...

Crucita, ragazza di Taos con indosso un antico abito da sposa Hopi

by user

on
Category: Documents
10

views

Report

Comments

Transcript

Crucita, ragazza di Taos con indosso un antico abito da sposa Hopi
CRUCITA
Crucita, ragazza di Taos con indosso un antico abito da sposa Hopi e dei fiori
secchi è una delle opere migliori di Joseph Henry Sharp, un artista americano che dedicò la vita a ritrarre e documentare su tela i popoli nativi. Le
sue scene di Taos Pueblo, nel Nuovo Messico, e della riserva dei Crow nel
Montana, sono opere acclamate per la loro bellezza, la cura dei dettagli e
l’armonia con il paesaggio. Crucita era una delle sue modelle preferite, e
compare in circa sessanta delle sue opere. Questa mostra, poi, vanta l’abito e il vaso presenti in questo particolare dipinto. L’abito, splendido esempio di tessitura tradizionale, è in cotone, com’era d’abitudine molto prima
dell’arrivo degli europei, ed è ricamato in lana, che invece fu introdotta
gli spagnoli. Anche la fusciacca è un tributo alla bravura dei tessitori, che
erano uomini. Gli stivali, realizzati con pelle morbidissima di daino, sono
davvero bellissimi, come lo è, nella sua semplicità, anche il vaso di ceramica, di quelli che venivano realizzati nei pueblo di Picuris e Taos. Si tratta
di un oggetto in argilla con un’alta percentuale di mica. Solitamente i vasi
come questo non sono decorati, né contrassegnati in nessun modo, fatta
eccezione per le macchie che si formano durante la fase di cottura.
Grazie alla precisione e alla cura nei dettagli, i dipinti di Sharp rappresentano degli importanti documenti storici, oltre che dei tesori artistici.
Addirittura, per essere certo che i suoi ritratti fossero fedeli all’originale,
l’artista era solito collezionare molti degli oggetti che poi sono finiti nei
suoi dipinti, come nel caso di questo capolavoro.
CRUCITA
Crucita, Taos Indian Girl in Old Hopi Wedding Dress and Dried Flowers, is
one of the finest works by Joseph Henry Sharp, an American artist who
devoted his life to portraying and documenting on canvas America’s native
peoples. His scenes of Taos Pueblo in New Mexico and the Crow Reservation in Montana are acclaimed for their beauty, attention to detail, and
harmony with the land.
One of Sharp’s favorite models was Crucita, who is featured in some sixty
of his paintings. On display here are also clothing and the bowl featured
in this composition. The dress, a beautiful example of the weaver’s art in
traditional style, is woven from cotton as was done long before Europeans
came to the region. It is embroidered in wool, which was a Spanish introduction. The sash is also a tribute to the artistic skill of the weavers, who
were men. The boots, made from the softest buckskin, are exceptionally
fine. Also striking in its simplicity is the ceramic bowl, a type made in the
Picuris and Taos pueblos. It is made of clay with high mica content. Such
vessels are usually undecorated and unmarked except for smudges that
occur during firing.
Sharp’s paintings are important historical documents as well as artistic
treasures because of his attention to detail and accuracy. In fact, to aid in
ensuring that his portrayals were accurate, Sharp collected many of the
Indian cultural materials that appear in his paintings, like the items in this
masterwork.
LA RINASCITA CULTURALE
L’arte degli indiani d’America è ancora oggi dinamica, piena di energia ed
espressiva. L’interesse che il mondo ha mostrato nei suoi riguardi, poi, ha
dato vita a una rinascita culturale per gli stessi nativi, sottolineata da una
serie di programmi incentrati sulle lingue, la cultura etnografica e le arti
tribali. Oggi come oggi questi artisti affrontano – ognuno con le proprie
opinioni – questioni sociali, politiche e artistiche che riflettono la complessità della vita degli indiani nel mondo moderno. Molti di loro sono donne,
donne che si sono sempre dedicate a creazioni di vario genere, soprattutto
decorazioni a base di perline o nastrini, o alla lavorazione di oggetti in vimini, tessuto e ceramica. Tutte cose rappresentative della loro comunità e
cultura. Ancora oggi molte artiste continuano ad esprimersi proprio attraverso le fibre e la ceramica, e le loro opere vanno poi a costituire la base
della maggior parte delle collezioni di arte aborigena conservate nei musei, nonché dell’enorme mercato di arte indiana. Tuttavia, dagli anni Settanta del Novecento, le donne indiane hanno anche prodotto una quantità
incredibile di immagini sotto forma di dipinti, stampe, sculture e fotografie, che contribuiscono a diffondere i loro valori a un pubblico non indiano
in continua crescita.
