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Schede di catechesi per gruppi giovani

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Schede di catechesi per gruppi giovani
Credere
ci manda
Schede di catechesi
per gruppi giovani
Anno pastorale 2014-2015
INDICE
Introduzione _______________________________________________________________________
3
SCHEDA 1 – VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO ______________________________________________
7
SCHEDA 2 – ALLA SORGENTE DELLA LUCE ________________________________________________ 11
SCHEDA 3 – LI MANDÒ A DUE A DUE ____________________________________________________ 17
SCHEDA 4 – NEL MONDO VENNE LA LUCE ________________________________________________ 23
SCHEDA 5 – VI MANDO COME AGNELLI __________________________________________________ 29
Allegato 1 – Test: Quanto illumini? ______________________________________________________ 37
Allegato 2 – Una regola di vita _________________________________________________________ 39
Allegato 3 – Enzo Bianchi, Perché pregare, come pregare ____________________________________ 41
Allegato 4 – Agostino d’Ippona, Confessioni ______________________________________________ 43
Allegato 5 – La Chiesa riceve e dona la fede ______________________________________________ 45
Allegato 6 – La mappa del mio “mondo” _________________________________________________ 47
Allegato 7 – Questione di stile __________________________________________________________ 49
Allegato 8 – Film: Alla luce del sole ______________________________________________________ 51
Allegato 9 – Bolletta della luce _________________________________________________________ 53
APPENDICE 1 – Mons. Vincenzo Paglia, Credere ci manda (3 giugno 2014) ______________________ 59
APPENDICE 2 – Relazione sulla Tre giorni diocesana di formazione comune (giugno 2014) __________ 67
APPENDICE 3 – Giovanni Paolo II, Omelia conclusiva GMG Toronto 2002 ________________________ 77
APPENDICE 4 – Vita del Beato don Pino Puglisi ____________________________________________ 81
APPENDICE 5 – Quadri di luce __________________________________________________________ 85
APPENDICE 6 – Proposte celebrative ____________________________________________________ 97
INTRODUZIONE
Siamo giunti alla terza ed ultima articolazione della Lettera pastorale triennale “Sulla Tua Parola”:
“Credere ci manda”.
Come già l’anno scorso, con questo sussidio si è inteso mettere a disposizione innanzitutto dei gruppi
giovanili della diocesi (nonché dei loro animatori e parroci) un cammino che ne sostenga la missionarietà
ed in questo modo “realizzi” l’auspicio di papa Francesco, che nella Esortazione “Evangelii gaudium”
scrive:
106. Anche se non sempre è facile accostare i giovani, si sono fatti progressi in due ambiti: la
consapevolezza che tutta la comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un
maggiore protagonismo. (…) Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare
Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!
Giovani “viandanti della fede” ovvero “testimoni di luce”! “Voi siete il sale della terra” (Mt 5,13), “voi
siete la luce del mondo” (Mt 5,14): l'identità cristiana è da subito relazionale, è essere-per, prende senso
solo nella relazione, così come il sale ha senso solo in relazione ai cibi o la luce rispetto all’ambiente
circostante. Ne consegue che se viene meno la relazione, viene meno l'identità.
Alla luce della Parola costruire relazioni secondo l’Evangelo attraverso una catechesi cherigmatica e
mistagogica, ci suggerisce sempre papa Francesco:
165. Non si deve pensare che nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una
formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più
profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio.
166. Un’altra caratteristica della catechesi, che si è sviluppata negli ultimi decenni, è quella
dell’iniziazione mistagogica. …L’incontro catechistico è un annuncio della Parola ed è centrato
su di essa, ma ha sempre bisogno di un’adeguata ambientazione e di una motivazione attraente,
dell’uso di simboli eloquenti, dell’inserimento in un ampio processo di crescita e
dell’integrazione di tutte le dimensioni della persona in un cammino comunitario di ascolto e di
risposta.
167. È bene che ogni catechesi presti una speciale attenzione alla “via della bellezza” (via
pulchritudinis). Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è
solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo
splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le
espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad
incontrarsi con il Signore Gesù.
A questo fine, ogni scheda è stata costruita secondo una precisa scansione, che è la seguente.
All’inizio si dichiarano con semplicità gli obiettivi.
Poi il primo posto è all’ascolto della Parola dell’Evangelo, letta in se stessa ed alla luce del
magistero della “Evangelii gaudium”.
Quindi, diverse proposte di attività formative attraverso la dinamica di gruppo, il “gioco” e
appunto la via della bellezza (alcuni quadri e un film).
Infine, un invito alla preghiera.
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In appendice, i testi della Tre giorni diocesana di formazione comune del giugno scorso (APPENDICE 2),
a cominciare dalla relazione del vescovo mons. Vincenzo Paglia (APPENDICE 1); la testimonianza di due
santi “moderni” quali san Giovanni Paolo II (APPENDICE 3) e il beato don Pino Puglisi (APPENDICE 4);
infine lo schema di alcune proposte celebrative da utilizzare con i giovani durante l’anno (APPENDICE 6).
Le schede sono, per così dire, “abbondanti”, proprio perché sono affidate al necessario adattamento di
ogni educatore/animatore, che saprà “calarle” sapientemente nella propria realtà.
Riportiamo qui lo specchietto riassuntivo delle 5 schede:
1. VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO
Mandati: l’identità missionaria del discepolo
Mt 5, 13-16
2. ALLA SORGENTE DELLA LUCE
Mandati da chi: la relazione col Dio di Gesù
Gv 8, 12-21.28-30
3. LI MANDO’ A DUE A DUE
Mandati insieme: la relazione ecclesiale
Mt 10, 5-16 (=Mc 6, 7-13)
4. NEL MONDO VENNE LA LUCE
Mandati dove: il contesto a cui si è inviati
Gv 1,1-5.9-14
5. VI MANDO COME AGNELLI
Mandati come: lo stile dell’evangelizzatore
Lc 10, 1-9
L’augurio, per tutti i giovani, è ancora una volta papa Francesco a rivolgerlo, quando scrive, proprio
nell’incipit della “Evangelii gaudium”:
1. La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù.
Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore,
dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia!
Buon gioioso cammino!
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SCHEDE DI CATECHESI
scheda 1
VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO
Mandati: identità missionaria del discepolo
L’OBIETTIVO
Maturare la consapevolezza della costitutiva identità missionaria del cristiano e scoprire nel Vangelo le
fondamenta della testimonianza personale e comunitaria.
LA PAROLA DEL VANGELO
Matteo 5, 13-16
13
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà
salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un
monte, 15 né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e
così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
16
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone
e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
Commento alla Parola
Il nostro brano evangelico si trova nel contesto del discorso della montagna (Mt 5,1-7,28) e
immediatamente dopo le beatitudini. Gesù, maestro e Signore, insegna rivolgendosi con autorità e
audacia ai suoi discepoli, rivelando la loro identità più profonda e svelandone tutte le potenzialità. Se il
discorso della montagna e la magna charta del Regno, è qui che il discepolo è chiamato a maturare i
suoi tratti caratteristici per non correre il rischio di rendere la sua fede "inutile".
Al cristiano è chiesto di essere semplicemente né più né meno di ciò che deve essere: assomigliare il più
possibile al Figlio di Dio. Il compito missionario nasce proprio da questa consapevolezza.
«Voi siete il sale della terra»: la forma verbale non va attenuata: il Maestro non fa auspici, non mostra
eventuali possibilità, ma dichiara «siete», toccando le fibre più profonde del nostro essere. Il sale é ciò
che da sapore, ma anche ciò che preserva dalla corruzione, ciò che aiuta a custodire, a conservare. La
comunità cristiana è sale quando vive e resta fedele alle beatitudini, quando vive del Vangelo e lo
proclama sine glossa, quando è capace di pagare di persona la fedeltà a Dio e all‘uomo, quando e in
grado di anticipare in questo tempo e in questa storia i cieli nuovi e la terra nuova.
«della terra»: i doni di Dio sono fatti all’uomo, ma questi non lo chiudono in una beatitudine che lo
autorizza a estraniarsi dal mondo, anzi! ll senso e il compito della fede non risultano pienamente
sviluppati quando dovesse mancare o venir meno il rapporto col mondo. Al discepolo di Cristo sta a
7
cuore il modo in cui vive il mondo, non lo può lasciar andare alla deriva. La comunità è per la terra, per il
mondo, seppure è solo dal Vangelo che fa dipendere la sua logica e il suo cammino.
«ma se il sale perde il sapore...»; nessuno può dirsi "arrivato" o al sicuro. Il discepolo non deve venir
meno, deve poggiare la sua esistenza non su sabbie mobili, ma sulla solida roccia, su Cristo (cfr. Mt 7,2427). Perdere il proprio sapore è dimenticare il centro attorno a cui far ruotare la propria esistenza;
parafrasando Pier Giorgio Frassati potremmo dire che vivere senza sale non é vivere, ma vivacchiare. E il
segno più eloquente del sale che perde il suo sapore e diviene insignificante per sé e per gli altri è un
cristiano che non ama.
«Voi siete la luce del mondo»: la luce é la prima opera del Creatore (cfr. Gen 1,3); nel Vangelo si dice che
é Gesù la luce vera, quella che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,4-5.9); l’evangelista Matteo vede Gesù
come una grande luce che viene a illuminare quanti sono nelle tenebre e nell’ombra di morte (Mt 4,1217): del Battista si precisa che egli non era la luce, ma solo un testimone della luce. Eppure Gesù dice che
i suoi sono luce. Lumen gentium è Gesù e in Lui la Chiesa potrà essere comunità luminosa chiamata ad
essere tale lungo il pellegrinaggio nella storia fino al giorno senza tramonto quando non ci sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà» (cfr.
Ap 22,4-5).
Col Battesimo siamo diventati anche noi, come Gesù, «luce da luce» (come professiamo nel Credo). Ai
nostri genitori, nel giorno della nostra rinascita dal fonte battesimale è stata affidata la luce come segno
pasquale ed è stato dato il compito di aver cura che i figli «illuminati da Cristo, vivano sempre come figli
della luce».
«Non può restare nascosta una città... [...]risplenda la vostra luce davanti agli uomini[...]vedano le vostre
opere buone»: in queste parole, il Maestro sembra animato da una grande inquietudine. L’umanità,
sembra dirci, non può maledire la vita per colpa vostra. E sono le "opere belle" ad attirare anche nel
buio gli sguardi di tanti che sono assetati di luce. Nessuno deve bestemmiare il Cielo per colpa nostra,
ma a tutti deve essere data la buona possibilità di scoprire la mano provvidente di Dio che di tutti ha
cura.
Gesù non ci invita ad ostentare in maniera farisaica la nostra carità, né e nostro problema preoccuparci
di illuminare: se si è sale e luce, non si può non illuminare e non dare sapore.
A tutti rimane l’esempio di Gesù che nell’ora più buia in quel Venerdì santo sul Calvario, nel massimo del
suo nascondimento, rivelò appieno il Suo amore. Il mondo attende questa luce. Da te, da noi. Forza,
andiamo gente!
LA GIOIA DEL VANGELO
Discepoli missionari ovvero “in uscita”
Evangelii Gaudium (n. 20, 21, 48, 273)
20. Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei
credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la
chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17).
A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Oggi, in questo “andate” di Gesù,
sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti
siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia
il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla
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propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del
Vangelo.
21. La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La
sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr Lc 10,17). La vive
Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i
più piccoli (cfr Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la
predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» (At 2,6) a Pentecoste. Questa gioia è un
segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del
dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre. Il Signore dice:
«Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!»
(Mc 1,38). Quando la semente è stata seminata in un luogo, non si trattiene più là per spiegare meglio o
per fare segni ulteriori, bensì lo Spirito lo conduce a partire verso altri villaggi.
48. Se la Chiesa intera assume questo dinamismo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Però
chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non
tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e
dimenticati, «coloro che non hanno da ricambiarti» (Lc 14,14). Non devono restare dubbi né sussistono
spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre, «i poveri sono i destinatari
privilegiati del Vangelo»,*52+ e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che
Gesù è venuto a portare. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la
nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli.
273. La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso
togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso
sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo
mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di
illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro
nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli
altri. Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria vita privata, tutto diventa
grigio e andrà continuamente cercando riconoscimenti o difendendo le proprie esigenze. Smetterà di
essere popolo.
LE ATTIVITÀ FORMATIVE
1 – COSA ILLUMINA LA TUA VITA?
Al gruppo si propone di andare a intervistare alcuni giovani della parrocchia e/o del quartiere
chiedendo: «Cosa illumina la tua vita?» e «E tu, che cosa illumini?».
Questa attività può essere utilizzata per introdurre successivamente una discussione sulle diverse luci
che orientano oggi la vita e le scelte dei giovani.
Come attraverso un prisma, ogni partecipante al gruppo si interrogherà sulle sue "luci", cercando di
scorgerne tutti gli elementi costitutivi. Scindere la luce, infatti, significa analizzare i diversi colori che la
compongono, da quelli più chiari a quelli più scuri. Significa scoprire da dove nasce la luce che ci guida
per capire in che direzione stiamo andando, verso cosa e verso chi.
Sarà interessante verificare quanto ciascun giovane sia consapevole di poter essere egli stesso luce che
illumina la strada di altri.
9
Alcune possibili domande:
Qual è il tipo di luce che ti caratterizza? Questa luce la vedi solo tu o la notano anche gli altri?
Ti impegni ad essere luce per gli altri? O invece fai un po’ di ombra?
Cosa condiziona l’”intensità” della tua luce?
Quali sono gli ostacoli che le impediscono di irradiarsi?
2 – QUANTO ILLUMINI?
Viene proposto un test per "valutare" la luminosità della propria testimonianza (ALLEGATO 1).
Successivamente il gruppo cerca di individuare tutte le caratteristiche (somatiche, caratteriali,
comportamentali, ecc.) del "testimone ideale", prendendo spunto dalle risposte al test, che possono
mettere in luce punti di vista diversi. Si può realizzare un cartellone riportando questi tratti. Una volta
delineato un profilo, ogni partecipante sarà poi chiamato a confrontarsi, individuando i punti sui quali
lavorare per essere davvero lampade "sopra il moggio". Infine ci si confronta su cosa concretamente il
gruppo possa fare per aiutare tutti i suoi componenti a diventare testimoni sempre più luminosi.
3 – I SANTI ILLUMINANO
Ci lasciamo illuminare dalla luce di alcuni santi contemporanei: il papa San Giovanni Paolo II e il beato
don Pino Puglisi. In appendice sono riportati alcuni passi del discorso di Giovanni Paolo II in occasione
della XVII Giornata Mondiale della Gioventù (Toronto 2002) dal tema “Voi siete il sale della terra… Voi
siete la luce del mondo” (APPENDICE 3) e una scheda sulla vita di don Pino Puglisi (APPENDICE 4).
La testimonianza delle parole, dei fatti e della vita stessa di questi santi offrono diversi spunti per una
riflessione di cosa voglia dire “essere luce di Cristo”, che può essere utilizzata per animare anche altri
incontri durante l’anno.
LA PREGHIERA
E saremo contagiosi della gioia.
Poiché le tue parole, mio Dio, non son fatte
per rimanere inerti nei nostri libri,
ma per possederci
e per correre il mondo in noi,
permetti che, da quel fuoco di gioia
da te acceso, un tempo, su una montagna,
e da quella lezione di felicità,
qualche scintilla ci raggiunga e ci possegga,
ci investa e ci pervada.
Fa’ che, come “fiammelle nelle stoppie”,
corriamo per le vie della città,
e fiancheggiamo le onde della folla,
contagiosi di beatitudine, contagiosi della gioia…
Madeleine Delbrel
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scheda 2
ALLA SORGENTE DELLA LUCE
Mandati da chi: la relazione col Dio di Gesù
L’OBIETTIVO
Coltivare una relazione personale, quotidiana e creativa con Gesù, Luce del mondo, che abita in noi
come Sorgente inesauribile.
LA PAROLA DEL VANGELO
Gv 8, 12-21.28-30
12
Di nuovo Gesù parlò loro e disse: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". 13Gli dissero allora i farisei: "Tu dai
testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera". 14Gesù rispose loro: "Anche
se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono
venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate
secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero,
perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta
scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me
stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me". 19Gli dissero
allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre mio; se
conosceste me, conoscereste anche il Padre mio". 20Gesù pronunciò queste parole nel
luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era
ancora venuta la sua ora.
21
Di nuovo disse loro: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove
vado io, voi non potete venire".
28
Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che
Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato.
29
Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le
cose che gli sono gradite".
30
A queste sue parole, molti credettero in lui.
Commento alla Parola
Dall’Omelia 34, n.2-3 di Sant’Agostino
L'affermazione del Signore: Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12), ritengo sia chiara a quanti hanno occhi
che consentono loro di venire a contatto con questa luce; chi invece possiede soltanto gli occhi della
carne, rimane sorpreso di fronte all'affermazione del Signore Gesù Cristo: Io sono la luce del
mondo. Probabilmente non manca chi tra sé dice: forse Cristo Signore è questo sole che, sorgendo e
tramontando, segna il giorno? Non sono mancati infatti degli eretici che così hanno pensato. I Manichei
11
hanno creduto che Cristo Signore fosse questo sole, visibile agli occhi di carne, che apertamente
compare alla vista non solo degli uomini, ma anche degli animali. Ma la retta fede della Chiesa cattolica
riprova tale invenzione e sa che è un insegnamento del diavolo. E non soltanto lo sa per fede, ma lo
dimostra anche, a chi può, con argomenti di ragione. Respingiamo, dunque, tale errore, che la santa
Chiesa condannò fin dall'inizio. Non dobbiamo pensare che il Signore Gesù Cristo sia questo sole che
vediamo nascere in oriente e tramontare in occidente, al cui corso segue la notte, i cui raggi vengono
coperti dalle nubi e che con determinati movimenti si sposta da un luogo ad un altro. Non è questo
Cristo Signore! Non è Cristo Signore un sole creato, ma colui per mezzo del quale il sole è stato
creato. Tutto - infatti - per mezzo di lui è stato creato, e senza di lui niente è stato creato (Gv 1, 3).
