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Diritto Civile Contemporaneo
Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537
www.dirittocivilecontemporaneo.com
Anno III, numero II, aprile/giugno 2016
LA RILEVANZA DEL VENIR MENO DELL’EVENTO CONDIZIONALE
DOPO IL SUO AVVERAMENTO O DEL VERIFICARSI DELLO STESSO
DOPO IL SUO MANCAMENTO: «CONDICIO SEMEL IMPLETA (NON)
RESUMITUR, CONDICIO QUAE DEFICIT (NON) RESTAURATUR?»
Mirko Faccioli
La rilevanza del venir meno dell’evento condizionale dopo il suo
avveramento o del verificarsi dello stesso dopo il suo mancamento:
«condicio semel impleta (non) resumitur, condicio quae deficit (non)
restauratur?»
di Mirko Faccioli
Con pronuncia del 29 febbraio 2016, il Tribunale di Agrigento si è occupato di
una questione in tema di condizione contrattuale che, a dispetto della grande
attenzione che entrambe da sempre riservano, in generale, all’istituto previsto e
disciplinato dagli artt. 1353-1361 c.c., risulta essere quasi completamente
inesplorata tanto in dottrina quanto in giurisprudenza (sicché sembra potersi
ancora oggi affermare che il quadro generale degli studi in subiecta materia «presenta
degli sviluppi ipertrofici su singole parti, e delle gravi atrofie rispetto ad altre parti,
forse più vitali»: così A. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico,
Milano, 1941, p. 61).
La questione in discorso concerne la rilevanza del venir meno dell’evento
condizionale dopo il suo avveramento o del verificarsi dello stesso dopo il suo
mancamento: in altre parole, cosa deve ritenersi che accada al contratto se, una
volta verificatasi o, rispettivamente, mancata la condizione, sopravvengano delle
vicende che conducono al venir meno dell’evento o, rispettivamente, portano al
suo avveramento? Il contratto sospensivamente condizionato e divenuto efficace
in forza dell’avveramento della condizione, è destinato a perdere di efficacia in
forza del venir meno dell’evento, o si deve al contrario ritenere che tale
accadimento è irrilevante e che, quindi, quel contratto continuerà a produrre i suoi
effetti? Il contratto risolutivamente condizionato, divenuto inefficace in virtù del
verificarsi della condizione, è in grado di “rivivere” in seguito al venir meno della
condizione de qua, o tale vicenda è da considerarsi priva di conseguenze giuridiche,
sicché quel contratto sarà destinato a rimanere definitivamente inefficace? E
analoghe domande si potrebbero evidentemente formulare, mutatis mutandis, con
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riguardo al caso in cui sopravvengano circostanze che portino al verificarsi
dell’evento condizionale originariamente mancato.
Proprio con riguardo a quest’ultima ipotesi, la sentenza che ci occupa ha accolto la
tesi della rilevanza delle vicende sopravvenute rispetto al mancato verificarsi
dell’evento condizionante. La vicenda riguardava un contratto preliminare di
vendita di un immobile da costruire a cura dell’alienante, una clausola del quale
attribuiva al promissario acquirente un diritto di recesso sospensivamente
condizionato al mancato rilascio della concessione edilizia entro un certo termine.
Detta concessione veniva inizialmente rilasciata dalle autorità competenti, ma
successivamente decadeva a causa dell’omesso completamento della costruzione
dell’edificio entro i termini indicati dalla legislazione in materia: nell’iniziare i
lavori, infatti, l’alienante non aveva rispettato le distanze legali dal fondo
confinante, il proprietario del quale aveva pertanto ottenuto in giudizio l’inibitoria
della prosecuzione dei medesimi ex art. 1171 c.c. nonché l’ordine di demolizione
della parte di manufatto fino a quel momento realizzata. Esercitato il diritto di
recesso, il promissario acquirente agiva in giudizio chiedendo l’accertamento
dell’avvenuta decadenza della concessione edilizia di cui sopra e, sulla base di
questa, la dichiarazione di nullità del contratto per illiceità della causa o, in
subordine, la dichiarazione della legittimità dell’esercizio del diritto di recesso
contrattualmente previsto sub condicione. Non ravvisando gli estremi per una
declaratoria di nullità del contratto come richiesto in via principale dall’attore, il
Tribunale di Agrigento accoglieva allora la domanda subordinata, ritenendo che la
perdita di efficacia ex tunc della concessione edilizia fosse «una situazione
assimilabile al mancato rilascio del permesso» di costruire, vale a dire all’evento
dedotto come condizione sospensiva (negativa) dell’attribuzione del diritto di
recesso al promissario acquirente.