Dei grandissimi artisti, come James Auchiah, Acee Aquila Blu, Woodrow
Crumbo e Velino Herrera, di cui potete ammirare le opere pionieristiche,
hanno saputo conquistarsi dei seguaci seri e appassionati, come Thomas
Gilcrease, che per le loro creazioni hanno pagato cifre molto alte. E, come
si può notare, lo hanno fatto perché si trattava di opere realizzate da artisti
di grande talento e non, quindi, solo perché questi artisti erano indiani.
CULTURAL RENAISSANCE
American Indian art remains dynamic, powerful, and expressive. In fact,
the worldwide interest in Indian art has inspired a cultural renaissance for
America’s native peoples that can be seen through a variety of programs
that emphasize tribal languages and ethnographic scholarship as well as
the arts. Contemporary Native American artists address social, political
and artistic issues that parallel the complexity of Native American life in
the modern world. Each artist makes a personal statement about these issues. Many of these artists are women, who have always created objects,
especially beadwork, ribbon work, weaving, pottery and basketry, which
carried messages about their communities and cultures. These fiber and
ceramic arts continue to be media in which many contemporary women
traditional artists work and it forms the basis of most Native art collections in museums and the vast market for Indian art. But since the 1970s,
Native women have produced an astounding body of images in painting,
printmaking, sculpture, and photography that help to communicate Indian
values to an ever growing non-Indian audience. Indeed, fine artists like
James Auchiah, Acee Blue Eagle, Woodrow Crumbo, and Velina Herrara,
who’s pioneering works are seen in The New Frontier, gained dedicated
and enthusiastic followers like Thomas Gilcrease and other collectors who
paid top prices for their work. As can be seen by the examples on display
here, they did this because the work was made by very talented artists and
not simply because it was produced by Native American artists.
L’AMERICA INCONTAMINATA
Il paesaggio americano, selvaggio e incontaminato, è stato fonte di orgoglio
per i popoli degli Stati Uniti. Gli artisti americani, molti dei quali formatisi in Europa, hanno infatti cercato ispirazione nel Far West, celebrando la
bellezza di quelle montagne, delle vaste foreste e di quei popoli primitivi
che continuavano ad aggrapparsi a uno stile di vita che stava rapidamente
scomparendo a causa dell’inevitabile spostamento verso ovest di genti e
città, oltre che dell’industrializzazione. Thomas Gilcrease riuscì a procurarsi diversi dei capolavori di questi brillanti artisti, come William Robinson Leigh, Joseph Henry Sharp, George Catlin e i loro colleghi, le cui opere
sono qui esposte.
Nel bene e nel male, in poco più di due secoli l’influenza europea raggiunse
di fatto ogni singolo gruppo indigeno del continente nord americano, fatta
eccezione, forse, per gli Eschimesi polari, detti anche Inuit. Com’è ovvio,
grazie alla diffusione di articoli legati al commercio nonché di malattie, le
tribù dell’entroterra percepirono l’impatto dato dalla presenza degli europei diverso tempo prima di incontrarne uno. Il cambiamento principale
che interessò molte tribù fu però legato al ritorno del cavallo. In generale,
comunque, tutte trassero vantaggio dagli oggetti introdotti nelle Americhe
attraverso il commercio – tra cui i vestiti, le perline e gli arnesi in ferro –
che permisero loro di godere di una rinascita culturale. Rinascita che poi
si rispecchiò nel loro modo di vestirsi, nella loro arte, negli oggetti usati
all’interno delle case, nelle armi e, in generale, nello stile di vita.
La rapidità con cui le tribù dell’entroterra riuscirono a procurarsi vestiti,
perline, arnesi in metallo e persino cavalli e armi da fuoco è impressionante, e testimonia la vastità e la vitalità delle reti commerciali all’interno del
continente nord americano ai tempi degli aborigeni. L’efficacia di queste
reti commerciali è confermata anche dai reperti archeologici e dalle considerazioni fatte dai primi esploratori. Un esempio: pur trovandosi soltanto in una cava del Minnesota, la catlinite – la pietra preferita dagli indiani
per i loro calumet o pipe “della pace” – veniva usata da una parte all’altra
del continente. Allo stesso modo, il rame dai Grandi Laghi Superiori è stato ritrovato in alcuni siti archeologici che arrivano fino in Messico.
UNSPOILED AMERICA
The wild and unspoiled American landscape was a source of national pride
to the people of the United States. American artists, many of them trained in
Europe, sought inspiration in the far west as they celebrated the beauty of the
western mountains, the vast forests, and the native peoples who still clung
to a way of life that was rapidly disappearing before the inevitable westward
movement of immigrants, cities, and industrialization. Thomas Gilcrease obtained a number of the masterpieces by the brilliant, dedicated artists such
as William Robinson Leigh, Joseph Henry Sharp, George Catlin, and their
colleagues whose works on are display here in The New Frontier.
