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Lex specialis e ragionamento giuridico

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Lex specialis e ragionamento giuridico
XVIII Seminario Italo-spagnolo-francese di Teoria del Diritto
XVIIIe Séminaire Franco-italo-espagnol de Théorie du Droit
XVIII Seminario Hispano-italiano-francés de Teoría del Derecho
Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano 26 e 27 ottobre 2012
Lex specialis e ragionamento giuridico
Ridondanze linguistiche e norme speciali e generali compatibili
di Silvia Zorzetto (*)
1. Premessa
In questo scritto affronterò il tema della lex specialis analizzando, in particolare, l’ipotesi
delle norme speciali compatibili con le norme più generali. Usualmente si presta scarsa attenzione a
questa ipotesi. Quando si parla di lex specialis si pensa infatti anzitutto all’adagio “lex specialis derogat legi generali” come criterio di soluzione delle antinomie giuridiche, in particolare della cosiddetta antinomia «parziale-totale», sul presupposto che la norma speciale e la norma generale siano in conflitto. Di seguito accennerò appena a questa ipotesi più familiare e mi occuperò piuttosto
della deroga fra norme speciali e generali compatibili e delle ridondanze linguistiche generate dalla
coesistenza di norme speciali e generali.
Dividerò il mio discorso in tre parti.
Nella prima parte spiegherò in breve: (i) in cosa consiste la specialità delle norme cioè cosa
vuol dire che una norma è speciale e a quali condizioni lo è; (ii) in cosa consiste la deroga della
norma speciale, cioè cosa vuol dire che una norma speciale deroga a un’altra norma (più generale) e
se e a quali condizioni ciò avviene. La visione minimale del principio della lex specialis che proporrò ha l’obiettivo di spiegare gli usi effettivi di tale principio da parte dei giudici e dei giuristi, oltre
che dei teorici. Tiene conto perciò dei suoi usi nel ragionamento giuridico relativi, oltre che ai conflitti fra norme speciali e generali, al loro concorso (o cumulo) oppure alla loro integrazione in una
norma più compiuta. Considerando questi diversi usi, il principio della lex specialis è ricostruibile
come una meta-regola sull’applicazione esterna che stabilisce, fra norme identificate in via previa
come logicamente ordinate in base alla relazione di specialità, una gerarchia materiale ossia l’uso
esclusivo della norma rilevante (più) speciale come base della giustificazione interna del caso1.
(*) Università degli Studi di Milano - [email protected] [La relazione che verrà esposta al Seminario sarà una sintesi di questo scritto e per ragioni di tempo verterà su alcuni punti; considerato anche lo stato iniziale della mia ricerca,
ringrazio sin da ora chi volesse sottoporre osservazioni anche sul presente testo.]
1
Per un approfondimento sui criteri gerarchici e sulle nozioni di gerarchia materiale e di applicabilità interna ed esterna
da me usate rinvio a J. Ferrer, J. Rodriguez, Jerarquías normativas y dinámica de los sistemas jurídicos, Marcial Pons,
Madrid, 2011, spec. cap. III, p. 135 ss.
Ciò premesso, nella seconda parte ripercorrerò alcuni studi di linguistica sul fenomeno della
ridondanza nelle lingue naturali2. A mio avviso, questi studi rappresentano uno strumento metodologico utile per analizzare la dimensione linguistica delle ridondanze generate dalle norme speciali e
generali. Stante la natura della relazione di specialità, la ridondanza fra la norma speciale e la norma
generale ha natura semantico-pragmatica oltre che logico-sintattica: è influenzata dalle caratteristiche semiotiche delle lingue naturali e del linguaggio giuridico, anzitutto a livello pragmatico. Ciò
vale sia per i diritti fondati sulla scrittura, sia per i diritti e i fenomeni giuridici non fondati sulla
scrittura; in quest’ analisi, comunque, farò diretto riferimento ai primi traendo gli esempi da testi
scritti.
Nella terza parte proverò quindi a calare nel contesto giuridico gli studi sulle ridondanze nelle lingue naturali ed esaminerò alcuni casi paradigmatici di norme speciali e generali (compatibili)
ridondanti. L’ipotesi di ricerca che vorrei sottoporre alla discussione è che, con riguardo alle norme
speciali e generali compatibili, l’applicazione o non applicazione del principio della lex specialis da
parte dei giuristi e dei giudici dipende anche, sebbene evidentemente non solo, dal tipo di ridondanza fra loro esistente. L’intuizione da cui muovo è che indagare, sul piano linguistico, le ridondanze
fra norme speciali e generali compatibili sia un primo passo per capire perché alcune sono considerate norme deroganti e concorrenti, mentre altre sono invece considerate non derogare e sono combinate con le norme più generali in una norma più compiuta.
2. La specialità
Dunque, quando si dice che una norma è “speciale” cosa s’intende? E a quali condizioni una
norma è speciale? Per rispondere a queste domande conviene partire da due esempi.
Il divieto di correre in bicicletta nei viali dei parchi cittadini specifica (è speciale rispetto a)
il generale divieto d’ingresso dei veicoli nelle zone verdi delle città, considerando che ogni bicicletta è un veicolo e che per correre nei viali dei parchi è necessario fare ingresso in una zona verde. In
questo esempio la relazione di specialità fra le norme fa perno su quattro componenti concettuali: 1)
le biciclette sono concepite come specie del genere veicolo (il concetto di bicicletta è cioè ricostruito come incluso nel concetto di veicolo); 2) i parchi cittadini rientrano nel più ampio genere costituito dalle zone verdi delle città (il concetto di zona verde della città include quello di parco cittadi-
2
Non accennerò dunque all’ampio filone di studi sulla ridondanza di c.d. teoria dell’informazione, né agli approcci logico-formali e agli studi quantitativi che concepiscono la ridondanza come prevedibilità delle occorrenze di determinati
elementi di un codice e si occupano di misurarla. La scelta di privilegiare gli studi di linguistica e in particolare le analisi compiute con riguardo alle lingue naturali deriva dal fatto che i diritti vigenti fanno uso delle lingue naturali per
esprimere le norme e che l’astrazione concettuale e la comprensione dei significati dei segni sono abilità che anche in
ambito giuridico si fondano sulla più fondamentale capacità di usare e comprendere le lingue naturali, a cominciare dalla lingua madre.
2
no); 2) i viali del parco fanno parte del parco come zona verde3; 3) il correre entro uno spazio presuppone il farvi ingresso, tanto che i viali di un parco o di una zona verde si per-corrono, dove il
‘per-’ indica il complemento di moto attraverso il parco/la zona verde.
Le norme dei trattati internazionali sono abitualmente considerate, dai giuristi, ma non solo,
norme speciali rispetto alle norme di diritto internazionale consuetudinario, le quali sono per converso considerate generali rispetto alle prime. La relazione di specialità fra i due insiemi di norme si
basa su un’assunzione implicita relativa all’origine delle norme in questione. L’assunzione da cui si
muove è che le norme dei trattati internazionali derivano dall’accordo di determinati membri della
comunità internazionale (le parti del trattato) e, pertanto, hanno origine in una data forma di interazione (l’accordo) tra agenti identificati (alcuni membri in particolare della comunità). Invece, le
norme consuetudinarie internazionali derivano dall’interazione tra i membri di tale comunità senza
distinzioni, restando indifferente chi e come interagisce. Si noti che anche qui, come nell’esempio
precedente, vi è un’ordinazione logica tra concetti: l’interazione tra membri della comunità internazionale include, come propria specie, l’accordo tra suoi membri determinati4.
Questi esempi mostrano che la specialità giuridica è una questione logico-concettuale, che
dipende da come si concepiscono le norme e inerente alle loro componenti concettuali, e che richiede la previa individuazione di un genere e di una o più differenze specifiche rilevanti.
Spesso i teorici tendono a tracciare una differenza essenziale tra i casi di specialità del primo
tipo e del secondo tipo e, anzi, a considerare genuini casi di specialità solo i primi in cui la specialità si evince dal confronto fra ciò che ciascuna norma prescrive e in particolare fra le situazioni a cui
ciascuna norma si riferisce (il correre in bicicletta nei viali dei parchi cittadini – l’ingresso dei veicoli nelle zone verdi delle città). Al proposito si parla anche di specialità relativa alle fattispecie e
quello esemplificato è il caso più tipico e intuitivo di questo tipo di specialità, perché nell’esempio
le modalità deontiche sono identiche (‘vietato’, ‘vietato’) e, dunque, sono un elemento comune alle
due norme.
Tuttavia, anche il secondo esempio è un caso di specialità. Alla base della specialità, in questo caso, vi è una vera e propria teoria dei generi e delle specie, concernente, come dicevo, l’origine
3
Per inciso, questa assunzione non è scontata come potrebbe sembrare: in molte circostanze i viali – e più in generale i
percorsi carreggiabili all’interno delle zone verdi – non sono considerati essi stessi zona verde e dunque a essi si applicano regole diverse. Nei parchi e giardini cittadini è frequente per esempio che sia proibito circolare con qualunque veicolo sulle aiuole e sul tappeto erboso (per non rovinarle) ma che sia permesso transitare sui vialetti in bicicletta, coi pattini, sullo skateboard, con le automobiline giocattolo, etc.
4
Rispondo in via anticipata a una possibile obiezione: la specialità tra le norme pattizie e consuetudinarie internazionali
non si basa su ragioni estensionali relative al campo di applicazione spaziale di tali norme, perché una norma pattizia
concordata in ipotesi da tutti i membri della comunità internazionale (che avrebbe perciò massima estensione spaziale) è
considerata comunque speciale rispetto alle norme consuetudinarie internazionali (in quanto resta fondata sull’accordo
di parti determinate); per converso, una norma consuetudinaria regionale cioè relativa solo ad alcuni territori del Pianeta
– e che pertanto ha estensione minore della norma pattizia appena ipotizzata – è comunque considerata una norma generale, sempre in virtù della sua origine/modalità di formazione.
3
delle norme internazionali pattizie e consuetudinarie. Spesso si tende ad affrontare il secondo esempio delle norme come una questione di gerarchia fra le fonti, non di specialità. Ma l’una prospettiva
non esclude l’altra. Al contrario, posto che le norme pattizie si fondano sul principio pacta sunt servanda che è una norma internazionale consuetudinaria, le norme dei trattati internazionali sono una
sua specificazione: norme appunto speciali, rispetto a questo generale principio, per la loro origine.
Dunque, affinché una norma sia speciale rispetto a un’altra norma, occorre previamente individuare per ciascuna norma almeno un elemento, l’uno rispetto all’altro, in relazione di specie a
genere e viceversa. Prendendo a prestito una nozione della logica, possiamo chiamare questi concetti ‘termini determinanti’ poiché da essi dipende la qualificazione delle norme come speciali e generali. La specialità/generalità delle norme è perciò, per così dire, una proprietà derivata, che si fonda
su una relazione più fondamentale tra le loro componenti concettuali. L’essere generale e l’essere
speciale sono qualità delle norme logicamente correlate e opposte che indicano e presuppongono
una relazione di genus ad speciem tra talune componenti concettuali alle quali gli interpreti, in base
a previe assunzioni di rilevanza, danno ruolo di genus e di species.
