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Il Gallo insolente e il Romano disciplinato

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Il Gallo insolente e il Romano disciplinato
Il Gallo insolente e il Romano disciplinato
(Claudio Quadrigario, Fr. 106 Peter – Tito Livio VII, 10)
Siamo nel 391 a.C. e i Galli si sono accampati a tre miglia da Roma, sulla via
Salaria, al di là del ponte sull’Aniene. A Roma funge da dictator Tito Quinzio Peno,
che a seguito della minaccia gallica ha ordinato la sospensione degli affari pubblici, ha
mobilitato tutti i giovani e, uscito dalla città con un grande esercito, ha posto il campo
sulla riva meridionale dell’Aniene. Lo scontro ormai si concentra intorno al ponte, per
il cui possesso si susseguono incessantemente scaramucce fra i due eserciti, senza però
che nessuno riesca a conseguirne il controllo. Ed ecco che questa posizione di stallo è
interrotta da una insolente sfida lanciata dal più robusto dei Galli ai Romani: a raccoglierla è Tito Manlio, che, nel pieno rispetto del codice militare della sua patria, dapprima chiede il permesso all’autorità costituita e poi, avutone il consenso, ingaggia un
vibrante duello con il barbaro avversario, abbattendolo e privandolo dei suoi ornamenti.
L’episodio ha goduto di due redazioni, separate fra loro da poco più di mezzo secolo: la prima è stata curata da Claudio Quadrigario (nel I libro degli Annali = Fr. 106
Peter), vissuto al tempo di Silla (vedi vol. I*, p. 205); la seconda è opera di Tito Livio
(Ab Urbe condita VII, 10). Il prezioso frammento di Quadrigario ci è trasmesso da
Aulo Gellio (erudito del II secolo d.C., vedi vol. III, pp. 117-121), che raccomanda il
passo per essere stato scritto “con parole di eccezionale naturalezza e chiarezza e con
la grazia dei tempi antichi” (Noctes Atticae IX,13). Gellio aggiunge altri due particolari nel corso della sua citazione: anzitutto, che il filosofo Favorino per sua stessa ammissione, quando leggeva il passo di quel libro, si sentiva profondamente scosso
nell’animo e impressionato come se egli stesso avesse visto i personaggi combattere;
in secondo luogo, che proprio da questo Tito Manlio discende la consuetudine di soprannominare “manliani”, per antonomasia, gli ordini severi e crudeli. Manlio, infatti,
nell’occasione evocata dal racconto si mostrò particolarmente ligio al codice militare,
ma si mostrò ancor più rigido nell’applicazione delle regole quando, rivestendo la carica di console, fece tagliare la testa al proprio figlio, reo di aver ucciso un nemico che
l’aveva provocato sebbene il padre (che l’aveva mandato in avanscoperta) gli avesse
fatto assoluto divieto di dar battaglia.
Il fatto di poter mettere a confronto il frammento di Quadrigario con la descrizione operata da Livio consente di apprezzare soprattutto la scrittura dello storico padovano, capace di rendere ancor più raffinato quello che, a detta degli antichi, era un episodio già di per sé dotato di una straordinaria carica di sentimenti patriottici. Questo
confronto sinottico, tra l’altro, permette di constatare la radicale trasformazione del
modello di scrittura intervenuta grazie al successivo apporto della retorica nella esposizione dei fatti storici (vedi vol. I*, pp. 303-304).
A = CLAUDIO QUADRIGARIO
B = TITO LIVIO
A.1. Cum interim Gallus quidam nudus
praeter scutum et gladios duos torque atque
armillis decoratus processit, qui ex viribus et
magnitudine et adulescentia simulque virtute
ceteris antistabat. Is maxime proelio commoto
atque utrisque summo studio pugnantibus
manu significare coepit utrisque, quiescerent.
Pugnae facta pausa est. Extemplo silentio
facto cum voce maxima conclamat, si quis secum depugnare vellet uti prodiret.
A.1. “Allora si fece avanti un Gallo nudo,
senz’altre armi che uno scudo e due spade, ,
ornato di una collana e di braccialetti; egli
tutti sovrastava per la forza, la corporatura, la
gioventù e il valore. Nel mezzo del combattimento, mentre le opposte schiere pugnavano
con ogni ardore, fece cenno all’una e all’altra
parte che cessassero. Il combattimento si arrestò. Fattosi subito silenzio, a gran voce gridò
che se qualcuno intendeva combattere con lui,
si facesse avanti.