For better or for worse, in little more than two centuries, European influence
had touched virtually every native group on the North American Continent,
except perhaps the Polar Eskimos (Inuit). The interior tribes felt the impact
of the European presence in the form of trade goods and disease long before
they ever met their first European. The key change for many tribes was the
return of the horse, but all benefited from the cloth, beads, iron tools, and
other trade goods the Europeans introduced to the Americas. They enabled
the native peoples to enjoy a cultural renaissance that was reflected in their
clothing, art, housewares, weapons, and life style.
The speed with which inland tribes obtained cloth, beads, metal tools, even
the horse and gun, is remarkable and reflects the active and extensive
trading networks that laced the North American continent in aboriginal
times. The effectiveness of these networks is documented by archaeological evidence as well as the observations of the early explorers. For example, Catlinite, the stone Indians preferred for their calumets or “peace”
pipes, is found only in one quarry in Minnesota, yet it was used by Indians
across the continent. Similarly, copper from the Upper Great Lakes has
been found in archaeological sites as far south as Mexico.
L’AREA CULTURALE
DELLE PIANURE E QUELLA
DELLE PRATERIE
L’area culturale delle Pianure copre una vasta regione, che si estende
dall’Alberta Centrale, in Canada, al confine messicano ed è delimitata verso ovest dalle Montagne Rocciose e verso est dal fiume Missouri. Di fatto,
le tribù che nel 1492 vivevano a tempo pieno nelle Pianure erano poche,
perché non era facile per uomini che cacciavano a piedi attraversare distese di terra così ampie con il dolo aiuto dei cani come bestie da soma. Quindi, la maggior parte delle tribù di quest’area era probabilmente formata da
gruppi seminomadi che facevano sporadiche incursioni a caccia di bisonti
e di altri tipi di selvaggina grossa ma che, in alcuni periodi dell’anno – al
momento di coltivare grano e altri prodotti – vivevano in accampamenti
semipermanenti. Fu l’acquisizione del cavallo e lo spostamento dei loro
vicini a causa della pressione esercitata dagli europei a spingere alcune
tribù, tra cui i Sioux, i Cheyenne e i Crow, a trasformarsi a tempo pieno in
cacciatori nomadi di bisonti.
Una volta entrati in possesso del cavallo, i membri delle tribù delle Pianure si trasformarono in formidabili avversari, in grado di conservare la
propria indipendenza fin nel XIX secolo inoltrato.
Questi splendidi guerrieri e i loro magnifici leader – Quanah Parker dei
Comanche, Coltello Smussato dei Cheyenne e Cavallo Pazzo e Toro Seduto
dei Sioux – rappresentano l’archetipo dell’indiano del Nord America, sebbene il loro stile di vita, oggigiorno così tanto venerato, abbia visto il proprio momento di gloria sfiorire in meno di un secolo.
Accanto a quella delle Pianure c’era l’area culturale delle Praterie, che comprendeva buona parte degli odierni paesi centro-occidentali degli Stati Uniti.
Qui la vita degli indiani era simile a quella di chi abitava le Pianure, a parte
il fatto che, oltre a dedicarsi alla caccia, gli indiani delle Praterie coltivavano anche la terra e vivevano per buona parte dell’anno in villaggi stabili nei
pressi dei campi, per poi avventurarsi tra le pianure in cerca di bisonti e altra selvaggina grossa con cui integrare la propria alimentazione. Diverse tribù di piccole dimensioni, come i Mandan, gli Hidatsa, gli Arikara e i Pawnee,
vivevano in capanne ricoperte di terra sufficientemente grandi da ospitare
sia una famiglia allargata, composta da almeno una dozzina di persone, che
i loro amati cavalli.
PLAINS AND PRAIRIES CULTURE AREAS
The Plains Culture Area covers a vast region from Central Alberta, Canada
to the Mexican border, bounded on the West by the Rocky Mountains and
on the East by the Missouri River. In 1492, the Plains were probably not
home to many tribes on a full-time basis because it was difficult for pedestrian hunters to traverse such vast distances with only dogs as beasts of
burden. Thus, most tribes in the area were probably semi-nomadic groups
who made occasional forays in search of buffalo and other large game
but who also had semi-permanent camps during certain times of the year
when they planted corn and other crops. It was their acquisition of the horse and the dislocations caused by European pressure on their neighbors
that prompted some tribes, like the Sioux, Cheyenne, and Crow, to become
full-time nomadic buffalo hunters. Once they acquired horses, the Plains
people became formidable foes who managed to maintain their independence until well into the nineteenth century. Indeed, these splendid warriors and their superb leaders—Quanah Parker of the Comanches, Dull
Knife of the Cheyennes, Crazy Horse and Sitting Bull of the Sioux—are the
archetype North American Indian for people the world over even though
their way of life, so revered today, flourished for less than a century.
