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IPOACUSIA INFANTILE: DALLA IDENTIFICAZIONE AI RISULTATI

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IPOACUSIA INFANTILE: DALLA IDENTIFICAZIONE AI RISULTATI
N. 2/2014
REPORT
CORSO CRS
Direttori del corso
Prof. Stefano Berrettini
Prof. Elisabetta Genovese
IPOACUSIA INFANTILE:
DALLA IDENTIFICAZIONE
AI RISULTATI
CORSO EDOARDO ARSLAN
MILANO
15-16 maggio 2014
REPORT C
IPOACUSIA INFANTILE:
DALLA IDENTIFICAZIONE AI RISULTATI
CORSO EDOARDO ARSLAN
MILANO, 15-16 maggio 2014
NOTA DELL’EDITORE
Il presente volume riprende i principali contenuti di questo evento formativo, con l’obiettivo di renderli disponibili a un pubblico più
ampio e di offrire informazioni e indicazioni condivise per un miglioramento della pratica clinica.
In particolare, i testi che seguono sono una rielaborazione originale, a cura della redazione di Sintesi InfoMedica, delle relazioni presentate durante l’evento da A. Serra, A. Martini, G. Conti, A. Chilosi, P. Scimemi, P. Mancini, T. Wakefield, L. Bruschini, E. Genovese,
F. Forli, N. Quaranta e M.C. Guarnaccia. I testi, rivisti dai rispettivi relatori, sono stati riassunti e integrati con le opinioni emerse dalle
discussioni tenutesi nel corso dei lavori.
Indice
Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Tutti i diritti,
in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo
di illustrazioni e tabelle, alla registrazione su microfilm o in database,
o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica)
rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La riproduzione di quest’opera, anche se parziale, è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d’autore ed è soggetta
all’autorizzazione dell’editore. La violazione delle norme comporta le
sanzioni previste dalla legge.
© Sintesi InfoMedica S.r.l.
Sebbene le informazioni contenute nella presente opera siano state
accuratamente vagliate al momento della stampa, l’editore non può
garantire l’esattezza delle indicazioni sui dosaggi e sull’impiego dei
prodotti menzionati e non si assume pertanto alcuna responsabilità
sui dati riportati, che dovranno essere verificati dal lettore consultando la bibliografia di pertinenza.
Copyright © 2014 by Sintesi InfoMedica S.r.l.
Via Ripamonti, 89 - 20141 Milano (MI)
Tel. +39 02 56665.1 - Fax +39 02 97374301
Stampato nel mese di ottobre 2014
Realizzato con il contributo incondizionato di
2
Presentazione del corso
3
Epidemiologia della sordità infantile
3
Eziologia della sordità infantile
4
Criticità nella diagnosi audiologica infantile
6
Problematiche neuropsichiatriche
associate all’ipoacusia infantile
8
La protesizzazione acustica in età infantile
9
La valutazione audiologica come strumento
per l’indicazione all’impianto cocleare e la
successiva regolazione
10
Lo sviluppo comunicativo-linguistico nel
bambino con impianto cocleare in epoca
precoce12
Le protesi impiantabili in età pediatrica
13
Lo sviluppo comunicativo nei primi anni di
vita: strumenti di valutazione
15
Indirizzi abilitativi e follow-up dello
sviluppo comunicativo-linguistico
17
L’impianto cocleare in bambini ipoacusici con
disabilità associate
18
I principali fattori che influenzano
i risultati con impianto cocleare
19
Lo sviluppo comunicativo nel bambino bilingue
ipoacusico21
CORSO CRS
Presentazione del corso
A cura dei Direttori, Stefano Berrettini1 ed Elisabetta Genovese2
Direttore U.O. Otorinolaringoiatria Audiologia e Foniatria Universitaria, Cattedra di Otorinolaringoiatria,
Università di Pisa
1
2
Audiologia, Clinica ORL, Dipartimento Medicina Diagnostica, Clinica e di Sanità Pubblica - Università degli
Studi di Modena e Reggio Emilia
Questo corso, dedicato alla memoria del nostro compianto professor E. Arslan e di cui di seguito vi presentiamo
un breve riassunto, è un corso di base sull’audiologia infantile: tuttavia, grazie alla presenza di relatori, anche internazionali, di elevatissimo profilo, abbiamo voluto strutturarlo privilegiando l’aspetto interattivo tra relatori e uditorio,
con l’obiettivo di permettere ai partecipanti di confrontarsi in maniera costruttiva e propositiva su quelle che sono le
controversie aperte in questo complesso campo.
EPIDEMIOLOGIA DELLA SORDITà INFANTILE
A cura di Agostino Serra
Università di Catania, Direttore Clinica ORL - Presidente SIO
Nel mondo le persone affette da sordità di grado medio-profondo sono circa 315 milioni; le proiezioni indicano che il
fenomeno è in aumento, stimando che, nel 2015, circa 590
milioni di persone saranno interessate da un’ipoacusia superiore ai 25 dB.1 Questo incremento tuttavia non è da attribuire alla maggiore propagazione del fenomeno, ma, piuttosto, a un affinamento delle tecniche di diagnosi e rilevazione,
che permettono di identificare un maggior numero di casi
effettivi. Dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stimano che il 65% dei casi sia concentrato nei Paesi in
via di sviluppo, a causa delle carenti condizioni igieniche e
sanitarie. In particolare l’incidenza di ipoacusia infantile è più
che raddoppiata dagli anni ’60,2 portando il tasso di nuovi
casi per milione di nati in un anno a circa 1.000 per quanto
riguarda i Paesi industrializzati (negli Stati Uniti si registrano
circa 6 nuovi casi ogni 1.000 nati/anno)3 e a circa 4/5.000
per i Paesi in via di sviluppo.4
A causa dell’imponente flusso migratorio caratteristico di
questi ultimi tempi, in particolare dai Paesi del Corno d’Africa, è ragionevole però pensare che il fenomeno sia attualmente sottostimato e che questi numeri saranno suscettibili
di notevoli variazioni. La situazione italiana è stata valutata
dall’Associazione Italiana per la Ricerca sulla Sordità (AIRS):5
per 600.000 bambini che nascono ogni anno nel nostro Pa-
ese si registrano circa 1.500 casi di sordità profonda e 3.000
di profondità medio-grave. I bambini a rischio di ipoacusia
neurosensoriale sono circa 5-10 ogni 100; inoltre, circa
25.000 individui al di sotto dei 10 anni presentano disturbi della comunicazione causati da un deficit uditivo, e sono
quasi 7.000 gli alunni che necessitano di un sostegno scolastico a causa di questa disabilità: l’impatto sulla struttura
assistenziale e sanitaria è dunque molto profondo.
La ricerca dell’AIRS ha inoltre messo in evidenza che la
stragrande maggioranza (85%) dei casi di ipoacusia infantile esordisce in epoca prenatale e solo il 5% dopo i 3 anni
di età; nel 30-40% dei casi la causa è una mutazione genetica, ma è ancora elevata la percentuale di situazioni che
non possono essere ricondotte a un’eziologia precisa (fino
al 45%).
La difficoltà di reperimento dell’anamnesi, in particolare nella
popolazione migrante, che renderà conto di molti dei casi
registrati in futuro, spesso complica il processo di riconoscimento precoce del problema e, di conseguenza, il tempestivo intervento. Per facilitare la fase di identificazione e
inquadramento diagnostico il Joint Committee on Infant Hearing6 ha stilato una lista dei principali fattori di rischio coinvolti, elencati nella Figura 1; per porre il sospetto clinico di
ipoacusia è sufficiente rilevarne alla nascita anche uno solo.
3
REPORT C
La nostra personale esperienza clinica conferma che la
prematurità, il basso peso alla nascita e l’iperbilirubinemia
rappresentano i fattori di rischio più frequenti nella nostra
popolazione.
Le ipoacusie infantili rappresentano dunque un problema
importante: i numeri presentati, certamente già meritevoli di
attenzione, aumenteranno sicuramente poiché l’Italia, per la
sua posizione geografica, è uno dei Paesi maggiormente interessati dal precedentemente citato fenomeno dei migranti.
Sono pertanto necessarie campagne mirate ad aumentare
la consapevolezza riguardo a questo problema, e il costante
aggiornamento dei dati epidemiologici sarà fondamentale
per programmare efficientemente gli interventi riabilitativi
protesici e le terapie di sostegno necessari.
Ricovero in NICU >24 ore
Peso alla nascita <1.500 grammi
Segni di sindromi associate a ipoacusia
Presenza di anomalie cranio-facciali
Esposizione in gravidanza a infezioni del gruppo TORCH
Positività familiare per ipoacusia neurosensoriale
Basso indice di Apgar: 0-3 (5° minuto di vita); 0-6 (10° minuto di
vita)
Positività familiare per ritardi del linguaggio
Infezioni postnatali legate a ipoacusia
Indicatori neonatali (iperbilirubinemia; ipertensione polmonare
persistente)
Bibliografia essenziale
1) Dati British Institute of Hearing Research, 2012.
2) Strasnick B. et al. 2009
3) Dati American Speech-Language-Hearing Association, 2013.
4) Dati OMS, 2010.
5) Dati AIRS 2012.
6) Joint Committee on Infant Hearing, 2007. www.asha.org
Sindromi associate a ipoacusie progressive (S. di Usher,
neurofibromatosi)
Disordini neurovegetativi (S. di Hunter, atassia di Friedreich)
Traumi cranici
Figura 1. Fattori di rischio neonatali.
EZIOLOGIA DELLA SORDITà INFANTILE
A cura di Alessandro Martini
Cattedra di Otorinolaringoiatria - Direttore Dipartimento di Neuroscienze e Organi di Senso - A.O., Università di Padova
La classificazione delle ipoacusie può essere eseguita sulla
base di diversi criteri: possono infatti essere prese in considerazione la sede anatomica, l’entità della perdita uditiva,
l’età di insorgenza, l’andamento nel tempo o, ancora, i fattori eziologici; queste molteplici suddivisioni aiutano nella
definizione delle categorie teoriche dei diversi pazienti, che
presentano indici prognostici diversi.
In base alla sede della lesione si distinguono: ipoacusie trasmissive, ipoacusie neurosensoriali, ipoacusie miste, neuropatie uditive e sordità “centrali”. Questo tipo di classificazione permette di avere un’idea del modo in cui il paziente
sente: nelle forme trasmissive infatti il suono è in prevalenza
attenuato in intensità, mentre in quelle sensoriali e nelle miste è attenuato e distorto; nella neuropatia uditiva il suono
è attenuato, ma più che altro distorto. Queste indicazioni ci
permettono di impostare il percorso riabilitativo più adatto
per ogni tipo di paziente.
In base all’epoca di insorgenza, una classificazione molto
utile e funzionale, distinguiamo invece: ipoacusie congenite
e prenatali, perinatali o di origine genetica o non genetica, e
ipoacusie acquisite, postnatali o genetiche a esordio tardivo
(Figura 1).
Classificazione delle ipoacusie in base all’epoca di
insorgenza
Congenite e
prenatali
Non genetiche
Genetiche
Perinatali
Acquisite
Postnatali
Genetiche a esordio tardivo
4
Infezioni (toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia,
HIV, HSV)
Farmaci ototossici, teratogenici
Disordini metabolici, endocrini
Sindromiche
Non sindromiche
Ipossia
Iperbilirubinemia
Infezioni
Prematurità, basso peso
Meningiti
Figura 1. Classificazione
delle ipoacusie in base
all’epoca di insorgenza.
CORSO CRS
Forme prenatali e congenite non genetiche
Rosolia
Si stima che, nonostante l’intensa campagna vaccinale, il
15%-20% delle donne con più di 15 anni non abbia anticorpi contro questo virus. La gravità delle conseguenze dell’infezione dipende dal periodo gestazionale in cui il virus viene
contratto: il rischio, pari all’80% al primo mese, si riduce progressivamente all’1% al nono. Il neonato presenta la caratteristica triade di Gregg: cataratta, malformazioni cardiache
e anomalie dell’organo di Corti, che causano sordità spesso
molto severa e asimmetrica, con curva piatta e progressiva
per alterazioni del canale cocleare e del sacculo.