B.1. Tum eximia corporis magnitudine in
vacuum pontem Gallus processit et quantum
maxima voce potuit “quem nunc, inquit, Roma virum fortissimum habet, procedat agedum ad pugnam, ut noster duorum eventus ostendat utra gens bello sit melior”.
B.1. “Allora un Gallo di grande corporatura avanzò sul ponte deserto, e con quanta voce
aveva in corpo gridò: “Orsù, il guerriero più
forte di Roma si faccia avanti a combattere, e
l’esito del nostro duello dimostri quale delle
due genti è più valente in guerra”.
A.2. Nemo audebat propter magnitudinem
B.2. Diu inter primores iuvenum Romanoatque immanitatem facies. Deinde Gallus in- rum silentium fuit, cum et abnuere certamen
ridere coepit atque linguam exertare
vererentur et praecipuam sortem periculi petere nollent
A.2. Nessuno osava di fronte all’enormità
B.2. A lungo durò il silenzio fra i campioni
e mostruosità dell’aspetto. Allora il Gallo della gioventù romana, poiché da un lato si
scoppiò in una risata e mostrò la lingua ai vergognavano di rifiutare la sfida, dall’altro
Romani.
nessuno osava affrontare un tale rischio personale;
A.3. Id subito perdolitum est cuidam T.
Manlio, summo genere gnato, tantum flagitium civitati accidere, e tanto exercitu neminem prodire. Is, ut dico, processit neque passus est virtutem Romanam ab Gallis spoliari.
B.3. Tum T. Manlius L. filius, qui patrem a
vexatione tribunicia vindicaverat, ex statione
ad ductorem pergit: “iniussu tuo, inquit, imperator, extra ordinem numquam pugnaverim, non si certam victoriam videam; si tu
permittis, volo ego illi beluae ostendere,
quando adeo ferox praesultat hostium signis,
me ex ea familia ortum, quae Gallorum agmen ex rupe Tarpeia deiecit”. Tum dictator
“macte virtute, inquit, ac pietate in patrem
patriamque, T. Manli, esto. Perge et nomen
Romanum invictum iuvantibus diis praesta”
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A.3. Spiacque assai a un certo Tito Manlio,
di nobilissima stirpe, di vedere così grande insulto rivolto alla propria nazione e che nessuno di così numeroso esercito si presentasse.
Manlio, per tale ragione, si fece avanti, non
tollerando che la gloria romana fosse turpemente offuscata da un Gallo.
B.3. allora Tito Manlio, figlio di Lucio,
colui che aveva liberato il padre dagli attacchi
del tribuno, lasciato il suo posto andò a presentarsi al dittatore dicendo: “Senza tuo ordine, o comandante, io giammai oserei combattere fuori delle file, neppure se vedessi la
vittoria certa; ma se tu me lo consenti, io voglio mostrare a quella belva, che con tanto orgoglio fa lo spavaldo davanti alle file nemiche, di essere discendente di quella famiglia
che fece precipitare dalla rupe Tarpea le
schiere dei Galli”. Allora il dittatore disse: Sia
onore alla tua virtù e alla tua pietà verso il padre e la patria, o Tito Manlio. Va, e coll’aiuto
degli dèi dimostra che invincibile è il nome di
Roma”.
A.4. Scuto pedestri et gladio Hispanico
B.4. Armant inde iuvenem aequales. Pedecinctus contra Gallum constitit.
stre scutum capit, Hispano cingitur gladio ad
propiorem habili pugnam. Armatum adornatumque adversus Gallum stolide laetum et
(quoniam id quoque memoria dignum antiquis
visum est) linguam etiam ab inrisu exserentem producunt.
A.4. Imbracciato uno scudo da fante e imB.4. I compagni aiutano Manlio ad armarpugnata una spada spagnola, si pose di fronte si: prende uno scudo di fanteria, si mette al
al Gallo.
fianco la spada ispanica adatta al combattimento a corpo a corpo, e vien condotto armato di tutto punto contro il Gallo che stoltamente esultava, e in segno di scherno mostrava la lingua (anche questo gli antichi ritennero
degno di ricordo).
A.5. Metu magno ea congressio in ipso
B.5. Recipiunt inde se ad stationem, et duo
ponti utroque exercitu inspectante facta est.
in medio armati spectaculi magis more quam
lege belli destituuntur, nequaquam visu ac
specie aestimantibus pares.