Adjacent to the Plains was the Prairies Culture Area, which comprised much
of the modern Middle West of the United States. The Indians here lived much
like those on the Plains except that they farmed as well as hunted, living
in permanent villages near their fields for much of the year, but venturing
onto the plains in search of the buffalo and other large game as dietary supplements. For several small tribes, like the Mandan, Hidatsa, Arikara, and
Pawnee, their homes were earth lodges, large enough to contain their prized horses as well as an extended family of a dozen or more people.
LE AREE CULTURALI
Per tentare di comprendere l’estrema diversità culturale dei nativi americani, gli antropologi sono soliti dividere le Americhe in aree geografiche
quali il nord-ovest, le Grandi Pianure e l’Artide. Sebbene l’ambiente getti
le basi per stili di vita diversi tra loro, generalmente le tribù all’interno di
una stessa zona condividono un numero significativo di tratti culturali, anche se nell’ambito di una stessa area possano essere riscontrate notevoli
differenze a livello linguistico e, in generale, culturale.
Eppure, tutta questa varietà di popoli e di culture deriva da quelli che la
maggior parte degli studiosi ritiene fossero solo tre o quattro gruppi di
cacciatori e raccoglitori – che in alcuni casi probabilmente non superavano le poche decine di unità – emigrati dall’Asia nel corso di migliaia di anni.
Il quando e il come, però, sono oggetto di un dibattito senza fine. Sembra
certo venissero dalla Beringia, il “ponte di terra dello stretto di Bering”
compreso tra la Siberia e l’Alaska, comparso con il ritirarsi dei mari durante l’ultima glaciazione. Forse sono entrati nel Nuovo Mondo attraverso un
corridoio privo di ghiacci a est delle Montagne Rocciose canadesi, e forse
si sono fatti strada a fatica giù per la costa a bordo di semplici imbarcazioni. Oppure, secondo le teorie moderne, potrebbero essere stati addirittura
i popoli europei tra i primi a insediarsi nelle Americhe. Alla base di questa
ipotesi ci sono le analogie riscontrate con la tecnologia degli arnesi in pietra della cultura solutreana dell’Europa preistorica. Comunque sia, chiunque fossero e da qualunque parte venissero, nel corso di molte generazioni i loro discendenti si sono sparsi in lungo e in largo tra due continenti.
E, così facendo, hanno finito per suddividersi in numerosi gruppi, tribù e
nazioni, occupando qualunque tipo di habitat dell’emisfero occidentale.
CULTURE AREAS
To help understand the extreme cultural diversity of Native Americans,
anthropologists divide the Americas into geographic regions such as the
Northwest, the Great Plains, and the Arctic. Since environment determines
many ways of life, tribes within each division generally share a significant
number of cultural traits, although even within culture areas there can be
considerable linguistic and cultural diversity. Yet this multiplicity of peoples and cultures stem from what most scholars believe were just three or
four bands of hunter-gatherers—some perhaps as small as several dozen
people—who migrated from Asia over a span of thousands of years. Just
how and when is endlessly debated, but it seems clear they came from
Beringia, the “Bering Land Bridge” between Siberia and Alaska that retreating seas had exposed during the last Ice Age. Perhaps they entered
the New World through an ice-free corridor east of the Canadian Rockies;
perhaps they worked their way down the coast in primitive boats. Recent
scholarship, however, suggests that peoples from Europe may have actually been among the earliest settlers in the Americas based on similarities
in the stone tool technology of the Solutrean culture found in prehistoric
Europe. Whoever they were and wherever they came from, their descendants, over the course of many generations, fanned out over the length
and breadth of two continents and diversified into myriad bands, tribes,
and nations, inhabiting every environment in the Western Hemisphere.
L’AREA CULTURALE
DELL’EST
La zona a est, compresa tra il fiume St. Lawrence a nord e il Golfo del Messico a sud, costituiva una grande area culturale. Le tribù che vi appartenevano dipendevano fortemente dall’agricoltura ed erano organizzate in
quelle che possono essere viste come le più grandi unità politiche fra tutte
le tribù a nord del Messico.