Egli è, dunque, la luce che ha creato quella che vediamo. Amiamola, questa luce, aneliamo alla sua
comprensione, siamone assetati, affinché, sotto la sua guida, possiamo finalmente pervenire ad essa e
vivere in essa, così da non morire mai più. Questa è la luce di cui un'antica profezia in un salmo ha
cantato: Salverai gli uomini e gli animali, o Signore; secondo l'abbondanza della tua misericordia, o
Dio (Sal 35, 7-8). Son parole del salmo ispirato. E notate come l'antico Testamento si esprime a
proposito di questa luce: Tu salverai, o Signore, gli uomini e gli animali; secondo l'abbondanza della tua
misericordia, o Dio. Siccome tu sei Dio e la tua misericordia è molteplice, questa tua misericordia si
estende, non solo agli uomini che hai creato a tua immagine, ma anche agli animali che hai sottomesso
agli uomini. Da chi dipende la salute degli uomini, dipende anche la salute degli animali. Non vergognarti
di pensare così del Signore Iddio tuo; anzi sii sicuro, fidati, e guardati dal pensare in modo diverso. Chi dà
la salute a te, la dà anche al tuo cavallo, alla tua pecora e, giù giù, fino alla tua gallina. Dal Signore viene
la salvezza (Sal 3, 9), e Dio dà la salute anche a queste cose. Vedo che sei perplesso, che hai dei dubbi,
ed io mi stupisco dei tuoi dubbi. Disdegnerà di salvare, colui che si è degnato di creare? Dal Signore
viene la salvezza degli angeli, degli uomini, degli animali: dal Signore viene la salvezza. Come nessuno ha
l'essere da sé, così nessuno si salva da sé; per cui con piena verità e ottimamente il salmo dice: Salverai,
o Signore, gli uomini e gli animali. E perché? Perché molteplice è la tua misericordia, o Dio. Siccome tu
sei Dio e mi hai creato, tu mi salvi; tu che mi hai dato l'essere, mi dai di essere sano.
LA GIOIA DEL VANGELO
L'incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva
Evangelii Gaudium (n. 264, 267, 9, 11, 12)
264. La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di
essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la
necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso
desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad
affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro
cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto,
lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in
cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce
è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai
suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare
la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi
lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è
contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo
modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno
spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che
umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri.
12
267. Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama. In definitiva, quello che
cerchiamo è la gloria del Padre, viviamo e agiamo «a lode dello splendore della sua grazia» (Ef 1,6). Se
vogliamo donarci a fondo e con costanza, dobbiamo spingerci oltre ogni altra motivazione. Questo è il
movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto. Si tratta
della gloria del Padre, che Gesù ha cercato nel corso di tutta la sua esistenza. Egli è il Figlio eternamente
felice con tutto il suo essere «nel seno del Padre» (Gv 1,18). Se siamo missionari è anzitutto perché Gesù
ci ha detto: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto» (Gv 15,8). Al di là del fatto
che ci convenga o meno, che ci interessi o no, che ci serva oppure no, al di là dei piccoli limiti dei nostri
desideri, della nostra comprensione e delle nostre motivazioni, noi evangelizziamo per la maggior gloria
del Padre che ci ama.
9. San Paolo: «L’amore del Cristo ci possiede» (2 Cor 5,14); «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1
Cor 9,16).
11. Un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche ai tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fede
e una fecondità evangelizzatrice. In realtà, il suo centro e la sua essenza è sempre lo stesso: il Dio che ha
manifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto. Egli rende i suoi fedeli sempre nuovi,
quantunque siano anziani, riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi» (Is 40,31). … La Chiesa non cessa di stupirsi per «la profondità della
ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio» (Rm 11,33). … Egli sempre può, con la sua novità,
rinnovare la nostra vita e la nostra comunità, e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ecclesiali,
la proposta cristiana non invecchia mai. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali
pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che
cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade,
metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato
per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”.
12. Sebbene questa missione ci richieda un impegno generoso, sarebbe un errore intenderla come un
eroico compito personale, giacché l’opera è prima di tutto sua, al di là di quanto possiamo scoprire e
intendere. Gesù è «il primo e il più grande evangelizzatore».[9] In qualunque forma di evangelizzazione
il primato è sempre di Dio, che ha voluto chiamarci a collaborare con Lui e stimolarci con la forza del suo
Spirito. La vera novità è quella che Dio stesso misteriosamente vuole produrre, quella che Egli ispira,
quella che Egli provoca, quella che Egli orienta e accompagna in mille modi. In tutta la vita della Chiesa si
deve sempre manifestare che l’iniziativa è di Dio, che «è lui che ha amato noi» per primo (1 Gv 4,10) e
che «è Dio solo che fa crescere» (1 Cor 3,7).
LE ATTIVITÀ FORMATIVE
1 – UNA REGOLA DI VITA
Questa attività si può svolgere in due momenti.
Dapprima è opportuno che i giovani riflettano sull'importanza delle "regole" per una vita che sia
realmente una vita nello Spirito. Utilizzando lo schema ALLEGATO 2, ciascuno può individuare alcune
attività che svolge nella propria settimana, associando ad esse le regole che le caratterizzano e come
riesce a esprimersi in quelle situazioni. Ogni riflessione personale può essere poi condivisa con il gruppo.
A questo punto l'educatore potrà far notare come le regole siano fondamentali per lo svolgimento di
ogni specifica attività, non imbrigliano ma anzi aiutano ciascuno ad esprimere al meglio le proprie
potenzialità senza disperderle invano (ad es. nell’ambito sportivo).
13
Si passa poi a riflettere sul funzionamento analogo della vita secondo lo Spirito: senza regole, senza un
ordine nelle cose, senza priorità si perde e i propri talenti rimangono inespressi. Diventa importante,
allora, darsi una regola che non diventi "incasellamento", ma strada verso la libertà e la verità della
propria vita, perché è regola di vita, cioè un atteggiamento, uno stile che coinvolge tutti gli ambiti di
impegno per passare in progressione dal "chi sono" al "chi voglio essere" e, infine, al "chi sono chiamato
ad essere".
Alcune possibili domande:
Negli ambiti in cui operi ci sono regole? Ne cambieresti qualcuna?
Ti sei mai dato delle regole? Pensi che vivresti meglio senza?
Che giovane vuoi essere? Quale meta vuoi raggiungere?
Vuoi crescere in amicizia con Gesù? Che regole darsi per alimentare questa amicizia?
2 – LUCE DA LUCE
In questa attività si vuole mettere in risalto la ricchezza della preghiera sia personale che comunitaria e
l’importanza nell’educarsi a definire tempi di preghiera personale prefissati affinché la preghiera non sia
solo evento sporadico o legato all'aspetto emozionale della propria vita, ma diventi cibo quotidiano per
la vita nello Spirito.
L'attività proposta può essere suddivisa in 3 parti complementari, ma indipendenti: l'educatore in
questa tappa potrà partire dalle domande: «Perché pregare? Come pregare?», che esprimono la
necessità di definire la preghiera non tanto astrattamente, quanto vivendola nella propria realtà di
gruppo e con una particolare attenzione personale a tutti i giovani. Come spunto di riflessione si può
fare riferimento a Enzo Bianchi, Perché pregare, come pregare, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo
2009 (estratti nell’ALLEGATO 3).
Una seconda parte può essere quella di presentare quelle che sono le forme di preghiera presenti nella
propria comunità (liturgia delle ore, rosario, celebrazioni comunitarie, adorazioni, Eucaristia, ecc.). Per
comprendere il valore di tali esperienze, si può incontrare il parroco o un laico impegnato in parrocchia
nell'animazione liturgica.
Nella terza parte si può approfondire con i giovani del gruppo l'aspetto personale della preghiera. Le
modalità con cui ognuno vive questo momento, i tempi preferiti, le difficoltà incontrate, i passi avanti
fatti nel corso degli anni, ecc, facendo emergere la necessità di un equilibrio tra preghiera personale e
preghiera nella comunità.
3 – L‘INQUIETUDINE SORPRENDENTE
L’attività ha come obiettivo di aiutare i giovani a scoprire che le inquietudini sono un modo in cui il
Signore chiama a dare risposte serie alla nostra vita. Ci facciamo guidare da una delle tante figure
magistrali nella tradizione della Chiesa che hanno saputo ascoltare l’inquietudine del proprio cuore fino
ad arrivare a Dio: Sant’Agostino di Ippona.
Al gruppo si possono far leggere alcune frasi tratte dalle sue Confessioni (ALLEGATO 4), parlarne insieme
e presentarne poi la vita vivace e turbata.
È importante stimolare i giovani a ricercare dentro di sé le proprie inquietudini e le proprie passioni e a
condividerle poi con il gruppo. Successivamente si cercherà di comprendere come questi sentimenti
influiscono sul nostro rapporto con Dio.
Possibili domande:
C’è un ambito della tua vita in cui sei particolarmente sensibile? Che cosa più ti fa sussultare il
cuore? C’è qualcosa di cui sei alla ricerca? Stai aspettando anche tu un segnale?
C’è una persona a cui confidi le tue inquietudini? Apri ma il tuo cuore o hai paura di quello che
contiene? Ne parli mai con Dio nella preghiera?
14
4 – TESTIMONI DI LUCE
Per relazionarsi integralmente con il Signore occorre una purificazione del cuore che non si improvvisa,
ma va curata e alimentata quotidianamente.
Come primo passaggio di questa attività, il gruppo potrà essere accompagnato (o inviterà alcuni
testimoni della propria comunità preparati sul tema) a conoscere lo stile di vita ed episodi significativi, di
alcune realtà che vivono quotidianamente l'affidarsi a Dio, mettendolo al centro della loro vita fino al
punto di affidarsi totalmente alla Provvidenza.
Si possono invitare alcuni testimoni (un seminarista, un giovane prete, una coppia di sposi, un
missionario, ecc.) o andare a visitare alcune realtà di preghiera (un convento, una casa di spiritualità,
ecc.). Sarà importante dall'incontro con queste persone far emergere il percorso che ha portato loro
stessi (ed eventualmente la loro comunità) fino a questo grado di fiducia, facendo emergere le difficoltà
e la gioia di una scelta così evangelica.
I giovani vengono così invitati a prendere coscienza che il discernimento è un dono dello Spirito e si
esprime in una coscienza che, facendosi interrogare dalla Parola, diviene in grado di interpretare
criticamente, di pensare, riflettere.
LA PREGHIERA
Facci giungere a te
Dio onnipotente, eterno, giusto e misericordioso,
concedi a noi, miseri, di fare, per la tua grazia,
tutto quello che sappiamo che tu vuoi
e di volere sempre ciò che a te piace,
affinché, purificati dal male,
illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo,
possiamo seguire le tracce del Figlio tuo,
Signore nostro Gesù Cristo.
E fa' che, attratti unicamente dalla tua grazia,
possiamo giungere a te, Altissimo;
tu che vivi e regni glorioso nella Trinità perfetta
e nella semplice unità,
o Dio onnipotente,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
San Francesco
15
16
scheda 3
LI MANDÒ A DUE A DUE
Mandati insieme: la relazione ecclesiale
L’OBIETTIVO
Farsi prossimi, personalmente e come gruppo, annunciando la novità di relazioni fraterne improntate al
Vangelo.
LA PAROLA DEL VANGELO
Matteo 10, 5-16
5
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: "Non andate fra i pagani e non
entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa
d'Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli
infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date. 9Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre
cinture, 10né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora
ha diritto al suo nutrimento.
11
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché
non sarete partiti. 12Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13Se quella casa ne è degna,
la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. 14Se
qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o
da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. 15In verità io vi dico: nel giorno del
giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città.
16
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e
semplici come le colombe.
Commento alla Parola
Siamo nel discorso missionario. Un discorso ricco di fiducia verso i discepoli che da allora in poi saranno
in cammino col Vangelo nel cuore, sulle labbra e tra le mani. Infatti il Maestro aveva trasmesso loro
tutto quello che era necessario per andare in giro per il mondo con passione e con entusiasmo per
raccontare una Bella Notizia: il Regno é vicino, anzi é in mezzo a noi! Una notizia che in tanti
aspettavano, stanchi ormai delle prediche, degli ordini da rispettare... Oggi, proprio noi siamo inviati a
portare questa Notizia Bella, a dire parole che facciano sentire che Dio e davvero buono, a compiere
gesti che facciano vedere che Dio cammina per le stanze di casa nostra.
Può essere che uno dei discepoli abbia chiesto a Gesù da chi e come cominciare. Sicura-mente Gesù,
senza esitare un attimo, avrà fatto la lista e le raccomandazioni per i più poveri ed emarginati, per coloro
che il Regno lo aspettavano (...e lo aspettano!) veramente. Il Regno e innanzitutto per loro. La
17
predicazione e l`annuncio che passa attraverso la testimonianza é una proposta di bene per la vita di
tutti e ancor più per chi e povero, e povero in spirito. È una proposta fatta non di parole, ma di opere
che salvano, che guariscono, che ridanno la vista, che fanno camminare, che ridanno vita. «Guarite gli
infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Non le parole, ma i fatti fanno
crescere il Regno.
È questo fare che ti rende oggi vero discepolo. È questo fare che oggi rende visibile e vicino il regno di
Dio. Un Regno vicino, non solo nel senso temporale dell’essere ora qui; ma ancor più nel senso spaziale
perché non é altrove, non é nel tempio dei "perfettini", non é nelle nicchie delle nostre devozioni, non e
sull’altare delle belle parole, ma é qui, proprio qui dove vive ogni uomo, dove soffre e gioisce ogni
persona. È questo il prodigio, il miracolo che tutti cercano e che il buon discepolo deve saper compiere.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date»: gratuitamente, un avverbio tutto speciale,
scomparso dai vocabolari di chi segue i criteri di questo tempo. L’unico interesse che Gesù ci chiede di
coltivare é di essere annunciatori, per questo non c’e tempo di fare fagotto, non c’e voglia di pensare a
cosa portare con se. Quando si va in vacanza, ci si organizza con i bagagli, si pianifica il cammino, si
calcola il tempo". ma nel viaggio di chi annuncia c’é solo una preoccupazione: non perdere occasioni,
non sprecare opportunità! E con assoluta gratuita... in qualunque città o villaggio entriate! Ogni fratello,
ogni sorella mi stanno a cuore.
Il discepolo va anche incontro alla persecuzione, al fallimento, alla derisione, all’indifferenza... forte solo
di una cosa: io vi mando, dice Gesù indica sicurezza, certezza, ma anche protezione. Io vi mando: fidatevi
di chi vi manda, non portatevi troppe provviste, sganciatevi dalle preoccupazioni di come andrà a finire.
Io vi mando: una vera e propria garanzia che sarà capace in tutti i tempi di colmare ogni debolezza, di
spianare la strada. Una Forza che spinge oltre le proprie capacita, perche si é veri discepoli non peri
progetti che si é capaci di attuare, ma solo per la strada che si é percorsa annunciando.
«Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani»:e un’indicazione precisa che limita e
orienta i discepoli. Ma più che un limitare, a Gesù sta a cuore attenersi alla volontà del Padre che é
quella di salvare dapprima le pecore perdute della casa di Israele. E oggi questa indicazione di Gesù
indica sicuramente il prendersi reciprocamente cura della fede di chi condivide già con noi il cammino,
ma e pure una forte provocazione perché ci impegna a non contare il numero delle iniziative che
facciamo o il numero delle persone che raggiungiamo, ma a fare la volontà di Dio, e non nostra o dei
nostri progetti pastorali. Proviamo a chiederci qual è questa volontà di Dio. Verso quale ovile ci chiede di
andare? Quali malattie dobbiamo oggi curare e quali morti dobbiamo risuscitare? Quando siamo
testimoni della vicinanza del Regno? Eccomi, Gesù perché ho tanto ricevuto e tutto voglio dare. Tutto,
perché sino a quando non avrò dato tutto, so di non aver dato nulla... questo e il mio sogno per il Regno!
LA GIOIA DEL VANGELO
Il piacere spirituale di essere popolo
Evangelii Gaudium (n. 268, 269)
268. La Parola di Dio ci invita anche a riconoscere che siamo popolo: «Un tempo voi eravate non-popolo,
ora invece siete popolo di Dio» (1 Pt 2,10). Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare
il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di
una gioia superiore. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo
popolo. Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e
ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello
sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo. Così
riscopriamo che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato. Ci prende in
mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa
appartenenza.
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269. Gesù stesso è il modello di questa scelta evangelizzatrice che ci introduce nel cuore del popolo.
Quanto bene ci fa vederlo vicino a tutti! Se parlava con qualcuno, guardava i suoi occhi con una
profonda attenzione piena d’amore: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò» (Mc 10, 21). Lo vediamo
aperto all’incontro quando si avvicina al cieco lungo la strada (cfr Mc 10,46-52) e quando mangia e beve
con i peccatori (cfr Mc 2,16), senza curarsi che lo trattino da mangione e beone (cfr Mt 11,19). Lo
vediamo disponibile quando lascia che una prostituta unga i suoi piedi (cfr Lc 7,36-50) o quando riceve di
notte Nicodemo (cfr Gv 3,1-15). Il donarsi di Gesù sulla croce non è altro che il culmine di questo stile
che ha contrassegnato tutta la sua esistenza. Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a fondo nella
società, condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e
spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia, piangiamo con quelli
che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri. Ma
non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie
di gioia e ci conferisce identità.
Essere Chiesa: Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo
Evangelii Gaudium (n. 111, 113, 114)
111. L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di
una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta
certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in
un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione
istituzionale. Propongo di soffermarci un poco su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo
ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio.
113. Questa salvezza, che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti,[82] e Dio ha
dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli
come popolo e non come esseri isolati.[83] Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né
con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali
che comporta la vita in una comunità umana. Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa.
Gesù non dice agli Apostoli di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: «Andate e fate
discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa «non c’è
Giudeo né Greco... perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Mi piacerebbe dire a quelli che si
sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama
anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!
114. Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre.
Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza
di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino,
che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della
misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere
secondo la vita buona del Vangelo.
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LE ATTIVITÀ FORMATIVE
1 – LA BELLEZZA DELLA COMUNIONE
I cristiani non vivono come tante fiammelle separate, ma si alimentano a vicenda come un grande fuoco,
nel quale trovano la loro fede e la loro identità di credenti. Vale la pena aprirsi agli altri, uscire dalle
mura delle nostre sale e scoprire che non siamo soli.
Si propone allora di incontrare altre realtà che vivono nelle parrocchie o all'interno del tessuto
territoriale diocesano, prima fra tutte la Pastorale Giovanile, ma anche i vari movimenti, per conoscersi
e raccontarsi attraverso attività, riflessioni, condivisione o preghiera. Ad esempio, si può pensare un
incontro dove vari gruppi di coetanei si raccontano la propria esperienza di fede (alcune domande: cos’è
per te la fede? quali sono le fatiche del credere? hai mai avuto momenti di crisi? come li hai superati?
chi ti ha aiutato?); oppure condividere semplicemente un momento di festa a tema; o ancora
strutturare e vivere un momento di preghiera comunitario (ad esempio con un gesto che prevede la luce
e il fuoco, oppure seguendo lo schema di una delle celebrazioni allegate).
2 – LA CHIESA CHE SOGNO
Si propone ai giovani di mettere a nudo le proprie sensazioni e il proprio modo di sentirsi appartenenti
alla Chiesa. Ognuno di noi, forse, ha qualcosa che non condivide della Chiesa, qualche scelta, qualche
idea, qualche linea guida, qualche prassi. I giovani, in particolare, spesso vivono con pesantezza alcune
indicazioni, sentendole a volte forzature. È bene approfondire gli apparenti dissensi che spesso nascono
da pregiudizi e mancanza di conoscenza.
Il gruppo giovani potrebbe confrontarsi sulla realtà della Chiesa oggi e della propria parrocchia
accompagnati da alcune domande:
Cosa ti piace della tua parrocchia? Cosa vorresti cambiare?
