Utilità ed efficacia drammatica nel pensiero di Diderot
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Utilità ed efficacia drammatica nel pensiero di Diderot
Utilità ed efficacia drammatica nel pensiero di Diderot di Livia Bartolucci In queste pagine intendo analizzare il trattato “Sulla poesia drammatica” di Denis Diderot e mettere in evidenza l’importanza che in esso hanno i concetti di utilità ed efficacia drammatica. La mia trattazione riguarderà, in particolare, l’effetto che lo spettacolo teatrale può avere sugli spettatori, per sottolineare la necessità di coinvolgimento del pubblico attraverso le vicende e il linguaggio della rappresentazione. Nel 1758 Denis Diderot, già noto tra i ferventi illuministi come direttore dell’ Encyclopédie, dopo aver pubblicato la sua prima opera teatrale Il figlio naturale (1757) accompagnata dal trattato teorico Dorval ed io o Dialoghi sul figlio naturale, scrive un nuovo dramma: Il padre di famiglia, seguito da Sulla poesia drammatica, una riflessione programmatica sul teatro in cui rivolge un attento sguardo sulla realtà teatrale francese della prima metà del XVIII secolo tramite l’analisi critica di alcune opere drammaturgiche. Diderot approfondisce quindi i principi base della sua riforma e prende in esame la figura dello spettatore attraverso una nuova prospettiva. Per la prima volta un autore e teorico teatrale argomenta la propria poetica facendo leva sulla personale e diretta esperienza di spettatore: la riflessione si concentra, così, non soltanto sul pensiero e linguaggio artistico, ma anche sulla componente emotiva dello spettatore, quale chiave necessaria per un autentico coinvolgimento nello spettacolo. L’opera è stata successivamente messa in ombra dal successo de Il paradosso sull’attore, scritto da Diderot nel 1778, che costituisce il primo vero trattato sulla recitazione nella storia del teatro occidentale. Le due opere però sono molto differenti, infatti, mentre la prima offre un’accurata panoramica sul pensiero teatrale di Diderot, dalle teorie drammaturgiche alle tecniche scenografiche e recitative, la seconda approfondisce solo l’aspetto recitativo della rappresentazione e si focalizza sulle qualità dell’attore-artista e dell’attore-persona. Sulla poesia drammatica si sviluppa in ventidue capitoli, quattro in meno rispetto alla Poetica di Aristotele, con la quale il confronto diviene inevitabile: quest’ultima, infatti, prima sistematica trattazione della poesia drammatica nella cultura occidentale, rileva la particolare efficacia rappresentativa dell’arte drammatica per sancirne il primato sulle altre arti. Si tratta di un motivo condiviso dallo stesso Diderot: “ogni popolo ha pregiudizi da distruggere, vizi da perseguire, e cose ridicole da satireggiare, e abbisogna di spettacoli, ma che gli siano adatti.”1 Diderot risponde all’annosa questione con cui si sono confrontati drammaturghi, registi, attori e critici: “perché fare teatro?”. Non parla di intrattenimento, come molti teorici precedenti e successivi, ma di bisogno: è convinto, infatti, che lo spettacolo teatrale, al pari delle altre arti d’imitazione, abbia il nobile compito di “far amare le virtù e odiare il vizio”2, obiettivo condiviso con le leggi dello Stato. Il fine etico-educativo riconosciuto all’arte drammatica sottolinea la centralità del concetto di utilità dello spettacolo teatrale nel pensiero dell’autore che, nel corso dell’opera, distingue tre livelli su cui può agire la rappresentazione teatrale: individuale, sociale e politico.3 Diderot fa riferimento al primo ambito attraverso l’esempio di alcuni aspetti propri di ogni spettatore che si approcci a un’opera teatrale, quali i bisogni umani di leggerezza e sollevazione dalle pene quotidiane attraverso l’immaginazione. Nel secondo capitolo riconosce all’arte drammatica il potere di destabilizzare lo spettatore rispetto a una condizione di tranquillità e, mediante un’immedesimazione4 dello stesso con il personaggio rappresentato, di farlo “sprofondare nelle caverne in cui lui si rifugia e associarlo a tutte le traversie con le quali il poeta si diletta a metterne alla prova la costanza”5. Assistere a un certo tipo di spettacolo offre l’occasione di mettere in discussione la propria vita e condizione contingente: l’opera interroga personalmente circa la perseveranza degli uomini lungo un percorso etico-sociale costantemente osteggiato. Attraverso una descrizione più minuziosa e meno metaforica, il filosofo presenta l’effetto che un’opera drammatica, realizzata secondo certe caratteristiche compositive ed interpretative, possa avere su uno spettatore vizioso: “il malvagio si irrita contro ingiustizie 1 2 3 D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, in M. GRILLI (a cura di), Teatro e scritti sul teatro, La nuova Italia, Firenze 1980, p. 292. Ibid., p. 244. Discorso già affrontato nel trattato precedente: “si rappresenterà una bella tragedia, che insegni agli uomini a temere le passioni; una buona commedia che li istruisca sui loro doveri, e ne inculchi loro il gusto”. D, DIDEROT, Dorval ed io o Dialoghi sul Figlio naturale, in M. GRILLI, op. cit., p. 104. 