Quello che sembrerebbe essere l’unico precedente giurisprudenziale edito in
materia (ricordato da E. GIACOBBE, La condizione, in Diritto civile, diretto da N.
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Lipari e P. Rescigno, III, L’obbligazione, II, Il contratto in generale, Milano, 2009, p.
471) aveva invece accolto la soluzione opposta, considerando irrilevante il fatto
che la condizione risolutiva apposta ad un contratto preliminare di vendita e
costituita dalla stipulazione di un negozio tra l’alienante ed un terzo, una volta
verificatasi, fosse venuta meno per avere il terzo esercitato il diritto di recesso dal
negozio de quo: nella fattispecie si ritenne, invero, che il contratto preliminare in
discorso non potesse essere “riportato in vita” dall’estinzione della condizione
risolutiva successiva al suo avveramento, argomentando che «l’evento dedotto
come condizione … si era avverato, né il successivo comportamento delle parti
può mutare la realtà dell’accaduto» (App. Perugia, 31 dicembre 1998, n. 305, in
Rass. giur. umbra, 1999, p. 340, con nota di G. ZUDDAS, Note in tema di conflitto tra
promissari acquirenti del medesimo bene, avveramento e successiva eliminazione dell’evento
dedotto come condizione risolutiva, inadempimento contrattuale, recesso e restituzione di caparra
confirmatoria). Ad analoga soluzione negativa in tema di vicende sopravvenute
perveniva, tra l’altro, la dottrina formatasi attorno al codice civile del 1865 facendo
appello, sulla scorta della dottrina francese dell’epoca, all’autorità del brocardo
condicio semel impleta non resumitur, condicio quae deficit non restauratur (V. CATTANEO
– C. BORDA, Il codice civile italiano annotato, 2a ed., Torino, 1873, p. 875; G.
GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, IV, 7a ed., Torino, 1930,
p. 418; L. BORSARI, Commentario del codice civile italiano, III, 2, Torino, 1877, p.
402).
La – sparuta, come si accennava all’inizio del discorso – dottrina che si è occupata
dell’argomento in epoca più moderna si è concentrata essenzialmente sull’ipotesi
del venir meno della condizione in un momento successivo rispetto al suo
verificarsi, innanzitutto mettendo correttamente in evidenza che la questione non
pare poter essere risolta attraverso soluzioni precostituite e universalmente valide,
apparendo piuttosto necessario tenere conto delle peculiarità del singolo caso
concreto di volta in volta considerato e dell’atteggiarsi degli interessi coinvolti
dall’apposizione della condizione al negozio: è solo in questo modo, d’altro canto,
che sembra possibile evitare i «rischi del concettualismo», le «lusinghe di troppo
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ampie generalizzazioni» e le «eccessive rigidità del ragionamento» che lo studio
della condizione inevitabilmente comporta in virtù dell’elevato grado di
tecnicismo che contraddistingue questo istituto (D. CARUSI, Condizione e termini,
in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, III, Gli effetti, Milano, 2006, p. 285 s.).
