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Ritratto di Artom sempreinpiedi
10 Sabato 14 Luglio 2012 PRIMO PIANO Zii inesistenti, parlava (dice) con Steve Jobs, con Agnelli era di casa, al Gore «mi diceva» Ritratto di Artom sempreinpiedi Imprese mirabolanti e giornalisti che bevono tutto, di lui DI MALCOM PAGANI* C hi lo conosce ha coniato un neologismo. Arturista. «Arturo il ballista». O, secondo un’altra corrente di pensiero, «Arturo l’artista». A determinate vette, la millanteria è un pezzo da collezione. Della bugia, Arturo Artom è maestro. Quarantasei anni, barba rossa, incarichi in serie. Consigliere di Assolombarda, consulente di Accenture, presidente del Forum per la Meritocrazia. La sua ultima invenzione con cui, spergiura, farà «tremare la casta». Negli ultimi 20 anni questo Zelig dagli umili natali ha indossato ogni abito. Un titolo alla settimana. Una balla al mese. «Ho fondato Artom Challenge, sarò all’America’s Cup». «Ho già un accordo con Miramax, comprerò Small World». «Lancio la sfida italiana a Youtube nella Silicon Valley». Dichiarazioni intervallate da fughe precipitose o assoluta inazione. Artom urla, i giornali pubblicano e lui occupa lo spazio dell’annuncio senza dar seguito a un solo proposito. Ha capito che se una cosa è stampata diventa quasi sempre legge. Lo zio celebre e inventato Giorni fa, dopo due pagine apologetiche sul Sette del Corriere («Siamo in 100mila contro i raccomandati»), Artom il situazionista è approdato anche alla Camera. Dibattito trasversale sul merito con Gianfranco Fini in vena di rivelatori lapsus vocali: «Ringraziamo Artum». Sull’equivoco del cognome, Arturista gioca da una vita. In sua assenza chiama affettuosamente Guido Artom, storico imprenditore del tessile, «zio». Grado di parentela che all’epoca del primo incarico in Fondiaria vantava, con identica faccia di bronzo, con un altro Artom: Eugenio, già al vertice della compagnia assicurativa. Che Arturista avesse visto i due legittimi titolari solo in copertina era secondario. Più importante sapere che nulla intimidisce più del soffio della dinastia. Va in tv dalla Gruber ed esagera: «Il logo del Forum della meritocrazia me l’ha suggerito Steve Jobs». Ridisegna la realtà: «Ne parlavo ieri con Monti». Abbatte le differenze anagrafiche: «Il mio amico di infanzia Andrea Agnelli» (di 9 anni più giovane). Un po’ Bel Ami: «Al Gore mi diceva di recente». Un po’ Fregoli: «L’altra sera ne discutevo con Montezemolo». Un po’ Conte Max: «La mia villa a Santa Margherita» (due stanze, senza ascensore). Nato a Torino nel ’66 da madre svedese e da Auro, impiegato della Stet, Arturo evase in fretta dalle proprie origini. A metà anni ’90 sfruttò il know-how paterno per infilarsi nelle pieghe del monopolio Sip con la minuscola Telsystem. Grazie all’Antitrust di Giuliano Amato, vinse la causa e incassò 4 miliardi di lire: «Senza Giuliano non ce l’avrei mai fatta». Liquidò Telsystem, ottenne un incarico in Olivetti, approdò in Omnitel e con un’ultima giravolta entrò a Viasat, prima di essere cacciato da Roberto Testore. Il suo nome era sui giornali. I cronisti, benevoli. Così, senza contraddittorio, da ad di Viasat delirò di «crescita annuale del mille per cento» e in pochi mesi fondò Netsystem, salutato così dall’autorevolezza di Peppino Turani: «Il moderno profeta del satellite… l’Italia, grazie a gente come Artom, è oggi all’avanguardia per soluzioni Internet avanzate». Bluff da new economy Il primo operatore internet a banda larga del Paese, Netsystem, fu accolto da articolesse spietate. Repubblica, ottobre 2000: «Artom cel’ha fatta con una strategia fatta di mosse fulminee, abilità e fortuna (…) notevolissima competenza, passione divorante per il lavoro». Tanto consumante da dover fuggire all’alba dall’Hotel Westin di Milano in pieno crac Netsystem e chiudere la stessa nel 2008. Perdite per oltre 40 milioni di euro. Per il requiem, il presidente Artom scelse (facendo furbescamente firmare l’atto dall’ad Pierluigi Corvi Mora, uscito psicologicamente devastato dall’imbroglio) chi, per meriti sul campo, si intendeva di funerali: Netsystem concluse la sua parabola nelle mani di Pietro Terenzio, esperto di «bare fiscali», già arrestato e condannato per truffa e riciclaggio nel 2001. Ad Artom non importava. Meglio di Youtube Durante l’agonìa di Netsystem (che provò invano a quotare in Borsa), lui era già altrove. Con il sito bufala «Your Truman Show», collettore di video amatoriali chiuso in sei mesi, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto fare concorrenza a Youtube di Chad Harley. Con l’altrui prosa in poppa («Il ragazzo che giocava con gli aeromodelli e sognava la California, si gode il suo pezzo di American dream», Massimo Gaggi, Corriere della Sera, 2007), Arturo varò la panzana della passione velista, annunciata dai severi Cinelli e Fubini sempre dalle stanze di via Solferino: «Non stacca nemmeno in vacanza. Anche se agli amici assicura che si tratta (sic) solo di un divertissement nato sulle nevi di Cortina con Vasco