4 Termine stanislavskijano, Diderot parla invece di “avvincere” lo spettatore al personaggio. 5 D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, op. cit., p. 244. che egli stesso ha commesso, compatisce i mali che ha causato, e s’indigna contro un uomo del suo stesso carattere. Ma l’impressione è fatta; resta in noi, volenti o nolenti; e il malvagio se ne va dal teatro meno disposto a fare del male”6. Ecco, dunque, un altro punto in comune con Aristotele: il fine catartico della poesia drammatica. La “Tragedia […] per mezzo di compassione e paura porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni”7. Aristotele circoscrive la catarsi alla rappresentazione della tragedia, mentre per Diderot, che non ritiene più valida e soprattutto realistica la netta distinzione dei generi drammatici di commedia e tragedia, si estende a tutte le opere. Anche il teorico di Langres pone al centro della discussione sull’efficacia drammatica il concetto di compassione: se, infatti, lo spettatore non compatisse gli uomini che sulla scena subiscono i mali commessi da lui nella vita, non s’indignerebbe con il personaggio dal carattere simile a sé e l’impressione, al termine dell’opera, non sarebbe altro che una generica e superficiale irritazione contro l’ingiustizia. Risulta perciò decisiva l’opportunità, offerta allo spettatore dal dramma, di spogliarsi della propria consolidata posizione interpretativa per assumere un altro privilegiato orizzonte prospettico da cui osservare le vicende umane e la realtà circostante. L’utilità di alcuni spettacoli è anche quella di scuotere emotivamente il pubblico, senza distinzione alcuna tra uomini onesti e non. A tal proposito si delinea nettamente la concezione del filosofo-spettatore Diderot: “non delle parole voglio ricevere dal teatro, ma delle impressioni. […] Il poeta eccellente è quello il cui effetto resta a lungo in me”8. Non sono tanto i dialoghi, quanto le azioni a colpire davvero l’animo di chi guarda. Quando le sensazioni dischiuse dalle dinamiche sceniche rimangono realmente impresse negli spettatori, questi non applaudono, bensì, dopo la costrizione di un lungo silenzio, si trovano a sospirare profondamente a partire dall’anima, dandole sollievo.9 L’effetto descritto dal filosofo rimanda alle parole di uno dei registi teatrali più importanti del XXI secolo: “in un teatro povero queste [le reazioni del pubblico] non si manifestano con fiori ed applausi interminabili ma con un silenzio tutto particolare, carico di fascino ma anche di tanta indignazione e repulsione”10. Jerzy Grotowski desidera che i suoi spettatori reagiscano proprio con una particolare forma di silenzio carico di emozioni. Se si lega questo pensiero con la profonda ricerca condotta dal regista polacco grazie al suo Teatro Laboratorio, 6 Ibid. ARISTOTELE, Poetica, Edizioni BUR, Milano 2011, p. 134. 8 D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, op. cit., p. 245 9 Cfr. Ibidem. 10 E. BARBA, Il Nuovo Testamento del teatro in J. Grotowski, Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970, p. 53. 7 si comprende più a fondo quanto il silenzio di cui parla Diderot possa esprimere l’efficacia ed il grande valore di una rappresentazione. Una reazione molto più dirompente e violenta può scaturire nel momento in cui il drammaturgo riesca a “mettere un popolo alla tortura. Allora gli spiriti saranno sconvolti, incerti, indecisi, sperduti; e i vostri spettatori, come coloro che durante un terremoto vedono tremare i muri della casa e sentono la terra sfuggirgli sotto i piedi”11. Queste righe rimandano alle immagini di Antonin Artaud: “una vera opera teatrale scuote il riposo dei sensi, libera l’inconscio compresso, spinge a una sorta di rivolta virtuale, […] impone alla collettività radunata un atteggiamento eroico e difficile”12. Questo effetto allontana ancora di più il