A.5. Lo scontro ebbe luogo con grande tiB.5. I compagni ritornano indietro ai loro
more su un ponte, dianzi ad ambedue gli eser- posti, e i due campioni rimangono soli in
citi.
mezzo ai due eserciti, quasi si trattasse di uno
spettacolo e non di una guerra. Assai dissimile era il loro aspetto:
A.6. Ita ut ante dixi constiterunt; Gallus
B.6. Corpus alteri magnitudine eximium,
sua disciplina scuto proiecto cantabundus; versicolori veste pictisque et auro celatis reManlius animo magis quam arte confisus fulgens armis; media in altero militaris statuscuto scutum percussit atque statum Galli ra modicaque in armis habilibus magis quam
conturbavit. Dum se Gallus iterum eodem decoris species; non cantus, non exultatio
pacto constituere studet, Manlius iterum scuto armorumque agitatio vana, sed pectus animoscutum percutit atque de loco hominem iterum 3 rum iraeque tacitae plenum; omnem ferociam
deiecit. Eo pacto ei sub gladium Gallicum in discrimen ipsum certaminis distulerat. Ubi
successit atque Hispanico pectus hausit. constitere inter duas acies tot circa mortalium
Deinde continuo humerum dextrum eodem animis spe metuque pendentibus, gallus velut
conturbavit. Dum se Gallus iterum eodem
pacto constituere studet, Manlius iterum scuto
scutum percutit atque de loco hominem iterum
deiecit. Eo pacto ei sub gladium Gallicum
successit atque Hispanico pectus hausit.
Deinde continuo humerum dextrum eodem
concessu incidit neque recessit usquam, donec
subvertit ne Gallus impetum in ictu haberet.
decoris species; non cantus, non exultatio
armorumque agitatio vana, sed pectus animorum iraeque tacitae plenum; omnem ferociam
in discrimen ipsum certaminis distulerat. Ubi
constitere inter duas acies tot circa mortalium
animis spe metuque pendentibus, gallus velut
moles superne imminens proiecto laeva scuto
in advenientis arma hostis vanum caesim cum
ingenti sonitu ensem deiecit; Romanus mucrone subrecto, cum scuto scutum imum perculisset totoque corpore interior periculo vulneris factus insinuasset se inter corpus armaque, uno alteroque subinde ictu ventrem atque
inguina hausit et in spatium ingens ruentem
porrexit hostem.
B.6. l’uno presentava una corporatura di
straordinaria grandezza, splendente per la veste multicolore e per le armi dipinte e cesellate d’oro; non canti, non gesti baldanzosi né
vano agitare di armi, ma il petto pieno di coraggio e di tacita ira: egli aveva differito tutta
la sua baldanza al momento decisivo del
combattimento. Appena ebbero preso posizione in mezzo ai due eserciti, mentre tanti
cuori umani all'intorno erano sospesi fra la
speranza e il timore, il Gallo, che sovrastava il
Romano dall’alto della sua mole, protendendo
lo scudo con la sinistra abbassò un fendente
sull’armatura del nemico che si faceva sotto,
con grande fracasso ma senza effetto; il Romano levata in alto la punta della sua spada,
urtata con lo scudo la parte inferiore dello
scudo nemico, e insinuatosi con tutta la persona far il corpo e le armi del Gallo, al riparo
dal pericolo di ferite, con ripetuti colpi gli trapassò il ventre e l’inguine, e fece crollare al
suolo il nemico che giacque disteso coprendo
largo tratto di terreno.
A.6. Quivi, come già dissi, si arrestarono:
il Gallo, secondo il costume di quel popolo,
protendeva lo scudo canticchiando, Manlio,
fidando più nel proprio coraggio che nella
destrezza, urtò con il proprio scudo quell’avversario, compromettendone l’equilibrio.
Mentre il Gallo cercava di rimettersi in posizione, Manlio urtò ancora scudo contro scudo
e di nuovo forzò il nemico a ceder terreno;
profittando di tal fatto, si spinse sotto la spada
del Gallo e con la propria arma spagnola raggiunse il petto di costui, poi colpì l’avversario
all’omero destro e non diede tregua al Gallo
finché non riuscì a rovesciarlo.
A.7. Ubi eum evertit, caput praecidit, torquem detraxit eamque sanguinulentam sibi in
collum imponit.
A.7. Quando fu a terra, gli mozzò la testa,
gli tolse la collana e ancora sanguinolenta se
la infilò al collo.
B.7. Iacentis inde corpus ab omni alia vexatione intactum uno torque spoliavit, quem
respersum cruore collo circumdedit.
B.7. Lasciando poi il cadavere immune da
ogni altra offesa lo spogliò soltanto di una
collana, che ancora aspersa di sangue si pose
intorno al collo.