Vascotto, Artom ci crede ed è pronto a lanciare la sua sfida all’America’s Cup». Infine la meritocrazia. L’ennesimo bluff di Arturista. Chiacchiere vacue che, con la complicità dei media, il pirandelliano Artom propina da mesi. È stato a «Matrix», «Ballarò» e «Otto e mezzo». Vespa, sesto senso in setola di cinghiale, non l’ha voluto. Arturista non si è perso d’animo. Fiutando il tempo. Sollevando cartelli indignati in diretta. Riscoprendo ti, provò a irretire Gismondi di Artemide (che lo mandò via in 5 minuti) e poi serrò la baracca con conti da censura. Arturo Artom poliglottismo e supercazzole che avrebbero commosso Monicelli: «Networking». Fumo sparso ad arte. Arturo il sedicente esperto di filari: «Il nostro vino è un’eccellenza del made in Italy», il creatore di lampade high-tech, il trombettiere di inesistenti società biomediche. Anni fa Arturista immise sul mercato «Muvis». Un lume salutato dai quotidiani con lucida sobrietà: «La rivoluzione del design». “Giugiaro e Artom, squadra vincente di geni». Artom impiantò la sede nel suo appartamento, assoldò due dipenden- L’amico Enrico Letta Quando non allenta il guinzaglio alla fandonia, Artom plana sul sociale. «Voglio un manifesto per l’immigrazione. Lo straniero che compie il percorso scolastico da noi deve diventare italiano». Colpi d’ala che gli servono a esistere e a prolungare il rumore di fondo. Mente sull’affiliazione a Confindustria in un’intervista a La Stampa del 2009? No problem. Il board degli industriali biasima, ma tace. Così Arturista detto anche «Fanfan la tulipe», continua a cenare dalle dame (Sospisio, Camerana, Gabriella Dompè), abbracciare imprenditori che non sanno chi sia, frequentare Enrico Letta (con cui, dalla trentina «VeDrò» a «People in touch», la comunanza di vedute è totale), far lobby impastando la fantasia. Ogni tanto tenta il colpo in pellicceria. Va da Tivioli con la fidanzata e improvvisa: «Regalatemela, ho dietro i paparazzi, è tutta pubblicità!». Anche senza ermellino, dal 2007, in occasione del ricevimento al Quirinale, Artom risulta nella lista degli amici personali di Giulio Napolitano, figlio di Re Giorgio. Il suo «amico» Jobs, citando Leon Battista Alberti, lo diceva: «L’uomo può ciò che vuole». Arturista lo sa. In attesa di candidarsi in Parlamento (blatera di «essenziale controllo del Forum» sulle liste bloccate del Porcellum), l’unico autentico erede della lezione collodiana produce documentari e medita conquista culturali. Le vesti, neanche a dirlo, quelle di Gesù: «Con Arnoldo Mondadori farò un film sui misteri delle chiese italiane sulla scia di Dan Brown». Gli angeli necessari. I demoni inevitabili. Arturo è già salito in Paradiso. Il merito è il merito. Di «tornare nella merda», sussurra a chi conosce il suo segreto, non ha alcuna intenzione. Sincero. Finalmente. *Il Fatto Quotidiano A CIASCUNO IL SUO L’intervista al capitano Schettino è stata un assoluto lampo di luce DI RICCARDO RUGGERI Dal 2008 cerco metafore per capire questo momento storico. Invecchiando, il processo con cui assimilo i problemi lo posso velocizzare solo se riesco a individuare una metafora che meglio lo rappresenti. L’intervista del comandante Schettino è stata un lampo di luce. La nave Concordia è “l’Occidente”, vaga senza senso da un porto all’altro di un mare chiuso, fa curiosi “inchini”, non ha forma di nave, pare lo “scatolone-fabbricone” degli asili a la page. A bordo tutto è finto, finti gli addobbi, finto il cibo, propinato in continuazione, come usa nell’alimentazione delle oche, senza però ottenere il prelibato foie gras. I “passeggeri” siamo noi, cittadini dell’Occidente, veniamo sballottati da un porto all’altro, costretti a spostarci da un ponte all’altro della nave, da uno spettacolo all’altro, scadenti saltimbanchi, drink colorati, gossip volgari. A Marsiglia scendiamo a terra, due opzioni culturali: la casa di Zinedine Zidane o le Jardin des Vestiges. Buona la prima. “Schettino” alla domanda “lei però ha lasciato la nave, è sullo scoglio, la guarda affondare”, risponde: “Avrei voluto sorreggerla con le mani, non ho potuto, col cellulare ho chiamato i soccorsi …”. Nessuno potrebbe meglio rappresentare i leader del G6 di Schettino, hanno logiche e processi mentali identici, medesima impudicizia. “De Falco” (capo della Capitaneria) è l’avatar dei grandi burocrati di Bruxelles-Washington-Francoforte-Londra: dalla scrivania impartisce ordini assurdi, con eccentrica volgarità. La metafora è la Concordia, noi siamo la Concordia, guardiamola per l’ultima volta: è lì immobile su un fianco, squarciata, mezza affondata, indifesa, ora sarà anche privata del suo fallo-fumaiolo. Che tristezza. La vogliono ricuperare, dicono: “Verrà estratto lo scoglio dallo scafo (!), messa in verticale”. Poi, rattoppata, riverniciata, riprenderà a galleggiare, l’Occidente pure, peccato che a noi tocchi risalire a bordo. [email protected] Tantissime opportunità di lavoro nel settore della Finanza con Milano Finanza. 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