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La tossicomania, una nuova forma del sintomo Da
La tossicomania, una nuova forma del sintomo Da “psicoanalisi e tossicomania” di Francisco Hugo Freda, edizioni Bruno Mondatori, 2001 Jacques-Alain Miller. Per concludere questo trimestre, abbiamo pensato di fare ricorso al nostro collega Hugo Freda poichè Eric Laurent e io abbiamo più volte, ciascuno a modo proprio, evocato, tra i sintomi sociali contemporanei, la tossicomania. Tra i nostri colleghi, Hugo Freda ha sviluppato un particolare interesse per la teoria e il trattamento di ciò che noi qui classifichiamo come sintomo. Oltre alla sua pratica propriamente analitica, egli è il fondatore e il responsabile di un’istituzione che si occupa in modo specifico di coloro che chiamiamo i tossicomani. Nel corso degli anni, egli ha assistito molte istituzioni in Europa w in America Latina e, nel nostro ambiente, è un punto di riferimento in questo campo. Per questo motivo gli abbiamo chiesto, per il dibattito di questa lezione, di riassumere i dati da cui parte e alcuni dei risultati a cui pensa di essere giunto. Dopo il suo intervento, ritengo che potremo discuterne. Hugo Freda. Grazie. Ho intitolato la mia presentazione di oggi: “La tossicomania, una nuova forma del sintomo”. Nell’insegnamento di Jacques Lacan, ci sono alcuni riferimenti alla tossicomania; a mia conoscenza, ce ne sono sei. Il primo riferimento è del 1938 e l’ultimo del 1075. tali riferimenti non costituiscono una teoria vera e propria, ma indicano una certa concezione del fenomeno. Per lo psicoanalista si tratta, quindi di estrarre questa concezione per abbozzare una teoria che gli permetta di orientare la sua pratica. Dobbiamo constatare che Lacan non parla mai del tossicomane; parla, invece, di intossicazione, di tossicomania, di droga, di hascisc, di esperienza vissuta dell’allucinogeno. Si deve postulare, dunque, che il tossicomane si trovi dentro questi termini, che si debba costruirlo, inventarlo, renderlo adatto alla psicoanalisi. Il che, in un certo senso, implica di prire la psicoanalisi alla tossicomania. Ritengo che, a partire dalla concezione lacaniana della tossicomania, questa possibilità esista, a differenza della concezione di Freud che tende a escludere questo tipo di manifestazione dell’azione della psicoanalisi. Tuttavia c’è un punto su cui Freud e Lacan sono d’accordo: la tossicomania è una soluzione, una soluzione felice, mai un sintomo. La definizione che Lacan da della droga nel 1975 e l’osservazione di Freud nel disagio della civiltà lo provano. Forse la tossicomania è una nuova forma del sintomo, come Bernard Lecoeur e io abbiamo cercato di dimostrare già da oltre dieci anni. La tossicomania è uno dei maggiori rappresentanti delle nuove forme del sintomo che la modernità presenta al mondo. In questo senso, evidentemente senza saperlo, è un prototipo della modernità. Questa affermazione merita di essere sviluppata. Oggi esporrò i riferimenti, prelevati da Lacan, che ci permettono di sostenere tale ipotesi. I riferimenti lacaniani. La prima indicazione di Lacan è del 1938 e si trova formulata in I complessi familiari. Essa fa riferimento a una tossicomania per bocca come effetto di un trauma psichico, cioè lo svezzamento. Il soggetto tende a ricostruire l’armonia perduta,; tale ricerca verso l’assimilazione perfetta della totalità nell’essere. L’accento è posto sulla risposta del soggetto di fronte all’esperienza della separazione, della divisione che lo svezzamento iscrive nell’esperienza. Nel 1946, nel Discorso sulla causalità psichica, il concetto di separazione torna di nuovo. Di fronte alla discordanza primordiale tra l’io e l’essere, ci sono dei tentativi illusori di risoluzione. L’intossicazione organica è un esempio in questo senso. Tuttavia, questo tentativo esige l’inafferrabile consenso della libertà. Vale a dire che è solo in rapporto al significante e all’ordine di determinazione che possiamo comprendere la decisione dell’intossicazione, senza per questo minimizzare la parte di misconoscimento che tale risoluzione comporta. Nel 1960, in Sovversione del soggetto e dialettica dell’inconscio freudiano, abbiamo la