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A.8. Quo ex facto ipse posterique eius
B.8. Defixerat pavor cum admiratione
‘Torquati’ sunt cognominati.
Gallos: Romani alacres ab statione obviuam
militi suo progressi, gratulantes laudantesque
ad dictatorem perducunt. Inter carminum
prope modo incondita quaedam militariter ioculantes, Torquati cognomen auditum; celebratum deinde posteris etiam familiae honori
fuit. Dictator coronam auream addidit donum
mirisque pro contione eam pugnam laudibus
tulit.
A.8. Per questa ragione egli e i suoi diB.8. Lo sgomento congiunto alla stupefascendenti ebbero il soprannome di Torquato”. zione rese immobili i Galli; i Romani esultanti
[Trad. L. Rusca] lasciate le postazioni andarono incontro al loro campione, e fra i rallegramenti e le lodi lo
condussero dal dittatore. Fra gli altri canti
scherzosi improvvisati in suo onore, come è
uso dei soldati, ricorse il soprannome di Torquato, il quale rimase poi famoso presso i posteri e titolo d’onore per la sua famiglia”.
[Trad. L. Perelli]
Il confronto fra la sobria narrazione dell’annalista e la distesa redazione liviana
obbedisce ovviamente a due distinte esigenze: Claudio Quadrigario punta sulla cronaca dotata di immediatezza e ingenuità espressiva, oltre che di crudo realismo, mentre
Livio mira soprattutto alla drammatizzazione, ottenuta grazie all’ampio spazio concesso alla descrizione dei caratteri e delle emozioni dei due contendenti.
Dopo un esordio – preciso e dettagliato in Quadrigario, in Livio invece sintetico
e finalizzato alla focalizzazione degli eventi in medias res – il testo degli Annales insiste sulla mimica offensiva del Gallo e sulla reazione di sdegno tipica di un animo addolorato e sensibile come quello di Tito Manlio (A.2.-3.), mentre Livio si sofferma
sulla riflessività e sulla disciplina del giovane romano, la cui funzione da protagonista
è evidenziata – a livello grammaticale – dall’uso del nominativo al posto del dativo
(presente invece nell’altro storiografo): Tum T. Manlius (B.3.) sostituisce cuidam T.
Manlio (A.3.). Già poco prima, del resto, Livio aveva sostituito il nemo audebat (A.2.)
del testo di Quadrigario con l’espressione inter primores iuvenum (B.2.), allusiva alla
classe degli equites; secondo J.P. Néraudeau (L’exploit de Titus Manlius Torquatus, in
AA.VV., Mélanges offerts à Jacques Heurgon, École française de Rome, 1976), Livio
tende in questo modo a inquadrare il racconto in una concezione “sociologica”
dell’armata: l’impazienza istintiva dell’eroe di Claudio Quadrigario diviene così un
atto controllato.
Prima di accettare la sfida, Tito Manlio chiede il permesso al dittatore (vedi soprattutto B.3.) e si concede un discorso di esaltazione dei fasti della propria famiglia, a
cui il dittatore replica, evocando la pietas del futuro eroe. Quadrigario, in questa occasione, sembra voler ricalcare la reticenza a cui si era attenuto Catone, allorché nelle Origines (vedi vol. I*, pp. 168-171) aveva evitato di parlare di singoli individui o di
gentes patrizie, per conferire maggior rilievo alla centralità del popolo romano intero;
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Livio, al contrario, rispetto al cuidam Tito Manlio di Quadrigario, adotta più volte il
termine iuvenis, definendo così il protagonista alla stregua di un eroe dal glorioso passato e dal futuro ancora più luminoso.
Anche Livio non può fare a meno di citare il rozzo e esagerato gesto di sfida del
Gallo, colto mentre esibisce la propria lingua per procedere allo sberleffo nei confronti
di Tito Manlio. Quadrigario anticipa sin da subito la descrizione del gesto (A.2.),
mentre Livio vi allude a narrazione inoltrata (B.4.) e premette al ricordo dell’episodio
una sorta di giustificazione nei confronti del lettore per il fatto di dover scendere a livelli così bassi di racconto (vedi A.D. Leeman, Orationis ratio, trad. it. Bologna
1974). Subito dopo (B.5.), Livio descrive le fasi preparatorie dello scontro e, in tal
senso, – operando ciò che già Cesare aveva fatto, soprattutto nel VII commentario (vedi vol. I**, pp. 480-481) – dimostra particolare attenzione alla resa della tenzone militare sottoforma di spectaculum: il senso di questa spettacolarità risiede, anzitutto,
nell’esibizione della virtus davanti agli occhi di tutti, affinché non si abbiano dubbi
sulla lealtà e sul coraggio del combattente e affinché queste doti siano oggetto di imitazione in futuro da parte degli astanti. Non è peraltro secondaria un’altra conseguenza
di tipo narrativo di questa forma spettacolare di esibizione militare: la vista dello spettacolo, infatti, permette al narratore di poter indugiare a suo piacimento sulla tensione
emotiva che pervade gli astanti allorché il duello è in corso.
