pp. 281282). Di Schopenhauer, grande medium tra Kant e Nietzsche, si trova in OV soltanto una minima traccia esplicita in RA A Rina, I: «Niente più volontà / e rappresentazione, senza / la
tua (anche occulta) presenza» (OV, p. 910).
28 Si pensi, in particolare, alla sezione di MT Tema con variazioni (ibi, pp. [345]-353).
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si29. Franano le coordinate dello spazio e del tempo, franano i principi
logici aristotelici dell’identità e della non contraddizione:
Sono tornato là
dove non ero mai stato.
Nulla, da come non fu, è mutato.
Sul tavolo (sull’incerato
a quadretti) ammezzato
ho ritrovato il bicchiere
mai riempito. Tutto
è ancora rimasto quale
mai l’avevo lasciato.30
Anche l’Esperienza si rivela inutile: «Tutti i luoghi che ho visto, / che
ho visitato, / ora so – ne son certo: / non ci sono mai stato».31 L’io si
frantuma in molteplici io successivi o coesistenti e ostili.32 I morti hanno
varcato il confine, hanno compiuto il loro ingresso nel niente, e sono
ormai «foglie / che solo il cuore vede / e cui la mente non crede».33
Non troppo dissimile è la condizione di Dio. Si consideri l’ambigua
Pronta replica, o ripetizione (e conferma) alla citata Pensatina: «E allora, sai che
ti dico io? / Che proprio dove non c’è nulla / – nemmeno il dove – c’è
Dio».34 Quello dell’ultimo Caproni è un Dio che il cuore cerca ma a cui
la mente – la ragione – non crede: un Dio che non esiste perché non è
mai esistito, un Dio a cui si chiede, rovesciando in qualche modo
l’argomento ontologico di sant’Anselmo – confutato da Kant nella prima Critica –, almeno l’esistenza:
Dio di volontà,
Dio onnipotente, cerca
CK La frana, 17 (ibi, p. 554).
MT Ritorno (ibi, p. 374): ma si veda anche, per esempio, FC Biglietto lasciato prima di non
andar via (ibi, p. 427).
31 MT Esperienza (ibi, p. 382).
32 Si veda, per il primo caso, CK Oh cari (ibi, pp. [601]-602); per il secondo, ad esempio, la
sezione conclusiva di FC, In Boemia (ibi, pp. [519]-527).
33 FC Foglie, 16b-18 (ibi, p. 448).
34 CK Pronta replica o ripetizione (e conferma) (ibi, p. 676).
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(sfòrzati), a furia d’insistere
– almeno – d’esistere.35
Tuttavia, se per Kant Dio è razionalmente inconoscibile, su Caproni
pesa piuttosto il traumatico annuncio dell’Uomo folle di Nietzsche: la morte di Dio. La vera e propria enunciazione del tema, nel Muro della terra (e
nell’intera Opera in versi), è affidata alla sezione Bisogno di guida. Se la prima
poesia di essa («come potrà poi senza / odio perdonarti il furto / della
tua inesistenza?») riprende il tema della non esistenza di Dio anticipato nella precedente sezione Acciaio («Ah, mio dio. Mio Dio. / Perché non esisti?»), la terza, intitolata Il cercatore, introduce surrettiziamente, infatti,
quello squisitamente nietzschiano della morte di Dio:
Aveva posato
la sua lanterna sul prato.
Aveva allargato
le braccia. Tutto
quel sole. Tutto
quel verde scintillio d’erba
per tutto il vallone.
Era scoraggiato.
«Come
può farmi lume,»
pensava. «Come
può forare la tenebra,
in tanta inondazione
di luce?»
Piangeva,
quasi. S’era
coperta la faccia.
Si premeva gli occhi.
Aveva
perso completamente,
con la speranza, ogni traccia.36
35 MT Preghiera d’esortazione o d’incoraggiamento (ibi, p. 365). Si veda infatti il Proslogion, 3
(Quod non possit cogitari non esse): «Sic ergo vere est aliquid quo maius cogitari non potest, ut
nec cogitari possit non esse» (“Così dunque esiste veramente qualcosa, di cui non si può
pensare nulla di più grande, in modo tale che non si possa nemmeno pensare che non sia”).
