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Dalla “Cronaca di Merano” di Maria Reinthaler

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Dalla “Cronaca di Merano” di Maria Reinthaler
StoriaE – iDossier
La vita quotidiana durante la I Guerra Mondiale
Settembre 2005
Dalla “Cronaca di Merano”
di Maria Reinthaler
di Pietro Fogale
Il 3 aprile 1916 il sindaco Josef Gemassmer e il Comitato responsabile dell’Archivio del Comune di
Merano decisero di far scrivere una cronaca degli avvenimenti più significativi per la vita della città
durante il periodo di guerra, sulla base del materiale informativo appositamente raccolto. Viktor von
Mehoffer redattore della “Meraner Zeitung” venne incaricato per la redazione della Cronaca1. La
popolazione venne invitata, entro il 15 aprile, a contribuire alla raccolta del materiale mettendo a
disposizione fotografie, ricordi, diari e tutto ciò che poteva essere interessante per tracciare la storia e
il ruolo che Merano ebbe durante la guerra. Il 2 ottobre Mehoffer presentò al Comitato per
l’Archivio e al sindaco l’introduzione al lavoro, ma non riuscì a portare a termine il compito; alcuni
mesi dopo2, nel febbraio del 1917, fu necessario scegliere un sostituto: tra i quattro candidati
disponibili la scelta cadde sulla scrittrice Maria Reinthaler che avrebbe lavorato 4 ore ogni pomeriggio
per un compenso di 100 corone. Nel maggio del ’17 la cronista viene invitata a relazionare al
Comitato sul lavoro svolto3 tenendo presente che la Cronaca non doveva essere una “vera storia”
bensì una raccolta di ricordi e di esperienze, “di tutto ciò che abbiamo vissuto durante la guerra”4.
Oggi la Cronaca voluta dalla città è conservata preso l’Archivio Storico del Comune di Merano e
comprende svariate centinaia di pagine che documentano il clima della vita cittadina negli anni della
Grande Guerra, dall’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) alla fine del conflitto e al crollo
dell’Impero Asburgico. L’attenzione è rivolta soprattutto alla vita quotidiana, alle difficoltà di
approvvigionamento e alla fatica di procurarsi il necessario per vivere. Non mancano riferimenti alla
vita culturale, al turismo e naturalmente alla guerra che si combatteva anche a poche decine di
chilometri dalla città. Il fronte, dal confine con la Svizzera, proseguiva verso l’Ortles e il Cevedale
prima di scendere decisamente verso sud.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, Merano si trova a vivere nelle immediate retrovie del fronte e perde
la sua fonte di sostentamento principale, il turismo, che ne aveva decretato la fama nel mondo. Sono
anni difficili, come hanno evidenziato gli estensori della Cronaca. Il facile entusiasmo che aveva
accompagnato l’inizio della guerra ben presto lascia posto alla paura e allo sconforto5.
Secondo semestre del 1915
L’inizio della guerra ai nostri confini ci aveva di colpo gettati molto più vicino agli eventi mondiali. La nostra
partecipazione alla guerra divenne più intensa e significativa di quanto non fosse stato finora. [...]
A Merano si poteva però avere ancora di tutto. Se per qualche tempo mancava qualcosa, ad esempio la farina o lo
zucchero, o qualche altro prodotto, si trattava solo di una situazione spiacevole, non di un chiaro segnale di privazione,
perché si potevano trovare validi e abbondanti prodotti sostitutivi. [...]
I divertimenti a Merano non erano più molti. Ma i concerti estivi, sulle rive del Passirio, così apprezzati dalla
popolazione locale, erano ancora un tradizionale svago serale; si facevano ancora belle gite estive, scampagnate in cui si
poteva ancora trovare qualcosa da mangiare e da bere; la villeggiatura estiva in montagna per i bambini e, nonostante
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l’aumento del prezzo del vino, erano possibili ancora le chiacchierate serali nei freschi giardini delle osterie. Tutte queste
cose erano piacevoli e nell’eccitazione che era subentrata dopo la paura della cessione, si viveva ancora abbastanza
allegramente. In fondo non era cambiato molto. Un po’ più cara però Merano lo era diventata, anche in autunno
l’assenza di ospiti fu un duro colpo per i tanti che con il turismo si guadagnavano il pane o facevano lauti affari.