Quali aspetti fai fatica a comprendere e ad accettare?
Che parrocchia sogni? Quali sono le proposte che vorresti venissero attuate?
Successivamente ci si può interrogare su come si può attuare questo sogno, su come prendersi cura di
questa Chiesa, che in fin dei conti è la nostra famiglia, la nostra casa:
Cosa posso fare io in concreto per migliorare questa Chiesa?
In fondo, voglio bene al mio gruppo, al mio parroco, alla mia comunità?
3 – LA CATENA
La fede è un atto personale ma non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno
può vivere da solo. Infatti nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è
dato l’esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da altri e ad altri la deve trasmettere. Ognuno è come un
anello nella grande catena dei credenti: io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri
e con la mia fede contribuisco a sostenere quella degli altri.
Utilizzando come traccia per l’incontro la scheda ALLEGATO 5, si propone di far pensare ai giovani una
persona che per loro è stata significativa per la trasmissione della fede (i genitori, un fratello maggiore,
la nonna, un catechista, il vecchio parroco, ecc.). Successivamente si condividono le esperienze.
Alcune domande:
Che cosa ti ha colpito di questa persona? Se non l’avessi incontrata oggi ti diresti credente?
Secondo te, a chi potresti essere ugualmente importante nella trasmissione della fede? Per chi
potresti essere un esempio?
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LA PREGHIERA
Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi;
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da Te:
nulla sarà merito mio.
Sarai Tu a risplendere,
attraverso di me, sugli altri.
Fa' che io Ti lodi così,
nel modo che Tu più gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro
che sono intorno a me.
Da' luce a loro e da' luce a me;
illumina loro insieme a me e attraverso di me.
Insegnami a diffondere la Tua lode,
la Tua verità, la Tua volontà.
Fa' che io ti annunci non con le parole
ma con l'esempio,
con quella forza attraente,
quella influenza solidale
che proviene da ciò che faccio,
con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,
e con la chiara pienezza dell'amore
che il mio cuore nutre per Te.
J.H. Newman
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22
scheda 4
NEL MONDO VENNE LA LUCE
Mandati dove: il contesto a cui si è inviati
L’OBIETTIVO
Aprire gli occhi sulla realtà e viverla come sfida, proprio nella sua complessità ed ambiguità.
LA PAROLA DEL VANGELO
Giovanni 1,1-5.9-14
1
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2
Egli era, in principio, presso Dio:
3
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
9
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
11
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
12
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
23
Commento alla Parola
Giovanni colloca il Verbo in Dio, presentandone la preesistenza eterna, l'intimità di vita con il Padre e la
sua natura divina. Il termine "Verbo" ha come sottofondo la letteratura sapienziale e il tema biblico della
parola di Dio nell'Antico Testamento, dove sia la Sapienza che la Parola vengono presentate come
"persona" legata a Dio e mandata da Dio nel mondo per orientarlo verso la vita. Il Verbo è forza che
crea, rivelazione che illumina, persona che comunica la vita di Dio.
Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo del Verbo nella creazione
dell'universo e nella storia della salvezza: "Tutto accadde per mezzo di lui e senza di lui non accadde
nulla (v.3). Il Verbo spinge tutte le cose all'essere e alla salvezza in quanto esse partecipano alla
comunione di vita con lui. Tutta la storia appartiene a lui. Tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di
Gesù di Nazaret.
Ogni uomo è fatto per la luce ed è chiamato ad essere illuminato dal Verbo con la luce eterna di Dio, che
è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e
le tenebre lottano per eliminarla. Tuttavia l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla
parola di Gesù-Verbo, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere.
Gesù è la luce autentica e perfetta che appaga le aspirazioni umane; la sola che dà senso a tutte le altre
luci che appaiono nella scena del mondo. Questa luce divina illumina ogni uomo che nasce in questo
mondo. E' la luce che si offre nell'intimo di ogni essere come presenza, stimolo e salvezza.
Gesù-Verbo, presente tra gli uomini con la sua venuta, è vicino ad ogni uomo. Benché fosse già nel
mondo come creatore e come centro della storia, "il mondo non lo riconobbe" (v.10), cioè gli uomini
non hanno creduto nel Verbo incarnato e nella sua missione di salvatore.
Al rifiuto del mondo, Giovanni ne aggiunge un altro ancora più grave: "E' venuto tra la sua gente e i suoi
non l'hanno accolto" (v.11). In altri termini: la Parola del Signore è venuta nel popolo ebraico, ma Israele
l'ha respinta. E' presente qui il lungo cammino dell'umanità che, nonostante il progetto di amore e di
vita voluto da Dio, ha perso col peccato l'orientamento di tutto il suo essere e non ha riconosciuto il
piano amoroso e salvifico di Dio.
Se il comportamento dell'umanità, e in particolare quello d'Israele, è stato di netto rifiuto di GesùVerbo, tuttavia, un gruppo di persone, un "resto di Israele", l'ha accolto e ha dato una risposta positiva
al suo messaggio, stabilendo un nuovo rapporto con Dio: "A quanti l'hanno accolto, ha dato il potere di
diventare figli di Dio" (v.12). Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella sua persona divina
diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani.
Questo dono della figliolanza divina si accoglie credendo nel Cristo e approfondendo la nostra vita di
fede in lui. Accogliere il Verbo significa "credere nel nome" di Gesù, ossia aderire pienamente alla sua
persona, impegnare la propria vita al suo servizio.
Il versetto 14 è come la sintesi di tutto l'inno: si afferma solennemente l'incarnazione del Figlio di Dio. Il
vangelo afferma che "il Verbo divenne carne", cioè che la Parola si è fatta uomo, nella sua fragilità e
impotenza come ogni creatura, nascendo da una donna, Maria. E' questo l'annuncio da credere per
essere salvati: "Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non
riconosce Gesù, non è da Dio" (1Gv 4,2-3).
L'espressione "e pose la sua tenda in mezzo a noi" sottolinea lo scopo dell'incarnazione: Dio dimora con
il suo popolo stabilmente e per sempre (cfr Ap 7,15). La sua presenza è nella vita stessa dell'uomo e
nella carne visibile di Gesù (cfr Gv 2,19-22).
I discepoli hanno contemplato nella fede il mistero di Gesù-Verbo, cioè la gloria che egli possiede come
Unigenito venuto da presso il Padre (v. 14). Gesù è la rivelazione di Dio, ma in un modo nascosto e
umile. Nel vangelo di Giovanni la gloria del Signore è qualcosa di interiore che solo l'uomo di fede può
comprendere. La "gloria" di Cristo è la verità del suo mistero: la rivelazione nell'uomo-Gesù del Figlio di
Dio venuto da presso il Padre.
La "grazia della verità" (v.14) nel linguaggio biblico è il dono della rivelazione che Dio ha offerto
all'uomo. La verità, in Giovanni, indica la rivelazione piena e perfetta della vita divina. Il Verbo incarnato
è "pieno della verità", ossia è tutto quanto rivelazione. Gesù è "la verità" (Gv 14,6) ossia la rivelazione
definitiva e totale. E questa verità è la "grazia" del Padre, il dono supremo che ci ha fatto il Padre.
Tutta la vita di Gesù è manifestazione di Dio, ma per l'evangelista il momento centrale in cui si manifesta
la gloria di Dio un tutta la sua potenza è la croce: l'innalzamento di Gesù è la sua glorificazione. Può
24
sembrare paradossale dire che la croce è la glorificazione, ma tutto diventa luminoso se pensiamo che
Dio è amore (1Gv 4, 8) e la sua manifestazione è dunque là dove appare l'Amore. E' sulla croce che
l'amore di Dio rifulge in tutta la sua penetrante luce e pienezza.
I credenti sono coloro che hanno ricevuto "dalla pienezza" ( v.16) di Gesù-Verbo il dono della
rivelazione, che sostituisce ormai quella della legge antica. Ogni credente può attingere a piene mani da
questa fonte di vita ed essere partecipe del dono della verità che è in Gesù. La vita di figlio di Dio entra
nell'uomo mediante la fede. Il Figlio di Dio infatti si è fatto uomo per rendere tutti gli uomini partecipi
della sua realtà di Figlio e introdurli nella vita di Dio.
LA GIOIA DEL VANGELO
Il nostro contesto culturale
Evangelii Gaudium (n. 50, 52, 55, 56, 61, 62, 63, 64, 65)
50. Prima di parlare di alcune questioni fondamentali relative all’azione evangelizzatrice, conviene
ricordare brevemente qual è il contesto nel quale ci tocca vivere ed operare. Oggi si suole parlare di un
“eccesso diagnostico”, che non sempre è accompagnato da proposte risolutive e realmente applicabili.
D’altra parte, neppure ci servirebbe uno sguardo puramente sociologico, che abbia la pretesa di
abbracciare tutta la realtà con la sua metodologia in una maniera solo ipoteticamente neutra ed
asettica. Ciò che intendo offrire va piuttosto nella linea di un discernimento evangelico. È lo sguardo del
discepolo missionario che «si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo».[53]
52. L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si
producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone,
per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia
dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana
precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si
impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere
frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’iniquità diventa sempre più
evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo cambiamento
epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e accumulazione, si
verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in
diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di
nuove forme di un potere molto spesso anonimo.
55. Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro,
poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che
attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione
del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es
32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una
economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e
l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento
antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo.
56. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano
sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che
difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di
controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia
invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole.
Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i
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cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione
fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce
limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che
sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in
regola assoluta.
61. Evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possano presentarsi.[56]
A volte queste si manifestano in autentici attacchi alla libertà religiosa o in nuove situazioni di
persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza.
In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista, connessa con la disillusione e la
crisi delle ideologie verificatasi come reazione a tutto ciò che appare totalitario. Ciò non danneggia solo
la Chiesa, ma la vita sociale in genere. Riconosciamo che una cultura, in cui ciascuno vuole essere
portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un
progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali.
62. Nella cultura dominante, il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile,
veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza. In molti Paesi, la globalizzazione ha
comportato un accelerato deterioramento delle radici culturali con l’invasione di tendenze appartenenti
ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite. Così si sono espressi in diversi
Sinodi i Vescovi di vari continenti. I Vescovi africani, ad esempio, riprendendo l’Enciclica Sollicitudo rei
socialis, alcuni anni fa hanno segnalato che molte volte si vuole trasformare i Paesi dell’Africa in semplici
«pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel campo dei
mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più gestiti da centri del Nord del mondo, non
sempre tengono in debita considerazione le priorità e i problemi propri di questi paesi né rispettano la
loro fisionomia culturale».[57] Allo stesso modo, i Vescovi dell’Asia hanno sottolineato «le influenze che
dall’esterno vengono esercitate sulle culture asiatiche. Stanno emergendo nuove forme di
comportamento che sono il risultato di una eccessiva esposizione ai mezzi di comunicazione [...]
Conseguenza di ciò è che gli aspetti negativi delle industrie dei media e dell’intrattenimento minacciano
i valori tradizionali».[58]
63. … è necessario che riconosciamo che, se parte della nostra gente battezzata non sperimenta la
propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco accoglienti in
alcune delle nostre parrocchie e comunità, o a un atteggiamento burocratico per rispondere ai
problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli. In molte parti c’è un predominio dell’aspetto
amministrativo su quello pastorale, come pure una sacramentalizzazione senza altre forme di
evangelizzazione.
64. Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo. Inoltre,
con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento
del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad
un disorientamento generalizzato, specialmente nella fase dell’adolescenza e della giovinezza, tanto
vulnerabile dai cambiamenti. Come bene osservano i Vescovi degli Stati Uniti d’America, mentre la
Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti, «ci sono coloro che presentano
questo insegnamento, come ingiusto, ossia opposto ai diritti umani basilari. Tali argomentazioni
scaturiscono solitamente da una forma di relativismo morale, che si unisce, non senza inconsistenza, a
una fiducia nei diritti assoluti degli individui. In quest’ottica, si percepisce la Chiesa come se
promuovesse un pregiudizio particolare e come se interferisse con la libertà individuale».[59] Viviamo in
una società dell’informazione che ci satura indiscriminatamente di dati, tutti allo stesso livello, e finisce
per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali. Di
conseguenza, si rende necessaria un’educazione che insegni a pensare criticamente e che offra un
percorso di maturazione nei valori.
65. Nonostante tutta la corrente secolarista che invade le società, in molti Paesi – anche dove il
cristianesimo è in minoranza – la Chiesa Cattolica è un’istituzione credibile davanti all’opinione pubblica,
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affidabile per quanto concerne l’ambito della solidarietà e della preoccupazione per i più indigenti. In
ripetute occasioni, essa ha servito come mediatrice per favorire la soluzione di problemi che riguardano
la pace, la concordia, l’ambiente, la difesa della vita, i diritti umani e civili, ecc. E quanto grande è il
contributo delle scuole e delle università cattoliche nel mondo intero! È molto positivo che sia così. Però
ci costa mostrare che, quando poniamo sul tappeto altre questioni che suscitano minore accoglienza
pubblica, lo facciamo per fedeltà alle medesime convinzioni sulla dignità della persona umana e il bene
comune.
ATTIVITÀ FORMATIVE
1 – DISEGNIAMO IL QUARTIERE
L’indifferenza nei confronti del mondo è uno dei pericoli più gravi nella vita della Chiesa. Se è vero che
non siamo del mondo ma tuttavia in questo mondo, allora il Vangelo non può essere qualcosa di
accessorio nelle nostre realtà.
Si dividono i giovani in diversi gruppi e a ciascun gruppo si "affida" una zona della città da analizzare
oppure una porzione del proprio quartiere (nell’arco ad esempio di una settimana). I gruppi lavorano a
questa ricognizione, annotando per iscritto osservazioni positive e negative sulle zone analizzate, ed
eventualmente documentandole fotograficamente. All'incontro successivo si mettono in comune i
risultati, inserendo le foto scattate su una carta topografica della città appositamente preparata, e
indicando le cose positive con un colore e quelle negative con un altro.
Osservata la situazione, ci si chiede cosa manca alla città/quartiere, provando a stilare un elenco dei
bisogni in base al quale ciascun gruppetto produce un questionario da sottoporre agli abitanti della zona
da loro osservata, per verificare se l'analisi fatta coincide con le opinioni di chi vive quei luoghi.
Da questa lettura il gruppo individua un bisogno prioritario (una situazione di povertà, disagio,
emarginazione, degrado, ecc.) su cui puntare l'attenzione attraverso il metodo del discernimento
comunitario, che non è soltanto opera del comune buon senso, ma un atto teologale in senso vero e
proprio che non presume di conoscere in anticipo problemi e soluzioni, ma si esercita nella lettura dei
segni dei tempi. Si può estendere questo momento di discernimento comunitario coinvolgendo altre
realtà parrocchiali (consiglio pastorale, diverse associazioni e movimenti, Caritas, ecc.) per la scelta di
un’azione concreta da attuare.
2 – LA GEOGRAFIA DEL MIO LAVORO
In questa attività i giovani sono invitati a esercitare uno sguardo d'insieme sul proprio ambiente
lavorativo. Naturalmente l’attività si può adattare anche per altri ambiti: scolastici, sportivi, parrocchiali.
A ognuno viene consegnata una mappa geografica (ALLEGATO 6) sulla quale si dovranno associare
immagini riferite a persone o avvenimenti che riguardano la propria esperienza lavorativa. Inoltre si
deve delineare il percorso che collega i vari elementi, arricchendolo eventualmente con ponti, strade
interrotte, ecc. Infine si darà un titolo.
Al termine si confronteranno le mappe e si animerà la riflessione:
Quali sono le comunanze e le differenze tra la mia mappa geografica e quella degli altri?
Che cosa deve ancora migliorare nel mio ambiente lavorativo? Che cosa posso fare io
direttamente? Quali valori e competenze posso portare? Quale stile di relazioni?
Ho "amministrato" bene fino a ora i doni ricevuti da Dio? Che cosa sto lasciando alle persone che
arriveranno dopo di me?
Sono stato mai tentato di scendere a compromessi? Cosa possiamo fare insieme per
promuovere nel mondo del lavoro i valori in cui crediamo? E il Vangelo che predichiamo?
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3 – ACCENDIAMO LA CITTÀ
Questa attività può essere pianificata e svolta più volte lungo il percorso intrapreso con il gruppo.
L’obiettivo è quello di portare una testimonianza “luminosa” nella propria città, andando per le strade,
mandati da Gesù proprio come i discepoli ad annunciare con la propria vita la gioia del Vangelo.
A partire dalla mappa della propria città, si individuano alcuni luoghi che i giovani vogliono
concretamente illuminare e si suggeriscono alcune proposte concrete, facendo attenzione alle modalità
di attuazione.
Ad esempio, per i luoghi della cultura e dell'informazione, si potrà chiedere uno spazio di allestimento
per una mostra a tema, oppure si potrà installare un banchetto di sensibilizzazione su una questione
attuale. Per i luoghi delle istituzioni e della politica, si potrà concordare, con l'assessore alle politiche
giovanili o con il presidente del Consiglio comunale, l'animazione di un breve momento di preghiera o di
riflessione sul bene comune in apertura di una o più sedute consiliari. Per i luoghi di ritrovo, il gruppo
giovani potrà scrivere una "lettera aperta" a tutti i giovani della città, da consegnare personalmente un
sabato sera, oppure in un locale animare un "happy hour" diverso dai soliti, puntando su alcune
provocazioni, ad esempio un quiz a premi. Per la comunità parrocchiale invece il gruppo potrà curare
particolarmente l'accoglienza alla messa domenicale, lasciando un "messaggio di luce", o invitando la
comunità a fermarsi per un dolcetto o un caffè dopo la celebrazione; ecc.
LA PREGHIERA
Non ti cercheremo nelle altezze, o Signore,
ma in questa crocefìssa storia dell'uomo,
dove Tu sei entrato
conficcandovi l'albero della Croce,
per lievitarla verso la terra promessa
con la forza contagiosa della tua Resurrezione.
Donaci di vivere in solidarietà profonda
col nostro popolo
per crescere, e patire,
e lottare con esso,
e rendere presente,
dove Tu ci hai posto,
la tua Parola di giudizio e di salvezza.
Liberaci da ogni forma di amore universale e astratto,
per credere all'umile e crocifisso amore,
a questa terra,
a questa gente.
Bruno Forte
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scheda 5
VI MANDO COME AGNELLI
Mandati come: lo stile dell’evangelizzatore
L’OBIETTIVO
Assumere uno stile stabile di testimonianza cristiana coerente e luminosa.
LA PAROLA DEL VANGELO
Luca 10, 1-9
1
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé
in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è abbondante, ma
sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella
sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né
sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa
entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace
scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e
bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non
passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno,
mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È
vicino a voi il regno di Dio".