Come mostrano anche gli esempi, la dimensione logica e più precisamente di sintassi logica
della specialità giuridica consiste nel fatto che i termini determinanti per essere ordinati da genere a
specie devono essere ricostruiti come classi logiche (cioè pensati come perfettamente precisi o esattamente definiti) ordinate secondo la relazione di inclusione logica5. Questa relazione formalizzata
dalla logica è una modalità fondamentale del pensiero umano in ogni ambito: per la zoologia, tutti i
mammiferi sono animali, per cui se un porcospino è un mammifero non può non essere anche un
animale; nella geometria euclidea, tutti i quadrati sono rettangoli, per cui per la geometria euclidea
qualunque cosa può avere forma quadrata solo a condizione di essere (prima ancora) rettangolare;
non stupisce che lo sia quindi anche in quello giuridico. Tuttavia, in ogni ambito, come logica e matematica, così nelle lingue naturali e nel diritto, la relazione di genere a specie come inclusione logica ha un fondamento semantico per cui la specialità (giuridica) è una questione indubbiamente logica ma non solo di sintassi logica. Stabilire quali caratteristiche delle norme sono rilevanti e assumono il ruolo di genere e differenza specifica non è una questione logica, ma frutto di scelte concettuali6 e di giustizia. Decidere cosa è e non è rilevante, cosa conta e cosa no come differenza signifi5
Parlo di ‘ricostruzione’, perché, evidentemente, fuori dell’ambito dei linguaggi formali come la logica e la matematica, i concetti non sono esattamente o precisamente determinati da regole di interpretazione fisse e previe come avviene
per i simboli in logica e si suppone sia per le classi logiche e gli insiemi.
6
Così, considerato che le azioni di società sono titoli di credito, è ad esempio dubbio se la disciplina di conflitto dettata
per i titoli di credito in generale dall’art. 59 l. 218/1995 riguardi anche quella particolare categoria costituita dai titoli
partecipativi azionari, o se invece questi ultimi debbano essere regolati dalla lex societatis ai sensi dell’art. 25 l.
218/1995. L’alternativa è tra due diverse classificazioni e cioè l’individuazione di diversi generi e differenze specifiche
rilevanti: l’applicazione alle azioni della lex tituli si fonda sull’inclusione nel genere dei titoli di credito; l’applicazione
della lex societatis si fonda invece sulla loro pertinenza al genere delle società. Cfr. ad es. A. Malatesta, Titoli di credito
(voce), in R. Baratta (a cura di), Dizionario di diritto internazionale privato, Giuffrè, Milano, 2011, p. 491; B. Barel, S.
4
ca regolare diversamente determinati comportamenti e non altri, e trattare in maniera eguale o diversa alcuni individui o classi di individui, anziché altri7. Sotto questo profilo costituiscono un caso
paradigmatico le norme speciali di favore (come ad es. le norme che stabiliscono agevolazioni fiscali o semplificano talune procedure amministrative per gli enti di una determinata Chiesa, o delle
confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano o degli enti ecclesiastici8).
Per non dimenticare questa triplice dimensione della specialità (logica, semantica e di giustizia) e che cioè i termini determinanti della specialità giuridica sono talune componenti concettuali
delle norme considerate rilevanti dagli interpreti, è utile distinguere la relazione di specialità tra le
norme, da un lato, e la relazione da genere a specie tra queste componenti, dall’altro lato.
In base a quest’ultima relazione ogni specie eredita i caratteri del genere e si distingue da
ogni altra specie per una differenza specifica che per il genere può esserci o non esserci: è né necessaria né sufficiente. Per esempio, i gatti possono essere neri e possono essere bianchi: c’è cioè la
specie dei gatti bianchi e quella dei gatti neri. Ma né l’essere bianco né l’essere nero sono caratteristiche sufficienti o necessarie per essere gatto: vi sono infatti gatti siamesi e cani bianchi.
Tra le norme speciali e generali corre una relazione che ha la forma della conseguenza logica. Questa relazione si può esprimere dicendo che, ad es., l’obbligo di onorare il padre e la madre
presuppone (logicamente) l’obbligo di onorare un prossimo congiunto ovvero che onorare un prossimo congiunto è condizione (solo) necessaria dell’onorare il padre e la madre. Le due relazioni, di
inclusione della specie (il padre e la madre) nel genere (un prossimo congiunto purchessia) e di
conseguenza logica tra le norme, possono essere presentate in modo unitario tramite la relazione di
implicazione stretta di C.I. Lewis9. Questa relazione può essere espressa come segue: se il concetto
di padre e madre è incluso nel concetto di prossimo congiunto, è internamente contraddittorio affermare che si onora il padre e la madre ma non un prossimo congiunto ed è perciò necessario onorare un prossimo congiunto, perché sia possibile onorare il padre e la madre10.
Armellini, Manuale breve di diritto internazionale privato, con pref. S. Bariatti, Giuffrè, Milano, 2011, p. 130; A. Gardella, Le garanzie finanziarie nel diritto internazionale privato, Giuffrè, Milano, 2007, p. 78-79 nota 165 e ivi per ult.
rif. bibliografici.
7
Per un verso, la generalità è giustizia nel senso di trattamento indifferenziato, per altro verso anche la specialità è giustizia nel senso di trattamento differenziato, fino al caso estremo del trattamento ritagliato per il caso individuale.
8
Cfr. ad es. G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, 3° ed., 2009, Giappichelli, Torino, in particolare
G. Casuscelli, Elmenti introduttivi, p. 22; S. Fiorentino, La libertà di religione, p. 84.
9
Per un approfondimento, v. Zorzetto (2010), La norma speciale. Una nozione ingannevole, Pisa, cap. 2 e relativa App.
10
Nell’esempio l’obbligo generale di onorare un prossimo congiunto risulta soddisfatto quale che sia il prossimo congiunto che si onora. Come indica l’articolo indeterminativo ‘un’ tutte le possibili differenze specifiche di ciascun prossimo congiunto (inteso come specie o anche individuo) sono egualmente indifferenti. Perciò, rispettando l’obbligo speciale di onorare il padre e la madre, si rispetta anche per definizione l’obbligo generale. Diverso è il caso della norma
che impone l’obbligo di onorare i prossimi congiunti, intesi come tutti i prossimi congiunti, non (almeno) uno qualsiasi.
In questo caso, onorando il padre e la madre si osserva solo la norma speciale, non anche la norma generale: per osservare anche questa occorre onorare anche tutti gli altri prossimi congiunti. Ne segue che colui che osserva la norma speciale resta destinatario dell’eventuale sanzione ricollegata alla inosservanza della norma generale.
5
Configurare la specialità come implicazione stretta, ha il pregio sia di mostrare il fondamento semantico della specialità, sia di distinguere tra il livello delle norme e quello delle loro componenti concettuali. Distinguere i due livelli è necessario perché la specialità giuridica varia in funzione delle componenti concettuali che gli interpreti considerano rilevanti e, ai loro occhi, normalmente, non tutte le componenti contano ai fini della specialità delle norme.
Per esempio, la norma “è vietato introdursi in una abitazione altrui contro la volontà
espressa o tacita del proprietario ovvero clandestinamente o con inganno” è da tutti considerata
generale rispetto alla norma (speciale) “è vietato a ogni pubblico ufficiale d’introdursi nei luoghi
indicati dalla norma precedente, abusando dei poteri inerenti alle proprie funzioni” 11, perché si dà
rilevanza (si considerano come termini determinanti) il destinatario delle norme (chiunque e il pubblico ufficiale) e il modo in cui il pubblico ufficiale agisce (abusando dei suoi poteri), mentre non si
contano (non si considerano come termini determinanti ai fini del rapporto di specialità) le modalità
dell’agire contro la volontà espressa o tacita del proprietario o clandestinamente o con inganno. Se
si considerassero anche queste, avremmo due norme che hanno alcuni aspetti comuni e altri diversi
e pertanto interferenti, non speciali e generali12.
Sia i giuristi che i teorici usano fondare la specialità anche su elementi esterni alla fattispecie
delle norme, ma che di fatto sono trattati come una componente implicita delle norme essenziale ai
fini della specialità. Oltre al caso iniziale delle norme pattizie e consuetudinarie internazionali, dove
determinante ai fini della specialità è la loro origine o modalità di formazione, un’altra ipotesi assai
diffusa riguarda la cosiddetta materia ossia il campo di applicazione materiale delle norme che viene presupposto dall’interprete.
Per esempio, dagli artt. 77 Rappresentanza del procuratore e dell’institore e 317 Rappresentanza davanti al giudice di pace cod. proc. civ. it. (art. 77 “Il procuratore generale e quello preposto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente, quando questo potere non è
stato loro conferito espressamente, per iscritto, tranne che per gli atti urgenti e per le misure cautelari.”; art. 317 “Davanti al giudice di pace le parti possono farsi rappresentare da persona munita
di mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato, salvo che il giudice ordini la loro comparizione personale.”), la dottrina e la giurisprudenza ricavano, rispettivamente, le norme seguenti:
(Ng) (sott. In ogni giudizio civile), le parti possono farsi rappresentare, rilasciando una procura in
forma scritta, soltanto da una persona che ha potere rappresentativo anche sostanziale; (Ns) (sott.
Nel procedimento civile), davanti al giudice di pace, le parti possono farsi rappresentare da una
11
Cfr. articoli 614 Violazione di domicilio e 615 Violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale cod. pen. it.
Questa situazione è spesso chiamata di c.d. «specialità bilaterale» o «reciproca», anche se la relazione logica corrispondente non è l’inclusione di una classe sotto-ordinata in una sovra-ordinata o di un insieme meno esteso in uno più
esteso, ma è l’interferenza fra classi o insiemi.
12
6
persona munita di mandato scritto, anche se non ha potere rappresentativo anche sostanziale. La
prima norma è considerata generale in quanto applicabile (in linea di principio, salvo deroghe
espresse) a ogni giudizio civile. La seconda norma è considerata speciale perché invece è applicabile ai soli procedimenti civili avanti al giudice di pace. Determinante per la costruzione della relazione da genere a specie, qui, è l’ambito di applicazione materiale delle norme; non invece la linea
di condotta prescritta, cioè il potere di conferire procura alle liti. Se consideriamo questo profilo, il
potere di rappresentanza attribuito dalla prima norma generale è più circoscritto (meno esteso, più
specifico), invece che più generico di quello attribuito dalla seconda norma speciale. Per la norma
speciale la rappresentanza in giudizio può essere conferita a chiunque (purché con procura per
iscritto). Per la norma generale, questa sola formalità non basta e occorre anche che il rappresentante processuale sia pure rappresentante sostanziale (i.e. procuratore generale o institore preposto a
determinati affari). Rispetto alla norma speciale, la norma generale richiede quindi un requisito in
più (anziché in meno) per esercitare validamente il potere che regola. In questo modo, la generalità
dei soggetti (cioè le parti in un giudizio civile) ha un onere in più (anziché in meno) rispetto a quello che ha la particolare classe di soggetti costituita dalle parti in un giudizio civile che agiscono
avanti al giudice di pace.
Come risulta da questo esempio, distinguere tra (specialità delle) norme e (relazione da genere a specie fra i) termini determinanti permette anche di spiegare il fenomeno – peraltro diffuso –
delle norme speciali più generiche delle norme generali e viceversa13.
