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Gli atti del seminario sulla legittima difesa

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Gli atti del seminario sulla legittima difesa
CAMERA PENALE VENEZIANA
“Antonio Pognici”
Seminario di Studio
“DIFESA LEGITTIMA O LEGITTIMA OFFESA?”
DIRITTO ALL’AUTOTUTELA IN UN PRIVATO DOMICILIO
LEGGE 13 FEBBRAIO 2006, N. 59.
Venerdì 21 aprile 2006-04-27
ore 15.00
Centro Servizi della Provincia di Venezia
Via Forte Marghera, 191 – Venezia – Mestre
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AVV. EUGENIO VASSALLO
Buongiorno a tutti, anzi, buon pomeriggio. Sostituisco nella mia veste di
Presidente emerito il Presidente della Camera Penale, che purtroppo oggi era
impegnato fuori Venezia. Possiamo cominciare subito.
Già altre volte avevo notato che per qualche strana fortuna la Camera Penale è
sempre sugli argomenti che sono sull’onda dell’attualità. Recentemente
abbiamo fatto quello sul falso in bilancio, se vi ricorderete, ed era scoppiata la
questione bancaria; avevamo iniziato nella nostra storia con l’illecito sportivo,
con i rapporti tra diritto di cronaca e diritto di difesa. Oggi abbiamo il tema
della difesa legittima o della legittima offesa. I relatori sono di notevole rilievo:
il prof. Ronco, ordinario di Padova, e il prof. Marco Zanotti, ordinario di Udine,
con cui potremo anche polemizzare, se necessario.
Voi sapete che la scriminante oggetto del seminario è ispirata alla massima
giuridica del non vim vi repellere licet, che ha uno spessore molto più incisivo
per il tema su cui oggi dibattiamo. Se andiamo a introdurre in realtà tale
brocardo dobbiamo dire che dovrebbe essere sempre lecito respingere violenza
con violenza, ma sappiamo che non sempre la giurisprudenza ha accettato
questo tipo di relazione stretta. I fatti di cronaca hanno il potere di suscitare
sempre viva un’emozione dell’opinione pubblica. Allora dobbiamo interrogarci,
e oggi sarà l’oggetto anche del nostro seminario, sulla prevalenza che si vuole
attribuire agli interessi in gioco.
Sapete che le Camere Penali, nella persona del loro Presidente Randazzo, hanno
ritenuto che la legittima offesa anche nei confronti di chi non rappresenti un
pericolo per l’incolumità del cittadino non debba essere oggetto di causa
giustificativa. Quindi l’importanza di questa esimente che viene oggi esaminata
è indubbiamente di notevole spessore perché attiene a degli elementi diretti e a
degli interessi diretti, che sono quelli anche della tutela della vita umana, della
tutela di se stessi o della propria vita.
Non voglio tediarvi ulteriormente, credo che possiamo subito cominciare
pregando il prof. Ronco di cominciare.
PROF. AVV. MAURO RONCO
L’Unione delle Camere Penali sta un po’ scivolando a mio parere in un
garantismo, mi sembra che si siano messe sull’onda della politically correct,
secondo cui bisogna sempre dare torto ad ogni norma che abbia il tenore e una
caratteristica di difesa del diritto. Quindi io oggi svolgerò una relazione in
controtendenza rispetto a quello che è stato detto da molte parti a proposito di
questa normativa, contro questa normativa, talora anche senza una informazione
adeguata di diritto comparato, quasi che la nostra normativa fosse una
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normativa da Far West e non corrispondesse invece a delle esigenze sentite in
tutti quanti gli ambiti culturali a noi vicini, quello francese, quello tedesco,
quello spagnolo, etc. etc. etc.. Però, prima di scendere a qualche considerazione
in medias res, o meglio, sulla struttura della causa di giustificazione, come oggi
è stata rimodellata - d’altra parte lo faranno molto bene il prof. Zanotti e
l’Avvocato Da Re, quindi lascerò a loro molto spazio da questo punto di vista vorrei reinquadrare un poco la tematica della legittima difesa, che mi sembra un
po’ svalutata, inopportunamente svalutata nel nostro modo di vivere
concretamente il diritto nell’esperienza giuridica, come si dovrebbe dire, sia dei
Giudici, sia degli Avvocati.
La cronaca non è avara di episodi in cui la vittima designata di un grave delitto
si ritrova colpevolizzata sul terreno giudiziario per aver ferito o ucciso
l’offensore. Si tratta per lo più, le cronache così riferiscono, di commercianti,
che aggrediti da uno o più rapinatori interrompono l’esecuzione del delitto
utilizzando l’arma da fuoco. Questo problema vale anche per le Forze
dell’Ordine, per la verità, perché non sono rari i casi in cui vengono
colpevolizzate le Forze dell’Ordine che hanno agito in difesa del diritto, proprio
o altrui – altrui, per la verità, non proprio, ma altrui – per evitare il compimento
o l’esecuzione di un determinato reato. Certo, vi sono casi di eccesso
nell’esercizio di queste cause di giustificazione, però mi sembra profondamente
ingiusto che fin dall’inizio si parifichino le posizioni dell’offensore e dell’offeso
iscrivendo nel registro degli indagati questi personaggi che hanno reagito ad
un’offesa ingiusta, comunque, a parte la verifica in tema di proporzione,
iscrivendoli per il delitto di cui all’Art. 575 del Codice Penale. Così si procede.
Poi molto spesso queste imputazioni vanno degradandosi e nel corso della
istruttoria preliminare, o meglio, delle indagini preliminari, l’accusa si degrada,
spesso vi sono delle sentenze di non doversi procedere, delle archiviazioni, etc.;
ciò non toglie che ribellarsi contro la parificazione di trattamento all’inizio delle
indagini preliminari tra aggressore e difensore non significa affatto
misconoscere il diritto/dovere di sottoporre al controllo di legalità anche il
comportamento di colui che si è difeso dall’aggressione altrui. Certo, in questo
contegno possono annidarsi eccessi e patologie e dunque momenti di
ingiustizia, ma è incongruo che profili meramente ipotetici di antigiuridicità
vengano, in assenza di concreti indicatori, utilizzati allo scopo di vanificare,
nell’immediata considerazione giuridica e di conseguenza nella comprensione
della legittima difesa presso l’ambiente sociale, presso la popolazione,
misconoscere la differenza qualitativa tra la condotta dell’aggredito e quella
dell’aggressore. Ciò determina nell’opinione pubblica un sentimento di sospetto
verso il diritto di difendersi contro l’aggressore, che contrasta a mio avviso con
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un’equilibrata visione della giustizia penale. Al fine di corrispondere a questa
esigenza di chiarificazione, e questo è sostanzialmente poi lo scopo di questa
normativa, è stata approvata la legge del 13 febbraio 2006 intitolata “Modifica
all’Art. 52 del Codice Penale in materia di diritto all’autotutela in un privato
domicilio”, che è entrata in vigore da un mese, il 17 marzo 2006, costituita da
un unico articolo che ha aggiunto due commi all’Art. 52 del Codice Penale.
In una prospettiva più generale va detto che prima della modifica in esame nel
diritto vivente, questo è il punto di partenza che dobbiamo tenere in
considerazione, si era affievolito di molto il ruolo della legittima difesa.
Baserebbe vedere se il repertorio giurisprudenziale dagli anni ‘50 dello scorso
secolo fino agli anni ‘90, 2000, fino ad oggi, in sostanza. Vedremo poi in che
cosa in modo particolare si è affievolito il diritto di legittima difesa, pur essendo
rimasta invariata la norma, però sono mutate le interpretazioni dottrinarie, a
partire dall’interpretazione di Carlo Federico Grosso nello scritto del 1971/72 e
poi sono modificate le interpretazioni sui manuali e da lì è poi modificata
l’interpretazione della giurisprudenza soprattutto in relazione al requisito della
proporzione, senza che sia cambiata la legge. Allora questa legge ha il
significato di riportare, chiarificare, gli esatti contorni del requisito della
proporzione.
Per comprendere le cause di questo affievolimento nel diritto vivente – usiamo
questo termine anche se molti giuristi più anziani si accontenterebbero di un
“vigente”, che poi non cambierebbe molto: vigente/aver vigore, vivente/che
vive; quindi tutto sommato non è una grande novità quella che ci ha raccontato
la Corte Costituzionale, basterebbe pensare al diritto vigente, cioè che ha vigore
nella realtà – è opportuno considerare che l’attuazione delle norme giuridiche,
tutti lo sappiamo, però non ne teniamo conto spesso nell’interpretazione, è
influenzata dai modelli antropologici in ordine al fondamento della dignità
pertinente alla persona umana. Il diritto alla legittima difesa esprime un’idea
nobile dell’uomo, e lo dimentichiamo, io credo, molto spesso, come ente
intrinsecamente capace di giustizia. Esemplare l’insegnamento di Rudolf von
Jhering, un grande maestro del XIX secolo, in ordine all’origine dell’antico
diritto romano, secondo cui è l’energia dell’uomo a consentire la vita stessa del
diritto, e ne sono profondamente convinto: non sono le norme che consentono la
vita del diritto, ma è l’energia morale dell’uomo. Si tratta non della nuda
violenza fisica, diceva Jhering, bensì di una virtù attiva al servizio dell’idea
giuridica. Il diritto infatti non nasce dallo stato come regola oggettiva, posta
autoritativamente dal sovrano, bensì dell’inclinazione virtuosa alla giustizia
insita in ogni persona. Colui che difende il proprio o altrui diritto è latore non
soltanto di un interesse individuale, ma anche di un valore generale che lo pone
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in condivisione, in comunione con tutti gli altri, perché difendendo il diritto
particolare egli contribuisce altresì a conservare il bene superiore della giustizia.
E anche se è vero che per meglio garantire la pace sociale la comunità politica
riserva ordinariamente a sé l’esercizio della potestà punitiva, sottraendola alla
disponibilità dei singoli, non è meno vero che quando è assente la possibilità di
ricorrere allo Stato ogni persona è legittimata ad agire in difesa del proprio e
dell’altrui diritto, con una reazione spontanea che la sensibilità oppone al danno
o alla minaccia del danno ingiusto, quasi come un’anticipazione di ciò che la
ragione detta come giusta retribuzione nei confronti dell’offensore. E’
un’anticipazione in termini di sensibilità verso il giusto, che anticipa ciò che la
ragione detta come necessario, dunque come reazione della sensibilità
indubbiamente è soggetta a delle storture, a delle patologie, a delle forzature che
devono essere verificate e controllate, ma non di meno si tratta di una sensibilità
orientata verso il giusto, non verso l’ingiusto; questa la differenzia in modo
radicale rispetto all’azione di carattere ingiusto che si pone come offensiva del
diritto.
Questa idea attiva ed energica dell’uomo, centro di moralità e di giuridicità, è
oggi quasi completamente smarrita a favore dell’idea per cui l’uomo sarebbe
esclusivamente – ecco la tematica antropologica, che è sempre fondamentale –
portatore di interessi economici o al massimo di interessi attinenti alla sfera
fisico–emozionale. Al contrario di quanto ritiene questa mentalità, per vero
materialistica, l’uomo possiede, come magistralmente insegna Aristotele e tutti i
classici dietro a lui, una intuizione; soltanto con Hobbes avremo il grido empio:
“Hanno sbagliato tutti prima di me, Aristotele ha sbagliato, l’uomo non è un
ente sociale animato dalla giustizia, si sbaglia, l’uomo è un portatore soltanto di
interessi materialistici, di utilità individuale”; grido empio che Hobbes ha
introdotto all’inizio del giusnaturalismo moderno. E diceva Aristotele a questo
proposito: “La natura non fa niente senza scopo e l’uomo solo, tra gli animali,
ha la parola. La voce indica quel che è doloroso e gioioso e l’hanno anche gli
altri animali. Ma la parola è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è
nocivo e di conseguenza il giusto è l’ingiusto. Questo è proprio dell’uomo
rispetto agli altri animali, di avere egli solo la percezione del bene e del male,
del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori. Il possesso comune di questi
costituisce la famiglia e lo stato”. Quindi una costruzione della legittima difesa
come azione e controreazione in termini meramente di confronto tra beni è
profondamente insufficiente, perché non delinea affatto il profilo fondamentale
relativo alla giustizia e all’ingiustizia dell’azione e della controreazione. Questa
idea impoverita di uomo, che si è avvenuta affermando nell’universo giuridico,
di cui sono portatori anche non tutti gli Avvocati e non tutti i Magistrati, ma
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molti Avvocati e molti Magistrati, non parliamo poi dei politici e dei
commentatori giornalistici delle norme sulla legittima difesa, impedisce la
valutazione appropriata dell’importanza cruciale della legittima difesa
nell’ordinamento e la precomprensione ermeneutica positiva che l’idea nobile
dell’uomo dovrebbe indurre a formulare nei riguardi del comportamento tenuto
in difesa dello iustum ha lasciato il posto a una precomprensione di segno
opposto, evocante un apprezzamento negativo verso il contegno di chi, rivolto a
difendersi, ha provocato oggettivamente un danno. La precomprensione
ermeneutica ci dice che effettivamente le norme giuridiche sono interpretate sì,
sulla base di quello che dice la lettera, quello che dice il sistema, ma prima
ancora sulla base di una precomprensione in ordine al significato che si dà agli
istituti, e il significato agli istituti lo si dà in base a una precomprensione in
ordine alla dignità dell’uomo, come viene intesa la dignità dell’uomo. Né va
trascurata a riguardo della precomprensione della cifra espressa rispettivamente
dalle due condotte contrapposte, l’azione e la reazione, la diffusione in
dipendenza di ormai desuete ideologie, che pure ancora operano nella sfera
psichica inconscia di molti, di Magistrati in modo particolare, di un
atteggiamento di tolleranza verso il contegno deviante serbato dall’offensore,
visto non come consapevole violatore della pacifica convivenza sociale, bensì
come vittima incolpevole di una società tendenzialmente oppressiva; sicché,
non appena l’offensore esce soccombente dallo scontro scaturito dalla sua
volontà di ingiustizia, scatta una sorta di reazione di tipo psicosociale,
alimentata irrazionalisticamente dai mezzi di comunicazione di massa, che
inverte il ruolo delle parti e induce a ravvisare nello scacco dell’aggressore non
la conseguenza appropriata di un contegno nichilista, bensì l’effetto di un
bisogno prevaricante di sicurezza della parte forte del conflitto sociale.
Un altro fattore di corrosione del diritto della legittima difesa riguarda
specificamente la tutela dei diritti patrimoniali. Una parte della tutela
penalistica, che ha influenzato ampiamente la giurisprudenza, ha
progressivamente delegittimato nel corso degli ultimi 30 anni la tutela penale
del patrimonio su due distinti versanti: del soggetto offensore e del bene oggetto
di tutela. Sul primo terreno si è guardato con benignità al soggetto che la
sociologia criminale qualifica come appartenente alla categoria della
microcriminalità; costui, pur delinquendo incessantemente – perché la
criminologia ci insegna che costui delinque incessantemente, non cessa mai del
delinquere, giorno dopo giorno, evidentemente, poco, ma tutti i giorni, o anche
molto tutti i giorni – non agirebbe per un disegno di accumulazione
capitalistica, limitandosi a protrarre indefinitamente uno stile di vita antisociale;
egli dovrebbe pertanto attirare su di sé una reazione di tipo non punitivo, bensì
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comprensivo. Nei suoi confronti dovrebbe applicarsi una terapia di
mantenimento, avete presente la terapia di mantenimento a proposito della
tossicodipendenza? La terapia di mantenimento nei confronti del delinquente
abituale dal punto di vista della criminalità economica minore, quella del furto,
del piccolo scippo, etc. etc.; terapia di mantenimento, che evitandogli la
restrizione della libertà valga a garantirgli lo status di deviante sottoposto al
controllo tollerante dei servizi sociali; i cittadini dovrebbero imparare a
convivere un con i suoi comportamenti asociali secondo una linea di pensiero in
cui non soltanto l’idea retributiva della pena è messa in disparte, ma anche
l’idea della pena come correzione e riabilitazione sociale viene negata, in base
al suo smascheramento, come strumento di integrazione e repressione adottato
dal capitalismo avanzato; basterebbe ricordare gli studi di Baratta, che ormai
hanno fatto scuola, anni ‘70, criminologia critica e critica del diritto penale, e il
nostro amico comune bolognese Pavarini, che in sostanza hanno diffuso un
modo di pensare particolarmente diffuso tra i penalisti, soprattutto Magistrati,
ma anche tra gli Avvocati.
Sul versante relativo al patrimonio si è diffusa una nozione di tipo dinamico–
funzionale, al posto di quella funzionale in senso statico strutturale. La
mutazione imporrebbe la fuoriuscita dalla tutela penalistica tutte le volte in cui
l’offesa sia diretta esclusivamente contro gli oggetti economici, in quanto
attribuiti a un soggetto particolare, quindi la tutela dovrebbe scattare soltanto
quando si offendono gli interessi dinamici di pertinenza della collettività, del
mercato, di una collettività di persone, ma non della persona singola
individuale.