L’area culturale dell’est è spesso divisa in due zone, quella del nord-est
e quella del sud-est. Le tribù del nord-est parlavano principalmente idiomi appartenenti alla famiglia delle lingue irochesi, nome che deriva dalla grande confederazione omonima, l’entità politica tribale predominante
nella zona. Nel sud-est, invece, a prevalere era la famiglia delle lingue
muskogean. Anzi, tra quelle che divennero note come le Cinque Tribù Civilizzate, quattro – i Chickasaw, i Choctaw, i Creek e i Seminole – parlavano
lingue muskogean. La quinta – i Cherokee – parlava una lingua irochese.
Grazie ai quasi cinquecento anni di contatti prolungati con gli europei, disponiamo di maggiori informazioni sulla storia delle tribù che vivevano a
est rispetto a quelle che vivevano a ovest. E, cosa ancora più rara, conosciamo persino i nomi di alcuni degli indiani che si trovarono di fronte per
la prima volta a un uomo bianco nel giro di pochi decenni dai viaggi di Colombo. Alcuni furono capotribù che affrontarono i primi esploratori, altri,
invece, furono vittime della cupidigia degli stessi europei – individui tanto
sfortunati da essere sradicati dalle spiagge del Nuovo Mondo per essere
mandati in Europa, nella speranza che servissero da guida per le successive spedizioni esplorative. Tra questi prigionieri, il più famoso fu Squanto,
della tribù dei Wampanoag, che sopravvisse ad almeno due – forse persino
tre – viaggi in Europa.
THE EAST CULTURE AREA
The East was a vast culture area that stretched from the St. Lawrence
River in the North to the Gulf of Mexico in the South. The tribes in this
culture area, which relied heavily on agriculture for subsistence, were organized into the largest political units of any tribes north of Mexico. The
Eastern Culture Area is often divided into two sections, the Northeast and
the Southeast. Tribes in the Northeast primarily spoke languages within
the Iroquoian linguistic family, a name that is derived from the great Iroquois confederacy, which was the region’s predominant tribal political entity. In the Southeast, the Muskogean linguistic family predominated. In
fact, of the group that became known as the Five Civilized Tribes, four—the
Chickasaw, Choctaw, Creek, and Seminole—spoke Muskogean languages.
The fifth tribe, the Cherokee, spoke an Iroquoian language.
More is known of the history of the Eastern tribes because they have had
nearly five hundred years of sustained contact with Europeans. Even more
unusual, we know the names of some of the Indians who met their first
white man within a few decades of the Columbus voyages of discovery.
Some were chieftains who confronted early explorers; others were victims
of European cupidity, hapless individuals simply plucked from New World
shores and whisked away to Europe in hopes that they would serve as
guides for later exploring expeditions. The most famous of these captives
was Squanto of the Wampanoag Tribe, who survived at least two—perhaps
even three—trips to Europe.
IL SUD-OVEST
E LA CALIFORNIA
L’area culturale del sud-ovest comprendeva la maggior parte dello stato
dell’Arizona, del Nuovo Messico e la fascia settentrionale degli stati messicani. Poiché buona parte di questo territorio è desertica, gli indiani tendevano a insediarsi in aree simili a oasi nei pressi di ruscelli. Tutte le tribù
che vivevano in questa zona erano dedite all’agricoltura, alcune più di altre, e molte abitavano in piccole città o nei villaggi, da cui il nome spagnolo
pueblo, oggi usato per identificare gli indiani che vivevano in questi complessi architettonici realizzati con mattoni cotti al sole. L’ultimo tra questi
splendidi esempi d’ingegneria aborigena è Taos, nei pressi di Santa Fe, in
Nuovo Messico.
Il sud-ovest ospitava numerose tribù diverse tra loro: dai pacifici Pueblo,
divisi in più gruppi linguistici – quello dei Keresan, degli Shoshoni, dei Tanoan e degli Zuni – ai Navaho, nomadi e combattivi, e i loro cugini di lingua
athabasca, gli Apache. Per una serie di coincidenze, molte delle tribù della zona sud-occidentale sono riuscite a preservare buona parte della loro
lingua, religione e cultura tradizionale.
L’area culturale della California si estendeva su circa due terzi dell’attuale
stato omonimo e, seppur ridotta nelle dimensioni, le tribù che la occupavano erano incredibilmente diverse tra di loro: fisicamente, culturalmente e
linguisticamente. Per dare un’idea della diversità, in questa zona riecheggiava circa un terzo di tutte le lingue aborigene parlate a nord del Messico.
E sempre qui vivevano tanto i popoli più alti (i Mohave) quanto quelli più
bassi (gli Yuki) di tutto il Nord America.
Tuttavia, pur trattandosi di una delle regioni dell’America precolombiana
più densamente popolate, le tribù che la componevano erano davvero piccole, spesso non più di grandi bande poco dedite all’agricoltura.