nozione del soggetto che l’esperienza freudiana propone. Essa è messa in tensione con i tentativi chiamati “stati di conoscenza” che cercano di recuperare l’unità del soggetto di fronte alla constatazione dell’abisso della divisione. In quest’elaborazione, l’esperienza vissuta dell’allucinogeno viene collocata accanto all’entusiasmo platonico e alla samadhi buddista. Lo studio di tali stati ci fa comprendere la loro finalità: la riduzione di qualsiasi dimensione del godimento in quanto ostacolo al libero processo del pensiero. Queste prime osservazioni costituiscono un’insieme ben preciso: esse definiscono un tipo di risposta del soggetto di fronte al riconoscimento dell’esistenza dell’inconscio, il cui intento è quello di cancellare tale esistenza. Queste considerazioni fanno parte di una riflessione più ampia sulle conseguenze soggettive che il narcisismo imprime alla realtà psichica. Da tali osservazioni di Lacan possiamo trarre la seguente conclusione: l’intossicazione, in ogni forma, è una risposta nonsintomatica che tenta di annullare la divisione, è la marca di una posizione soggettiva caratterizzata da un non-voler-saper-nulla dell’inconscio. In questi stati, di fronte alla scelta tra l’”aphanisis” e il significante, il soggetto opta per il primo. Il secondo gruppo di osservazione è incentrato sui concetti di droga e tossicomania. Nel 1966 abbiamo il testo Psychanalyse et Médecine. Il destino che il discorso della scienza riserva alla tossicomania produce una nuova definizione della tossicomania e dello statuto dei nuovi prodotti, tranquillanti e allucinogeni. Tali prodotti organizzano nuove pratiche che impongono al medico due orientamenti: un utilizzo ordinato dei tossici e, come dice Lacan, una dimensione etica che si estende nella dimensione del godimento. Questo riferimento, che si presenta come un vero e proprio nastro di Moebius, mostra i diversi lati del godimento: quest’ultimo, localizzato nel corpo, luogo della sua iscrizione, si dispone in modo tale che i suoi prolungamenti gli fanno perdere il suo vero rapporto con il corpo. Si tratta, cioè, di un processo di delocalizzazione del godimento che corrisponde, per esempio, allo sguardo cieco degli apparecchi di misura che hanno solo un rapporto remoto con il godimento. Inoltre, è tipico dl discorso della scienza ignorare la dimensione del godimento; in questo modo, esso può produrre delle sostanze che, come dice Lacan, vanno dai tranquillanti agli allucinogeni, per raccogliere informazioni sul mondo esterno. La funzione e il nuovo statuto di queste sostanze fanno sì che il concetto di tossicomania si sia modificato: il carattere poliziesco degli inizi si è trasformato in un orientamento epistemosomatico che ridefinisce la droga come prodotto della scienza. Le misure che le autorità sanitarie hanno di recente preso in materia di sostituzione, confermano, con uno scarto di trent’anni le parole di Lacan. Con il Seminario del 1973, Les non dupes erent, e a partire dalla clinica borromea, inizia una nuova era: l’equivalenza dei tre registri – reale, simbolico, immaginario – segna la fine di una concezione dell’inconscio incentrata sull’egemonia del significante. Il simbolico esiste, è un fatto, il suo uso, tuttavia, non fa altro che rendere ancora più visibile il reale. La presenza reale del soggetto, che dipende dalla consistenza di questi tre registri, mette in esergo, il suo destino, la sua trasformazione in una sostanza leggera: “Per avere un’idea di questo cammino, non c’è bisogno dell’hascisc” dice Lacan. In questa osservazione, dal tono un po’ scherzoso, si produce, tuttavia, uno svuotamento di senso: la droga non è una fonte di sapere. Nel 1975, infine, abbiamo il Discours de clôture aux Jiournées des Cartels dell’ex École Freudienne di Parigi. In questo testo, viene sviluppato il rapporto dell’angoscia con la scoperta del “pisellino” e, quindi, il rapporto con la castrazione. Sia la bambina che il bambino sono afflitti in modo diverso da questa scoperta; il fatto di essere afflitto stabilisce un rapporto singolare, quello di essere sposato con il “pisellino”. Da cui la formula: “Tutto ciò che permette di sfuggire a questo matrimonio è evidentemente