Citomegalovirus (CMV)
La sindrome da CMV si manifesta con epatite e cirrosi, anemia eritroblastica, alterazioni neurologiche e ipoacusia: la
sordità si manifesta quindi all’interno di un quadro neurologico più ampio. Il CMV è la più frequente causa di sordità
pre- e perinatale per cause infettive. Il rischio è del 5% e,
nella maggior parte dei casi, è bilaterale e grave, con accentuazione sulle alte frequenze. Non esistono predittori
indicativi di sviluppo della patologia, il bambino va quindi
seguito fino ai 6 anni, ma l’eventuale impianto cocleare dà
ottimi risultati.1
Toxoplasmosi
È un’infezione frequente, interessa circa 1/3.000 gravidanze. La sordità può essere sia congenita sia postnatale: fino a
1 neonato affetto su 4 svilupperà un’ipoacusia uni- o bilaterale, spesso progressiva.
Forme tossiche
Come noto alcuni farmaci possono alterare lo sviluppo fetale, se somministrati in gravidanza. L’effetto dipende dall’età
gestazionale, dalla potenza e dal dosaggio del farmaco: prima del 20° giorno di gestazione in genere l’effetto è però del
tipo “tutto o nulla”.
Molti farmaci sono ototossici, ma esiste una predisposizione
genetica: alcune mutazioni del DNA mitocondriale possono
ad esempio aumentare la suscettibilità agli aminoglicosidi. I
farmaci sono responsabili del 2-3% delle malformazioni congenite: il resto è da attribuire a cause genetiche, ambientali
o idiopatiche. Il fumo di tabacco provoca basso peso alla
nascita, prematurità ed è causa di malformazione negli stadi
maturativi più precoci. Il 14% delle nascite pretermine negli
Stati Uniti è dovuta al fumo. Per quanto riguarda l’esposizione del feto all’alcol l’effetto dipende, ancora una volta,
dall’età gestazionale: nel primo trimestre i danni sono potenzialmente più gravi.
Forme ipossiche
La sordità da ipossia causata, per esempio, da una sofferenza fetale dovuta a un parto molto lungo, è di tipo neurosensoriale e si associa a pesanti danni al sistema nervoso
centrale.
Forme dismetaboliche: diabete gestazionale
I nati da madri diabetiche sono più a rischio di sequele oculo-auricolo-vertebrali: può essere presente ipoacusia associata ad anomalie cardiache, renali e cerebrali.
Forme traumatiche
Anche un trauma acustico può causare sordità: i neonati
ricoverati a lungo in terapia intensiva, ad esempio, sono sottoposti a stimoli uditivi provenienti dalle apparecchiature presenti in sala; ciò può provocare danni, particolarmente gravi
se si considera che i pazienti afferenti a questi reparti sono
tendenzialmente prematuri e quindi più vulnerabili.
Forme perinatali
Prematurità
Solo il 20% dei bambini che nasce prima delle 25 settimane
di gestazione non presenterà deficit evolutivi, tra cui anche la
sordità (3-4% dei casi), in epoche successive alla dimissione.
Meningite
Dal 4 al 10% dei casi di sordità infantile è conseguente a una
complicanza della meningite, ma, se si considerano solo le
sordità perinatali, il tasso sale al 37%. La sordità secondaria
a meningite, spesso bilaterale e di grado severo-profondo,
è causata da una diffusione dell’infezione al labirinto. Il problema principale è il processo di ossificazione del labirinto
dato dalla labirintite: quando viene rilevata questa situazione
si deve quindi procedere all’impianto cocleare prima dell’obliterazione completa del dotto.
Cause genetiche
I loci mappati associati alla sordità sono numerosissimi e le principali patologie uditive a eziologia genetica sono di tipo autosomico recessivo, ma la componente genetica non può prescindere dal fattore ambientale in questo tipo di disturbi; identificare
la mutazione genetica non significa pertanto matematicamente
individuare il problema, perché non sempre al genotipo corrisponde un fenotipo specifico. Lo screening genetico non può
quindi prescindere da un accurato esame audiologico. Il primo
locus identificato è stato quello del gene GJB2 che codifica per
la connessina 26: il risultato della mutazione è la produzione
di una proteina-canale malformata che impedisce il passaggio
di ioni; nell’orecchio interno questa anomalia causa ipoacusia
quasi sempre congenita di grado severo o profondo, bilaterale,
non sindromica, a trasmissione autosomica recessiva. L’assenza di malformazioni all’orecchio interno e di coinvolgimento
vestibolare rende i soggetti affetti ottimi candidati all’impianto.
La mutazione più frequente è la 35delG, ma ne esistono diversi
tipi che causano o meno l’interruzione della codifica della proteina, con esito fenotipico differente.
Gli esami genetici quindi, pur non dirimenti, sono comunque
molto importanti per chiarire il quadro clinico dei pazienti.
Bibliografia essenziale
1) Ciorba A et al. Eur Arch Otorinolaryngol 2009;26:1539-46.
5
REPORT C
CRITICITà NELLA DIAGNOSI AUDIOLOGICA INFANTILE
A cura di Guido Conti
Istituto di Clinica Otorinolaringoiatrica Dipartimento di Scienze Chirurgiche Testa e Collo Università Cattolica del S. Cuore - Roma
Lo screening audiologico neonatale ha determinato una
“rivoluzione silenziosa”1 nella gestione delle ipoacusie infantili, essendo lo strumento indispensabile per attivare gli
interventi terapeutici e dare valore alle tecnologie di altissimo livello di cui disponiamo per trattare i pazienti affetti da
ipoacusia. Il programma di intervento audiologico infantile si
ispira comunemente alle linee guida del Joint Committee on
Infant Hearing,2 che prevedono l’attuazione dello screening
universale alla nascita, il re-test dei risultati refer e il recupero
dei casi persi o incompleti entro il primo mese, per arrivare a
una valutazione diagnostica “definitiva” entro i primi tre mesi.
A queste fasi preliminari segue l’attivazione dell’eventuale
programma riabilitativo, nell’ambito del quale si verificano la
correttezza della diagnosi e i risultati dell’intervento abilitativo. Entro i primi sei mesi vengono attuate le valutazioni cliniche integrative, per la diagnosi eziologica e l’individuazione
di disturbi associati all’ipoacusia.
L’elettrofisiologia riveste un ruolo fondamentale tra le procedure di screening, ma, soprattutto, nella diagnosi “definitiva”.
Tra i metodi della diagnosi elettrofisiologica, il più diffusamente impiegato e affidabile è la registrazione dei potenziali
troncoencefalici (Auditory Brainstem Response, ABR). Questa permette, infatti, di ottenere le informazioni essenziali alla
determinazione della soglia uditiva dato che, determinata la
soglia elettrofisiologica, da essa si potrà derivare la soglia
psicoacustica/audiometrica. La valutazione elettrofisiologica
è molto utile anche ai fini della diagnosi di natura dell’ipoacusia: lo studio delle funzioni ingresso [(intensità dello stimolo)/
uscita (latenza) dei potenziali evocati uditivi (PEU)] permette
di distinguere una forma trasmissiva da una neurosensoriale
con un buon grado di affidabilità.
Gli stimoli utilizzati in audiometria obiettiva sono transitori
(click).
Questi stimoli di breve durata permettono un’ottimale sincronizzazione dell’attivazione neurale, ma presentano una
scarsa specificità in frequenza, con la massima energia concentrata tra 1 e 8 kHz.
Questo riduce molto le informazioni audiometriche per le
frequenze inferiori e rende ragione delle discrepanze rilevate
tra la valutazione elettrofisiologica e quella comportamentale
(anche di 20/30 dB), con possibilità di incorrere in errori falsi
positivi, sovrastimando l’entità dell’ipoacusia.3 Esiste inoltre la possibilità che l’elettrofisiologia fornisca risultati falsi
negativi, con sottostima della perdita uditiva (p.e. nel caso
di profilo audiometrico “in salita”); può, quindi, essere necessario ricorrere a procedure che migliorino la specificità in
frequenza, ad esempio utilizzando stimoli semitransitori, che
presentano una maggiore caratterizzazione in frequenza.4
6
Un’altra strategia potrebbe essere quella di utilizzare particolari potenziali obbligati, come i potenziali di stato stazionario a 40 Hz, o quelli più recenti, con frequenza del segnale
che si colloca tra 80 e 100 Hz, che possono essere estratti
dal segnale EEG con un’analisi nel dominio della frequenza
(analisi di spettro). Questi potenziali possono essere ottenuti in risposta a stimoli tonali, modulati (in ampiezza e/o
frequenza) con una frequenza di modulazione appropriata
(40 o 80-100 Hz). La correlazione tra le soglie audiometriche
determinate con questi potenziali e quelle comportamentali
sembra buona.
Le discrepanze, soprattutto per la soglia alle frequenze medie e basse, insieme al fatto che le procedure sono lente e
complesse, hanno, di fatto, limitato la diffusione di queste
risposte nell’uso clinico.
I dati elettrofisiologici forniscono informazioni molto utili
anche per definire la natura trasmissiva o neurosensoriale
dell’ipoacusia. Il comportamento della latenza dell’onda V
dell’ABR permette di distinguere le forme trasmissive (in cui
la funzione intensità/latenza è spostata verso destra rispetto al normale) dalle forme neurosensoriali cocleari (in cui la
latenza è prossima a quella del soggetto normale). D’altra
parte lo studio dei parametri delle risposte ABR può fornire
informazioni sullo stato delle vie uditive retrococleari. Anche
nella diagnosi di sede di lesione, l’affidabilità dei test elettrofisiologici non è, però, categorica e presenta limiti che devono essere tenuti presenti e valutati con attenzione. Un test
elettrofisiologico che mantiene un’importanza essenziale per
la valutazione monoaurale della funzionalità periferica (cocleare e neurale) è l’elettrococleografia (ECochG), con derivazione trans-timpanica del segnale. Questa metodica deve
considerarsi di seconda scelta e riservata ai casi dubbi, per
la necessità di effettuarla in regime di ricovero in anestesia
generale.
Tutte queste criticità danno valore all’importanza di un approccio alla diagnosi obiettiva in età precoce basato su
un’integrazione di tutti i dati, obiettivi, clinici e strumentali,
anche extra-audiologici, che, nella maggior parte dei casi
e con un processo decisionale quale viene rappresentato
nella Figura 1, è in grado di definire adeguatamente l’entità
e i caratteri fisiopatologici della disfunzione uditiva, la cui conoscenza è essenziale all’attivazione precoce del percorso
abilitativo.
In conclusione si deve considerare che, soprattutto negli
ultimi vent’anni, l’approccio diagnostico e le conseguenti
possibilità di intervento sui pazienti pediatrici con disfunzioni uditive sono notevolmente progrediti e sono attualmente
caratterizzati da un’elevata affidabilità. Rimangono, tuttavia,
CORSO CRS
Otoscopia
Tgr
RCS
OEA
N
A
N
N
P
B/C
-
P
B/C
N
ABR
(in/out)
Tipologia
≤30
(N)
nrm
-
≤40
(T)
trm
-
-
>40/-
(T)?
trm/mxt?
A
N/
-
≤30
(C)
nrs
N
A
-/
-
≤90
(C)
nrs
N
A
-
-
-
-
nrs?
N
A
N/a
N/a
(a/-)
AN/SN
a/-
Figura 1. Diagnosi audiologica infantile integrata.
