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I movimenti di protesta contro le politiche di austerità in Europa

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I movimenti di protesta contro le politiche di austerità in Europa
University of Urbino
From the SelectedWorks of Mario Pianta
2014
I movimenti di protesta contro le politiche di
austerità in Europa
Mario Pianta
Paolo Gerbaudo, King's College London
Available at: http://works.bepress.com/mario_pianta/115/
Silvia Zamboni (a cura di) Un’altra Europa. Sostenibile, democratica, paritaria, solidale.
Milano, Edizioni Ambiente, 2014.
I movimenti di protesta contro le politiche di austerità in Europa
di Mario Pianta e Paolo Gerbaudo
Introduzione e sommario
Fin dall’inizio della crisi economica nel 2008, l’Europa è stata al centro di incessanti esami e
attacchi, tanto più serrati dopo l’esplosione della crisi dei debiti sovrani nel 2010. Espressioni come
“crisi dell’euro”, che ricorrono continuamente sui media, hanno diffuso l’impressione che nel
progetto dell’Unione Europea vi sia qualcosa di irrimediabilmente sbagliato che ne minaccia
l’esistenza stessa come entità politica. La crisi economica – che le politiche di austerità hanno
trasformato, nelle regioni periferiche dell’Europa, in una perdurante e profonda depressione – ha
messo in luce il nascente potere e la crescente mancanza di legittimazione delle istituzioni
tecnocratiche dell’Unione europea, compresi il Consiglio d’Europa, la Banca Centrale Europea
(BCE) e la Commissione europea. Tuttavia, i movimenti di protesta che sono sorti nel vecchio
continente in risposta alla crisi, e, in particolare la “politica sotterranea” degli indignados e dei
gruppi Occupy, hanno mostrato scarso interesse per una trasformazione degli organi di governance
e delle politiche dell’Europa. Le proteste contro le politiche di austerità si sono per lo più sviluppate
a livello nazionale con un limitato grado di coordinamento e di visione transnazionale. Nel criticare
giustamente le politiche neo-liberiste perseguite a livello europeo, le proteste antiausterity hanno
finito per lo più per vedere nell’Europa solo la colpevole e non anche l’ambito in cui si potrebbe dar
vita ad un’alternativa politica al neo-liberalismo.
In questo capitolo analizziamo le proteste contro le politiche di austerità che si sono avute in
Europa, esplorandone la natura di “politica sotterranea” e il modo in cui si relazionano con lo spazio
politico a livello europeo. Quello che sosteniamo è che i movimenti anti-austerity, al pari di forze
più istituzionali come i sindacati europei, non sono stati capaci di fare delle istituzioni e delle
politiche europee il bersaglio principale delle loro campagne, benché esse ricoprano un ruolo
cruciale nel dettare le politiche di austerità in Europa. La maggior parte delle campagne hanno preso
di mira l’implementazione di politiche a livello nazionale anziché mettere in discussione il potere
decisionale a livello europeo.
Siamo partiti da un’analisi delle proteste per vedere se hanno carattere nazionale o
transnazionale. La maggior parte delle mobilitazioni contro le politiche di austerità si è sviluppata in
un contesto nazionale congiuntamente alle lotte contro la chiusura di impianti produttivi, la
disoccupazione e i tagli nei servizi pubblici, o alle proteste dei giovani nelle scuole e nelle
università. Al confronto, le iniziative anti austerità di stampo veramente pan-europeo hanno avuto
una portata e un impatto più limitati. Rientrano in questa categoria la giornata di mobilitazione
mondiale denominata Global Change del 15 ottobre 2011; le manifestazioni del maggio 2012 e
2013 Blockupy a Francoforte; il Social forum 10+10 del novembre 2012 a Firenze; la giornata di
sciopero europeo dichiarata dall’European Trade Union Confederation (ETUC, la Confederazione
sindacale europea, ndt) il 14 novembre del 2012; la manifestazione contro la riunione di Primavera
del Consiglio d’Europa del marzo 2013 e l’AlterSummit ad Atene del giugno 2013.
La mancanza d’interesse per l’Europa intesa come spazio per l’azione politica traspare dalle
diverse visioni politiche che emergono dai movimenti anti-austerity, in cui domina lo scetticismo
verso la possibilità di orientare il progetto europeo verso obiettivi di equità e giustizia. Nell’ambito
delle mobilitazioni anti-austerity dei network di esperti e delle principali campagne hanno preso
1
corpo diverse visioni dell’Europa che hanno guidato le iniziative di protesta e quelle di natura
politica. Le prime proposte di cambiamento a breve termine hanno enfatizzato la necessità di una
revisione degli accordi a livello europeo, riformando l’Unione monetaria e i mercati finanziari
attraverso l’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie, l’istituzione di Eurobond,
l’ampliamento del ruolo della BCE, e una visione meno restrittiva dell’integrazione delle politiche
di bilancio in Europa. Un secondo approccio ha puntato a bloccare il processo di integrazione
europea, risuscitando procedure di politica di carattere nazionale, rispondendo alla crisi di bilancio
(fiscal crisis in orginale, ndt) con una sorta di cancellazione del debito e prendendo in
considerazione la fine dell’euro e il ritorno alle monete nazionali. Una terza visione a lungo termine
dell’Europa, oltre il neoliberismo, ha sostenuto che una maggiore integrazione europea non si
sarebbe dovuta fondare sul dominio del mercato unico e della moneta unica, bensì sulla visione di
maggiore democrazia, sostenibilità ambientale e di una crescita più equa, con una drastica riduzione
del potere della finanza, l’eliminazione dei paradisi fiscali, la riduzione del peso del debito, la
protezione dei sistemi di welfare e dei diritti del lavoro e l’introduzione di politiche di bilancio
coordinate capaci di evitare una nuova grande depressione.
Nei pochi casi in cui le mobilitazioni hanno fatto direttamente ed esplicitamente riferimento a
tematiche europee è emersa una varietà di posizioni, che andavano da quelle dei sindacati
favorevoli alla necessità di riformare l’Europa, agli indignados e ai gruppi di base che chiedevano
di rovesciare il processo di integrazione europeo, mentre l’opzione di un’Europa post-neoliberista,
pur avendo influenzato l’opinione pubblica e gli attivisti, non è ancora riuscita a collegarsi alle
grandi mobilitazioni di massa.
Questa mancanza, nelle mobilitazioni contro le politiche di austerità, di una visione condivisa
dell’Europa riflette l’assenza di uno spazio democratico pan-europeo e di un riconoscibile insieme
di istituzioni politiche europee con le quali i movimenti sociali possano confrontarsi nel perseguire i
loro obiettivi. Senza un “luogo” legittimato e visibile destinato alle politiche democratiche europee,
le mobilitazioni contro le politiche neoliberiste potrebbero rinchiudersi sempre più nel contesto
delle politiche nazionali, con conseguenze pericolose sia per i singoli paesi, sia per l’Europa nella
sua interezza.
2. La politica sotterranea e l’arena europea
A seguito della crisi finanziaria del 2008 sulla scena europea sono comparsi nuovi attori sociali che
appartengono a una comune “ondata di protesta” (Tarrow, 1994: 153) anti-austerity. Oltre che per le
iniziative di organizzazioni consolidate, sindacati compresi, questa ondata di protesta si è caratterizzata
per la comparsa della “politica sotterranea” degli indignados e dei gruppi Occupy, che sono stati
particolarmente attivi in Spagna, Grecia, Portogallo e nel Regno Unito, dove fin dal 2011 si sono
registrate svariate occupazioni di spazi pubblici e si sono organizzati accampamenti di protesta.