Kant ribatterà notoriamente: «Sia quale e quanto si voglia il contenuto del nostro concetto di
un oggetto, noi, dunque, dobbiamo sempre uscire da esso, per conferire a questo oggetto
l’esistenza» (Dell’impossibilità di una prova ontologica dell’esistenza di Dio, in I. KANT, Critica della
ragion pura, t. II, pp. 467-474: alle pp. 473-474).
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Il testo trascrive infatti le prime righe del celeberrimo aforisma della
Gaia scienza: «Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”?» Alle risa di «quelli che non credevano in Dio» («“È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è
imbarcato? È emigrato?”») il cercatore proclama il suo tremendo annuncio:
Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo ? Come potemmo vuotare il mare
bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è
che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un
eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un
alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non
alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte,
sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che
fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo
ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è
morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!37
Dunque Dio non esiste più perché è morto, perché è stato ucciso o si
è suicidato: «Un semplice dato: / Dio non s’è nascosto. / Dio s’è suicidato» (Deus absconditus; non senza la Postilla: «Non ha saputo resistere / al
suo non esistere?»); oppure perché è stato rubato: «Hanno rubato Dio.
MT Il cercatore (OV, p. 323). Bisogno di guida si legge ibi alle pp. [319]-332: il testo
d’apertura Cantabile (ma stonato), di cui si sono citati i vv. 8-10, a p. [321]; l’ultima citazione,
infine, da I coltelli, 8-9 (ibi, p. 313).
37 La gaia scienza, III, 125 (L’uomo folle), in F. NIETZSCHE, Idilli di Messina, La gaia scienza e
Frammenti postumi (1881-1882), versioni di F. Masini e M. Montinari, Adelphi, Milano 1965
(Classici, 11; Opere di Friedrich Nietzsche, V, II), pp. 129-130. Si veda in proposito A.
MONTANI, Della citazione: Caproni legge Agamben, in “Studi novecenteschi”, XXVII (2000), 60,
pp. 423-450 (alle pp. 427-428); tra l’altro lo studioso registra una vera e propria citazione del
testo di Nietzsche, segnalata dal poeta in corsivo, non casualmente nel testo eponimo della
sezione di FC che dichiara aperta la caccia a Lui: «Quello che ritroveranno, / non se
36
12
PAOLO ZOBOLI
// Il cielo è vuoto. // Il ladro non è ancora stato / (non lo sarà mai) arrestato».38 Anche il nietzschiano Campana, del resto, aveva scritto: «Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla
sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato
dall’ombra di Nessun Dio».39
Si tratta, più spesso ancora, di un Dio che è fuggito o che è in procinto di fuggire nel nulla, oltre i confini del “muro della terra” e del conoscibile, dove già sono fuggiti i morti. Si vedano le sue fantomatiche “asparizioni” (tale il neologismo caproniano) nelle osterie metafisiche tipiche di Caproni, da L’Idalgo – ove, entrambi scomparsi, la figura del Padre
si sovrappone a quella del padre – e Andantino fino a Lo scomparso; oppure il giocatore che, ammonendo «non mi pregate», abbandona la partita
nel Rifiuto dell’invitato.40 Si tratta, comunque, di un Dio che il poeta sente
indifferente all’uomo. Nel 1984 Caproni ha dichiarato: «Dice Monod che
“l’uomo è nato per caso, ai margini di un universo insensibile ai suoi
crimini e alle sue musiche”. È una frase bellissima, che rende bene la mia
idea di Dio».41 Infatti, come recitano i versicoli di Professio, sia l’affermazione che la negazione di Dio sono un atto di fede: «Dio non c’è. / Ma
non si vede. / Non è una battuta, è / una professione di fede».42 Si consideri anche un brevissimo appunto a margine di Res amissa: «Se Dio c’è
o non c’è è questione secondaria. Il difficile è stabilire, ammessane l’esi-
l’aspettano: lui, / che loro hanno ucciso, qui / più vivo e più incombente / (più spietato) che
mai» (vv. 8-12: OV, p. 401).