Commento alla Parola
“Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, non portate né borsa né bisaccia, e non fermatevi a salutare
nessuno lungo la via”. Che strano! Dopo aver detto che i suoi ambasciatori sono come agnelli in mezzo ai
lupi, ci si aspetterebbe che Gesù dicesse come difendersi da essi, invece ci rende ancora più vulnerabili
perché ci raccomanda di non portare né borsa né bisaccia né sandali. Con queste annotazioni Gesù ci
vuol dire che l’annuncio si fa in estrema povertà e debolezza, affidandosi solo alla Parola e alle persone
che l’accoglieranno. Alle parole del Maestro non c’è migliore commento che il "sospiro" di Papa
Francesco: «Ah! Come vorrei una Chiesa povera e a servizio dei poveri!». La raccomandazione di Gesù di
non salutare nessuno per strada non è segno di mancanza di cortesia, ma di quanto sia urgente
l’annuncio, che non deve essere rallentato per nessuna ragione.
Partono senza pane, né sacca, né denaro, senza nulla di superfluo, anzi senza nemmeno le cose più utili.
Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico a sorreggere il cuore. Senza cose.
Semplicemente uomini. Perché l'incisività del messaggio non sta nello spiegamento di forza o di mezzi,
ma nel bruciore del cuore dei discepoli, sta in quella forza che ti fa partire, e che ha nome: Dio. La forza
del Vangelo, e del cristianesimo, non sta nell'organizzazione, nei mass-media, nel denaro, nel numero.
Ancora oggi passa di cuore in cuore, per un contagio buono. Partono senza cose, perché risalti il primato
dell'amore. L'abbondanza di mezzi forse ha spento la creatività nelle chiese.
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Il viaggio dei discepoli è come una discesa verso l'uomo essenziale, verso quella radice pura che è prima
del denaro, del pane, dei ruoli. Anche per questo saranno perseguitati, perché capovolgono tutta una
gerarchia di valori.
Gesù affida ai discepoli una missione che concentra attorno a tre nuclei: Dove entrate dite: pace a
questa casa; guarite i malati; dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio. I tre nuclei della missione: seminare
pace, prendersi cura, confermare che Dio è vicino.
Portano pace. E la portano a due a due, perché non si vive da soli, la pace. La pace è relazione. Comporta
almeno un altro, comporta due in pace, in attesa dei molti che siano in pace, dei tutti che siano in pace.
La pace non è semplicemente la fine delle guerre: Shalom è pienezza di tutto ciò che desideri dalla vita.
Guariscono i malati. La guarigione comincia dentro, quando qualcuno si avvicina, ti tocca, condivide un
po' di tempo e un po' di cuore con te. Esistono malattie inguaribili, ma nessuna incurabile, nessuna di cui
non ci si possa prendere cura.
Poi l'annuncio: è vicino, si è avvicinato, è qui il Regno di Dio. Il Regno è il mondo come Dio lo sogna.
Dove la vita è guarita, dove la pace è fiorita. Dite loro: Dio è vicino, più vicino a te di te stesso; è qui,
come intenzione di bene, come guaritore della vita.
E poi la casa. Quante volte è nominata la casa in questo brano! La casa, il luogo più vero, dove la vita può
essere guarita. Il cristianesimo dev'essere significativo nel nostro quotidiano, nei giorni delle lacrime e
della festa, nei figli buoni e in quelli prodighi, quando l'amore sembra lacerarsi, quando l'anziano perde il
senno e la salute. Lì la Parola è conforto, forza, luce; lì scende come pane e come sale, sta come roccia la
Parola di Dio, a sostenere la casa.
LA GIOIA DEL VANGELO
Evangelizzatori con Spirito
Evangelii Gaudium (n. 259, 261, 271, 127, 128, 129, 34, 35, 27)
259. Evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello
Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori
delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo,
inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni
tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale
ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole
evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita
trasfigurata dalla presenza di Dio.
261. Quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indicare di solito qualche movente interiore
che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Un’evangelizzazione
con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente
si tollera, o si sopporta come qualcosa che contraddice le proprie inclinazioni e i propri desideri. Come
vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa,
audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa! Ma so che nessuna motivazione sarà
sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito. In definitiva, un’evangelizzazione con spirito è
un’evangelizzazione con Spirito Santo, dal momento che Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice.
Prima di proporre alcune motivazioni e suggerimenti spirituali, invoco ancora una volta lo Spirito Santo,
lo prego che venga a rinnovare, a scuotere, a dare impulso alla Chiesa in un’audace uscita fuori da sé per
evangelizzare tutti i popoli.
271. È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza,
ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: «sia fatto
con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,16), e «se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti»
30
(Rm 12,18). Siamo anche esortati a cercare di vincere «il male con il bene» (Rm 12,21), senza stancarci di
«fare il bene» (Gal 6,9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando «gli altri superiori a se
stesso» (Fil 2,3). Di fatto gli Apostoli del Signore godevano «il favore di tutto il popolo» (At 2,47; cfr
4,21.33; 5,13). Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo
sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione
pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non
hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine glossa”,
senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo
fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo.
127. Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di
predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle
persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione
informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario
quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri
l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in
una strada.
128. In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo
personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni
per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore. Solo dopo tale conversazione è possibile
presentare la Parola, sia con la lettura di qualche passo della Scrittura o in modo narrativo, ma sempre
ricordando l’annuncio fondamentale: l’amore personale di Dio che si è fatto uomo, ha dato sé stesso per
noi e, vivente, offre la sua salvezza e la sua amicizia. È l’annuncio che si condivide con un atteggiamento
umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è tanto ricco e
tanto profondo che ci supera sempre. A volte si esprime in maniera più diretta, altre volte attraverso
una testimonianza personale, un racconto, un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare
in una circostanza concreta. Se sembra prudente e se vi sono le condizioni, è bene che questo incontro
fraterno e missionario si concluda con una breve preghiera, che si colleghi alle preoccupazioni che la
persona ha manifestato. Così, essa sentirà più chiaramente di essere stata ascoltata e interpretata, che
la sua situazione è stata posta nelle mani di Dio, e riconoscerà che la Parola di Dio parla realmente alla
sua esistenza.
129. Non si deve pensare che l’annuncio evangelico sia da trasmettere sempre con determinate formule
stabilite, o con parole precise che esprimano un contenuto assolutamente invariabile. Si trasmette in
forme così diverse che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle, e nelle quali il Popolo di Dio, con i
suoi innumerevoli gesti e segni, è soggetto collettivo. Di conseguenza, se il Vangelo si è incarnato in una
cultura, non si comunica più solamente attraverso l’annuncio da persona a persona. Questo deve farci
pensare che, in quei Paesi dove il cristianesimo è minoranza, oltre ad incoraggiare ciascun battezzato ad
annunciare il Vangelo, le Chiese particolari devono promuovere attivamente forme, almeno iniziali, di
inculturazione. Ciò a cui si deve tendere, in definitiva, è che la predicazione del Vangelo, espressa con
categorie proprie della cultura in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con tale cultura. Benché
questi processi siano sempre lenti, a volte la paura ci paralizza troppo. Se consentiamo ai dubbi e ai
timori di soffocare qualsiasi audacia, può accadere che, al posto di essere creativi, semplicemente noi
restiamo comodi senza provocare alcun avanzamento e, in tal caso, non saremo partecipi di processi
storici con la nostra cooperazione, ma semplicemente spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa.
34. Se intendiamo porre tutto in chiave missionaria, questo vale anche per il modo di comunicare il
messaggio. Nel mondo di oggi, con la velocità delle comunicazioni e la selezione interessata dei
contenuti operata dai media, il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire
mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari. Ne deriva che alcune questioni che fanno parte
dell’insegnamento morale della Chiesa rimangono fuori del contesto che dà loro senso. Il problema
maggiore si verifica quando il messaggio che annunciamo sembra allora identificato con tali aspetti
secondari che, pur essendo rilevanti, per sé soli non manifestano il cuore del messaggio di Gesù Cristo.
31
Dunque, conviene essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo
completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del
Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva.
35. Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una
moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo
pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si
concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più
necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più
convincente e radiosa.
27. Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli
orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del
mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione
pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie,
che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali
in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù
offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella
Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione
ecclesiale».[25]
L’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito
Evangelii Gaudium (n. 279)
279. Poiché non sempre vediamo questi germogli, abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della
convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché
«abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4,7). Questa certezza è quello che si chiama “senso del
mistero”. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo
(cfr Gv 15,5). Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è
ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando.
Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna
delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va
perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso
il mondo come una forza di vita. A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato,
ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un’organizzazione umanitaria,
non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è
qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno
per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Lo Spirito Santo opera
come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere
risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Impariamo a riposare
nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione creativa e generosa. Andiamo
avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui.
La forza missionaria dell’intercessione
Evangelii Gaudium (n. 281, 283)
281. C’è una forma di preghiera che ci stimola particolarmente a spenderci nell’evangelizzazione e ci
motiva a cercare il bene degli altri: è l’intercessione. Osserviamo per un momento l’interiorità di un
grande evangelizzatore come San Paolo, per cogliere come era la sua preghiera. Tale preghiera era
ricolma di persone: «Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia *…+ perché vi porto nel
cuore» (Fil 1,4.7). Così scopriamo che intercedere non ci separa dalla vera contemplazione, perché la
contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno.
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283. I grandi uomini e donne di Dio sono stati grandi intercessori. L’intercessione è come “lievito” nel
seno della Trinità. È un addentrarci nel Padre e scoprire nuove dimensioni che illuminano le situazioni
concrete e le cambiano. Possiamo dire che il cuore di Dio si commuove per l’intercessione, ma in realtà
Egli sempre ci anticipa, e quello che possiamo fare con la nostra intercessione è che la sua potenza, il
suo amore e la sua lealtà si manifestino con maggiore chiarezza nel popolo.
LE ATTIVITÀ FORMATIVE
1 – QUESTIONE DI STILE
Il discepolo è per natura missionario. Lo stesso Paolo esprime con forza: “Caritas Christi urget nos” (2Cor
5,14), ovvero l’amore di Cristo ci spinge ad annunciare. Ma come farlo? Con che stile?
Questa attività vuole stimolare il gruppo a riflettere insieme su quali sono le caratteristiche del discepolo
che annuncia il Vangelo. A ciascun giovane viene fornita una scheda (ALLEGATO 7) nella quale dovrà
scegliere un personaggio e una caratteristica abbinata che descriva lo stile evangelizzatore nel quale ti
riconosci. Successivamente si può animare il dialogo domandando:
Quale binomio hai composto? Spiega il perché dell’accostamento.
Lo stile che hai scelto è reale o piuttosto ideale?
Quale stile di Chiesa dovrebbe emergere?
2 – ALLA LUCE DEL SOLE
Sembra sempre difficile dire la propria quando si parla di fede, soprattutto nei luoghi del quotidiano.
Capita anche di bloccarci, pensando che parlare di fede e di Dio siano concetti complicati e astratti.
Si propone qui di lasciarsi guidare dalla figura del beato don Pino Puglisi, prete che si è speso fino alla
fine per strappare i ragazzi dalla morsa della mafia. Si consiglia la visione del film che parla dell’ultima
parte del suo ministero: “Alla luce del sole” (2004). Poi si può animare il dibattito aiutati dalla scheda
ALLEGATO 8, leggendo alcune sue frasi e ponendo alcune domande sull’essere testimoni del Vangelo e
sul modo di annunciare la gioia di una vita cristiana.
3 – LA BOLLETTA DELLA LUCE
Come verifica delle attività che il gruppo ha svolto, viene proposta una “bolletta della luce” (ALLEGATO
9). Attraverso alcune domande, il gruppo può “calcolare” la quantità di luce prodotta, ovvero quanto ci
si è resi presenza evangelizzatrice nella propria realtà.
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LA PREGHIERA
Tutti sospiriamo per il cielo
dove sta Dio,
eppure abbiamo la possibilità di stare in cielo
fin da questo momento,
di essere felici con Dio
in questo stesso istante.
Essere felici con lui in questo stesso istante
significa amare come lui ama,
aiutare come lui aiuta,
dare come lui da,
servire come lui serve,
salvare come lui salva,
restare con lui ventiquattro ore al giorno,
toccandolo sotto le sue sembianze di sofferenza.
Beata Madre Teresa di Calcutta
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ALLEGATI
DELLE SCHEDE
ALLEGATO 1
test: “QUANTO ILLUMINI?”
1. Il tuo amico di scuola/collega di lavoro è in difficoltà: ha litigato con i suoi amici storici e ha voltato
loro le spalle. Come lo aiuti?
a) Lasci che sia lui stesso a capire i suoi errori: se non fai così non imparerà mai
b) Ci sei già passato: gli dai coraggio e gli dici che sei dalla sua parte
c) Ti dispiaci per l’accaduto, cerchi di fargli capire il valore dell’amicizia e poi sarà in grado di risolvere
da solo…
2. Quando qualcuno ti interroga su questioni riguardanti la Chiesa come rispondi?
a) Cerchi di dare una risposta, ripescando tra i ricordi del catechismo
b) Ti informi e poi rispondi, a partire dalla tua esperienza personale
c) Con un generico “Non ne ho idea”: se vogliono capire si informino!
3. Cos’è la testimonianza Cristiana?
a) Il rendere ragione sulla verità su Dio e su Gesù
b) Lo Spirito che parla attraverso di noi
c) Il nostro primo dovere
4. Quando è stata l’ultima volta che hai parlato della tua esperienza di Chiesa davanti a persone che
non frequentano il tuo gruppo?
a) una settimana
b) un mese
c) più di un mese
5. Nel tuo gruppo di amici c’è un tipo nuovo che si è da poco trasferito in città:
a) saluti tutti e ti presenti al nuovo arrivato
b) saluti i tuoi amici e aspetti che qualcuno ti presenti il nuovo arrivato
c) gli chiedi come sta, gli dici che ha già un appuntamento da non perdere e lo inviti al gruppo giovani
6. Sei ad una festa e, ad un certo punto, qualcuno comincia a parlare a sproposito della Chiesa e della
fede. Come ti comporti?
a) Non dici nulla, ascolti e ci rimugini su
b) Aspetti che qualcuno gli risponda a tono e poi ti accodi
c) Rispondi, senza offendere, che tu la pensi diversamente perché....
7. Quanto spesso ti dedichi alla lettura della Parola di Dio?
a) Ogni giorno
b) Spesso
c) Quasi mai
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n. 1
a) 0 watt
b) 50 watt
c) 100 watt
n. 2
a) 50 watt
b) 100 watt
c) 0 watt
n. 3
a) 50 watt
b) 100 watt
c) 0 watt
Valutazioni domande
n. 4
n. 5
a) 100 watt
a) 50 watt
b) 50 watt
b) 0 watt
c) 0 watt
c) 100 watt
n. 6
a) 0 watt
b) 50 watt
c) 100 watt
n. 7
a) 100 watt
b) 50 watt
c) 0 watt
Profilo 1 (da 0 a 250 watt) :
“LAMPADINA A RISPARMIO ENERGETICO”
Di certo la tua testimonianza non brilla per intensità! Così il mondo avrà davvero poca luce! Per essere un
giovane che frequenta il gruppo hai ancora da “illuminare”… ma non scoraggiarti: la pietra scartata dai
costruttori può diventare testata d’angolo! Forza e coraggio: procurati olio a volontà e inizia ad accendere
ogni lampada che trovi, ovvero cogli ogni occasione per portare la gioia e la luce di Cristo a chiunque
incontri!
Profilo 2 (da 300 a 500 watt):
“LAMPADA DA TAVOLO”
Sei sulla buona strada! La tua luce è ottima, ma ancora un po’ limitata. Sei sul tavolo ma illumini solo lì
intorno. Perché non allargare il tuo cono di luce? Il tuo è un ottimo esempio per tante persone, ma quante
altre aspettano te per “far luce sulla loro vita”? Coraggio: alzati, và e porta innanzi a te la tua luce, che poi è
quella di Cristo. Sarai un ottimo testimone!
Profilo 3 (da 550 a 700 watt) :
“FARO NELLA NOTTE!”
Navi e navigatori esperti si fidano di te per individuare la rotta della loro vita! Sei un esempio “illuminante”
per i tuoi amici vicini ma anche per quelle persone che non ti conoscono bene; chi guarda a te, alle tue
attenzioni e alla tua disponibilità, si accorgono che sei diverso, speciale. Non parli mai ponendo te stesso al
centro e i tuoi consigli sono ben accetti e di solito sempre giusti. Continua così! Ma ricorda: la luce che porti
non è tutta tua. Tu sei un testimone, colui che porta Gesù, il suo amore e la sua inesauribile luce!
38
ALLEGATO 2
Schema attività “UNA REGOLA DI VITA”
Di uno o più dei tuoi impegni settimanali (scuola, sport, famiglia, parrocchia, ecc), individua le principali regole
che li caratterizzano.
GIORNO
ATTIVITÀ 1 ______________
ATTIVITÀ 2 _______________
ATTIVITÀ 3 ______________
Lunedì
Martedì
Mercoledì
Giovedì
Venerdì
Sabato
Domenica
Chi sono io: Prova a descrivere come nelle diverse attività riesci a esprimere i tuoi doni e talenti.
Le regole ti aiutano o ti inibiscono? Pensi che vivresti meglio senza? Quali regole cambieresti e quali invece sono
per te fondamentali?
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Chi voglio essere: le regole sono indispensabili anche nel rapporto con gli altri, ci consentono di stare con le altre
persone in un rapporto di reciproca interazione, di accoglienza.
Quali sono le regole che secondo te ti rendono migliore? C’è un ambito (famiglia, scuola, amici, parrocchia, ecc.)
in cui vorresti migliorare? Prova a immaginarti tra 5 anni e scrivi come saranno cambiate le tue relazioni.
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Chi sono chiamato ad essere: Dio ti conosce fin dall’eternità, prima ancora che tu nascessi. Ha un sogno grande
su di te (perché Lui fa le cose in grande) che vuole realizzare con la tua collaborazione. Non è immediato capire
questo sogno ma neanche impossibile. Occorre soltanto pazienza e costanza, proprio come in un allenamento. E
come nello sport, anche nella “vita spirituale” ci sono delle regole, perché si tratta di una vita ordinata, orientata e
piena di senso, nella quale potrai scoprire la voce del Signore.
Secondo te quali sono le regole per una buona vita spirituale? Quali tra queste senti più tue? Vorresti migliorare
in qualche aspetto la tua relazione con il Signore?
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La mia regola spirituale: ora, liberamente, puoi scrivere qui una tua regola di vita. È l’impegno che ti assumi per
poter vivere in modo più responsabile la tua relazione con Gesù, l’occasione per accrescere l’amicizia con Lui e
vivere in modo più felice e libero. Puoi decidere ad esempio di ritagliarti dei momenti di silenzio e di preghiera
durante la giornata, di entrare in chiesa quando ci passi vicino, di pregare regolarmente per alcune persone, ecc.