Le attività associate alla “politica sotterranea” hanno molti punti in comune con il movimento antiglobalizzazione, compresa l’enfasi posta sul processo decisionale basato sul consenso e l’azione diretta.
Ci sono però anche significative differenze, come si è visto nella pratica di occupare le piazze e nel
tentativo di ridurre le rivalità interne per appellarsi ad ampi settori della popolazione. Gli indignados e i
gruppi Occupy hanno configurato la politica sotterranea fondamentalmente in chiave di “politica
civica”, ossia una politica dei cittadini che non si sentono rappresentati dalle istituzioni politiche
esistenti, compresi i partiti e i sindacati, come viene detto in slogan ricorrenti quale “no me
representan”, ovvero “non mi rappresentano” (vedi Gerbaudo 2012).
Resta da stabilire in che misura queste forme di politica sotterranea possano rappresentare uno
strumento di riforma dell’Europa in chiave democratica in grado di affrontare l’attuale crisi di
legittimità delle istituzioni democratiche; un aspetto, però, che va al di là degli obiettivi della nostra
discussione. In queste pagine, invece, analizziamo in che misura questo tipo di mobilitazione – insieme
ad altre forme di protesta più tradizionali – si sia relazionato all’Europa intesa come spazio di azione
politico. L’Europa è vista semplicemente come un nemico o può rappresentare lo sbocco verso
un’alternativa politica? E in che modo lo spazio della protesta in Europa si è sintonizzato con quello
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delle mobilitazioni nazionali? Questi tre movimenti sono il sintomo di un “ritorno alla dimensione
nazionale”, come ha suggerito qualcuno (verdi per esempio Gerbaudo, 2012:10), o sono le articolazioni
di una coerente visione transnazionale?
L’ondata di mobilitazioni del movimento anti-globalizzazione rivelò il crescente carattere
transnazionale delle proteste sociali in un mondo interconnesso a livello planetario. Scendendo in campo
contro istituzioni globali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del
Commercio (WTO) o il G7 e il G8, gli attivisti costruirono delle complesse alleanze transnazionali, si
attivarono di qua e di là dei loro confini, con l’obiettivo di costruire un nuovo spazio di democrazia a
livello mondiale (Della Porta, 2007, Pianta e Marchetti, 2007). Nel contesto delle proteste transnazionali
l’Europa acquisì importanza come spazio intermedio, situato tra quello nazionale e quello mondiale, nel
quale avrebbe potuto venire alla luce una mobilitazione comune. L’Europa divenne così un terreno
cruciale per molti attivisti che volevano superare il ristretto ambito dei confini di uno stato nazionale
reso sempre più vulnerabile dai mercati mondiali. Questo sforzo di costruire un luogo radicalmente
europeo si evidenzia nelle esperienze del Social Forum Europeo e con “ l’europeizzazione del discorso
pubblico e della mobilitazione” (Della Porta, Caiani, 2007).
Il movimento anti-globalizzazione percepì l’Europa come un nuovo centro di potere a cui rivolgersi,
ma anche come un nuovo spazio politico in cui sviluppare nuove forme di democrazia e di azione
collettiva. Ma vale ancora ciò nel caso delle odierne proteste anti-austerity e, in particolar modo, rispetto
alla politica sotterranea degli indignados e dei gruppi Occupy? A queste domande rispondiamo con
l’analisi di svariati documenti prodotti dal movimento che comprendono manifesti, risoluzioni
assembleari, position paper e pubblicazioni, e con la mappatura di eventi rilevanti collegati alla protesta
anti-austerity che si sono registrati in Europa.
Ciò che emerge dalla linea di evoluzione della mobilitazione e dall’agenda degli odierni movimenti di
protesta contro le politiche di austerità è che l’Europa in linea di massima ha perso la rilevanza che
aveva, come spazio politico, al tempo del movimento anti-globalizzazione. Nonostante il giudizio
condiviso sulla natura della crisi e delle politiche neoliberiste, è stato il contesto politico nazionale che
ha fatto da cornice alle campagne di mobilitazione organizzate in Europa fino al 2013, lasciando poco
spazio allo sviluppo di una mobilitazione di dimensioni realmente continentali. Inoltre sono emerse
posizioni marcatamente diverse rispetto alla questione su come affrontare la crisi, eliminando la
possibilità di costruire una chiara alternativa allo status quo dell’Europa.
3.La linea di sviluppo delle mobilitazioni
Le mobilitazioni anti-politiche di austerità che si sono registrate in Europa dal 2009 al 2013 sono
state caratterizzate dal tratto nazionale piuttosto che transnazionale. Mentre la maggioranza dei paesi
dell’Unione europea ha condiviso la recessione e le misure di politica di austerità, le proteste e la
mobilitazione si sono sviluppate nei diversi paesi europei seguendo percorsi autonomi, con un limitato
coordinamento internazionale. In generale le mobilitazioni anti-austerity hanno rispecchiato il ritmo
della politica nazionale. Gli appelli a protestare sono stati lanciati sia in risposta a misure dei governi
nazionali, come ad esempio l’annuncio di tagli al bilancio, sia come reazione all’alto tasso di
disoccupazione, alla perdita di posti di lavoro, al disagio dei giovani e degli studenti. Dal 2012 le
proteste hanno riguardato anche la dura repressione attuata dalle forze dell’ordine per decisione dei
governi dei paesi del sud dell’Europa.
Per analizzare la linea di evoluzione delle mobilitazioni anti-austerity che si sono registrate in tutta
Europa a partire dallo scoppio della crisi nel 2008, abbiamo adottato la metodologia e le definizioni
usate nell’analisi di summit ed eventi paralleli organizzati dalla società civile globale (Pianta, 2001;
Gerbaudo and Pianta, 2012). Abbiamo individuato solo un numero limitato di eventi chiaramente
coordinati a livello internazionale e con l’ambizione di avere una dimensione europea, una manciata dei
quali ha avuto origine da esperienze di politica sotterranea.
La tavola (1) riporta le principali manifestazioni di protesta succedutesi a livello europeo tra il 2008
e il giugno 2013. Se ne sono avute poche, anche se la loro frequenza aumenta a partire dal 2012; la
linea di evoluzione è discontinua, e non registra la persistenza di alcuna forma particolare di
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mobilitazione, con l’eccezione di quelle organizzate dai sindacati. Il panorama degli attori coinvolti è
piuttosto limitato; incerto il contenuto di carattere europeo delle mobilitazioni.