38 MT Deus absconditus (ibi, p. 331); MT Postilla (ibi, p. 332); VC Furto (ibi, p. 710).
39 Pampa, ll. 106-110, in D. CAMPANA, Canti Orfici, introduzione e commento di F. Ceragioli, nuova edizione, Rizzoli, Milano 1989 (Biblioteca Universale Rizzoli, L693), pp. [181][187] (a p. [187]).
40 MT L’Idalgo (OV, pp. 296-297: con dedica «Deo optimo maximo»); MT Andantino (ibi,
pp. 369-370); CK Lo scomparso (ibi, p. 685); CK Rifiuto dell’invitato (ibi, pp. [663]-664); ma anche RA [«Enfasi a parte, lasci] (ibi, pp. 842-843), per la quale si veda infra.
41 L. SURDICH, Giorgio Caproni, p. 108: il rinvio caproniano è a J. MONOD, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Edizioni scientifiche e tecniche
Mondadori, Milano 1970 (Biblioteca della EST).
42 VC Professio (OV, p. 708).
CAPRONI “RELIGIOSO”
13
stenza, il suo rapporto con l’uomo».43 Tramite di questo rapporto non
può comunque essere, secondo il poeta, la preghiera («Appunto perché
lo preghi, / fratello, Dio lo neghi», ammoniscono i Versicoli): semmai
l’aggressione carica di rancore e insieme di rimpianto dello Stravolto, nel
Muro della terra.44 Tuttavia, secondo questa logica dell’assurdo, se la preghiera è negazione la negazione può essere una forma di preghiera: l’aggressione a Dio, e la sua negazione, si risolvono così in una dolorosa e
appassionata chiamata all’esistenza, o addirittura in una paradossale affermazione. Dio non risponde, però, ai lacerati e provocatorii appelli del
poeta. Terribile e lucidissimo è l’Inserto del Franco cacciatore:
Vi sono casi in cui accettare la solitudine può significare attingere Dio. Ma v’è una
stoica accettazione più nobile ancora: la solitudine senza Dio. Irrespirabile per i più.
Dura e incolore come un quarzo. Nera e trasparente (e tagliente) come l’ossidiana.
L’allegria ch’essa può dare è indicibile. È l’adito – troncata ogni netta speranza – a
tutte le libertà possibili. Compresa quella (la serpe che si morde la coda) di credere in
Dio, pur sapendo – definitivamente – che Dio non c’è e non esiste.45
La realtà abbandonata da Dio diviene, in ogni suo aspetto, ostile, gelida e tagliente come l’acciaio; e come sa il poeta la libertà – la medesima
dell’«uomo libero» di Campana – ha un suo prezzo:
E solo
quand’è scomparso, il deserto
ci è apparso chiaro.
[...]
Faremo,
ci siamo detti, senza
di lui.
Ibi, p. 1691.
VC Monito dello stesso [del subito precedente Pastore infido] (ibi, p. 716); MT Lo stravolto:
«“Piaccia o non piaccia!” / disse. “Ma se Dio fa tanto,” / disse, “di non esistere, io, / quant’è
vero Iddio, a Dio / io Gli spacco la Faccia.”» (ibi, p. 326). Nella citata intervista Un poeta in
cerca dell’anima, peraltro, alla domanda di Cavalleri («Ma lei prega, per esempio?») Caproni risponde: «Io prego, prego molto. Ma alla maniera del “preticello deriso”» (p. 604).
45 FC Inserto (ibi, pp. [419-421]).
43
44
14
PAOLO ZOBOLI
Saremo,
magari, anche più forti
e liberi.