LA MIA REGOLA SPIRITUALE
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ALLEGATO 3
Perché pregare, come pregare – Enzo Bianchi
“Quando preghi, ritirati nella tua camera” (Mt 6,6)
Il credente vive la sua fede nella comunità, la esprime nella liturgia, preghiera di tutta la Chiesa e deve
pregare insieme agli altri fratelli e sorelle, facendo della preghiera comune la migliore scuola di preghiera
personale. Egli non deve intraprendere un cammino nuovo e inedito, ma riceve dalla Chiesa il canone della
preghiera: i Salmi, la lettura della Scrittura, l’intercessione, il Padre Nostro e il culmine della preghiera
stessa, ossia, l’eucaristia. La liturgia è, dunque, l’ambiente vitale di cui crescere nella fede e nella
comunione con il Signore. Tuttavia, la preghiera comune non è sufficiente: essa necessita
dell’interiorizzazione, della gratuità di chi dà del tu a Dio personalmente, quando gli altri sono fisicamente
accanto a lui. Pregare nella solitudine, in disparte, non è una forma di individualismo, bensì la possibilità di
incontrare Dio quali figli nel segreto del cuore, accettando su di sé quello sguardo penetrante del Dio che
conosce, guarda, parla a ciascuno in modo irripetibile e unico. L’invito di Gesù a pregare “nel segreto” non è
solo un antidoto all’ipocrisia di chi prega per essere visto e ammirato dagli altri (cfr. Mt 6,5) ma indica un
modo di dialogo amoroso e intimo con Dio, “faccia a faccia” con l’Invisibile… Sì, la preghiera personale è
l’occasione di rivolgersi a Dio con libertà, di accogliere nello svolgersi del tempo la sua Presenza, di
percepire il suo approssimarsi, il suo stare alla porta e bussare (cfr. Ap 3,20), il suo visitarci con premura. Un
orante che si nutre unicamente di preghiera comune rischia di fare di quest’ultima solo un’esperienza di
appartenenza al gruppo, se non una sorta di esibizione di fronte agli altri…
Ebbene, oggi è proprio la preghiera personale ad essere maggiormente trascurata, e questa situazione
rischia a lungo termine di svuotare anche la verità della stessa preghiera liturgica. Se nella pastorale molti
sforzi sono dedicati all’iniziazione liturgica, purtroppo, non sono accompagnati da un’adeguata trasmissione
della preghiera personale, che dovrebbe essere insegnata fin dall’infanzia. Chi, infatti, non riceve fin da
piccolo un’iniziazione alla preghiera personale da parte dei genitori o degli educatori, difficilmente potrà
nutrirsene nell’età matura, in modo da accrescere la fede nel Dio vivente, presente nell’esistenza
quotidiana. Suonano come un monito ancora attuale le parole di Martin Buber: “Se credere in Dio significa
poter parlare di lui in terza persona, non credo in Dio. Se credere in lui significa potergli parlare, allora
credo in Dio”. Oggi i cristiani sanno parlare di Dio; ma sanno anche, come nelle generazioni cristiane
passate, parlare a Dio?
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42
ALLEGATO 4
Sant’Agostino di Ippona
Agostino d'Ippona visse una delle epoche di più profonda crisi, di più radicale cambiamento, di più
irreversibile voltar di pagina che la Storia ricordi: il crollo dell'Impero romano. Ciò che sembrava eterno si
rivelava caduco. Ciò che appariva assoluto risultava relativo. Ansia, disagio e disorientamento, per Agostino
e per i suoi contemporanei così come per noi, uomini e donne di oggi. Agostino stesso aveva vissuto, fin da
adolescente, in una condizione di costante crisi e cambiamento: prima studente indisciplinato, poi studioso
brillante; prima adolescente inquieto, poi giovane dai molti amori, quindi compagno fedele di una donna
che lo renderà padre; prima maestro di provincia senza prospettive, poi oratore ufficiale dell'imperatore;
prima scrittore senza successo, poi autore di decine di opere che continuano a dare forma alla coscienza e
alla cultura dell'Occidente; prima cristiano non battezzato, poi manicheo anti-cattolico, poi scettico, quindi
battezzato, sacerdote e, infine, vescovo.
Sant'Agostino nasce in Africa a Tagaste, nella Numidia - attualmente Souk-Ahras in Algeria - il 13 novembre
354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dalla madre riceve un'educazione cristiana, ma dopo aver
letto l'Ortensio di Cicerone abbraccia la filosofia aderendo al manicheismo. Risale al 387 il viaggio a Milano,
città in cui conosce sant'Ambrogio. L'incontro si rivela importante per il cammino di fede di Agostino: è da
Ambrogio che riceve il battesimo. Successivamente ritorna in Africa con il desiderio di creare una comunità
di monaci; dopo la morte della madre si reca a Ippona, dove viene ordinato sacerdote e vescovo. Le sue
opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche - quest'ultime riflettono l'intensa lotta che Agostino
intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita - sono tutt'ora studiate. Agostino per il suo
pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della
Chiesa. Mentre Ippona è assediata dai Vandali, nel 429 il santo si ammala gravemente. Muore il 28 agosto
del 430 all'età di 76 anni.
Estratti dalle Confessioni (Libro X)
2. A te, Signore, se ai tuoi occhi è svelato l'abisso della conoscenza umana, potrebbe essere occultato
qualcosa in me, quand'anche evitassi di confessartelo? Nasconderei te a me, anziché me a te. Ora però i
miei gemiti attestano il disgusto che provo di me stesso, e perciò tu splendi e piaci e sei oggetto d'amore e
di desiderio, cosicché arrossisco di me e mi respingo per abbracciarti, e non voglio piacere né a te né a me,
se non per quanto ho di te. Dunque, Signore, io ti sono noto con tutte le mie qualità. A quale scopo tuttavia
mi confessi a te, già l'ho detto. È una confessione fatta non con parole e grida del corpo, ma con parole
dell'anima e grida della mente, che il tuo orecchio conosce. Nella cattiveria è confessione il disgusto che
provo di me stesso; nella bontà è confessione il negarmene il merito, poiché tu, Signore, benedici il giusto,
ma prima lo giustifichi quando è empio . Quindi la mia confessione davanti ai tuoi occhi, Dio mio, è insieme
tacita e non tacita. Tace la voce, grida il cuore, poiché nulla di vero dico agli uomini, se prima tu non l'hai
udito da me; e tu da me non odi nulla, se prima non l'hai detto tu stesso.
8. Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la
tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco, da ogni parte mi dicono
di amarti, come lo dicono senza posa a tutti gli uomini, affinché non abbiano scuse. Più profonda
misericordia avrai di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti
misericordioso. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi a sordi. Ma che amo, quando amo te? Non
una bellezza corporea, né una grazia temporale: non lo splendore della luce, così caro a questi miei occhi,
non le dolci melodie delle cantilene d'ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non
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la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo, quando amo il
mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso nell'amare il mio Dio: la luce, la
voce, l'odore, il cibo, l'amplesso dell'uomo interiore che è in me, ove splende alla mia anima una luce non
avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal
vento, ov'è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla
sazietà. Ciò amo, quando amo il mio Dio.
29. Come ti cerco dunque, Signore? Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità della vita. Ti cercherò perché
l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di te. Come cerco dunque la felicità?
Non la posseggo infatti, finché non dico: "Basta, è lì". E qui bisogna che dica come la cerco: se mediante il
ricordo, quasi l'abbia dimenticata ma ancora conservi il ricordo di averla dimenticata, oppure mediante
l'anelito di conoscere una felicità ignota perché mai conosciuta o perché dimenticata al punto di non
ricordare neppure d'averla dimenticata. La felicità della vita non è proprio ciò che tutti vogliono e nessuno
senza eccezioni non vuole?
37. Dove dunque ti trovai, per conoscerti? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi.
Dove dunque ti trovai, per conoscerti, se non in te, sopra di me? Lì non v'è spazio dovunque: ci
allontaniamo, ci avviciniamo, e non v'è spazio dovunque. Tu, la Verità, siedi alto sopra tutti coloro che ti
consultano e rispondi contemporaneamente a tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue
risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non
sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma
a volere piuttosto ciò che da te ode.
38. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti
cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi
tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido
sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e
respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.
65. O Verità, dove non mi accompagnasti nel cammino, insegnandomi le cose da evitare e quelle da
cercare, mentre ti esponevo per quanto potevo le mie modeste vedute e ti chiedevo consiglio? Percorsi con
i sensi fin dove potei il mondo fuori di me, esaminai la vita mia, del mio corpo, e gli stessi miei sensi. Di lì
entrai nei recessi della mia memoria, vastità molteplici colme in modi mirabili d'innumerevoli dovizie, li
considerai sbigottito, né avrei potuto distinguervi nulla senza il tuo aiuto; e trovai che nessuna di queste
cose eri tu. E neppure questa scoperta fu mia. Perlustrai ogni cosa, tentai di distinguerle, di valutarle
ognuna secondo il proprio valore, quelle che ricevevo trasmesse dai sensi e interrogavo, come quelle che
percepivo essendo fuse con me stesso. Investigai e classificai gli organi stessi che me le trasmettevano ;
infine entrai nei vasti depositi della memoria e rivoltai a lungo alcuni oggetti, lasciai altri sepolti e altri
portai alla luce. Ma nemmeno la mia persona, impegnata in questo lavorio, o meglio, la stessa mia forza
con cui lavoravo non erano te. Tu sei la luce permanente, che consultavo sull'esistenza, la natura, il valore
di tutte le cose. Udivo i tuoi insegnamenti e i tuoi comandamenti. Spesso faccio questo, è la mia gioia, e in
questo diletto mi rifugio, allorché posso liberarmi della stretta delle occupazioni. Ma fra tutte le cose che
passo in rassegna consultando te, non trovo un luogo sicuro per la mia anima, se non in te. Soltanto lì si
raccolgono tutte le mie dissipazioni, e nulla di mio si stacca da te. Talvolta m'introduci in un sentimento
interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga dentro di me la sua
pienezza, sarà non so cosa, che non sarà questa vita.
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ALLEGATO 5
LA CHIESA RICEVE E DONA LA FEDE
Don Pietro Scardilli
Se facciamo attenzione alla concreta esperienza della fede, rileviamo due punti di vista:
1. da una parte si diviene credenti solo perché altri hanno già vissuto questa fede in precedenza,
l’hanno raccontata, annunciata e insegnata…;
2. dall’altra parte solo chi già crede può donare la fede, può trasmetterla, può realizzare l’annuncio e
la trasmissione del Vangelo.
In linea di principio solo nella comunità è possibile la fede.
Così si esprime ancora il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 166:
La fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela. La fede però non
è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la
fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l’esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da
altri e ad altri la deve trasmettere. Il nostro amore per Gesù e per gli uomini ci spinge a parlare ad altri della
nostra fede. In tal modo ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso
credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli
altri.
Non c’è Cristianesimo/Chiesa senza comunicazione della fede
Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo essa si
deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il
volto di Gesù *…+. La persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più
grande nell’incontro con altri.
E anche la propria conoscenza, la stessa coscienza di sé, è di tipo relazionale, ed è legata ad altri che ci
hanno preceduto: in primo luogo i nostri genitori, che ci hanno dato la vita e il nome. Il linguaggio stesso, le
parole con cui interpretiamo la nostra vita e la nostra realtà, ci arriva attraverso altri, preservato nella
memoria viva di altri. La conoscenza di noi stessi è possibile solo quando partecipiamo a una memoria più
grande. Avviene così anche nella fede, che porta a pienezza il modo umano di comprendere. Il passato della
fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di
altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa (Lumen fidei, 38).
Il cristianesimo si perpetua ed è vivo basandosi su un principio vitale, che ha attraversato i secoli: la
traditio-redditio fidei. La Chiesa stessa non esiste se non attraverso un processo di tradizione-recezione. È in
questa duplice azione strutturante (annuncio e accoglienza) che essa è costituita. È così che vi è:
da una parte un primo gruppo, gli attori della
tradizione, coloro che:
e, d’altra parte, i riceventi, coloro:
- a cui è indirizzata (At 13,46),
- che ne sono gli uditori (At 4,4),
- l’ascoltano (At 10,44; 13,44),
- desiderano intenderla (At 13,7; 19,10),
- l’accolgono (At 2,41; 8,14; 17,11),
- la ricevono (At 11,1),
- vi prestano attenzione (At 8,6),
- sono toccati dalla Parola (At 13,40)
- o che vi si oppongono (At 13,45).
- dicono la Parola con franchezza (At 4,31)
- rendendovi testimonianza (At 14,3)
- l’annunciano al popolo (At 5,20; 13,5;
14,25; 15,35.36; ecc.)
- discutono (At 17,2)
- e insegnano la Parola (At 18,11)
- la servono (At 6,4)
- vi si consacrano interamente (At 18,5)
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Non c’è comunicazione della fede senza Chiesa
È impossibile credere da soli. La fede non è solo un’opzione individuale che avviene nell’interiorità del
credente, non è rapporto isolato tra l’io del fedele e il Tu divino, tra il soggetto autonomo e Dio *…+. È
possibile rispondere in prima persona, credo, solo perché si appartiene a una comunione grande, solo
perché si dice anche crediamo (Lumen fidei, 39).
Il fine di tutto il processo di trasmissione della fede è l’edificazione della Chiesa come comunità dei
testimoni del Vangelo.
La comunità cristiana deve ri-vivere come Gesù. Deve continuamente riproporre il “modo di procedere” di
Gesù. Non solo dovrà fare quello che ha fatto Gesù, secondo un criterio di ripetizione meccanica, ma è
invitata a saper fare come ha fatto Gesù, ad agire secondo il Suo stile.
Il Verbo si è fatto carne ma alla fine sarà la nostra carne a diventare Verbo; è attraverso di noi che il Verbo
di Dio parla ancora: quale grande responsabilità ci è data!
Lettera conosciuta e letta da tutti gli uomini! Chiamati ad essere parola luminosa, parola esclusivamente
d’amore. Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un’idea, forse basterebbe un libro, o la
ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua
tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel
suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive
nella comunione con Dio e con gli altri (Lumen fidei, n. 40).
Per la Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione
che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con zelo senza limiti, è il primo mezzo di
evangelizzazione [...]. È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà
innanzi tutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta (Evangelii nuntiandi, n. 41).
Domande
Fare esperienza di Cristo è il fine della trasmissione della fede da condividere con i vicini e i lontani.
Essa ci sprona alla missione.
- Quanto le nostre comunità cristiane riescono a proporre luoghi ecclesiali che siano strumento di
esperienza spirituale?
- Quanto i nostri cammini di fede hanno come obiettivo non la sola adesione intellettuale alla verità
cristiana, ma riescono a far vivere esperienze reali di incontro e di comunione, di “abitazione” nel
mistero di Cristo?
- In che modo le singole Chiese hanno trovato soluzioni e risposte alla domanda di esperienza
spirituale che attraversa anche le giovani generazioni di oggi?
La Parola e l’Eucaristia sono i veicoli principali, gli strumenti privilegiati per vivere la fede cristiana come
esperienza spirituale.
- In che modo le nostre comunità esprimono la centralità della Parola di Dio e dell’Eucaristia
(celebrata, adorata), e a partire da essi strutturano le loro azioni e la loro vita?
- Dopo decenni di forte effervescenza il campo della catechesi mostra segni di fatica e di stanchezza,
anzitutto a livello dei soggetti chiamati a sostenere e ad animare questa azione ecclesiale. Qual è
l’esperienza concreta delle nostre Chiese?
- Come si è cercato di dare riconoscimento e solidità all’interno delle comunità cristiane alla figura
del catechista? Come si è cercato di dare concretezza ed efficacia al riconoscimento di un ruolo
attivo anche ad altri soggetti nel compito di trasmissione della fede (genitori, padrini, la comunità
cristiana)?
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ALLEGATO 6
LA MAPPA DEL MIO “MONDO”
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La rosa dei venti: I valori di fondo che orientano il mio ambiente lavorativo.
Scogli: Le difficoltà più grandi che ho incontrato.
Villaggio: I momenti belli vissuti con gli altri e gli incontri con persone significative.
Lago: Gli aspetti del mio lavoro che mi appagano e che contribuiscono a rendermi sereno.
Montagna: Gli ostacoli che devo ancora affrontare.
Cimitero: Ciò che mi fa soffrire di più.
Pietre a forma di croce: Le strade che devo ancora percorrere nella mia esperienza lavorativa.
Croce: Il “tesoro” che sto cercando, la situazione che mi renderebbe particolarmente felice.
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ALLEGATO 7
Questione di stile
Scegli nella colonna di sinistra un personaggio che più caratterizza il tuo stile di evangelizzatore. Ad esempio
puoi scegliere l’esploratore principalmente per il suo coraggio o il seminatore per la sua pazienza.
Poi scegli una caratteristica aggiuntiva dalla colonna di destra per connotare il binomio di una sfumatura
tutta particolare.
PERSONAGGIO
SFUMATURA
Esploratore
Seminatore
Pescatore
Comico
Venditore ambulante
Calciatore
Buttafuori (o Buttadentro)
Cantante
Maratoneta
Chitarrista rock
Ultras
Infermiere
Orologiaio
Pittore
Velina
Direttore d’orchestra
intrepido
paziente
lungimirante
travolgente
gioioso
riflessivo
autorevole
metodico
propositivo
solitario
attento
coraggioso
premuroso
brontolone
dormiglione
sognatore
Quale binomio hai composto? Spiega il perché dell’accostamento.
Lo stile che hai scelto è reale o piuttosto ideale?
Come gruppo provate a mettere insieme le singole figure per crearne una unica che più sintetizzi lo stile
che la Chiesa dovrebbe adottare nell’annuncio del Vangelo.
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ALLEGATO 8
ALLA LUCE DEL SOLE
Alla luce del sole
Regia: Roberto Faenza.
Soggetto: Roberto Faenza.
Produzione: Italia, 2004. Elda Ferri.
Durata: 92'
Genere: Drammatico.
Interpreti: Luca Zingaretti (Don Pino Puglisi), Alessia Goria (suor Carolina),
Corrado Fortuna (Gregorio), Mario Giunta (Saro), Pierlorenzo Randazzo
(Domenico), Gabriele Castagna (Rosario), Salvo Scelta (Carmelo).
Trama
Palermo, 1991. Don Pino Puglisi, sacerdote cinquantenne dall’animo mite e dallo sguardo luminoso, torna
nel quartiere Brancaccio, dov’è nato, per assumere l’incarico di parroco nella chiesa di San Gaetano. Don
Puglisi si trova davanti una realtà di degrado sociale in cui la mafia ha potuto istallarsi e prosperare.
Consapevole che sarebbe un lavoro impossibile provare a cambiare il cuore degli adulti, decide di dedicarsi
al recupero dei più giovani, soprattutto bambini e adolescenti che non frequentano la scuola e sono
impiegati nella manovalanza di Cosa Nostra. Don Pino, sostenuto dal suo diacono Gregorio Porcaro, da sr.
Carolina Gavazzo e da poche persone di buona volontà, dà vita al Centro “Padre Nostro”. La sua parola
ferma, la sua denuncia coraggiosa, il suo lavoro di formazione delle coscienze, sostenuto da una vita povera
e trasparente, danno fastidio ai mafiosi. Poiché questo prete “non porta rispetto” viene decisa la sua
eliminazione. Il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno, don Puglisi è freddato con un colpo alla
nuca.