Un altro atteggiamento comune a giuristi e teorici è quello di considerare, di regola, rilevante ai fini della specialità la componente che esprime il destinatario delle norme. Questo elemento
13
Un altro esempio si ricava dal confronto tra gli artt. 182, 1° e 2° co. e 421, 1° co., cod. proc. civ. it. Il primo articolo
dispone che “1. Il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le
invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. 2. Quando rileva un difetto di
rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il
giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o
l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. omissis”. Il secondo articolo dispone che “Il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità
degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi (…)”. La prima disposizione per tutti enuncia una norma generale perché riguarda il processo civile ordinario di primo grado avanti il Tribunale (che è considerato il caso generale paradigmatico di processo), la seconda esprime per tutti una norma speciale, perché riguarda il processo civile ordinario di primo grado secondo il rito del lavoro. Anche in questo caso è essenziale
quindi ai fini della specialità il campo di applicazione materiale delle due norme; considerando la linea di condotta prescritta dalle due norme, la norma generale è ben più specifica della norma speciale che ha contenuto assai più generico.
Un altro esempio è dato dall’art. 43, 3º co., r.d. 16 marzo 1942 n. 267 secondo cui “L’apertura del fallimento determina
l’interruzione del processo” (si parla di estinzione automatica) e dall’art. 300 cod. proc. civ. secondo cui in caso di perdita della capacità della parte costituita “a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre
parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione” da parte di coloro ai quali spetta di proseguirlo. Nella prima disposizione dottrina e giurisprudenza leggono una norma speciale, rispetto a quella formulata nel Codice di procedura civile, in quanto il fallimento viene considerato una particolare ipotesi di perdita di capacità. La norma speciale è più generica di quella generale,
perché per essa qualunque dichiarazione o notificazione è indifferente, tanto che, anche se avviene, il dies a quo per
riassumere il giudizio non decorre da quel momento ma da quello dalla sentenza di fallimento.
7
non solo conta quasi sempre, ma spesso è più rilevante di altri elementi e talvolta è persino decisivo.
Invece, ogni altro elemento risulta tendenzialmente essere o non essere rilevante a seconda delle assunzioni da cui si muove volta per volta. Di solito, non contano la conseguenza o gli effetti giuridici. Perciò, ad esempio, le norme penali sono classificate come speciali e generali pensando alla
norma nella forma categorica “è vietato che p” anziché nella forma ipotetica “se p, allora si è soggetti alla pena x”: in questo modo la specialità è tracciata solo dal lato della fattispecie (la cosiddetta
figura criminis) e la conseguenza della norma penale, cioè la pena, non costituisce una differenza
specifica ulteriore rilevante. Anche nel diritto civile, i giuristi tendono a qualificare le norme come
speciali e generali in ragione della fattispecie, omettendo di considerare ai fini della specialità le
conseguenze (queste sono rilevanti ai fini di stabilire se la norma speciale deroga o no e quindi se le
conseguenze si cumulano o no). Così, ad esempio, la norma secondo cui è “se per circostanze imprevedibili si verificano aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da
determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto
per l’opera, allora l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo per la
differenza che eccede il decimo” (cfr. art. 1664 cod. civ. it.) è considerata speciale rispetto alla norma generale secondo cui “se in un contratto a esecuzione continuata o periodica la prestazione di
una delle parti diventa eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, allora la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”.
La specialità è costruita dal lato delle fattispecie concependo gli aumenti o diminuzioni, oggetto
della prima norma, come una specie del genere eccessiva onerosità sopravvenuta, oggetto della seconda14.
Malgrado quest’abitudine dei giuristi e dei teorici a tracciare la relazione di specialità tra le
fattispecie delle norme (eventualmente intese in senso ampio, includendovi come sopra accennato la
componente costituita dalla sfera materiale, temporale o spaziale, etc.), anche le conseguenze o gli
effetti giuridici e le modalità di qualificazione deontica potrebbero essere termini determinanti della
specialità giuridica.
Possiamo fare tre esempi elementari per ciascuna ipotesi: a) la norma “se non si osservano i
comandi paterni, allora si è puniti” è speciale per la fattispecie rispetto alla norma “se si trasgredi14
Per la giurisprudenza la norma speciale di cui all’art. 1664 cod. civ. deroga alla norma generale di cui all’art. 1467
cod. civ., il che serve a evitare, stante la diversità delle conseguenze, che nei casi di eccessiva onerosità sub specie di
aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione
superiori al decimo del prezzo, vi sia la possibilità di chiedere in via alternativa o la risoluzione o la revisione. Appunto
per evitare la possibilità di questo cumulo alternativo di domande, “con riferimento al contratto di appalto, attesa la
sussistenza di una disciplina speciale in merito, di cui all’art. 1664 c.c., (…) il rimedio risolutorio di cui all’art. 1467
c.c., può ritenersi applicabile (…) solo nell’ipotesi in cui l’onerosità sopravvenuta sia da attribuire a cause diverse da
quelle menzionate nell’art. 1664, dovendo altrimenti la norma speciale prevalere sulla norma generale, in quanto disciplina specifica di un contratto commutativo con caratteristiche particolari” (T. Napoli-Frattamaggiore, 13-7-2007,
in Strum. avv., 2007, 1, p. 53).
8
sce un ordine, allora si è puniti”; b) la norma “se si usa il mulino del signore per macinare il grano,
allora si deve pagare una tassa in proporzione alla quantità di grano macinato” è speciale per la
conseguenza rispetto alla norma “se si usa il mulino del signore per macinare il grano, allora si deve
versare un tributo”; c) la norma “è obbligatorio votare” è speciale per la modalità di qualificazione
deontica rispetto alla norma “è permesso votare” posto che solo se è permesso votare, votare può
essere obbligatorio.
La norma speciale è necessariamente compatibile con la norma generale in tutti i casi in cui
la norma speciale è una specificazione della norma generale, avendo la stessa modalità di qualificazione deontica e riferimento in relazione da specie a genere rispetto a quello della norma generale,
come nell’esempio “è vietato recare disturbo ai condomini dell’edificio” ed “è vietato giocare in
giardino nelle ore di riposo stabilite dal regolamento condominiale”, oppure quando i termini determinanti in relazione da genere a specie sono proprio le modalità di qualificazione deontica delle
norme, come nel caso dell’obbligo di vaccinazione che presuppone il permesso di vaccinarsi (permesso positivo): infatti, solo se è permesso vaccinarsi, allora vaccinarsi potrà essere altresì obbligatorio. Si parla in questi casi di relazione di sub/super-implicazione o sub/super-alternazione. Analogamente, solo se è permesso non sfruttare il lavoro minorile (permesso negativo), sfruttare il lavoro
minorile potrà essere pure vietato: ogni divieto presuppone logicamente un permesso negativo ovvero una facoltà d’astensione.
Eccettuati questi casi, ogni norma speciale può essere o compatibile o incompatibile rispetto
a ogni altra norma più generale, a seconda di quali sono le modalità di qualificazione deontica delle
norme prese in considerazione: per esempio, rispetto al permesso generale rivolto a tutte le persone
di esprimere il proprio pensiero pubblicamente sono speciali tanto la norma che permette di fare
propaganda a favore di un determinato partito politico (norma speciale compatibile) quanto quella
che vieta di lanciare insulti offensivi dell’onore o della reputazione altrui in pubblici discorsi (norma speciale incompatibile).
3. La deroga
Corollario di questa concezione della specialità è che nessuna norma speciale è di per sé derogante rispetto alle norme più generali, poiché la deroga – a differenza della specialità/generalità –
non è una questione logico-concettuale inerente alle norme (e, alla base, alle loro componenti), ma è
una questione di diritto positivo che riguarda la scelta delle norme con cui decidere i casi giuridici.
La possiamo chiamare una scelta di giustificazione esterna, in opposizione alla giustificazione interna con cui si trae la conclusione pratica del caso. Gli attributi ‘esterna’ e ‘interna’ indicano, con
una metafora spaziale, una successione logica: per trarre qualunque conclusione pratica (che è una
9
norma singolare o individuale) prima è necessario determinare/scegliere quale norma (generale)
adoperare come base del ragionamento o fondamento della giustificazione. L’alternativa a cui dà
una soluzione il principio della lex specialis è appunto se, nella giustificazione giuridica, si debbano
adoperare le norme più speciali o quelle più generali.
Per esempio, per decidere o sapere se a un lavoratore spetta o no la retribuzione corrispondente all’esercizio di mansioni superiori rispetto a quelle per cui è stato assunto, quale norma si deve scegliere tra la norma generale secondo cui “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” (cfr. prima parte art. 36 Cost. it.) e la norma speciale
che prevede che “lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza comporta il diritto alle differenze retributive”?15 A seconda di quale norma sceglieremo, comportamenti
diversi saranno corretti o scorretti, conformi o no a diritto (al proposito, è interessante notare che la
giurisprudenza considera in questa ipotesi necessaria la norma speciale espressa, escludendo di poter derivare il diritto alla maggiorazione retributiva per le mansione di fatto svolte dalla norma generale ex art. 36 Cost.)16.
Tutte e due le norme dell’esempio si riferiscono (al diritto) alla retribuzione del lavoratore e
il problema è proprio sapere se solo una o tutte e due serve/ono a regolare tali casi. A tale fine, occorre distinguere tra la qualificazione giuridica da un lato e la giustificazione giuridica dall’altro lato, cioè tra l’applicabilità interna delle norme ossia cosa è giuridicamente rilevante o significativo
per un determinato diritto e l’applicabilità esterna delle norme ossia in base a quali norme si deve
agire e decidere per quel dato diritto: la prima questione è logicamente precedente rispetto alla seconda, in questo senso le norme qualificano in funzione dell’azione o, in breve, sono ragioni per
agire17.
La risposta alla domanda “perché è proibito realizzare un balcone sulla facciata di un condominio?” 18 può essere “perché ciascun partecipante non può servirsi della cosa comune alterandone la destinazione e impedendo agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”
(norma generale proibitiva) oppure “perché è vietato aprire sulla facciata di un condominio luci e
vedute dirette, laterali od oblique che determinino un’alterazione estetica e il decoro architettonico
15
Cfr. art. 56 d.lgs. n. 29/1993, come sost. dall’art. 25 d.lgs. n. 80/1998 e mod. dall’art. 15 d.lgs. n. 387/1998.
Vedi C. Stato, sez. VI, 3-2-2011, n. 758, in Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 528 (m), per esteso in banca dati Pluris
Utet e i precedenti richiamati in motivazione.
17
I giuristi positivi tendono a non distinguere tra la qualificazione giuridica e la giustificazione giuridica e questa omissione è una delle ragioni per cui la norma speciale è considerata derogante per forza propria.
18
La giurisprudenza affronta tale questione considerando rilevanti la norma in materia di distanze legali tra fondi contigui di cui all’art. 905 cod. civ. e la norma in materia di uso della cosa comune di cui all’art. 1102 cod. civ. Quest’ultima
è considerata una norma speciale riguardando una situazione di comproprietà, mentre la prima è considerata generale
riguardando la proprietà in generale (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. II, 18-3-2010, n. 6546, in Giust. civ., 2011, I, 1040).
In realtà, salva quest’assunzione, confrontando le norme in questione, risulta che esse sono non in relazione di specialità, ma di interferenza. Perciò, nell’esempio del testo mi discosto dal caso reale in modo da esaminare due norme l’una
speciale rispetto all’altra.
16
10
dell’edificio” (norma speciale proibitiva) – nel qual caso in assenza di deroga avremmo due ragioni
concorrenti per non realizzare il balcone. La risposta alla domanda “entro o non entro nel fondo altrui per salvare la vita di Tizio?” può essere sia “sì, perché in stato di necessità è permesso accedere
a luoghi privati altrui” oppure “no, perché è vietato violare la proprietà altrui”. In quest’ultimo caso,
in assenza di deroga da specialità, l’agente si trova di fronte a un dilemma pratico cioè a due risposte normative incompatibili.