Come i morti.46
4. Sullo sfondo delle lande metafisiche, dei gelidi e deserti paesaggi circoscritti dal “muro della terra”, si svolgono le battute di caccia dei due
volumi seguenti.47 Nel Franco cacciatore la disperata ricerca di Dio diviene,
infatti, una vera e propria caccia, spietata e senza quartiere. Nella prima
sezione del volume (appunto Lui) Dio è esplicitamente la preda: perché
– come ribatte il cacciatore caproniano, «imbracciando il fucile», al guardacaccia che, «con un sorriso ironico», gli dice «la preda / che cerchi, io
mai la vidi» – «Dio esiste soltanto / nell’attimo in cui lo uccidi».48 Il deicidio, insomma, è l’estrema, stravolta forma di attingimento di Dio, l’alternativa alla preghiera che, secondo il poeta, è negazione («tra preghiera
e deicidio», reciterà infatti, nel Conte, Meandro).49 La frantumazione dell’io
già registrata crea però un circolo chiuso tra deicidio, omicidio e suicidio,
dal momento che più non sono chiari i limiti tra l’io, l’altro e l’Altro.50
Nel Conte di Kevenhüller il tema della caccia subisce un’ulteriore trasformazione. Non più (o meglio non più solo) caccia a Dio, ma caccia
alla Bestia: metafora complessa e polivalente, quest’ultima, ma principalmente metafora, ancora una volta, dell’inafferrabilità e inconoscibilità
del reale (la Bestia «è dietro la Parola», che è ormai ingannevole, non ri-
FC Determinazione, 15b-17a e 26b-30 (ibi, pp. 402-403).
Si veda, in proposito, T. ARVIGO, Di bestie e di fantasmi: la caccia infernale di Giorgio Caproni, in Nell’opera di Giorgio Caproni, pp. 163-179; ma anche la recensione a FC di D. PUCCINI, Il
violino di Caproni, in “Resine”, n.s., [V] (1983), 17, pp. [35]-40.
48 FC Ribattuta, 1-2 e 3-4 (con le rispettive didascalie: OV, p. 400).
49 CK Meandro, 2 (ibi, p. [683]).
50 MT Testo della confessione si conclude così: «Non mi avrebbe / (io non lo avrei) accoltellato» (vv. 31-32: ibi, pp. 327-328, a p. 328); e l’immediatamente successiva MT Coda alla confessione chiosa «fosse o non fossi Dio» (v. 7: ibi, p. 329); mentre in FC Aria del tenore si legge:
«Forse, tutti e due sapevano / che l’uomo uccide se stesso / – l’uomo – uccidendo l’altro?»
(vv. 35-37: ibi, pp. [521]-524, a p. 523).
46
47
CAPRONI “RELIGIOSO”
15
manda più alla realtà, anzi la dissolve).51 Successivamente, tuttavia, Caproni ha anche specificato che «nel Conte di K. il tema è la Bestia (il male)
nelle sue varie forme e metamorfosi».52 La seconda parte del volume, Altre cadenze, raccoglie il citato Rifiuto dell’invitato (emblematicamente posto
in apertura della sezione Transfughi) e, nei conclusivi Testi marittimi, o di
circostanza, sia l’intermittente epifania dell’Altro nel Delfino («il guizzo di
Dio / che appare e scompare») che la commossa preghiera mariana alla
Stella Maris di Alla Foce, la sera («Ne ignoravo il nome. \\ Il mare / mi
suggeriva Maria. // Era ormai la mia / sola stella. \\ Nel vago / della
notte, io disperso / mi sorprendevo a pregare. // Era la stella del mare»), non immemore, forse, del Rebora del Curriculum vitae: «la non appresa preghiera in me pregando / io ti chiamavo già come Maria».53 Ma il
testo immediatamente successivo (Il pesce drago) mette ancora una volta in
guardia, capronianamente, dalla tentazione della preghiera-negazione:
«Sprofòndati – fino allo stordimento – / nel baratro della preghiera...»54
Il volume si chiude così – ancora una volta con l’accecamento della
troppa luce (dei troppi lumi della ragione?) – nel segno della Sospensione:
Niente
(ha letto una volta in latino)
di più buio della luce.