Una possibile lettura
Il film di Faenza si apre con una sequenza amara e crudele: i ragazzini di Brancaccio raccolgono gatti randagi
per farli sbranare dai cani usati nei combattimenti per le scommesse clandestine.
Una metafora trasparente per alludere alla vita di quegli stessi ragazzini: gettati nel gorgo della violenza
come i gattini dati in pasto ai cani. Bambini cresciuti senza conoscere tenerezza né pietà, che imparano a
infliggere la morte brutalmente e con noncuranza.
È qui, in questo contesto, che arriva padre Pino Puglisi. Torna nel quartiere che l’ha visto nascere, torna da
sacerdote, testimone della Bella Notizia proprio tra quei ragazzi senza infanzia.
Quale Notizia può essere Bella per gli abitanti di Brancaccio?
Don Puglisi la riassume nel Padre Nostro, trasformando in vita vissuta ogni parola della preghiera che Gesù
ha insegnato. Per questo il Centro a cui dà vita, con tanto impegno e tanti sacrifici, ha per nome “Padre
Nostro”. Si fa egli stesso volto paterno di Dio. Una paternità buona, misericordiosa, sincera, che non ha
paura della verità, che si espone, che ama fino alla fine.
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Per riflettere dopo aver visto il film
Qual è la scena che più ti ha colpito? Perché?
Secondo te, cosa spinge don Pino a continuare nel suo proposito nonostante le minacce, le
percosse e i danni subiti?
Che cosa pensi di questo sacerdote? Era un illuso, un incosciente?
Secondo te, avrebbe fatto meglio a dare ogni tanto ascolto ai boss? Tu cosa avresti fatto al suo
posto?
Qual è il segreto di don Pino? Perché riscuote successo con i ragazzi?
Come descriveresti lo stile di don Pino? Pensi che in qualche modo simile a quello di Gesù?
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ALLEGATO 9
“Credere ci manda”
SERVIZIO LUCE
BOLLETTA 1/3
CONTATTI UTILI
Gruppo giovani
SERVIZIO CLIENTI:
Parrocchia di
 www.diocesi.parma.it
________________________________________
BOLLETTA PER LA PRODUZIONE DI LUCE
N. fattura 11896331559983 del ___ /___ / ______
Modulo Credere ci manda
Totale energia prodotta
chiloWattora ________
Attenzione: la luce prodotta non può essere vinta dalle tenebre
DETTAGLIO DATI BOLLETTA
QUOTA FISSA
La partecipazione alle esperienze formative durante l’anno è stata:
In calo
Costante
 0 kWh
 5 kWh
I membri del gruppo hanno partecipato alla vita della comunità parrocchiale?
Poco
Regolarmente
 0 kWh
 5 kWh
TOTALE
In crescita
 10 kWh
Attivamente
 10 kWh
______ kWh
QUOTA ENERGIA PERSONALE
Hai trovato nuova luce per le tue inquietudini alla luce del Vangelo?
No
Con qualche difficoltà
 0 kWh
 2 kWh
Sì
 5 kWh
Hai incrementato la tua vita di preghiera?
No
Di poco
 0 kWh
 2 kWh
Quali passi concreti hai assunto per fare discernimento nella tua vita?
Nessuno
Direzione spirituale
 0 kWh
 5 kWh
Decisamente
 5 kWh
Regola di vita
 5 kWh
Hai rivolto personalmente una parola di luce e di speranza a
qualcuno afflitto da una situazione di buio?
No
 0 kWh
53
Sì
 15 kWh
“Credere ci manda”
SERVIZIO LUCE
BOLLETTA 2/3
QUOTA ENERGIA PERSONALE
Ripensando ai tuoi atteggiamenti, con che stile hai
avvicinato la/le persone esterne al gruppo?
Con spirito un po’ da
crociato o con eccessivo
timore
 0 kWh
Una via di mezzo
 5 kWh
Prestando attenzione
alle sue esigenze e
difficoltà
 10 kWh
Con difficoltà e
controvoglia
 5 kWh
Come accettazione della
sfida proposta nel
sussidio
 10 kWh
Come necessità della
mia vita di cristiano
 20 kWh
Ho soltanto accennato a
Gesù
 15 kWh
Ho messo al centro
dell’annuncio Gesù e
la sua salvezza
 50 kWh
Difficoltà a far
comprendere la mia
proposta
 5 kWh
Nessuna delle due
 20 kWh
Come hai vissuto l’annuncio?
Non l’ho
fatto
 0 kWh
Nel rapporto personale con chi era esterno al gruppo,
riguardo all’argomento della fede…
Ho preferito portare il
dialogo su tematiche non
strettamente religiose
 2 kWh
Quali maggiori difficoltà hai incontrato nel dialogo con
chi hai contattato?
Difficoltà a rispondere
alle domande e
provocazioni
 0 kWh
Il correggere e il lasciarsi correggere dai fratelli ha avuto una
ricaduta positiva nel tuo cammino?
No/Non ho avuto
occasioni di
correzione fraterna
 0 kWh
Poco
 2 kWh
Sì
 5 kWh
Aderisco senza
che questo cambi
la mia vita di fede
 2 kWh
È una scelta di
responsabilità e di
impegno nella Chiesa
 5 kWh
Come vivi l’appartenenza al tuo gruppo?
Un dovere
 0 kWh
Hai maturato un senso più profondo di essere parte viva della Chiesa?
Non tanto
 0 kWh
Abbastanza, ma
fatico a sentirmi
pienamente parte
di questa Chiesa
 2 kWh
TOTALE
Sì, sento la Chiesa
come una casa
 5 kWh
______ kWh
54
“Credere ci manda”
SERVIZIO LUCE
BOLLETTA 3/3
QUOTA ENERGIA DI GRUPPO
Il valore dell’essere luce è stato riscoperto...
All’interno del
gruppo
 0 kWh
Anche da altri
parrocchiani
 20 kWh
Anche da altri
all’infuori della
parrocchia
 50 kWh
Il gruppo ha organizzato esperienze di discernimento sul bene comune del
territorio coinvolgendo altre persone e realtà?
No
 0 kWh
Sì ma ha partecipato
solo la comunità
parrocchiale
 20 kWh
Sì e hanno partecipato
anche persone esterne
alla comunità
parrocchiale
 50 kWh
Quanti giovani esterni al gruppo hanno partecipato alle esperienze
proposte dal gruppo?
Nessuno
 0 kWh
Pochi o in
maggioranza già
presenti in parrocchia
 20 kWh
Molti o in maggioranza
estranei alla vita
parrocchiale
 50 kWh
Il gruppo ha raggiunto con una parola di luce e di speranza chi non ne fa parte,
per aiutarlo ad illuminare le inquietudini?
No
 0 kWh
Sì, altri parrocchiani
 20 kWh
Sì, giovani all’infuori
della parrocchia
 50 kWh
Il gruppo ha promosso nella parrocchia un’occasione di incontro, condivisione,
confronto e progettazione pastorale?
No
 0 kWh
Sì
 20 kWh
Sì, coinvolgendo anche
altre realtà
 40 kWh
Il gruppo ha creato occasioni di comunione con altre persone/realtà che
animano la parrocchia?
No
 0 kWh
TOTALE
Sì
 40 kWh
______ kWh
TOTALE BOLLETTA
______ kWh
Con riserva di conguaglio
COMUNICAZIONI RELATIVE ALLA FORNITURA
Cercare il regno di Dio su questa terra, significa anzitutto fidarsi di Lui e affidarsi alla sua Parola.
La chiamata a realizzare il regno di Dio nel mondo stimola una riflessione profonda sulle proprie scelte di
responsabilità. Le azioni concrete compiute in gruppo e le prassi di fede suscitate dalle esperienze vissute,
potranno aiutare a verificare se si è vissuto da veri testimoni del Vangelo, in un clima di ecclesialità e di
apertura a tutti gli uomini.
55
56
APPENDICE
APPENDICE 1
CREDERE CI MANDA
MONS. VINCENZO PAGLIA
3 GIUGNO 2014
Prendi il largo
Il cardinale Bergoglio, nel breve intervento che fece in una delle Congregazioni Generali
prima del Conclave, richiamò il passo dell’Apocalisse ove Giovanni scrive: “Ecco sto alla porta
e busso”(3,20). Il commento di Bergoglio fu piuttosto singolare. Disse che Gesù non stava fuori
ma dentro la casa e bussava alla porta da dentro per uscire fuori. C’era come una forza che lo
teneva chiuso. E lui bussa – ovviamente con qualche concitazione – ma per uscire. È un modo
singolare per il papa di esortare ad uscire. E per spingere tutti ad uscire ha scritto la Evangelii
Gaudium. Potremmo dire è il suo modo di bussare alle porte dei nostri cuori. L’altro giorno, al
raduno dei carismatici, sottolineava che la Chiesa di Pentecoste è una Chiesa in uscita, una
Chiesa che ha aperto le porte e ha iniziato a parlare a chi stava fuori. In effetti, cari amici,
l’autoreferenzialità è uno dei peccati che blocca la Chiesa e le nostre comunità.
Nel vostro piano triennale siete giunti all’ultima tappa, la terza, con il titolo “Credere ci
manda”. La pagina evangelica di Luca (5,4-11), che il vescovo ha posto come apertura degli
Orientamenti per il nuovo assetto della Diocesi, è illuminante. Gesù, dicendo “prendi il largo”,
vuol sottolineare l’uscita della Chiesa diocesana e di ogni singolo credente. È vero che si è
magari stanchi per aver lavorato già tanto e forse senza molto frutto. Ma per questo è
necessario riascoltare quella esortazione. E in fondo questi tre giorni non sono altro che
ascoltare questa parola di Gesù: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Nel brano
della pesca miracolosa di Giovanni dopo la risurrezione Gesù ripete il comando ma con
un’aggiunta: “Gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete”(21,5). Bisogna cambiare
verso, ossia gettare le reti non dove si è sempre fatto, ma dall’altra parte. È a dire che non
bisogna tornare a fare come sempre si è fatto, magari anche un po’ meglio. No, è necessario
percorrere nuove strade, intraprendere nuovi sentieri e con una passione nuova. L’Esortazione
Apostolica Evangelii Gaudium è un testo fondativo della vita delle nostra Chiese diocesane e di
ogni singolo fedele. Non è un testo come tanti altri. C’è bisogno di leggerlo e meditarlo. È
denso di un nuovo spirito che, se compreso, porta fuori di sé. Potremmo dire che la “rete della
pesca” è la stessa, ma è diverso il mare dove gettarla.
59
Una Chiesa in uscita
Scrive il Papa: “La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono
l’iniziativa, che si coinvolgono, che fruttificano e festeggiano” (24). È l’intera Chiesa che deve
essere missionaria in tutte le sue dimensioni e in tutti i suoi ambiti, in Curia e nelle parrocchie,
nei movimenti e nei singoli, nelle commissioni e nei diversi ambiti. Il Papa la chiama
“conversione missionaria”: “Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la
guida del suo Vescovo, è anch’essa chiamata alla conversione missionaria. Essa è il soggetto
dell’evangelizzazione…”(30). Si tratta di una indicazione impegnativa. Qualcuno potrebbe dire
che già lo fa. Stiamo attenti. Il Papa chiede di più. Non basta ripetere, magari meglio, quello
che già si fa. Il Papa: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo
criterio pastorale del “si è sempre fatto così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo
compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie
comunità” (34). Si tratta di sintonizzarsi tutti con questa passione missionaria che il Papa ci
comunica. Essa sgorga da Gesù stesso: “vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano
stanche e sfinite come pecore senza pastore” (Mt 9,36ss), chiese di pregare per i futuri operai
della messe e inviò i discepoli in missione (Mt 10).
I “no”
Nella prospettiva della conversione missionaria, l’Evangelii gaudium accenna alle
“tentazioni degli operatori pastorali” (78 ss), dei più vicini, si potrebbe dire. Il Papa pone una
serie di “no”. Il primo è “no” all’autoreferenzialità e al calo del fervore (“Non lasciamoci
rubare l’entusiasmo missionario!”, 80). Poi viene il “no” all’accidia egoista (“Non lasciamoci
rubare la gioia dell’evangelizzazione”, 83), quindi un “no” al pessimismo sterile (“Non
lasciamoci rubare la speranza!”, 86), poi un “no” all’individualismo (“Non lasciamoci rubare
la comunità!”, 92), “no” alla mondanità spirituale, ossia a “cercare al posto della gloria del
Signore la gloria umana ed il benessere personale” (93), “no” a pensare la Chiesa in modo
manageriale….(95), “no” alla ricerca di potere, ossia a quell’attitudine che porta più a
comandare che a servire. “Dio ci liberi – scrive ancora - da una Chiesa mondana sotto
drappeggi spirituali o pastorali!... Non lasciamoci rubare il Vangelo!” (98). E conclude questa
parte della Esortazione Apostolica con un ultimo “no” che in certo modo riassume tutti: “no
alle guerre tra noi”. Ci sono troppe liti all’interno delle comunità cristiane: “Non lasciamoci
rubare l’ideale dell’amore fraterno!”(101).
È necessario riflettere sulla qualità della testimonianza che le nostre comunità danno di
quell’unità per cui Gesù ha pregato prima di essere condotto verso la croce. La mancanza di
unità è un sintomo della scarsa passione missionaria. Anzi, quando manca la passione
missionaria prevalgono immancabilmente tanti protagonismi contrapposti, ciascuno pronto a
difendere le proprie idee e i propri confini, e del tutto disattenti all’oltre da sé e a restare
60
distanti dalle periferie del mondo. Ci si contenta di restare nello spazio proprio della Chiesa.
C’è da fare un serio esame di coscienza sull’individualismo sia spirituale che pastorale
La missione è di tutto il popolo
La “missione” è la parola chiave di Francesco: ed è fatta non da individui separati,
protagonisti, o dai loro programmi pastorali. La missione è opera di tutto un popolo: “Questa
salvezza, che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti, e Dio ha dato
origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di
convocarli come popolo e non come esseri isolati. Nessuno si salva da solo, cioè né come
individuo isolato né con le proprie forze” (113). E più avanti: “Essere Chiesa significa essere
popolo di Dio, in accordo con il grande progetto di amore del Padre” (114). È il Concilio, ben
espresso all’inizio della Lumen gentium, quando parla del popolo di Dio. I nostri cristiani non
sono esenti dall’individualismo, che cresce nel mondo globalizzato. Costatiamo tutti la fatica a
lavorare insieme, a collaborare secondo le proprie diversità e compiti. Ciascuno è come chiuso
nel proprio piccolo recinto. È invece urgente riscoprire la dimensione del “popolo di Dio”,
quegli uomini e donne che sono radunati attorno al Signore. Sono persone diverse le une dalle
altre unite solo dalla vicinanza al Signore e dalla partecipazione al suo disegno di salvezza sul
mondo.
Questo popolo - non solo gli specialisti – è chiamato a comunicare a tutti, nessuno
escluso, il Vangelo dell’amore. Nelle pagine finali l’Evangelii gaudium insiste sull’idea del
popolo: “La Parola di Dio ci invita anche a riconoscere che siamo popolo”. E quindi, “la
missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268).
La passione per Gesù ci spinge a guardare il popolo, per accogliere le sue domande, per
interpretare i suoi bisogni, per appassionarsi alla sua vita, per imparare ad essere madri e padri
di tutti senza escludere nessuno. La nostra gente (vicina o meno vicina) trova in Papa
Francesco parole che esprimono una paternità e offrono un orientamento verso il bene, un
appello all’uscita dalla gabbia dell’individualismo per incontrare gli altri. Il Papa è un grande
missionario: sta creando un clima nuovo in cui la gente si ritrova come popolo attorno alla sua
predicazione del Vangelo. Lo sentiamo nei cambiamenti di clima introdotti nelle nostre
diocesi: il Papa lavora con noi attraverso il suo ministero. Ma noi riusciamo a raccogliere i
frutti che fa emergere? Riusciamo noi ad accogliere quelle persone che egli attrae? Non
dovremmo anche noi apprendere da lui ad essere attrattivi?
Una Chiesa al servizio del Regno di Dio
Queste domande sono necessarie perché la Chiesa non vive per se stessa, per essere
soddisfatta del proprio edificio. La Chiesa ha la missione di essere lievito e sale della terra. Il
disegno di Gesù – e quindi quello della Chiesa – è trasformare il mondo da “regno del male e
della solitudine” a “Regno dell’amore e della pace”. Gesù ha iniziato lui stesso questa opera di
61
trasformazione. E poi l’ha affidata anche alla Chiesa. Scrive Papa Francesco: “Una fede
autentica –che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di
cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro
passaggio sulla terra… Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della
costruzione di un mondo migliore” (183).
Il Regno di Dio – il Regno dell’amore e non dell’odio - inizia nei cuori, quando si
accoglie l’annuncio del Vangelo. Sì, il Regno di Dio diviene storia quando cambia il cuore di
ciascuno di noi. È di qui – dai cuori - che inizia la trasformazione del mondo. Sì, è dal
cambiamento di se stessi che inizia il cambiamento del mondo. Chi pensa di convincere gli
altri senza trasformare se stesso è un illuso. Non cambia nulla. Il compito missionario perciò
non è anzitutto proclamare una dottrina ma cambiare i cuori. Certo, il cambiamento non
avviene tutto d’un colpo. C’è bisogno di pazienza, di accompagnamento, di fedeltà, di amore,
di misericordia. Il cristianesimo – diceva Sant’Ignazio di Antiochia – non è opera di
convincimento ma di grandezza, di grandezza di amore.
È quel che sta facendo Papa Francesco. Parla di misericordia e tutti accorrono.
Qualcuno arriva a criticarlo perché non espone tutta il catechismo. E lui risponde: “ma se
prima non si innamorano di Gesù, come potranno seguirlo?”. Solo dopo l’incontro con Gesù è
possibile seguirlo in tutto l’itinerario che propone. Non è stato così anche con gli apostoli? È
bene rendersi conto dell’azione pastorale di Gesù con la gente, con i discepoli, con gli apostoli.
Essere missionari significa privilegiare la comunicazione _ preferisco comunicazione ad
annuncio per sottolineare la concretezza - della misericordia, dell’amore, della vicinanza. Tutti
gli uffici, tutte le parrocchie, tutti i battezzati debbono testimoniare la misericordia. Papa
Francesco, in effetti, sembra non fare altro: proclama il kerigma, ossia “Dio vi vuol bene!”
La stessa cosa dobbiamo fare noi: toccare il cuore della gente e poi prendercene cura.
C’è un’ “arte dell’accompagnamento”, come la chiama Francesco, che significa vicinanza “con
uno sguardo salutare e pieno di compassione” (169). Nei Vangeli la compassione è un
atteggiamento unico e tipico di Gesù, che esprime il sentimento della madre quando ha il figlio
nel suo ventre e lo sente parte di se stessa. Nell’accompagnamento s'impara ad essere madri di
tanti, non solo di quelli già parte della famiglia della Chiesa, anzi la madre di solito si occupa
maggiormente del figlio lontano e problematico. Del resto è l’insegnamento della parabola del
Padre misericordioso. Servono meno steccati, più apertura e incontro.