Sia che abbiamo più ragioni/norme concorrenti (come nei due esempi della retribuzione e
del condominio), sia che abbiamo invece ragioni/norme incompatibili (come nell’ultimo esempio
dello stato di necessità), dipende dal diritto positivo quale norma seguire/adoperare per decidere
come ci si deve comportare: se quella (più) generale o quella (più) speciale o ambedue. Per scegliere tra tali norme ci vuole una terza norma diversa e distinta. Nella cultura giuridica europeocontinentale contemporanea e non solo, l’enunciazione più famosa di questa terza norma è appunto
l’adagio o brocardo “lex specialis derogat legi generali”.
Un diritto positivo potrà allora scegliere i) che ogni norma speciale deroghi a ogni norma
più generale sancendo il noto adagio riguardo a tutto l’ordinamento o a un suo ambito o settore (cfr.
per esempio l’art. 15 cod. pen. it. e l’art. 8 cod. pen. spagnolo); ii) che solo alcune norme speciali
deroghino ad alcune norme generali prevedendo l’adagio solo in via puntuale (come fa per esempio
l’art. 840 cod. civ. it. per il quale la norma generale secondo cui la proprietà del suolo si estende al
sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene non si applica alle miniere cave e torbiere; oppure l’art.
2401 del cod. civ. francese in materia di ipoteca legale19 e l’art. 1153 del medesimo codice in materia di interessi per ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie20); iii) che qualche norma
generale deroghi alle eventuali norme più speciali secondo il principio reciproco lex generalis derogat legi speciali (come è avvenuto nella storia per talune consuetudini generali imperiali prevalenti
sulle consuetudini speciali locali; nel diritto italiano attuale, ai sensi dell’art. 9 l. n. 689 del 1981, le
norme penali nazionali prevalgono sulle norme speciali delle regioni e province autonome che prevedono sanzioni amministrative); infine, iv) che talune norme non deroghino le une alle altre e le
norme speciali e le norme generali “concorrenti” guidino a pari titolo le scelte pratiche dei cittadini
e le decisioni dei giudici e dei pubblici funzionari (come nel caso del concorso di reati oppure
dell’art. 18 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 12 TCE) secondo cui “Nel
19
Cfr. Art. 2401 Code civil (Version consolidée au 2 juin 2012) “Sous réserve tant des exceptions résultant du présent
code, d’autres codes ou de lois particulières que du droit pour le débiteur de se prévaloir des dispositions des articles
2444 et suivants, le créancier bénéficiaire d’une hypothèque légale peut inscrire son droit sur tous les immeubles appartenant actuellement à son débiteur, sauf à se conformer aux dispositions de l’article 2426.”.
20
Cfr. Art. 1153 Code civil (Version consolidée au 2 juin 2012) “Dans les obligations qui se bornent au paiement d’une
certaine somme, les dommages-intérêts résultant du retard dans l’exécution ne consistent jamais que dans la condamnation aux intérêts au taux légal, sauf les règles particulières au commerce et au cautionnement.”.
11
campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.”).
Ovviamente, ciascun diritto potrà poi prevedere tutto ciò in modo espresso (in apposite disposizioni, come gli articoli sopra citati) oppure tacitamente (con norme non formulate).
Il principio lex specialis derogat legi generali è dunque una regola di giudizio contingente
che può essere o non essere contemplata da un certo diritto vigente. Si tratta propriamente di una
meta-regola sull’applicazione esterna che regola il procedimento di decisione dei casi giuridici, siano essi casi reali (c.d. casi concreti), siano essi prospettati per esercizio intellettuale (c.d. casi astratti). Perciò, suoi destinatari sono anzitutto i funzionari, primi fra tutti i giudici, ma anche i cittadini,
dato che anche costoro sono evidentemente interessati a sapere se al comportamento loro e altrui va
applicata una sola norma o più norme (più o meno generali) e se l’unica norma applicabile sia quella speciale o generale.
Si pensi alle diverse attitudini pratiche che normalmente si sviluppano in presenza di norme
elementari come “è vietato l’accesso agli animali” ed “è vietato l’accesso ai cani senza la museruola e il guinzaglio”: due norme destinate ai loro padroni o accompagnatori, i cui atteggiamenti pratici
saranno assai diversi a seconda che la seconda norma deroghi o no alla prima. Peraltro, in presenza
di norme siffatte in cui la norma speciale ha ad oggetto non una specie, ma una sotto-specie (non i
cani tout court, ma i cani senza la museruola e il guinzaglio), spesso ci si pone il problema se non
sia regolata in maniera opposta la classe complementare e quindi l’accesso ai cani con museruola e
guinzaglio debba intendersi implicitamente permesso. Quando la differenza specifica che identifica
la sotto-specie sembra essere la ragione decisiva del divieto (o dell’obbligo o del permesso etc.), si
tende a rispondere in maniera affermativa.
Da quanto detto segue che la tesi comune per cui le norme speciali e generali sono incompatibili dà conto solo in parte della specialità giuridica escludendo una parte importante di tale fenomeno. Parimenti, la concezione del principio di specialità come principio di soluzione delle antinomie mette in luce solo una delle sue funzioni, dal momento che esso può essere impiegato anche per
evitare l’applicazione congiunta delle norme speciali e generali compatibili.
Inoltre, una cosa è la specialità, altro è la deroga. Pertanto, le norme speciali possono derogare così come non derogare alle norme generali. Infatti, in forza della relazione di specialità, per
un verso, ogni norma generale si riferisce a ciò a cui si riferisce anche ogni norma più speciale; per
altro verso, ogni norma speciale qualifica una parte dei casi qualificati anche da ogni norma più generale. Dunque, sia la norma speciale sia la norma generale sono, l’una rispetto all’altra, ridondanti
12
sul piano dell’applicabilità interna ossia nella qualificazione giuridica21. Presupposto di applicazione del principio della lex specialis non è allora l’incompatibilità fra le norme speciali e generali ma
l’esistenza dell’ambito comune di qualificazione (o applicabilità interna) dato appunto dalla specie22.
Se le norme in gioco sono compatibili e non deroganti avremo una ridondanza, tanto sul
piano dell’applicabilità interna, quanto sul piano della applicabilità esterna e, dunque, un concorso
di norme e cumulo di conseguenze. Se le norme in gioco sono incompatibili e non deroganti avremo una ridondanza che genera un dilemma pratico. Se una delle due norme (ad es. quella speciale)
deroga all’altra (quella generale), in forza di un criterio gerarchico (ad es. il principio della lex specialis), avremo ridondanza solo sul piano dell’applicabilità interna ossia della qualificazione giuridica.
L’incompatibilità non è nemmeno la ragione di deroga, perché in base al principio della lex
specialis la norma speciale prevale, non perché incompatibile, ma perché speciale, sulla norma generale. La specialità, non l’incompatibilità è ragione di deroga. Naturalmente, una norma (speciale)
può prevalere sulle norme più generali anche per ragioni diverse, come ad esempio perché più favorevole, perché emanata da una certa autorità, etc. In tali ipotesi, la meta-regola sull’applicazione
usata non è il principio della lex specialis, ma il criterio di prevalenza della norma più favorevole
(criterio de ley más favorable) o di competenza e così via.
Noto per inciso che, nell’applicazione delle norme speciali e generali, il criterio della disciplina di maggior favore è talvolta impiegato anche per escludere la deroga fra le norme speciali e
generali. Così, ad esempio, in materia di legge applicabile alla filiazione, l’art. 33, 1° e 2° co., della
L. 218/1995 dispone che “1. Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita23. 2. È legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato di cui uno dei
genitori è cittadino al momento della nascita del figlio”. Nel secondo comma si vede una norma
speciale rispetto a quella formulata nel primo comma, perché mentre quest’ultima riguarda lo status
di figlio legittimo, l’altra riguarda lo status di figlio. Parte degli interpreti, muovendo dai lavori preparatori, ma soprattutto per ragioni di favore nei confronti dello status di figlio legittimo (c.d. favor
filiationis, sub specie legitimationis)24, afferma che la norma speciale non deroga alla norma gene21
Sono norme ridondanti anche le norme interferenti (cfr. supra nota 11), come per esempio la norma che obbliga gli
studenti di giurisprudenza e di lettere a studiare filosofia del diritto e quella che impone di studiare almeno una materia
filosofica nella facoltà di giurisprudenza.
22
Vi è spazio per la deroga anche nelle situazioni chiamate di c.d. «specialità bilaterale» o «reciproca». Per quanto detto
(cfr. supra note 11 e 20), in questa ipotesi ragione di deroga non potrà essere la specialità; potrà essere invece, ad esempio, il trattamento più o meno severo, il maggior favore o vantaggio per una certa categoria, etc.
23
Segnalo solo, perché esula dal tema della mia analisi, l’evidente circolarità di questo criterio di collegamento.
24
E’ interessante notare che qui il concetto di favore non ha significato di migliore trattamento o trattamento più vantaggioso per la categoria dei figli, perché non conta affatto quale legge, ad es., permette un più facile o celere accertamento della filiazione naturale. Il favor sta nell’ampliare il novero delle leggi applicabili alla filiazione. L’assunto im-
13
rale: in particolare, la designazione della legge nazionale dei genitori (cfr. 2° co.) lascerebbe impregiudicata l’applicabilità della legge nazionale del figlio (cfr. 1° co.), per cui la legittimazione sarebbe regolata, in via principale, dalla legge nazionale del figlio e, in via sussidiaria, dalla legge dello
Stato di cui uno dei genitori è cittadino. In senso opposto, parte degli interpreti ritiene che la condizione di figlio legittimo sia regolata esclusivamente dalle leggi dei genitori (ex 2° co. cit.): la norma
speciale derogherebbe quindi alla norma generale. A seconda degli orientamenti, si argomenta in tal
senso o in forza di un’argomentazione sistematica e a contrario degli altri articoli in materia di filiazione25 o in quanto lo status di figlio legittimo sarebbe connesso più al rapporto di coniugio tra i
genitori che non alla filiazione naturale. Si noti che in tal caso si usano due teorie dei generi e delle
specie diverse, una ai fini della specialità, una ai fini della deroga: ai fini della specialità, come detto, si assume che lo status di figlio legittimo sia incluso nello status di figlio (genere-1); ai fini della
deroga, si assume invece che la legittimazione sia un’implicazione del matrimonio (genere-2).
4. Le ridondanze linguistiche nelle lingue naturali
Come noto, con la nozione di ridondanza in linguistica si suole individuare, allo stesso tempo, un fenomeno molto generale (secondo un orientamento, una caratteristica essenziale) delle lingue naturali26 e una serie molto ampia di fenomeni micro- e macro-linguistici. Quella di ridondanza
linguistica è perciò una nozione: per un verso, generica; per altro verso, notevolmente ambigua27. In
base a una definizione standard nella linguistica contemporanea, il termine ‘ridondanza’ designa la
reiterazione di elementi linguistici che fa sì che un’informazione già data sia veicolata sotto altra
forma28. La ridondanza viene perciò generalmente vista come “the amount of linguistic signals exceeding the minimum necessary in order to render the messagge”29: “l’identité ou la quasi-identité
plicito da cui si muove è che l’esistenza di un maggior numero di criteri di collegamento favorisca l’accertamento dello
status di figlio. Come dirò subito nel testo, questo assunto è contraddetto, nel caso di specie, dalla circostanza che i criteri sono intesi non come alternativi, ma come l’uno sussidiario all’altro ed è evidente che in astratto non si può sapere
se la legge del (preteso) figlio rende più facile o, invece, più difficile l’accertamento della filiazione naturale rispetto a
quella dei (presunti) genitori.