THE SOUTHWEST
AND CALIFORNIA
The Southwest Culture Area included most of Arizona, New Mexico, and
the northern tier of Mexican states. Because much of the land is desert,
settlements tended to be in oasis-like spots near streams. All of the Indians in this area farmed, some more so than others. Many lived in towns
or villages, hence the Spanish word ‘pueblo’ which has come to identify
the Indians who lived in these picturesque adobe apartment complexes.
Taos, near Santa Fe, New Mexico, is the last of these marvelous products
of aboriginal engineering. The Southwest was home to diverse and numerous tribes, from the peaceful Pueblos, representing several linguistic
groups—Keresan, Shoshonean, Tanoan, and Zuni—to the militant and nomadic Navajo and their Athabascan kinsmen, the Apache. Thanks to a variety of factors, many of the Southwestern tribes have managed to retain
much of their traditional language, religion, and culture.
The California Culture Area occupied about two-thirds of the area of the
present state of California. Although small in area, it was remarkable for
the tribal diversity in physical type, speech, and culture. About one-third
of all aboriginal languages spoken north of Mexico were represented by
the Indians of California. The tallest (Mohave) and shortest (Yuki) people of
North America were found to be living there. It was one of the most densely
populated regions in pre-Columbian America, but the tribes in it were very
small, often no more than large bands that did very little farming.
ARTI E MESTIERI
I Nativi americani non possiedono una parola specifica per “arte”, dal
momento che per loro questa è parte della vita, proprio come coltivare il
cibo, crescere una famiglia e apprezzare la bellezza nella natura e nelle
cose create.
Ad esempio, anche le ceramiche prodotte nel sud-ovest nel corso di almeno duemila anni, sono di una qualità senza tempo, e ogni pueblo vanta uno
stile unico in quanto a forma e decorazione.
A partire dagli anni Venti del XX secolo, le migliori vasaie furono incoraggiate a firmare le loro creazioni, riscuotendo grande successo nel giro di
breve tempo. Contemporaneamente, poi, sono iniziati ad affiorare i primi
veri collezionisti di arte indiana, disposti ad acquistare i loro migliori lavori.
L’interesse suscitato in tutto il mondo verso questo tipo di creazioni ha contribuito, anche economicamente, a mantenere in vita la cultura dei Pueblo.
Una delle prime pietre che i popoli del sud-ovest utilizzarono a scopi decorativi fu il turchese, rinvenuto nel Nuovo Messico del nord. Sia gli uomini
che le donne, infatti, indossavano collane e orecchini realizzati con questo
splendido minerale blu. All’inizio, l’argento che utilizzarono per i loro gioielli proveniva dalle monete messicane, prima fuse e poi trasformate con il
martello in bottoni, anelli, braccialetti e altri oggetti a uso decorativo. Ma
fu solo a partire dalla fine del XIX secolo, quando i mercanti bianchi fecero
visita alle comunità indiane, come le riserve dei Zuni e dei Navaho, che si
sviluppò il mercato “dell’arte indiana”. Mano a mano che gli artigiani aborigeni entrarono in possesso di strumenti più avanzati, infatti, iniziarono
a servirsi anche di minerali esotici – tra cui i lapislazzuli, il serpentino e
il giaietto – per le loro creazioni, portando le varie forme d’arte del sudovest a un livello superiore, tanto da venire acclamate in tutto il mondo.
Un processo simile si verificò nell’ambito della tessitura. I Pueblo erano
dediti alla tessitura del cotone molto prima che gli spagnoli arrivassero nel
Nuovo Mondo, ma fu l’introduzione delle pecore a consentire la fioritura di
questo mestiere tradizionale. Soprattutto tra i Navaho, che probabilmente
impararono a tessere dagli stessi Pueblo, loro vicini.
ARTS AND CRAFTS
Native Americans have no word for “art.” To them art is a part of life, like
growing food, raising a family, and appreciating the beauty in nature and
the things they create. As can be seen from the clay pottery which has
been produced there for at least two thousand years, it has a timeless
quality, with each pueblo developing a unique style of form and decoration.### Beginning in the 1920s, the best women potters were encouraged to sign their work. They soon attracted much public acclaim from the
outside world. At the same time, serious collectors of Indian art began to
emerge, buying their best work. Thanks to the worldwide interest in their
artistic creations, their income has helped sustain the Pueblo culture.