Credo che questo quadro, che ho brevemente descritto, che corrisponde, credo,
in ampia misura alla realtà attuale, importi invece una rivalorizzazione della
persona offesa; perché tutti parlano di rivalorizzare la persona offesa però poi,
quando si va a vedere concretamente come la persona offesa viene trattata sia
nel processo sia prima del processo, ci rendiamo conto che è trattata in modo
veramente scandaloso, perdonatemi; nel processo non ne parliamo, cioè ormai il
momento storico è quello della espulsione della persona offesa dal processo;
infatti giustamente da un certo punto di vista l’onorevole Pecorella, cara
persona a cui tutti vogliamo bene, ha detto logicamente coerentemente:
“Togliamo la Parte Civile – non è la persona offesa la Parte Civile – comunque
togliamola dal processo penale”, perché per trattarla così male è meglio
toglierla del tutto. Comunque tutti parlano di rivalorizzare la persona offesa e io
mi domando: nel processo la persona offesa viene sempre più penalizzata, non
ha degli spazi reali; sembrava, col nuovo Codice di Procedura Penale, poi gli
ostacoli sono sempre maggiori, perché pensate soltanto che nel vecchio
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processo ci si poteva costituire Parte Civile fin dal primo atti di istruzione,
adesso ci si può costituire soltanto all’udienza preliminare: è una differenza
tutt’altro che trascurabile già questa, per la verità. Comunque, anche fuori dal
processo, chi è la persona offesa? Quella che viene offesa da un delitto. Allora
se gli vogliamo togliere il diritto di difendersi o limitarlo in maniera assoluta
vogliamo in qualche misura penalizzare la persona offesa. Allora la
rivalorizzazione della persona offesa credo sia un compito giuridico di primario
rilievo. Le antiche formulazioni della legittima difesa, quali per esempio quella
riportata dal codice del 30, si limitavano a statuire per un verso la legittimità
della difesa contro l’aggressione ingiusta e per un altro verso a precisare
l’essenzialità del requisito della proporzione con l’offesa. Ma erano sintetiche,
corrispondevano ad una situazione condivisa, nella quale vi era questa
differenza di valore tra le due condotte. Erano però inidonee, nell’attuale
situazione storica, a perimetrare in modo chiaro la liceità dell’agire difensivo,
sia perché lasciavano al Pubblico Ministero e al Giudice penale uno spazio
troppo ampio di discrezionalità nel valutare le concrete condizioni di vita che si
presentano nella complessità e multiformità dell’esperienza, sia anche perché
non offrivano un messaggio al cittadino adeguato in relazione a ciò che
veramente puoi fare in situazioni di aggressione. Queste due ragioni di
incertezza, peraltro, erano inevitabilmente destinate ad avvantaggiare contro
ogni razionalità colui che infrange il dettame della legge favorendone la
tracotanza e la temerarietà. La vittima invece rischiava di rimanere, per il timore
delle conseguenze giudiziarie e punitive, paralizzata e conseguentemente
costretta senza sua colpa a subire l’aggressione. A fronte allora di una tendenza
generalizzata nel corpo sociale, volta a pretendere disposizioni più rigorose a
tutela della vittima, una parte della dottrina penalistica e la giurisprudenza
prevalente hanno per troppo tempo insistito in una interpretazione del requisito
della proporzione, tale da schiacciare la legittima difesa in confini operativi
sempre più ristretti: da una parte molti esperti operatori giuridici tendevano a
impostare il giudizio di bilanciamento in ordine al requisito della proporzione
esclusivamente tra il valore dei beni in conflitto; basta prendere il volume, tra
tutti, di Fiandaca/Musco: in questo volume il confronto è praticamente soltanto
tra beni in conflitto; basterebbe ricordare quello che dice nell’ultima edizione,
volume 2001: “È dunque da accogliere l’orientamento che assume – così cito –
a termine del giudizio di proporzione il rapporto di valore tra beni o interessi in
conflitto. In questo senso occorre operare un bilanciamento tra il bene
minacciato e il bene leso, con la conseguenza che all’aggredito che si difende
non è consentito di ledere un bene dell’aggressore marcatamente superiore a
quello posto in pericolo dall’iniziale aggressione illecita”. Quindi in sostanza il
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bene patrimoniale non lo puoi mai difendere da un’aggressione ingiusta con un
attacco all’incolumità della persona, perché i beni in conflitto sono in rapporto
di sproporzione. Ma il confronto è tra le condotte, non è tra i beni, la legge ci
dice quello. Si trascura con ciò che la condotta difensiva è di valore
qualitativamente superiore a quella offensiva. Non si tratta certo di rinnegare
l’importanza cruciale del diritto come se si pretendesse il ritorno allo stato di
natura, che non è mai esistito, ma di cui si è sempre parlato; intendiamo stato di
natura come quello stato del bellum omnium contra omnes, ove sarebbe
concesso al più forte di fare tutto ciò che gli è possibile. La legittima difesa, se
viene concepita in termini di riaffermazione della validità della relazione
giuridica intersoggettiva frantumata dall’aggressione del delinquente, si
comprende che essa debba certamente essere soggetta a rigorosi limiti giuridici
perché non si tramuti in azioni di violenza, ma neppure compressa in modo da
non rispondere in alcun modo alla sua natura di ultimativa modalità di salvezza
dell’aggredito, quando non è possibile l’intervento dell’autorità preposta
all’esercizio e alla tutela dei diritti. Il mero confronto tra i beni in conflitto non
esprime il modo corretto i termini del giudizio di proporzione, perché non tiene
conto della differenza qualitativa tra l’aggressione e la difesa e quindi non
fornisce un fondamento adeguato alla tutela della vittima, lasciando per giunta
del tutto sprovvisti di tutela i titolari dei beni patrimoniali. In molte circostanze,
badiamo alla realtà, l’aggressore al bene patrimoniale non è realmente
paralizzabile nella sua azione antigiuridica se non attraverso un’azione che ne
mette a rischio l’incolumità. E' il caso tipico del ladro che si introduca in
un’abitazione altrui. Ora, non è paralizzabile se non con un’azione che ne metta
a rischio l’incolumità ed è evidente che imperniare il giudizio di bilanciamento
esclusivamente sui beni di conflitto, atteso il rango astrattamente superiore del
bene personale rispetto a quello patrimoniale, significa mettere in discussione
contro il dettato dell’Art. 52 la legittimità della difesa a riguardo dei beni
patrimoniali, mentre sappiamo che a differenza, per quello che è lo stato di
necessità, tutti i beni anche quelli patrimoniali sono tutelabili con la reazione
difensiva.
Ma v’è di più. Le norme giuridiche posseggono efficacia quando costruite sulle
solide basi dell’officina dell’esperienza e non semplicemente immaginate in
qualche asettico laboratorio scientifico; tengono conto della realtà effettiva dei
fenomeni giuridici. L’esperienza insegna che la vittima di un gran numero di
delitti patrimoniali, per esempio la vittima della rapina compiuta a mano armata,
ovvero del furto tentato o consumato nell’abitazione o nel luogo di dimora,
viene a trovarsi, prima di soccombere alla violenza brutale dell’offensore, in
una situazione di sbigottimento e di panico che provoca una tempesta emotiva
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difficilmente controllabile sul piano razionale. Pretendere conseguentemente
che il giudizio di bilanciamento sia svolto esclusivamente fra tra il valore dei
beni significa postulare un previo calcolo razionale che la vittima
dell’aggressione normalmente non è in grado di svolgere. Un simile giudizio
finisce per trascurare la realtà psicologica dell’aggredito nonché di erigere una
barriera insormontabile alla normale operatività della legittima difesa, non
consentendo la norma di operare come regola pratica della vita giuridica e
consegnandola incongruamente alla cavillosità di un giudizio a posteriori
condotto in modo estraneo alla reale natura dei rapporti giuridici.
Gli ordinamenti giuridici contemporanei si sono col tempo fatti carico di questi
problemi introducendo norme che sia pure in modo diverso forniscono rilievo,
in favore della vittima, alle situazioni in cui, a condizione che l’aggredito agisca
con un finalismo rigorosamente difensivo, questo é punto fermo evidentemente,
egli sia stato costretto ad attingere l’aggressore nei beni dell’incolumità o della
vita. Prendiamo il Codice Penale tedesco. Al paragrafo 32 statuisce il principio
della legittima difesa con norma ancora più generica di quella del codice
italiano. Al paragrafo 33 statuisce il principio per cui non è punita la vittima – è
scusata, ma non è punita, quindi è giustificata, non subisce pena – che abbia
oltrepassato i limiti della legittima difesa a causa di verwirrung/confusione,
furcht/paura, o schrecken/spavento; cioè tutta la problematica soggettivistica
dell’aver superato i limiti per ragioni di carattere soggettivo legate al panico,
alla paura, allo spavento, alla confusione in cui ci si viene a trovare
inevitabilmente; non si è puniti. Ed è un modo di risolvere la problematica del
cosiddetto eccesso colposo, che invece costituisce la base per condanne
severissime; o dell’eccesso doloso addirittura, perché vi sono sentenze: una di
un Carabiniere, di dieci anni di reclusione, sta finendo di scontare la reclusione
per un eccesso doloso in causa di giustificazione; adesso il caso l’ho un po’
studiato, è uscito un libro recentemente per le edizioni Ares, in cui si narra di
questa vicenda drammatica di questo Brigadiere dei Carabinieri condannato a
10 anni; sta scontando ancora, siamo al sesto o settimo anno di condanna, sta
per uscire, finalmente, con tutti i vari benefici di legge. E’ un eccesso doloso,
quello stilema del dolo eventuale, voi sapete come sia facile parlare di eccesso
doloso e difficile parlare di eccesso colposo: tu ti sei rappresentato che avresti
potuto uccidere e hai agito ugualmente; è lo stilema usato in quel tipo di
sentenza, condanna per eccesso doloso in omicidio volontario nei confronti di
un Brigadiere dei Carabinieri.
Il Codice Penale francese, non il vecchio Code Napoléon, ma il nuovo Codice
Penale francese, entrato in vigore il primo marzo ’94, segue una strada diversa
da quello tedesco, ma che cosa dice all’Art. 122.5? Comma primo: “La non
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punibilità del fatto compiuto per legittima difesa di se stessi o di altri, ad
eccezione del caso in cui sussista sproporzione tra i mezzi di difesa impiegati e
la gravità dell’aggressione”. Questa è la prima norma che ripete pari pari la
giurisprudenza degli anni 50/60 della nostra Corte di Cassazione, che diceva
che il rapporto di proporzione tra fatto tra i mezzi impiegati e la gravità
dell’aggressione; giurisprudenza che la nostra dottrina, a partire da Grosso in
avanti, ha contestato vigorosamente come giurisprudenza troppo ampia a favore
della legittima difesa, della difesa. Il primo comma della legge francese del ‘94
statuisce invece che la sproporzione va vista in relazione alla difformità,
all’incongruità dei mezzi adoperati rispetto alla gravità dell’offesa. La nostra
Cassazione, tanto vituperata per certi versi, che viene in qualche modo a trovare
ripresi e statuiti i suoi dettami nel primo comma dell’Art. 122.5 del Codice
Penale francese del ‘94. Ma badate signori, il comma secondo del medesimo
articolo francese cosa dice? Contempla il caso dell’interruzione di un crimine o
di un delitto realizzato contro un bene, quindi bene patrimoniale, e stabilisce la
legittimità della difesa a meno che l’aggredito non provochi volontariamente un
omicidio volontario e sempre che i mezzi impiegati siano proporzionati alla
gravità dell’infrazione. Però, facendosi carico della gravità intrinseca di
determinate aggressioni patrimoniali, statuisce l’Art. 122.6 la presunzione – qui
la presunzione noi non l’abbiamo introdotta con la nuova normativa sulla
legittima difesa, comma secondo e comma terzo –; l’Art. 122.6 introduce la
presunzione che abbia agito in stato di legittima difesa l’autore di un atto
compiuto: “1) per respingere di notte l’ingresso in un luogo abitato realizzato
con effrazione, violenza o inganno; 2) per difendersi contro autori di furti o
danneggiamenti eseguiti con violenza”. Quindi, altro che la nostra norma; è
presunto in stato di legittima difesa colui che abbia agito per difendere un bene
patrimoniale quando la condotta abbia queste caratteristiche: furto o
danneggiamento eseguito con violenza, basta l’ingresso in una casa, violenza
sulla cosa, evidentemente, oppure l’ingresso in un luogo abitato realizzato
effrazione, violenza o inganno. E’ evidente che la presunzione prevista dall’Art.
1212.6 non implica tanto un’inversione dell’onere probatorio, ma esclude
addirittura che il requisito della proporzione tra i mezzi impiegati e la gravità
dell’aggressione possa funzionare in tutti i casi in cui, per rispetto dovuto alla
vittima e per la conseguente inaccettabilità sociale del fatto compiuto appunto
con violenza ovvero con ingresso di notte in un’abitazione privata, la difesa del
bene patrimoniale deve prevalere anche a costo di attingere l’incolumità fisica o
la vita dell’aggressore.
Vediamo il Codice Penale spagnolo. E’ entrato in vigore anche qui, non è
ancora zapaterista, ma è della democrazia spagnola successiva alle vicende
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storiche, legge organica del 23 novembre ‘95 n. 10, statuisce l’Art. 20 la non
punibilità di chi abbia agito per difendere la persona o i diritti propri o altrui
contro un’aggressione legittima precisando che in caso di difesa dei beni ogni
attacco nei loro confronti è considerato aggressione illegittima quando realizzi
una situazione di grave e incombente pericolo, di loro deterioramento o perdita;
allorché però la vittima agisca in difesa della dimora, anche il solo ingresso
indebito è considerato aggressione illegittima. Quanto al giudizio di
proporzione tra difesa e offesa, l’Art. 20 stabilisce che la reazione è sempre
legittima quando la vittima abbia adoperato un mezzo ispirato razionalmente al
proprio della necessità, vecchio principio, sostanzialmente, della nostra
Cassazione a proposito del rapporto che dovrebbe essere fatto tra i mezzi
adoperati e la gravità dell’offesa.
Il codice polacco, approvato con legge del giugno ‘97 ed entrato in vigore il
primo settembre ‘98 statuisce all’Art. 25 paragrafo primo che non commette
reato chi per necessità della difesa respinge un attacco diretto e illecito rivolto
contro un qualsiasi bene tutelato dal diritto, è la norma in generale. Il paragrafo
secondo soggiunge che in caso di oltrepassamento dei limiti della difesa, della
proporzione, in particolar modo quando la gente abbia usato metodi difensivi
non proporzionati alla pericolosità dell’attacco, il Giudice può applicare
un’attuazione straordinaria della pena o anche non infliggerne alcuna. Quindi in
caso di violazione del requisito della proporzione il Giudice deve attenuare
comunque la pena in modo straordinario oppure può anche non applicare alcuna
pena. Il paragrafo 3 stabilisce infine che il Giudice possa non infliggere alcuna
pena quando l’eccesso dai limiti della difesa è stato conseguenza della paura o
dello stato di sconvolgimento determinati dalle circostanze in cui è avvenuto
l’attacco; qui si ricorre praticamente alla norma del paragrafo 33 del Codice
Penale tedesco che avevo ricordato prima; là è obbligatoria la non punibilità,
qui si dice: nei casi di paura in cui sia oltrepassato il limite della proporzione il
Giudice può non applicare alcuna pena.
Nel breve excursus comparatistico, e sono i tre codici più recenti europei più
importanti, non mi sono riferito a tutti i codici europei, ma le tre recenti riforme
degli anni ’90 sono queste tre qui: quella francese, quella spagnola, quella
polacca. Tutte tre le riforme prevedono esattamente delle situazioni di discimine
molto, molto vicine, direi quella francese addirittura molto più favorevole alla
difesa che non quella italiana, ma comunque, tutto sommato, nello stesso
perimetro di idee, nello stesso orizzonte culturale della normativa italiana.
Questo breve excursus comparatistico consente di dire che nessun ordinamento
prevede il requisito della proporzione come rapporto tra il valore dei beni
rispettivamente oggetto di aggressione e di reazione. Una conferma dell’assunto
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la si ricava in modo inconfutabile dal raffronto della legittima difesa con la
regolamento dello stato di necessità. Anche gli interpreti dimenticano le
differenze fondamentali che vi sono tra lo stato di necessità e la legittima difesa,
anche nella regolazione pratica. Lasciamo stare la trascuratezza
nell’interpretazione corrente di quel non diversamente possibile che si applica
anche alla legittima difesa, per cui diventa obbligatorio il commodus discessus
anche nella legittima difesa, mentre il commodus discessus non è obbligatorio
nella legittima difesa e lo si ricava proprio dal confronto con la previsione
diversa contenuta nell’Art. 54.
Lasciamo stare questo e atteniamoci soltanto al profilo relativo alla proporzione.