La scarsità di proteste di livello pan-europeo è particolarmente sconcertante in quanto non sono di
certo mancati eventi che avrebbero potuto rappresentare un obiettivo contro cui protestare. Molte
decisioni importanti che hanno influito sul modo di gestire la crisi sono state prese nel corso di riunioni
di alto livello in ambito UE, comprese le riunioni del Consiglio d’Europa, dei ministri alle Finanze della
Ue, e i summit UE, come quello del marzo 2012, nel cui ambito si è definito il “Fiscal compact”; o
ancora in incontri tra Capi di Stato, come quelli tenutisi di frequente tra il presidente francese Nicolas
Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ciascuno di questi eventi ha offerto una chiara
“opportunità politica” (Tarrow, 1994: 15) per organizzare azioni di protesta. Tuttavia solo in casi
sporadici la gente si è mobilitata per protestare contro queste decisioni e le politiche adottate. E in
nessuna occasione si è assistito a qualcosa anche solo paragonabile ai contro-summit di protesta del
movimento anti-globalizzazione, come quelli organizzati a Praga nel 2000 o a Genova nel 2001. Mentre
le elite europee attuavano politiche neoliberiste che hanno contribuito ad aggravare la crisi, i movimenti
sociali europei sono apparsi incapaci di costruire un’opposizione di dimensione continentale.
Nell’analizzare la linea di sviluppo delle mobilitazioni anti-austerity abbiamo preso in esame
separatamente i due principali protagonisti coinvolti nelle proteste in Europa: la politica sotterranea
degli indigndos e dei gruppi Occupy da un lato, e la politica più istituzionalizzata dei sindacati europei e
dell’ETUC (la Confederazione sindacale europea) dall’altro.
I primi rappresentano la principale novità del ciclo di proteste anti-austerity. Usando la forma di
protesta degli accampamenti di tende, come quelli in piazza Puerta del Sol a Madrid e in piazza
Syntagma ad Atene, questi movimenti hanno trovato dei modi efficaci per dare voce alla diffusa
opposizione, tra i cittadini, alle politiche di austerità (Gerbaudo, 2012). Hanno creato un nuovo spazio
per il processo decisionale democratico e per la partecipazione dal basso. Tuttavia questi movimenti non
sono riusciti a estendere a livello europeo la protesta anti-austerity. Per come si è sviluppato in Spagna e
in Grecia, il movimento degli indignados si è dedicato soprattutto a contrastare la politica di austerità a
livello nazionale, opponendosi ai drastici tagli alla spesa pubblica e protestando contro le drammatiche
conseguenze su occupazione e servizi pubblici. E’ vero che alcuni settori di questi movimenti, in special
modo i gruppi più politicizzati provenienti dal ciclo delle proteste anti-globalizzazione, hanno nutrito la
speranza che il movimento avrebbe oltrepassato i confini nazionali e avrebbe dato vita a una Primavera
Europea. Ciononostante questi tentativi di internazionalizzazione hanno avuto un successo limitato.
Il movimento degli indignados ha visto la luce in Spagna nel 2009 e ha attecchito in altri paesi in
maniera limitata. Solo in Grecia un movimento locale di indignados sorto verso fine maggio 2011 e
denominato, in greco, Αγανακτισμένοι (trascritto nel nostro alfabeto Aganaktismenoi), è riuscito a farsi
la fama, nella primavera e nell’estate del 2011, di potente attore sociale. A dispetto di svariati tentativi e
sforzi, altri paesi, come la Francia e l’Italia, hanno dimostrato di non essere un terreno fertile per gli
indignados, confermando la forte specificità di questo movimento. La prima occasione per un
coordinamento transnazionale delle azioni di protesta la si è avuta nell’ottobre 2011, quando il
movimento ha promosso una giornata di protesta unitaria. Sotto lo slogan “Uniti per il cambiamento
globale”, il 15 ottobre 2011 hanno avuto luogo delle manifestazioni in una sessantina di città europee, le
più partecipate delle quali si sono tenute a Madrid e a Roma. Nella capitale italiana la manifestazione è
terminata con violenti scontri con la polizia e con profonde divisioni tra le componenti del movimento.
La manifestazione a Bruxelles, che era stata programmata per essere l’evento clou della giornata di
mobilitazione con un corteo di manifestanti nella capitale dell’Europa in arrivo dalla Spagna, ha finito
per coinvolgere solo poche migliaia di partecipanti. Mentre l’adesione complessiva alla protesta per
tutta Europa è stata alta, toccando quasi il milione di persone, questo evento non ha dato l’impressione
di aver prodotto alcun risultato duraturo in termini di capacità organizzativa e di capacità di incidere
politicamente.
Un secondo tentativo di trasformazione dell’ondata di proteste contro le politiche di austerità, da
una serie di iniziative nazionali scoordinate a una campagna coordinata pan-europea, sono state le
giornate “Blockupy Frankfurt”, nel corso delle quali gruppi locali autonomi e Attac Germania hanno
giocato un ruolo significativo. Le proteste hanno avuto luogo tra il 16 e il 19 maggio 2012 a
4
Francoforte, avendo per obiettivo la Banca Centrale Europea (BCE), ritenuta l’istituzione veramente
responsabile dell’imposizione delle politiche di austerità a livello europeo. Decine di migliaia di
attivisti, per lo più di nazionalità tedesca con qualche italiano e pochi francesi, si sono dati
appuntamento a Francoforte. Tuttavia la protesta non ha innescato azioni di più vasta portata paneuropea. La dura repressione da parte della polizia tedesca dal un lato, insieme al rigido divieto di
manifestare emesso dalle autorità dall’altro, hanno contribuito a decretarne il fallimento. Tuttavia lo
scarso successo è da ascrivere anche alla difficoltà di creare il senso di un obiettivo condiviso in cui
potessero riconoscersi le diverse componenti del movimento europeo anti-austerity, come si è visto
anche nella difficoltà a mobilitare partecipanti dall’estero, in particolare da Spagna e Grecia, nonché alla
percezione di un evento gestito solo dagli attivisti tedeschi. Un secondo BlockupyFra ha avuto luogo nel
maggio 2013 con risultati simili al precedente (vedi boxino 1).
Analogamente, hanno avuto un limitato successo anche altri tentativi di costruire un fronte europeo
di protesta contro le politiche di austerità basato sulle esperienze degli indignados. Le Giornate di
Primavera di mobilitazione anti-austerity, e in particolare le proteste del 14 marzo 2013 contro la
riunione di Primavera del Consiglio d’Europa, hanno visto la partecipazione di poche migliaia di
persone e hanno avuto una limitata risonanza nei media, soprattutto se paragonate ad eventi organizzati
a livello nazionale, come ad esempio le mobilitazioni contro la crisi che si sono registrate a Cipro più o
meno nello stesso periodo. Nel complesso, la politica sotterranea degli indignados ha dimostrato quanto
sia difficile espandersi a livello europeo.
Problemi simili per lo sviluppo di una mobilitazione estesa a tutta l’Europa sono emersi anche nelle
iniziative promosse dai sindacati. In questo ambito il soggetto-chiave è la Confederazione Sindacale
Europea (European Trade Union Confederation - ETUC), sorta nel 1973, che rappresenta 60 milioni di
lavoratori di tutta l’Europa e che è un candidato scontato a guidare una campagna pan-europea contro le
politiche di austerità. Tuttavia, a causa delle divisioni interne tra i membri dell’ETUC - che comprende
sindacati più militanti e altri più moderati, e sindacati attivi sia nei paesi del “centro” sia in quelli della
“periferia” dell’Europa, con situazioni economiche e sociali profondamente diverse – questa
organizzazione ha incontrato delle difficoltà nella promozione di una più ampia ondata di iniziative
transfrontaliere, e nell’investimento di risorse significative in mobilitazioni estese a tutta l’Europa.
Troppo impegnati a livello nazionale, a livello europeo i sindacati hanno avuto solo uno scarso impatto
sull’agenda politica.