il benvenuto, da cui il successo della droga, per esempio; non c’è definizione della droga che questa: è ciò che permette di rompere il matrimonio con il pisellino”. È una vera e propria tesi che definisce la droga in quanto tale il cui carattere fondamentale è il successo. Tale posizione si avvicina a quella di Freud nel Disagio della civiltà. Quindi, il tossicomane non è definito, o si deve dedurre. Una prima approssimazione, la più semplice, consiste nel ridurre la complessità di tale formula alla soluzione data alle questioni sollevate dal complesso di castrazione, cosa che ci permette di concludere che il tossicomane, grazie all’assunzione di droga, si libera dagli obblighi imposti dalla funzione fallica. Questa idea non è sbagliata, essa, però, non spiega la scelta del tossicomane, quella di fare uso di droga. Una soluzione semplice a questo problema sarebbe quella di mettere in relazione la scelta del soggetto con delle ragioni storiche; questo, però, non è l’orientamento di Lacan. La questione centrale del suo testo riguarda il problema del nome, di ciò che può sostenersi con un nome, con un riferimento. Da questa via, la definizione, assume un’altra dimensione: la droga è il punto di riferimento che nomina una pratica, la tossicomania, a partire dalla quale si crea un personaggio, il tossicomane. Il tossicomane è un personaggio e non un soggetto; un personaggio che, attraverso il suo fare con la droga, crea un “Sono”, un “Sono tossicomane” che gli permette di sfuggire agli obblighi imposti dalla funzione fallica. “Sono tossicomane” è la formula a partire dalla quale il fatto di essere uomo o donna non ha nessuna importanza. Nella tossicomania, infatti, non c’è né maschile né femminile. Ci sono solo dei consumatori e questo è il sogno del discorso capitalista. La tossicomania è una nuova forma del sintomo in quanto essa definisce il soggetto attraverso una pratica, e non attraverso il suo sintomo. Il che, d’altronde corrisponde a quanto Lacan ha dimostrato nel suo seminario Le sinthome, che non è un seminario sulla psicosi ma un seminario su una nuova struttura, la struttura joyciana così come è stata definita da David Yemal. Il tossicomane è il personaggio della modernità che, a partire dal proprio lavoro, vuole provare che l’inconscio non esiste. Tocca all'’analista dimostrare il contrario. Dibattito tra Hugo Freda, Eric Laurent e Jacques-Alain Miller. Eric Laurent. C’è un punto del suo intervento che mi ha colpito: visto che in Lacan c’è una teoria dei due lati del godimento, è difficile risituare la questione della tossicomania come ritorno all'’armonia primaria poiché, in fondo, per il soggetto si tratta di un godimento perduto. E, inoltre, abbiamo questa frase dei Complessi familiari: “Far coincidere la totalità con l’essere”, che permetterebbe di sviluppare questa prospettiva e di vedere come essa venga raggiunta da tale pratica. Inoltre, dato che ci sono i due godimenti, non esiste più né maschile né femminile – è incontestabile -, esiste il consumatore e, tuttavia, c’è anche la rottura con la funzione fallica. Vale a dire che abbandoniamo almeno uno dei due lati: non si tratta più del maschile e del femminile, ma del godimento fallico e dell’Altro; e ciò non è più riformulato in termini di totalità, ma in termini di rottura. Se ne può discutere. Lei diceva che la conferenza di Lacan Psychanalyse et Médecine annunciava al medico il ruolo sempre più importante che avrebbe svolto nella gestione dei tossici. Effettivamente, è molto giusto sottolineare come questa predizione non faccia che realizzarsi sempre di più. Possiamo notarlo nella definizione stessa del tossico e in quella delle sostanze psicotrope: l’Accademia di Medicina propone delle classificazioni, il Comitato nazionale di etica ne propone altre (e non le stesse). Sembra che l’Accademia di medicina sia più conservatrice nel suo modo di proporre delle classificazioni; tuttavia, altri gruppi medici, relativamente alle sostanze psicotrope, propongono classificazioni che confondono le frontiere o che, in ogni caso, si distinguono dalle frontiere delle sostanze tossiche legali e illegali, ma a partire da un certo tipo di effetto. Evidentemente, tutto