25
Cfr. artt. 34, 1° co., e 35, 1° co., della L. 218/1995, in tema di legittimazione per susseguente matrimonio e di riconoscimento del figlio naturale, che a differenza dell’art. 33, 2° co., richiamano espressamente la legge nazionale del figlio.
26
Cfr. E. Pulgram, The Reduction. and Elimination. of Redundancy, in Essays in honor of Charles F. Hockett, by F.B.
Agard, G. Kelley, A. Makkai, and V. Becker Makkai, Leiden, E. J. Brill., 1983 p. 107; C. Isabella, Ridondanza e linguaggio. Un principio costitutivo delle lingue, Carocci, Roma, 2002.
27
Forse l’unico punto che si può considerare fermo in linguistica sulla ridondanza è che essa “cependant n'est pas la
caractéristique d'un élément isolé, mais d'une séquence d'éléments. La redondance serait nulle si tous les mots dans
une suite étaient également probabile”: R. Pelchat, La redondance de la langue écrite et ses incidences sur la lecture, in
Québec français, n. 52, 1983, p. 78.
28
Cfr. J. !abr"ula, Redondance et Économie, in Acta Universitatis Carolinae, Philologica, Romantica, Pragensia, 9,
1975, p. 101-124, spec. p. 101.
29
Cfr. G. Panek, Towards a Norm-Based Approach in Translation of Legal Provisions / Rola normy prawnej w
przek!adzie przepisów prawnych, in Investigationes Linguisticae, Vol. XVII, 2009, p. 82, dove cita B.Z. Kielar, Angielskie ekwiwalenty polskich terminów prawnoustrojowych, Warszawa, PWN, 1973.
14
des signifiés produit de la redondance, soit, au sens le plus large, l’itération d’un même contenu”30.
Stante questa genericità, molti, se non tutti, i fenomeni di ridondanza linguistica sono abitualmente
anche catalogati sotto altre voci: ricordando alcune tra le più note, si parla ad es. di pleonasmo31,
perissologia32, tautologia, ripetizione, iterazione, superfetazione, elementi riempitivi33, dummies
elements34, ipercaratterizzazione del segno linguistico35, abundantia, commoratio, expolitio36, etc.
Per analizzare e classificare i fenomeni di ridondanza delle lingue naturali, sono state proposte numerose distinzioni, basate su criteri eterogenei, di natura logico-semantica, lessicale, sintattica, morfologica, fonetica, ciascuno dei quali denota un diverso metodo di analisi e una concezione
differente della origine, natura e funzionamento delle lingue naturali e del linguaggio. Premetto che
non privilegerò, né proporrò l’uso di una teoria in particolare, perché credo che prestare attenzione a
diversi approcci possa giovare a una migliore comprensione del fenomeno delle ridondanze nel linguaggio giuridico.
Ciò detto, vediamo quindi alcuni tipi principali di ridondanze individuati dai linguisti37:
i.
la ridondanza sintattica relativa alla ripetizione dei segni (morfemi - grafemi), con riferimento alla quale si individuano ad esempio: (i) la ridondanza sistemica relativa ai c.d.
morfi operatori, come ‘se’, ‘nel caso che’, ‘nella misura in cui’, e che perciò riguarda la
presenza di strutture grammaticali con la stessa funzione; (ii) la ridondanza sintagmatica
che dipende dalla linearità del testo e riguarda la diversa frequenza degli elementi di un
livello (grafemi) e ha origine nelle restrizioni a livello morfologico e a livello sintattico
(ad es. uso di affissi e suffissi e la reggenza); (iii) la ridondanza morfologica sintagmatica o lineare data ad esempio dai fenomeni di accordo; (iv) la ridondanza sintagmatica
funzionale facoltativa38 che si realizza ad esempio con la reduplicazione dell’oggetto o
30
“La redondance peut servir notamment à s’assurer de la bonne transmission et réception du contenu en contrant le
bruit, c’est-à-dire les obstacles à ceux-ci (ou encore à la compréhension du contenu)”: L. Hébert, Dictionnaire de sémiotique générale, avec coll. de G. Dumont Morin, 2012, Polysémiotique (Produit -) ad vocem, p. 160, in
http://www.signosemio.com/documents/dictionnaire-semiotique-generale.pdf.
31
Figura di stile in cui si usano più parole del necessario per esprimere un’idea al fine di rafforzarla
32
Figura retorica che designa l’uso di un pleonasmo senza intento letterario.
33
Cfr. http://www.accademiadellacrusca.it.
34
In base alla nozione standard “a dummy sign (…) is defined as a sign lacking the signified” (cfr. ad es. D. El Kassas,
Representation of Zero and Dummy Subject Pronouns within multistrata dependency framework, paper presentato
all’International Conference on Dependency Linguistics, Barcelona, September 5-7- 2011, in http://depling.org/). Di
regola come esempi tipici di questi “elements with no semantics” si portano l’“expletive ‘it’, or the copula ‘is’, in some
of its manifestations in English” (cfr. R. Carston, Thoughts and Utterances: The Pragmatics of Explicit Communication,
e-book, 14 January 2008, Wiley, cap. 1 Pragmatics and Linguistic Underdeterminacy, p. 74). Come noto, che possano
esistere elementi segnici semanticamente vuoti (segni senza significato) è estremamente controverso in semiotica.
35
Cfr. ad es. R. Sornicola, La languée et les pronoms sujets, in Communication and Cognition: La Deixis temporelle,
spatiale et personnelle, 1995, pp. 41-70, p. 56.
36
Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, in Riv. dir. civ., I, 2011, p. 477 ss.
37
Non tratterò della ridondanza fonologica, relativa quindi ai fonemi; tratterò solo della ridondanza linguistica relativa
ai morfemi e lessemi di una data lingua e al loro uso.
38
Una fondamentale distinzione in tema di ridondanze linguistiche è quella tra ridondanze “facoltative” e “obbligatorie”. Mentre queste ultime sono inerenti alla morfologia e sintassi della lingua stessa, le altre sono frutto delle scelte
15
del soggetto e la doppia negazione; (iv) la ridondanza distribuzionale o combinatoria attinente all’ordine delle parole; (v) la ridondanza paradigmatica che dipende dal repertorio di elementi, a livello di lessemi, presenti nel sistema linguistico e dal loro tasso d’uso
e misura il grado di saturazione del sistema;
ii.
la ridondanza semantica relativa alle proprietà semantiche dei segni e le relazioni concettuali tra i loro significati, nella sua dimensione di ridondanza logica caratterizzata dai
nessi di implicazione e presupposizione tra concetti, nella sua dimensione di ridondanza
concettuale relativa alla sinonimia e comunanza di componenti di significato39;
iii.
la ridondanza pragmatica o contestuale o enunciativa40 (talvolta denominata anche retorica)41 relativa al concreto uso della lingua fatto dagli utenti in uno specifico contesto
comunicativo; a livello pragmatica, la ridondanza può riguardare il canale o mezzo comunicativo impiegato oppure il contenuto del messaggio linguistico per come esso viene
formulato/compreso in quella particolare situazione comunicativa (si baderà dunque alla
sua forza espressiva, eleganza stilistica, maggiore o minore felicità rispetto agli obiettivi
comunicativi dell’emittente e/o del ricevente, etc.).
comunicative degli utenti. “Il codice comprende non solo i tratti distintivi, ma anche i tratti configurativi e ridondanti
che danno origine alle varianti contestuali, e i tratti espressivi che governano le varianti facoltative” (R. Jakobson, Saggi
di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 87-88). “I mezzi dei processi grammaticali costituiscono gli aspetti
obbligatori del codice e intorno ad essi si distribuisce la costellazione delle altre scelte, delle ridondanze, parallele a
quelle che osserviamo nel significante”: L. Heilmann, Introduzione, a R. Jakobson, op. cit., p. xxiii.
39
L’analisi delle proprietà/relazioni tra i significati dei segni spesso viene condotta nella dimensione mini- o microsemantica, andando alla ricerca dei semi, dei grafi concettuali e tavole delle relazioni semantiche o matrici gravitanti
attorno a un morfema secondo approcci alla semantica diversi: ad es. le teorie di F. Pottier (cfr. Linguistique générale.
Théorie et description, Klincksieck, Paris, 1974) e di F. Rastier (cfr. Sémantique et recherches cognitives, PUF, Paris,
1991; v. anche F. Rastier, M. Cavazza, A. Abeillé, Sémantique pour l’analyse, Masson, Paris, 1994, pp. 111-139) oppure la teoria della grammatica trasformazionale (cfr. D.T. Langehdoen, The Nature of Syntactic Redundancy, in Computer and Information Sciences, II, Academic Press Inc., New York, 1967, p. 303-314) o un approccio fondamentalmente
costruttivista al linguaggio sulla scia delle teorie di Ullmann, Katz e McCawley (cfr. F.G. Droste, Semantics as a Dynamic Device: Redundancy Rules in the Lexicon, in Linguistics, 182, 1976, pp. 5-33). V. anche C.F. Canon-Roger, Littérature et linguistique 1, Diversité des langues, 2006, XI, 1, in http://www.revue-texto.net/Reperes/Themes/CanonRoger/Canon-Roger1.html; A. Wierzbicka, La quête des primitifs sémantiques: 1965-1992, in Langue Française, 98,
1993, pp. 9-23; Id., Sens et grammaire universelle: théorie et constats empiriques, 2007, in http://linx.revues.org/520.
40
La ridondanza enunciativa viene di regola contrapposta alla ridondanza grammaticale che dipende dalla struttura del
sistema linguistico, astraendo dai suoi possibili usi linguistici, e dipende dunque ad esempio dalle restrizioni imposte
dalle regole morfologiche e sintattiche della lingua. Tale distinzione a volte è fatta risalire alla opposizione tra langue e
parole.
41
Quando si parla di ‘ridondanza retorica’, spesso, si assume una concezione della pragmatica come analisi non semiotica ma causale-socio-psicologica dei contesti comunicativi oppure ci si interessa prevalentemente agli effetti stilistici
ed espressivi dei messaggi. In un’accezione negativa – propria anche del linguaggio ordinario – si parla di ‘ridondanza’
e di ‘ridondanza retorica’ per sottolineare un vizio o difetto della comunicazione consistente nell’uso eccessivo e sproporzionato di elementi linguistici rispetto a quelli richiesti dalle esigenze comunicative specifiche; in questo ridondante
è sinonimo di superfluo, inutile, sovrabbondante, etc. (Cfr. ad es. S.R. Suleiman, Redundancy and the “Readable” Text,
in Poetics Today, Vol. 1, No. 3, Special Issue: Narratology I: Poetics of Fiction,1980, pp. 119-142). Includo nell’ampia
categoria delle ridondanze pragmatiche anche quest’ultima accezione dispregiativa, perché la superfluità, l’inutilità,
l’eccesso, etc. riguarda l’uso di un certo strumento comunicativo, si valuta rispetto all’obiettivo e al contesto comunicativo e perciò si apprezza, appunto, sul piano pragmatico.