Comunque con qualche sacrificio si poteva vivere abbastanza bene. [...]
In fondo si pensava che la fine della guerra non fosse poi così lontana, da non poter sopportare la perdita di una
stagione turistica.
La vicinanza al teatro di guerra non ci disturbava. Né ci spaventava un aereo che sganciava le sue bombe e il fragore
dei cannoni era così lontano, da costituire poco più che un monito. Altrimenti avremmo a volte potuto dimenticare del
tutto la guerra. [...]
Se fino al maggio del 1915 la guerra era “solo” nella cronaca dei giornali e nelle lettere dal fronte,
mentre la città viveva la sua normale stagione turistica, già nei giorni immediatamente precedenti allo
scoppio delle ostilità con l’Italia gran parte dei turisti lasciò la città e dal quel momento le cose
cambiarono molto velocemente.
Improvvisamente gli aumenti divennero sempre più alti, la miseria cominciò a essere un ospite fisso, malattie e
preoccupazioni mettevano a dura prova le energie delle madri e non pochi bambini dovettero, nonostante la
denutrizione, andare a lavorare per guadagnare qualcosa. [...]
Le trasformazioni investono gran parte della vita quotidiana: scarseggiano gli alimenti (farina, latte,
zuccherò, caffè, carne, grassi –olio, burro e strutto – verdure ecc.), aumentano i costi dei generi di
prima necessità (carbone, legna, sapone, benzina, spezie ecc.), le donne si devono far carico del
lavoro lasciato dagli uomini richiamati alle armi.
I cinema, che erano rimasti chiusi per qualche tempo, riaprirono le porte e proiettavano a turni alterni. Il programma
prevedeva di solito un documentario settimanale sulla guerra, poi un filmato drammatico e uno divertente. Le belle
riprese della natura purtroppo sparirono dal programma. [...]
[...] La popolazione di Merano, quando venne introdotta la tessera per il pane, era costituita da 9.000 persone. Ad
agosto era scesa a 6.500 persone. A Maia Alta la popolazione si ridusse in agosto da 4.500 a 2.199. [...]
La situazione in città peggiora ogni anno. Alla mancanza di cibo via via più drammatica si
accompagnano le costanti requisizioni.
Il 19166 ci privò di molte cose che prima ritenevamo assolutamente indispensabili senza darci nulla in cambio. [...]
Ma la popolazione era tanto disponibile ai sacrifici. Dava, dava sempre di più.
All’inizio dell’anno il metallo dovette essere forzatamente consegnato alla Centrale degli Acquisti.
La consegna procedeva rapidamente, ogni giorno venivano pagate 2.000 - 2.500 Corone per oggetti non più
utilizzabili. Assieme alla merce, che era necessariamente obbligatorio fornire, ne veniva spontaneamente fornita
dell’altra, perché alcune famiglie erano contente di ricevere, per gli oggetti in metallo non strettamente necessari, un buon
pagamento in un momento in cui avevano bisogno di denaro. Il metallo usato non aveva mai raggiunto un prezzo così
alto.
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Il 18 gennaio venne comunicato che era necessario consegnare le scorte di lana. La mancata denuncia
era passibile di pena.
Poiché ai proprietari di pecore non veniva lasciata nemmeno la lana necessaria alle necessità personali, questa
requisizione fu particolarmente odiosa, perché i contadini non sapevano più come fare le calze, dato che la lana per i
lavori a maglia era molto difficile da trovare e si poteva comprare solo a prezzi esageratamente alti.
Sempre il 18 gennaio furono annunciate le nuove norme del governo relative al commercio
dell’alcool, ormai sempre più raro.
Anche il pellame divenne oggetto di requisizione; si raccoglievano inoltre i tendini degli animali per
farne cordame.