Penso alle nostre Messe della Domenica: sono piene di gioia? Siamo capaci di
accogliere chi viene? Siamo preoccupati di chiamare chi non viene? Chi sono per noi quelle
donne e quegli uomini che non vengono mai? Ci siamo mai preoccupati di come raggiungerli,
di come aiutarli, insomma di come amarli? Perché poi tutta la missione si gioca sull’amore per
gli altri, su quella santa angoscia che rende preoccupati per la salvezza degli altri. Papa
Francesco chiede di imparare ad essere madri e padri degli altri, ossia essere “prossimi”. E
prossimità vuol dire “ascolto”, vuol dire “individuare il gesto e la parola opportuna che ci
smuove dalla tranquilla condizione di spettatori” (170). Questo comporta anche la conoscenza
62
del male oggettivo di una persona, senza però “emettere giudizi sulla sua responsabilità e
colpevolezza”, e risvegliare in ognuno la possibilità di cambiare.
Comunicare nuovamente il Vangelo
Papa Francesco, in consonanza con l’intera tradizione della Chiesa, insiste nel dire che
bisogna tornare a parlare di Gesù. Sì, più di Gesù che delle regole, più del suo amore che dei
valori. E questo è possibile attraverso una riproposizione del Vangelo. Un giorno ha voluto
regalarlo alle migliaia di fedeli radunati in Piazza San Pietro. L’esperienza che ho avuto a
Terni è stata straordinaria.
San Francesco d’Assisi, in un momento in cui la Chiesa era come muta, riprese a
leggere il vangelo per le strade e per le piazze in italiano. E questo è un compito di tutti, dei
nonni e dei genitori, dei giovani e dei ragazzi. Tutti dobbiamo evangelizzare, ossia parlare di
Gesù e cercare di fare quel che comunichiamo. È indispensabile pertanto avere tra le mani il
vangelo, il proprio Vangelo, magari sottolineato. Leggerlo in maniera spirituale, ossia con
l’aiuto dello Spirito, per metterlo in pratica così com’è. Tutti dobbiamo perciò “predicare”,
ossia far parlare il Vangelo con le nostre parole e con la nostra vita. In questo l’esempio di Papa
Francesco è incredibile.
C’è poi l’omelia. E qui il discorso è per noi sacerdoti. Papa Francesco vi ha dedicato
pagine straordinarie nella esortazione Apostolica. Cosa vuol dire che l’omelia deve essere
anch’essa missionaria? In verità, l’omelia è per sua natura missionaria nel senso che la sua
ragion d’essere è portare le parole evangeliche sino alla soglia del cuore di chi ascolta perché le
accolga e cambi vita. È quel che accadde a Pietro nel giorno di Pentecoste. Al termine della
predicazione la gente si sentì trafiggere il cuore nel petto e chiese a Pietro: “Cosa dobbiamo
fare?”. È qui riassunto lo scopo dell’omelia che, ripeto, per sua natura deve colpire il cuore e
portare al cambiamento. Questo significa un’omelia missionaria.
La parrocchia come santuario
In questo senso Gesù non è solo “maestro”, termine che fa da titolo al secondo capitolo
degli Orientamenti, ma è anche “medico”. Nel mondo c’è un grande bisogno di guarigione e
dio protezione. Dobbiamo riscoprirlo. Non è a caso che mentre tutte le realtà ecclesiastiche
vedono diminuire la partecipazione, gli uni luoghi dove questo non accade sono i santuari.
Occorre riscoprire ad esempio il senso della presenza dei santuari nelle nostre terre. Sono una
ricchezza. La gente ha bisogno di luoghi dove percepire quasi fisicamente la presenza di Dio.
Ma credo che parlare oggi di parrocchia missionaria significa trasformarla in santuario. Luoghi
dove incontrare la misericordia di Dio attraverso di noi, nella preghiera, nel silenzio,
nell'accoglienza, nella carità, nella gioia della festa, nell’ascolto delle domande, nella cura delle
ferite del dolore. La pietà popolare gioca qui una funzione essenziale e va rivisitata, pur se
evangelizzata. “La pietà popolare –scrive il Papa– manifesta una sete di Dio che solo i semplici
63
e i poveri possono conoscere e che rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo,
quando si tratta di manifestare la fede” (123). Papa Francesco cita la conferenza del CELAM
di Aparecida, che chiama la pietà popolare “spiritualità popolare o mistica popolare” (124).
Non possiamo proporre una Chiesa fredda, una Chiesa istituzione che difende se
stessa. Ricordiamoci le parole del Papa: “preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa
in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!” (Veglia di
Pentecoste 2013 con i movimenti). Ma questa Chiesa ha bisogno di luoghi di guarigione. I
Vangeli sono pieni di racconti di guarigione. E Gesù “costituisce i Dodici perché stessero con
lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,13). E nell’invio in
missione dei settantadue Luca scrive: “Quando entrerete in una città e vi accoglieranno,
mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano e dite loro: È vicino a voi
il Regno di Dio” (10,8-9). Senza dubbio annuncio del Vangelo e guarigione fanno parte
integrante della missione di Gesù e dei discepoli, sono un tutt’uno. Entrambi manifestano
l’inizio e la realizzazione del Regno di Dio.
Ascoltare il grido dei poveri
Quando la Chiesa esca incontra anzitutto i poveri. Basti vedere gli Atti degli Apostoli.
La prima uscita di Pietro e di Giovanni – è narrata al capitolo terzo – è segnata dall’incontro
con lo storpio che sedeva alla Porta Bella del tempio. E avviene la prima guarigione riportata
per esteso. L’incontro con i poveri è parte integrante della missione, poiché l’amore per i poveri
è parte integrante della fede. Il Papa scrive: “l’assoluta priorità dell’uscita da sé verso il fratello
come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale. Per ciò stesso
anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è
espressione irrinunciabile della sua essenza” (179).
La Chiesa si qualifica, secondo l’Evangelii gaudium, per la capacità di “ascoltare il grido
dei poveri”: “Rimanere fuori da quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per
ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero
“griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te” (Dt 15,9). Il grido del povero
appare nella Bibbia, a partire dai testi legislativi e profetici, come l’appello alla giustizia divina,
che sempre interviene in difesa dei poveri. Nei Salmi il grido dei poveri, ma anche dei
peccatori, di chiunque riconosce il suo bisogno, accompagna la preghiera: “A te grido, Signore,
mia roccia, con me non tacere; se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa. Ascolta la
voce della mia supplica, quando a te grido aiuto (Sl 28,1-2). Anche nei Vangeli i malati gridano
a Gesù per essere guariti (cf. Mc 10,46-52: Bartimeo, il cieco di Gerico). “La Chiesa – aggiunge
il Papa – ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare quel grido deriva dalla stessa opera
liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad
alcuni” (188). Si tratta di includere i poveri nella famiglia universale della Chiesa, perché nella
società sono spesso esclusi. Già nelle prima parte la Evangelii gaudium aveva parlato di
un’economia dell’esclusione e dello scarto, per cui si è sviluppata la “globalizzazione
64
dell’indifferenza” (53-54). L’ascolto del “grido” porta a commuoversi di fronte al dolore (193),
quindi a uscire dall’indifferenza.
La misericordia, altro termine caro al Papa, non è che la manifestazione di questo
atteggiamento profondo del cristiano, che si prende cura del prossimo nel dolore. E l’elemosina
viene indicata “come esercizio concreto della misericordia” (193), al di là del fastidio che a
volte provoca anche nei nostri cristiani, a cui proporrei di leggere il libro di Tobia e quel
bellissimo passo del Siracide, che inizia con queste parole: “L’elemosina espia i peccati” (3,304,10). Non dovremmo mai accettare che si manifestino atteggiamenti ostili nei confronti dei
poveri. La sollecitudine per i poveri deriva dal fatto che essi hanno un posto preferenziale nel
cuore di Dio (197). Perciò per la Chiesa “l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima
che culturale, sociologica, politica o filosofica” (198). Per questo il Papa dice: “Desidero una
Chiesa povera per i poveri” (198). Non si può pensare allora questa dimensione solo come
assistenza gestita da alcune istituzioni, ma anche come coinvolgimento personale dei cristiani
in un amore contemplativo: “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in
programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di
attivismo, ma prima di tutto un’attenzione all’altro considerandolo come un’unica cosa con se
stesso…Il povero, quando è amato, è considerato di grande valore, e questo differenzia
l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia.” (199)
Oggi, dice il Papa, c’è un fastidio quando si parla di etica, di solidarietà mondiale, di
distribuzione dei beni, di difesa dei posti di lavoro, di dignità dei deboli, di un Dio che “esige
un impegno per la giustizia” (204), ma questa è la missione della Chiesa, che si interessa del
mondo e ascolta il grido dei poveri. Una Chiesa che non s'interessa dei poveri “corre il rischio
della dissoluzione” (208). Una Chiesa missionaria non può non vivere questo amore
preferenziale per i poveri. Esso fa parte delle ricchezze della nostra Chiesa in Italia, là dove le
nostre realtà si pongono come case di umanità, luoghi di ascolto, di solidarietà, di guarigione, e
spesso sopperiscono a molte carenze della società, esprimendo la forza della gratuità, grande
energia liberatrice nel mondo mercato. L'amore per i poveri è la profezia della carità in una
società-mercato dove tutto si vende e si compra. Far vivere questa dimensione come elemento
essenziale dell’educazione alla fede che diventa cultura e umanesimo, rimane una caratteristica
di quanto il Signore ci fa la grazia di vivere nella nostra Chiesa, un dono da non sottovalutare e
da non sprecare. Una Chiesa povera per i poveri realizza la visione del profeta Sofonia, che in
una città violenta come Gerusalemme, annuncia la nascita di un popolo di “umili e poveri”, il
nuovo popolo di Dio.
Gesù stesso si identifica con i piccoli (Mt 25,31ss; 210). Perciò bisogna sempre ricordare
che l’amore per i poveri libera dall’individualismo e aiuta ad incontrare Gesù, anzi i poveri
sono una via maestra per incontrare Gesù. La preoccupazione per i poveri s'inserisce per Papa
Francesco anche in una riflessione sulla situazione economica mondiale, sulle leggi del
mercato e dell’economia. È nota la sua critica al liberismo globalizzato e a un mercato che
penalizza i deboli. Già nel secondo capitolo aveva pronunciato una serie di no: “a un’economia
di esclusione, alla nuova idolatria del denaro, a un denaro che governa invece di servire,
65
all’inequità che genera violenza”. Aveva poi invitato i ricchi ad aiutare i poveri: “Il Papa ama
tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare
i poveri, rispettarli e promuoverli” (58).
Essere uomini e donne spirituali
“Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano” (262).
Papa Francesco mette in guardia dalla tentazione di una spiritualità intimistica e
individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità” (262). “Il vero
missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, lavora con
lui” (266). Si tratta di recuperare uno spirito contemplativo, non schiavo dell’attivismo e dei
programmi. Il cristiano resta sempre essenzialmente un uomo dell'ascolto, un discepolo. Il
Papa invita a meditare le Scritture per poterle comunicare: “La migliore motivazione per
decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e
leggerlo con il cuore” (264). Forse si dovrebbe pensare la catechesi in maggiore sintonia con la
celebrazione della Domenica e con la Parola di Dio proclamata nella celebrazione liturgica.
Una modalità potrebbe essere ad esempio quella di inserire la Catechesi all’interno di un
momento di preghiera collegato alle letture della Domenica, perché si distacchi da una
semplice lezione scolastica o dottrinale.
Vita spirituale e missione sono strettamente connesse: “se vogliamo crescere nella vita
spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari” (272). “La missione non è una parte
della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i
tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio
distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo”
(273). Sono parole forti e profonde, che devono far riflettere sul modo di intendere la vita
cristiana. La missione difficilmente è sentita come la dimensione permanente della vita
cristiana di laici e chierici. Il Papa ci aiuta a comprendere che se non si è missionari, cioè se
non si comunica il Vangelo ogni giorno, non si è cristiani. Noi siamo nel mondo per essere
missionari dell’amore di Dio, per aiutare a scoprire la gioia e la forza del Vangelo a uomini e
donne, spesso periferici anche alla sua presenza.
L’uomo spirituale tiene sempre aperta la porta alle domande delle periferie umane ed
esistenziali del nostro mondo e permette alla Chiesa di essere una Chiesa in uscita, evitando il
rischio che si chiuda in se stessa e nelle sue paure, umiliando la forza del Vangelo.
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APPENDICE 2
«Credere ci manda a cambiare il mondo
e ad essere felici»
3-4-5 GIUGNO 2014
TRE GIORNI DIOCESANA
DI FORMAZIONE COMUNE
(in L’Eco della Diocesi di Parma, 1(2014), pp. 88-97)
È la preghiera, prima di adorazione, poi proseguita nella celebrazione dei vespri ad
aprire la prima delle tre sere, martedì nell'accogliente chiesa di sant'Andrea apostolo. «Una tre
giorni di fede vissuta - ha introdotto don Matteo Visioli, vicario per la pastorale - fede come vincolo
di comunione, come forza dell'impegno e come spinta alla missione». E come esperienza di Chiesa,
nello stile della sinodalità, «per costruire insieme un cammino e non semplicemente per stare tra di
noi». Lo sguardo già al terzo anno dell'attuazione del programma pastorale: "Credere ci
manda". Ovvero - ha commentato don Matteo - come immaginare il nostro essere Chiesa
perché nel nostro agire traspaia una chiesa in uscita?
È stato poi il Vescovo a dare il benvenuto all'assemblea, composita e numerosa,
collocandola nel tempo liturgico che stiamo vivendo: «Credo sia molto bello vivere questi momenti
del nostro convenire, tra la solennità dell' Ascensione e quella della Pentecoste, invocando il dono dello
Spirito, su di noi, sulla comunità cristiana, perché il Signore ci indichi la direzione e ci prenda per mano e
noi abbiamo l'umiltà di lasciarci prendere per mano. Significativo anche iniziare con la festa dei martiri
Carlo Lwanga e compagni, a dire che l'essere in uscita deve coinvolgere Pienamente noi stessi, fino ad
offrire la nostra vita per l'annuncio del Vangelo». Monsignor Solmi ha poi messo in risalto
l'importanza dei contributi che ciascuno potrà offrire, «permettere insieme riflessioni, pensieri e
tracciare davanti a noi una strada, che prenderà poi la forza di percorsi di fede per adolescenti, giovani,
famiglie».
Quindi il saluto e il grazie a monsignor Vincenzo Paglia, «cappellano, vice parroco, parroco
a Santa Maria in Trastevere, con l'esperienza della comunità di sant'Egidio, vescovo di Terni-NarniAmelia, ora tornato a Roma come responsabile di questo importante Dicastero della famiglia.
Particolarmente addentro al nostro tema, sia per l'esperienza delle periferie geografiche e storiche di Roma,
sia per quelle esistenziali che si conoscono attraverso le porte, a volte chiuse o socchiuse, delle famiglie».
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Chiesa in uscita
«Gesù bussa non per entrare, ma perché vuole uscire». Con questo commento di papa
Francesco al versetto di Apocalisse 3,20, monsignor Paglia ha iniziato a declinare il tema della
serata, aggiungendo un altro invito di papa Francesco a «stare attenti per non esser come le guardie
che vogliono custodire un sepolcro chiuso». Uscire, o richiamando il testo evangelico che sta a
fondamento del piano pastorale triennale, gettare le reti, ma dall'altra parte. Verbo che
riguarda tutti: dal vertice all'ultimo, dalla Curia alle parrocchie, dai movimenti alle
commissioni: «tutti dobbiamo vivere la conversione pastorale». Che, prima di tutto, esige, come
richiama papa Francesco nell'Evangelii Gaudium, dei "no": no all'autoreferenzialità e al calo
del fervore, no al pessimismo sterile, no all'individualismo, no alla mondanità spirituale, non
ad una chiesa manageriale, schiava dei programmi pastorali, no ad una chiesa mondana sotto
drappeggi spirituali, non alle guerre tra noi. Elenco riassunto nell'ultimo no, nella
consapevolezza che «il primo modo di evangelizzare è la concordia». Che, ha ribadito monsignor
Paglia, lungi dall'essere omologazione al pensiero unico, significa «essere accomunati dalla
passione per il vangelo al punto di non poter restare fermi, chiusi».
Tutti, nessuno escluso
Se la missione è la parola chiave, non può essere disgiunta da un aggettivo, che riguarda
il soggetto e insieme l'oggetto: tutti in missione per arrivare a tutti. Direzione opposta a quella
che caratterizza il nostro tempo, dove «abbiamo piegato anche il cristianesimo all'individualismo
spirituale». Se essere Comunità è il primo modo di essere missionari, questa si declina con la
capacità di accoglienza. Monsignor Paglia ha ripetutamente invitato a cogliere l'opportunità
che ci viene dal papa, che tocca cuori di tante persone, che vanno poi avvicinate,
accompagnate, con pazienza e senza aver la tentazione di usare la verità come un randello.
Dobbiamo avvertire «la responsabilità di sentirci custodi di tutti coloro che abitano accanto a noi e non
sono dei nostri». Riscoprire l'essere comunità, popolo, senza dimenticarci del perché: «il popolo di
Dio non vive per se stesso, ma per trasformare il mondo». Si colloca in questa prospettiva del Regno,
la scelta di Gesù, che «non ha voluto creare un'élite e ha voluto che quel piccolo gruppo di discepoli lo
aiutasse a cambiare il mondo». Urgenza che dobbiamo sentire, perché «questo mondo sia meno triste
e Più solidale». Trasformazione iniziata da Gesù e che vuole continuare attraverso di noi,
attraverso la trasformazione del nostro cuore. Di qui l'indicazione di alcuni passi: ripartire
dalla domenica, riprendere in mano il vangelo.
Nei santuari di oggi
Trasformazione che non può non coinvolgere anche le parrocchie, chiamate - in
contesti che si stanno sempre più desertificando - a diventare "santuari", luogo di incontro con
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l'Oltre che senti, luoghi che attraggono per il calore e la vicinanza. Accanto al santuario della
parrocchia, monsignor Paglia ha ricordato l'importanza di entrare in un altro santuario, quello
dei poveri, «che ci insegnano a rompere le scatole a Dio». L'esempio della prima comunità, dove
Pietro annuncia Gesù e chi lo ascolta si sente trafiggere il cuore e poi incontra e si fa vicino,
guarendolo, ad uno storpio presso la porta del Tempio, deve essere di esempio e di richiamo.
«Papa Francesco ci sta mostrando che la missione è di tutto il popolo che esce, si sporca le mani, predica il
vangelo ovunque e incontra i poveri. Accogliendo i più poveri, i deboli, cambieremo Parma, l'Italia,
l'Europa e anche il mondo. Credere ci manda a cambiare il mondo e ad essere felici. Le reti le abbiamo:
gettiamole dall'altra parte! ».
Relazione apprezzata, come il lungo e caloroso applauso ha dimostrato.