Allora in tutti gli ordinamenti stranieri il requisito della proporzione, che
abbiamo visto, secondo il criterio del confronto tra il valore dei beni in conflitto
è previsto soltanto con riferimento allo stato di necessità. Qui abbiamo assistito
a una forzatura dottrinale incredibile: nello stato di necessità il confronto è tra i
beni, e anche nel nostro ordinamento il confronto dello stato di necessità era tra
i beni; nella legittima difesa non poteva essere tra i beni, ma era tra azione e
reazione, tra qualità dell’azione e qualità della reazione. In tutti questi codici,
‘94 francese, spagnolo e tedesco, si mette in evidenza nello stato di necessità
che il confronto va fatto tra i beni in conflitto. Il codice francese, per esempio,
nel 122.7, che viene dopo le norme che vi ho menzionato prima, prevede la non
punibilità di chi abbia leso un bene trovandosi in stato di necessità salvo che vi
sia sproporzione tra i mezzi impiegati e la gravità della minaccia; qui addirittura
tra i mezzi anche per lo stato di necessità, per la verità. Nel codice spagnolo,
invece, si dice, con riferimento al solo stato di necessità, che il male causato non
deve essere maggiore di quello che si cerca di evitare; quindi qui c’è un
confronto perfetto a proposito di un rapporto tra i due mali, quello minacciato e
quello arrecato, direi secondo un rapporto di proporzione tra beni,
evidentemente. Il codice polacco all’Art. 26 paragrafo 1 esclude la punibilità di
chi agisca allo scopo di respingere un pericolo immediato non altrimenti
evitabile – stato di necessità – che minacci un qualsiasi bene tutelato dal diritto
soltanto se il bene sacrificato ha un valore inferiore al bene salvato; perché qui è
un rapporto tra beni, ma vale per lo stato di necessità, non per la legittima
difesa. Allora in questa situazione credo che meriti di essere valorizzata la legge
da poco approvata, che aggiunge all’Art. 52 del Codice Penale de nuovi commi
che autorizzano specificatamente l’autotutela della vittima contro
un’aggressione compiuta nel privato domicilio. Nel comma 1 è precisato che
nei casi in cui sia violato dall’aggressore il domicilio della persona sussista il
rapporto di proporzione quando – qui non c’è una presunzione vera e propria,
come è stato detto impropriamente, ma sussiste il rapporto di proporzione
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quando la persona legittimamente presente nel domicilio o nella dimora usa
un’arma legittimamente detenuta; questa è un cosa invece sbagliata, perché non
bisognava forse fare differenza tra l’arma legittimamente detenuta e quella
legittimamente non detenuta, restringe però, non allarga, semmai, la portata
della legittima difesa – la persona usa un’arma legittimamente detenuta o altro
mezzo idoneo ai fini di difendere la propria in comunità; poi: i beni propri o
altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione; attenzione, non
è che dica: è legittimo comunque, ma è legittimo quando non vi è resistenza,
cioè quando l’autore che si è introdotto nell’abitazione continua l’aggressione,
non desiste e vi è pericolo di aggressione alla persona. Quindi non è che sia un
discorso di presunzione puro e semplice: tu puoi sparare se la persona entra in
casa; no: tu puoi sparare se la persona è entrata in casa, non desiste
dall’aggressione, dall’azione illecita che sta compiendo, non quella futura, ma la
sta già compiendo se si è introdotto in casa, non è che è un’azione futura; futuro
è l’aggressione alla vita, ma sta già ledendo il bene patrimoniale, il bene del
privato domicilio, che poi non è solo bene patrimoniale, come ben insegna la
classificazione codicistica, che il domicilio è un bene personale: è un bene tra i
delitti contro la persona, non contro il patrimonio, perché il domicilio, ce lo dice
la nostra esperienza, è un valore personale perché attiene alla nostra sfera di
riservatezza personale e familiare. Quando vi è pericolo di aggressione a chi?
Alla persona. Quindi pone dei paletti ben fermi nei confronti della reazione.
Occorre cioè che l’aggressore che già è entrato in casa, che sta compiendo
un’azione illegittima, ma che è in itinere di realizzazione di un reato, non resista
da questo reato e importi la sua azione un pericolo per la persona.
Il secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto
all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, etc.
e questa è un’aggiunta che è stata fatta per specificare il concetto di domicilio,
forse non vi era necessità, ma credo che sia stata un’aggiunta non priva di una
sua utilità. Al di là degli aspetti tecnici della norma, ne ho menzionato uno
poc’anzi, quello dell’arma legittimamente detenuta, è evidente che questa
norma, in perfetta sintonia con quella normativa francese e spagnola, vuole
evitare che la vittima dell’aggressione ai beni patrimoniali compiuta con
l’invasione del domicilio sia costretta a tollerare l’ingiustizia e che il diritto in
tale situazione debba cedere all’ingiustizia.
Lungi dall’introdurre una specie di licenza di uccidere, come è stato detto
dall’Opposizione Parlamentare nel corso della discussione al Senato e poi tutti
l’hanno ripresa come se la norma fosse quella del Far West, etc… Basterebbe
ricordare gli interventi del Senatore Fassone dei DS, di Giampaolo Zancan dei
Verdi, tutti in questa direzione qui, che poi i giornali hanno ripreso come se
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fosse l’interpretazione autentica della norma, e la norma fosse la licenza di
uccidere, in definitiva; invece, contrariamente a quello che hanno detto questi
autori la norma definisce in modo congruo e realistico il rapporto di
proporzione tra l’aggressione e la difesa, nel caso in cui in forza dell’azione
illecita della gente la vittima si trovi fin dall’inizio in una situazione di forza
incomparabilmente deteriore rispetto al delinquente. Non ci rendiamo conto che
la vittima di un’aggressione nel domicilio è in una situazione di debolezza
incomparabilmente grave rispetto a quella di colui che è entrato nel domicilio?
Pretendere, come suggeriscono una parte della dottrina e della giurisprudenza
dominante, che in queste situazioni il rapporto di proporzione si esaurisca nel
confronto tra i beni: ma io, ladro, voglio solo prenderti i gioielli, ma io ti
impedisco, mi metto davanti ai gioielli perché tu non me li porti via, allora qual
è la conseguenza? Tu non desisti, io debbo potere reagire contro l’offesa,
altrimenti significa togliere la tutela nel modo più totale ai beni patrimoniali, ma
non era questa la legge, ecco perché questa è una legge di chiarificazione
dell’Art. 52. Si sostituisce, in sostanza, al principio della legittima difesa il
principio opposto dell’obbligo di tollerare l’ingiustizia.
Né si può sostenere che la legge fisserebbe una presunzione di proporzionalità,
come ho già ricordato prima, incompatibile con i principi generali
dell’ordinamento. Forse tale critica potrebbe essere rivolta alla legge francese
sulla presunzione, che afferma espressamente la presunzione di legittima difesa,
che poi non vuol dire nessuna inversione dell’onere probatorio, vuol dire solo
che il requisito di fattispecie è stato fissato in un certo modo: la proporzione non
va vista, non va tenuta in considerazione nelle situazioni in cui vi sia quel
determinato tipo di aggressione. Ma questa critica non è congrua rispetto alla
norma appena approvata in Italia, perché questa disposizione fissa un criterio
preciso per misurare la proporzione in modo consono all’esigenza di consentire
effettivamente l’esercizio alla legittima difesa nei casi in cui, per l’avvenuto
ingresso dell’autore nella sfera di privatezza altrui, la vittima è costretta, se
vuole realmente difendersi, a usare un mezzo che può anche provocare danni
all’incolumità o alla vita dell’aggressore.
Il problema concernente la riassegnazione di un significato realistico alla
legittima difesa non è secondario e marginale in vista del recupero dei valori
propri di un diritto penale che non sia genuflesso al pietismo di marca scadente,
che invoca a gran voce una penalità sempre più imbelle e impotente di fonte alla
brutalità del delitto e alla sua onnipervadente capacità di inquinare i fondamenti
della pace sociale. L’indifferenza verso la vittima del reato esprime il volto
materialistico di una società che allontanando da sé il ricordo del crimine e della
sua vittima si sottrae al dovere della memoria, rinunciando alla giusta
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retribuzione e alla correzione del colpevole e suggerendo di vivere acquattati
comodamente nelle increspature di un presente deprivato di ogni profondità
metafisica, morale e giuridica.
La memoria, come ha notato un filosofo del diritto francese, di origine greca
Stamazi Ozizis, storicizza gli eventi che segnano l’umanità, conserva i ricordi
che l’uomo accumula come rappresentazione del mondo. In quest’ottica essa
appare, la memoria, come un diritto alla conoscenza storica dell’umanità e come
un dovere nei confronti delle generazioni future. E’ per questo che svolge la
funzione di coscienza universale dalla quale traggono linfa quelle individuali e
dalle quali impone un orientamento come custode dell’umano, si oppone
all’oblio, che è fonte di ingiustizia. Se si dimentica la vittima – e concludo io –
la distinzione tra giustizia e ingiustizia si affievolisce sempre più e il carnefice
primeggia sulle rovine di una società priva di rettitudine e di energia morale. La
memoria della vittima innerva la reazione vitale di un popolo che custodisce al
suo centro la distinzione tra il giusto e l’ingiusto e rivendica il primato della
giustizia contro ogni sopraffazione, da qualunque parte essa provenga, e non vi
stupiate che queste parole vengano da un Avvocato.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Ringraziamo il prof. Ronco per questo excursus sulla proporzione tra i due
interessi in gioco. E' un excursus anche comparatistico molto interessante, che
mi ha però dato dei suggerimenti, per fare una provocazione e per introdurre
anche la relazione del prof. Zanotti: il primo appunto che mi è sembrato da
valorizzare è quello che la nuova normativa non è che dice che ognuno può aver
reagito, ha un’esimente nell’azione in una situazione di legittima difesa o stato
di necessità; la nuova normativa parla di uso legittimo dell’arma, cioè non è più
una condotta aperta, adesso qui è consentito l’uso dell’arma. Quindi il problema
del nostro titolo, che è la difesa legittima o legittima offesa, diventa ancor più
rigoroso, secondo i detrattori. A maggior ragione poi, perché non si tiene conto,
a mio parere, non so se ne parlerà poi la Da Re, della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo, che invece, lo preannuncio solo velocemente, dà un diritto
alla vita che non è consentito in difesa di beni e tutela il diritto alla vita come
bene primario. Allora la domanda che dobbiamo porci è: ma la difesa del bene
patrimoniale, che non è tutelato dalla Convenzione, può giustificare l’uso
dell’arma in modo tale da ledere il diritto alla vita, che è tutelato invece dalla
Convenzione? Questo è il punto dolente di questa normativa.
È chiaro che si arriva ad una interpretazione esasperata e direi pregiudizievole;
Carnelutti diceva, lo ricordo, che quando tu pregiudizialmente dai
un’interpretazione per un pregiudizio vai a calarti su un piano inclinato che
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necessariamente porta a una controreazione, perché il sistema delle reazioni
determina una modifica sostanziale contraria al principio dell’interpretazione
data in quel modo. Talvolta abbiamo visto interpretazioni esasperate per
pregiudizi, è probabile che le interpretazioni criticate anche dal prof. Ronco
possano aver portato una reazione allergica – interpretazione utilizzata talvolta
dalla giurisprudenza – da parte del cittadino, in fin dei conti le norme
riguardano il cittadino. Certo è che qui la novità a mio parere da mette in rilievo
proprio questa: non si parla di arma, nel nostro 54 non si parlavi arma, si
parlava di condotta, di azione, mentre qui si parla di uso legittimo dell’arma, il
che vuol dire: tu puoi sparare, quindi puoi offendere.
PROF. AVV. MAURO RONCO
Rimane sempre difesa.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Certo, però prima la difesa poteva essere fatta con le mani, in qualsiasi modo,
era condotta libera, ora qui hai una condotta che viene identificata in maniera
perfetta, appunto, per assicurare però dei beni che non sono giuridicamente
protetti. Ma su questo sicuramente, siccome so come la pensa il mio amico prof.
Zanotti, adesso ha diritto di contestarmi su queste affermazioni.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
Grazie, signor Presidente.
Non avendo io alcuna simpatia per la caccia e cacciatori e tanto meno per le
armi da fuoco, francamente non so se sono la persona più indicata per discutere
con voi dei problemi della modifica recente in tema di legittima difesa, a meno
che non rilevi il fatto che appartengo alla categoria piuttosto estesa delle vittime
di furti in appartamento; appartengo a questa categoria e quindi credo che
questo forse possa legittimare un mio diritto all’intervento.
Vedete, inclinazioni personali e personali esperienze di vita così contraddittorie
potrebbero indurre a un atteggiamento vagamente pendolare, ondivago,
inducendomi talvolta a parlare a favore della nuova norma, talvolta contro. Però
se si esplicitano le premesse, quanto meno l’uditorio è in grado di capire quanto
di ideologico possa condizionare il mio discorso e quanto invece esso intenda
orientarsi, almeno nei propositi, a un’analisi sufficientemente distaccata, direi,
dal clima polemico che ha preceduto, accompagnato e seguito l’emanazione di
questa legge.
In questo clima, peraltro, il profilo giuridico, per la verità in genere fortemente
negativo, non è sempre nitidamente separabile da un atteggiamento di ripulsa a
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priori, che è quello stesso atteggiamento che negli ultimi cinque anni ha
caratterizzato qualsiasi introduzione normativa. La terminologia è variopinta: si
parla di leggi compulsive, di norme ad personam, etc., però identico è il rifiuto,
è un rifiuto frontale, a prescindere dal merito o dal demerito delle riforme. Del
resto però lo ritengo anche comprensibile da un certo punto di vista, cioè, a
legge asseritamente ad personam si oppone un analogo rifiuto ad personam nei
confronti di tutto quello che viene prodotto da una maggioranza parlamentale.
Però non appena si esce o si cerca di uscire da questo clima belligerante magari
ci si può rendere conto che non tutto è da buttare via. Le norme introdotte,
magari perfettibili, però c’è da chiedersi quale legge non è migliorabile,
emendabile, il novum normativum può rivelarsi portatore di un senso
sostenibile, ragionevole, e magari anche in grado di chiarire proprio quelle
lacune, quei profili problematici che 75 anni di vigenza e di prassi applicativa
non sono riusciti a chiarire, che è il punto giustamente individuato dal prof.
Ronco: la proporzione.
La proporzione è qualche cosa di estraneo alla nostra tradizione, viene inserita
nel 1930, proprio per 75 anni la giurisprudenza aveva un compito e questo
compito è rimasto sostanzialmente eluso, o meglio, riempito volta a volta di
contenuti tra loro incompatibili e reciprocamente contraddittori.
Partiamo dalle critiche. Non credo di voler mantenere il discorso a un livello
così alto, come invece quello attinto dal prof. Ronco, io mi limito al problema
direi più strettamente esegetico: che cosa rappresenti la nuova norma. Allora in
che cosa consiste la critica, fondamentalmente? Il punto di avvio più frequente
consiste nell’asserita presunzione assoluta di proporzione quando la reazione
difensiva si svolge nel contesto descritto, che voi sapete è quello individuato
dall’Art. 615, tutela del domicilio o, come specifica forse in laniera superflua
l’ultimo comma, ove si svolga un’attività imprenditoriale, commerciale o
professionale. La riforma, si assume in genere, consentirebbe di giustificare
qualsiasi tipo di reazione anche con mezzi altamente lesivi – ed è la
preoccupazione espressa con la solita passionale generosità dall’Avvocato
Vassallo –, cioè qualsiasi arma, quando il pericolo di offesa si concretizza in
uno dei tanti luoghi definiti dall’Art. 614, la privata dimora. Allora, se
volessimo ritrovare un minimo comun denominatore di questo atteggiamento
fortemente avverso al novum, si potrebbe dire che il segnale sarebbe nella
direzione di un’esasperata autotutela, una sorta di giustizia fai da te, modello di
giustizia che sottintende non solo l’invito ad armarsi e a difendersi ad ogni
costo, ma altresì, aspetto ancora più grave, una manifesta sottovalutazione della
vita dell’autore di un reato; questo è il punto direi critico, perché l’aspetto che
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suscita le reazioni maggiormente scandalizzate è la pretesa legittimità di una
reazione anche letale a difesa di diritti meramente patrimoniali.
Questa posizione muove dal presupposto, che è largamente condiviso, che la
vita dell’aggressore sia sempre considerato bene prevalente rispetto al
patrimonio dell’aggredito, con il che poi si arriva al consequenziale corollario in
virtù del quale l’ordinamento si attende che l’aggredito tolleri la lesione del
proprio diritto patrimoniale se questa lesione non può essere evitata se non a
costo della vita dell’ingiusto aggressore. Cioè abbiamo una figura di
imposizione normativa del commodus discessus. Di fronte all’offesa
patrimoniale, se l’unica reazione efficace è il sacrificio della vita
dell’aggressore l’ordinamento ci impone un commodus discessus, una
presunzione. Può darsi che sia ragionevole, lo vedremo. Poi, ma soltanto poi,
all’aggredito l’ordinamento metterà a disposizione tutti i propri strumenti per
punire il reo dall’aggressione e recuperare il bene. Nell’immediato però prende
posizione a favore dell’ingiusto aggressore.
Se mi si consente mi muovo ancora sulla linea di un diritto penale dei libri,
forse non tanto ancora su un piano di law in action. Una piccola chiosa
incidentale: oggi si parla molto di costi collaterali; ogni scelta normativa, ogni
innovazione normativa, deve fare i conti sui costi consequenziali che la
modifica può comportare, su quelle che con terminologia bellica potremmo
divenire costi collaterali. Anche questa posizione ha un costo non indifferente,
che ci rimproverano talvolta con ironia, talvolta con sorpresa, i penalisti di area
tedesca. Il costo collaterale è proprio questo: per questa via, attraverso questo
brevissimo percorso i delinquenti possono contare a priori sulla mancanza di
reazione difensiva, posto che una disciplina legale quale quella che noi
prevediamo vieta l’uccisione di chi aggredisce un bene patrimoniale. Teniamo
conto nella discussione, se vogliamo condurla in termini di serenità e di
pacatezza, che noi abbiamo, se aderiamo a una posizione dominante, anche
questo posto collaterale.
A mio giudizio l’insistito riferimento alla pretesa presunzione di proporzionalità
da un lato si presenta come un sin troppo comodo idolo polemico, ma dall’altro
fraintende i precisi contenuti testuali della riforma. Come idolo polemico si
ingenera l’illusione che il requisito della proporzione abbia di per sé la
taumaturgica capacità di individuare immediatamente l’interesse prevalente,
quando al contrario si traduce semplicemente in una clausola generale che
enuncia il problema, questo sì, ma non lo risolve affatto. Vedete, per il tramite
di una clausola generale di questo tipo, notava il mio maestro, che mi è sempre
caro ricordare e credo che molti in quest’aula ancora lo ricordano, Franco
Bricola, attraverso clausole di questo genera si delega al Giudice una scelta non
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intenzionalmente voluta dal legislatore, ma che è imposta dalla particolare
natura del dato. Non si tratta di una discrezionalità in senso proprio – lui si
esprimeva in questi termini – bensì di uno di quei casi di folgorazioni intuitive
indispensabili per ogni forma di accertamento temporale o quantitativo. La
proporzione induce un rapporto quantitativamente, una sorta di corrispondenza.