Per l’enorme necessità di scarpe dell’esercito, le fabbriche di pellame che erano impegnate nella produzione bellica
necessitavano di molto conciante, che ormai nel paese mancava. Si ricorse come surrogati a legni pregiati, quali il
castagno o l’abete rosso. Fu uno spreco, poiché questi legni non contenevano molta sostanza conciante [...]. Ma la
guerra non chiedeva mai quali erano i costi, distruggeva invece di costruire, prendeva ciò di cui aveva bisogno. [...]
Non meno minacciati erano gli alberi di noce. Anche essi crescono così lentamente, che a volte i danni non sono
riparabili in meno di cento anni. Il fabbisogno di legno di noce da parte dell’esercito per la costruzione di armi venne
sfruttato da speculatori senza scrupoli.
Il taglio “indiscriminato” degli alberi diede vita ad un vivace dibattito sulle pagine dei giornali locali:
“Vandalismo” era il titolo con cui la Meraner Zeitung del 10 febbraio riportava l’indignata testimonianza di un
lettore che aveva assistito al taglio di una dozzina di maestosi castagni a Scena sopra il maso Stinnkbrunnen
all’ingresso del paese.
Le requisizioni di pellame provocarono una significativa mancanza di cuoio per la popolazione civile [...]. Già si
intravedeva il momento in cui eccetto che per le inutili lussuose scarpe per le dame, non ci sarebbero state calzature per
la popolazione lavoratrice. [...] Fecero quindi la loro comparsa scarpe con pesanti suole in legno e la tomaia in pelle
grezza marrone scuro.
Si guardavano con stupore, ma per il momento ci asteneva dal comprarle. Anche perché non erano economiche.
In febbraio si dispose che a primavera venissero raccolte le ortiche; poi fu ordinata la requisizione dell’alluminio. [...] In
marzo si annunciò che sarebbero stati acquistati cani da tiro e carretti per i cani, viticci e tutto ciò che, cose o animali,
poteva essere d’aiuto allo sforzo bellico, i sacchi ad esempio. Gli alunni delle scuole vennero accompagnati a raccogliere
foglie di mora per il tè.
L’unica parte del diario relativa al 1917 ha un titolo estremamente significativo:
1917 7, l’anno della fame, le misure per il sostentamento prese dal governo del Tirolo e del
comune di Merano e i suoi effetti sulla popolazione della città.
Anche nel nostro territorio si trovava il mondo in piccolo con tutte le ripercussioni portate dalla guerra. Anche da noi le
ristrettezze si facevano sentire in maniera dolorosa mentre il lusso diventava sempre più vistoso, così facciato da essere
una tortura per i più miseri.
Anche da noi [a Merano] c’erano “vincitori” che grazie alla guerra avevano potuto accumulare soldi in abbondanza e
malgrado ciò continuavano a spingere i prezzi sempre più in alto [...].
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Anche noi in quest’anno imparammo a conoscere la miseria, che qui si percepiva ancor di più, poiché a molti erano
venute meno le possibilità di guadagno. Merano non era più un “luogo di cura e di soggiorno” e la sua posizione
all’estremo occidente della monarchia rendeva ogni trasporto di per sé molto insicuro. [...] Noi, infatti, vivevamo nelle
immediate vicinanze del teatro di guerra e dovevamo affrontare mille ostacoli e quindi qualsiasi disposizione per
l’approvvigionamento era molto più difficile che in qualsiasi altro posto [...]. Una cosa però si riuscì ad ottenere: i
generi alimentari furono procurati in quantità dall’Ufficio Approvvigionamento, mantenendoli così più economici
rispetto al libero mercato, […] poiché il nostro Comitato per l’Approvvigionamento lavorava esclusivamente per coprire
i costi, per il bene della popolazione, mentre i commercianti avrebbero dovuto giustamente calcolare anche il loro
sostentamento oltre ad un modesto guadagno.