16
Per renderci conto della varietà di fenomeni linguistici che sono normalmente ricondotti alla
categoria della ridondanza linguistica ne elenco alcuni a titolo di esempio:
1. l’accordo dal nome al verbo o dal nome all’aggettivo e/o all’articolo come ad esempio ‘un veuf
malhereux’; ‘un viudo desconsolado’; ‘un povero vedovo’, dove tutti gli elementi in corsivo indicano il genere maschile e il numero singolare; oppure ad es. la frase ‘The boys were eating
their lunches’, nella quale il numero plurale è iterato in ogni componente (soggetto, predicato,
complemento, attributo possessivo)42;
2. il rafforzamento dei deittici (‘questo qui’, ‘quello lì’), di congiunzioni e in particolare della negazione (‘non ne ho mai visto uno!’);
3. l’uso enfatico di particelle pronominali come ad esempio ‘ci’, ‘si’, ‘vi’, etc.;
4. la reduplicazione pronominale come ad esempio ‘même’43;
5. gli elementi paragogici come l’inserzione di una vocale, identica all’ultima vocale precedente,
dopo una consonante finale: ad es. la ‘-i’ finale dell’avverbio ‘imò’ nella forma ‘imòi’44;
6. l’introduzione pleonastica di frasi pseudo-relative come ‘quello/-a che è’, ‘quelli/- e che sono’;
7. le formule di esordio con verbi fatici come ad es. ‘si comunica che’, ‘si fa presente che’, etc.
8. le locuzioni congiuntive come ‘attendu que’;
9. i segni fatici aventi funzione di richiamo: ‘Attenzione:’; ‘AVVISO: …’, ‘ISTRUZIONI PER
L’USO: …’;
10. le forme avverbiali più ricercate rispetto a quelle più comuni come ‘ovverossia’ rispetto a ‘ossia’ o ‘ovvero’, ‘purtuttavia’ rispetto a ‘tuttavia’, ‘even though’ rispetto a ‘though’, etc.
11. l’uso congiunto di morfemi lessicali, uno dei quali contiene componenti più fini o proprietà semantiche che sono o tutte oppure in parte proprie anche di un altro, come ad esempio ‘vegetale’
e ‘verde’45; ‘salir su’; ‘annihilation totale’; ‘chronique du temps’, ‘applaudir des deux mains’,
‘abuso excesivo’, ‘requisito imprescindible’, ‘aterido de frío’, etc.; la casistica riconducibile a
quest’ultima categoria è ampia e variegata, possiamo ricordare ad esempio:
42
Cfr. A.S. Horning, Redundancy and Readability, in Reading Horizons, Vol. 22, No. 4, 1982, pp. 275-281; Id., Readable Writing: The Role of Cohesion and Redundancy, in Journal of Advanced Composition, Vol. 11, No. 1, 1991, pp.
135-145.
43
Cfr. R. Sornicola, Un problema di linguistica generale: la definizione degli espletivi, in Studi linguistici in onore di
Roberto Gusmani, a cura di R. Bombi, G. Cifoletti, F. Fusco, L. Innocente, V. Orioles, Ed. dell’Orso, Alessandria,
2006, pp. 1651-1671.
44
A.L. de Martini, Introduzione, a Frate Antonio Maria de Esterzili, Libro de commedias, CUEC, Cagliari, 2006, nota
38 p. XXX.
45
Al riguardo, a ragione, Droste sottolinea che “[i]t is important to be aware of the interrelatedness of the semantic
properties. If an item contains the property (Vegetable), a whole series of related properties may be redundantly specified, either upward (by implication) or downward (by expansion). We may think, for the latter, of (Ea able), (Growing),
(Green), (Boil), and the like. And these properties in their turn are interwoven with other features by implication rules
or expansion rules; the latter features may well be activated in a certain situation or in relation to a certain context”
(F.G. Droste, Semantics as a Dynamic Device: Redundancy Rules in the Lexicon, in Linguistics, 182, 1976, p. 31). Il
punto di riferimento è P.F. Strawson, Subject and predicate in logic and grammar, Methuen, London, 1974, p. 17 ss.
17
11.1.
l’uso di aggettivi che amplificano un carattere già espresso dal sostantivo cui si rife-
riscono, come ad esempio nell’espressione ‘volitabant assidui’, l’aggettivo ‘assidui’ amplifica il carattere insistente e la rapidità del volo già espressi dal frequentativo ‘volitare’46;
11.2.
le determinazioni tautologiche relative alle unità di misura, quantità, estensione, etc.
come ad esempio ‘40 anni di età’, ‘orario d’apertura dalle ore 14 alle ore 18’, ‘la giornata o
il giorno 27 ottobre’, ‘la somma di 10 euro’, e simili47;
11.3.
le duplicazioni di taluni avverbi e locuzioni avverbiali come ad es. ‘entro e non oltre’
e ‘solo ed esclusivamente’, ‘solo e unico’, che sono duplicazioni di ‘entro’ e ‘solo’; si pensi
anche all’accostamento del numerale ‘uno’, ‘una’ e ‘solo’, ‘sola’ e a locuzioni come ‘[sott.
non farmi dire] altro di più’;
11.4.
l’accostamento espressivo di parole semanticamente affini accomunate da figure re-
toriche come l’assonanza o l’allitterazione: ad esempio ‘propugnacula pinnae murorum’ in
cui ‘pinna’ indica la merlatura delle mura di una struttura difensiva ed è perciò ridondante
rispetto a ‘propugnacula’48;
11.5.
le espressioni perifrastiche composte da più vocaboli che non apportano un contribu-
to di significato rilevante al messaggio come ad esempio ‘gran cantidad económica de dinero’, ‘opinión pública general’, ‘relación bilateral entre dos países’;
11.6.
l’accostamento di avverbi, perlopiù che terminano in ‘-mente’ ed esprimono non gra-
duabilità, ad aggettivi che indicano qualità già di per sé non suscettibili di graduazione come ad es. l’essere gratuito, alieno, ricolmo: ‘absolutamente lleno’, ‘completamente abarrotado’, ‘totalmente gratis’, etc.49;
11.7.
le precisazioni temporali come ‘andremo domani’ e ‘un anno fa andammo’, in cui il
futuro e il passato sono indicati e genericamente dal predicato, e specificamente dal complemento di tempo;
11.8.
l’esplicitazione di sotto-classi rispetto a quella denotata da un sostantivo, spesso ac-
compagnata da congiunzioni che funzionano da marcature: come ad esempio, nelle espressioni, ‘i cani, anche piccoli, e persino se tenuti al guinzaglio, non possono entrare’50;
46
Cfr. R. Romagnino, Ammiano Marcellino, Res gestae XVI, Saggio di commento. Tesi di dottorato in “Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo”, XXII ciclo, Università degli Studi di Sassari, 2009-2010, p. 33.
47
Cfr. D. Fortis, Il linguaggio amministrativo italiano, in Revista de Llengua i Dret, núm. 43, 2005, pp. 64-65.
48
Cfr. R. Romagnino, Ammiano Marcellino, Res gestae XVI, Saggio di commento, cit., p. 72.
49
S. Guerrero Salazar, Las redundancias en español: un medio para pulir la lengua en los niveles de perfeccionamiento, in ¿Qué español enseñar?: norma y variación lingüisticas en la enseñanza del español a extranjeros: actas del XI
Congreso Internacional ASELE, Zaragoza 13-16 de septiembre de 2000, 2000, págs. 423-430.
50
Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, cit., p. 479.
18
11.9.
le proposizioni o espressioni incidentali aventi funzione esplicativa, eventualmente,
introdotte da congiunzioni esplicative come ‘ossia’, ‘cioè’: ‘puoi accomodarti, cioè sedere’;
‘un principio, ossia una regola’;
11.10.
le espressioni tautologiche come ad esempio ‘i volatili volano’51, ‘pensare un pensie-
ro’, ‘ideare un’idea’, ‘aguzzare l’ingegno’, etc.;
11.11.
le espressioni come ‘mai e poi mai’ o ‘è buona norma e regola’, in cui pure la ridon-
danza assume la forma di una tautologia ma, a differenza del caso precedente, assolve a una
precisa funzione espressiva.
Dagli studi di linguistica sulle ridondanze si possono trarre alcune lezioni utili per esaminare
le ridondanze fra norme.
In primo luogo, nella misura in cui nel diritto – scritto e orale (cfr. i dibattimenti nei processi
e le discussioni orali delle cause) – si fa uso di una lingua naturale (normalmente quella/e nazionale/i ufficiale/i), le formulazioni dei testi giuridici e le norme che da essi si ricavano per via di interpretazione presentano le ridondanze linguistiche cui si è sopra accennato, a cominciare da quelle
strutturali proprie della sintassi e morfologia della lingua. Sotto questo profilo sarebbe interessante
approfondire, ma non è questa la sede per farlo, se i discorsi giuridici seguono, a questo livello, regole eguali o diverse rispetto a quelle dei discorsi ordinari, se il linguaggio giuridico presenta fenomeni di ridondanza morfo-sintattica propri e ulteriori rispetto alla lingua naturale.
In secondo luogo, la ridondanza può riguardare i segni linguistici (frasi, sintagmi, termini,
etc.) oppure i significati veicolati dai segni (i concetti e le loro componenti semantiche). Nel diritto
bisogna, quindi, distinguere tra la ridondanza delle formulazioni giuridiche e delle norme. E come si
è visto dagli esempi alla ripetizione dei segni non segue necessariamente la ridondanza di significati
(ad es. ‘a mano a mano’ significa ‘gradatamente’, non ripetutamente o due volte a mano, perché ‘a
mano’ ha altro significato), né viceversa (così ad es. ‘contratto di donazione’ è espressione concettualmente ridondante in italiano e nel diritto italiano perché la donazione è un contratto).
In terzo luogo, le ridondanze linguistiche hanno fondamento nella struttura della lingua, nelle possibilità di uso e combinazione dei suoi segni e lessemi, considerando quindi i significati delle
unità linguistiche. Ma alcune ridondanze sono “obbligate” e altre “facoltative”.
Ridondanze “obbligate” sono quelle che, sotto l’aspetto strutturale, sono proprie della sintassi e morfologia della lingua e, sotto l’aspetto funzionale, possono essere considerate parte della
macro-pragmatica delle lingue naturali (da questo punto di vista le ridondanze sono considerate un
fattore di economia, predicibilità, stabilità del sistema linguistico, etc.).
51
Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, cit., p. 481.
19
Una ridondanza è invece “facoltativa” quando, pur avendo comunque origine nella morfologia e nella sintassi e nel lessico di una data lingua, dipende dalle scelte linguistico-discorsive degli
utenti che sfruttano le flessibilità interne al sistema linguistico. Questo secondo genere di ridondanze (cfr. punto 11 della rassegna precedente) si apprezza e diversifica sul piano micro-pragmatico,
considerando le concrete occorrenze ed enunciazioni nel loro contesto d’uso, in relazione alle diverse funzioni del linguaggio, allo scopo del discorso, alle competenze linguistiche degli utenti. Questo
vale anche per i diritti vigenti, che sono caratterizzati da una molteplicità di forme di ridondanza,
alcune delle quali proprie del linguaggio giuridico e della lingua naturale in cui sono formulati i discorsi giuridici, altre frutto delle scelte discorsive dei partecipanti alla pratica giuridica.
La distinzione tra ridondanze “obbligate” e “facoltative” è cruciale non solo sul piano descrittivo, ma anche della politica del diritto: perché costituisce la base per chiedersi quali ridondanze sono né evitabili, né eliminabili, stante l’uso di una data lingua e le caratteristiche del linguaggio
giuridico; e quali invece, essendo frutto delle scelte linguistiche del legislatore, dei giudici, dei funzionari, etc., sono una variabile contingente delle pratica giuridica e come tali, de iure condendo,
sono modificabili ed eventualmente eliminabili o sostituibili.