Vengono schematizzate le definizioni diagnostiche derivate dall’integrazione dei dati delle diverse procedure strumentali (tgr: timpanometria; RCS; soglia
dei riflessi cocleo-stapediali; OEA: oto-emissioni acustiche; ABR: potenziali troncoencefalici) e dell’otoscopia. L’insieme dei dati permette di definire l’esistenza, l’entità e la natura (nrm: normoacusia; trm: ipoacusia trasmissiva; mxt: ipoacusia mista; nrs: ipoacusia neurosensoriale; AN: neuropatia uditiva;
SN: dissincronia neurale) del deficit. Per l’ABR vengono riportati i valori di soglia stimata in dB HL e i risultati dello studio della funzione intensità/latenza
dell’onda V (T: trasmissivo; C: cocleare). Per la timpanometria vengono indicati i tipi, secondo la classificazione di Jerger. In tutti gli altri casi N: normale; P:
patologico; a: anomalo; : soglia innalzata; −: assente. Da 5.
aperti alcuni problemi che devono essere affrontati e risolti per migliorare ulteriormente gli outcome, in particolare la
possibilità di determinare la soglia audiometrica con maggiore precisione per le frequenze gravi e medie; discriminare
in modo più efficiente la sede della disfunzione e la gestione
dei casi in cui si evidenzia un’assenza di risposte elettrofisiologiche, ove può risultare complessa la decisione sull’indicazione abilitativa (protesi acustica vs impianto cocleare).
Esistono, infine, criticità legate ad aspetti di natura organizzativa e procedurale, non ultimo il problema della sedazione,
essenziale per poter eseguire alcune procedure in pazienti
così piccoli:6,7
Le procedure di indagine dovranno sempre tenere conto del
rapporto rischio/beneficio e la loro selezione andrà valuta-
ta individualmente per ogni soggetto, senza trascurare un
ulteriore elemento di variabilità determinato dall’esperienza
e dalle condizioni organizzative/strutturali delle singole unità
operative di Audiologia.
Bibliografia essenziale
1) Morton C, Nance W. N Engl J Med 2006;354:2151-64.
2) Joint Committee on Infant Hearing, 2007. www.asha.org.
3) Delaroche M et al. Int J Ped Otorhinolaryngol 2006;70:993-1002.
4) Gorga MP et al. Ear Hearing 2006;27:60-74.
5) Conti G, Gallus R. Cap. 24 in “Ipoacusie infantili. Dalla diagnosi alla
terapia”, ed. G. Paludetti. Edizioni Omega, Torino, 2011.
6) Reich DS, Wiatrak BJ. Int J Ped Otorhinolaryngol 1996;38:131-41.
7) Akin A et al. Int J Ped Otorhinolaryngol 2005;69:1541-5.
7
REPORT C
PROBLEMATICHE NEUROPSICHIATRICHE
ASSOCIATE ALL’IPOACUSIA INFANTILE
A cura di Anna Chilosi
Dipartimento di Neuroscienze dell’età evolutiva IRCCS Fondazione Stella Maris U.O. di Neurologia e Neuroriabilitazione - Pisa
La perdita uditiva ha precoci effetti sullo sviluppo emotivo
e sociale del bambino, anche in assenza di disabilità
neuropsichiche (NPI) associate alla sordità: la mancata
percezione degli stimoli uditivi, su cui si innesca lo stimolo
linguistico, può infatti causare non solo gravi ritardi o
deficit nel processo di apprendimento del linguaggio, ma
anche interferire con i processi di formazione del sé e di
separazione/individuazione.
In uno studio condotto presso il nostro Centro è stato esaminata l’interazione madre-figlio, udente o non udente, applicando una scala di valutazione già validata in altre pubblicazioni.1 L’età media dei bambini era di 18 mesi. L’analisi
ha rivelato che nei bambini sordi, pur essendo preservate
abilità di base come il sorriso, lo sguardo e la sintonia posturale, emergevano maggiori difficoltà nelle vocalizzazioni
e nelle attività simboliche ed esplorative e, soprattutto, nelle
aree dell’intersoggettività, cioè della condivisione dell’attività
mentale con l’altro. Quindi i bambini ipoacusici trovano più
difficile anticipare le intenzioni dell’altro, sono meno empatici. Tuttavia, a pochi mesi dalla riafferentazione uditiva, sono
in grado di recuperare in maniera veloce e significativa in
ambito intersoggettivo, rimanendo però ancora immaturi,
rispetto ai normoudenti, nella comunicazione verbale, extraverbale e nel gioco simbolico. Dopo impianto o protesizzazione è pertanto necessario fornire un adeguato counselling
ai genitori sulle modalità interattive precoci e sulle aspettative di recupero.
La possibilità di sentire la voce dei genitori è fondamentale
per l’educazione agli stimoli e all’attenzione, per regolare le
interazioni a distanza che facilitano i processi di individuazione-separazione, nonché per facilitare l’attaccamento; nel
bambino sordo questa opportunità è ostacolata, e ciò lo
mette maggiormente a rischio di disturbi della relazione e
della regolazione emotiva. In letteratura si riscontra un’elevata associazione tra disturbi dell’udito e problemi psichiatrici (15-60%)2,3 e la possibilità di sviluppare un disturbo dello
spettro autistico (DSA) è fino a 4 volte superiore rispetto agli
udenti.4 È dunque fondamentale inquadrare la situazione di
ipoacusia il più precocemente possibile per intervenire al più
presto.
In uno studio da me coordinato sono stati valutati frequenza, tipo e severità di patologie neurologiche associate alle
diverse eziologie di sordità grave e profonda, cercando di
identificare dei fattori prognostici attraverso l’applicazione di
un protocollo che prevedeva anche indagini neuroradiologiche, neurometaboliche e genetiche. Abbiamo pertanto ar-
8
ruolato 100 bambini con sordità neurosensoriale profonda.
I soggetti erano impiantati o portatori di apparecchi acustici.
Le disabilità NPI individuate, anche compresenti, includevano disturbi cognitivi, autismo, disordini motori ed emotivo-comportamentali. Le categorie eziologiche di sordità in
cui i pazienti sono stati catalogati sono state mutuate da
Rajput e colleghi:5 il nostro campione era molto eterogeneo, nel 50% dei casi la sordità era di tipo ereditario non
sindromico e sconosciuto, nel 17% aveva cause perinatali,
nel 12% presumibilmente sindromiche e l’8% era dovuto a
infezioni intrauterine.
L’eziologia è risultata un indicatore rilevante per la presenza
di disabilità addizionali: nelle sordità non sindromiche e in
quelle sconosciute prevalevano i disturbi del comportamento,
nelle ereditarie sindromiche e nelle presunte sindromiche
erano più frequenti i disturbi cognitivi e motori, mentre
nelle perinatali quelli del movimento. Dal punto di vista
dell’outcome linguistico è emerso come nella sordità a
eziologia sconosciuta o ereditaria non sindromica il 67%
dei bambini accedeva a un linguaggio combinatorio, solo il
33% rimaneva a livello preverbale/olofrastico, ma il quadro si
invertiva se l’eziologia era sindromica o presunta tale.
La significativa associazione fra disabilità uditiva e disturbi NPI
dimostra l’esigenza di un’approfondita valutazione clinicoeziologica e un corretto inquadramento della disabilità, in
termini sia di tipologia sia di gravità, per pianificare gli interventi
più corretti, in particolare per la scelta di procedere con un
impianto o una protesizzazione acustica.6 In uno studio,
sempre condotto dal nostro gruppo di ricerca, abbiamo
confrontato bambini portatori di Impianto Cocleare (IC) e
protesizzati, concludendo che il livello espressivo raggiunto dai
pazienti impiantati era significativamente più evoluto rispetto a
quelli con protesi. Ciò può dipendere dal fatto che i bambini
impiantati fossero meno gravi, ma anche dalle maggiori
possibilità che l’IC può offrire per lo sviluppo del linguaggio.
Non esiste, al momento, un accordo esaustivo nella comunità scientifica riguardo all’utilità dell’IC nei bambini con disabilità psichiche e multiple, a causa della scarsità di dati
epidemiologici, dell’elevata eterogeneità dei soggetti inclusi
negli studi e dell’insufficiente definizione degli outcome. Tra
i fattori prognostici per il successo dell’impianto l’eziologia
della sordità e la presenza o meno di disabilità associate
sono fattori cruciali.
È stato inoltre dimostrato che esiste una correlazione significativa tra quoziente intellettivo e capacità linguistiche e uditive raggiunte dopo IC7 e che le capacità cognitive non verbali
CORSO CRS
sono risultate tra i predittori più significativi per il successivo
sviluppo linguistico. La presenza di disabilità associate non
è dunque di per sé una controindicazione per l’IC, ma non
tutti i bambini sordi con disabilità multiple possono essere
considerati dei buoni candidati.
In generale, seppure il loro outcome possa essere limitato
dai loro deficit addizionali, queste limitazioni non appaiono
precludere benefici nella percezione dello speech, nell’ottenimento di migliori abilità comunicative e di miglioramenti sulla qualità della vita. I genitori devono essere informati
sulle aspettative realistiche e sostenuti da un appropriato
counselling da parte del team multidisciplinare. Va ricordato
che anche nei bambini con disabilità multiple è presente una
grande plasticità che, se si interviene precocemente, può
modificare in modo sostanziale l’approccio all’ambiente.
Bibliografia essenziale
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LA PROTESIZZAZIONE ACUSTICA IN ETà INFANTILE
A cura di Pietro Scimemi
Università di Padova, Dip. Neuroscienze SNPSRR Ospedale Ca’ Foncello - ULSS 9 di Treviso U.O.C. di Audiologia e Foniatria
L’applicazione di apparecchi acustici è il primo atto da compiere nel tentativo di ripristinare l’ingresso uditivo del bambino sordo e, ovviamente, precede l’eventuale l’applicazione
di un Impianto Cocleare (IC). Anche nei casi di sicura indicazione all’IC, la protesizzazione acustica rimane dunque
un momento fondamentale dell’iter protesico-riabilitativo;
l’applicazione di protesi infatti contribuisce quasi sempre
alla definizione più precisa dell’entità della perdita uditiva,
rappresentando quindi un momento rilevante per decidere
riguardo a un’eventuale candidatura all’applicazione di un
IC. L’individuazione e l’intervento devono essere effettuati il
prima possibile, entro i 6 mesi di età.1
Nell’area di Treviso i pazienti che afferiscono al Dipartimento di Audiologia e Foniatria perché portatori di ausili uditivi
sono circa 1.500: quasi il 70% ha almeno 60 anni. I pazienti
pediatrici sono solo il 10% (Figura 1), ma rappresentano i
soggetti a cui rivolgere attenzioni maggiori.
80%
69,84%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0
20,04%
10,12%
<18 anni
18-59 anni
>59 anni
Figura 1. Distribuzione dei pazienti afferenti al servizio audiologico
di Treviso in base alla fascia di età.
Una protesizzazione precoce permette infatti un buon recupero funzionale percettivo uditivo e, in epoca infantile, rende
possibile l’acquisizione e lo sviluppo del linguaggio verbale. Il
bambino ha bisogno di sentire meglio di un adulto, perché
deve saper riconoscere e apprendere per la prima volta i codici o pattern percettivi verbali. La protesizzazione, di contro,
è più difficile rispetto all’adulto, innanzitutto perché il bambino
si sviluppa rapidamente sia a livello staturale sia evolvendo dal
punto di vista percettivo e comunicativo, e poi per le difficoltà di stabilire l’effettiva efficienza dell’ausilio. L’approccio deve
pertanto essere sistematico e finalizzato a ottenere dati quantificabili oggettivamente, per assicurare al bambino il miglior
settaggio (best fitting), ovvero la migliore amplificazione nel
maggior comfort e in tempi brevi. In questo processo, le figure
professionali di riferimento sono il medico specialista Audiologo-Foniatra o ORL, il tecnico audiometrista, il tecnico audioprotesista e la logopedista, che devono necessariamente
lavorare in stretto rapporto tra loro per impostare il programma
riabilitativo più adeguato.