La cosa più curiosa fu che ad ogni riduzione delle razioni alimentari, fino ad arrivare al ridicolo quantitativo che si
poteva ricevere con le proprie tessere e spesso non si riusciva ad avere nemmeno quello, certe persone, anche dottori,
professori e altre simili intelligenze erano sempre in grado sui giornali di affermare che il popolo avrebbe dovuto essere
felice, perché era molto più sano mangiare meno. Cifre e calcoli alla mano, con prove chimiche e fisiologiche, ci
dimostravano che avevamo sempre mangiato troppo e come sarebbe stato vantaggioso continuare a mangiare poco;
sostenevano così le aride argomentazioni del governo e delle autorità, che parlavano sempre di risparmiare, mentre non
si sapeva come tacitare lo stomaco dalla fame. [...]
Non ti sembra ridicolo, e al tempo stesso non ti senti sicuramente preso in giro se dai giornali le autorità ti esortano a
risparmiare una razione di 200 gr. di farina per 14 giorni, fino a che non cadi malato perché non si può avere altra
farina di frumento? Certo puoi cucinare al suo posto i 200 gr. di farina nera che ti sono stati assegnati, sempre per due
settimane. Risparmiare, certo, se solo oltre alla farina ci fossero stati anche carne, grassi, latte, verdure, frutta, legumi,
caffè, tè, ma in parole povere mancava tutto, tranne l’acqua.
La continua ricerca di generi alimentari si estese fino ai più lontani paesi stranieri, raggiungibili attraverso i paesi
neutrali. Purtroppo la miseria e la pressione dei nemici costrinse questi paesi a chiuderci la disponibilità delle loro
risorse alimentari. Il governo poi non permise più simili rapporti nemmeno a singoli comuni o a privati, e permise
l’accesso alle fonti di approvigionamento ancora raggiungibili ad un unica società, la Österreichischen
Zentraleinkaufgesellschaft (Centrale Unica d’Acquisto) la cosiddetta [...] “Cezeg”. [...] La severa censura imposta
impediva ogni esternazione che potesse inquietare la popolazione e che potesse spingerla a passi sconsiderati. Al nemico
non si doveva far sapere qual era la nostra situazione. Anche il nostro fronte non doveva chiaramente sapere in quali
condizioni di necessità si trovasse il paese, per non comprometterne la capacità di resistenza.
L’emergenza alimentare e il bisogno di combustibile erano dovute in gran parte alla mancanza di forza lavoro. [...]
Donne e bambini, vecchi fino a 90 anni, e ragazzi ancora in fase di crescita fino a 17 anni dovettero, nonostante il
cibo insufficiente, sopportare il peso del lavoro [...], l’aiuto dei prigionieri russi e di altri prigionieri di guerra non era
sufficiente.
Le code
Una delle principali conseguenze della carenza alimentare e della mancanza di articoli di prima necessità di varia
natura fu, ancor più di prima, la “fila”.
Davanti al panificio, davanti al negozio della farina, davanti al macellaio, dal tabaccaio, alla distribuzione del latte,
delle patate, del carbone, dei grassi e ad altri punti di distribuzione, anche a Merano, le persone dovettero mettersi in
coda per ore, spesso all’aperto, con qualsiasi tempo e aspettare per assicurarsi quel poco che veniva distribuito. Anche se
da noi non si cominciava la fila già a mezzanotte, come nelle grandi città, l’aspettare per ore alimentari o combustibile
costituiva adesso una gran parte dell’occupazione quotidiana.
Siccome bisognava anche andare al lavoro ci voleva una persona di fiducia, oppure pregare e pagare qualcuno che si
occupasse di ritirare quanto distribuito.
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All’inizio dell’anno si era arrivati qualche volta a delle resse selvagge. Poi si riuscì a ottenere più ordine. La
sorveglianza e il mantenimento dell’ordine delle persone in coda divenne l’occupazione principale della maggior parte dei
tutori dell’ordine. Già alle cinque iniziavano le file, spesso davanti al macellaio, a volte erano le cinque e mezza. Poi ci
si incolonnava alla distribuzione del latte, e a quelle dei grassi, delle uova, della farina e dei legumi. Per poter ritirare il
carbone bisognava raggiungere grandi e lontani magazzini con un carrettino o con uno zaino. Lo stesso per le patate.