In questa prospettiva viene, allora, messo in luce che la soluzione del problema
dev’essere prima di tutto ricercata tramite l’interpretazione dell’accordo
contrattuale, non essendovi dubbi circa il fatto che le parti, nell’ambito
dell’autonomia privata, possano – anche solo implicitamente – prenderlo in
considerazione e accordarsi nel senso di considerare rilevanti o meno, in tutto o in
parte, gli avvenimenti, successivi all’avveramento della condizione, idonei ad
influire sulla permanenza dell’evento condizionale (G. ZUDDAS, Note in tema di
conflitto…, cit., p. 349 s.). In termini generali, difatti, il giudizio circa l’essersi o
meno la condizione avverata (o mancata) si risolve sempre in una questione di
interpretazione del contenuto del contratto e della volontà negoziale, posto che
«non può essere fissato, in linea di principio, se un certo evento corrisponde, o
meno, a quello previsto nel negozio o se le esigenze che hanno spinto le parti a
condizionare gli effetti del negozio siano soddisfatte da quell’evento. È solo
attraverso una adeguata interpretazione della clausola condizionale, nell’ambito del
negozio che la contiene, ed una valutazione dell’evento, caso per caso, che può
essere deciso se l’evento, quale si è verificato, corrisponda a quello previsto o,
meglio, se quello evento condizionante debba ritenersi uno specifico avvenimento
ovvero il verificarsi di una certa modificazione della situazione, comunque
determinata» (così G. MIRABELLI, Dei contratti in generale. Artt. 1321-1469, in
Commentario del codice civile, 3a ed., Torino, 1980, p. 248). Resta inteso, ovviamente,
che pure in questo contesto rimangono fermi i limiti di carattere generale relativi
alla deducibilità in condizione di determinati fatti ed eventi, sicché, per fare un
esempio, sarà da escludere che le parti possano accordarsi nel senso di continuare
a considerare come avverata una condicio iuris, dedotta in condizione come condicio
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facti, pure dopo che questa è venuta meno: il principio consolidato in materia,
difatti, afferma che le parti possono assumere l’evento consistente nella condicio
iuris, requisito necessario di efficacia del negozio, alla stessa stregua di una condicio
facti, assoggettando la prima a regolamentazione pattizia; ai contraenti non è
tuttavia consentito superarla o eliminarla in forza di successivi accordi (o per loro
inerzia), in quanto la condicio iuris trova fonte diretta nell’ordinamento giuridico ed
esula dall’autonomia negoziale, dal che consegue che il suo mancato avveramento
rende irrimediabilmente inefficace il contratto indipendentemente dalla volontà
delle parti (in questo senso v., tra le tante, Cass. 9 febbraio 2006, n. 2863, in
Contratti, 2006, p. 973).
Secondo un Autore, pure nella ricerca della volontà negoziale si dovrebbe,
comunque, sempre adottare una regola di giudizio che consideri effettivamente
verificata la condizione solo quando l’evento sia stabile e definitivo: in questa
prospettiva, per esempio, la condizione costituita dal rilascio di un provvedimento
amministrativo non potrebbe dirsi avverata fintantoché tale provvedimento, per
quanto già emanato, sia ancora suscettibile di essere revocato o annullato (G.
ZUDDAS, Note in tema di conflitto…, cit., p. 349 s.). A parere di chi scrive, tuttavia,
questo criterio non sembra essere in grado di condurre sempre all’elaborazione
della soluzione più rispondente agli interessi della parti, anche perché determinati
fattori di “instabilità” dell’evento – si pensi, per esempio, ad una causa di nullità di
un negozio giuridico dedotto in condizione – possono senz’altro intervenire ad
eliminarlo senza limiti di tempo. Sempre la stessa dottrina, inoltre, parrebbe
propensa ad ammettere la rilevanza del venir meno della condizione dopo il suo
avveramento nel solo caso di condizione sospensiva, ritenendo che non si possa
configurare una “reviviscenza” del contratto sottoposto a condizione risolutiva,
divenuto ex tunc inefficace in forza dell’avveramento della condizione stessa, se
non in forza di una nuova manifestazione di volontà dei contraenti (G. ZUDDAS,
Note in tema di conflitto…, cit., p. 350). Pure quest’ultimo ragionamento non appare
tuttavia condivisibile, posto che viene smentito da tutte quelle disposizioni
normative che prevedono la possibilità della ripresa di efficacia di un rapporto
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giuridico estinto in conseguenza di cause diverse dalla volontà – di entrambe o
anche di una soltanto – delle parti del rapporto stesso (per maggiori
approfondimento al riguardo, v. G. GIACOBBE, Reviviscenza e quiescenza, in Enc.
dir., Milano, 1989, XL, p. 189 ss.).
Qualora il contratto non contenga alcuna indicazione, nemmeno implicita, circa la
soluzione del problema, la decisione circa la sorte del negozio condizionato
successivamente al venir meno della condizione verificatasi dovrà essere presa
sulla scorta di ulteriori riflessioni.
Secondo un’autorevole impostazione, bisognerebbe distinguere a seconda che
l’evento dedotto in condizione sia un atto giuridico o un fatto materiale: nel primo
caso le vicende che rimuovono l’atto (annullamento, revoca, ecc.) sarebbero
senz’altro idonee a incidere sull’avveramento della condizione, mentre nel
secondo caso esse dovrebbero essere considerate di principio irrilevanti (C.M.
BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, 2a ed., Milano, 2000, p. 557). Non si
comprende, peraltro, perché la soluzione dovrebbe così rigidamente mutare a
seconda della natura dell’evento, la quale non ha nulla a che vedere con
l’elemento, gli interessi sottesi al condizionamento del negozio, che come abbiamo
detto è invece opportuno prendere in considerazione.
In questo ordine di idee sembra, quindi, meglio cogliere nel segno chi, muovendo
dall’idea secondo cui «la condizione sospensiva tutela contro il rischio che un evento,
atteso dalla parti come di proprio interesse, non si avveri o si avveri troppo tardi», mentre «la
condizione risolutiva tutela contro il rischio che un evento, temuto dalle parti come
contrario ai propri interessi, si avveri», afferma che il problema della rilevanza del venir
meno della condizione successivamente al suo avverarsi andrebbe di volta in volta
risolto verificando «se il contro-fatto realizzi proprio il rischio contemplato dal
condizionamento, oppure un rischio diverso ancorché parallelo» (così V. ROPPO, Il
contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, 2a ed., Milano,
2011, rispettivamente a p. 569, 570 e 584; corsivi dell’A.). Ragionando in una
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prospettiva non dissimile, da parte di altri si è, poi, proposto di distinguere a
seconda che ci si trovi di fronte ad un «evento nuovo del tutto autonomo ed
indipendente rispetto al primo», come tale irrilevante, piuttosto che «ad un venir
meno dell’evento stesso che solo apparentemente si era verificato», con
conseguente eliminazione della condizione (P. GALLO, Trattato del contratto, II,
Torino, 2010, p. 1217).
Volendo esemplificare i risultati applicativi di queste impostazioni, la condizione si
dovrebbe, allora, considerare venuta meno nel caso di annullamento della
concessione edilizia costituente l’evento dedotto in condizione sospensiva del
contratto di acquisto di un terreno, così come nell’ipotesi in cui la condizione
sospensiva costituita dal trasferimento lavorativo dell’acquirente in una
determinata città, apposta al contratto di acquisto di un’abitazione in quella
località, si realizzi ma venga poi a mancare in seguito a revoca o licenziamento per
cessazione dell’impresa datrice di lavoro (P. GALLO, Trattato del contratto, cit., p.
1217; sostiene la tesi contraria con riguardo al secondo dei due esempi considerati,
V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 584). Con riguardo a quest’ultima condizione,
parrebbe, invece, più appropriata la soluzione contraria nel caso in cui l’acquirente
venga in un primo momento trasferito dal suo datore di lavoro nella città dove si
trova l’abitazione oggetto del contratto, ma successivamente ritrasferito in un’altra
località (P. GALLO, Trattato del contratto, cit., p. 1217).
Un ultimo, importante spunto di riflessione mette in luce l’opportunità di tenere
conto del fatto che il venir meno dell’evento successivo alla sua verificazione sia
stato eventualmente determinato dal comportamento di una delle parti, portatrice
di un interesse contrario all’avveramento della condizione. In questi casi, difatti, si
potrebbe anche pensare di ragionare sulla base della norma dell’art. 1359 c.c., la
quale stabilisce che «la condizione si considera avverata qualora sia mancata per
causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa»:
sulla scorta di questa regola, pertanto, si potrebbe affermare che la condizione
deve ritenersi comunque avverata quando l’evento, inizialmente verificatosi, sia
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stato rimosso da uno dei contraenti per assecondare il proprio interesse in danno
della controparte (G. ZUDDAS, Note in tema di conflitto…, cit., p. 350).
Il ragionamento testé delineato merita senz’altro di essere condiviso. Sintetizzando
i risultati di un’analisi che si è già avuto modo di svolgere in altra sede, dev’essere
invero sottolineato che la finzione di avveramento dell’art. 1359 c.c. è diretta non
solo (e non tanto) a sanzionare la violazione del dovere di comportamento
secondo buona fede pendente condicione previsto nella norma immediatamente
precedente – la quale sembra, piuttosto, svolgere il solo compito di assicurare la
tutela dell’oggetto del contratto durante la sua pendenza, imponendo ai contraenti
l’obbligo di disporne tenendo nella dovuta considerazione la possibilità che esso
finisca per spettare alla controparte (in questo senso, v. pure C. RESTIVO, Note
critiche sul ruolo della regola di buona fede nella disciplina della condizione, in Giur. it., 2006,
p. 1143 ss., spec. 1149 ss.) – nonché, almeno secondo taluni, il dovere di
correttezza nell’esecuzione del contratto di cui all’art. 1375 c.c., ma costituisce
un’autonoma espressione del principio generale che impone il dovere di
comportarsi secondo buona fede nelle relazioni contrattuali (M. FACCIOLI, Il
dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale, Padova,
2006, p. 11 ss.), il quale notoriamente comprende anche la fase successiva
all’esaurimento della fase di esecuzione delle obbligazioni scaturenti dal negozio
(v., per tutti, P.M. VECCHI, Buona fede e relazioni successive all’esecuzione del rapporto
ob­bli­gatorio, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
con­tem­­po­ra­nea. Atti del Con­vegno di studi in onore di A. Burdese a cura di L.