La soglia audiometrica, rilevata con metodica psicoacustica
mediante tecniche di condizionamento, è un indicatore essenziale per stabilire la candidatura alla protesizzazione: una soglia
superiore ai 25 dB, come media per le frequenze dell’orecchio
migliore, potrebbe rendere difficoltosa o rallentare l’acquisizione del linguaggio. Una soglia nell’orecchio migliore >40 dB HL
(frequenze 0,5-1-2-4 kHz) rende il paziente un buon candidato. Nel caso in cui il bambino non sia in grado di fornire
risposte sufficientemente attendibili all’esame audiometrico,
per esempio poiché molto piccolo e quindi non collaborante
all’esame, si utilizza la soglia audiometrica stimata mediante
la registrazione dei potenziali evocati uditivi troncoencefalici
(ABR) in risposta a uno stimolo acustico impulsivo (click). Si
tratta di una metodica diagnostica in campo audiologico di
tipo oggettivo, utilizzabile anche nel neonato, e fornisce una
9
REPORT C
stima di soglia assai affidabile, espressa in dB nHL. Il valore di
soglia è considerato normale quando è presente una risposta
neurale a stimoli di intensità ≤30 dB nHL. Se la soglia è bilateralmente >30 dB nHL, viene confermata da una successiva
registrazione ed è coerente con i risultati della timpanometria e
da quelli ottenuti dalla registrazione delle otoemissioni acustiche, il bambino è candidabile a un’amplificazione acustica e va
trattato con la massima cura. La decisione finale non può prescindere da un’importante considerazione: in età pediatrica,
qualunque tipo e grado di difficoltà uditiva o percettiva verbale,
anche in presenza di audiometria normale, è suscettibile di essere trattata con beneficio mediante l’utilizzo di un apparecchio acustico o di un altro dispositivo che aumenti l’efficienza
dell’ingresso uditivo. Per quanto riguarda invece le caratteristiche degli apparecchi acustici, oramai tutti solo a tecnologia
digitale, la cosa più importante è preferire, sempre, un apparecchio retroauricolare (BTE, Behind The Ear) tradizionale con
chiocciola auricolare su misura. L’utilizzo di un ricevitore nel
condotto (RIC o RITE) prima dei 5 anni è infatti sconsigliato,
sia per garantire la funzionalità sia per le modifiche rapide del
padiglione auricolare del bambino: gli apparecchi RITE sono
infatti più delicati rispetto ai BTE, quindi poco adatti a un bambino, e la resistenza, l’affidabilità e la sicurezza sono aspetti
fondamentali in questi pazienti. Trovare la soluzione che meglio
si adatta al bambino al momento della prima applicazione pro-
tesica è di fondamentale importanza perché, nel caso fosse
necessario cambiare marca di protesi, l’elevata diversità del
software di programmazione e la conseguente necessità di fitting assai differente renderebbero complicato il cambiamento
in un soggetto che non è in grado di fornire indicazioni precise
sull’efficacia dell’amplificazione. È consigliabile pertanto verificare accuratamente la prima protesizzazione, assicurandosi
che sia effettivamente la soluzione migliore, onde evitare di
dover modificare l’apparecchio. Prima di applicare la protesi è
necessario eseguire delle valutazioni mediante orecchio elettronico, per capire se l’apparecchio funziona e registrarne le
caratteristiche: uscita massima, guadagno e distorsione. Inoltre, quando possibile, sarebbe auspicabile effettuare misure
protesiche direttamente sul paziente, o in vivo, per ottenere dei
dati più attendibili, da confrontare con quelli ottenuti mediante
audiometria protesica in campo libero. Una volta raggiunto il
best fitting protesico, è necessario misurare il beneficio protesico confrontando le abilità percettive del bambino rilevate in
assenza e in presenza di amplificazione. Infine sono necessari
un adeguato counselling e il costante follow-up, con controlli
audiologici ogni tre mesi durante il primo anno, successivamente ogni sei mesi e, solo dopo l’acquisizione del linguaggio,
una volta all’anno.
Bibliografia essenziale
1) Joint Committee on Infant Hearing, 2007. www.asha.org.
LA VALUTAZIONE AUDIOLOGICA COME STRUMENTO
PER L’INDICAZIONE ALL’IMPIANTO COCLEARE E LA
SUCCESSIVA REGOLAZIONE
A cura di Patrizia Mancini
Dipartimento Organi di Senso, Centro Impianti Cocleari, Università Sapienza/Policlinico Umberto I Roma.
L’approccio moderno al trattamento del bambino ipoacusico
è necessariamente un approccio di tipo multidisciplinare e prevede il coinvolgimento di diverse figure specialistiche, nonché
della famiglia del piccolo paziente. L’Impianto Cocleare (IC) è,
oggi, una scelta che davvero può cambiare la percezione della
realtà che circonda un bambino affetto da sordità, purché vengano rispettati gli step riabilitativi necessari alla messa a punto
dell’impianto e le aspettative riguardo agli esiti siano realistiche.1 Grazie a un attento follow-up dei pazienti, al progredire
della ricerca scientifica e degli aspetti tecnologici, le indicazioni
agli IC stanno cambiando, per venire incontro alle esigenze di
pazienti con forme di sordità grave/severa. È necessario tenere presente infatti che queste ipoacusie, anche se assistite da
un’attenta protesizzazione acustica, spesso risentono di una
percezione uditiva deficitaria sulle alte frequenze, che interferisce con la comprensione del linguaggio.
Dal punto di vista delle caratteristiche acustico-articolatorie del
parlato, la regione delle frequenze medio-acute permette di di-
10
stinguere il luogo di articolazione, fondamentale per la classificazione delle vocali e delle consonanti. Sulle frequenze gravi
poggia invece il voicing, l’intensità globale del parlato, mentre
sull’intero spettro si distribuisce il modo di articolazione (occlusione, fricazione, africazione). Nelle forme neurosensoriali
in discesa, l’apparecchio acustico supporta soprattutto informazioni legate al tratto sordo/sonoro e, in parte, al modo di
articolazione, fornisce una buona percezione del timbro musicale, ma presenta uno scarso riconoscimento in quiete e nel
rumore. L’IC, di contro, supporta le informazioni sul luogo di
articolazione e ha un ottimo riconoscimento in quiete, a fronte
di una scarsa risoluzione in frequenza.
Queste caratteristiche sinergiche rappresentano un buon razionale per l’indicazione, laddove le condizioni audiologiche lo
consentano, all’utilizzo, nello stesso paziente, di entrambi gli
strumenti, ovvero l’ascolto bimodale. Tuttavia i risultati descritti
in letteratura non sono omogenei: alcuni Autori hanno infatti
dimostrato che il guadagno nella comprensione del linguaggio
CORSO CRS
migliora del 40% rispetto all’ascolto con il solo IC2-4 e che
nei bambini le performance nel riconoscimento di parole e
nella discriminazione del pitch sono migliori;4 altri studi hanno invece rilevato in alcuni soggetti un deterioramento della
percezione uditiva in ascolto bimodale, e un elevato grado
di abbandono dell’uso dell’apparecchio acustico.5 Questi risultati contrastanti sono in parte dovuti agli strumenti con cui
misuriamo il beneficio protesico. Quest’ultimo non può essere
misurato solo in termini di recupero quantitativo della soglia
tonale, bensì esiste anche un criterio qualitativo: ad esempio,
due individui con la stessa soglia in campo libero possono
avere, nell’udito residuo, abilità di risoluzione frequenziale
molto diverse.6 Un’indicazione all’IC in pazienti con residui
alle frequenze gravi, che non tenga conto dell’effettiva utilità dell’udito residuo, può non portare i benefici auspicati dal
paziente. Il solo criterio basato sul riconoscimento di frasi in
quiete (le indicazioni internazionali nell’adulto pongono il limite
a un livello ≤50%) o nel rumore (il cui limite è spesso definito
da un riconoscimento ≤20% per un rapporto segnale/rumore
di +10) non è sufficiente per porre indicazioni all’IC bilaterale versus bimodale. La valutazione audiologica dovrà quindi
prendere in considerazione elementi quali il campo frequenziale amplificato e l’ampiezza del campo dinamico, nonché la
capacità di risoluzione spettrale dell’udito residuo.7 Sono in
fase di messa a punto, e quindi non ancora utilizzabili in pratica clinica, prove psicoacustiche i cui risultati ci descrivono in
modo più accurato l’udito residuo e meglio si correlano con la
percezione uditiva in condizioni di ascolto difficili.8
HC
Nella valutazione pre e post impianto nei bambini dai 6-8
anni di età può essere utilizzato il segnale/rumore; questo
test rivela molte informazioni riguardo alla capacità di riconoscimento a diversi livelli di competizione, ma purtroppo è
una misura indiretta della qualità del percepito. Presso il nostro Centro, in associazione agli esami tradizionali (otoemissioni, potenziali evocati, audiometria comportamentale, etc)
impieghiamo, nei bambini, la discriminazione fonemica, già
eseguibile a un anno di età,9 e la discriminazione del pitch,10
a partire dai 5 anni. La discriminazione fonemica è un’abilità precoce (di solito è rilevabile intorno all’anno di vita nei
normoudenti ed è la prima abilità che si sviluppa dopo IC) e
viene influenzata in modo predominante dalle caratteristiche
di analisi della coclea, mentre lo è in modo minore dalle funzioni cognitive.
La discriminazione del pitch avviene attraverso un test di
modulazione spettrale che utilizza complessi armonici (Figura 1, righe bianche): nel test HI viene presentata, random,
una variazione della armonica fondamentale (<750 Hz) (F0)
e delle armoniche superiori (F1-3), mentre nel test DI varia
la sola F0. Il test HI è quindi più semplice, mentre DI è percettivamente molto più difficile, ma anche più sensibile e
specifico. Nel nostro Centro stiamo validando questo test
nei bambini.11 I risultati preliminari hanno messo in evidenza
come i bambini con IC rivelino performance inferiori rispetto
ai normoudenti di pari età, e nell’ascolto bimodale la percezione uditiva è risultata migliore se paragonata all’ascolto
con il solo impianto cocleare.
HI
DI
2500
2500
2000
2000
2000
1500
1500
1500
1000
1000
1000
500
500
500
Hz
2500
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
Tempo (secondi)
Figura 1. Test di modulazione spettrale.
Bibliografia essenziale
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11
REPORT C
LO SVILUPPO COMUNICATIVO-LINGUISTICO NEL
BAMBINO CON IMPIANTO COCLEARE IN EPOCA
PRECOCE
A cura di Tina Wakefield
Ear Foundation Educational Consultant for National Deaf Children’s Society
Gli strumenti che, nel tempo, sono stati messi a nostra disposizione per migliorare l’assistenza dei non udenti hanno
consentito di fare enormi passi in avanti in questo campo,
tanto che oggi i bambini ipoacusici possono essere inseriti
con successo all’interno di un flusso didattico tradizionale,
insieme ai bambini normoudenti. È importante però ricordare che, perché un bambino non udente possa sviluppare un
adeguato percorso comunicazionale e relazionale, tre fattori
devono interagire in maniera efficace: il bambino stesso, la
tecnologia e l’ambiente circostante (in particolare la famiglia
e la scuola); l’associazione di cui faccio parte, la Ear Foundation, si pone come obiettivo proprio quello di stabilire un
ponte tra Specialisti, scienza, famiglie e bambini.
Molti fattori possono influire sull’acquisizione e lo sviluppo del
linguaggio di un bambino ipoacusico: l’età alla diagnosi, il tipo
di impianto (mono- o bilaterale), l’età cui esso è stato eseguito
e altri possibili disturbi del linguaggio che si associano a quelli
derivanti dalla sordità.1,2 Il rapporto che si instaura tra la famiglia e il Centro che ha in carico il bambino fa inoltre una grande differenza in termini di successo, così come un corretto ed
efficiente coinvolgimento del personale scolastico, oltre che
della famiglia: insegnanti e genitori devono essere adeguatamente istruiti per garantire sempre un funzionamento corretto
e costante del device uditivo e segnalare eventuali variazioni
nel comportamento del bambino, spie importanti per una rivalutazione del caso.