teatro concepito da Diderot dall’idea cinquecentesca che l’unico fine della poesia drammatica sia dilettare il pubblico o istruirlo piacevolmente. Si tratta di un elemento programmatico di innegabile modernità, che apre la strada alle future teoriche teatrali, le quali svolgeranno analisi sempre più complesse circa gli obiettivi principali di questa arte. Altro effetto è quello che la composizione di un’opera poetica può riservare al drammaturgo, nel momento in cui, dopo aver vissuto grandi difficoltà e interrotto a lungo il proprio slancio creativo, questi riesca a dar voce al proprio travaglio interiore e così provare sollievo. “Quando si vedranno nascere dei poeti? Sarà dopo tempi di disastri e di grandi sventure; quando i popoli sfiniti ricominceranno a respirare. Allora le fantasie, scosse da spettacoli terribili, dipingeranno cose sconosciute a coloro che non ne sono stati testimoni. Non abbiamo provato, in certe circostanze, una sorta di terrore che c’era estraneo? Perché non ha prodotto niente? Non abbiamo più genio? Il genio è di tutti i tempi; ma gli uomini che lo portano in sé, se ne stanno intorpiditi, a meno che avvenimenti straordinari non riscaldino la massa, e li facciano apparire. Allora i sentimenti si accalcano nel petto, lo travagliano; e quelli che possiedono una voce, forzati a parlare, la spiegano, e trovano sollievo.”13 In questo passo Diderot affronta anche l’esigenza, tutta umana, di esprimersi attraverso la creazione artistica. Dal momento in cui l’uomo di genio non manifesta il suo talento se non quando quest’ultimo sgorghi necessariamente dalla sua vita, travagliata dalla tempesta di emozioni e sentimenti inespressi, Diderot non prende in considerazione l’ipotesi di un’arte per l’arte e non parla mai della poesia drammatica in tali termini. A livello sociale, assistere a una rappresentazione rende il vizioso meno incline ad azioni malvagie; inoltre lo spettacolo, se adatto al popolo, può distruggere pregiudizi, perseguire vizi, 11 D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, cit., p. 245. A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 2000, p. 146. 13 D.DIDEROT, Sulla poesia drammatica, cit., p. 294. 12 fare satira e avere una certa rilevanza sull’ educazione degli spettatori. “Attaccare lo spettacolo per i suoi abusi, significa contestare ogni tipo di istruzione pubblica”14. Diderot ne La poesia drammatica allude alla particolare condivisione esperienziale tra coloro che assistono ad una rappresentazione: “La platea del teatro è il solo luogo dove le lacrime dell’uomo virtuoso e del malvagio si mescolino”15. Altrove questo aspetto emerge in maniera ancor più evidente: E se capitava ad un grande personaggio della repubblica di versare una lacrima, che effetto pensate produrrebbe il suo dolore sugli altri spettatori? […]Chi non sente aumentare la sua emozione per il gran numero di coloro che la dividono con lui, ha qualche vizio segreto; c’è nel suo carattere qualcosa di appartato che mi dispiace16. Diderot riconosce il valore della partecipazione collettiva, che ancora oggi contraddistingue il teatro rispetto alla televisione ed al cinema, per la presenza viva degli spettatori. Ritengo opportuno soffermarmi su questo punto per sottolineare il fatto che proprio nella società europea del XVIII secolo, con il delinearsi sempre più marcato della distinzione tra sfera privata e pubblica, si sentì la necessità di scrivere e raccontare ciò che fino a quel momento non era mai uscito dall’ambiente domestico, ne dà testimonianza la pubblicazione delle prime autobiografie e dei primi romanzi. Ѐ proprio in virtù di questo cambiamento che Diderot, e successivamente Lessing, porteranno avanti la battaglia a favore del dramma borghese come unico genere drammatico realistico e naturalistico, che mantenesse viva la funzione catartica ed etica dello spettacolo teatrale, attraverso l’inevitabile coinvolgimento degli spettatori di fronte alla messinscena della loro vita quotidiana. L’inesorabile separazione tra dimensione pubblica e privata della vita e, allo stesso tempo, il riconoscimento dell’importanza di questa particolare forma di socialità, tipicamente teatrale, porterà un altro famoso regista contemporaneo a scrivere di aspirare a creare un nuovo rapporto Elisabettiano- che unisca la sfera privata con quella pubblica, l’intimità e la socialità, le cose celate e quelle palesi, la volgarità e la magia. Per questo abbiamo bisogno della folla[…] esseri umani che espongono le loro verità più intime ad altri esseri umani che si trovano tra la folla del pubblico, e tutti insieme condividono un’esperienza collettiva.17 14 Ibid., p. 292. Ibid., p. 244. 