(Nil obscurius luce)
Il libro ha ricevuto due importanti letture su “Resine”: D. PUCCINI, Caproni: il finito e
l’infinito, n.s., [VIII] (1986), 30, pp. [51]-54, e E. TESTA, Il Conte di Kevenhüller di Giorgio Caproni, n.s., [IX] (1987), 31, pp. [23]-40. Sul tema cruciale e complesso della parola, che qui di
proposito solo accenniamo, si vedano almeno le osservazioni di Testa e quelle di Montani
(Della citazione), nonché V. COLETTI, Approssimazioni a Giorgio Caproni, in Nell’opera di Giorgio
Caproni, pp. 29-52.
52 OV, p. [1686] (si tratta di una nota a margine del testo eponimo di RA): ma si vedano
anche le puntualizzazioni riportate da A. DEI, Giorgio Caproni, pp. 258-259.
53 CK Il delfino, 5-6 (ibi, p. 693); CK Alla Foce, la sera (Frammento su un ricordo d’infanzia), 915 (ibi, pp. 694-695); C. REBORA, Curriculum vitae, edizione commentata con autografi inediti,
a cura di R. Cicala e G. Mussini, con un saggio di C. Carena, Interlinea, Novara 2001 (Lyra,
1), p. 17 (vv. 189-190).
54 CK Il pesce drago, 2-3 (OV, pp. 696-697).
51
16
PAOLO ZOBOLI
Si smarrisce.
(Il cammino
comincia qui? Qui finisce?)55
5. Quando viene colto dalla morte, il 22 gennaio 1990, Caproni lascia incompiuto sullo scrittoio il quarto “movimento” dell’opera della sua
grande maturità poetica. Purtroppo Res amissa non ha potuto beneficiare
delle ultime cure dell’autore, e i manoscritti sono stati pubblicati una
prima volta nel 1991, per le cure di Giorgio Agamben, e poi da Luca Zuliani nell’ambito dell’edizione critica dell’Opera in versi.56
I materiali raccolti nel volume postumo sono piuttosto eterogenei, ma
il nucleo di esso cresce certo intorno alla poesia eponima:
Questa poesia sarà il tema del mio nuovo libro (se ce la farò a comporlo) [...]. Tutti riceviamo in dono qualcosa di prezioso, che poi perdiamo irrevocabilmente (La Bestia
è il Male. La res amissa (la cosa perduta) è il Bene[)].57
Altrove Caproni ha chiarito:
CK Sospensione, 7b-12 (ibi, p. 700): il passo è stato chiosato dal poeta, con un emblematico rinvio al Cercatore di MT, nello stesso 1986: «Nil obscurius luce, è stato detto. Ma anche,
qualcun altro, ha detto: “Lasciatemi nel buio: ch’io veda”» (ibi, p. 1663; la seconda citazione
condensa MT Istanza del medesimo [e cioè del subito precedente Il cercatore], 2-3: ibi, p. 324). Il
motto del fisico e chimico tedesco Theodor Grotthuss (1785-1822), scopritore delle leggi
base della fotochimica («Lux lucet in tenebris, quamvis nihil obscurius luce»), ribatte emblematicamente al grande prologo giovanneo: «et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non
comprehenderunt» (Gv, 1, 5). Sospensione – come indicano inequivocabilmente i rimandi lessicali – intrattiene un dialogo profondo e rivelatore con la montaliana Casa sul mare, ove un
cammino finisce e un altro – forse – comincia: «Il viaggio finisce qui»; «Il viaggio finisce a questa spiaggia»; «Il cammino finisce a queste prode / che rode la marea col moto alterno: / il tuo
cuore vicino che non m’ode / salpa già forse per l’eterno» (vv. 1, 8 e 34-37: E. MONTALE,
L’opera in versi, edizione critica a cura di R. Bettarini e G. Contini, Einaudi, Torino 1980 [I
millenni], pp. 91-92: i corsivi non sono dell’originale). Si veda ancora La casa sul mare...
56 G. CAPRONI, Res amissa, a cura di G. Agamben, Garzanti, Milano 1991 (Poesia): si veda
in particolare la Prefazione del curatore, Disappropriata maniera, pp. 7-26 (sul rapporto tra il
poeta e il curatore, naturalmente, A. MONTANI, Della citazione); il ricco apparato critico di
Zuliani si trova invece in OV, pp. [1686]-1779. Sul libro postumo si legga almeno L. SURDICH, Paragrafi per «Res amissa», nel numero monografico Omaggio a Giorgio Caproni, 1, pp. 2152, poi in ID., Le idee e la poesia. Montale e Caproni, Il melangolo, Genova 1998 (Opuscula, 85),
pp. 181-232.