È importante sottolineare che i bambini non udenti non hanno
una capacità di ascolto innata, ma la devono acquisire, e con
un certo ritardo rispetto ai loro coetanei: a questo scopo sono
disponibili diversi strumenti per aiutare i caregiver a implementare il linguaggio e l’ascolto nei bambini che non hanno avuto
in precedenza questa esperienza. Dal momento che si tratta
in genere di bambini anche molto piccoli, tutto deve avere la
dimensione del gioco: l’ascolto deve quindi innanzitutto essere un divertimento e la comunicazione andrebbe modulata in
senso cantilenante, lasciando numerose pause in modo che
il bambino possa riflettere su ciò che gli è stato detto. La televisione è sconsigliata, in quanto distrae il bambino dal processo di apprendimento,3 e la letteratura ha evidenziato una
correlazione diretta tra esposizione al linguaggio verbale e capacità di espressione.4 Le difficoltà eventualmente incontrate
devono essere identificate e affrontate, in sinergia tra Specialisti e famiglia. Esistono dei metodi quantitativi per analizzare
i progressi: uno è il Language Environment Analysis (LENA),
un sistema professionale di rilevazione e analisi del linguaggio
12
che i genitori possono utilizzare per verificare l’appropriatezza
del loro modo di parlare con il bambino.
Stimolando in maniera adeguata il bambino non udente possiamo ottenere una comunicazione efficiente, sia in ambiente
clinico, sia a casa. È importante l’incoraggiamento ed è necessario cercare di evitare le situazioni che lo fanno sentire
sotto esame; il segreto, come già sottolineato, è cercare di
rendere tutto divertente, evitando di porre eccessiva enfasi
sulle performance e coinvolgendo il piccolo paziente in giochi finalizzati al riconoscimento del suono e del silenzio, con
l’ausilio, se necessario, del linguaggio del corpo. Il bambino
imparerà con il tempo a riconoscere i vari suoni e ad avere una capacità di concentrazione e attenzione maggiore:
distinguerà suoni e voci familiari, sarà in grado di ascoltare
senza guardare e, aspetto fondamentale per lo sviluppo relazionale e comunicativo, inizierà a comprendere e a partecipare a routine più complesse grazie al fatto che le parole
acquisiranno per lui significato, avviando un processo che lo
vedrà coinvolto, insieme alle figure di riferimento, in una vera
e propria forma di interazione. Anche l’interazione deve però
essere percepita dal bambino come qualcosa di piacevole e
stimolante, e i tempi e le modalità individuali con cui questa si
sviluppa vanno certamente rispettati: inizialmente il bambino,
ad esempio, potrebbe non comunicare utilizzando le parole,
ma con altri mezzi, e bisogna tenere in considerazione che i
bambini ipoacusici presentano, rispetto ai loro compagni normoudenti, un ritardo nell’utilizzo sociale del linguaggio, che
è l’abilità più complicata da acquisire5 e anche da valutare
oggettivamente.
In conclusione, per valutare correttamente un bambino con
difficoltà uditive è necessario, innanzitutto, guardarlo e ascoltarlo con attenzione, facendogli capire che quello che fa e che
dice suscita il nostro interesse, prendendo nota dei cambiamenti e dandogli la possibilità, con i suoi modi e i suoi tempi,
di esprimersi a sua volta, senza correggere eccessivamente,
portando pazienza se incontra difficoltà e promuovendo l’interazione.
Bibliografia essenziale
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5) Goberis D et al. Semin Speech Lang 2012;33:297-309.
CORSO CRS
LE PROTESI IMPIANTABILI IN ETà PEDIATRICA
A cura di Luca Bruschini
U.O.C. ORL Audiologia e Foniatria Universitaria - Pisa
La varietà di protesi impiantabili attualmente a disposizione
è molto ampia: per le due categorie principali - gli impianti
per via ossea e quelli a stimolazione diretta cocleare - esistono infatti numerose soluzioni tra cui è possibile scegliere.
Le opzioni si riducono però notevolmente quando il beneficiario è un bambino: le protesi adatte a loro sono in tutto
quattro, tre per via ossea (Baha®, Ponto, Sophono) e solo
una a stimolazione cocleare (Vibrant Soundbridge®).
La protesi Baha® è certamente la più diffusa: sul mercato
fin dagli anni ’90, consiste in una vite in titanio impiantata
nell’osso temporale che si connette a una protesi per via
ossea; l’accoppiamento diretto tra vibratore e osso, senza interposizione della cute, è il punto di forza di questa
protesi. Negli anni la casa produttrice ha fatto diversi sforzi
per migliorare le caratteristiche della vite, punto centrale per
il buon funzionamento dell’apparecchio: la vite moderna a
lunghezza variabile oggi disponibile permette al chirurgo
di non operare la riduzione del tessuto sottocutaneo nella
regione di impianto, semplificando la procedura rispetto al
passato;1 inoltre, la rugosità della vite è stata aumentata,
migliorandone la stabilità, rendendo l’osteointegrazione più
veloce e permettendo quindi l’applicazione precoce della
parte esterna.2
La superficie a contatto con i tessuti molli della vite, infine,
è stata rivestita in idrossiapatite, migliorando l’aderenza ai
tessuti rispetto al titanio.3 Da gennaio 2014 è disponibile
un impianto con un dispositivo a cute integra in cui la vite
è stata addirittura sostituita con una placca di metallo che
non fuoriesce dalla cute.
I processori esterni disponibili per questo tipo di protesi sono
due - BP100 e BP110 Power - molto moderni, regolabili
in automatico, con un guadagno nell’ordine dei 30-35 dB,
un’uscita massima di circa 125 dB e una sofisticata tecnologia
di abbattimento del rumore, riduzione del feedback e
identificazione del linguaggio parlato. Il posizionamento
dell’impianto viene eseguito in anestesia locale, con una
piccola infiltrazione nella regione retroauricolare: il punto
viene identificato tracciando una linea canto-meatale, con il
trago come fulcro.
A questo punto viene inciso il tessuto sottocutaneo, asportando quello muscolare, e viene eseguito un foro per accogliere la vite, che viene posizionata in sede. L’intervento richiede circa 20 minuti. A causa dello scarso spessore della
teca cranica, fino a 5 anni di età la vite non viene impiantata:
al suo posto viene utilizzata la SoftBand, una fascia elastica
applicata sulla testa del bambino.
L’impianto Ponto è analogo al Baha® ed è commercializzato
dal 2009. La vite ha sempre una lunghezza variabile, ma
non è rivestita in idrossiapatite e si presenta inoltre meno
rugosa; l’azienda produttrice ne mette però a disposizione
una con un’angolazione di 10°, molto utile in caso di particolarità anatomiche del soggetto e di eventuali difficoltà
di posizionamento. I processori esterni disponibili sono 3,
diversi per guadagno e uscita massima, e presentano caratteristiche all’avanguardia quali la cancellazione dinamica
del feedback, la riduzione trifasica del rumore e il metodo di
analisi del suono speech guard.
L’impianto Sophono®, presentato nel 2010, è stato il primo
impianto per via ossea a cute integra, esteticamente più
accettabile. La parte impiantabile, a forma di 8, contiene
due magneti e viene posizionata sulla teca cranica, mentre
la parte esterna si collega, attraverso il magnete, con quella interna. La tecnica chirurgica consiste nello scavare un
letto osseo che accolga i due magneti; successivamente
si stabilizza l’impianto con 5 viti. La parte esterna è simile
a quella di Baha® e Ponto. La procedura chirurgica è poco
più invasiva rispetto agli altri due tipi di impianto: la sede è
la stessa, ma viene praticata un’incisione curvilinea distale
rispetto all’orecchio esterno; a seguire si scolla il periostio,
si confeziona con la fresa un letto osseo per accogliere l’impianto e quindi si stabilizza l’impianto alla teca con le viti.
Per quanto riguarda infine le protesi a stimolazione cocleare, la Vibrant Soundbridge®, presentata sul mercato già nel
2004, consta di una parte esterna con microfono, batteria
e un processore, e una parte interna con un magnete, un
analizzatore del suono e un trasduttore di piccole dimensioni,
che permette al chirurgo un posizionamento a livello dell’incudine, della finestra rotonda, ovale o della staffa. Ciò consente,
nell’adulto, di trattare quasi tutte le ipoacusie neurosensoriali,
trasmissive e miste. La tecnica chirurgica consiste nell’eseguire una mastoidectomia, una timpanotomia posteriore e,
attraverso questa, posizionare l’impianto sull’incudine o la
finestra rotonda. È possibile anche procedere in modo più
semplice, posizionando l’impianto attraverso il canale acustico esterno e riducendo al minimo i rischi chirurgici, come il
danno della coclea, del timpano e del nervo fasciato.4 Il processore esterno di questo impianto è quello più potente di
tutti: inoltre, trasmette direttamente sulla coclea.
Le protesi per via ossea presentano diversi vantaggi, rispetto alla Vibrant Soundbridge®: innanzitutto permettono
di eseguire una risonanza magnetica, sia a 1,5 sia a 3 Tesla; inoltre sono interventi reversibili e presentano procedure chirurgiche più semplici e brevi, con meno complicanze
post-operatorie.
Una consensus conference del 20105 ha chiarito però che
la scelta della protesizzazione del bambino con impianto
13
REPORT C
Vibrant Soundbridge® deve essere lasciata al chirurgo, in
base alla sua esperienza personale e all’imaging. Diversi ricercatori hanno quindi sperimentato questo tipo di impianto
anche in bambini molto piccoli, con buoni risultati.6,7
Le indicazioni audiologiche e otologiche per ogni tipo di impianto sono evidenziate nelle Figure 1 e 2.
Il candidato ideale alla protesi impiantabile è dunque un
bambino con ipoacusia trasmissiva o mista dovuta ad anomalie congenite o acquisite di orecchio medio ed esterno;8
le protesi per via ossea, in particolare la Baha®, dovrebbero
rappresentare la prima scelta.9
Bibliografia essenziale
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Indicazioni audiologiche
Tipo di ipoacusia
Adulti
Bambini
Neurosensoriale
Sì
NO
Mista
Sì
Sì
BAHA-PONTO
BAHA-PONTO
-SOPHONO
-SOPHONO
Soglia per via ossea
Soglia per via ossea
media (500, 1k, 2k & 3k) media (500, 1k, 2k & 3k)
nell’orecchio migliore
nell’orecchio migliore
≤45 dB HL
≤45 dB HL
VIBRANT
Soglia per via ossea ai
1000 Hz ≤60 dB HL
VIBRANT
Soglia per via ossea ai
1000 Hz ≤60 dB HL
Sì
Sì
Trasmissiva
Figura 1. Indicazioni audiologiche
alla protesizzazione con le diverse
tipologie di impianto disponibili.
Indicazioni otologiche
Tipo di patologia
Adulti
Bambini
Ipoacusia neurosensoriale con orecchio
medio normale
Sì (vibrant)
NO
Sì
NO
Malformazioni congenite orecchio medio
e/o esterno (atresia auris, microtia)
Sindromi (Franceschetti, Goldenhar)
Sì
Sì
Esiti di chirurgia orecchio medio
Sì
Sì
Esiti di chirurgia su patologia
retroauricolare (neurinoma) e SSD
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Figura 2. Indicazioni otologiche alla
protesizzazione con le diverse tipologie di impianto disponibili.
CORSO CRS
LO SVILUPPO COMUNICATIVO NEI PRIMI ANNI DI
VITA: STRUMENTI DI VALUTAZIONE
A cura di Elisabetta Genovese
Audiologia, Clinica ORL, Dipartimento Medicina Diagnostica, Clinica e di Sanità Pubblica - Università degli Studi di Modena
e Reggio Emilia
La protesizzazione acustica nel bambino è finalizzata a migliorare la percezione uditivo-verbale e, pertanto, appare
strettamente correlata con l’ottimizzazione della soglia audiometrica.