Il valore sembrerebbe non entrarci ancora per nulla. Infatti per valutare la
proporzione tra difesa e offesa non si può fare a meno di tutte le circostanze del
caso concreto. Gli stilemi giurisprudenziali abbondano quando si fa appello
all’apprezzamento del Giudice, lo si manda a valutare tutte le circostanze del
caso concreto. D’altra parte non si può nemmeno pensare che la proporzione si
esaurisca nel confronto tra bene minacciato e bene leso completamente avulsa
dalla situazione conflittuale, dalla concreta vicenda conflittuale in cui i beni
sono coinvolti, perché un’operazione di questo genere sarebbe condannata da
un’inguaribile astrattezza. E richiamo la vostra attenzione, perché un vizio di
questo genere mi sembra caratterizzare o affiorare in posizioni dottrinali recenti
e meno recenti, tutte orientate a una subvalenza del bene patrimonio rispetto al
bene vita, che può essere forse ammessa in linea di principio, ma non in
assoluto, lo vedremo fra un attimo.
La conclusione la si vuole imposta oggi sia alla stregua dell’Art. 2 della
Costituzione, sia alla stregua dell’Art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo. In realtà non dedurrei delle conclusioni così stringenti dalla norma
convenzionale. Ne ho parlato anche con l’Avvocato Da Re, che so che
interverrà successivamente, ma conclusioni così automatiche dall’Art. 2 della
Convenzione Europea io non ritengo sia possibile dedurle. Perché questo?
Probabilmente è possibile che si affermi nel tempo una lettura di questo Art. 2,
nel senso della opzione di prevalenza del bene vita rispetto al bene patrimonio.
Però non è affatto detto che essa sia oggi l’unica compatibile col dato testuale.
Ricordo brevemente, si dice con civetteria forense causidica, ricordo a me
stesso, forse è meglio che lo ricordi anche a voi: quand’è che legittima la morte
di un individuo? E’ legittimo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi
assolutamente necessario per garantire la difesa di ogni persona contro la
violenza illegale. Allora oggi si propone di intendere la locuzione “difesa di
ogni persona” come se significasse o volesse significare “difesa di un bene
personale, vita, integrità fisica libertà personale” e correlativamente violenza
illegale come aggressione ingiustificata a tali beni. Però io lo ritengo un
risultato controvertibile quanto meno, perché intendo riferimento o ritengo sia
possibile intendere il riferimento ad ogni persona come detonativo della
titolarità in capo a chiunque del diritto di difendersi, mentre la nozione di
violenza non necessariamente si circoscrive all’aggressione contro la persona.
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Qui abbiamo anche il conforto autorevolissimo di Mario Romano che nel suo
commentario svaluta molto l’argomento che fa capo all’Art. 2. Se e quando, ma
solo se e quando si affermerà stabilmente l’interpretazione prima segnalata che
oggi si vuole dare all’Art. 2 della Convenzione, allora sarà corretto, ma solo
allora, assumere che esso opera direttamente il giudizio di bilanciamento tra gli
interessi in conflitto, dando sempre la prevalenza al diritto alla vita
dell’aggressore e optando per l’invariabile soccombenza del diritto
patrimoniale. Mi limito a queste schematiche osservazioni perché in definitiva il
profilo non mi pare né particolarmente rilevante, né soprattutto particolarmente
pertinente per il nuovo innesto normativo nel corpo della legittima difesa. Può
esserlo, questo riferimento invece, per altri ordinamenti quale quello tedesco;
anch’esso ha sottoscritto la Convenzione Europea, è vero, ma in quel contesto la
valutazione comparativa tra i beni coinvolti non è affatto nel senso della illiceità
della reazione letale del ladro ancorché la Germania sia vincolata alla
Convenzione Europea. Problemi come quelli che noi qui discutiamo discussi
per esempio nel contesto penale germanico sarebbero completamente privi di
senso o comunque troverebbero una risposta positiva e maggioritariamente
giurisprudenziale. Ricordo una sentenza del Tribunale di Monaco, d’accordo,
ma lì si parla di una possibilità assolutamente ammessa e irrinunciabile di difesa
letale anche a difesa di beni patrimoniali, salvo che ovviamente non vi sia una
macroscopica o grassa sproporzione, sotto i 25 euro dice Roxanne, e in genere
sulla sua scia la dottrina tedesca. Io trovo discutibile che si introducano in
tematiche di questo genere delle considerazioni quantitative a cui è più aduso ed
è meglio che rimanga aduso il legislatore penale tributario, però segnalo, solo
per informazione, che colà si discute se sia proporzionata una difesa lesiva o
altamente lesiva di una offesa o di un pericolo di offesa superiore ai 100 marchi,
all’epoca.
Prima di affrontare il novum, cioè la modifica della legge del febbraio, vale la
pena di riflettere sull’assioma corrente: la difesa del patrimonio non può mai
arrivare al sacrificio della vita di chi lo aggredisce. E' un po’ il punto
problematico introdotto dal prof. Ronco. Cerchiamo di uscire dagli estremi di
cui è ricca la nostra manualistica. Chi ammetterà mai che esiste proporzione tra
il furto di pochi frutti, magari commesso da bambini o adolescenti e la reazione
armata da parte del proprietario? Nessuno. Ma questo perché l’esempio fa parte
dei cosiddetti casi facili, cioè immediatamente decidibili. Però esistono anche i
casi difficili, che non sono risolubili a priori con il grimaldello della
proporzione, né tanto meno con il postulato dell’inevitabile soccombenza del
diritto patrimoniale rispetto al bene della vita.
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Cominciamo una modesta esemplificazione: come ci regoliamo di fronte al
tentativo di furto della nostra auto quando siamo in un luogo deserto ad enorme
distanza da qualsiasi centro abitato? L’esempio, mi si potrebbe obiettare, è
abbastanza irrealistico: l’Italia non ha deserti. E se lo localizziamo altrove? La
mia reazione letale è a difesa di un bene solo patrimoniale o no? Lascio insatura
la domanda, lasciamo il punto interrogativo, ma non è mica solo questo esempio
irrealistico. Immaginiamo che di fronte a un’epidemia estremamente devastante
io riesca ad assicurarmi un farmaco di nuova produzione, difficilissimo a
reperirsi sul mercato perché non diffuso, perché ho un parente malato di quella
malattia. Come mi regolo di fronte a chi tenta di rubarmelo? A questo punto
vorrei perfino estremizzare l’esempio: come mi regolo, ma soprattutto come
sarà valutata la mia reazione se ne confronti del ladro che fugge, ma che può
essere ancora fermato, io decido di sparare e lo uccido? Difesa di un bene
patrimoniale? Il pericolo è attuale, finché non si è consolidata l’offesa il
pericolo è attuale. Se si risponde di no, cioè non è solo il patrimonio, allora
dovremmo distinguere e rettificare conseguentemente degli argomenti
consolidati. Magari anche il patrimonio può essere tutelato nella maniera più
incisiva, magari arrivando anche alla morte dell’aggressore, quando il bene
patrimoniale esce dalla sua dimensione originaria per innestarsi su piani
esistenziali estremamente importanti per la vittima. In questa prospettiva non
rileva tanto il bene patrimoniale nella sua dimensione statica, nella sua
consistenza meramente economica, quanto nella sua proiezione funzionale
rispetto a beni gerarchicamente prevalenti. Mi si potrebbe obiettare, forse, che
negli esempi formulati in fondo difendo sempre il bene della vita, e questo non
altererebbe la corrispondenza di valore voluta dal sistema. Ma non è mica vero.
Non sarebbe centrata un’obiezione di questo genere, perché nell’immediato
conflitto difendo il patrimonio contro un’aggressione. Sullo sfondo, in una
prospettiva futura e non attuale io difendo il bene della vita o dell’incolumità
fisica, ma nell’immediato il conflitto è tra patrimonio e vita dell’aggressore.
Dove l’obiezione non potrebbe essere formulata in questi termini è in un altro
caso cruciale. Arriveremo al profilo della necessità.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Lo so, però ho bisogno di ucciderlo. Io devo recuperare il farmaco, non uccidere
lui.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
Ma se fosse l’unica soluzione neutralizzante? È allora il problema: se è l’unica?
Poniamo il problema allora dialogicamente all’Avvocato Vassallo: se è l’unica
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azione impeditiva? L’Avvocato Vassallo, come Giudice del caso, non do la
parola al dott. Fortuna per una ragione: che è procuratore nell’anima e quindi è
animato da spirito inquisitorio. Come valuteremo allora una reazione di questo
genere?
AVV. EUGENIO VASSALLO
Faccio fatica a immaginare un caso in cui devo ammazzare e non ferire se ho la
pistola. Non è un’arma.. non ho un cannone e sparo con un cannone, allora
posso capire, lo ammazzo, non c’è niente da fare, ma se ho una pistola posso
cercare di evitare la vita, perché a me interessa recuperare l’oggetto .
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
Magnifico, però così facendo l’Avvocato Vassallo si è spostato su terreno
contiguo, non esattamente coincidente. Siamo fuori dalla proporzione, entriamo
nel terreno della necessità. Vedete che allora gli assiomi correnti possono essere
ridiscussi e riverificati.
Ma, vi dicevo, c’è un altro caso cruciale nell’esperienza, almeno dottrinale, non
mi ricordo se giurisprudenziale, ed è il caso del pensionato che porta seco il
libretto con tutti i suoi risparmi, perché è andato magari alla posta a riscuotere la
sua pensione e deve fronteggiare un tentativo di furto. Il caso è stato segnalato
da Mario Romano nel suo commentario e ha innescato una certa polemica.
Mario Romano in quel commentario dice: “Come possiamo negare un
possibilità difensiva al pensionato tenendo conto degli effetti devastanti sul
piano esistenziale che per lui rappresenta la perdita di tutti i propri risparmi?”
Quindi il problema non è solo della reazione difensiva, ma anche del soccorso
difensivo. Cito questo caso perché evidentemente qui non si discute, la difesa
letale è a difesa del proprio patrimonio. Allora però non è implausibile pensare
che in casi di questo genere il requisito della proporzione parli a favore
dell’aggredito. Allora sulla base di questi esempi va ripensato il punto
dominante che vuole che il patrimonio sia sempre subvalente rispetto al bene
vita. Probabilmente non è vero, non è vero che il bene patrimonio sia
invariabilmente soccombente rispetto a beni superiori. E quando e a che
condizioni il rapporto di valore possa rovesciarsi a vantaggio del primo non ce
lo può affatto dire una proporzione immobile e astratta tra beni disposti in una
gerarchia fissa. Molto dipenderà anche dalla posizione della vittima e dal senso
specifico che può rappresentare per lei la perdita del bene, ma molto ancora può
dipendere dal rapporto servente che lega il bene patrimoniale offeso con altre e
più fondamentali sfere di interessi che ne vengono pregiudicate, magari non
nell’attualità, però in prospettiva più o meno prossima. Questa digressione, che
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peraltro è periferica ai fini del mio discorso, mi serve a segnalare la pericolosità
di un approccio al problema di tipo meramente astratto, molto diffusa. Ma non
solo, mi serve anche a ricordare, e lo ha già detto il prof. Ronco, che la logica
della legittima difesa riposa anche sul fatto che antagonisticamente si
fronteggiano due interessi che sono sostanzialmente disomogenei sul piano
giuridico: l’interesse di un innocente aggredito e dall’altra parte l’intersesse di
un ingiusto aggressore. La proporzione qui non va, né può essere valutata col
metro rigoroso dello stato di necessità, giustissimo, ma molto spesso obliterato
nella discussione. Al contrario proprio questa circostanza implica che siano
ammissibili e probabilmente anche fisiologiche delle sperequazioni tra pericolo
di offesa e lesione difensiva, cioè si può ledere, per difendere un bene
gerarchicamente sott’ordinato, anche un bene gerarchicamente prevalente.
Detto questo vorrei concedere ai critici della riforma quanto meno il postulato
centrare da cui muovono, cioè non si può uccidere a difesa della propria, lo do
per ammesso. Ammesso che il postulato funzioni sempre e abbiamo visto che
sempre così non è, però mi chiedo che pertinenza ha questo postulato rispetto
alle ragioni e al senso della riforma. Qui dobbiamo procedere a un’esegesi
abbastanza noiosa di ciò in cui consiste il novum normativo. Sapete che il
secondo comma, l’attuale secondo comma dell’Art. 52, contempla due ipotesi:
il presupposto comune ad entrambe è che la vittima si trovi della necessità di
reagire nei casi previsti dall’Art. 614, cioè nell’ipotesi di intrusione illecita nel
domicilio altrui. Sarebbe una deplorevole sciocchezza, ritengo, assumere che la
modifica abbia lo scopo di assicurare una tutela, peraltro del tutto incongrua
rispetto all’inviolabilità del domicilio; nessuno, che io sappia, ha mai sostenuto
un’amenità di questo genere, chi ha sfiorato l’argomento non ha mai sostenuto
un assunto di questo tipo, ha solo rilevato che dato il diverso rango dei due beni,
vita da una parte, inviolabilità del domicilio dall’altra, diversità di rango che è
attestato anche dalla diversa cornice di pena, che è lo strumento abituale per cui
noi capiamo la gerarchia del bene nel sistema dei valori protetti, in virtù di
questa sproporzione di rango il raffronto comparativo non ha la minima
possibilità di essere instaurato ed infatti la prospettiva testuale teleologica della
nuova norma scriminante è in tutt’altro senso, parla una lingua diversa. In
quelle circostanze, cioè nel caso di intrusione domiciliare, si può fare uso delle
armi o di altri mezzi idonei, ma non per difendere il domicilio bensì allo scopo
di tutelare la propria o l’altrui incolumità. Qui il legislatore ha cercato, bene o
male non saprei, direi più male che bene, ma in ogni caso non in maniera
censurabile, di individuare un criterio di decisione certo, a differenza di quello
che non seppe o non volle fare il legislatore del ’30, che preferì delegare
appunto al potere giudiziario il compito di delegare l’illiceità o la liceità della
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reazione attraverso la clausola aperta della proporzione. Allora se la reazione è
in quel contesto, e non in altri, finalizzato alla difesa della propria e altrui
incolumità sussiste il rapporto di proporzione, che è la pietra dello scandalo.
A prescindere dal fatto che qui non ha spazio il consueto argomento polemico
della tutela del patrimonio, che c’entra rispetto alla lettera A scomodare questo
antico luogo di polemiche, quando in realtà la reazione letale ha di mira solo la
tutela dell’incolumità fisica, che è un bene omogeneo e incomparabile? Si
potrebbe contestare invece la congruità della scelta sotto un altro profilo: è una
congruità, o meglio, un’incongruità, che si manifesta nel privilegiare
un’opzione in astratto e non in concreto. Perché almeno un merito ce l’ha
delegare al Giudice la verifica del requisito del proporzione, poiché è nella
vicenda conflittuale in concreto che può apprezzarsi la proporzione. Un conto è
un graffio e un conto una mutilazione, e non è sempre detto che la morte
dell’aggressore sia un risultato comparabile nell’uno e nell’altra ipotesi,
certamente no, e questo sarebbe apprezzabile in concreto. La norma parte
probabilmente con un deficit, un criterio di decisione astratto: sempre risulta il
rapporto di proporzione se la reazione lesiva è finalizzata alla tutela della
propria incolumità, e non sappiamo ancora il grado di intensità del pericolo.
Però credo che qui la critica sia sostanzialmente eccentrica, perché su questo
piano non è coinvolta tanto l’esigenza di proporzione, quanto il requisito della
necessità difensiva, ed è un problema del tutto diverso, che implica una reazione
coerente al pericolo e sufficiente, cioè minima tra le possibili, per
neutralizzarlo. Ora, a mio modo di vedere la critica avrebbe argomenti molto
più solidi se invece di insistere su un’impropria menzione della presunzione di
proporzionalità – capisco che l’attitudine al legal drafting dei nostri tempi si sia
molto diluito, qualsiasi maggioranza però sia nel compito di legiferare –avesse
additato nell’eliminazione dell’attualità del pericolo il significato autentico della
riforma. A ben vedere ciò che oggi la riforma consente è una reazione difensiva
a fronte di un pericolo virtuale, non attuale, per l’incolumità propria o altrui. Se
in linea generale è ammessa la reazione quando ci si trovi nella necessità di
difendersi da un pericolo attuale, nelle ipotesi aggiunte la reazione è giustificata
nei casi previsti dall’Art. 614, se fa uso delle armi al fine di difendere la propria
o altrui incolumità. E’ proprio questo riferimento finalistico che mi orienta
verso una soppressione dell’attualità del pericolo. Aggiungerei a mo’ di chiosa
incidentale un altro rilievo. Mauro Ronco diceva: “È malfatto il riferimento, è
improprio il riferimento alla legittimità della detenzione”. Sì, probabilmente non
voluto, ma che potrebbe però comunque essere utile a fini interpretativi. Cioè
una detenzione legittima autorizza a un uso dell’arma in via anticipata, laddove
una detenzione illegittima evidentemente non può essere di per sé esclusa, ma
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avrà come conseguenza quella di riportare il fatto nella regola di giudizio
dell’Art. 52 primo comma, cioè chi detiene illegittimamente un’arma potrà
usarla se è costretto dalla necessità di respingere il pericolo attuale di un’offesa
ingiusta se c’è proporzione. La legittimità dell’arma mi sembrerebbe spostarsi
su un piano diverso in cui il pericolo è virtuale e non attuale.
Nell’ipotesi della lettera A sono in gioco due beni necessariamente omogenei,
tra loro diversi per importanza, è vero, però in qualche modo collocati in termini
di progressione sotto il profilo dell’intensità del pregiudizio. A mio modo di
vedere il fatto che al riguardo la proporzione sia presunta ex legge non
determina un apprezzabile allontanamento dalle consuete linee interpretative del
vecchio Art. 52; lo determinerebbe invece ritenere che per l’ipotesi speciale non
valga più il requisito della necessità, che a rigore non è previsto, però si dice
dottrinalmente, e credo con ogni ragione, che può ricavarsi in via interpretativa.