16 D. DIDEROT, Dorval ed io o Dialoghi sul Figlio naturale, cit., p. 114. 17 P. BROOK, in Flourish, Londra 1967, in J. GROTOWOSKI, Per un teatro povero, cit., p. 17. 15 In ambito politico Diderot ritiene che, se ben supportato dal governo, il teatro può rivelarsi un prezioso strumento, utile a sensibilizzare e preparare i cittadini alla “modifica di una legge o all’abrogazione di un’usanza”18. Nelle ultime pagine dell’opera l’autore torna a conferire grande importanza etico-sociale al teatro per prospettarne una rinascita e una piena maturazione attraverso una serie di innovazioni, che spaziano dall’impostazione del lavoro drammaturgico, fino alla costruzione di una scenografia più realistica e a un’arte attoriale più semplice e sobria. “Il suo percorso- sostiene Elio Franzini - conduce verso una riforma, che non sia una rivoluzione, ma cerchi del teatro, come Montesquieu con le leggi, l’esprit…”19 La convinzione che lo spettacolo teatrale avesse una sua utilità individuale, sociale e politica non appartenne a tutti gli intellettuali contemporanei a Diderot. Basti pensare che tale posizione fu una delle ragioni della rottura con J.J.Rousseau. In altre parole, nonostante gli Illuministi “non esitarono a mettere in discussione il mondo in cui vivevano, attaccandolo nelle strutture, nelle credenze, nei costumi”20, solamente Diderot e pochi altri, tra cui Voltaire, sostennero che il teatro fosse un’arma con cui condurre la battaglia della ragione. Diderot mette in guarda il lettore da un rischio, non trascurabile, che minaccia le scene del teatro contemporaneo: un inconveniente troppo comune è che per una ridicola venerazione verso certe condizioni, facilmente solo di esse si ritraggono i costumi; così che l’utilità degli spettacoli si riduce, e forse proprio essi diventano un canale attraverso il quale i difetti dei grandi si diffondono e passano ai piccoli.21 Per far sì che l’opera teatrale torni ad acquisire la sua positiva efficacia non basta, quindi, allestire uno spettacolo, magari di un grande autore del passato, diviene, piuttosto, necessario, prima di ogni innovazione e cambiamento, che il drammaturgo sia filosofo: questi “penetrato nel suo intimo, deve avervi visto la natura umana, essersi edotto profondamente delle condizioni della società, e conoscerne bene le funzioni e gli oneri, gli inconvenienti e i vantaggi22”. Questa per Diderot è una condizione imprescindibile: l’autore non deve mai perdere di vista la natura dell’uomo, che, come scrive nell’Encyclopedie, “è il termine unico dal 18 D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, cit., p. 292. E. FRANZINI, Il teatro, la festa e la rivoluzione: su Rousseau e gli enciclopedisti, Centro Internazionale Studi Estetica, Palermo, 2002, p. 62. 20 M. GRILLI, Introduzione in M. GRILLI, Teatro e scritti sul teatro, cit., p. 4. 21 D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, cit., p. 293. 22 Ibid., p. 241. 19 quale occorre partire e al quale occorre far capo, se si vuol piacere, interessare, commuovere”23. Altra condizione irrinunciabile ai fini del coinvolgimento del pubblico è che la rappresentazione riguardi o almeno alluda alla contemporaneità: Credo che in un’opera, qualunque sia, si debba sentire lo spirito del secolo. Se la morale si raffina. Se il pregiudizio si indebolisce. Se gli spiriti tendono alla benevolenza generale. Se il gusto delle cose utili si diffonde. Se il popolo si interessa alle operazioni del ministro, bisogna accorgersene, perfino in una commedia.24 Ancora una volta Diderot dimostra la modernità del suo pensiero: due secoli dopo anche Brecht nel teorizzare il teatro epico, con un fine dichiaratamente politico-sociale, sosterrà che nell’istituire nuovi principi artistici e nell’elaborare nuovi metodi di recitazione, noi dobbiamo prendere le mosse dai compiti che ci impone imperiosamente un’epoca di mutamenti storici. […] Tutto ciò che si svolge tra gli uomini viene preso in esame: tutto deve essere considerato dal punto di vista sociale.25 Tuttavia se da un lato i presupposti per la creazione di un nuovo linguaggio teatrale, che abbia un effetto maggiore sulla vicende sociali e politiche, non possono prescindere per entrambi i drammaturghi dal contesto storico cui appartengono, dall’altro Brecht, con la teorizzazione del Verfremdungseffekt, prende nettamente le