La possibilità protesico-terapeutiche (protesi/impianto cocleare) ad oggi a nostra disposizione non possono dunque
prescindere da questo scopo finale e permettono al soggetto affetto da ipoacusia di differente entità (da media, a grave,
a profonda) di ottenere delle performance comunicativo-linguistiche adeguate e ridurre quanto più possibile la disabilità
e l’handicap conseguenti alla sordità.
Lo sviluppo della percezione verbale avviene lungo un continuum temporale, che va dalla nascita fino a circa 12 anni:
durante questo lungo periodo il bambino acquisisce una
serie di abilità che vanno dalla detezione dello stimolo sonoro, alla discriminazione di durata e intensità dello stesso,
all’identificazione di parole di differente lunghezza sillabica e
frequenza d’uso, prima in closed e successivamente in open
set. (Figura 1).
La verifica dei vari startpoint avviene mediante l’utilizzo di
test strutturati per la lingua italiana e standardizzati: naturalmente, tanto minore sarà l’età del bambino, tanto più difficile
sarà il controllo e l’interpretazione dei dati ottenuti.
Nei bambini molto piccoli è possibile solo l’esecuzione di
prove di discriminazione verbale (tratto lungo/corto; tratto
sonoro sordo/sonoro) e di intensità; nel bambino più grande
sarà invece progressivamente testabile la capacità di riconoscimento di parole di differente lunghezza sillabica o di frasi
Percezione
0 anni
Detezione
stimolo
sonoro
Suoni
di Ling
12 anni
Discriminazione
di durata e intensità
Identificazione
in closed set
Riconoscimento
in open set
Riconoscimento
in open set
Quiete-S/R+10S/R=0
Quiete-S/R+10S/R=0
Quiete-S/R+10S/R=0
Parole bisillabiche
Parole bisillabiche
Frasi di uso comune
Parole trisillabiche
Matrici consonantiche
(PPVT)
Frasi di uso comune
Prove di discriminazione TIPI
di durata (lungo/corto) e
intensità (piano/forte)
Quiete-S/R+10S/R=0
P.CaP
1-2-3 subtest
Parole non parole
Quiete-S/R+10S/R=0
Matrici consonantiche
(PPVT)
Quiete-S/R+10S/R=0
Figura 1. Il continuum temporale della percezione verbale.
15
REPORT C
di uso comune, in diverse condizioni di ascolto, mediante
l’erogazione di rumore competitivo, in base all’età del soggetto.
I test disponibili si adattano alle diverse fasce di età e alle
differenti competenze cognitive. Negli anni si è assistito a
una costante implementazione di questi strumenti, che ha
portato a una loro progressiva automatizzazione, per renderli maggiormente oggettivi e più facilmente interpretabili.
Negli anni ’90 gli strumenti di valutazione utilizzabili erano
costituiti da questionari, somministrabili ai genitori, quali il
Meaningful Auditory Integration Scale (MAIS), basato sulle
risposte di adattamento del piccolo paziente all’ausilio protesico, e il questionario dei rumori ambientali, costituito da
una serie di domande atte a valutare le risposte di reazione/identificazione a differenti stimoli sonori ambientali. Accanto a questi potevano essere utilizzati test di percezione
semi-strutturati, costituiti da prove già pubblicate e utilizzate nel mondo anglosassone e, successivamente, adattate
alla lingua italiana: il Listening Progress Profile (LIP), che
valutava una serie di abilità percettive crescenti a partire dai
2 anni di età, il test dei suoni di Ling e il Six Sound Test, utilizzabili nella primissima infanzia per testare sia la detezione
sia l’identificazione di fonemi verbali.
Queste prove si rifacevano alle categorie di percezione verbale elaborate da Moog e Geers,1 tuttora valide sia per la
lingua italiana sia a livello internazionale. Tali categorie vanno dalla 0 (nessuna detezione della parola) alla categoria 6
(riconoscimento in open set) e rappresentano una misura
della disabilità uditiva nei bambini: venivano somministrate a voce di conversazione, con l’eventuale ausilio di un
supporto audiovisivo, in condizioni di correzione protesica
ottimale; lo scopo era quello di fornire, in fase di selezione
o follow-up dell’impianto o della protesizzazione acustica,
indicazioni sulla loro utilità nella correzione della disabilità
uditiva.
Lo step successivo è stato poi l’automatizzazione della
procedura e la standardizzazione delle misure e dei risultati
mediante l’utilizzo di un computer, gestito dall’operatore, al
quale il bambino fornisce delle risposte mediante l’ausilio di
un monitor touchscreen; il segnale acustico viene erogato
da una cassa, di solito centrale, e da due casse laterali che
erogano il rumore, eliminando le variabili causate da eventuali incomprensioni fra operatore e soggetto in esame.
Questi test hanno lo svantaggio di poter essere somministrati solo a bambini che abbiano già sviluppato determina-
16
te competenze cognitive e, soprattutto, linguistiche.
Negli ultimi anni tuttavia le procedure di screening uditivo
neonatale e la conseguente diagnosi precoce hanno fatto
emergere la necessità della gestione di pazienti davvero
molto piccoli: sono stati pertanto ideati strumenti adeguati,
da associare alle misure elettrofisiologiche per integrarne
le informazioni. Tra i questionari disponibili si ricorda il
Parents’ Evaluation of Aural/Oral Performance of Children
(PEACH), impiegabile fin dai 4 mesi e somministrato al
genitore se il bambino è molto piccolo, che consta di 13
domande mirate a comprendere sia le performance del
soggetto in condizione di quiete e rumore sia l’utilizzo
dell’ausilio protesico.2
Il nostro gruppo di lavoro sta strutturando, e ha già iniziato
a utilizzare, la Battery of Auditory speech-perception Tests for Infant and Toddlers (BATIT), una batteria di test di
percezione che utilizza le stesse caratteristiche dell’audiometria comportamentale, ma che sono costituite da stimoli
percettivo-verbali e risultano particolarmente adatti per la
valutazione di bambini di età compresa fra 6 mesi e 5 anni.3
La nostra esperienza si è concentrata sui bambini più piccoli, fino ai 18 mesi, testati con la prova del riflesso condizionato (rotazione del capo), compresa all’interno della
batteria BATIT.
L’esame permette di verificare la corretta identificazione dei
contrasti fonetici: l’altezza delle vocali (Hz), il luogo di articolazione delle consonati e delle vocali, i tratti di sonorità e
continuità delle consonanti.
I test precoci oggi a disposizione permettono dunque di
monitorare con attenzione e molto precocemente le abilità
percettive del bambino ipoacusico, consentendo un adeguato follow-up e garantendo un best fitting protesico: non
va dimenticato però che, accanto allo sviluppo delle capacità percettive, devono svilupparsi proporzionali competenze comunicativo-linguistiche, che devono essere tenute
parimenti in considerazione e adeguatamente verificate, in
base all’età del soggetto.
Bibliografia essenziale
1) Moog JS, Geers AE. Am Ann Deaf 1991;136:69-76.
2) Ching TY, Hill M. J Am Acad Audiol 2007;18:220-35.
3) Eisenberg LS et al. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2007;71:1339-50.
CORSO CRS
INDIRIZZI ABILITATIVI E FOLLOW-UP DELLO
SVILUPPO COMUNICATIVO-LINGUISTICO
A cura di Tina Wakefield
Ear Foundation Educational Consultant for National Deaf Children’s Society
Qualche anno fa il professor Greg Leigh affermò che il periodo che stiamo vivendo è il migliore per gli studenti sordi:
la tecnologia è infatti migliorata sensibilmente e i bambini
e i ragazzi ipoacusici hanno la possibilità, grazie agli ausili
protesici, di poter vivere una vita pressoché normale, inseriti con successo nel tessuto sociale che li circonda. Il
progresso della tecnologia pone, di contro, nuove problematiche da affrontare e, dunque, nuove sfide: le esigenze
di formazione dei caregiver, ad esempio, sono oggi molto
più complesse e articolate e il loro costante aggiornamento
è fondamentale per permettere ai bambini non udenti di
sviluppare appieno le loro potenzialità.
L’opportunità davvero grande fornita dalla protesizzazione
precoce è la possibilità offerta ai portatori di sentire già in
epoca preverbale, con effetti notevolissimi sulla progressione della capacità espressiva e nella padronanza del linguaggio, e conseguente profondo impatto sulle loro performance scolastiche. Le difficoltà di apprendimento sono
infatti uno dei problemi principali dei bambini ipoacusici,
ma è stato dimostrato che, nei soggetti precocemente impiantati, lo sviluppo del linguaggio è da considerarsi paragonabile a quello di compagni normoudenti,1 con conseguente miglioramento dei risultati scolastici.2
Nello specifico i bambini impiantati sembrano avere performance migliori rispetto ai compagni con protesi, ma non
buone come quelle degli udenti.3
Gli studi effettuati hanno rilevato, inoltre, che i bambini
impiantati prima dei 42 mesi sono in grado di leggere in
maniera appropriata alla loro età,4,5 ma intorno ai 15 anni
i progressi rallentano notevolmente e il gap con i coetanei
non udenti sembra ampliarsi.6 Il motivo è molto complesso:
con il progredire dell’età, le relazioni sociali si fanno sempre
più complesse e raffinate ed è stato rilevato che gli adolescenti non udenti presentano maggiori difficoltà riguardo a
specifiche abilità comunicative molto sottili e pragmatiche
che, però, a quell’età sono discriminanti.7
Per elaborare queste competenze è fondamentale il contatto sociale. Infatti tra i predittori di outcome, accanto alle
tradizionali età di impianto, gravità della sordità e quoziente
intellettivo, anche il grado di istruzione e la partecipazione
della famiglia sono molto importanti.8
La Ear Foundation ha condotto un’indagine sulle necessità
degli adolescenti non udenti, rilevando che essi, se inseriti
in grandi gruppi, trovano delle difficoltà: avrebbero bisogno
che si parlasse uno alla volta e trovano difficoltoso interpretare i segnali del corpo degli interlocutori. L’acustica delle
classi inoltre, spesso carente, complica la loro capacità di
comprensione.
Dal punto di vista della comunicazione, dopo l’impianto il
bambino, se può, abbandona la lingua dei segni e preferisce parlare. La lingua dei segni resta però un utile supporto
nel caso non riesca ad esprimersi correttamente e il contatto visivo con l’interlocutore per lui è molto importante.
Nonostante dunque la protesizzazione acustica precoce
abbia permesso ai bambini ipoacusici di vivere una vita del
tutto normale e di frequentare l’iter scolastico tradizionale, le esigenze educative sono comunque più complesse e
vanno tenute in considerazione.9
Bibliografia essenziale
1) Tait M et al. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2007;71:1605-11.
2) Moog JS, Geers AE. Otol Neurotol 2010;31:1315-9.
3) Vermeulen AM et al. J Deaf Stud Deaf Educ 2007;12:283-302.
4) Archbold S et al. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2008;72:1471-8.
5) Geers AE. Ear Hear 2003;24(1 Suppl):59S-68S.
6) Geers AE, Hayes H. Ear Hear 2011;32(1 Suppl):49S-59S.
7) Damen GW et al. Laryngoscope 2006 May;116(5):723-8.
8) Ching TY et al. Int J Audiol 2013;52 Suppl 2:S17-28.
9) Marschark M et al. Am Ann Deaf 2007;152:415-24.
17
REPORT C
L’IMPIANTO COCLEARE IN BAMBINI ipoacusici CON
DISABILITà ASSOCIATE
A cura di Francesca Forli
Università degli Studi di Pisa U.O. ORL Audiologia e Foniatria Universitaria, Cattedra di Otorinolaringoiatria
Il 15-45% dei bambini ipoacusici presenta una o più disabilità associate alla sordità: ciò rende la gestione di questo
tipo di pazienti molto complessa. La diagnosi audiologica
precoce in bambini con disabilità associate, soprattutto di
tipo neuropsichiatrico (NPI) è estremamente complessa e
insidiosa, dal momento che i risultati delle valutazioni elettrofisiologiche potrebbero non essere attendibili, sia per un
problema di maturazione, sia per ulteriori problemi di tipo
strutturale.