La protesta contro le politiche di austerità di maggior rilievo organizzata finora dall’ETUC è stata la
giornata europea di sciopero proclamata il 14 novembre del 2012, contrassegnata dallo sciopero
generale in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia e da manifestazioni di protesta a livello nazionale nel
resto d’Europa. Si è trattato di un evento di portata storica, perché ha rappresentato il primo vero
tentativo di proclamare uno sciopero generale a livello europeo Europa, e perché in diversi paesi ha
visto la forte partecipazione di “indignados” e di gruppi simili. Le adesioni, però, sono state
diversificate: in Spagna si è registrata un’ampia partecipazione con cortei di massa; in Italia ci sono state
80 manifestazioni di protesta locali, nel corso delle quali sono scesi in piazza anche gli studenti; in
Grecia la protesta si è conclusa con degli scontri nelle strade di Atene; una ricaduta più limitata si è
avuta in Portogallo; mentre nel resto della Ue i sindacati hanno organizzato cortei, ma senza proclamare
lo sciopero (cfr. il box 2).
Questa giornata di mobilitazione seguiva una serie di proteste organizzate in precedenza da ETUC a
Bruxelles e in altre città europee. L’esempio più emblematico tra queste iniziative è stato il corteo di
protesta organizzato da ETUC il 29 settembre 2010 a Bruxelles, al quale hanno partecipato circa
100mila persone provenienti da tutti i paesi della Ue. Altri eventi degni di nota sono stati l’ “Euromanifestazione” (Euro-demonstration) a Wroclaw il 17 settembre 2011, l’altra manifestazione
denominata “No to Austerity” a Budapest il 9 aprile 2011 e la Giornata di mobilitazione europea
(European Day of Action) il 24 marzo del 2011, che ha visto svolgersi alcune piccole iniziative di
protesta in varie parti d’Europa.
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L’impatto relativo registrato da queste proteste riflette il potere ridotto del lavoro organizzato e la
mancanza di una strategia condivisa per rispondere alla crisi, come pure la debolezza dell’ETUC in
confronto all’abilità dei gruppi di affari e delle lobby nell’influenzare le politiche europee (Hyman,
2005). I sindacati hanno risposto ai programmi di austerità dei governi nazionali soprattutto a livello
nazionale con scioperi mirati nel comparto industriale e scioperi generali. La chiusura di stabilimenti
produttivi, la perdita di posti di lavoro, la precarizzazione del lavoro e le percentuali record di
disoccupazione giovanile hanno profondamente diviso la base sindacale, rendendo più difficile la
costruzione di alleanze sociali in grado di incidere. La sfida di allargare queste alleanze a paesi
caratterizzati da condizioni di base molto diverse – da quelle dei paesi della “periferia” dell’Europa
devastata dalla crisi, a quelle dei paesi del “centro” ampiamente al riparo dai problemi economici - si è
dimostrata non alla portata né dei sindacati europei, né delle strategie politiche afferenti al lavoro.
Le proteste contro l’austerity, sia quelle che hanno preso corpo come politica sotterranea dei gruppi
degli indignados, sia quelle dei sindacati a un livello più istituzionale, si sono così caratterizzate per un
alto tasso di frammentazione nazionale e per l’incapacità di costruire una campagna coordinata a livello
europeo, commensurata alle istituzioni cui è affidata la governance e che dettano le politiche di
austerity. Questo fallimento si registra appena qualche anno dopo una forte ondata di proteste antiglobalizzazione che hanno attraversato l’Europa (Pianta e Marchetti, 2007), giungendo ad avere un
impatto significativo sul panorama politico nei principali paesi e qualche cambiamento nelle politiche
nazionali, come ad esempio la cancellazione del debito dei paesi in via di sviluppo, la liberalizzazione
del commercio e l’introduzione di imposte sulle transazioni finanziarie (Utting et al., 2012). Per alcuni
anni l’European Social Forum, lanciato a Firenze nel 2002, è stato un punto di riferimento per tutti gli
oppositori del neo liberalismo, ed è servito come piattaforma per coordinare le campagne di protesta
europee. Tuttavia, la sua struttura poggiava su relazioni tra organizzazioni che hanno portato a una
progressiva perdita di rilevanza e di partecipazione, che si è conclusa con l’European Social Forum di
Istanbul del 2010.
Un tentativo di “ri-creare” questo spazio di dialogo tra attivisti dei gruppi di base è stato fatto con
l’incontro “Unire le forze per un’altra Europa” tenutosi in occasione del summit alternativo 10+10 del
novembre 2012 a Firenze, organizzato dieci anni dopo il primo European Social Forum con l’obiettivo
di guardare per dieci anni nel futuro dell’Europa. All’evento hanno partecipato quattromila attivisti
appartenenti a 300 network e organizzazioni provenienti da 20 paesi europei, compresi rappresentanti di
reti della consolidata società civile della Ue, sindacalisti, militanti grassroot, veterani “(più) vecchi” del
movimento antiglobalizzazione e attivisti “(più) giovani” provenienti dalle fila degli indignados e di
Occupy. L’incontro di un tale ampio schieramento di forze è stato un successo e ha portato all’indizione
delle proteste del 14 marzo 2013. Tuttavia i dibattiti sul percorso da seguire per uscire dalla crisi in
Europa sono rimasti piuttosto frammentari, fallendo così l’obiettivo di elaborare una impostazione
condivisa delle mobilitazioni in Europa, che potesse dar vita ad azioni di protesta diffuse e coordinate.
In definitiva, Firenze 10+10 non ce l’ha fatta a superare le difficoltà nell’articolare una visione coerente
di un’Europa alternativa, post-liberista. La medesima fragilità è emersa nel giugno 2013 in occasione
dell’AlterSummit organizzato ad Atene da un arco di forze simili; la partecipazione, il coinvolgimento
dei movimenti greci e l’impatto complessivo sono stati limitati, nonostante la dichiarata intenzione degli
organizzatori di promuovere la nascita di un movimento pan-europeo.
Tabella 1 qui
4. Visioni e alternative
Accanto al mancato coordinamento internazionale delle proteste contro le politiche di l’austerità,
l’incapacità dei movimenti di articolare una chiara strategia di respiro europeo deriva dalle diverse
visioni di Europa emerse e dal diffuso euro-scetticismo. In generale le mobilitazioni anti-austerity
hanno mancato l’obiettivo di convergere su una visione condivisa da cui si possa partire per
sviluppare un’alternativa credibile allo “status quo” dell’Europa.
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Sono emerse tre diverse visioni dell’Europa che hanno fatto da principali cornici alle proteste
anti-austerity. Una prima prospettiva, incentrata su cambiamenti a breve termine utili per rispondere
alla crisi in Europa, propende per un intervento correttivo dell’Europa (European adjustment)
costituito da limitate riforme dell’Unione Monetaria e dei mercati finanziari (compresa
l’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie, l’istituzione degli euro-bond, l’ampliamento
del ruolo della BCE e un’impostazione meno restrittiva dell’integrazione fiscale all’interno
dell’Europa), senza alterare l’attuale strutturazione del processo di integrazione europea. La
seconda visione si basa sull’inversione del processo di integrazione europea, con il ripristino di
procedure politiche su base nazionale, una risposta alla crisi finanziaria con la cancellazione di una
parte del debito (senza escludere la fine dell’euro e il ritorno alle monete nazionali), il ritorno a
un’economia meno aperta e meno integrata, e infine il recupero di alcuni punti di sovranità politica
nazionale. La terza visione è il modello di un’Europa proiettata oltre il neoliberismo, convinta che
una maggiore integrazione dell’Europa non debba fondarsi sul predominio del mercato unico e della
moneta unica, bensì sulla visione di un’Europa democratica contrassegnata da una crescita
sostenibile e più equa: una visione in cui rientrano la drastica riduzione del potere della finanza,
l’eliminazione dei paradisi fiscali, la riduzione del peso del debito, la salvaguardia dei sistemi di
welfare e dei diritti dei lavoratori e l’introduzione di politiche di bilancio in grado di sventare una
nuova grande depressione.