Anche la legna bisognava portarsela, perché le consegne non venivano più fatte per mancanza di mezzi di trasporto.
All’inizio c’era una coda per avere il buono o la tessera, poi un’altra per i vari generi da acquistare. Si restava al
freddo e sotto la pioggia fino a quando uno si sentiva male. Molte donne deboli faticavano molto a stare in fila per ore.
Non avevamo delle vere e proprie scarpe, nessuno aveva cuoio per riparale in modo adeguato. [...] Con i piedi bagnati
per le lunghe ore passate alla pioggia o nella neve, molte donne, sì soprattutto loro, si ammalavano e soffrivano di dolori
reumatici.
Ogni settimana un paio di intere giornate erano dedicate alle code. Non si potevano ritirare grossi quantitativi tutti in
una volta, si poteva ricevere solo un quantitativo minimo, come previsto dal razionamento.[...] Alcune donne
passavano il tempo con un libro, altre parlavano e si raccontavano le novità, altre ancora si scambiavano ricette adatte
alle necessità della guerra, che utilizzavano quasi esclusivamente surrogati, senza uova, senza grassi, senza latte, senza
zucchero e così via.
La mancanza di generi alimentari acquistabili portò la popolazione a dedicarsi alla zelante raccolta di tutto quanto vi
era di commestibile e utilizzabile. C’erano persone che non avevano altra occupazione che stare in fila per i generi
alimentari o, quando questo non era più necessario, si rivolgevano ai commercianti, tenevano d’occhio le occasioni
d’acquisto, giravano per monti e per valli per raccogliere e fare incetta di qualsiasi cosa.
Intere famiglie durante la buona stagione andavano ogni giorno a procurarsi generi alimentari, a pregare per farseli
vendere, a rubarli se non era difficile o a raccoglierli così com’erano offerti in natura. Questi erano i più fortunati, quelli
che si procacciavano sempre qualcosa. [...] Il baratto e il commercio di qualsiasi cosa, per procurarsi cibo, acquistò
proporzioni gigantesche.
Si raccoglieva e si raccoglieva, si scambiava e si commerciava. Si imparava a conoscere, attraverso il sollecito studio di
libri e brossure, quali erano le cose commestibili che si trovavano nei boschi e nei prati: funghi, erbe, bacche. Si
osservava attentamente anche ciò che raccoglievano altri conoscitori, per poterli portare con sé. Con i libri e lo studio si
imparava a conoscere altri tipi di funghi, ne comparvero anche al mercato alcuni che negli anni di pace nessuno avrebbe
notato, subito portati via da qualche acquirente.
Zaino e borsa divennero gli inseparabili accompagnatori di ogni figura umana che si potesse incontrare. Un uomo
senza zaino non era più concepibile [...]. Era veramente strano come si era tentati di dare, ad ogni persona che si
incontrava per la strada, sul tram, o sul treno, meno peso al suo aspetto generale, che non allo zaino o ai pacchi che
portava, per cercare di indovinarne il contenuto.
1918
3 dicembre
Chi sa l’italiano adesso è avvantaggiato. Nella distribuzione di “Legittimationen” (licenze) tutti quelli che non
capiscono l’italiano vengono lasciati indietro e queste si consegnano prima ai tedeschi che sanno l’italiano. Le opinioni
sono molto divise se il nostro territorio rimarrà italiano o se tornerà ad essere tedesco. [...]
4 dicembre
L’influenza prosegue con la stessa violenza. Adesso non muoiono più molte persone, tranne soldati italiani, ma tutto è
malato.
Da giorni sembra che gli italiani non rimarranno, verranno bensì sostituiti dagli inglesi o dagli americani. Molti
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italiani dicono chiaramente che non vogliono rimanere, ma loro desiderano soprattutto la smobilitazione e il ritorno a
casa, perché di questo si parla sempre. [...]
5 dicembre
Soldati italiani manifestano apertamente alla gente la loro volontà di non restare, desidererebbero passare il Natale a
casa come gli altri uomini che non sono più in guerra. Sembra che questo orribile gioco abbia raggiunto il limite. I
carabinieri sono molto numerosi, ma sembra siano qui molto più per sorvegliare le truppe che noi, sembrano essere
molto odiati dai soldati. [...]