Garofalo, IV, Padova, 2003, p. 353 ss.) così come la fase precontrattuale ai sensi
dell’art. 1337 c.c.; tanto da potersi fondatamente sostenere, con riguardo a
quest’ultimo profilo, l’applicabilità dell’art. 1359 c.c. anche nel caso in cui il
comportamento impeditivo del verificarsi della condizione sia stato posto in
essere prima della stipulazione del contratto condizionato anziché durante la sua
pendenza (v., ancora, M. FACCIOLI, Il dovere di comportamento secondo buona fede in
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pendenza della condizione contrattuale, cit., p. 37 ss., e ivi per ulteriori indicazioni di
dottrina in tal senso).
Se tutto questo è vero, sembra pertanto possibile sostenere che la parte, la quale
sia portatrice di un interesse contrario all’avveramento della condizione stessa e
con il suo comportamento – anche soltanto colposo secondo un’impostazione (v.,
ex multis, Cass., 11 aprile 2013, n. 8843), necessariamente doloso per altri (v., in
particolare, C. RESTIVO, Note critiche sul ruolo della regola di buona fede nella disciplina
della condizione, cit., p. 1148, ed ivi per ulteriori riferimenti) – faccia venire meno
l’evento dedotto in condizione dopo che questo si è verificato, commetta una
violazione del principio generale di buona fede di cui si parlava sopra, tale da
giustificare la rigorosa applicazione della regola condicio semel impleta non resumitur e,
quindi, la soluzione dell’ininfluenza, sugli effetti contratto, del venir meno della
condizione dopo il suo avveramento.
Sulla scorta delle riflessioni finora svolte, possiamo a questo punto tornare ad
analizzare la pronuncia del Tribunale di Agrigento richiamata all’inizio del
discorso per vagliare la correttezza della decisione di considerare avverata la
condizione sospensiva (negativa), costituita dal mancato rilascio di una
concessione edilizia entro un determinato termine, in conseguenza della perdita di
efficacia ex tunc della concessione medesima in epoca successiva alla sua
emanazione.
Guardando al profilo degli interessi in gioco nella vicenda di causa, si può
agevolmente rilevare che l’attribuzione, al promissario acquirente, di un diritto di
recesso, sospensivamente condizionato al mancato rilascio della concessione
edilizia entro un certo termine, perseguiva lo scopo di tutelare quel soggetto
contro l’eventualità che la mancanza del titolo edificatorio impedisse alla
controparte di portare a termine il proprio impegno contrattuale in merito alla
costruzione dell’immobile costituente l’oggetto del trasferimento divisato dalle
parti. Orbene, tale eventualità è senza dubbio riscontrabile non solo nel caso di
mancato rilascio della concessione edilizia, ma anche nell’ipotesi, poi
concretamente verificatasi, di perdita di efficacia ex tunc della concessione, tra
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l’altro riconducibile ad un comportamento (quantomeno) colposo del venditore,
vale a dire la violazione delle distanze legali dal fondo confinante. In forza di
questi rilievi, quindi, sembra che la decisione del Tribunale di Agrigento meriti
senz’altro di essere condivisa, in quanto costituisce il frutto di una adeguata
considerazione sia degli interessi delle parti coinvolti dall’apposizione della
condizione al negozio sia del comportamento delle stesse – e segnatamente del
venditore – in sede di esecuzione del contratto.
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Questa Nota può essere così citata:
M. FACCIOLI, La rilevanza del venir meno dell’evento condizionale dopo il suo avveramento
o del verificarsi dello stesso dopo il suo mancamento: «condicio semel impleta (non) resumitur,
condicio quae deficit (non) restauratur?», in Dir. civ. cont., 14 aprile 2016
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