Queste tre visioni sono meno in contrasto tra loro di quanto si potrebbe pensare, e il consenso di
cui godono dipende anche dalla gravità della crisi nei diversi paesi. Le proposte di riforma
dell’Unione monetaria e della BCE, le “più facili” da realizzare, sono ampiamente condivise e, se
fossero state attuate prima, molto probabilmente sarebbero riuscite ad evitare il circolo vizioso delle
politiche di austerità e della crisi nei paesi del Sud Europa. Ora che la depressione nella “periferia”
dell’Europa è più drammatica, sono necessarie misure più drastiche per contrastare la libertà di
manovra della finanza (la crisi del sistema bancario di Cipro del 2013 è stata affrontata con
l’introduzione di sistemi di controllo sui movimenti di capitale). Le proposte di un diverso modello
di integrazione europea che ribalti le politiche di austerità, con diminuzione del potere del mercato e
un maggiore ruolo della democrazia, sono più difficili da inserire nell’agenda politica della Ue, ma
stanno diventando sempre più urgenti, man mano la recessione si aggrava. Se la crisi sfugge di
mano, in un periglioso scenario di disintegrazione dell’euro e dell’Europa, si dovrebbe ritornare – in
mezzo ad enormi difficoltà – alle economie nazionali con relative monete nazionali e minore
apertura verso l’esterno.
4.1 Resettare l’Europa?
Un richiamo esplicito alla necessità di resettare le istituzioni e le politiche europee è venuto
dall’ETUC. Nel corso del suo congresso tenutosi ad Atene nel maggio 2011, l’ETUC ha richiamato
l’attenzione sull’aggravarsi della spirale del debito, delle politiche di austerity e della disoccupazione.
Nella “Emergency resolution” (la risoluzione sull’emergenza approvata dal congresso, ndt) si legge:
“Per uscire dalla crisi l’Europa deve aiutare i paesi in crisi come la Grecia attraverso un ambizioso
programma di investimenti e di sviluppo che produca crescita e occupazione e con ciò reddito ed entrate
fiscali. In ogni caso, chiunque si attenga al piano di sole misure di austerità, mette in conto la fine
dell’eurozona”.
La necessità di affrontare la crisi del debito con la solidarietà dell’Europa, e quella di ribaltare le
politiche di austerità sono al centro del lavoro dell’Istituto dell’ETUC (ETUI), che ha prodotto due
volumi su politiche alternative: After the Crisis (Dopo la crisi, Watt and Botsch, 2010) e Exiting from
the Crisis (Uscire dalla crisi, Coats, 2012, con una prefazione Joseph Stiglitz). Questi volumi
contengono i contributi di decine di economisti e di sindacalisti europei ed americani su temi che vanno
dalla tassazione delle transazioni finanziarie a politiche per stimolare la domanda, da controlli sui
movimenti di capitali alla salvaguardia dei diritti del lavoro e salariali.
Oltre che in svariate altre iniziative promosse dai sindacati, si è discusso di queste proposte
nell’ambito della conferenza “Beyond the Crisis: Developing Sustainable Alternatives” (“Oltre la crisi:
7
sviluppare alternative sostenibili”), organizzata dai gruppi dell’Europarlamento socialista, democratico e
dei verdi (9 febbraio 2012). La discussione, che ha coinvolto economisti, sindacalisti e politici di varia
estrazione, è stata incentrata su come affrontare la crisi, ridurre le ineguaglianze, cambiare il modello di
sviluppo e promuovere la green economy. Dal confronto è emersa la condivisione di un giudizio critico
sulle regole della governance economica dell’Europa e sul “Fiscal compact” successivamente adottato
dall’eurozona, due argomenti che hanno visto i gruppi dell’europarlamento dei socialisti&democratici,
dei verdi e della sinistra europea (GUE-NGL) opporsi insieme alle decisioni prese in questo ambito dal
Consiglio d’Europa e dalla Commissione.
L’analisi critica degli effetti della politica di austerity dell’Europa - ovvero obbligo al pareggio di
bilancio iscritto in costituzione e ripianamento di una parte del debito pubblico – è stata ulteriormente
sviluppata in un libro di Hoang Ngoc (2011), un europarlamentare francese membro del gruppo
socialista, professore di economia alla Sorbonne. La sua proposta riguarda un diverso ruolo per la BCE,
gli eurobond, un programma di investimenti pubblici, la tassazione delle transazioni finanziarie e
l’armonizzazione a livello europeo delle imposte sui redditi da impresa.
Queste analisi critiche hanno profondamente influenzato le posizioni dei partiti socialdemocratici
europei, che però non sono riusciti a costruire un fronte comune per il cambiamento, né ad impedire al
Consiglio d’Europa di lanciare il “Fiscal Compact” nella primavera del 2012. Nemmeno la vittoria del
socialista François Hollande alle elezioni presidenziali del maggio 2012 ha invertito la direzione di
marcia delle politiche europee, nonostante i suoi sforzi di enfatizzare la necessità della crescita accanto
alle politiche di austerity.
Tuttavia, anche all’interno dell’establishment si è ormai fatta strada l’idea che è necessario rivedere
le politiche dell’Europa. “Padri fondatori” dell’Unione europea come Romano Prodi, ex presidente della
Commissione, e Giuliano Amato, ex vice presidente della Convenzione europea incaricata di redigere la
bozza della Costituzione della Ue, si sono schierati a favore di un modello federale per gli “Stati uniti
d’Europa” che prevede l’integrazione fiscale e politica; vogliono che l’Europa imponga la Tobin Tax
sulle transazioni finanziarie; sostengono che il tetto del 60 per cento del rapporto debito/Pil deve essere
garantito solidarmente dall’Unione monetaria nella sua interezza; chiedono che siano emessi gli
eurobond (titoli e obbligazioni Ue con cui finanziare progetti di sviluppo) e che il budget della Ue – da
aumentare - non dipenda più esclusivamente dai trasferimenti degli Stati membri. Inoltre propongono di
istituire una convenzione costituzionale per la revisione dei trattai europei, garantendo lo stato di
osservatori ai rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavori e dei lavoratori, della società civile
e delle amministrazioni locali e regionali.
Comunque sia, le decisioni prese dal Consiglio d’Europa nel 2012 e nel 2013 non hanno cambiato
orientamento alle politiche per affrontare la crisi; l’unica novità è venuta dalla nuova leadership di
Mario Draghi alla BCE, il quale con estrema chiarezza ha dichiarato che proteggerà l’euro “con
qualsiasi mezzo si renda necessario”, ed è riuscito ad introdurre nuovi strumenti di politica che in una
certa misura hanno limitato la speculazione finanziaria sul debito pubblico dei paesi nella periferia
dell’Europa.