Però quello che può dirsi a proposito della necessità, a mio modo di vedere non
può riproporsi per l’attualità, perché proprio in virtù del contesto spaziale che
caratterizza la nuova scriminante e delle modalità aggressive, cioè intrusione
nell’abitazione altrui, la situazione di pericolo è in re ipsa, tramite il riferimento
all’elemento finalistico si arriva a conseguenze non del tutto allineate alla nostra
tradizione sistematica. In primo luogo si incrina il meccanismo di
funzionamento obiettivo di tutte le cause di giustificazione, perché si valorizza
un elemento subiettivo. Si riporrà nella prassi un problema antico: che cosa
possiamo ragionevolmente esigere dall’aggredito che si imbatta
improvvisamente in delinquenti nella propria abitazione? Il codice sardo, che
restringeva la legittimità della difesa al tempo di notte, come al solito ha ispirato
una bellissima pagina a Francesco Carrara, la vorrei leggere, è breve, l’ho anche
sintetizzata, perché con la sua prosa fluente Toscana sarebbe andata avanti di
lungo, ne ho solo presi alcuni stralci. Parliamo del tempo di notte quale
requisito per una legittima difesa, come potremmo dire noi in terminologia
moderna ampliata: “Volete voi che quando ascolto i ladri urtare l’uscio della
mia camera per introdurvisi corra prima a guardare l’orologio per sapere l’ora e
che cerci il lunario per conoscere a quale ora in quel mattino sorga il sole e solo
dopo tali verifiche dia di piglio all’archibugio e lo esploda contro gli
aggressori? E se non possiedo l’orologio, se non so leggere il lunario, dovrò io
essere responsabile di tali accidentalità mentre al rompersi improvviso dall’alto
del mio sonno io credetti di essere nel colmo della notte? Stimerete voi essere
pietosi – indirizzandosi ai Giudici – dicendomi responsabile di omicidio per
eccesso di difesa perché omisi di domandare ai ladri qual ora la quella e
giudicherete necessario obbedire alla verità delle cose ed applicarmi la pena
dell’Art. 563 eccesso di difesa? Vi parrà che sia obbedita la giustizia subiettiva
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col fare ricadere sul capo del proprietario le conseguenze dell’altrui
scelleratezza? Mi piace citare Carrara perché credo che non sia tacciabile di
nessuna simpatia berlusconiana. Possiamo dire tutto di Carrara tranne che
potesse simpatizzare per Berlusconi, però era espressione autentica e genuina di
un pensiero liberale, che è uno delle componenti vitali della nostra cultura. E’
dissonante rispetto al clima culturale degli ultimi 50 anni e forse oltre e dice:
“Al patrimonio non si può assicurare una difesa incisiva se e soltanto se arriva
al sacrificio della vita dell’aggressore”. Carrara non la pensava mica così però.
Il tempo di notte appartiene al passato, però il caso difficile che si presenterà
alla prassi sarà proprio rappresentato dalla reazione anticipata della vittima
allorché scopra degli intrusi nella propria abitazione. Già da ora sono intuibili
diverse alternative interpretative, molte delle quali possono riconoscere
l’insufficienza della pura e semplice finalizzazione soggettiva dell’uso delle
armi. Ciò a prescindere come abbiamo visto dalla proporzione tra i beni, perché
qui acquista un ruolo centrale il requisito implicito della necessità;
conseguentemente è prevedibile che oggi come prima la prassi si interrogherà se
il ricorso alle armi era l’unico mezzo per salvaguardare la propria o altrui
incolumità, o vi erano invece possibilità alternative egualmente efficaci e meno
lesive? Ma siccome la necessità condiziona non solo l’an della difesa, bensì
anche il quantum, allora la domanda giudiziale investirà anche la misura della
reazione censurandone tutto ciò che esce o oltrepassa la soglia di
indispensabilità. Chiaramente queste sono prospettive ipotetiche, ma troveranno
eco nella giurisprudenza condurranno ad esiti non troppo distanti da quelli
solitamente affermati dagli orientamenti applicativi formatisi in relazione al
testo originario dell’Art. 52. Alla fine che cosa avremo? Una sostanziale
sterilizzazione degli effetti della riforma, che a ben vedere si dimostra assai
meno eversiva di quanto originariamente paventato. Però personalmente,
consentitemi un’espressione, una confessione personale, io sono propenso a
ritenere che proprio nel caso classico della reazione difensiva in occasione
dell’intrusione illecita in abitazione altrui sia giustificata un allargamento dei
limiti della scriminante e non un loro annullamento, chiaramente, ma un
allargamento sì. La nostra tradizione liberale, che era sicuramente contraria alla
pena di morte diretta od obliqua, anche attraverso la funzione vicaria del
cittadino delegato dai pubblici poteri, dava rilievo a questo contesto, al fatto
reattivo avvenuto nell’ambito del proprio domicilio, escludendo la punibilità a
titolo di omicidio e lesioni personali quando l’aggredito fosse stato costretto
dalla necessità di respingere gli autori di una scalata notturna, rottura o incendio
della casa, qualora ciò avvenisse di notte e di giorno, se la casa è isolata e vi sia
fondato timore per la sicurezza personale di chi vi si trova. Era la previsione
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dell’Art. 376 del Codice Penale Zanardelli. Già prevedeva la legittima difesa
come scriminante generale all’Art. 49, replicava però questa previsione
specifica nel capo dei delitti di omicidio e di lesione personale. Ora, è una
norma che presenta delle radici antichissime, anche se nella formula letterale
sostanzialmente ricalca la vecchia norma del Codice Penale francese del 1810,
il Codice Penale Napoleone, l’ha in parte citata il prof. Ronco prima, ha citato la
versione moderna, ma la versione moderna anche testualmente riprende la
vecchia formulazione del 1810. Ciò che questa tradizione normativa
ininterrottamente sino al codice del ‘30, perché è solo il codice del ‘30 che
inserisce il requisito della proporzione, ciò che questa coglieva in termini di
ragione giustificante della reazione nell’ambito del domicilio è un dato che solo
nella cultura moderna si può cogliere con maggiore precisione.
Se noi ponessimo la domanda: che cosa rappresenta era casa per l’individuo?
non al giurista, bensì allo psicologo, allo psicanalista, ci sentiremmo rispondere
che da Freud in poi essa nei sogni, ma anche nelle percezioni profonde e
inconsce fa tutt’uno con il sé corporeo, è un’autentica parte del sé. Se è vero
questo è allora consequenziale ritenere che l’intrusione abusiva nella casa
propria non può ridursi, quale che sia il disvalore specifico attribuitole dal
sistema con la comminatoria edittale, a un’aggressione al solo patrimonio o
all’inviolabilità del domicilio, questa sarebbe una sciocchezza. Essa ha
autenticamente il peso della violenza contro la persona nella percezione della
vittima e proprio perché è tale viene tipicizzata a parte quale offesa cui si può
rispondere con un’intensità che non è di per sé sproporzionata; che in maniera
probabilmente inconsapevole la recente riforma valorizzi questo profilo non mi
pare né eccessivo né deplorevole; è deplorevole che invece che talvolta il diritto
penale cerchi di porsi in contrasto, senza riuscirvi peraltro, con gli archetipi
culturali ed esistenziali dell’agire umano, ma non certo quando ad essi sia
consonante.
Un’ultima osservazione di sapore più criminologico. Spesso si irrobustisce la
critica citando il cotè criminologico della questione e precisamente rilevando
che un furto in abitazione degeneri in omicidio degli occupanti è bassissima. Le
statistiche giudiziarie del 2020 ci riferiscono di poco più di 40 mila rapine,
40100, mi pare, mentre gli omicidi dolosi a scopo di furto o rapina denunciati
nello stesso anno sono stati 32, quindi una percentuale di meno dell’uno per
mille. Se a questo dato – che peraltro è equivoco per la mancata
disaggregazione delle sue componenti: non sappiamo quanti omicidi sono
connessi a tentativi di reazione delle vittime, oltre a non sapere tante altre cose –
si aggiunge che il ladro d’appartamento lo si vuole descrivere come soggetto
tipicamente criminale che vuole per quanto possibile evitare il contatto con la
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vittima e che in genere è propenso alla fuga quando viene scoperto in flagrante,
si conclude necessariamente che ragionevolmente il pericolo per l’incolumità
personale degli occupanti è assolutamente trascurabile. Ora, l’assunto mi
sembra già discutibile sul piano di partenza, perché l’ipotesi che il ladro voglia
evitare il contatto con la vittima non è la regola, anzi trova frequenti smentite
sul piano della rivelazione empirica e credo che basti pochissimo per rendersene
conto: se qualcuno ruba la mia autovettura certamente vuole evitare il contatto
con me, così come se vuole rubare l’autoradio; ma nel momento in cui vuole
rubare nell’abitazione ammette certamente l’eventualità; certo, si augura che
questo non succeda, ma sconta l’eventualità e quindi l’accetta di avere un
contatto con la vittima. Ma il problema non è soltanto questo, perché
l’intrusione domiciliare non esclude, anzi, di frequente si associa a un
comportamento di rapina e qui l’accettazione del contatto è in re ipsa.
Come si pronunciano le statistiche giudiziarie? Sono poche eloquenti,
sostanzialmente mute, anche con riguardo ai reati consequenziali che magari
non vengono denunciati. Perché non ci dobbiamo nascondere di fronte a
immagini fantasmatiche; non c’è soltanto il rischio della vita per la vittima, no,
c’è un rischio per la libertà personale, sequestro di persona, così anche come
libertà sessuale; quanti stupri sono avvenuti e quanti sono stati denunciati e
quanti non sono stati viceversa denunciati? Allora è davvero sostenibile che la
bassissima percentuale di omicidi in reazione ai numerosi fatti di intrusione
domiciliare notturna a scopo di furto e di rapina smentisca la valutazione di
pericolosità di questi ultimi, questa valutazione di pericolosità incorporata dalla
norma riformata? C’è ha dire che per la vita forse, ma comunque non sempre e
non in assoluto, però per altri beni fondamentali, la cui difesa anche letale non
infrange il rapporto di proporzione.. perché anche qui facciamo una chiosa: se
vogliamo commisurare il bene in rapporto alla sua importanza dovremmo essere
rigidamente ancorati a un rapporto di difesa letale solo per difendere il bene
vita: solo difendendo il bene vita io posso uccidere o posso sacrificare il bene
dell’aggressore. Sembrerebbe lineare e nitido, però è un esito che nessuno
sottoscriverebbe. Quante fanciulle preferiranno salvare il proprio onore
uccidendo la vita dell’ingiusto aggressore? E su questo nessuno discute ed è
giusto che nessuno discuta. Ma se adottiamo criterio formale della valutazione
di rango adoperata dal legislatore vedremo che non c’è una grande sproporzione
tra l’onore sessuale della vittima e il bene patrimoniale nell’appartamento, 624
bis verso, 609 e seguenti. Se questo è il criterio, e non ne abbiamo saputi
escogitare altri, la conclusione è questa. Però è una conclusione che a nessuno
piace, e giustamente non deve piacere, perché sarebbe visibilmente illegittima.
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Ma perché dimentica anche la logica della legittima difesa, della ammissibile
tollerabile sperequazione in danno dell’ingiusto aggressore.
Prima di concludere un accenno, ma niente più che un accenno, all’ipotesi della
lettera B. Nemmeno qui io vedo il rovesciamento assiologico denunciato da più
parti in favore del patrimonio a scapito della vita e quindi ancora una volta il
rischio di contraddizione con l’Art. 2 della Convenzione Europea. Certamente
l’incipit sembra dare ragione ai critici della riforma e annovero l’Avvocato
Vassallo tra questi, però è un’impressione ingannevole. Non è che la norma
facoltizzi all’uso della forza indifferente all’esigenza di proporzione per la
difesa di beni propri altrui, ma solo quando ricorrono congiuntamente i due
ulteriori requisiti della mancata desistenza dell’aggressore e del pericolo di
aggressione. Il primo di essi tocca un problema noto: quello del ladro che fugge
con la refurtiva e della possibilità di una difesa da parte di un aggredito. Io
credo che i giuristi interessati a una salvaguardia o a una coerenza del nostro
ordinamento interno con gli imperativi delle norme convenzionali farebbero
bene a guardare, come già a denunciare prima di tutto, come può comportarsi lo
Stato nei confronti del contrabbandiere che fugge senza abbandonare il carico.
AVV. EUGENIO VASSALLO
C’era l’uso legittimo di sparare.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
No, non c’era, c’è. A critici così attenti agli obblighi comunitari convenzionali
dello Stato italiano suggerisco di guardare anche a questa ipotesi dove il diritto
patrimoniale è preso sul serio, mica per scherzo; lo Stato evidentemente quando
si tratta di denaro non intende affatto scherzare, tanto è vero che autorizza l’uso
delle armi nei confronti di chi fugge, cosa non consentita in linea generale
dall’Art. 53, se il contrabbandiere non abbandona il carico; lo vieta se
abbandona il carico, ma al contrario devo desumere che l’uso legittimo delle
armi è ammesso quando non abbandona il carico. Nel nostro caso qui non è a
parlarsi di difetto di attualità del pericolo, cioè: l’offesa si è già consumata, il
ladro fugge; no, il pericolo è attuale finché non si è consolidata
irrimediabilmente l’offesa patrimoniale; teoricamente l’azione può avere
un’efficacia e una funzione impeditivi. Ora la discussione non verte
sull’attualità del pericolo, ma su un altro versante, cioè sulla illegittimità di una
reazione mortale nei confronti del fuggitivo. Ricordavo all’inizio come questo
non sia sempre incontrovertibile. Ricordatevi il caso cruciale del pensionato
rapinato che blocca la fuga del rapinatore magari con l’uso di un’arma. Però
ipotesi di questo genere, che io non definisco, non vorrei definire né estreme né
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eccezionali, sono un po’ fuori dalla discussione quando si parla della nuova
norma, che non conosce un problema di questo genere giacché la mancata
desistenza da sola non giustifica l’applicabilità della scriminante, che è
condizionata anche dalla contemporanea presenza del pericolo di aggressione.
In altri termini: da sola, la fuga, ancorché non accompagnata dall’abbandono
della res sottratta, non può legittimare l’uso di una – direbbero gli Americani –
deadly force, cioè di una forza mortale; però questo sia ai sensi dell’Art. 52 e sia
ai sensi della norma riformata. E’ necessario anche il pericolo di aggressione. Io
direi sistematicamente che questa contorta norma, formulazione, pare alludere
al requisito della rapina impropria o alla situazione della rapina impropria: per
assicurarsi il prodotto, il profitto o il possesso di conseguire l’impunità
l’aggressore imprime alla sua condotta un’articolazione e uno sviluppo che
coinvolge direttamente la persona dell’aggredito. Probabilmente questa è la
lettura più ragionevole del termine aggressione, ragionevole nella misura in cui
lo collega all’incolumità personale. Si tratterà allora di pericolo di aggressione
fisica. Qualcuno, ma a soli scopi polemici, propone di interpretare questo
requisito di pericolo di aggressione nel senso di pericolo di aggressione del
patrimonio, che è proprio la via più breve per creare un contrasto manifesto con
l’Art. 2, ma anche la meno sostenibile sul piano giuridico, per una ragione
molto semplice: se già si parla di desistenze, se vogliamo attribuire un
significato tecnico al temine desistenza, dobbiamo pensare a un’attività già in
itinere lesiva del patrimonio. Se pensassimo di dover interpretare anche il
pericolo di aggressione come pericolo di un bene patrimoniale avremmo
un’inutile, incomprensibile, del tutto superflua ripetizione tautologica. La lettura
unica sostenibile è quella di pericolo di aggressione a persona.
Conseguenze rispetto all’introduzione molto, molto minori di quelle che ci si
aspetta. L’impatto pratico credo che sarà verosimilmente modesto, credo la
giurisprudenza abbia già tutti gli strumenti concettuali per determinare
interpretazioni fortemente riduttive. Non mi pronuncio, può essere un bene e
può essere un male, ma su queste volutamente non mi pronuncio.
Dov’è che la riforma fallisce clamorosamente gli obiettivi dichiarati?
Sostanzialmente nel coltivare un’ambizione impossibile: la sottrazione
dell’autore della reazione al processo penale; meglio, se vogliamo essere tecnici
dovremmo dire: la sottrazione al procedimento; questo non è, non sarebbe e non
sarà possibile. La rete di elementi necessari, che è abbastanza illogico ritenere
presenti nella mente dell’autore della reazione difensiva, se sono così difficili
come accertamento per un Giudice che guarda a bocce ferme, ex post, nella
placidità di una situazione non conflittuale, beh, ma proprio la numerosità, la
complessità di questi requisiti rendono assolutamente impensabile che non si
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inizi un’indagine. Quello che invece questa norma, ma anche la prima, a voler
essere onesti, avrebbe potuto e potrebbe evitare, è il processo, ma non il
procedimento. Vedete, comodi idoli polemici.