In quarto luogo, avvicinandoci al fenomeno delle norme speciali e generali, nei diritti vigenti, la coesistenza in un ordinamento di norme speciali e generali (deroganti e non, compatibili o incompatibili) è un fattore di ridondanza significativo, anche se certo non è l’unico saliente come mostra la rassegna precedente. La ridondanza fra norme speciali e generali, mentre sul piano logico è
una conseguenza necessaria della specialità, sul piano linguistico rappresenta un fenomeno non unitario che può avere varia origine e caratteri differenti come in linguistica e rispondere a diverse esigenze macro- e micro-pragmatiche. Le ridondanze fra norme (speciali e generali) costituiscono un
fenomeno più pervasivo di quello delle antinomie giuridiche («parziali-totali»), tanto più che – come s’è detto – anche le norme (speciali e generali) incompatibili danno luogo a ridondanza, avendo
un ambito comune di qualificazione.
5. Le ridondanze fra norme (speciali e generali)
Proviamo ad applicare in ambito giuridico l’analisi precedente delle ridondanze linguistiche,
considerando alcuni esempi.
1. Disposizioni a più norme tra loro in relazione di specialità
U.S. Code: Title 18, Part I, Chapter 44, § 924 (c) (1)(A): “… any person who, during and in relation to any
crime of violence or drug trafficking crime (including a crime of violence or drug trafficking crime that provides for an enhanced punishment if committed by the use of a deadly or dangerous weapon or device) for
which the person may be prosecuted in a court of the United States, uses or carries a firearm, or who, in furtherance of any such crime, possesses a firearm, shall, in addition to the punishment provided for such crime
of violence or drug trafficking crime — (i) be sentenced to a term of imprisonment of not less than 5 years;
(ii) if the firearm is brandished, be sentenced to a term of imprisonment of not less than 7 years; and (iii) if
the firearm is discharged, be sentenced to a term of imprisonment of not less than 10 years.”
20
Le parti evidenziate indicano elementi ridondanti sul piano semantico52. La parentesi esplicita una sotto-classe di crimini (violenza e traffico di droga commessi con l’uso di armi o altri mezzi
mortali o pericolosi) già inclusi, per definizione, nelle figure criminose generali della violenza e del
traffico di stupefacenti. I verbi ‘use’, ‘carry’, ‘possess’ (sott. ‘a firearm’) hanno un’area comune di
significati, dal momento che esprimono concetti parzialmente, se non totalmente, equivalenti. Gli
elementi citati rappresentano, il primo, il presupposto (generale e speciale) della condotta, il secondo, le tre condotte punite. Abbiamo quindi una disposizione che esprime più norme in relazione di
specialità. La scelta di individuare fattispecie e sotto-fattispecie, tramite categorie generali con specificazioni esplicite ed enumerazioni di elementi ridondanti risponde – almeno nelle intenzioni dei
legislatori penali – per un verso, all’obiettivo di una maggiore determinatezza delle formulazioni,
per altro verso, all’obiettivo di ridurre i margini di discrezionalità interpretativa delle corti53.
2. Norme definitorie generali e norme speciali di condotta e sanzionatorie
Art. 2, L. 21 novembre 2000, n. 353, Legge-quadro in materia di incendi boschivi “1. Per incendio boschivo
si intende un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali
strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree.”
Art. 10 l. cit. “1. Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono
avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. È comunque
consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e
dell’ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro
quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di
cui al primo periodo, pena la nullità dell’atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci
anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed
attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l’incendio
dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica
autorizzazione concessa dal Ministro dell’ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci
anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia.”
In questo caso abbiamo una norma definitoria generale con alcune specificazioni, ridondanti,
sotto il profilo linguistico (semantico), ma funzionali sul piano pragmatico a evitare dubbi interpretativi. Questo tuttavia è un caso di cattiva legislazione perché si delimita l’oggetto regolato (le situazioni di incendio boschivo) tramite la norma definitoria generale (“Per incendio boschivo si deve
intendere … ”) della quale però ci si dimentica nelle norme che stabiliscono le condotte, le sanzioni,
52
cfr. L. Morra, Normative Implicatures in Normative Texts, in Perspectives on Pragmatics and Philosophy, a cura di
A. Capone, F. Lo Piparo, M. Carapezza, Springer, 2011, letto come inedito.
53
Questo modo di formulare le norme penali, tipico della common law inglese, non è estraneo alla cultura giuridica europea e anzi sta diventano sempre più comune. Esemplare, per rigore, resta il Theft Act 1968 Ch. 60 Definition of
“theft”, in cui la Basic definition of theft “A person is guilty of theft if he dishonestly appropriates property belonging
to another with the intention of permanently depriving the other of it”, è seguita dalla definizione di ciascuna sua componente: “Dishonestly”, “Appropriates”, “Property”, “Belonging to another”, “With the intention of permanently depriving the other of it”.
21
etc. La conseguenza è che la specificazione presente nella norma definitoria generale finisce per essere cancellata dalla giurisprudenza. Così, per esempio, la giurisprudenza esclude di poter applicare
la norma sopracitata di cui all’art. 10 all’incendio di un’area coltivata a uliveto che al catasto risulta
classificata come area a coltura agraria. Per la giurisprudenza (cfr. T.a.r. Lazio, sez. II, 17-11-2009,
n. 11242) la seconda disposizione esprime una norma speciale perché limita “l’applicazione dei divieti, prescrizioni e sanzioni soltanto a «zone boscate e pascoli i cui soprassuoli» sono stati percorsi
dal fuoco”, e non anche alle “zone arborate” e quindi “un insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto” a quello oggetto della norma definitoria. Rilevato che “nella definizione di ‘bosco’
il legislatore sia nazionale che regionale ha previsto una equiparazione dello stesso alla foresta e alla selva (…) ed ha individuato alcune fattispecie assimilate a bosco (…), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da quella arbustiva (…)”, si conclude che nessuna norma nazionale o regionale riguarda proprio “le coltivazioni di ulivo e tanto meno qualifica queste ultime come vegetazione arborata rientrante nel patrimonio forestale, selvatico, naturalistico” protetto dalla L. n. 353 del 2000.
Un uliveto, per i giudici, è una “coltura che non rientra tra quelle che possono essere ricomprese nel
concetto di ‘bosco’”, perché “come i frutteti, gli ulivi sono privi di caratteristiche forestali, che
nell’uso corrente si individuano nell’esser il bosco incolto, fitto, intricato, folto e costituito anche da
alberi di specie diversa”.
3. Specificazioni ridondanti che esprimono anti-regole
Art. 1269 cod. civ. italiano: “Il terzo delegato per eseguire il pagamento non è tenuto ad accettare
l’incarico, ancorché sia debitore del delegante.”
La disposizione in questione introduce una precisazione ridondante sul piano semantico che
ha la funzione di escludere che l’interprete ricavi la seguente antiregola: il debitore del delegante è
tenuto ad accettare l’incarico. Considerando quest’anti-regola probabile, il legislatore in via preventiva precisa che, al contrario, anche il debitore del delegante non è tenuto ad accettare l’incarico54.
4. Norme speciali e generali ridondanti e discontinuità storica di disciplina
Art. 1178 cod. civ.“Quando l’obbligazione ha per oggetto la prestazione di cose determinate soltanto nel
genere, il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media.”
Art. 664 cod. civ.“Nel legato di cosa determinata soltanto nel genere, la scelta, quando dal testatore non è
affidata al legatario o a un terzo, spetta all’onerato. Questi è obbligato a dare cose di qualità non inferiore
alla media (…)”
Art. 1286, comma 1, cod. civ. “La scelta [i.e. nelle obbligazioni alternative] spetta al debitore, se non è stata attribuita al creditore o ad un terzo”
Art. 665 cod. civ. “Nel legato alternativo la scelta spetta all’onerato, a meno che il testatore l’abbia lasciata
al legatario o a un terzo”.
Le disposizioni sulla scelta nel legato alternativo (supra artt. 664 e 665) esprimono norme
speciali compatibili rispetto a quelle generali riferite alle obbligazioni alternative (supra artt. 1178 e
54
Cfr. R. Caterina, L. Lantella, Il diritto che non c’è, in Riv. dir. civ., I, 2011, pp. 485-487.
22
1286). Il legislatore ripete (quasi) per intero le stesse parole: uniche variazioni sono ‘a meno che’ /
‘se non’ che hanno identica funzione grammaticale; e ‘legatario’ in luogo di ‘creditore’ e ‘onerato’
in luogo di ‘debitore’, ma tra legatario e onerato c’è un rapporto obbligatorio di credito-debito. Qui,
la ridondanza ha forse ragioni storiche: anzitutto, la parziale discontinuità dell’attuale Codice rispetto al Codice civile del 1865 e sembra perciò funzionale (nell’ottica del legislatore del 1942), più che
a evitare un dubbio interpretativo o escludere una probabile antiregola, a facilitare la ricostruzione
della disciplina del legato (in parte nuova nel 1942), senza consultare altre parti di Codice.
5. Norme speciali e generali limitative e obiettivi di politica del diritto
Art. 30, 1° comma, L. 183/2010 Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro: “1. In tutti i casi
nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile e
all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi
comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato
di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.
La disposizione citata esprime una norma speciale limitativa e per rafforzare questo obiettivo è ridondante sotto più profili. Anzitutto, “le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso” sono appunto “comprese”
nella materia di lavoro subordinato privato ex art. 409 cod. proc. civ. it. e di pubblico impiego ex
art. 63, d.lgs. 165/2002. Inoltre, un limite segna, per definizione, un’esclusione (‘limitato esclusivamente’). Poi, stante l’opposizione ‘legittimità’/‘merito’, tertium non datur, e l’aggiunta “non può
essere esteso …” è tautologica. Ancora, gli attributi “tecniche, organizzative e produttive” condividono un’area di significato comune e costituiscono una triade, elementi costitutivi di un tutto. Si poteva insomma scrivere: qualunque valutazione che compete al datore di lavoro55, dove il problema
è dato invece da cosa compete e cosa non compete al datore di lavoro.
Un altro elemento di ridondanza è il requisito della “conformità ai principi generali
dell’ordinamento”. La ridondanza qui si apprezza facendo una prova di sostituzione: è evidentemente un non-senso prescrivere che il controllo giudiziale deve essere compiuto “non in conformità”, cioè in contrasto con i principi generali dell’ordinamento.
Le forme di ridondanza appena viste sono diffusissime anche nella storia del diritto e riguardano anche norme o principi generali aventi la medesima funzione delimitativa dei poteri giudiziari.
E’ emblematico in tal senso l’art. VIII della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del
1789: “La Loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut
être puni qu’en vertu d’une Loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appli55
Ometto il riferimento al ‘committente’ che è anch’esso ridondante perché in questo caso anzi essere un’aggiunta utile
crea rumore: in materia di lavoro subordinato privato e di pubblico impiego non c’è un committente, il quale – stando al
Codice civile – è al contrario la parte di un contratto d’opera senza vincolo di subordinazione.
23
quée”. Il requisito della legalità, espresso dall’avverbio ‘légalement’, è ridondante, tanto che, come
visto, se si prova a sostituirlo con l’opposto ‘illegalmente’ si genera un non-senso. Inoltre, è una
contraddizione in termini parlare di necessità non stretta o lassa (“strictement … nécessaires”):
qualcosa che è non strettamente necessario, semplicemente è non necessario; e lo stesso vale per
“évidemment nécessaires”. L’espressione “établie et promulguée” è un’endiadi perché la promulgazione di una legge include che essa sia approvata. La funzione declamataria della norma in questione giustifica – o almeno spiega sul piano storico – le ridondanze ora viste.