Presso gli italiani, e quelli che hanno nomi italiani, un certo Facchinelli sta raccogliendo delle firme per l’annessione del
nostro territorio all’Italia.
Il tram viaggia di nuovo con conduttori maschi. Le donne sono ritornate al focolare domestico, dopo che, per lungo
tempo, avevano svolto il servizio con zelo e fedeltà al proprio dovere.
Il pane, che all’inizio era acido e secco, è diventato migliore. Contiene, dato l’uso del sale impuro, numerose scorie di
gesso e sabbia, che tra i denti risultano particolarmente sgradevoli.
La carne adesso si trova in gran quantità, senza tessera si può ottenere quanto e quello che si vuole, naturalmente a
caro prezzo. Ad ogni modo i prezzi sul mercati dei vari tipi e tagli di carne sono diminuiti. [...]
Le famiglie italiane vengono, a richiesta, rifornite di maccheroni, riso e altro. I trasportatori italiani vendono agli
italiani e ai commercianti che parlano italiano di tutto, direttamente dai loro mezzi.
19 dicembre
Al cinema Plankenstein, l’azienda italiana, un posto costa 3, 4 e 5 Corone. Ma è ogni volta pieno come un uovo. Le
ditte milanesi vogliono fornire film italiani anche ai nostri proprietari di cinema, e scrivono che la popolazione si dovrà
abituare alla lingua, perché il territorio apparterrà all’Italia. Film tedeschi arrivano difficilmente da noi così come le
lettere. [...]
21 dicembre
Tutto rincara di nuovo. [...]
I traduttori sono riconoscibili da una bracciale blu scuro con una stella.
22 dicembre
Le torte natalizie, e i tanto amati biscotti di Natale di tutti i tipi, a dispetto della fame tremenda e dei surrogati di
ogni specie, sono quest’anno la grande preoccupazione delle casalinghe. Davvero non si può avere qualcosa di buono per
le feste? Si sfogliano disperatamente i libri di ricette e le molte ricette del tempo di guerra, piene di surrogati in cui si
cucina senza uova, grassi, zucchero e latte. Ma se ora mancano tutte queste cose insieme? [...]
NOTE
1 AStM, Sekretariatskanzlei, n. 648, Kriegskronik 1914-1919. 1916 Kriegsgeschichte.
2 AStM, Sekretariatskanzlei, n. 641, Faszikel VIII -Kriegsgeschichte (Kriegschronik) 1917-18, Protokoll der Sitzung des Burg
und Archivkomitees 28.02.1917.
3 AStM, Sekretariatskanzlei, ZA15K n. 2622, Erstellung der Kriegschronik 1917-18, Protokoll der Sitzung des Burg und
Archivkomitees 14.5.1917.
4 AStM, Sekretariatskanzlei, Kriegskronik 1914-1919 n. 648. 1915, Vom Leben im Kurort. Zweite Jahreshälfte 1915.
5 Durante i mesi che avevano preceduto l’entrata in guerra dell’Italia erano state condotte trattative con entrambe le parti in
guerra. L’Austria per garantirsi la neutralità dell’Italia era arrivata a fare varie concessioni territoriali, tra cui il Trentino, i
territori italiani del Friuli situati a occidente dell’Isonzo e Valona.
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Cfr. GATTERER C., In lotta contro Roma, Bolzano 1994, p.233
6 AStM, Sekretariatskanzlei, Kriegskronik 1914-1919 n. 648. 1916 – Staatlich beschlagnahmte Stoffe und Erzeugnisse.
Militärische Anforderungen.
7 AStM, Sekretariatskanzlei, Kriegskronik 1914-1919 n. 648. 1917 – Das Hungerjahr 1917 und die Verpflegungsmassnahmen der
Regierung des Landes Tirol und Kurgemeinde von Meran in ihrer Wirkung für die Bevölkerung des Kurortes.
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