A dispetto della crescente consapevolezza che è necessario avviare un nuovo corso per l’Europa,
la politica ufficiale non è cambiata. La battaglia sulla prospettiva di “riformare l’Europa” sembra
svolgersi prevalentemente all’interno dell’elite europea, con aperture modeste alle richieste della società
civile, dei sindacati o delle forze politiche progressiste come il partito socialdemocratico e quello dei
verdi.
4.2. Invertire il processo di integrazione europea?
Come documentano i capitoli del libro sulle situazioni dei singoli paesi, la maggior parte delle
mobilitazioni della “politica sotterranea” ha dedicato scarsa attenzione all’Europa, dando la priorità al
ritorno alle modalità di funzionamento della politica nazionale. Alcune proteste di base e alcuni gruppi
più radicali hanno reagito alla crisi con una critica di fondo del processo di integrazione europea e del
potere della finanza. Questa posizione euro-scettica è sembrata prevalere all’interno del movimento
degli indignados, con l’Europa considerata in primo luogo come un problema da risolvere, piuttosto che
uno strumento per risolvere la crisi economica.
8
Sia in Spagna sia in Grecia alcuni soggetti che appartengono alle fila degli indignados, compresi
gruppi di elettori e assemblee elettive locali, hanno assunto delle posizioni vicine all’idea di invertire il
processo di integrazione europea. Nel maggio 2011, ad esempio, il gruppo Democracia Real Ya (DRY),
una delle organizzazioni più significative del movimento degli indignados spagnoli, tra le sue proposte
di rinnovamento politico ed economico ha inserito la richiesta di “referendum obbligatori sulle leggi
imposte dall’Unione europea” (2). Nel 2012, una delle fazioni che si è imposta nell’ambito delle lotte
interne a DRY, e che ha assunto la denominazione di Asociacion Dry, ha discusso in maniera esplicita la
possibilità di abbandonare l’euro e di tornare alla peseta, ed ha sostenuto l’opportunità di introdurre
forme di protezionismo nazionale (3).
L’approccio degli indignados greci è stato simile. Fin dalla nascita del movimento verso la fine
del maggio 2011, l’Europa è stata spesso vista come un nemico tout-court dal quale tenersi alla
larga. Questa percezione emerge chiaramente in una bandiera “taroccata” della Ue nella quale,
come ha potuto vedere con i suoi occhi uno dei due autori di questo articolo in occasione di un
recente viaggio ad Atene, al posto delle stelle erano state messe delle svastiche. Nella prima
dichiarazione dell’assemblea di cittadini riuniti in piazza Syntagma, i manifestanti hanno attribuito
alle istituzioni europee il ruolo di invasori che dovevano essere rispediti a casa loro: “Non ci
ritireremo dalle piazze fino quando coloro che ci hanno costretti a radunarci qui non avranno
lasciato il nostro paese: i governi, la Troika (Ue, BCE e FMI), i memorandum del FMI e tutti
coloro che ci sfruttano”. Molti attivisti degli indignados, al pari di alcuni sindacati, hanno invocato
il ritorno alla dracma. Al contrario, il nascente partito greco della sinistra, Syriza (che sotto la
leadership di Alexis Tsipras ha ottenuto il 26 per cento dei voti alla seconda elezione politica del
giugno 2012 (4)), ha adottato una posizione più favorevole all’Europa e alla moneta comune,
affermando di voler restare nell’euro fino a quando sarebbe stato possibile e fattibile.
L’euro-scetticismo ha fatto la sua comparsa anche nei movimenti di protesta anti austerity di altri
paesi. In Italia una presa di distanza dall’Europa e dall’euro è stata invocata da piccoli gruppi di
protesta, e una presa di posizione contro l’Europa ha caratterizzato anche il movimento 5 stelle, il partito
populista guidato dall’ex comico Beppe Grillo, che alle elezioni politiche del 13 febbraio 2013 ha
ottenuto il 25 per cento dei voti (5). Nel dibattito in Francia, voci critiche nei confronti del processo di
integrazione europeo si sono levate spesso da gruppi di base e di sinistra, mettendo in discussione l’euro
e sostenendo la necessità di politiche protezionistiche. Nel 2013, interventi a favore di una riduzione del
processo di integrazione e di un affossamento dell’euro-zona sono arrivati in Francia da parte di Bernard
Cassen, a lungo impegnato nei World Social Forum, e in Germania da parte di Oskar Lafontaine, ex
leader del partito di sinistra Die Linke. Queste voci però sono ben lontane dal prevalere nell’ampio
fronte dei movimenti anti-austerity di questi paesi.
4.3. Un’Europa post-liberista?
La combinazione delle richieste di una presa di distanza radicale dalle politiche in corso, da un lato,
con l’idea di Europa come di uno spazio cruciale per l’azione politica, dall’altro, è emersa lentamente
nelle mobilitazioni che abbiamo preso in esame. Solo a partire dal 2012 questi elementi hanno iniziato a
caratterizzare le iniziative più importanti, come il lancio dell’AlterSummit (un network di sindacati e di
gruppi della società civile), la protesta di “Blockupy Frankfurt”, gli scioperi a livello europeo come
quello del 14 novembre del 2012, e una serie di iniziative a livello nazionale, alcune delle quali hanno
visto il coinvolgimento di settori degli indignados e del movimento Occupy.
L’ampia partecipazione di reti di attivisti – compresi i gruppi succitati – all’incontro “Unire le forze
per un’altra Europa”, tenutosi nel novembre 2012 nell’ambito del meeting Firenze 10+10, ha
rappresentato uno sviluppo significativo nella capacità degli attivisti di affrontare il tema dell’Europa.
Nonostante la frammentazione delle prospettive e delle iniziative, ha cominciato a farsi strada la
consapevolezza che c’è bisogno di un’Europa post liberista, consapevolezza che però non ha ancora
prodotto un ampio fronte unico di proteste coordinate a livello europeo.
9
Tuttavia mentre questi tentativi non sono riusciti a creare un contesto condiviso in cui inquadrare la
protesta, e mentre nell’ambito delle azioni di protesta convivono idee diverse sull’Europa, un numero
crescente di iniziative, realizzate da reti di esperti, gruppi della società civile e movimenti sociali, ha
messo in agenda una critica radicale delle politiche europee insieme a proposte per costruire un’Europa
diversa.
Gran parte dell’impegno è servito a mettere a fuoco il bisogno di alternative alle politiche
economiche dell’Europa. L’edizione 2013 dell’annuale Euromemorandum (2012), sottoscritto da 350
economisti europei, ha chiesto di limitare la libertà di manovra della finanza, di rafforzare il ruolo della
BCE come soggetto prestatore di ultima istanza, di sostituire l’austerity con politiche finalizzate a
incrementare la domanda, di sostenere i salari, la piena occupazione e la riduzione dell’orario di lavoro.