One of the earliest stones the Southwest peoples used for decorative purposes was turquoise, found in northern New Mexico. Both men and women
wore necklaces and earrings made of this beautiful blue mineral. The first
silver they used in jewelry making came from Mexican coins which were
melted and hammered into buttons, rings, bracelets, and other decorative
items. Not until the late 19th century, however, when white traders visited
Indian communities such as the Zuni and Navajo reservations, was a market for “Indian Art” created. As tribal craftsmen acquired more advanced
tools, they began adding exotic minerals such as lapis lazuli, serpentine,
and jet to their creations bringing the art forms of the Southwest to new
heights and making them acclaimed the world over.
A similar transition occurred with weaving. The Pueblo people had been
weaving textiles made of cotton long before the arrival of the Spanish into
the New World, but it was the introduction of sheep that led to a fluorescence of this traditional craft, especially by the Navajo who probably
learned to weave from their Pueblo neighbors.
COSTA NORD-OCCIDENTALE
Nel lontano quadrante nord-occidentale di quelli che sono oggi gli Stati Uniti
d’America esistono tre aree culturali: quella della costa nord-occidentale,
quella dell’Altopiano e quella del Grande Bacino. La prima, che mostra segni evidenti di contatti con l’Asia, è una delle più particolari di tutto il Nord
America. Qui abitavano gli Haida, i Kwakiutl, i Makah e i Tlingit, che erano
soliti intagliare pali “totemici” e realizzare particolari opere d’arte in legno e in tessuto – il sogno dei musei di tutto il mondo. Questi indiani, che
vivevano principalmente di ciò che offriva loro il mare, costruivano delle
case fatte di tavole e potevano contare su un certo benessere e una certa
abbondanza, condizione insolita tra i popoli del Nuovo Mondo.
La forte enfasi posta dagli indiani della costa nord-occidentale sull’acquisizione di beni materiali, lo sfoggio pubblico nel corso del famoso potlatch – una cerimonia legata, appunto, all’ostentazione e alla distruzione
di oggetti espressione del benessere – e la presenza delle classi sociali e
della schiavitù ereditaria erano in forte contrasto con quanto avveniva nelle aree culturali che non si basavano sull’agricoltura.
NORTHWEST COAST
In the far Northwest quadrant of what is now the United States, there are
three culture areas—Northwest Coast, Plateau, and Great Basin. The Northwest Coast Culture Area, which shows evidence of contact with Asia, is one
of the most distinctive in all of North America. Here was the home of the
Haida, Kwakiutl, Makah, and Tlingit, who carved “totem” poles and produced
distinctive art works of wood and cloth that are coveted by museums around
the world. These Indians lived primarily on the products of the sea, built
plank houses, and enjoyed a life of surplus and comfort unusual among the
peoples of the New World. The great emphasis the Northwest Coast Indians placed on the acquisition of material goods; their public display in the
famous “potlatch,” a ceremony which featured the ostentatious display and
dispersal of wealth; and the emergence of social classes and hereditary
slavery contrasted sharply with other non-farming culture areas.
LE AREE CULTURALI DELL’ALTOPIANO
E DEL GRANDE BACINO
Adiacente alla costa nord-occidentale troviamo l’area culturale dell’Altopiano, che deve il suo nome all’Altopiano del Columbia, una regione bonificata dal fiume Columbia. Si tratta di un’area difficile da classificare, in
quanto le tribù che vi si erano stanziate presentavano dei tratti culturali in
comune con i vicini della costa e delle pianure, mentre coloro che vivevano
nella parte semidesertica del sud erano simili anche ai popoli del Grande
Bacino. Nella parte settentrionale abitavano diverse tribù, non particolarmente numerose – i Bannock, i Coeur d’Alene, i Flathead, i Klamath, i Modoc, e i Nez Percé – che parlavano una serie di idiomi derivati dal gruppo
delle lingue algonchine, salishan, chinookan, shapwailutan e uto-azteche.
Il Grande Bacino è esattamente ciò che il nome lascia presagire, nonché
una delle zone più aride degli Stati Uniti. Quest’area culturale comprendeva stati quali lo Utah e il Nevada, ma anche parte della California, dell’Oregon, dell’Idaho, del Wyoming e del Colorado. Gli indiani di questa regione,
soprattutto quelli che vivevano nella zona arida del meridione, erano divisi
principalmente in piccole tribù e bande, come gli Ute, i Paiute, gli Shoshoni e i Washo che, all’interno della famiglia linguistica uto-azteca, rientravano nel gruppo delle lingue shoshonean. Queste tribù conducevano una
vita povera, basata sulla caccia agli animali di piccola taglia e la raccolta
di noci, semi e piante selvatiche. Tuttavia, una volta entrati in possesso dei
cavalli, diverse tra di loro iniziarono ad assumere i tratti culturali dei vicini delle Pianure. Quelli a est del Grande Lago Salato adottarono persino i
tepee in pelle di bisonte.