La questione del patrimonio. Io non è che abbia molte cose da difendere, non è
neanche che abbia degli interessi ideologici talmente potenti da dovermi
pronunciare in favore del patrimonio. Direi che la sua svalutazione oggi ha
radici antiche. Io non vedrei Aristotele, vedrei molto meglio Proudhon:
all’inizio di questo percorso svalutante è Proudhon, è il vizio di origine di
questo terribile diritto, che è alla radice e all’origine di questa subvalenza certa,
inevitabile. Quindi direi che l’argomento e il brocardo non è, Eugenio, vim vi
repellere licet, no, io lo tradurrei con: in pari causa turpitudinis melior est
condicio possidentis e poco conterebbe in questa logica che il possidente sia
l’autore dell’ingiusto. Ma se non dimentichiamo che la legittima difesa si regge
su due idee basilari: una è la delega, l’extrema ratio, lo Stato non può
intervenire e delego al privato il compito di ricorrere all’autotutela, ed è una
prima idea reggente, ma non l’unica; ma che la seconda è anche la
stabilizzazione del diritto, chi si difende in legittima difesa non fa che
riaffermare il diritto e la sua validità. Evidentemente ai critici della riforma
questo secondo versante non piace e sarà un problema di dibattito anche per il
futuro. Vi ringrazio.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Grazie al prof. Marco Zanotti per questa lucidissima sua relazione, soprattutto
per questi esempi su cui discuteremo poi avanti se o saranno parziali o meno, o
estremisti. Però indubbiamente su alcune cose, devo dire, mi hai fatto riflettere a
lungo. Adesso avremmo in programma l’Avvocato Mazzon, che purtroppo è
stato oggi ricoverato in ospedale e gli auguro una pronta guarigione, quindi
purtroppo non può essere presente. Abbiamo l’altra collega, Isabella Da Re, che
ha lavorato anche nella Commissione di Studi. Ringraziamo in ogni caso la
Commissione di Studi della Camera Penale presieduta dal collega Zaffalon e
ringrazio anche i colleghi che hanno collaborato all’organizzazione del
convegno, nella persona di Paola Bosio, di Simone Zancani e anche di Marco
Vassallo, stavolta, devo ringraziare anche lui. Prego Isabella.
AVV. ISABELLA DA RE
Buon pomeriggio a tutti. Mi è stato chiesto di svolgere una breve riflessione in
merito alla conformità della nuova legge sulla legittima difesa e i principi
contenuti nella Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. Ho distribuito,
spero che quasi tutti voi abbiate un foglio relativo al testo della Convenzione
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Europea per i Diritti dell’Uomo nonché alcuni spunti di giurisprudenza che
tratterò nella mia discussione. Sarò comunque molto breve, non più di 10
minuti, poi si potrà discutere e darò semplicemente dei cenni.
Prima di entrare nella disamina dell’Art. 2 è necessario fare delle premesse di
carattere storico, perché è spesso facile fare confusione fra Consiglio d’Europa,
Unione Europea, Convenzione per i Diritti dell’Uomo e tutti gli altri elementi di
giustizia sovranazionale che abbiamo davanti agli occhi. La Convenzione
Europea nasce quale emanazione dell’attività del Consiglio d’Europa. Il
Consiglio d’Europa non ha nulla a che vedere con l’Unione Europea se non per
il fatto che i Paesi dell’Unione Europea appartengono anche al Consiglio
d’Europa. Il Consiglio d’Europa nasce nel 1949 e comprende l’adesione di 46
Paesi della zona dell’Europa, quindi anche Russa, Ucraina, Turchia, moltissimi
Paesi, e si pone come garante della sicurezza democratica basata sul rispetto dei
diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto. al fine di proteggere i
diritti dell’uomo è stata redatta la Convenzione Europea nel 1950 ed è stata
ratificata dall’Italia con legge di ratifica del ‘55. In sintesi, la Convenzione
stabilisce un sistema sopranazionale di protezione dei diritti dell’uomo in base
al quale gli Stati contraenti accettano di conformare le loro legislazioni e le loro
prassi nazionali ai diritti garantiti nella Convenzione, sottoponendosi al
controllo di un organo politico, che è il Consiglio dei Ministri del Consiglio
d’Europa, che è dato da tutti i Ministri dei Paesi aderenti, e dall’altro lato dalla
Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Tutte queste istituzioni hanno sede a
Strasburgo. Pur essendo stata recepita con legge ordinaria, secondo la Corte
Costituzionale la Convenzione e i principi in essa contenuti, poiché derivanti da
una fonte riconducibile da una competenza atipica sono in suscettibili di
abrogazione da parte di una legge ordinaria successiva. Questa è la sentenza n.
10 del 1993. Ancora, la Corte di Cassazione ha precisato che i principi contenuti
nella Convenzione Europea trovino immediata e diretta applicazione
nell’ordinamento Italiano e quindi possono essere di fatto autonomamente
applicabili dal Giudice. La Convenzione Europea è stata recepita inoltre dal
Diritto dell’Unione Europea all’Art. 6 e Art. 7 nella versione consolidata del
trattato, dove viene fatto un richiamo diretto alla Convenzione e inoltre viene
recepita dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che sarà poi
la base ideologica per la Convenzione Europea, se mai ci sarà. Vi è inoltre il
protocollo 14 alla Convenzione, che aggiungendo un codice alla Convenzione
prevede di fatto che l’Unione Europea possa aderire alla Convenzione, Unione
Europea vista quindi come un soggetto giuridico a sé stante.
E’ all’attività della Corte di Strasburgo e del Consiglio d’Europa che dobbiamo
l’Art. 111 della Costituzione, che è la riproduzione esatta dell’Art. 6 della
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CEDU, CEDU ovviamente è l’abbreviazione della Convenzione. La Corte di
Strasburgo può essere adita sia dai singoli Stati, ma soprattutto dai singoli
individui o gruppi di individui, o organizzazioni non governative, ovviamente
dopo che i ricorsi interni siano esauriti. Quindi, entrando nello specifico
argomento che mi riguarda, l’Art. 2, come potete leggere, protegge il diritto alla
vita. Il diritto al vita di ogni persona è protetto dalla legge. Il diritto alla vita è il
diritto fondamentale, considerato dalla Costituzione il diritto principale, posto
che nessun altro diritto sarebbe godibile se non ci fosse la vita. Secondo
l’interpretazione della Corte viene inteso non solo quale obbligo che grava sullo
Stato di proteggere il diritto alla vita dei cittadini, ma anche quale obbligo
positivo di prendere tutte le misure necessarie, ovviamente attraverso la
legislazione interna, affinché la protezione della vita umana venga assicurata. In
altre parole ha come scopo anche quello di proteggere l’individuo da ogni
arbitraria privazione della vita da parte dello Stato. Dopo aver sancito che il
diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge prosegue l’articolo che
nessuno può essere intenzionalmente privato della vita salvo che in esecuzione
di una sentenza capitale pronunciata da un Tribunale nel caso in cui il delitto è
punito dalla legge con tale pena. Questo disposto, che rimane comunque nel
testo della Convenzione, che fa l’altro si trova in tutti i codici subito dopo la
Costituzione è ovviamente stato abrogato e superato dal protocollo sesto
addizionale alla Convenzione del 1983.
Al secondo comma dell’Art. 2 vengono previste le ipotesi tassative in cui la
morte non si possa considerare come data in violazione di questo articolo.
Recita l’Art. 2: “La morte non è data in violazione di questo articolo nel caso in
cui fosse determinata da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario
per difendere ogni persona da una violenza illegittima”. E poi ci sono gli altri
due casi. Tali deroghe ad un principio fondamentale quale quello della vita
vengono considerate tassative dalla Corte e sono state analizzate, nei vari casi
che sono stati sottoposti alla Corte, in maniera molto attenta ed è stato dato a
queste eccezioni un’interpretazione molto restrittiva. Prevalentemente la Corte
si è trovata investita, relativamente alla violazione dell’Art. 2, in casi di uso di
forza omicida da parte delle Forze dello Stato nei confronti dei singoli individui
o per lo meno le sentenze che riguardano questi casi sono quelle che hanno dato
i parametri interpretativi per l’Art. 2. Una per tutte è la sentenza Meccan e altri
contro Regno Unito, nella quale si trattava il caso della violazione da parte del
Regno Unito, per l’appunto; era il caso di un’uccisione da parte delle Forze
dell’Ordine di alcuni terroristi dell’IRA, che era stata fatta sul presupposto che
fossero pericolosi e che avrebbero potuto fare un attentato. In quel caso la
Corte, condannando il Regno Unito, ha detto che l’Art. 2 comma 2 ammette il
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ricorso al forza da cui può derivare la morte qualora ciò sia assolutamente
necessario e quindi strettamente proporzionato ai fini stabiliti dalle lettere A, B
e C. Dice che il ricorso alla forza possa intendersi assolutamente necessario
quando sia l’unico modo per raggiungere uno degli obiettivi previsti
dall’articolo stesso, nel nostro caso sarà difendere la persona da una violenza
illegale; deve trattarsi quindi di un uso della forza strettamente proporzionato
agli scopi legittimi che si perseguono. Assolutamente necessario, inoltre,
significa che tutti gli altri mezzi debbano essere stati inidonei a raggiungere lo
scopo prefissato. In questo caso la Corte ha dato una definizione della legittima
difesa molto simile a quella che è del nostro ordinamento, perché dice che ai
fini dell’operatività di questo articolo è necessario un pericolo grave ed attuale
nonché che l’uso della forza sia necessario e proporzionato a tale pericolo e
quindi si richiede, come sempre è stato inteso anche dalla nostra giurisprudenza,
che la difesa sia strettamente proporzionata all’offesa.
E’ interessante la circostanza che nel valutare la sussistenza di tali requisiti la
Corte richiede un vaglio molto approfondito, tale da imporre allo Stato
chiamato difendersi in merito alla violazione di questo articolo, di provare al di
là di ogni ragionevole dubbio di non aver permesso, anche soprattutto mediante
la propria legislazione, la violazione di tali principi. In un altro caso, che è
sempre menzionato nel foglio che vi ho dato e tutte queste sentenze si possono
trovare nel sito della Corte, purtroppo sono tutte in inglese o francese, quindi
bisogna che uno si armi di buona pazienza per riuscire a leggerle, e sono tutte
molto lunghe, la Corte definisce, è il caso Nachova contro Bulgaria, ed era il
caso sempre degli Agenti di Polizia che avevano ucciso due Rom che erano stati
inizialmente messi in un riformatorio in seguito a dei reati non violenti, erano
scappati, si erano andati a rifugiare presso la casa della nonna, lì erano stati
trovati dalle Forze di Polizia ed erano stati freddati nel tentativo di fuggire,
anche se non erano armati; anche in questo caso la Corte ha condannato la
Bulgaria per violazione dell’Art. 2, posto che, ha affermato la Corte, che l’Art.
2 impone il dovere primordiale per lo Stato di assicurare il diritto alla vita
adoperando un quadro giuridico e amministrativo appropriato nel quale vengano
definite le circostanze limitate nelle quali vi possa essere il ricorso alla forza e
la messa in pericolo di tale bene fondamentale da parte delle Forze di Polizia.
La Corte nell’analizzare se vi era stata violazione fa due analisi: la prima è
quella dei fatti, cioè sostanzialmente rianalizza tutto il processo, riapre tutto il
processo e vede se nel caso di specie c’è stata o no la violazione, o meglio, il
rispetto di questo Art. 2 secondo comma della Convenzione e dall’altro lato fa
l’analisi della legislazione che ha di fatto permesso in questo caso alle Forze
dell’Ordine di attentare alla vita degli individui. Quindi, venendo alla
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conformità di questo articolo, o meglio della nostra legge con questo articolo, io
non posso che essere d’accordo con l’Avvocato Vassallo nell’interpretazione
che ha dato della legge. Non ho trovato purtroppo delle sentenze specifiche nel
caso della difesa di beni personali, perché ovviamente i casi che arrivano alla
Corte sono ben più gravi, sono storie di Cecenia, Russia contro Cecenia, storie
di terrorismo e di violenza, quindi non so se sia perché non è stato mai trattato
oppure perché non l’ho trovata; comunque a mio avviso l’Art. 2 sottrae la
possibilità di recare la morte per la difesa dei beni, perché così non dice infatti:
l’articolo parla per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale.
La dottrina che ho trovato ritiene appunto che non sia ammessa la protezione
dei beni materiali attraverso questo articolo e quindi io ritengo che sotto questo
profilo ci sia sicuramente un elemento di incongruenza rispetto all’Art. 2.
Per quanto riguarda poi l’osservazione del prof. Zanotti, quando parla del
farmaco della vita, non ritengo che in quel caso ci sia una difesa di un bene,
perché se mi rubano un farmaco che serve alla mia vita allora mettono in
pericolo la mia vita, è semplicemente attraverso un mezzo diverso che attentano
alla mia vita; quindi non vedrei solo la difesa del bene inteso in senso stretto:
scatoletta di medicinali, ma scatoletta di medicinali funzionale al mio bene vita.
Quindi, che uno mi voglia uccidere puntandomi una pistola o sottraendomi la
jeep o sottraendomi il bene che mi permette di vivere comunque sta attentando
alla mia incolumità personale, quindi in questo caso secondo me non è il bene in
sé che viene protetto, ma quello della vita.
Altro elemento che secondo me non è proprio consono alla Convenzione è il
discorso della proporzionalità. Io purtroppo forse ho fatto una lettura troppo
superficiale, perché avevo inteso che il rapporto di proporzione di cui parla il
secondo comma, nuovo comma dell’Art. 52, introducesse effettivamente una
presunzione di proporzionalità, però probabilmente è appunto una lettura che
non va in profondità. In questo senso ritengo vi sia una violazione dell’Art. 2,
perché la Corte nell’analizzare tutte le ipotesi di violazione ha sempre dato
particolare rilevanza alla proporzione, ha sempre guardato se la necessità
dell’uso della forza fosse proporzionata alla difesa e ha fatto un vaglio sempre
molto attento. Ora, in questo caso sembra che sia preclusa la possibilità da parte
del Giudice di fare questa valutazione, però ripeto, questa era una mia
interpretazione quindi successivamente si potrà discutere su questo argomento.
Fra l’altro mi sembrava addirittura un paradosso che al Giudice italiano fosse
preclusa la possibilità di valutare la proporzione mentre al Giudice di
Strasburgo una volta adito potesse essere permessa invece l’intrusione;
intrusione nel senso di entrare nella valutazione della proporzionalità, cosa che
secondo me è sottratta appunto al Giudice italiano.
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Quindi, per concludere, secondo me questa legge potrebbe, sì, essere portata
all’attenzione dei Giudici di Strasburgo, i quali potrebbero eventualmente
pronunciarsi con una condanna nei confronti dell’Italia; tuttavia credo, se
proprio si volesse penalizzare questa norma, che non si debba scomodare la
Convenzione, ma anche la stessa Costituzione e sarebbe sufficiente. Ad ogni
modo traverso la Costituzione si potrebbe fare, con ricorso all’Art. 2, che
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e anche il diritto alla vita, che è il diritto
inviolabile per antonomasia e quindi in questo senso far arrivare le valutazioni
alla Corte. Potrà succedere fra anni, potrà non succedere mai, comunque questi
sono degli spunti ai quali vi lascio.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Grazie alla collega, soprattutto perché è stata così brava da riuscire a rispondere
a impronta anche al prof. Marco Zanotti, cosa che è difficile spesso fare.
Vi sono domande da fare? Se volete fare degli interventi.
DOTT. ENNIO FORTUNA
Volevo dire qualcosa in questo senso: abbiamo appena sentito, ma del resto è
ovvio, vista la data della legge, pronunciamenti di Giudici, ma abbiamo
orientamenti di Pubblici Ministeri quanti ne vogliamo ed è per questo che ho
preso la parola! Perché noi ci siamo già consultati e sono in grado di dare gli
orientamenti di massima, ne abbiamo almeno tre, io sono una sintesi di questi
tre. Però prima ancora volevo fare un’osservazione che mi viene proprio
dall’Avvocatessa Da Re: prima ho sentito Ronco e poi Marco Zanotti, tutti e
due che criticavano, in qualche modo tendenzialmente oppure direi
palesemente, questo tipo di giurisprudenza, richiamandosi al fatto che una volta
si faceva il raffronto con i mezzi a disposizione. Però nessuno dei due ha detto
la cosa che poi ho sentito, che a me sembra assolutamente evidente, che la
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è stata scoperta molto tempo dopo;
è vero che è del ‘55, ma ricordo che la prima sentenza in ordine di tempo è
dell’indimenticabile Presidente Fletcher, 1966, Pubblico Ministero, mica a caso,
Ennio Fortuna, in materia di Art. 6 della Convenzione. Per dire che questa
Convenzione è stata scoperta col tempo e con la Convenzione è stata riscoperto
l’Art. 2 della Costituzione, quindi l’evoluzione giurisprudenziale che viene
criticata come se fosse colpevole in realtà si spiega benissimo col fatto che
prima si ignorava la Costituzione, e questo vale anche la risposta per Carrara, e
dopo invece la Costituzione, l’Art. 2 in particolare, ma soprattutto la
Convenzione Europea è diventata materia corrente, quindi la valorizzazione del
bene della vita è stata una conquista progressiva.
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Volevo fare un’osservazione che riguarda sia Ronco che Zanotti, che hanno
fatto ovviamente, inutile che faccia i complimenti ad entrambi, delle relazioni
acutissime, ma né l’uno né l’altro hanno detto la cosa che secondo me andava
detta come cappello: questa è una legge certamente sbagliata, perché dal punto
di vista sociale e politico è una legge assolutamente sbagliata e ce ne
accorgeremo quando accadrà quello che temo che accadrà subito, quando
avremo il primo aggredito in casa, che morirà perché la criminalità si è armata,
perché questo è l’effetto di una legge, così come è stata congegnata. Si è
evidentemente voluto allargare, com’è stato detto ripetutamente, le difese del
proprietario in casa, ma si dimentica che la criminalità, oltre che più disinvolta,
credo sappia usare meglio le armi del proprietario privato e io aspetto questa
legge al varco, e non tarderà molto tempo, quando al primo conflitto a fuoco
avremo il primo morto.