In Francia, il Manifeste des economistes atterrés (“Manifesto degli economisti sgomenti”, Economistes
atterrés, 2011) è diventato uno strumento straordinariamente popolare di denuncia degli eccessi della
finanza e, a sorpresa, anche un bestseller. Il manifesto smonta le “false certezze” sul funzionamento
virtuoso dei mercati e propone severe restrizioni per quelle attività finanziarie che hanno prodotto
speculazione e crisi. In un secondo libro, il medesimo gruppo ha denunciato il Fiscal Compact (l’ultimo
trattato europeo, introdotto nella primavera del 2012). Con i vincoli che impone del pareggio di bilancio
e del ripianamento della parte di debito pubblico che eccede il 60 per cento del PIL, secondo gli
economisti francesi il Fiscal Compact contribuisce ad alimentare la depressione dell’economia europea
(Economistes atterrés, 2012). Un nuovo libro di Michel Aglietta (2012) suggerisce che solo un’Europa
federale può fare dell’euro una moneta sovrana e porre fine alla crisi. Aglietta chiede di fare della BCE
un ente prestatore di ultima istanza, di integrare a livello europeo la politica di bilancio, di emettere
eurobond, e di ridurre il gap esistente tra la capacità produttiva del “centro” dell’Europa e quella della
periferia della Ue. Analisi dettagliate e proposte in merito alla questione del debito pubblico sono
raccolte nel volume pubblicato dalla campagna di Attac (2011).
In Germania, un centinaio di consulenti di estrazione universitaria hanno predisposto un’analisi
accurata dei meccanismi all’origine della crisi e dei passi falsi delle politiche europee ad Attac
Germania, l’organizzazione tedesca affiliata al network internazionale, che da anni ormai preme per far
tassare l’industria della finanza e per abbandonare le politiche di libero mercato. Nel documento, hanno
denunciato la propagazione della crisi dalle banche private al debito sovrano, richiamato l’attenzione sul
rischio di una crisi di egemonia che potrebbe portare allo scoppio di nuovi conflitti, e hanno invocato
l’abbandono della logica della crescita, il fallimento pilotato per ridurre il debito e la tassazione dei
capitali e della finanza.
In Italia la crisi dell’Europa è stata al centro del dibattito su “La rotta d’Europa” avviato dalla
campagna promossa dalla società civile “Sbilanciamoci!” (Rossanda e Pianta, 2012), dibattito che in
Europa è stato ospitato da openDemocracy (www.opendemocracy.net/can-europe-make-it) e da altri
gruppi europei. Il 9 dicembre 2011 il forum “L’uscita” dalla crisi dell’Europa ha visto la partecipazione
di 800 persone; in quella sede è stata discussa per la prima volta l’idea di un appello a livello europeo.
Nel maggio 2012 un vasto numero di intellettuali e attivisti europei (compreso uno degli autori di
questo testo, vedi box 3) ha lanciato l’appello “Another Road for Europe” (Un’ altra strada per
l’Europa). L’appello chiedeva di organizzare un dibattito su queste tematiche al parlamento europeo,
dibattito che si tenne poi il 28 giugno 2012, in contemporanea alla riunione del Consiglio d’Europa. Il
forum Another Road for Europe ha visto molti firmatari discutere sulle alternative alla crisi dell’Europa
insieme a network della società civile, sindacati ed europarlamentari appartenenti ai gruppi dei
socialdemocratici, dei verdi e della sinistra unitaria GUE/NGL, nonché con politici nazionali. Le
richieste emerse in quel contesto erano condivise da altri innumerevoli documenti politici prodotti
nell’ambito di iniziative della società civile e dei partiti. Una svolta nelle relazioni tra gruppi della
sinistra europea impegnati nel sostegno ad alternative economiche si è registrata al meeting Firenze
10+10 con la creazione della Rete degli economisti progressisti europei (European Progressive
Economists Network ovvero Euro-pen), che in quella sede ha lanciato il Common Call for Another
Economic Policy for Europe (Appello unitario per un’altra politica economica per l’Europa). Nuove
iniziative a livello europeo sono in programma nella corsa verso le elezioni europarlamentari del maggio
2014.
10
5.Conclusioni: alla ricerca di una politica europea
Le mobilitazioni contro le politiche di austerity in Europa hanno evidenziato un paradosso.
Nonostante siano le istituzioni europee – il Consiglio d’Europa, la Commissione europea e la BCE – a
portare la responsabilità delle risposte date alla crisi finanziaria e delle politiche di austerity imposte
all’Europa, solo in rare occasioni i movimenti sociali le hanno attaccate direttamente. Campagne di
respiro realmente europeo ci hanno messo parecchio tempo prima di materializzarsi, e ancora non hanno
elaborato un’ alternativa condivisa alle politiche attualmente in corso.
Questo paradosso è il risultato di due principali fattori. Il primo è rappresentato dal fatto che ciò a
cui stiamo assistendo assomiglia a uno scontro a livello europeo privo di un contesto unitario, con azioni
di protesta dominate dalla sfida immediata di resistere, a livello nazionale, agli effetti economici e
politici della crisi europea. E’ il livello in cui il processo politico è più strutturato e visibile e in cui il
sistema politico e la società civile sono pronti a rispondere alla crisi con modalità ben collaudate: le
proteste sindacali e i negoziati su licenziamenti e meccanismi di tutela dalla disoccupazione; le proteste
politiche dei partiti di opposizione; le proteste anti-governative dei gruppi radicali. Ciò che manca in
queste risposte è la natura europea della crisi e del processo politico che ha portato alle misure di
austerity; non si dispone ancora di un contesto condiviso per parlare di uno scontro di livello europeo, in
cui la mobilitazione può elaborare ed esercitare un impatto sulle politiche.
Il secondo fattore è la mancanza di uno spazio politico di dimensione europea con strutture di
potere ben “visibili” e un setting istituzionale “trasparente” che funga da contesto per mobilitazioni di
carattere europeo. L’assenza di una spazio pubblico di dimensione europea inteso come un’arena in cui
discutere e deliberare insieme su problemi condivisi è il ben noto lato debole della costruzione
dell’Europa, un fattore che sicuramente ha influito sull’incapacità delle iniziative di mobilitazione di
sviluppare un contesto unitario. Ma ciò che oggi forse pesa ancora di più è l’assenza, a livello europeo,
di una politica democratica che si apra alle proteste; il confronto in Europa sembra alla ricerca della vera
“sede” della politica, dove dar vita alla contestazione. La natura “dispersiva” dell’authority che governa
l’Europa dei 15 ne è un chiaro elemento, con il potere distribuito tra il Consiglio d’Europa, la
Commissione e la BCE, e un ruolo solo marginale per il Parlamento europeo. L’enfatizzazione del
percorso decisionale intergovernativo nel corso della crisi ha posto i governi nazionali (apparentemente)
al centro del palcoscenico europeo, in cui si sono sentiti pesantemente limitati da autorità sovranazionali
europee (come ad esempio l’ “indipendente” BCE), dall’aumento dell’influenza della Germania sulle
politiche della Ue e sulle asimmetrie nei processi intergovernativi, e dall’incontrastato potere della
finanza in settori-chiave.
Senza disporre di un “luogo” di confronto europeo, la mobilitazione di protesta a carattere europeo
è stata limitata. I movimenti sociali condividono l’analisi “diagnostica” (Snow and Benford, 2000) delle
cause della crisi: il potere della finanza e le politiche neo-liberiste che hanno dominato la governance
economica dell’Europa nelle ultime due decadi. D’altro canto, però, i diversi gruppi che sono stati in
prima linea nelle campagne di mobilitazione a livello europeo (dai sindacati alla nuova politica
sotterranea degli indignados) non condividono una visione alternativa, e non sono nemmeno d’accordo
su possibili soluzioni.