ciò conduce a una nuova gestione contemporanea del tossico, con le questioni etiche che questa gestione – che è contemporaneamente medica, poliziesca, doganale e legale- solleva. Essa implica precisamente la mobilitazione di tutti i registri di finzione. Su questa frontiera c’è anche il ruolo assunto da quella che un autore ha definito come “la psichiatria cosmetica”, esattamente come c’è la chirurgia estetica. In questo caso la psichiatria cosmetica è questa: “ecco, sono un po’ giù, dopatemi. Le mie sinapsi non funzionano, c’è chiaramente un difetto, dovete rimettermele in sesto. Si deve mantenere la serotonina ad un livello ottimale. Arrangiatevi!”. Di conseguenza, c’è tutta una gestione che, evidentemente, è appena cominciata: ci saranno modelli più complicati del modello serotoninergico. Recentemente, ne abbiamo avuto già degli esempi, ma tutto diventerà sempre più complesso. Dunque, tutto ciò radicalizzerà la questione etica di tali usi cosmetici. Quello di Lacan, quindi, era un annuncio fatto al medico, per così dire, che è diventato sempre più consistente. In fondo, la sua rilettura del concetto di personalità del tossicomane, la sua decostruzione delle personalità a rischio e tutti i tentativi fatti per definire, indipendentemente da qualsiasi sintomo, personalità legate alla sensazione è una pratica tipica del disagio della civiltà e, effettivamente, è una ricostruzione. Non si tratta semplicemente di decostruire, ma di ricostruire a partire dalle espressioni di Lacan, e questa prospettiva, abbastanza feconda, apre anche a dei trattamenti. Jacques- Alain Miller. Il suo intervento è stato folgorante, ma, forse, limitandosi a questa enumerazione dei riferimenti lacaniani, che , comunque, ha tutto il suo valore, ha eliminato i riferimenti alla sua pratica. Vale a dire che l’interrogativo, mi pare, che tutti si pongono dopo il suo intervento sia: qual è il successo pratico dell’approccio che lei propone? In pratica, quali sono i risultati di questa operazione che consiste nell’attirare il tossicomane nel Campo freudiano? E’ evidente che quelli che chiamiamo “i nuovi sintomi” dipendono soprattutto dal fatto che la psicoanalisi si impossessi di nuovi dati, che la psicoanalisi si estenda ed estenda il sintomo. In fondo, siamo, in buona parte, responsabili dei nuovi sintomi. E questo presuppone, senza alcun dubbio, un consenso sociale all'’estenzione psicoanalitica del sintomo. E’ lì che si constata sino a che punto siamo in una situazione ben diversa da quella che Freud descriveva nel Disagio della Civiltà. Perché, comunque, il tratto caratteristico di ciò che Freud descrive è la repressione. A tal punto che si è potuto pensare di fare della repressione sociale il principio della rimozione, con l’idea secondo cui una società permissiva, invece che repressiva, avrebbe eliminato la rimozione. Ed è già l’esperienza storica trascorsa che permette a Lacan di dire: “Assolutamente no! E’ piuttosto la rimozione in quanto tale che produce la repressione sociale”, per cui è vano attendersi da una società permissiva la scomparsa della rimozione. In ogni caso, diciamo che è scomparso il tratto vittoriano della società, a cui Freud punta con il suo concetto della civiltà, tipico di una società che proibisce, e che, in particolare, proibisce di dire. Da qui l’effetto prodigioso del permesso di dire incarnato dal personaggio dell’analista. E Freud, da subito, ha già avuto dei risultati con questo permesso di dire – e, all'’occasione, noi ne abbiamo ancora gli spiccioli. Semplicemente, oggi, se c’è un tratto tipico da mettere in valore, e che, al contrario, ci fa problema è quello della società spinta- al- dire, che significa che il ricorso al “Se ne deve parlare” è ora diffuso e persino generale. E non deve essere per forza lo psicoanalista in quanto tale colui che è chiamato a sostenere la spinta-al-dire, ma possono essere anche dei succedanei rispetto alla posizione radicale dello psicoanalista. A questo riguardo, l’estensione dalla psicoanalisi alla tossicomania partecipa di questa spinta-al-dire, il che è tanto più evidente dato che il tossicomane può benissimo arrangiarsi con il non-dire e che i tossicomani – benchè l’esperessione “ essere tossicomani” sia un abuso linguistico – sono tossicomani precisamnete per non dover dire. Vediamo che, in effetti, è un campo, in un certo senso, limite e cruciale, in cui la spinta-al- dire sociale e il non-dire soggettivo entrano in conflitto. Dunque, mi sembra giusto dire che non è, in quanto tale, un sintomo freudiano. Forse è un sintomo lacaniano! Il che è ben diverso; non basta, infatti, diagnosticare un disfunzionamento per avere un sintomo: all’occasione possiamo avere un sintomo sociale. Il tossicomane è forse un sintomo sociale, nella misura in cui, dato che la droga è proibita, egli entra in circuiti di clandestinità e, per procurarsi il denaro necessario a questo godimento, è spinto egli stesso a comportamenti delinquenziali. In altri termini, questo può essere un sintomo sociale. Ma non per questo è un sintomo soggettivo. Si può benissimo essere l’agente di un sintomo sociale, senza per questo verificare il sintomo soggettivo. E, in fondo, è qui che si introduce la dimensione del sintomo, essenziale secondo Lacan, in base alla quale, perché ci sia sintomo, “bisogna ancora crederci”. Bisogna ancora credere che si tratti di un fenomeno da decifrare, di un fenomeno in cui si deve leggere qualcosa – per esempio, una causalità, delle origini, un senso. Da un punto di vista sociale, si tratta di metterlo da parte, si tratta, in un certo senso, di segregare il tossicomane per consegnarlo a dei processi terapeutici supplementari, che possono essere dello stesso tipo. Si tratta, cioè, di trovare prodotti chimici sostitutivi, come oggigiorno sperimentiamo su vasta scala. In fondo, è supplementare che lo psicoanalista sia il primo a decidere di crederci come a un sintomo e di intraprenderne la decifrazione. Si pone, quindi, il problema del consenso o meno, da parte del soggetto, a che gli si appioppi un sintomo: è già tossicomane, e ora deve avere anche un sintomo! In un certo senso, per colpa nostra. Il primo riferimento che lei prende dal Lacan dell’anteguerra, che evoca la “tossicomania per bocca”, forse è relativo all’alcolismo. Ammettiamo che, per quanto riguarda la tossicomania dell’anteguerra, pensiamo dapprima all'’alcolismo, flagello sociale, specialmente in Francia. La differenza (sarebbe interessante considerare insieme tossicomania e alcolismo e, d’altronde, credo che già lo si faccia in Argentina, dove un gruppo si dedica allo studio dell’alcolismo e della tossicomania insieme) sta nel fatto che la tossicomania alcolica non può essere definita come il divorzio dal “pisellino” perché, comunque, una certa pratica dell’alcolismo è in stretto rapporto con l’atto sessuale. Sino a che, effettivamente, lo si abbandona; in altri termini, questa tossicomania è in rapporto con l’atto sessuale sino a un certo punto. Eric Laurent . in ogni caso, se non è proprio l’atto sessuale c’è almeno il picchiare l’Altro sessuato c’è una sorta di corpo a corpo violento per sopperire all'’atto sessuale. Jacques-Alain Miller. Il partner sessuale, il ogni caso, è presente o è all'’orizzonte dell’alcolismo. Non è la pura cancellazione del problema sessuale, è una certa presa in conto, evidentemente deficitaria, del problema sessuale. Il riferimento che lei fa agli stati di conoscenza, che sarebbero favoriti in particolare dagli allucinogeni, mostra bene la differenza che si può introdurre tra la conoscenza e il sapere. In effetti, ci sono degli stati di conoscenza, non ci sono degli stati di sapere. Gli stati di conoscenza – sui quali si può agire con l’allucinogeno, che producono intuizioni folgoranti, esperienze sovrumane, visioni eccezionali e dai quali si torna sempre incapaci, alla fine, di raccontarli – non hanno nulla a che vedere con l’elaborazione del sapere. Gli stati di conoscenza e l’elaborazione del sapere devono essere considerati in maniera antinomica. E la sua definizione secondo cui, in fondo, questo porta a cancellare l’inconscio mi sembra assolutamente giustificata. La tossicomania, quindi, non conta come sintomo nella misura in cui questo disfunzionamento non è preso dentro un’articolazione di linguaggio. Il sintomo freudiano si definisce in primo luogo attraverso la sua