La collaborazione all’audiometria comportamentale inoltre,
comunque non adeguata fino a una certa età, è ancora più
difficile e meno affidabile in questa categoria di soggetti; è
facile comprendere dunque come sia difficoltoso individuare la patologia e valutarne la severità, causando possibili
ritardi sulle tempistiche di intervento e sul guadagno in termini di beneficio protesico.
Le eventuali disabilità associate vanno dunque identificate il più precocemente possibile, per poter formulare una
prognosi attendibile e informare adeguatamente i genitori del paziente sulle realistiche aspettative di recupero. È
pertanto auspicabile che i bambini ipoacusici con disabilità
associate vengano fatti riferire a Centri specializzati per un
trattamento adeguato ed efficace.
Tra le disabilità associate si annovera la compresenza di
sordità e cecità, in associazioni sindromiche o non sindromiche: i bambini con questo tipo di handicap mostrano un
buon recupero dopo impianto, in caso di sordità sia congenita, sia progressiva. Per fornire migliori indicazioni spaziali, in genere, per questi bambini è indicato un Impianto
Cocleare (IC) bilaterale, che deve essere effettuato il prima
possibile per i fenomeni di competenza corticale.
Non esiste invece un accordo sulle indicazioni alla procedura di IC e sui fattori prognostici nei bambini con disabilità NPI associate. Le indicazioni alla procedura di IC dovrebbero essere basate sul beneficio atteso, ma quale sia
il beneficio atteso in questa difficile categoria di bambini è
ancora una questione aperta. Il goal dell’impianto cocleare,
in questi casi, può essere semplicemente quello di poter
permettere al piccolo paziente di riconoscere le voci dei familiari e di potersi “connettere” con l’ambiente circostante,
migliorando la sua qualità di vita. Infatti abilità uditive elevate (es. riconoscimento a bocca schermata) non sempre
vengono raggiunte da questa categoria di bambini, così
come pure lo sviluppo del linguaggio orale può non essere
un obiettivo realistico in alcuni, come quelli con disturbo
dello spettro autistico o con grave ritardo mentale. I fattori
18
prognostici nei bambini con handicap associati alla sordità, sottoposti alla procedura di IC, rappresentano una problematica ancora aperta, poiché è molto difficile valutare
l’impatto di ciascuna disabilità sull’outcome, a causa della
limitatezza e dell’eterogeneità delle casistiche. Attualmente
il livello di sviluppo cognitivo viene considerato il fattore più
importante per definire la prognosi, più del tipo di disabilità
e più della precocità dell’impianto.1 L’outcome è naturalmente correlato al numero di disabilità.2
Una review sistematica pubblicata quest’anno3 ha cercato di chiarire gli esiti dell’IC sugli outcome dei bambini
con disabilità associate: la maggior parte degli studi ha
dimostrato un sostanziale miglioramento post-impianto
delle capacità di percezione verbale, delle abilità comunicativo-linguistiche e per quanto riguarda gli aspetti sociali, comportamentali e, in generale, della qualità della vita,
con molta variabilità a seconda del tipo di bambino e della
disabilità associata. Rispetto ai bambini solo ipoacusici, i
benefici sono generalmente più lenti e meno stabili.4
Uno studio condotto dal nostro gruppo di lavoro insieme
ad altri guppi italiani e pubblicato nel 20085 su 23 bambini,
ha messo in luce come l’IC impatti positivamente su questi
pazienti, in termini di qualità di vita, sicurezza, attenzione e
interesse per l’ambiente circostante, anche nel caso in cui
i risultati uditivi e linguistici siano modesti.
La complessità nella valutazione dei risultati spiega in parte
le difficoltà incontrate nella rilevazione dei benefici post-IC,
e la scarsa applicabilità dei test di valutazione tradizionali
complica ulteriormente la situazione, rendendo necessario
lo sviluppo di strumenti alternativi per una stima più globale
della qualità di vita.
Il nostro gruppo di ricerca6, in collaborazione con altri
gruppi italiani, ha recentemente condotto uno studio su 50
bambini impiantati con disabilità associate, tra cui ritardo
mentale, problemi di comportamento e paralisi cerebrale.
I bambini sono stati valutati prima e dopo l’IC; l’analisi ha
previsto una classificazione delle abilità uditive secondo le
categorie di Moog e Geers7 e dello sviluppo grammaticale,
con la griglia di analisi del linguaggio spontaneo (GALS).
Abbiamo poi sviluppato e somministrato ai genitori un
questionario specificamente ideato per valutare i benefici
dell’IC sulla vita quotidiana, suddiviso in 5 aree da valutare
singolarmente (Figura 1). A ciascuna area veniva attribuito
un punteggio parziale, da sommare per ottenere il totale.
Dopo l’impianto gli item sono notevolmente migliorati, in
particolare quelli relativi ad alcuni aspetti rilevanti per i ge-
CORSO CRS
DADQ A
Abilità percettive globali
0-40
DADQ B
Modalità di comunicazione
0-8
DADQ C
Sviluppo linguistico e comunicativo
0-36
DADQ D
Attenzione e memoria
0-32
DADQ E
Interazione sociale, controllo del comportamento,
autosufficienza
0-56
Punteggio totale
0-172
nitori, quali il tempo di utilizzo del device, la modalità comunicativa, l’intelligibilità verbale e la capacità di sostenere
conversazioni telefoniche.
I risultati migliori sono stati ottenuti dai bambini con disturbi
del comportamento e dell’umore, e da quelli con lieve ritardo
mentale, mentre quelli affetti da disturbi dello spettro autistico sono stati i peggiori.
In conclusione, possiamo dunque affermare che anche
i bambini ipoacusici con disabilità associate possono beneficiare di un impianto cocleare. Le nostre esperienze, in
accordo con i lavori della letteratura, hanno dimostrato un
miglioramento delle abilità percettive e comunicativo-linguistiche, oltre a benefici in diversi ambiti della vita quotidiana,
Figura 1. Questionario multi
handicap somministrato ai
genitori dei bambini ipoacusici con disabilità associate.
con conseguente miglioramento della qualità della vita. Tuttavia è necessaria una valutazione pre-operatoria accurata e
multidisciplinare; infatti non tutti questi bambini sono buoni
candidati e ogni caso deve essere esaminato singolarmente.
Bibliografia essenziale
1) Meinzen-Derr et al. Laryngoscope 2010;120:405-13.
2) Wiley S et al. Ann Otol Rhinol Laryngol 2008;117:711-8.
3) Palmieri M et al. Hearing, Balance and Communication 2014;12:6-19.
4) Youm HY et al. Acta Otolaryngol 2013;133:59-69.
5) Berrettini S et al. Int J Audiol 2008;47:199-208.
6) Palmieri M et al. Ear Hear 2012;33:721-30.
7) Moog JS, Geers AE. Am Ann Deaf 1991;136:69-76.
I PRINCIPALI FATTORI CHE INFLUENZANO
I RISULTATI CON IMPIANTO COCLEARE
A cura di Nicola Quaranta
Professore Associato in Otorinolaringoiatria, Università di Bari “Aldo Moro” - U.O.C. Otorinolaringoiatria Universitaria Azienda
Ospedaliera Universitaria “Policlinico di Bari”
I risultati ottenuti con l’impianto cocleare in età pediatrica
non sono omogenei, vi sono infatti numerosi fattori che influenzano i risultati, sia in termini di percezione, sia di sviluppo del linguaggio.
Una recente metanalisi1 ha analizzato i fattori prognostici in
implantologia pediatrica. Sono stati identificati quattro fattori
principali che influenzano i risultati: l’età all’impianto, l’eziologia genetica, la presenza di malformazioni dell’orecchio
interno e la sordità post-meningitica. Non sono comunque
da sottovalutare anche la presenza di disabilità associate,il
contesto familiare e il supporto riabilitativo.
È stato dimostrato come la tempistica nell’applicazione
dell’impianto cocleare sia fondamentale. Esiste infatti un periodo critico entro il quale è necessario intervenire, per evitare
danni permanenti dovuti alla deprivazione uditiva. Il quoziente linguistico dei pazienti non udenti è, infatti, direttamente
proporzionale all’età alla diagnosi e il cut-off sembra essere
rappresentato dai 6 mesi di età. I bambini diagnosticati en-
19
REPORT C
tro tale periodo hanno un quoziente linguistico nettamente
migliore rispetto a quelli diagnosticati più tardivamente.2 È
oggi possibile misurare la maturazione della corteccia uditiva
mediante potenziali evocati corticali. In un bambino normoudente la latenza dell’onda P1 dei potenziali uditivi corticali si
riduce in maniera progressiva e rappresenta quindi un indice
di maturazione di tale area cerebrale.3
In un bambino ipoacusico la progressiva riduzione dell’onda
non è apprezzabile, ma è possibile invertire questa tendenza
impiantando il paziente, purché lo si faccia entro i tre anni e
mezzo di vita 3 (Figura 1). Altri Autori ritengono che il periodo
critico termini nei primi 24 mesi di vita.4 Oltre questa età la situazione è compromessa irrimediabilmente e la latenza non
rientrerà mai nei limiti della normalità, causando una maturazione incompleta della corteccia uditiva.
La plasticità cerebrale tipica della prima infanzia in assenza
di uno stimolo uditivo permette di ovviare al difetto comunicativo del bambino attivando il meccanismo del recruitment
cross-modale che comporta la proiezione alla corteccia uditiva di afferenze visive e propriocettive e la riorganizzazione
in senso non uditivo della corteccia. Questo fenomeno è
stato dimostrato in maniera molto elegante da un gruppo
di ricerca californiano5 che ha indagato, mediante risonanza magnetica funzionale, soggetti udenti, soggetti segnanti
sordi e soggetti segnanti udenti. I pazienti sono stati sottoposti a un task visivo e sono state valutate le risposte della
corteccia visiva e di quella uditiva, con l’obiettivo di verificare
Età all’impianto
<3,5 anni
3,6-6,5 anni
>7 anni
350
300
Latenza onda P1 (ms)
se l’alterazione dell’attivazione corticale derivasse solo dalla sordità o anche dall’utilizzo della lingua dei segni. Non
è risultata nessuna differenza nell’attivazione della corteccia
visiva tra i soggetti non udenti e quelli udenti. Nei segnanti
non udenti lo stimolo visivo determinava un’attivazione della
corteccia uditiva destra, evento non registrato negli udenti; questo dimostra che il recruitment cross-modale deriva
esclusivamente dalla deprivazione uditiva.
La migliore comprensione delle cause che provocano la sordità ha permesso di mettere in relazione gli effetti di alcune
malattie genetiche sugli outcome degli IC. Uno studio molto
recente, non ancora pubblicato, suggerisce che i bambini
ipoacusici a causa di una mutazione del gene per la connessina 26 abbiano performance migliori con l’IC rispetto a
quelli con deficit uditivi dovuti ad altre cause. Risultati simili
sono stati pubblicati l’anno scorso6 e anche il nostro gruppo
di lavoro ha confermato quest’ipotesi.
I criteri di Sennaroglu permettono di classificare le principali malformazioni dell’orecchio interno.7 La patologia di più
comune riscontro è la partizione incompleta (IP), che rende
conto del 41% dei casi; essa viene ulteriormente suddivisa in tre sottogruppi: la malformazione cistica cocleovestibolare-IP1 (20%), la malformazione di Mondini-IP2 (19%) e
la X-linked deafness-IP3 (2%); nelle IP2 l’attivazione degli
elettrodi dell’impianto è completa, nelle IP1 invece i risultati
sono variabili, per questo è importante distiguere i tre diversi sottogruppi. Altre malformazioni, meno frequenti, sono la
250
200
150
100
50
0
0
2
4
6
8
10
12
14
Età (anni)
20
16
18
20
34 36
Figura 1. Effetti
dell’ipoacusia sullo sviluppo
della corteccia uditiva.