In queste pagine abbiamo dipinto un quadro piuttosto fosco sullo stato delle mobilitazioni di
protesta contro le politiche di austerity, e sulla loro capacità di articolare un’alternativa credibile allo
status quo neo-liberista. Tuttavia, per essere onesti, va anche detto che la discussione su come si possa
arrivare ad un’alternativa per via politica, a livello sia europeo sia nazionale, si sta intensificando con
l’accelerazione delle mobilitazioni nel corso del 2012 e i preparativi per le elezioni europee del 2014.
Questo sviluppo è il risultato, da un lato, dell’impegno profuso dagli attivisti per ricostruire relazioni
transfrontaliere tra gruppi della società civile e, dall’altro, delle proposte condivise tra i network di
esperti. E’ prevedibile che negli anni a venire la ricerca di un contesto comune e la costruzione di uno
spazio politico condiviso a livello europeo rappresenteranno un compito cruciale per i movimenti contro
le politiche di austerità nella loro battaglia per forgiare il futuro di un’Europa post-liberista.
Settembre 2013
11
Note
(1) Altri studi forniscono un ampio repertorio delle specificità nazionali che hanno dato forma al
contesto dello scontro, alla mobilitazione di particolari attori sociali, alle modalità di azione
adottate, dando così origine a forme di protesta profondamente diverse.
(2) ‘Propuestas’ (Proposte) documento pubblicato il 16 maggio 2011. Ultima modifica il 15 settembre 2013
alla pagina http://www.democraciarealya.es/documento-transversal/
(3) Queste politiche sono state proposte nel documento dell’organizzazione ‘Nuestra propuesta social,
economica e politica’ (La nostra proposta sociale, economica e politica). Ultima modifica il 14 settembre
2013 alla pagina http://www.asociaciondry.org/wp-content/uploads/2012/11/Asociaci%C3%B3n-DRYPrograma-desarrollado-y-objetivos-pol%C3%ADticos1.pdf.
(4) Nel 2012 la Grecia ha affrontato due elezioni politiche generali. Nella prima, tenutasi a maggio, Syriza ha
raccolto oltre il 16 per cento dei consensi, e le elezioni hanno prodotto un parlamento senza maggioranza, per
cui si è dovuti tornare al voto.
(5) I dati si riferiscono ai risultati elettorali per la Camera dei Deputati dove il movimento 5 stelle ha
raggiunto il 25,55 per cento dei consensi (escluso il voto degli italiani all’estero). Questo risultato gli ha
permesso di arrivare secondo, a meno di un punto percentuale dal partito democratico di centro-sinistra.
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12
Tabella 1
Le proteste in Europa
Titolo
Organizzatori
Anti-G20
Protest
(Protesta
Anti-G20)
G20
Meltdown +
TUC (Trade
Union Centre)
+ altri gruppi
Descrizione
Tipologia
Località
Data
Primo contro- Protesta
summit
di
protesta dallo
scoppio della
crisi
economica.
Grande corteo
sindacale il 26
marzo e azioni
dirette l’1 e il
2 aprile.
Londra
dal
26 marzo
al
2 aprile 2009
Combattere la ETUC
crisi, mettere
al primo posto
le persone
Decine
di Protesta
migliaia
di
dimostranti
hanno preso
parte ad azioni
di protesta in
tutta Europa.
Madrid,
Bruxelles,
Berlino, Praga
14,15,16
maggio
2009
European
Social Forum
Alcune
Forum
migliaia
di
persone hanno
partecipato al
più piccolo, ad
oggi,
European
Social Forum,
che
non
ottiene quasi
copertura sui
media.
Istanbul
Dall’1
al 4
2010
100.000
Protesta
lavoratori da
tutta Europa in
corteo
a
Bruxelles in
una
grande
manifestazion
e per il lavoro
di dimensioni
europee
Bruxelles
ESF
European
ETUC
Trade Union
Protest
luglio
9
settembre
2010
13
Titolo
Organizzatori
No
to ETUC
austerity for
everyone and
bonuses for
the
happy
few
Descrizione
Tipologia
Località
Data
Alla giornata Protesta
di
proteste
locali
partecipano
decine
di
migliaia di
manifestanti
in
Francia,
Lussemburgo
, Danimarca
e Repubblica
Ceca.
Parigi,
Lussemburgo
Praga,
Copenaghen
14 dicembre
2010
European
ETUC
Day
of
Action
(Giornata di
mobilitazione
europea)
Decine
di Protesta
migliaia di
rappresentant
i sindacali in
corteo
a
Bruxelles.
Scontri
limitati con
le
forze
dell’ordine
che fanno uso
di
lacrimogeni e
idranti
per
disperdere i
manifestanti.
Bruxelles
24
2011
Day
of
Action
for
Global
Change
(Giornata di
mobilitazione
Per
il
cambiamento
globale)
Nel
Protesta
complesso
oltre
un
milione
di
persone
partecipa a
cortei
in
diverse città
europee
Madrid,
15
ottobre
Roma,
2011
Barcellona,
Atene,
Bruxelles,
Londra
e
decine
di
alter città
(No
all’austerity
per tutti e ai
vantaggi per i
pochi
privilegiati)
Blockupy
Frankfurt
Gruppi
di
‘Indignados’
e ‘Occupy’
con specifici
accordi
di
coalizioni
in
ciascun
paese
Alleanza tra
gruppi di base
tedeschi, Attac
Germania, e
attivisti di
Manifestazion Protesta
e contro la
Banca
Centrale
Europea
a
Francoforte
con
circa
10mila pers.
Francoforte
marzo
Dal 17 al 19
maggio
2012
14
Firenze 10+10
Alleanza tra 4.000 attivisti Forum,
Firenze
gruppi,
in
dibattito
su
movimenti
rappresentanz alternative
sociali
e a
di
300
network
network
europei
europei
si
sono
incontrati per
4 giorni 10
anni dopo il
primo
European
Social Forum.
European
ETUC,
Strike/day of sindacati
action
of nazionali
ETUC
(Giornata di
mobilitazione/
di
sciopero
proclamata
dall’ETUC)
Sciopero
Protesta
generale
in
Italia, Grecia,
Spagna,
Portogallo;
manifestazioni
sindacali nel
resto
d’Europa.
Manifestazion
e di protesta
contro
il
meeting
di
primavera del
Consiglio
d’Europa.
Gruppi
Manifestazion
presenti
a e a Bruxelles
Firenze
10+10,
AlterSummit,
gruppi
a
livello
nazionale
Blockupy
Frankfurt
Cartello
di
gruppi
grassroot,
Attac
Germania,atti
visti
di
Occupy
AlterSummit
ad Atene
AlterSummit
Dall’8 all’11
novembre
2012
25 paesi della 14 novembre
Ue
2012
Protesta,
Bruxelles
e 14
dibattito
su alter città della 2013
alternative
Ue
Protesta
Protesta
contro
la
Banca
Centrale
Europea
a
Francoforte
che ha visto
l’adesione di
alcune
migliaia
di
manifestanti
Incontro
e Protesta,
manifestazion discussione
e di protesta
su alternative
Francoforte
Atene
marzo
31
maggio
2013
Dal 14 al 16
giugno 2013
15
16
Fly UP