PLATEAU AND GREAT BASIN
CULTURE AREAS
Adjacent to the Northwest Coast is the Plateau Culture Area, named after the Columbian Plateau, a region drained by the Columbia River system. It is a difficult area to categorize because the people in this region
shared culture traits with their neighbors on the coast and the plains,
while the semi-desert environment of the southern portion gave them
something in common with the Great Basin as well. In the northern portion were found a number of small tribes—Bannock, Coeur d’Alene, Flathead, Klamath, Modoc, and Nez Perce—speaking a variety of languages
derived from the Algonquian, Salishan, Chinookan, Shapwailutan, and
Uto-Aztecan linguistic groups.
The Great Basin is just what the name suggests and is one of the driest
regions in the United States. This culture area included all of Utah and Nevada and parts of California, Oregon, Idaho, Wyoming and Colorado. The
Indians in this area, especially those living in the arid southern portion,
consisted primarily of small tribes and bands such as the Utes, Paiutes,
Shoshones, and Washo, who belonged to the Shoshonean division of the
Uto-Aztecan linguistic family. They eked out a meager living hunting small
animals and gathering nuts, seeds, and wild plants. Once they acquired
horses, however, several of these tribes began to adopt the cultural traits
of their Plains neighbors. Those residing east of the Great Salt Lake even
adopted buffalo-hide tepees.
Il CANE DAL CIELO
Sebbene nel corso del suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo, effettuato
nel 1493, Colombo si sia portato dietro un’arca di animali addomesticati,
furono i cavalli – anch’essi dei “nativi americani” – a meglio adattarsi alle
necessità degli indiani, tanto da essere assimilati nelle culture più disparate, dal Canada alla Patagonia. Noti come “cani dal cielo”, in un primo
momento gli indigeni ne ebbero paura, tanto da arrivare a considerarli dei
mostri oppure dei messaggeri speciali inviati dagli dei. Ben presto, comunque, timore e soggezione furono soppiantati dal desiderio di impossessarsi
di queste splendide creature sebbene gli spagnoli avessero il desiderio di
tenere cavalli e indiani separati gli uni dagli altri. Tuttavia, per la fine del
XVIII secolo di fatto ogni tribù del Far West andava a cavallo o, quantomeno, aveva accesso a questi animali.
La storia della diffusione delle armi da fuoco è altrettanto incredibile, sebbene gli europei fossero comprensibilmente intenzionati a tenerle fuori
dalla portata degli indiani. Una volta entrati in possesso delle armi, infatti,
i guerrieri delle Pianure si dimostrarono nemici temibili nei confronti sia
degli intrusi europei che delle altre tribù.
Grazie al cavallo e alle armi da fuoco, le tribù delle Pianure attraversarono
una breve “età dell’oro” fino a quando, poi, non rimasero sopraffatte dal
Destino manifesto e da altre forze a cui non riuscirono a opporsi.
Con il cavallo questi popoli furono in grado di seguire le mandrie dei bisonti, e questo consentì loro di avere a disposizione molta carne per mangiare
e pellame per creare vestiti, mantelli e tende.
Un buon cacciatore poteva avere diverse mogli, che si dividevano i lavori domestici e si dedicavano alla produzione di splendidi abiti ricoperti di
perline, mocassini, decorazioni per cavalli e altri tesori artistici che potrete ammirare tra le sale della mostra.
THE SKY DOG
Although Christopher Columbus, on his second voyage to the New World in
1493, carried with him an ark of domesticated animals, it was the horse—
itself a “native American”—that best fit the needs of the Indians, and it
was assimilated into tribal cultures ranging from Canada to Patagonia.
Called “sky dogs,” horses at first frightened the Indians, who thought they
were monsters or special messengers of the gods. Fear and awe quickly
gave way to a desire to obtain these wonderful creatures, but the Spanish were equally desirous to keep them out of Indian hands. Nonetheless,
by the late 1700’s virtually every tribe in the far West was mounted or at
least had access to horses. Equally dramatic was the spread of guns, even
though the Europeans were understandably anxious to keep them out of
Indian hands. The result was the Plains warrior proved to be a formidable
foe to both the European intruders and tribal enemies.
Thanks to the horse and gun, Plains tribes enjoyed a brief “golden age”
until overwhelmed by Manifest Destiny and other forces beyond their control. The Plains people could now follow the buffalo herds, which meant
they usually had plenty of meat to eat as well as hides for making clothing,
robes, and tents. A good hunter could have several wives, who would share
family chores and also have time to make the beautifully beaded dresses,
moccasins, horse regalia, and other artistic treasures on display here and
in the adjoining galleries.
Fly UP