articolazione di linguaggio e, dunque, attraverso il senso che vi si può leggere. Anche se, con un certo ottimismo, in un primo tempo Lacan diceva:”il sintomo è completamente riassorbibile come articolazione di linguaggio”; dico un certo ottimismo, perché egli metteva da parte precisamente il godimento del sintomo. Hugo Freda. Il vissuto allucinogeno era una risposta che, in quel periodo, Lacan ha dato sia a Michaux sia alle esperienze di prova allucinogena fatte all'’ospedale di Sant’Anna. In entrambi i casi, si tratta di trovare la causa stessa di ciò che è più intimo: dato che non ci si arriva con la parola, si può tentare con altri mezzi. Era una risposta, era un modo, a quel tempo, di cancellare la questione della divisione soggettiva a vantaggio della personalità. Jacques- Alain Miller. In un cero senso, ci sono argomenti contro questi approcci che valgono anche per l’ipnosi, anche se l’ipnosi conserva un legame con la verbalizzazione. Se, dunque, si definisce il sintomo in primo luogo attraverso l’articolazione di linguaggio, questo non è un sintomo. Il problema, però, è che il sintomo non è solo un’articolazione di linguaggio. Se, invece, si definisce il sintomo attraverso il godimento del sintomo, se lo si prende da questo lato, allora la tossicomania entra nella categoria- sintomo, e anche eminentemente. In fondo, si vede bene che Lacan è passato dal mettere l’accento sulla cancellazione del sapere della tossicomania, sulla cancellazione dell’Inconscio, dell’articolazione del linguaggio, al mettere in valore la cancellazione del godimento sessuale. Non si tratta dello stesso tipo di cancellazione:la cancellazione del godimento sessuale equivale a separarsi, non dal fallo, ma dal rapporto con il pene definito come partner. In qualche modo, abbiamo già una definizione del partner- fallo. E ciò introduce la droga o la sostanza tossica, come un altro tipo di partner. In questo senso, mi sembra corretto farlo entrare nel grande registro del rapporto che il soggetto moderno intrattiene con l’oggetto che si consuma. L’accento moderno, indicato da Lacan, è che il nostro modo attuale di godere dipende essenzialmente dal più di- godere. Vale a dire che potremmo definire il contemporaneo attraverso la separazione dell’ideale: si può fare a meno dell’Ideale. E, spingendo le cose al limite, si può fare a meno delle persone, si può fare a meno dell’Altro maiuscolo e degli ideali e degli scenari che propone, per un corto circuito che consegna, in diretta, il più- di- godere. Ciò partecipa di quello che un filosofo ha chiamato il cinismo contemporaneo: il permesso di fare a meno della sublimazione e al suo posto, di conseguire un godimento diretto, in solitudine. Si sa che le società che, al contrario, hanno valorizzato il rapporto con l’Ideale, tra cui anche la società vittoriana, sostenevano una lotta, che oggi ci sembra quasi allucinata, contro la masturbazione. Perché la masturbazione è un’attività cinica per eccellenza, è l’attività che permette di cortocircuitare, evitandolo, tutto lo scenario sociale. Oggigiorno non c’è più lo stesso tabù nei confronti della masturbazione e la spinta- al – consumo implica non solo l’autorizzazione, ma anche un rapporto intenso con il più- di- godere. In questo senso, si deve riconoscere nella tossicomani un elemento sincrono con lo sviluppo sociale contemporaneo. In fondo, forse è lì che si vede meglio a che cosa conduca la logica dello sviluppo sociale, che rafforza sempre di più il rapporto diretto con il più- digodere. Lei, quindi, è in prima fila, per così dire, e da qui la domanda che le ripeto: che cosa succede quando si cerca di fare entrare il soggetto nel Campo freudiano?