CORSO CRS
deformità di Michel, l’aplasia cocleare, la common cavity,
l’ipoplasia cocleare e, infine, la sindrome dell’acquedotto vestibolare ampio (VAS). Nei pazienti con cavità comune spesso l’attivazione degli elettrodi è in numero inferiore rispetto
alla norma, mentre nei soggetti affetti da VAS l’attivazione è
di norma dell’intero array.8 Anche in rapporto al range dinamico elettrico, questo è ampio per le VAS e le IP2, mentre
per le anomalie maggiori gli outcome sono meno prevedibili
perché la stimolazione elettrica non segue i caratteri della
tonotopia, complicando il mappaggio dell’impianto. Tuttavia
tutti i pazienti, anche quelli con malformazioni complesse,
possono beneficiare di un IC ed è quindi indicata la sua applicazione prima di proporre un impianto al tronco.
Infine la sordità post-meningitica espone il soggetto al rischio di fibrosi e ossificazione labirintica che possono complicare l’inserimento e il buon funzionamento dell’elettrodo;
inoltre, essendo la meningite una patologia del SNC, essa
può determinare sequele, anche gravi, a livello del tessuto
cerebrale, causando deficit cognitivi e ritardo del linguaggio
indipendentemente dalla sordità.
In conclusione, un’ultima considerazione riguarda i fattori prognostici predittori del successo di un IC bilaterale. In
questo caso, oltre alla deprivazione uditiva, sarà fondamentale l’intervallo di tempo trascorso tra il primo e il secondo
impianto. L’obiettivo dell’IC bilaterale è infatti quello di ripri-
stinare l’udito binaurale, con tutti i suoi vantaggi. È quindi
importante stabilire l’esatta tempistica degli interventi, per
permettere un corretto e completo sviluppo del processamento binaurale.
Questo aspetto è stato indagato in diversi studi9,10 che, studiando con elettroencefalografia una serie di bambini impiantati bilateralmente in tempi diversi, hanno ottenuto le
seguenti conclusioni: per ottenere uno sviluppo fisiologico,
l’impianto bilaterale dovrebbe essere applicato contemporaneamente o, comunque, entro i 18 mesi dal primo intervento. La procedura consigliata è pertanto l’effettuazione del
primo impianto a circa un anno di vita e del secondo entro i
due anni circa.
Bibliografia essenziale
1) Black J et al. Cochlear Implants Int 2011;2:67-93.
2) Yoshinaga-Itano C et al. Pediatrics 1998;102:1161-71.
3) Sharma A et al. Ear Hear 2002;23:532-9.
4) Holt RF, Svirsky MA. Ear Hear 2008;29:492-511.
5) Fine I et al. J Cogn Neurosci 2005;17:1621-37.
6) Janeschick S et al. Cochlear Implants Int 2013;14:190-9.
7) Sennaroglu L. Cochlear Implants Int 2010;1:4-41.
8) Papsin BC. Laryngoscope 2005;115(1 Pt 2 Suppl 106):1-26.
9) Sharma A et al. Hearing Research 2005;203:134-43.
10) Gordon KA et al. Brain 2013;136:1609-25.
LO SVILUPPO COMUNICATIVO NEl bambino
bilingue ipoacusico
A cura di Maria Consolazione Guarnaccia
Audiologia, Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria, Dipartimento Testa-Collo, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
Il bilinguismo, secondo la definizione data da Macnamara
nel 1967, è la presenza di una competenza linguistica in un
idioma diverso da quello madre nella comprensione verbale, nella produzione soprattutto morfo-sintattica e lessicale, nelle abilità accademiche di lettura e scrittura.
È una realtà sempre più frequente: da un’indagine condotta nel 2011 risulta che in Italia sia bilingue il 7,5% della popolazione (prevalentemente a causa dell’aumentato flusso di migranti nel nostro Paese); inoltre circa il 50% della
popolazione mondiale utilizza più di una lingua nella vita
quotidiana, soprattutto in Paesi quali l’Asia e l’Africa dove,
accanto alle lingue ufficiali, sono parlati diversi dialetti.
Il bilinguismo può essere simultaneo, se il bambino durante la prima infanzia viene esposto contemporaneamente
alle due lingue, oppure sequenziale, cioè se la prima lingua
viene acquisita nella prima infanzia, mentre la seconda più
tardivamente. Studi recenti hanno dimostrato che un bambino esposto precocemente a uno o più idiomi coglierà
con più facilità gli aspetti linguistici fondamentali di entrambi e riuscirà facilmente a ottenere un livello di padronanza
linguistica pari ai coetanei in entrambe le lingue, eventualmente con un ritardo più o meno transitorio in quella cui
viene esposto con minore frequenza.
I bambini bilingui sviluppano i due linguaggi nativi, normalmente senza confonderli, e, in genere, raggiungono livelli
più elevati di competenza linguistica rispetto a chi apprende la seconda lingua in età adulta. Lo sviluppo di entrambe
le competenze non interferisce con le capacità comunicative del bambino, anzi, sembrerebbe addirittura favorire gli
aspetti cognitivi e relazionali.1-3
21
REPORT C
Di contro alcune evidenze mostrano come bambini bilingui
ricevano meno input rispetto ai coetanei monolingui;4 inoltre, considerato che, solitamente, almeno uno dei genitori
presenta una competenza linguistica limitata in una delle
due lingue, il rischio è quello di esporre il bambino ad apprendere un idioma non corretto, soprattutto dal punto di vista
morfo-sintattico, che si traduce in un’acquisizione di strutture
linguistiche inadeguate. Fatta questa premessa sull’evoluzione comunicativa nel bambino bilingue normoudente, c’è da
sottolineare come negli ultimi anni la diagnosi di ipoacusia
in epoca precoce sia aumentata grazie all’implementazione
delle metodiche di screening uditivo neonatale e alla certezza
che quanto più tempestivo è l’avvio all’iter abilitativo-protesico mediante protesizzazione acustica/intervento di Impianto
Cocleare (IC) e logopedico, tanto minore sarà la disabilità che
l’ipoacusia determinerà nel bambino: nella pratica clinica capita dunque sempre più spesso che venga eseguita una diagnosi di ipoacusia su bambini che devono gestire più competenze linguistiche contemporaneamente: questo comporta
una necessaria ridefinizione dell’iter riabilitativo e logopedico.
Come evolve lo sviluppo linguistico in un bambino ipoacusico bilingue? La letteratura è povera di dati al riguardo,
a causa della difficoltà nell’ottenere un campione omogeneo; uno dei primi studi al riguardo risale a qualche anno fa
ed era stato condotto su 18 bambini con sordità congenita
profonda sottoposti a intervento di IC prima dei 5 anni ed
esposti a due lingue:5 i risultati conclusivi evidenziavano
come il campione di pazienti riusciva a sviluppare entrambe le competenze linguistiche, ma con alcune variabili, tra
cui la percezione del linguaggio dopo l’impianto, il contesto linguistico, l’età di intervento e il tipo di riabilitazione.
Un secondo studio,6 uscito l’anno successivo, risultava più
omogeneo per il campione in esame e testava 12 bambini
bilingui impiantati entro i 3 anni, confermando come anche
questi pazienti possano diventare abili a differenziare e acquisire più di una lingua. Dopo il 2008 sono stati pubblicati
altri due lavori: il primo7 condotto su 24 bambini, 12 bilingui
e 12 monolingui, tutti ipoacusici e impiantati prima dei 6
anni; lo studio portava alla conclusione che non vi erano
significative differenze tra i due gruppi in esame e supportava la convinzione che l’esposizione a una seconda lingua
non compromettesse la possibilità di impararla, evitando
pertanto che i genitori utilizzassero la lingua minoritaria. Il
secondo studio8 prendeva invece in considerazione una
casistica più ampia, 93 bambini (52 bilingui, 41 monolingui), impiantati prima dei 6 anni e testati su outcome di
tipo linguistico: i risultati ottenuti registravano performance
peggiori nei bilingui: in alcuni casi la seconda lingua era
utilizzata con delle buone competenze ma, più frequentemente, i bambini si limitavano a produrre singole parole in
successione e brevi frasi routinarie. Anche il nostro gruppo
di ricerca si è dedicato allo studio delle performance percettivo-linguistiche del bambino bilingue: a tale riguardo
sono stati arruolati 19 bambini, sottoposti a intervento di
IC prima dei 3 anni di età senza disabilità associate alla
sordità, esposti alla lingua materna a casa e all’italiano
durante la riabilitazione logopedica e a scuola.9 I pazienti
erano stati valutati sia per quanto riguarda le abilità percettive sia per quelle comunicative. Dopo 24 mesi il 50% dei
bambini riusciva a strutturare frasi semplici e durante tutto
il follow-up è stato possibile osservare un costante sviluppo sia percettivo sia morfo-sintattico. I bambini bilingui
presentavano un lieve ritardo, di circa 2 mesi, nelle abilità
percettive, e di 6 mesi in quelle linguistiche (Figura 1).
5
5
Categorie di linguaggio
Categorie di percezione del parlato
6
4
3
2
1
0
PreCI
6m
12 m
18 m
24 m
4
3
2
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0
PreCI
6m
12 m
Figura 1. Performance percettive e linguistiche nel campione di bambini bilingui (in blu) e monolingui (in rosso).
22
18 m
24 m
CORSO CRS
Nel 2013 abbiamo presentato un altro lavoro che ha valutato lo sviluppo precoce delle abilità linguistiche in un
gruppo di bambini bilingui non udenti, senza disabilità associate, suddivisi in due gruppi: 10 bambini con ipoacusia
severa protesizzati precocemente (sotto 6 mesi) e 11 con
IC prima dei 15 mesi. Il gruppo di controllo era composto
da bambini bilingui normoudenti.
La valutazione delle abilità comunicative ha mostrato
un’acquisizione del linguaggio più lenta, ma tipica dei bambini sordi, confermando l’ipotesi che l’esposizione a più lingue non rappresenta una controindicazione per lo sviluppo
del linguaggio nei bambini non udenti.10
In considerazione di quanto detto finora, si può certamente
affermare che, in accordo con i lavori presenti in letteratura,
l’esposizione simultanea a più lingue, in ambito familiare
e riabilitativo, non costituisce una controindicazione per
lo sviluppo delle performance comunicative del bambino;
la precocità della diagnosi audiologica, l’adeguato ripristino del canale percettivo-verbale e la pianificazione di una
corretta rieducazione logopedica sembrerebbero essere le
variabili che possono condizionare il percorso di apprendimento linguistico anche nel bambino bilingue.
Se in passato il bilinguismo era considerato una controindicazione allo sviluppo delle abilità linguistiche e si favoriva
l’esposizione del bambino a un solo idioma, oggi l’iter riabilitativo, facilitato dalle nuove protesi acustiche e dagli impianti
cocleari, suggerisce la precoce esposizione a entrambe le
lingue con le quali il bambino può venire a contatto.
Bibliografia essenziale
1) MacLeod A et al. Child Lang Teach Ther 2013;29:131-42.
2) Paradis J, Nicoladis E. J Child Lang 2011;38:554-78.
3) Jasinska JJ, Petitto LA. Dev Cogn Neurosci 2013;6:87-101.
4) Bialystok E et al. Psychol Aging 2004;19:290-303.
5) Waltzman S et al. Otol and Neurotol 2003;24:757-63.
6) Robbins A et al. Arch Otolaryngol Head and Neck Surgery
2004;130:644-47.
7) Thomas E et al. Otol and Neurotol 2008;29:230-4.
8) Teschendorf M et al. Otol and Neurotol 2011;32:229-35.
9) Guarnaccia MC et al. 12th International Conference on Cochlear Implants and other Implantable Auditory Technologies, Baltimore 2012.
10) Guarnaccia MC et al. 11th European Symposium on Pediatric Cochlear Implantation (ESCI), Istanbul 2013.
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