distanze da quella sorta di immedesimazione cui si riferisce Diderot nei suoi scritti: “un teatro nuovo, per la sua azione di critica alla società, per il suo messaggio storico in merito ai rivolgimenti avvenuti, dovrà, tra gli effetti, necessariamente valersi dell’effetto di straniamento”26. I due teorici pongono l’attenzione sull’efficacia educativa dell’opera drammatica e della sua rappresentazione scenica sugli spettatori, ma per ottenerla percorrono due sentieri completamente differenti, se non addirittura divergenti; come sottolinea Brecht nella contrapposizione schematica delle formali e sostanziali differenze tra Forma drammatica del teatro e Forma epica del teatro27. 23 Voce "Enciclopedia", in Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze delle arti e dei mestieri ordinato da Diderot e d'Alembert, Laterza, Bari 1968. 24 D. DIDEROT, Dorval ed io o Dialoghi sul Figlio naturale, cit., p. 118. 25 B. BRECHT, Effetti di straniamento nell’arte scenica cinese, in Scritti teatrali, Piccola biblioteca Einaudi, 2001, p. 83. 26 Ibidem. 27 Questo schema si trova in B. BRECHT, Breviario di estetica teatrale, in Scritti teatrali, cit., p.121 Diderot nel suo trattato, non si concentra soltanto sul recupero di determinati contenuti drammatici: nei ventidue capitoli approfondisce altri cambiamenti e innovazioni necessari al teatro per “restaurarne il senso espressivo, il valore conoscitivo e simbolico della sua specificità rappresentativa28”. Ad esempio altri valori caratteristici della natura umana che l’autore non deve trascurare ai fini della verosimiglianza, condizione necessaria perché lo spettatore possa immedesimarsi e affinché lo spettacolo abbia una missione educatrice, sono l’onestà e la semplicità. La prima “ci tocca in una maniera più intima e più dolce di ciò che ci provoca il disprezzo e il riso”29 e questo è possibile perché, il pubblico “è sensibile alle cose naturali”30. Ciò rivela la salda fiducia di Diderot nell’onestà e nella bontà della natura umana, convinzione comune sia a Rousseau che la esprime attraverso l’immagine del “buon selvaggio”, sia a Lessing che, in particolare nel racconto della tragedia della giovane Emilia Galotti, offre un esempio di quanto la società corrotta di quel tempo potesse contaminare, fino addirittura a distruggere, l’onestà della vita familiare. Per quanto riguarda la seconda, Diderot sostiene che se un’opera drammatica dovesse essere rappresentata una sola volta, allora l’autore potrebbe dilungarsi e complicare l’intreccio a suo piacimento; ma se volesse essere letto e durare, allora questi dovrebbe cercare la semplicità. Negli anni in cui Diderot si dedica alla redazione delle sue opere di e sul teatro, in Francia si svolge un acceso dibattito filosofico circa la funzione e l’autenticità di questa forma d’arte. Protagonisti oltre all’autore di Langres sono, in particolare, i suoi amici e colleghi Rousseau e Voltaire, esponenti di punti di vista talvolta opposti, ma vicini nella convinzione che la società non sia più quella presa di mira e rappresentata nelle opere di Corneille, Racine e Moliere, le quali continuavano ad imperare sulle scene francesi. Da qui muove il pensiero teatrale diderotiano. Se si prende in considerazione il fatto che ancora oggi vengano portati in scena drammi borghesi come l’Emilia Galotti lessinghiana, soprattutto in Germania, o l’altra grande eroina borghese protagonista di “Casa di bambola”, non si può certo negare che la sua riforma non abbia sortito il suo effetto, quello di arrivare “al cuore […] colpendo l’anima”31. 28 E. FRANZINI, op. cit., p. 65. D. DIDEROT, Sulla poesia drammatica, cit., p. 244. 30 Ibid., p. 298. 31 Ibid. p. 244. 29 Bibliografia ARISTOTELE, Poetica, Edizioni BUR, Milano 2011. A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 2000. B. BRECHT, Effetti di straniamento nell’arte scenica cinese, in Scritti teatrali, Piccola biblioteca Einaudi, Torino 2001. P. BROOK, Lo spazio vuoto, Biblioteca teatrale, Bulzoni Editore, Roma 1998. D. DIDEROT, Il paradosso dell’attore, Dino Audino Editore, Roma 2014. D.DIDEROT e J. le R D’ALEMBERT, Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri ordinato da Diderot e d'Alembert, Laterza, Bari 1968. E. FRANZINI, Il teatro, la festa e la rivoluzione: su Rousseau e gli enciclopedisti, Centro Internazionale Studi Estetica, Palermo 2002. M. GRILLI (a cura di), Teatro e scritti sul teatro, La nuova Italia, Firenze 1980. J. GROTOWSKI, Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970.