- in fondo, dico il soggetto perché ciò che fonda la sua critica del tossicomane come personaggio è che non appena il tossicomane entra nel Campo freudiano questo suo orpello identificatorio cade e ciò che resta è il soggetto che fa ricorso a questo più- di- godere – dunque, quali sono i risultati effettivi di questa trasformazione che subisce, quando si tenta di farlo entrare nel Campo freudiano? Hugo Freda. Mi permetto di sviluppare meglio l’ultima formula di Lacan poiché mi sembra che possa fornire una possibile risposta a questa domanda. Da tale formula si può dedurre che la questione del tossicomane ha un certo rapporto con la degradazione dell’Altro, con ciò che lei ha evocato prima, vale a dire con il fatto che l’Altro non è più l’Ideale. Riprendendo la tesi lacaniana del 1975, possiamo immaginare un grafo che rappresenti il tossicomane: se teniamo la “droga” come un punto di riferimento, possiamo nominare un soggetto, così come egli si chiama, “Sono tossicomane”. In fondo, il significante, l’ideale, l’Altro maiuscolo serve solo a giustificare il perché della droga, cioè ad assicurare il suo posto come tossicomane. Quello che si verifica con i tossicomani, è che essi considerano la droga come la causa di quello che capita loro e, per giustificare questa posizione, utilizzano tutta la panoplia significante. La difficoltà, dunque, è quella di spostarli da tale posizione; il “successo”, pertanto, consiste nel creare loro un sintomo quasi freudiano. Il che complica le cose in quanto presuppone, in un certo senso, che se il loro obiettivo era quello di evitare la punizione, la soluzione è quella di ammalarsi. Fare uscire il tossicomane dalla tossicomania significa in fondo farlo ammalare. Questo è veramente il suo dramma: farlo entrare nel Campo freudiano significa farlo ammalare. La difficoltà, dunque, è questa: come si fa con un soggetto che ha trovato una soluzione per ogni cosa – una soluzione al rapporto sessuale, all'’inconscio, anche al sintomo- , come si fa a renderlo in qualche modo soggetto di un sintomo freudiano? La risposta mi pare è semplicemente facendogli amare, in un modo o nell’altro, la parola. Quale può essere quindi il desiderio dell’analista in tutto ciò? In altri termini, qual è il desiderio dell’analista rispetto alla parola in quanto tale e, quindi, non come oggetto della significazione, ma piuttosto in quanto essa trasporta un godimento? Jacques- Alain Miller. Si può dire amare la parola, ma lei spiega che si tratta di introdurlo al godere attraverso la parola e in qualche modo di sostituire la droga con la droga normale, cioè la parola-godimento. È comunque abbastanza difficile concepire come si possa condurre il soggetto a perdere il suo orpello identificatorio, a perdere il “sono tossicomane” che gli permette di reperirsi nell’Altro sociale, dentro un’istituzione per tossicomani. Voglio dire che si tratta di un’operazione molto paradossale e che richiede di sovvertire dall’interno il luogo che gli è offerto. Da questo punto di vista si dovrebbe distinguere ciò che si ottiene nel luogo comune di segregazione preposto a questo rispetto a ciò che si ottiene nello studio dell’analista, che a questo riguardo, è comunque un luogo de-segregativo. Hugo Freda. Le istituzioni in teoria sono obbligate a tentare di fare una sorta di sbarramento contro la droga. Liberare il tossicomane dalla sostanza è il loro obiettivo principale, l’azione si ferma lì. Si nota però un fallimento costante: i tossicomani escono dall’istituzione per drogarsi di nuovo subito dopo. Il caso dell’arresto è uno degli esempi più evidenti. Talvolta essi preferiscono persino il carcere per fare una cura disintossicante forzata ben sapendo che, non appena escono, ricominciano. L’istituzione in questo senso è un primo momento di lavoro. Si tratta di sapere sino a che punto l’istituzione, il lavoro che si può fare nell’istituzione, sia in grado prima o poi non solo di dare al soggetto l’idea di essersi sbarazzato dalla droga ma di segnare nella sua soggettività un prima e un dopo; cosa che prima invece era segnata solo dalla droga. L’incontro con un certo tipo di lavoro deve permettergli di fare una sorta di paragone tra che cosa significa parlare e che cosa significa fare uso di droga. Effettivamente ci sono dei casi in cui i pazienti seguono questo tipo di lavoro. È un lavoro che può aver luogo negli studi privati… anche se non sono molti, esistono esempi in questo senso. Non si deve comunque immaginare che il successo, in questo caso, sia maggiore ma, caso per caso, si possono trovare risposte assolutamente folgoranti, straordinarie rispetto a pazienti che entrano dentro una problematica completamente differente. È così, ma