Poi, seconda considerazione più tecnica, questa è una legge che non risolve
nessun problema. Vorrei ricordare due casi, uno nazionale e uno di cui mi sono
occupato io personalmente con l’indimenticabile Presidente Ambrogi; siamo
proprio in tema di penalisti e probabilmente qualcuno di voi lo conosce già il
secondo. Il primo è un famoso calciatore della Lazio, per dire come nasce,
Rececconi, grande mediano di spinta; il grande Rececconi amava gli scherzi e
negli anni 60/70 si è recato in una gioielleria il cui titolare conosceva ma non
era amico; credendo di fare uno scherzo si è messo le mani in tasca e ha urlato:
“Questa è una rapina”. Il gioielliere, che aveva subito una rapina, ma Rececconi
non lo sapeva, 15 giorni prima, ha tirato fuori la pistola e lo ha fatto secco!
Grande scandalo in tutta Italia, credo di aver letto almeno 50 articoli negli anni
‘60 e ‘70 sulla faccenda, poi il gioielliere è stato assolto dal Giudice Istruttore,
allora c’era il Giudice Istruttore, quindi procedimento e non processo, ma
processo, in qualche modo. Credo che leggi come queste – allora non la fecero
la legge – nascono sull’onda emotiva. Oggi c’è la recrudescenza della
criminalità che spiega una legge come questa, si sarebbe forse potuta fare
addirittura all’epoca di Rececconi. Il secondo, invece, è proprio un penalista, un
Avvocato piuttosto famoso di Verona che aveva una splendida villa, credo ce
l’abbia ancora, sull’Adige; aveva subito molti forti ed era appassionato di armi;
questa è una vicenda che vorrei discutere sia con Ronco che con Marco Zanotti,
per sapere come la risolveremmo. Io sono venuto qui che ero ancora orgoglioso
di avere dato il mio contributo alla soluzione di questo caso, secondo me
difficilissimo, e ci siamo riusciti con una certa attenzione, adesso lo sentirete, e
vorrei sapere cosa ne faremmo di questo caso con una legge come questa.
L’Avvocato, che aveva subito molti furti, ho detto, era appassionato di armi,
sparatore al tiro a segno, aveva una pistola micidiale, aveva deciso di vendicarsi
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dei ladri e quindi si è chiuso in casa in epoca di vacanze aspettando che qualche
ladro penetrasse nella sua splendida villa e lui avesse la possibilità di sparare.
Non passano molti giorni, ne passano tre o quattro soltanto, che due ladri
entrano, uno palesemente armato e l’altro no. Quando entra sulla finestra il
primo ladro l’Avvocato spara, ed era infallibile, lo fa secco; il secondo, visto
che l’Avvocato sparava a mitraglia, corre e cerca di scamparla passando sul
muro di cinta, ma sul muro di cinta viene raggiunto da una pisolata
dell’Avvocato sulla spalla. Si salva. Questo volevo chiedere: la Corte d’Assise
di Verona, anzi il Procuratore della Repubblica di Verona – potrei fare tutti
nomi perché sono tutti viventi, questo caso è stato trattato ad altissimo livello,
anche in Cassazione – procede per omicidio volontario premeditato. La
costruzione dell’Accusa era che l’Avvocato si fosse chiuso in casa per sparare
ai possibili eventuali ladri e non sbaglia. Dopo un dibattimento direi terribile –
questo l’ho ricostruito perché io ho fatto i processi d’appello, l’Avvocato era
difeso dal celebre prof. Devoto, credo non abbia bisogno di presentazioni, è
morto da poco – l’Avvocato prende 18 anni di reclusione. Costruzione era
omicidio volontario premeditato, con la provocazione e basta, e le generiche. La
provocazione non piace al Procuratore della Repubblica di Verona, che appella,
ma appella ovviamente anche l’Avvocato, e qui entro in fase attiva io con
l’indimenticabile Presidente Ambrogi, lo dico senza fare opera di panegirici: il
più fine penalista che abbia mai conosciuto nel Veneto. Come risolviamo il
caso? Dopo lunga discussione secondo me la legittima difesa per il primo ladro
ci stava tutto. Io scindo il caso in due; sul secondo non riesco a capire come si
potesse parlare di legittima difesa nei confronti di un ladro che stava scappando
andando oltre il muro di cinta. Dopo di che, assoluzione per i primi spari che
avevano fatto secco il primo ladro, condanna per il tentato omicidio del
secondo, da 18 anni passiamo a 8 anni. Non sono molti anni fa, saranno 15/16
anni fa e l’Avvocato Devoto e lo stesso penalista veronese – era un penalista,
sapeva quello che faceva – erano contentissimi di questa sentenza; la
Cassazione ci dà completamente ragione, non toglie neanche una virgola la
sentenza della Corte d’Assise di Appello di Venezia.
Cosa faremmo oggi con una legge come questa, del secondo caso? Lasciamo
perdere Rececconi, che probabilmente risolveremmo nello stesso modo. La
legge avrebbe assolto anche per il secondo.
PROF. AVV. MAURO RONCO
Procuratore Generale, mi scusi: quando non vi è resistenza e vi è pericolo di
aggressione. Qui ormai aveva desistito e un non c’era più pericolo di
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aggressione. Più di così cosa pretende, Procuratore Generale! Gliela ha risolta la
legge quello che lei ha risolto..
DOTT. ENNIO FORTUNA
Il primo ladro era ancora dentro con le armi, lei si sbaglia.
PROF. AVV. MAURO RONCO
Lei ha raccontato prima che l’aveva già ucciso.
DOTT. ENNIO FORTUNA
Questo l’abbiamo saputo dopo. Comunque la soluzione l’abbiamo trovata,
questa è la soluzione giusta, però con questa legge credo che avremmo dei
grandi problemi. Adesso vi dico gli orientamenti che ci sono in giro. Io ne
conosco almeno tre.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Ma se era un bravo sparatore e colpisce il ladro che sta scappando, sulla spalla,
non c’era volontà omicida, c’era casomai volontà di lesione.
DOTT. ENNIO FORTUNA
Io gli Avvocati ho smesso di capirli da molto tempo altre questo è un altro caso!
Quali sono gli orientamenti correnti tra i Pubblici Ministeri, probabilmente tutti
sbagliati, perché i Pubblici Ministeri non indovinano mai? Abbiamo un
orientamento che io chiamo estremista, posso fare nomi e cognomi perché sono
tutti carissimi colleghi: Guido Papalia a Verona è assolutamente sulla posizione
contrarie a quelle Marco Zanotti e di Ronco. Questa è una legge barbarica e
l’Art. 2 della Convenzione e l’Art. 2 della Costituzione è incostituzionale,
aspetto solo il momento per farla dichiarare incostituzionale, lasciamo perdere
la Corte di Giustizia Europea, c’è prima la Corte Costituzionale. Questo è
Guido Papalia. Secondo, notissimo, non ha bisogno di presentazioni Carlo
Nordio, che credo abbia poi vagamente collaborato a questa legge, dice che
questa legge è assolutamente inutile secondo la sua posizione; ho sentito
qualcosa oggi da marco Zanotti, più o meno sullo stesso termine; dice che è
esattamente come prima e quindi non c’è nessun caso in questa legge che non
sia risolvibile con la legge vecchia, quindi è una fatica del tutto inutile: quello
che, come giustamente ha detto Marco Zanotti, prima risolvevamo con la
proporzione adesso lo risolviamo con la carenza della necessità. Terzo, questo
anche lo conoscete tutti, ma non c’è bisogno neanche di citarlo oralmente
perché l’ha pubblicato sul suo manuale appena uscito, 15 giorni fa, e parlo di
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Gigi Delpino, il quale arriva alle stesse conclusioni di Carlo Nordio per una via
un po’ più contorta, cioè dice: l’unico modo di interpretare questa legge è
un’interpretazione, come diciamo oggi, con finta eleganza, problematica
eleganza, costituzionalmente orientata. Siccome non possiamo, come ho detto
prima, ignorare il valore della vita umana gerarchicamente, costituzionalmente
superiore ai beni patrimoniali.. a proposito, io ho sentito molto, direi con grande
favore la tesi di Ronco poi ripresa anche da Zanotti, che il domicilio non
sarebbe un bene patrimoniale, però mettetevi un po’ d’accordo con una legge
fatta così, perché parla do beni propri o altrui, quindi non si tratta proprio di
domicilio, ma di beni patrimoniali. Allora Delpino arriva alla conclusione che
interpretando in modo costituzionalmente orientato una legge come questa
arriviamo alle stesse conclusioni di Nordio: ci sarebbe comunque sempre la
condanna come c’era prima e c’è oggi.
Ma volevo domandare, per rifare un altro caso, questo teorico: che faremmo di
un proprietario, che armato di mitra o di pistole multiple affronta un ladruncolo,
un ragazzino, armato solo di un temperino, che gli entra in casa? Questa legge
la salviamo dicendo che proteggiamo i beni dell’aggredito? Ma chi è l’aggredito
in questo caso? Non ritorneremmo un’altra volta al caso di Verona, con
un’accusa certamente esagerata, tanto è vero che l’abbiamo cambiata, quella
dell’Avvocato che per difendersi dai ladri sparava ai ladri, ha detto la Corte
d’Assise di Verona, dolosamente e premeditatamente? Domando. Grazie.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Grazie, anche se non ho ancora capito perché doveva essere omicidio anche nel
secondo caso.
Elio Zaffalon, prego.
AVV. ELIO ZAFFALON
Ho anch’io il mio caso da sottoporvi, perché sono quelle norme dove, come
dicevano anche i relatori, è solo toccando la casistica che si arriva veramente a
penetrare la problematica.
Il mio è un caso di un sindacalista il quale va in un’azienda, siamo nel Nordest,
San Donà e dintorni, e va a fare un’assemblea sindacale con i dipendenti. Non
sto a raccontare i particolari. Per motivi di interpretazione del contratto
collettivo e dello statuto dei lavoratori il sindacalista dice che si può, o meglio,
ha diritto di fare l’assemblea, il datore di lavoro dice di no. Questa situazione di
contrasto sul diritto di fare o non fare l’assemblea si manifesta quando i
dipendenti e il sindacalista sono già nei locali dell’azienda, appunto allo scopo.
Ahimè, c’è un fattore personalistico che interviene, perché il datore di lavoro è
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un ex pugile e, dimentico della sua qualità di datore di lavoro e facendo rivivere
quella precedente, prende a cazzotti il sindacalista e gli procura delle lesioni,
per fortuna non gravissime, comunque è finito all’ospedale. Quindi si fa il
processo a carico del datore di lavoro per lesioni volontarie – io assistevo il
sindacalista Parte Civile –, dopo due condanne in sede di merito la Corte di
Cassazione annulla dicendo una cosa che a me che facevo la Parte Civile era
sempre apparsa ovvia e non avevo capito bene come mai si fosse arrivati a una
condanna, cioè disse che il datore di lavoro aveva diritto di estromettere
dall’azienda, indipendentemente dal fatto di chi avesse ragione, di fare o non
fare l’assemblea, ma il solo fatto che avesse negato l’accesso aveva comunque
diritto di estromettere il sindacalista da quello che qui si chiama domicilio
imprenditoriale. Quindi diceva la Corte precisamente – parliamo di 20 anni fa,
perché come vedete ho qualcuno pelo bianco, o meglio, mi è rimasto qualche
pelo nero – che la legittima difesa va a tutela anche del diritto ai beni e cioè in
questo caso i locali dell’azienda. Non si parlò di domicilio, non c’era ancora un
discorso come potrebbe sorgere adesso con la nuova legge.
Perché ho fatto questo esempio? Perché sono anch’io modestamente d’accordo
con quanto diceva il prof. Zanotti circa il relativamente modesto impatto
tecnico–giuridico della nuova normativa e sentivo prima che Carlo Nordio ed
altri sono un po’ di questa linea. Dico relativamente d’accordo nel senso che
una questione come quella del venir meno del requisito dell’attualità del
pericolo è una questione di grandissimo rilevo. Ma se le interpretazioni tecnico–
giuridiche fossero quelle che gli illustri relatori ci hanno proposto oggi, a me
non farebbe molta paura questa legge. Quello che mi fa paura è un’altra cosa, è
ancora di più del timore che ha sollevato il Procuratore Generale circa la minore
capacità balistica della delinquenza rispetto a quella delle persone offese, e cioè
il costume che si può instaurare in base a questa legge.
Io vi ricordo solo un fatto, perché è significativo; non mi interessa più adesso il
diritto, ma come viene vissuto il diritto e le conseguenze che può avere questo
costume anche sulle interpretazioni giuridiche. Il caso di Rececconi è proprio
paradigmatico perché, appunto, se non ci fossero state quelle condizioni di
criminalità già all’epoca non si sarebbe verificata una reazione come quella del
gioielliere, e io ho paura appunto di queste reazioni favorite forse dalla legge, e
mi spiego meglio. Ricorderete il caso, anche qui sempre un gioielliere, mi pare
fossero due rapinatori presentati in gioielleria, mi pare di ricordare che questo
estrae la pistola e i rapinatori, fortunatamente per il gioielliere, prendono la
fuga; ma da quello che ho letto il gioielliere insegue per 200 metri questa gente
e spara alle spalle mi pare almeno di uno. Ma questo non è niente. Stanno
facendo il processo, ma io non voglio entrare nel merito, perché non conosco
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neanche bene i fatti; quello che mi ha colpito in maniera straordinaria, e ho
finito, è stata la reazione della gente: sono state fatte manifestazioni per dire che
c’era un diritto di inseguire per 200 metri un rapinatore e sparargli alle spalle.
Questo, scusate, mi fa veramente paura, perché allora sì che andiamo al Far
West. Allora quello che a me preme sottolineare è la necessità di un assoluto
rigore nell’interpretazione tecnico–giuridica e che venga portata questa esigenza
anche all’ultimo scranno dell’ultimo Magistrato che si debba occupare anche di
lesioni lievi in fattispecie analoghe. Vi ringrazio.
AVV. EUGENIO VASSALLO
Grazie. Ci sono altri? Prego, Quintarelli.
AVV. LUIGI QUINTARELLI
Una semplicissima richiesta di chiarimenti agli illustri e chiarissimi docenti. Mi
pare di capire, se non sto sovrapponendo un istituto processuale a un istituto
sostanziale, che quando versiamo, esattamente nella fattispecie concreta, che si
sovrappone alla fattispecie astratta dell’ingresso del ladro o del tentato ladro nel
domicilio, quando siamo in condizioni, secondo questa legge di riforma, di fare
uso della forza, con o senza armi, siamo anche nella flagranza di un delitto o
almeno di un delitto tentato. Il che fa scattare anche, forse, lo domando a voi, la
possibilità dell’arresto da parte del privato, mi domando. Ma la possibilità
dell’arresto del privato, continuo a domandarmi, attribuisce al privato, per
esempio, la qualifica di un agente di P.G. o di una figura assimilabile in qualche
modo? E se sì, egli è in grado di far uso di quell’arma che come cittadino
detiene legalmente, ma che forse come persona che sta attuando un arresto
facoltativo in flagranza può essere usata secondo la norma specifica del Codice
Penale? O ancora, può far uso della forza legittimamente come un Agente di
Polizia il quale stia legittimamente provvedendo ad un arresto? Insomma, la
domanda, chiedo scusa se complico le cose o se sto sovrapponendo due concetti
che non hanno troppo in comune. C’è una possibilità di coordinamento tra la
nuova fattispecie, così come allargata e specificata, nella legge di riforma che
voi così bene avete illustrato e invece la facoltà di arresto o si tratta proprio di
fattispecie completamente diverse? Grazie del chiarimento.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
In maniera scalare apprendo dal signor Procuratore Generale, sempre fonte
preziosa di informazioni, che la criminalità comincerà ad armarsi dal 17 marzo
2006. Questo è un dato effettivamente preoccupante! Che si arma sempre di
più! E’ una prognosi che io non avevo ancora formulato. In realtà devo dire che
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la criminalità non ha grande difficoltà a approvvigionarsi sul mercato
clandestino, molte maggiori difficoltà le può avere invece il privato cittadino
onesto, perché rispetto al porto d’armi, alle valutazioni della Pubblica
Amministrazione, prefettizia e quant’altro, non credo che avrà questa grande
capacità. Ma è tipico compito del giurista esaminare la legge nella sua interezza.
Quando si dice: “Uso delle armi o di altro idoneo mezzo” vuol dire che già nella
legge è stabilito una gerarchia di intervento, dal meno lesivo al più lesivo. Io, vi
dicevo, non ho nessunissima simpatia per le armi da fuoco, però ho una sciabola
da samurai e devo dirvi che se fossi stato presente in casa quando
recentisissimamente c’è stato il tentativo di penetrazione dal tetto nella mia
abitazione non avrei esitato a farne uso. Si trattava di due persone, scoperte dal
mio cameriere ma non da me, però credetemi, con i miei cari in casa io non
avrei avuto nessunissima esitazione. Punto di vista, credetemi, certamente
personale che non vuole ambire a diventare un dogma giuridico.
Da altro punto di vista, signor Procuratore Generale, mi consentirà che proprio
la rete capillare dei requisiti, che voi così faticosamente investigate nel
momento del giudizio, voi li pretendete assurdamente compresenti e
lucidamente presenti nel momento della concitazione reattiva, e questa è
un’altra assurdità. Ovviamente nel momento del pericolo si dovrà scontare una
situazione non necessariamente di panico, di terrore, ma certamente in una
situazione di assai scarsa lucidità motivazionale. Detto questo, sull’esempio che
lei prospettava avrei una chiosa da fare: in realtà è molto discutibile la sentenza
della Corte d’Assise d’Appello, perché lei nel suo esempio parla di introduzione
di due ladri di cui uno palesemente armato. Se vogliamo ragionare in maniera
rigidamente ancorata ai requisiti dell’Art. 52 mi dica lei dov’è il pericolo attuale
per l’incolumità fisica; e voi avete assolto l’Avvocato dal delitto principale, cioè
di omicidio, presumendo un pericolo che in realtà la norma non vi avrebbe
consentito di presumere. Ve lo consentirebbe o consentirà la nuova norma.