57 Si tratta sempre della citata annotazione a margine del testo eponimo di RA (OV, p.
[1686]).
55
CAPRONI “RELIGIOSO”
17
Può capitare a tutti di riporre così gelosamente una cosa preziosa da perdere poi la
memoria non soltanto del luogo dov’è stata collocata, ma anche della precisa natura
di tale oggetto. [...] Sarebbe, questa volta, non più la caccia alla Bestia, come nel Conte
di Kevenhüller, ma la caccia al Bene perduto. Un Bene del tutto lasciato ad libitum del
lettore, magari identificabile, per un credente, con la Grazia, visto che esiste una
“Grazia amissibile”. Con la Grazia o con chissà che altro del genere. (Non è comunque, quest’ultimo, il caso mio, credo).58
Il testo poetico si apre infatti con un pronome anaforico («Non ne
trovo traccia»), riferito alla res, che resta indeterminato, irrisolto ancora
nella chiusa:
Non spero più di trovarla.
......
L’ho troppo gelosamente
(irrecuperabilmente) riposta.59
Parallelamente misteriosa e indeterminata è la figura che reca il “dono” della res:
Venne da me apposta
(di questo sono certo)
per farmene dono.
[...]
Rivedo nell’abbandono
del giorno l’esile faccia
biancoflautata...
La manica
in trina...60
Una straziata allegria, [intervista] a cura di D. Astengo, in “Corriere del Ticino”, 11 febbraio 1989 (citata in G. AGAMBEN, Disappropriata maniera, p. 8).
59 RA Res amissa, 1 e 26-28 (OV, pp. [777]-779: i corsivi non sono dell’originale). Si veda
la lettura del testo offerta da A. MONTANI, Su «Res amissa», nel volume collettaneo Per Giorgio
Caproni, pp. 375-390.
60 RA Res amissa, 2-4 e 6-9a (OV, p. [777]).
58
18
PAOLO ZOBOLI
Caproni lascia dunque indeterminata e ad libitum l’essenza della sua res
amissa («il contenuto o oggetto di tale nostalgia è la nostalgia stessa»), anche se essa è certo legata al concetto agostiniano di gratia amissibile (la
Grazia di Dio, contrariamente a quanto sosteneva l’eretico Pelagio, può
essere perduta) e comunque a un’idea di Bene contrapposta al Male rappresentato dalla Bestia.61 Si leggano, tuttavia, i primi versi di [«Enfasi a
parte, lasci]:
«Enfasi a parte, lasci
che dica anch’io: Deo amisso,
che altro può restare in terra
a far da coperchio all’abisso?»62
L’irreparabile perdita che costituisce il cuore poetico di Res amissa
sembra in questo caso essere ancora una volta la perdita di Dio, che
schiude l’abisso del nulla, proprio come nei tre libri precedenti. È possibile, del resto, che Res amissa capovolga uno dei testi più alti della poesia
religiosa del Novecento, incentrato proprio sul tema dell’attesa di Dio:
Dall’imagine tesa di Clemente Rebora. L’idea del dono, insita nel testo reboriano, è anche veicolata, sul piano del suono e del significato, dal
lemma perdono («Verrà quasi perdono / Di quanto fa morire»), ma la certezza di Rebora, di dover attendere qualcuno che verrà, diventa in Caproni certezza che qualcuno, di cui però si è perduta fin la memoria, sia
già venuto.63 Del resto un’altra, più precisa eco del testo reboriano troviamo in Aspettando Silvana:
61 La precisazione tra parentesi si legge sempre nella citata intervista a Domenico Astengo
(ed è riportata in G. AGAMBEN, Disappropriata maniera, p. 10). Sul tema della «grazia amissibile» si vedano almeno le osservazioni di Agamben, ibi, pp. 8-11: ma soprattutto altri due testi,
cresciuti intorno al medesimo nucleo poetico, come Generalizzando e [Il teologo pone] (OV,
pp. 768 e 838).