si deve differenziare caso per caso. Eric Laurent. Mi sembra che gli sforzi di trattamento fatti partano dall’idea secondo cui qualsiasi prospettiva fondata semplicemente sullo svezzamento, sull’interruzione della sostanza, produca risultati molto limitati, all'’incirca dell’ordine del 20%. Da qui l’idea di generalizzare la sostituzione, e di creare tutto un mondo – il grande vantaggio è proprio questo: aver creato un mondo molto articolato che non è dell’ordine del prima e del dopo, o dell’ordine del taglio netto – in cui si smette di assumere sostanze per un momento, in cui se ne riprende, si esce, si rientra, in altri termini una nebulosa molto più flessibile e con svezzamenti di tipo reale, immaginario e simbolico. Lo svezzamento simbolico dall’identificazione “sono tossicomane” passa in primo luogo da una volontà di iniettare un più di legalità nel tentativo di far uscire i tossicomani da un certo numero di pratiche illegali, di dare loro uno statuto in quanto tale, di praticare un più di domanda o di fare aprire tale domanda. A seconda dei tipi di istituzione, della loro scelta, si accentua più o meno tale o talaltro aspetto. C’è poi lo svezzamento immaginario con una restituzione sui gruppi. Non c’è più la prima identificazione immaginaria ma c’è quella dell’ex tossicomane. Il che permette di costituire gruppi di pentiti vari e di sorvegliarsi, di appoggiarsi l’un l’altro seguendo modelli che hanno già dato dei risultati – sul genere degli Alcolisti Anonimi, sul genere della confessione pubblica cara all'’atmosfera puritana. Questo modello permette di ottenere un appoggio importante. Lo svezzamento reale, infine, è molto meglio della vecchia alternativa che era tutta su un lato, poiché al tossicomane che aveva rotto con l’ideale si rispondeva con il trattamento massiccio attraverso l’ideale. Si fabbricavano delle figure di padre totalitario, che sono praticamente scomparse dal paesaggio culturale, e le istituzioni per tossicomane erano le uniche in cui si ricreava una sorta di padre totalitario artificiale, in cui era necessario un patriarca perché tenesse duro. Questo produceva delle stranezze poiché non era più così controllabile persino dall’Altro della legge, dalle procedure della civiltà che hanno messo un po’ in disuso il padre dell’orda. Lì invece lo si rifaceva e con che risultati! Con risultati che tendevano comunque a considerare il tossicomane piuttosto come un perverso. Ci voleva, quindi, un antidoto… Jacques-Alain Miller. Tutte le nuove soluzioni sono perverse! Da dove ci si può attendere del nuovo? Eric Laurent. Nella costituzione; non è un nuovo radicale, ma è l’invenzione di queste procedure sostitutive che danno sempre di più l’illusione di nuovo. È come l’illusione prodotta sul mercato, c’è sempre un: “domani ci sarà un’automobile migliore”, “domani l’antidepressivo della quarta generazione sarà migliore di quello della terza! Aspettate domani per deprimervi” ecc. Jacques-Alain Miller. Penso che si dovrà fare attenzione alla soluzione tramite la setta, che in effetti è stata provata nella tossicomania – creando sette artificiali – e che è una via molto moderna per trattare il disagio della civiltà. Ha tendenza a infiltrarsi anche nella psicoanalisi, lo si deve dire. Il termine setta è pericoloso, ma in forme diverse la globalizzazione ha senza dubbio come contraccolpo l’invenzione settaria. Hugo Freda. Nel caso della tossicomania ritroviamo questi fenomeni. Si vede l’incidenza sempre maggiore dei gruppi di ex tossicomani, che di fatto non lo sono in quanto continuano l’uso regolare di droga, ma si raggruppano tra loro e hanno un’incidenza diretta anche a livello della distribuzione di fondi, vogliono essere presenti alle grandi manifestazioni, scientifiche e non, per dire la loro in quanto gruppo, parlano di una pratica e costituiscono delle associazioni per salvaguardare il sapere su questa pratica… Jacques-Alain Miller. Sono gli svezzati che fanno gruppo. È esattamente la stessa cosa della psicoanalisi! Ciò che sostiene il gruppo psicoanalitico, che accoglie quelli ancora in analisi, è il gruppo degli svezzati della psicoanalisi. È questo ciò che cerchiamo di isolare, di riconoscere.