Sulla seconda questione ha perfettamente ragione Ronco: di fronte a un ladro
che fugge, in casa o non in casa poco importa, ma fugge, evidentemente la fuga
è di per sé incompatibile rispetto al requisito di un pericolo di aggressione. Si
potrebbe dare il caso di uno che fugge sparando, caso estremo, c’è una
contemporanea fuga e un perdurante pericolo di aggressione; non saprei come
contenermi, è una questione di puro fatto, direi che probabilmente qui non
siamo nell’ambito del norma.
Non ho capito bene l’esempio dell’Avvocato Zaffalon: abbiamo una
colluttazione all’interno di un locale d’impresa; poco conta, perché qui in realtà
sono presenti legittimamente entrambi, sia il proprietario che il sindacalista, non
c’è nessuna aggressione ai beni. In realtà è una colluttazione tra privati in cui si
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può discutere solo se c’è la proporzione e anche la necessità reattiva. Cioè, se
come pugile ha esorbitato dai limiti della stretta necessità, ci sarà eccesso
colposo.
AVV. ELIO ZAFFALON
Era un’entrata legittima, ma in forza dell’ordine di uscire dato dal datore di
lavoro..
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
Ma dov’è l’aggressione patrimoniale?
AVV. ELIO ZAFFALON
La Corte di Cassazione dice che il sindacalista non aveva fatto nessuna attività
contro la persona del datore di lavoro, però occupava i beni e quindi il datore di
lavoro aveva il diritto di difendere il proprio patrimonio. Questo dice la
Cassazione.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
Ma è vero o non è vero che aliquando dormitat Homerus? Anche la Cassazione
ogni tanto può prendere degli sfondoni.
AVV. ELIO ZAFFALON
Sarebbe opportuno che coloro che intendono intervenire lo facciano prima che i
relatori replichino. Quindi se ci sono altri interventi sono graditi e li facciamo
tutti di seguito. Poi le repliche dei relatori.
AVV. ETTORE SANTIN
Volevo dire che non sono d’accordo con la collega Isabella Da Re sul fatto che
la nuova normativa in tema di difesa legittima sia in contrasto con l’Art. 2 della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Non sono
conoscitore di queste normative sopranazionali, ma credo che alla lettera A del
secondo comma dell’Art. 2 della Convenzione, laddove si dice: per assicurare la
difesa di ogni persona dalla violenza illegale – cioè è uno dei tre casi in cui è
consentito ricorrere anche alle armi, comunque anche infliggere la morte
all’aggressore – il legislatore sovranazionale abbia voluto non limitare la
legittima reazione solamente alla difesa dei beni personali intesi in senso lato,
ma dicendo difesa di ogni persona abbia voluto evitare che negli ordinamenti
nazionali vi fossero delle discriminazioni – io così per lo meno interpreto e
chiedo a voi lumi sul punto –, nel senso di consentire la legittima reazione solo
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per difendere non ogni persona, ma per esempio solo i rappresentanti delle
Forze dell’Ordine. Credo che solo questo si voglia dire alla lettera A dell’Art. 2
comma 2 della Convenzione, non certo, e non credo si possa assolutamente
arrivare a un’interpretazione tale come quella che ho sentito oggi, che invece
vorrebbe limitare la legittima difesa solamente alla difesa di beni personali.
Grazie.
AVV. ELIO ZAFFALON
Altri interventi?.. Prima di dare la parola ai relatori per le repliche volevo
sottoporre anch’io un quesito particolare, sempre nell’ottica cui accennavo
prima, cioè del timore di interpretazioni prese sull’onda di un costume
eventualmente deprecabile che si dovesse affermare. Non so se avete il testo
sotto mano della nuova legge sulla legittima difesa. La modifica in tema di beni
patrimoniali, comma 2 lettera B: “..I beni propri o altrui, quando non vi è
desistenza o vi è pericolo di aggressione”. Questa formulazione non la troviamo
nel comma 2 lettera A. Allora un’interpretazione magari un po’ spinta potrebbe
intendersi anche nel senso che l’aggressore che è penetrato nel domicilio e che
alla vista della presenza della persona che vi abita gira le spalle e si pone
immediatamente in fuga, poiché non è chiarito in quel momento se voleva
aggredire la persona o se voleva aggredire i beni patrimoniali, può venire
colpito con un’arma in quanto la desistenza attiene soltanto all’aggressione
patrimoniale e non all’altra. Non è che sono molto d’accordo su questa
impostazione, ma sottopongo il quesito perché non è del tutto teorica
un’argomentazione a contrario come questa fatta in un processo in cui non sia
chiaro qual era la direzione univoca di aggressione da parte di colui che va ad
entrare. A questo punto quindi io ho finito e se non vi sono altri interventi do la
parola ai relatori per le risposte a tutti gli interventi.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
A me pare che sia chiaro che è il requisito finalistico della reazione. Come si
può dire che c’è una finalità di difesa dell’incolumità propria o altrui di fronte a
un intruso che fugge? È evidente che viene a mancare un elemento
sostanzialmente essenziale. Sarà un problema di prove. E' difficile finché si
vuole, però la norma è abbastanza chiara nella sua direzione operativa: di fronte
a un intruso che fugge non è possibile una reazione di questo tipo.
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AVV. ELIO ZAFFALON
L’obiezione era: siccome di desistenza di parla solo nella lettera B, allora
sembrerebbe che per la lettera A non fosse rilevante la desistenza. Era
un’obiezione puramente letterale.
PROF. AVV. MARCO ZANOTTI
La desistenza come lei la intende secondo me ha un contenuto atecnico.
Desistenza significa: fuga senza lasciare il bottino; che è il caso teorico
problematico classico: si può sparare nei confronti del ladro il fuga? La risposta
è: no, salve certe riserve. E la risposta di questa nuova normativa è no, a meno
che in caso di mancata desistenza non si associ anche un pericolo di aggressione
per l’incolumità fisica e allora ritorniamo alla possibilità permissiva generale, in
questo senso io penserei di interpretare la legge. Ma nessuno qui possiede chiavi
bibliche, vedremo come si orienterà la giurisprudenza.
PROF. AVV. MAURO RONCO
Io vorrei solo dare una risposta a un’osservazione, più che a una domanda, del
collega che ha parlato del caso d’arresto in flagranza. A me sembra che l’arresto
in flagranza confermi perfettamente la legittimità della legittima difesa così
come oggi è stata configurata, perché siamo in un caso in cui la legge consente
pacificamente, senza alcuna questione, di più di quello che è consentito dalla
nuova normativa della legittima difesa. E’ evidente che a maiori ad minus. Se la
legge processuale, non contestata da nessuno, approvata in un’epoca non
sospetta, 1989, consente addirittura l’arresto in flagranza della persona che sta
commettendo un reato purché siano sussistenti determinati requisiti di gravità
del reato eccetera, è chiaro che deve consentire e consente la legittima difesa.
Naturalmente purché sussistano quei due requisiti: non vi sia desistenza e vi sia
pericolo di aggressione. Questo mi sembra fondamentale. Quindi la sua
osservazione così puntuale e precisa conferma la legittimità della legge e
l’inserimento della legge nell’ambito del sistema. E’ un atteggiamento
astrattistico quello di confrontare i beni tra di loro e di valutare la legittima
difesa astrattamente in relazione ai beni, che non tiene conto di tutto il sistema
della legge e del fatto che la legittima difesa è una forma di stabilizzazione
dell’ordinamento, così come ha ricordato bene Zanotti, ed è una forma di
esercizio suppletivo e vicario di un’autorità statale che non può intervenire in
concreto, con requisiti della proporzione che sono mantenuti in una certa
misura, direi variata, dalla nuova normativa. Quindi è una normativa che
chiarisce e precisa, non direi neanche, come avrebbe detto il Consigliere Nordio
e come avrebbe detto anche un altro Magistrato, che non serviva questa norma;
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serve per orientare un’interpretazione verso un confronto realistico tra
aggressione e difesa, e non più tra beni in astratto staticamente considerati. La
sua osservazione mi pare importantissima per confermare la correttezza
dell’interpretazione.
Infine io apprezzo quello che ha fatto la giovane collega, che è stata molto brava
e ha detto delle cose interessanti, però mi sembra indicativo che non abbia mai
trovato delle sentenze della Corte Europea che si riferiscono a una situazione
del genere di quello che ha comunque preso in esame, che è oggetto della
normativa oggi in esame. Direi la norma francese, che ho menzionato prima,
che è vigente dal marzo 1994, non è mai stato sospettato da alcuno di
incostituzionalità o di contrarietà rispetto alla Convenzione. I casi che sono stati
ricordati, che sono stati menzionati, sono tutti casi chiarissimamente di
violazioni, comunque di possibile violazione di diritti fondamentali da essere
non destinatari di una violenza di carattere mortale. Sono i casi in cui si uccide
il terrorista perché è un terrorista, senza che ci siano le situazioni di reato in
essere o comunque di pericolo per la persona o per i beni. Oppure il caso del
ladro che non è stato ritrovato e che fugge dopo essere stato ritrovati. Situazioni
nelle quali evidentemente si dà la morte come una sanzione diretta e immediata
indipendentemente da un pericolo attuale di una violenza o da un pericolo per
persone o per beni. Quindi sono situazioni che mi pare giustamente la Corte
Europea abbia preso in considerazione.
L’interpretazione dell’Art. 2 io non l’avevo immediatamente fatta, né oggi è il
momento di riprenderla, però, come dice bene Zanotti, prima di tutto molto
probabilmente la difesa di ogni persona non prende in esame il problema di
quali sono i beni della persona che possono essere tutelati; prende in
considerazione la difesa di ogni persona dalla violenza illegale, la persona in
tutti i suoi valori e o i suoi aspetti, quindi anche nei suoi valori patrimoniali che
sono pertinenti alla persona. Quindi questa è sicuramente l’interpretazione
sistematica di questa norma. Ma comunque in ogni caso non è in contrasto la
normativa italiana anche con l’interpretazione più lata che si vorrebbe dare di
questa norma, perché non consente comunque di colpire indipendentemente
dalla permanenza dell’aggressione, di un pericolo di aggressione nei confronti
della persona; perché non dobbiamo trascurare l’aspetto realistico delle cose,
cioè che un’aggressione condotta da una persona che si è introdotta in una casa
altrui, che permane nel compimento del delitto, è in corso di esecuzione un
delitto, evidentemente minaccia non solo il bene patrimoniale, ma anche la
persona; la quale addirittura sarebbe legittimata all’arresto in flagranza in una
situazione di questo genere; e non può non essere legittimata ad una reazione
purché rimangano quelle situazioni di permanenza di pericolo nei confronti
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della persona, non soltanto nei confronti del bene. Quindi credo che, come
abbiamo visto anche dal Procuratore Generale, gli chiedo scusa se sono stato un
po’ concitato nella risposta, c’è tutto un atteggiamento ideologico nei confronti
della presentazione di questa norma, che ha elementi di carattere tecnico e
problemi di carattere tecnico, ma vuole risolvere un problema reale e concreto
che si pone nell’interpretazione, non tanto nella realtà pratica. Poi vi sono delle
situazioni come ad esempio quella di Rececconi che non c’entrano nulla con
questo caso: fu applicato il 59 ultimo comma, cioè era una situazione di difesa
legittima putativa, una putatività enorme, fu discusso il problema, ma non
c’entra nulla con questa situazione o qui, infatti fu applicata la normativa del 59
vecchio comma, ha ritenuto che ci fosse situazione tale da legittimare una
reazione. Il problema era: era legittimo questo errore o no? Ricordo si discusse
in questo caso molto del problema: ma quel gioielliere in realtà si era accorto
della persona e l’ha voluto uccidere, si era accorto che non era una vera rapina e
ha voluto uccidere, questo era il problema che si discuteva in quella situazione,
ma non ha nulla a che fare con la problematica dell’attuale legge, tanto è vero
che la assoluzione fu pronunciata ai sensi del 59 ultimo comma, non sussisteva
un pericolo attuale, però il soggetto si era rappresentato una situazione di
pericolo attuale per la propria vita. Anche perché non dobbiamo dimenticare
che il reato patrimoniale con l’intrusione dentro una casa è un reato che lede
comunque la sfera di libertà della persona, non soltanto il bene patrimoniale.
Quindi il domicilio, che è spetto personale, la libertà della persona la quale è
violata e impedita nella legittima manifestazione della sua libertà all’interno di
una propria abitazione. Quindi mi pare che, certo, la norma potrebbe dare delle
interpretazioni aberranti, tutte le norme sono suscettibili di interpretazioni
aberranti, ma se applicata correttamente cum granu salis non credo dia luogo a
problematiche di violazione di Art. 2 della Convenzione. Naturalmente questo è
un altro tema, io mi complimento con la collega che ha studiato molto bene
l’argomento e lo ha sviluppato molto bene, non voglio adesso pretendere di dire
un’ultima parola che non voglio dire in quest’occasione.
AVV. ELIO ZAFFALON
Vuole rispondere, professore, a quell’episodio o caso, non so se fosse un caso
reale o ipotetico proposto dal dottor Fortuna e cioè del ragazzo munito di un
coltellino, che viene colpito con un mitra? E’ un caso un pochino scolastico,
però diciamo che ci può essere anche questo. Un mitra legalmente detenuto.
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PROF. AVV. MAURO RONCO
Qui ricorre anche il problema di Zanotti, che mi pare puntuale. Qui il problema
è quello della necessità di difendersi. Queste sono situazioni che debordano
ampiamente dalla necessità di difendersi, qui si vuole cogliere certamente, in un
caso come quello fatto dal professore, che adesso non so se sia reale o meno,
una volontà di offendere, non una necessità di difendersi. Quindi la sussistenza
della legittima difesa viene meno per la mancanza di un altro requisito
fondamentale, quello della necessità di difendersi. Quindi la legittima difesa va
valutata complessivamente in tutti i suoi requisiti, non soltanto in uno; la
proporzione è l’ultimo: sussistendo tutti gli altri requisiti valutiamo la
proporzione, allora è qui che la legge vuole spostare. Che cosa? Vuole spostare
un’interpretazione in termini di confronto e in termini astratti tra beni tra di loro
e vuole dire: attenzione, non è detto che non sia ammissibile la tutela del bene
non direttamente vita della persona attraverso una lesione alla vita o
all’incolumità dell’aggressore. Questo vuole dire la legge. Poi rimangono tutti
gli altri requisiti e in particolare ha detto: occorre però che nel caso di intrusione
nell’abitazione vi sia questa volontà di perseverare, di perdurare nell’illecito e
che vi sia un pericolo di aggressione all’incolumità personale. Quindi siamo di
fonte ad una situazione in cui è coinvolta – e qui la risposta è in relazione
all’Art. 2 - la libertà della persona, la incolumità della persona attraverso una
situazione di pericolo; evidentemente se il ladro non si allontana nonostante la
presenza della persona, nonostante gli inviti, le grida, le urla di allontanarsi
permane un pericolo per la persona. Perché non vi sarebbe pericolo per la
persona? Un ladro che vuole mantenersi in casa addirittura potrebbe impedirgli
il furto, dovrebbe potere impedire il furto, dovrebbe poterlo arrestare! Allora mi
sembra veramente un andare contro la logica intera del sistema voler sostenere
una tesi così forte come quella addirittura della illegittimità costituzionale della
legge o dell’illegittimità ai sensi dell’Art. 2 della Convenzione Europea.
Comunque il tema è delicatissimo, io ringrazio tutti, il Presidente, le vostre
relazioni, perché hanno dato certamente un contributo arricchente, però mi
sembra che la legge, per quanto sia piena di difficoltà.. d’altra parte è una
materia particolarmente difficile, non siamo di fronte a materie che poi vogliono
risolvere i casi difficili, non i casi facili; d’altra parte è una norma che non è
stata toccata per 75 anni, però l’intento è quello di orientare l’interpretazione in
senso diverso da quello del confronto astratto tra i beni.
AVV. ELIO ZAFFALON
Avvocato Da Re, vuole replicare?
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AVV. ISABELLA DA RE
Volevo semplicemente dire che il mio discorso, secondo me, è astratto, però dà
un’interpretazione della nuova norma sull’Art. 52 un po’ aberrante nella sua
versione più ristretta, quindi presunzione di proporzionalità, difesa dei beni
quasi incondizionata; è vero che ci sono i due elementi della aggressione nella
non desistenza. Per arrivare alla Corte però ci vogliono anni e anni, perché ci
vogliono i ricorsi interni, dev’essere adita, deve essere dichiarata ricevibile la
domanda, quindi la Francia potrà essere eventualmente condannata, siamo
ancora in una fase in cui non è detto. Sicuramente questi sono profili, se
analizziamo la legge estremizzandola, astrattamente ci potrebbero essere dei
profili. E’ ovvio che la Convenzione difende il diritto alla vita, tutto un altro
profilo, quindi è tutto un altro impianto, non crea le scriminanti, non parla di
dolo, di colpa, di eccesso colposo, crea un articolo che racchiude quello che è il
diritto alla vita inteso da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa e pone le
varie eccezioni. Poi credo anch’io che non si arriverà mai ad adire la Corte per
questo caso e di non avere trovato delle sentenze in questo argomento, non a
caso, però questa era la riflessione leggendo le ipotesi ben più gravi arrivate al
giudizio della Corte. Sul discorso delle persone, invece, io non ho proprio
trovato interpretazioni autentiche della Corte, perché poi loro vanno a casi, per
cui dipende quello che viene sottoposto all’attenzione.
AVV. ELIO ZAFFALON
Ringraziamo i relatori per gli interventi e i presenti per la loro partecipazione.
Al prossimo incontro.
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