62 [«Enfasi a parte, lasci], 1-4 (ibi, p. 842).
63 Dall’imagine tesa, 19-20, in C. REBORA, Le poesie (1913-1957), a cura di G. Mussini e V.
Scheiwiller, Garzanti, Milano 1988 (Poesia), p. 151.
CAPRONI “RELIGIOSO”
19
Un’altra volta viene
– verrà – senza
che io ne abbia scorto o udito
(quasi fossi di sasso)
la figura: il passo.64
Il primo curatore del libro colloca poi a parte, in chiusura, la lunga
coda di altri Versicoli del controcaproni, che diventeranno infine nella sistemazione definitiva dell’Opera in versi, sempre in chiusura ma con il titolo
Versicoli e altre cosucce, la sesta sezione delle Altre poesie.65 Tornano anche
qui, in forma più scarna ed epigrammatica, i grandi temi del poeta: e il
tema della perdita o della non esistenza di Dio si addensa in particolare
negli ultimi testi. In alcuni di essi si coglie anche un atteggiamento niente
affatto nuovo dell’“ateologia” caproniana: l’opzione paradossale, cioè,
«di credere in Dio, pur sapendo – definitivamente – che Dio non c’è e
non esiste».66 Su questa linea si pone probabilmente la citazione gozzaniana (del Gozzano che sogna di morire «in Te, Gesù, nella menzogna /
dolce») di Petit Noël: «S’avvicina il Natale. / Gesù, portami via. / La tua è
la più bella bugia / che possa allettare un mortale».67 Lo stesso tono, più
commosso che ironico, anima Invocazione («Mio Dio, anche se non esisti,
/ perché non ci assisti?») e La stessa in termini più prolissi di giaculatoria, appena mascherata dall’ironia del titolo: «Signore, anche se non ci sei, /
RA Aspettando Silvana, 15-19 (OV, pp. 813-814: a p. 814): dell’eco reboriana s’è accorta
anche Adele Dei (Giorgio Caproni, pp. 255-256).
65 Nella princeps i Versicoli si trovano alle pp. [155]-202; in OV alle pp. [865]-920. Si tratta,
peraltro, di testi che coprono il ventennio 1969-1989: si veda l’apparato di OV, pp. 17681779. La sezione Altre poesie (il titolo, in occhiello, è posto in corsivo a dichiararne
l’arbitrarietà) raccoglie i testi di RA non ordinati dall’autore: le sei sezioni che la compongono corrispondono ai sottofascicoli nei quali i testi sono stati raccolti da Caproni.
66 Il termine è, notoriamente, caproniano: «Stamani il mare è piatto / come la mia ateologia» (VC Meteorologia, 3-4: OV, p. 714); in concorrenza con patoteologia: «La mia patoteologia:
/ Dio è una malattia?» (VC Senza titolo, II: ibi, p. 723).
67 RA Petit Noël (ibi, p. 859: ma, in OV, al di fuori dei Versicoli). Il rinvio gozzaniano a I sonetti del ritorno (in La via del rifugio, 1907), VI, 6-7, in G. GOZZANO, Tutte le poesie, testo critico
e note a cura di A. Rocca, introduzione di M. Guglieminetti, Mondadori, Milano 19955 (I
Meridiani), p. 103.
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20
PAOLO ZOBOLI
egualmente proteggi / e assisti me e i miei».68 Tuttavia è ancora una volta
il tema della fuga di Dio a sigillare il volume postumo con i dolorosi, lapidari versicoli di Anch’io – e non si trascuri che così già s’intitolava il testo eponimo del Muro della terra –, nel segno di una tragica assenza:
Uno dei tanti, anch’io.
Un albero fulminato
dalla fuga di Dio.69
OV, pp. 916 e 917.
Ibi, p. 918: ma se Agamben, nella princeps, affidava a questi versi – e ben si comprende
perché – la posizione conclusiva, in OV essi occupano la terz’ultima posizione.
68
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