6. Specialità/identità tra norme e ridondanza come difetto redazionale
Art. 24 TFUE (ex art. 11 TUE) “(…) La politica estera e di sicurezza comune è soggetta a norme e procedure specifiche. Essa è definita e attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all’unanimità,
salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. È esclusa l’adozione di atti legislativi.”
Art. 31 TFUE (ex art. 23 TUE) “Le decisioni a norma del presente capo [i.e. disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune] sono adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano
all’unanimità, salvo nei casi in cui il presente capo dispone diversamente. È esclusa l’adozione di atti legislativi.”
Queste formulazioni esprimono norme interamente ridondanti, tanto che si può discutere se
siamo di fronte a due norme identiche o una sia più generale dell’altra. Esse sono solo un esempio
della tecnica redazionale adoperata dal legislatore europeo nella stesura dei Trattati UE e FUE. In
questo caso la ridondanza ha natura tale da poter essere considerata davvero un difetto, che mi pare
non sia compensato da altre funzioni discorsive rilevanti (ad es. espressive nei confronti dei destinatari, rafforzative dell’efficacia, declamatorie, etc.). La norma che si ricava da queste due disposizioni poteva essere così formulata: “La politica estera e di sicurezza comune è definita e attuata da decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che deliberano all’unanimità, salvo che i trattati dispongano diversamente. È esclusa l’adozione di atti legislativi.”
7. Norme generali, iterazioni segniche e norme speciali “locali”
Art. 51 Tutela della salute dei non fumatori L. 16 gennaio 2003, n. 3: “1. E’ vietato fumare nei locali chiusi,
ad eccezione di: a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico; b) quelli riservati ai fumatori e come tali
contrassegnati”.
Questa disposizione esprime una norma generale proibitiva. Come noto, nei locali chiusi
non aperti al pubblico o riservati ai fumatori vi sono segnali che ripetono il divieto di fumare. Anche in questo caso abbiamo una ridondanza (se badiamo ai segni e segnali), ma in questo caso non
la consideriamo una ridondanza fra norme, perché interpretiamo i singoli segnali di divieto non come norme specifiche circoscritte (su basi pragmatiche) al relativo luogo; bensì come mere iterazioni
segnaletiche prive di forza normativa propria. Lo stesso avviene per l’obbligo di viaggiare sui mezzi
pubblici con biglietto (ove necessario convalidato) e tutti gli avvisi affissi sui detti mezzi. Accenno
anche a questa ipotesi, perché non è affatto ovvio che simili segnali non debbano o possano essere
interpretati come norme caratterizzate da un ambito di applicazione locale. Un contro-esempio è da24
to dai segnali stradali che tutti noi interpretiamo come divieti (di circolazione in un certo senso o a
una certa velocità, per un certo tratto di strada, etc.), permessi di accesso, obblighi di stop, doveri di
moti (segnale verde), etc.56
8. Norme speciali espresse ridondanti rispetto a norme o principi generali inespressi sovra-ordinati
Art. 2 Convenzioni internazionali della L. 218/1995 di Riforma del sistema italiano di diritto internazionale
privato: “1. Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia.”
Questa disposizione e la norma che si ricava sono ridondanti per due profili. Primo, che una
norma di legge ordinaria (quale la L. 218/1995) non possa pregiudicare norme di convenzioni internazionali (anche di diritto internazionale privato e processuale) deriva dal principio pacta sunt servanda, principio vigente nel diritto italiano (a prescindere della tesi sul diritto internazionale da cui
si muove) in forza di una norma espressa in Costituzione (cfr. art. 10 Cost., “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”). Secondo, è ridondante l’inciso ‘in vigore per l’Italia’, perché se una convenzione non è in vigore, non vi è
l’obbligo di osservarla e le sue norme non possono essere applicate, né prevalere. La dottrina, pur
considerando l’inciso superfluo, lo interpreta come un richiamo a fare attenzione a eventuali riserve
ai trattati.
9. Norme generali (attributive di poteri) e norme speciali attuative ridondanti
Ley Orgánica 6/2001, de 21 de diciembre, de Universidades Título Preliminar De las funciones y autonomía
de las Universidades Art. 1. Funciones de la Universidad. “2. Son funciones de la Universidad al servicio de
la sociedad: a) La creación, desarrollo, transmisión y crítica de la ciencia, de la técnica y de la cultura. (…)
c) La difusión, la valorización y la transferencia del conocimiento al servicio de la cultura, de la calidad de
la vida, y del desarrollo económico.”
Art. 2 Estatudos de la Universidad Carlos III de Madrid57 “En el cumplimiento de las funciones que le corresponden según las Leyes, la Universidad: (…) b) Velará por el adecuado desarrollo de la docencia para la
transmisión y crítica de la ciencia, de la técnica y de la cultura. (…) f) Procurará la mayor proyección social de sus actividades, mediante el establecimiento de cauces de colaboración y asistencia a la sociedad,
con el fin de apoyar el progreso social, económico y cultural.”
Art. 152 Estatudos de la Universidad Carlos III de Madrid “La Universidad contribuirá al desarrollo cultural, social y económico de la sociedad y procurará la mayor proyección de sus actividades. Para ello, a iniciativa propia o en colaboración con entidades públicas o privadas, promoverá la difusión de la ciencia, la
cultura y el arte por los siguientes medios: a) Los acuerdos o convenios de carácter general. b) Los trabajos
de asistencia científica, técnica o artística. c) La extensión universitaria.”
Questo esempio illustra un caso ricorrente di norme speciali che non derogano, ma si integrano con le norme generali: quello delle norme speciali attuative. Interpretando le disposizioni citate si ricavano norme generali (di rango gerarchico superiore, nel caso di specie, precetti aventi
56
Cfr. G. Lazzaro, Entropia della legge, Giappichelli, Torino, 1985, p. 43 ss. ritiene che la maggior parte delle ridondanze nel diritto siano di tipo parziale come nell’esempio “del segnale più generico «divieto di sorpasso per due chilometri». E poi il semplice: «divieto di sorpasso» ripetuto nel corso di quei due chilometri di strada, di solito nei punti più
pericolosi”.
57
Testo refundido, Decreto 95/2009, de 12 de noviembre, del Consejo de Gobierno, por el que se aprueba la modificación de los estatutos de la Universidad Carlos III de Madrid, in BOCM, núm. 288, de 4 de diciembre de 2009, p. 66-77,
in http://www.uc3m.es.
25
forza di “ley organica”) e speciali attuative (di rango gerarchico inferiore), ampiamente ridondanti.
Per ragioni di brevità, non esamino in dettaglio gli elementi di ridondanza (vedi parti sottolineate).
Noto solo che nei diritti vigenti moltissime norme speciali attuative prescrivono la stessa cosa in altra forma, anziché solo specificare quanto prescritto dalle norme generali. L’integrazione risulta
evidente specie se, rispetto alle norme generali da attuare, quelle speciali attuative hanno rango gerarchico inferiore sul piano formale, come nell’esempio. La differenza di rango gerarchico è però
solo un elemento accidentale. Piuttosto, il fatto che le norme speciali attuative normalmente non deroghino alle norme generali dipende dal contenuto della norma generale. In particolare, non vi è mai
deroga quando la norma generale è una norma attributiva di poteri (normativi). Infatti, nella misura
in cui la norma generale è una norma attributiva di un potere normativo le norme speciali attuative
sono dettate nell’esercizio del potere e quindi per definizione non derogano ma, appunto, attuano, si
integrano, specificano la norma generale di delegazione58.
6. Osservazioni finali
La rassegna casistica precedente rappresenta solo un campione parziale. Illustra cioè solo alcuni casi comuni di norme speciali e generali compatibili, deroganti e non deroganti.
Dagli esempi si ricava che, dal punto di vista linguistico, il fenomeno della ridondanza fra
tali norme è estremamente variegato e che il livello di analisi che permette di discernere tra i vari
casi è quello semantico-pragmatico. La ridondanza, pur nascendo sempre nelle pieghe della lingua,
si differenzia e spiega sulla base delle funzioni linguistiche e degli scopi del discorso.
Le ridondanze possono così servire a evitare dubbi interpretativi, escludere determinate interpretazioni probabili, esplicitare obiettivi di politica del diritto, facilitare il reperimento del materiale normativo, dimostrare continuità nell’attuazione delle norme più generali. Possono essere una
spia di norme implicite. Sono necessarie ove le norme hanno una sfera spaziale di applicazione locale. Possono essere sintomo di difetti redazionali dei testi giuridici o al contrario assolvere a una
precisa funzione espressiva o rafforzativa oppure declamatoria. A questo elenco si possono aggiungere altre due ipotesi: il caso delle norme speciali ridondanti che hanno la funzione di esprimere la
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Si pensi ad esempio alle norme dell’Intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 26 gennaio 2005, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche cui è stata data esecuzione con il D.P.R. 4-2-2005 n. 78, le quali hanno carattere
applicativo, attuativo e integrativo della norma generale di cui all’art. 12 dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con L. 25-3-1985 n. 121 secondo cui “La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno
opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche”. Cfr. M. Lugli, I beni culturali, in G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di
diritto ecclesiastico, cit., pp. 241-242.
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ratio o il fondamento di giustificazione di una serie di altre norme più specifiche59; il caso delle ridondanze di disciplina relative a specie nuove per un certo diritto (ad es. “il patto di famiglia”) che
servono a saldare il rapporto neo-istituito con un genere tradizionale per quel diritto (nell’esempio,
il contratto) 60.
59
Cfr. ad es. art. 121 cod. proc. civ. “Libertà delle forme”: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo.”. La dottrina sottolinea che l’articolo esprime una norma speciale che è manifestazione del principio generale della libertà delle forme in
materia di forma degli atti processuali e osserva che anche se è difficile immaginare atti del processo per i quali la legge
non predetermini forme e “pertanto la norma in esame potrebbe apparire superflua (…) nella sua portata letterale”,
essa è però “tutt’altro che superflua nella sua portata sistematica, in relazione alla sua tipica funzione di cosiddetta
chiusura del sistema (…) la norma in esame assolve alla importante funzione di palesare all’interprete di tutte le norme
che comunque concernono le forme degli atti processuali, che a quel medesimo criterio – quello per cui le forme debbono essere le più idonee per il raggiungimento dello scopo – si è ispirato anche il legislatore quando non ha omesso
di disciplinare le forme degli atti, ma le ha effettivamente disciplinate”: C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto processuale civile. I – Nozioni introduttive e disposizioni generali, 10° ed., Giappichelli, Torino, 2012, p. 259.
60
Così l’art. 768-septies cod. civ. “Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia (…) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti”
previsti per il patto di famiglia stesso enuncia una norma ridondante rispetto all’art. 1372 cod. civ. secondo cui “Il contratto (…) può essere sciolto per mutuo consenso”. L’art. 768-quinquies, 1° co., Vizi del consenso che “1. Il patto [di
famiglia] può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli articoli 1427 e seguenti.” traccia un nesso ridondante
con la disciplina generale dell’annullamento del contratto. Cfr. A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato,
20° ed. a cura di F. Anelli e C. Granelli, Giuffrè, Milano, p. 1301.
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