In B.6. la descrizione colorita dell’armatura sgargiante ed esotica del barbaro (di
cui, invece, non c’è traccia in Claudio Quadrigario) sottolinea la disparità fisica dei
due contendenti: proprio questa disparità avrebbe dovuto far presagire un esito favorevole per il Gallo, dotato appunto di una corporatura straordinaria massiccia, invece,
quasi a riprodurre uno schema biblico, Livio inscena una sorta di scontro fra Davide e
Golia, per dimostrare che il coraggio e la ragione possono avere la meglio sulla forza
bruta. I dettagli narrativi mirano ad accentuare un contrasto di civiltà ancor prima che
di forza fisica: la contrapposizione si instaura fra il furor, che è il tratto istintivo del
barbaro, e la disciplina, che è il tratto distintivo del giovane soldato romano; in particolare, alla sfrontata e irridente audacia del primo fa da pendant l’autocontrollo del secondo, che è ben consapevole dell’interdizione delle singolari tenzoni dal codice militare romano (poiché avrebbero potuto nuocere al corpo organico e coeso dell’intero esercito). Da ciò scaturisce la richiesta di autorizzazione al comandante: così, la successiva esibizione di animus e di virtus di Tito Manlio può verificarsi solo all’interno di
un certamen gloriae regolarmente consentito.
Dopo la vittoria di Manlio, la cruenta scena della collana (A.7. e B.7.) si inserisce
appieno nella logica della religione antica e può essere compresa attraverso le categorie antropologiche attive nel mondo antico. Il gesto compiuto da Tito Manlio – stando
alla versione cruda di Claudio Quadrigario (A.7.), una versione attenuata però da Livio
(B.7.) – ha un nome tecnico, obtruncatio, e figura quasi come obbligatorio al termine
del duello, allorché il vincitore, mozzando la testa al vinto, ne decreta la perdita di identità. Il successivo impossessarsi della collana del Gallo atterrato rinvia
all’appropriazione – attraverso questo transfert – della forza del nemico abbattuto.
Tutto, insomma, rientra nel codice dell’eroe: dapprima l’avversario è sottratto al ricordo dei proprio cari attraverso la sfigurazione; poi l’eroe si arricchisce dell’energia del
temibile avversario, da lui trafitto. In tale prospettiva acquista senso anche la creazione
di un cognomen, Torquatus, che apparterrà poi anche ai discendenti.
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Il confronto fra il brano annalistico e la riformulazione liviana dello stesso episodio consente anche interessanti considerazioni sull’evoluzione stilistica promossa proprio da Livio; a tal proposito, Giacomo Devoto ha effettuato rilevazioni significative:
“La posizione del verbo presso Quadrigario è costante: alla fine della proposizione
[…]; presso Livio c’è il verbo iniziale due volte (armant e constitere), il verbo in posizione interna quattro volte (cingitur, destituuntur, insinuasset, porrexit), il verbo in posizione finale quattro volte (capit, deiecit, perculisset, hausit)” (vedi G. Devoto, Storia
della lingua di Roma, 2 voll., Bologna 1983 [rist. anast.], p. 223). In merito
all’ampiezza del periodare liviano, Devoto poi annota: “La associazione di sostantivo e
attributo non è mai separata da elementi estranei presso Quadrigario […]; Livio di
fronte ai gruppi normali (pedestre scutum, armati spectaculi, scutum imum, spatium
ingens) ha cinque esempi di gruppi spezzati per mezzo di una parola estranea: hispano
cingitur gladio, ad propiorem habili pugnam, proiecto laeva scuto, advenientis arma
hostis, ruentem porrexit hostem. Questa disposizione anormale dà dunque alla lingua
di Livio una varietà che la lingua degli annalisti non aveva: il modello costituito dal
gioco combinato del ritmo, della lingua, della poesia dei modelli greci è stato fecondo”
(vedi ibidem).
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