Dialogo in assemblea
É seguito poi un confronto in assemblea, dove sono stati ripresi alcuni temi che
riportiamo in maniera sintetica: l'essere comunità, non solo ripartendo dalla domenica, ma
attraverso piccoli gruppi, che dovrebbero essere animati dai laici (e che occorre preparare); la
fatica di accompagnare le famiglie, misurando l'efficacia di quello che si fa dalla loro
partecipazione alla messa; la capacità di pazientare, insistere (ma fino a quando?) nella
proposta; l'attenzione a interlocutori secolarizzati; la diaconia di tutta la chiesa, in particolare
dei diaconi, riscoprendo la dimensione sociale della evangelizzazione; l'importanza di non
dover convincere e la capacità di vivere con più ottimismo per cogliere i segni esistenti.
Monsignor Paglia, sollecitato da queste osservazioni, ha offerto ulteriori sottolineature:
«il problema di fondo è legare rapporti di amicizia con le famiglie, con le persone. E' l'amicizia, la via della
fede e della evangelizzazione, non la dimostrazione della verità». Identificando il compito dei cristiani
nel lembo del mantello di Gesù: «tutti ci devono toccare e chi ci tocca è fortunato. Da parte nostra
non dobbiamo interrompere questi legami». Amicizia, dimensione affettiva, rapporto ravvicinato,
che deve però intrecciarsi con la dimensione popolare e il legame con la comunità. «Il non è
bene che l'uomo sia solo vale anche per le famiglie, per le comunità, per le diocesi, per i popoli ... ». Infine
la puntualizzazione sulla diaconia: «spesso appaltiamo la carità alla Caritas, col rischio che il Signore
ci mandi indietro perché non lo abbiamo riconosciuto e servito nei poveri». La carità - ha ribadito - è
compito di tutti, nessuno escluso. Anche se è importante l'organizzazione e il coordinamento.
E se «si vive la gioia per chi c'è, dobbiamo avere un po' di angoscia per chi non c'è; angoscia che è parte
integrante della missione».
A conclusione, prima della preghiera di compieta, un rinnovato saluto e grazie del
Vescovo Enrico: «lasciamoci con la gioia che ci siamo trovati, ma anche con la preoccupazione per l'oggi
e per il domani della nostra Chiesa e per il mandato che il Signore ci ha affidato».
I "fili rossi" dai lavori nei gruppi
E' il vicario generale don Luigi Valentini ad introdurre il lavoro dei gruppi, nella
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seconda sera. Commentando la solennità dell'Ascensione appena celebrata, si è soffermato
sulla figura dei due uomini in bianche vesti, che invitano gli apostoli a tornare a Gerusalemme,
a sostare, a vivere la vigilia, l'attesa. «Non sono due angeli, sono due battezzati, con la veste del
battesimo e col senso della storia». Ad indicare come il "credere ci manda" ci mette in rapporto con
l'umanità del nostro tempo, «alla quale dobbiamo rendere visibile il volto di Cristo» e con il Signore,
con le Sue parole, di cui dobbiamo diventare familiari. Qui e oggi, in una diocesi «che cerca di darsi un
volto - anche organizzato - che sia più adeguato alle condizioni degli uomini e delle donne del nostro tempo
e che ha davanti le linee fondanti di un cammino di rinnovamento». Un cantiere, in cui abbiamo la
responsabilità della costruzione del progetto, nella consapevolezza che «non siamo i fondatori
della Chiesa, ma gli artigiani chiamati a svecchiarla». Proprio nelle fedeltà alle linee guida e
rileggendo - in questa luce - i diversi ministeri. Per questo «abbiamo bisogno di ritornare al
Cenacolo, di momenti di vigilia, per invocare ancora il dono dello Spirito», nella consapevolezza che
"lui è l'artefice della Grazia e non la nostra efficienza". Infine l'invito a lavorare nei gruppi, da
intendersi come "veri e propri laboratori", con «la passione pastorale, che ci porta a camminare nella familiarità col Signore - in una dimensione missionaria».
Dalle sintesi dei lavori dei gruppi, che hanno seguito nella loro suddivisione
l'impostazione stessa della Evangelii Gaudium, si possono rintracciare alcuni fili "rossi", ad
evidenziare attenzioni e priorità condivise. Proviamo a nominarne alcuni, senza la pretesa di
essere esaustivi.
Formazione: di tutto il popolo di Dio e, in particolare, degli operatori pastorali. "Educare ad
una vita spirituale intensa", "intensificando le proposte di spiritualità" e stimolando alla
responsabilità della propria formazione, in modo non individualistico (Ambito 1 A e B). E'
urgente "la formazione degli operatori pastorali nel contenuto della fede" (Ambito 5 b).
Formazione necessaria, per "la situazione di povertà di noi cattolici nella formazione e nella
preghiera della Parola" (Ambito 5 D); cura che richiede anche il "coraggio di rompere gli
schemi che ci portiamo dentro, ma anche non vanno più bene" (Ambito 4 B). Formazione a
stili di vita: sobrietà, solidarietà (Ambito 3AeC; Ambito 6B). Formare operatori a livello
professionale, nei rapporti con le persone oltre che nella pastorale ... (Ambito 4 C). La prima
formazione necessaria è l'attenzione alla relazione/ accoglienza, nel rispetto dei tempi di tutti:
inoltre formazione alla Parola e cura della Bellezza nella liturgia (Ambito 2 B e D). Di qui
anche l'esigenza di "organizzare bene la scuola per operatori pastorali" (Ambito 5, C).
Proporre cammini, coraggiosi, alti, sulle Scritture, di preghiera ... , per giungere a conoscere,
ad avere familiarità con almeno un vangelo (Ambito 5 D). Crescere nella formazione alla
corresponsabilità (Ambito 6 A). Formazione avvertita come urgente per riportare al centro il
rapporto con Gesù, l'innamoramento con Lui.
Comunità, tema che si intreccia con la cura delle relazioni: far sì che le comunità divengano
luoghi e spazi di incontro, incoraggiamento, sostegno, ascolto, accoglienza, misericordia
(Ambito 1 C); rafforzare la vita di comunità: comunità accoglienti, capaci di tessere relazioni
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vere con le persone, di ricondurle ad una dimensione umana e di contatto reale (Ambito 3 A).
Si richiede una conversione delle nostre comunità, meno centrate su se stesse, sui loro
problemi, ma aperte al mondo; comunità che sappiano profumare del mondo (Ambito 3 C).
Creare occasioni per stare insieme, che favoriscano il crearsi di legami di amicizia e il sentirsi
parte di una comunità; puntare sulle relazioni, senza le quali è difficile trasmettere contenuti
(Ambito 4 D); all'interno della comunità la valorizzazione dei consigli pastorali, quali "luoghi
per discernere insieme il senso del nostro essere credenti ed operare insieme nella chiesa,
luoghi per far maturare la mentalità di fede dell'operatore e per riscaldare il cuore, ripartendo
dal nostro stare insieme attorno a Cristo; luoghi per prendere sempre più coscienza del nostro
essere discepoli del Signore e non del mondo; luogo per condividere le stesse problematiche e
la fatica dell'annuncio (Ambito 4 A). Valorizzare le relazioni comunitarie in parrocchia,
pregare insieme. Curare le relazioni nel rispetto e nella valorizzazione dei carismi di ognuno e
far crescere la comunità attraverso un maggiore confronto e una maggiore condivisione
(Ambito 4 B). Curare la dimensione pastorale-relazionale della pastorale: dimensione
"prioritaria e strategica per il cammino di evangelizzazione della nostra Chiesa" (Ambito 5 C).
Comunità che deve convertirsi, non per fare le cose in modo diverso, ma per vivere "un nuovo,
radicale atteggiamento che faccia tornare le nostre comunità a sperimentare come originaria e
fondante l'iniziativa e l'agire di Dio" (Ambito 2 A). Comunità che si riscopre sempre preceduta
dalla Parola (Ambito 5 D).
Vita: degli evangelizzatori, della comunità (testimonianza contagiosa) e delle persone che
siamo chiamati a raggiungere. "L'annuncio del Vangelo passa attraverso i gesti e le attenzioni
che lo rendono vivo". E' importante "accompagnare le esperienze che si vivono in famiglia"
(Ambito 4 D). L'evangelizzazione passa attraverso la vita dei cristiani e la loro testimonianza
gioiosa (Ambito lA B). Occorre avere attenzione a curare "lo spazio degli eventi della vita"
(Ambito 1 C). Va diffuso un metodo pastorale che guardi all'esperienza della vita di chi
abbiamo davanti (Ambito 2 B D). Lavorare per la partecipazione di tutti alla vita della città
(Ambito 3 C). Andare a cercare le persone che vivono situazioni di bisogno e di precarietà
(Ambito 3 A); entrare nelle case dove si vivono situazioni di sofferenza (Ambito 6 A).
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Gli ambiti e i gruppi
1 ° Ambito:
LA DOLCE E CONFORTANTE GIOIA DI EVANGELIZZARE
A. Il vangelo della gioia
B. La dolce e confortante gioia di evangelizzare
C. Essere Chiesa: Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo
D. Discepoli missionari
2° Ambito:
LA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA
A. Una Chiesa in uscita
B. Pastorale in conversione
C. Dal cuore del Vangelo
D. La chiesa: Una madre dal cuore aperto
3° Ambito:
NELLA CRISI DELL'IMPEGNO COMUNITARIO
A. Il nostro contesto culturale
B. Alcune sfide culturali
C. La città: sfide delle culture urbane
D. Cultura, pensiero ed educazione
4° Ambito:
LE TENTAZIONI DEGLI OPERATORI PASTORALI
A. Uno spazio per risanare l'operatore pastorale
B. Le malattie dell'operatore pastorale
C. Pastorale giovanile e vocazionale
D. Pastorale familiare
5° Ambito:
UN'EVANGELIZZAZIONE PER L'APPROFONDIMENTO KERIGMATICO
A. Formazione
B. Una catechesi kerygmatica e mistagogica
C. L'accompagnamento personale dei processi di crescita
D. Circa la Parola di Dio
6° Ambito:
LA DIMENSIONE SOCIALE DELL'EVANGELIZZAZIONE
A. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio
B. L'inclusione sociale dei poveri
C. Il bene comune e la pace sociale
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Punti salienti dell' Assemblea conclusiva in Cattedrale
«È bello ritrovarci nella Chiesa Madre, portatori e portatrici dei nostri doni, ministeri, stati di vita
ed ascoltarci con quella carità che è propria dei cristiani che si riuniscono nel nome di Gesù. Stasera c'è
spazio e tempo per chi desidera, con franchezza e coraggio, raccontare a tutti ciò che gli sta a cuore». Così
don Matteo Visioli, dopo la preghiera di adorazione, saluta l'assemblea. Il Vescovo Enrico,
nell'aprire i lavori, sottolinea la felice coincidenza di vivere l'assemblea nella festa di un
missionario dell'Europa del Nord, che dona il suo sangue per il vangelo. Mons. Solmi ha poi
scelto non di fare una sintesi dei lavori di gruppo, ma di tracciare l'orizzonte in cui collocarli.
E parte dalla Passione del Signore: «Gesù in quei momenti non ha a cuore se stesso, ma noi, la
sua comunità per la quale prega perché sia unita; ha a cuore i suoi discepoli ai quali manifesta il volto di
Dio lavando i piedi; ha a cuore tutta l'umanità. In Gesù la vita è un tutt'uno con l'annuncio del vangelo;
l'affidamento al Padre è un tutt'uno col farsi carico della nostra condizione umana». Esempio, questo di
Gesù, che sta a fondamento e modello della nostra fede che, per tanto, è missionaria di per se
stessa. «In questa profondità abbiamo giocato le tre sere, volendo convenire insieme, essere e sentirei
insieme, chiesa popolo di Dio», portando la nostra vita, i nostri doni, innestati sul dono incommensurabile
del Battesimo».. «Siamo venuti a pregare, ad ascoltare, ad interrogarci». «Mi piace pensare a questa
assemblea come ad un grande Servizio Ministeriale, come lo abbiamo definito nel N.A.D. E' il primo
punto, forse anche il primo scalino, più difficile da compiere». Un'assemblea che chiude la tre sere,
che ha cercato un coinvolgimento ampio di Uffici e associazioni. «In questi giorni rinnovo la fede
nella certezza che lo Spirito santo ci fa nuovi. Se penso alle situazioni che ci sono e alla mia povertà, mi
sgomento, ma se penso che lo Spirito Santo ci fa nuovi, nasce la speranza».
Carlo Bocchi, intervenuto non solo come condirettore dell'Ufficio famiglia, ma anche
come parrocchiano di Monticelli, ha rimarcato l'importanza di cogliere l'opportunità dei corsi
di preparazione per fidanzati (di cui il 90% sta vivendo l'esperienza della convivenza e la
maggior parte non partecipa alla vita della Chiesa) come occasioni di annuncio, che devono
coinvolgere nuove famiglie.
Graziano Vallisneri ha richiamato l'attenzione sulla sobrietà, che deve portare a
considerare in modo diverso il proprio superfluo; sobrietà non solo individuale ma anche delle
comunità. Attenzione da mettere a tema nelle Nuove Parrocchie, valorizzando la figura degli
economi e facendo conoscere difficoltà e criteri delle scelte.
Suor Tilla Brizzolara, Usmi, tenendo come sfondo la EG, nel sottolineare la consolante
realtà di presbiteri e religiose che condividono la cura pastorale, ha evidenziato la necessità di
allargare gli spazi alla ministerialità femminile. Si è poi chiesta come la Chiesa di Parma può
aiutare l'inculturazione dei carismi dei vari istituti religiosi, senza tacere del debito che le
religiose hanno nei confronti di una pastorale che si occupi più di attivare processi che di
occupare spazi.
Don Roberto Dattaro riflettendo sulla «crisi dell'impegno comunitario, ha messo in
evidenza alcuni fattori, quasi in contraddizione tra di loro: la dimensione comunitaria che ci
caratterizza e l'individualismo che respiriamo. Rivisitando - anche a livello di chiesa italiana 73
alcune tappe di un percorso che in diocesi si è attuato col Nuovo Assetto, ha auspicato una
formazione al lavoro comune.
Maria Cecilia Scaffardi, Caritas, nell'evidenziare l'importanza delle tre sere - punto di
arrivo e non solo di partenza - ha proposto di inserire nei percorsi di formazione e di catechesi
occasioni concrete e sistematiche di incontro con i poveri e di servizio, invitando anche a
forme di coordinamento nell'ambito della carità.
Ilaria Bianchi, della piccola comunità apostolica, ha sottolineato come la nostra
testimonianza perda di efficacia a causa di un rapporto col Signore che rischia di essere di
lavoro, per cui anche la proposta che facciamo diventa una serie di precetti. Pensando in
particolare ai giovani, ha rimarcato la necessità di pensare ad accompagnamenti personali.
Quasi proseguendo queste riflessioni, è intervenuto don Francesco Ponci, assistente di
zona dell'Agesci che, ribadendo la necessità di accompagnare i ragazzi nel vivere la fede e nel
compiere scelte, ha evidenziato l'importanza di riuscire a mostrare che il vangelo ci rende
uomini e donne.
Antonella Zennoni ha invitato a guardare al lavoro pastorale - in particolare con le
famiglie - come occasione per riscoprire la grazia di Dio e le opportunità di annuncio e di
impegno missionario che vengono offerte.
Piera Grandi, saveriana, Migrantes, ha inteso rendere presente le persone immigrate,
che rappresentano una risorsa, una sfida, un dono. Nella consapevolezza che credere ci manda
anche a loro.
Suor Alba Nani, Piccole Figlie, nel sottolineare il cambiamento di mentalità richiesto
nel percorso che stiamo compiendo, ha posto l'attenzione sul Servizio ministeriale. Altro
elemento di riflessione: la bellezza della celebrazione eucaristica e porre le condizioni perché i
presbiteri in primis possano viverla.
Mirella Pasini, Rinnovamento dello Spirito, partendo dalla sua esperienza personale, ha
messo in evidenza come la missione inizi da ciascuno di noi verso il Signore, per conformarci a
lui, e poi andare agli altri. Ha inoltre auspicato di proseguire nell'impegno di comunione.
Don Guido Pasini, direttore Ufficio liturgico, riprendendo l'invito di monsignor Paglia
a ripartire dal Vangelo, ha comunicato la sua esperienza progressiva della parola di Dio, non
solo e non più proclamata, ma cantata da una comunità.
Angelo Merli, sollecitato dal tema dell'angoscia di non arrivare a tutti, ha ripreso alcune
immagini che descrivono la chiesa come piccolo gregge, germe, lievito, ad indicare che il regno
di Dio è dono che chiede la nostra parte, ma non dipende da noi. Ha poi sottolineato la
necessità di luoghi di confronto e di condivisione (consiglio pastorale, consulte).
Sandro Campanini, Meic, ha individuato alcune terre di missione: le persone che si
applicano alla ricerca, alle scienze, e fanno cultura; il mondo della produzione economica: due
mondi con cui riflettere insieme.
Don Daniele Bonini, pastorale vocazionale, ha richiamato l'importanza dell'attenzione
alla persona e della cura delle relazioni, testimoniando in modo particolare il valore della
gratuità.
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Don Luigi Valentini ha condiviso diversi motivi di gratitudine: al mondo in cui
viviamo, alla nostra Chiesa, guidata da papa Francesco, alla nostra Chiesa di Parma e al
nostro pastore, esprimendo anche la preoccupazione e il desiderio che "l'abbronzatura» di
questi giorni non passi troppo presto.
A conclusione, insieme al grazie, il Vescovo ha consegnato un'immagine evangelica:
quella della vite e dei vignaioli, che ben delinea lo stile e l'impegno del cristiano, chiamato a
seminare, ad attendere, a «mondare», perché la vite porti frutti. Stile con cui portare «le cose
dette sulla via di passi concreti, che sono i passi della nostra Chiesa». Disponibili a «continuare
ad interrogarci e a leggere i segni dei tempi. Missione qui, oggi, a Parma, facendo in modo che anche chi
arriva da altri Paesi «si senta a casa». Missione anche ad gentes. Missione che ci interpella e ci pone
domande da non soffocare. E poi l'impegno di raggiungere comunità parrocchiali, gruppi, associazioni, per
«trasmettere il credere ci manda in passi concreti, in ordine alla catechesi, alla carità, per una formazione
globale per tutte le fasce di età». Infine guardando ai prossimi appuntamenti, ha invitato tutti, in
particolare i giovani ad accompagnare il Santissimo sacramento nella processione della
prossima Giornata Eucaristica, segno di «una chiesa in cammino che passa attraverso le strade della
città».
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76
APPENDICE 3
Toronto, 28 luglio 2002
Omelia di Giovanni Paolo II
SANTA MESSA CONCLUSIVA PER LA
XVII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (TORONTO 2002)
"Voi siete il sale della terra...
Voi siete la luce del mondo" (Mt 5, 13.14)
Carissimi Giovani della 17a Giornata Mondiale della Gioventù,
carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Su una montagna vicino al lago di Galilea, i discepoli di Gesù erano in ascolto della sua
voce soave e pressante: soave come il paesaggio stesso della Galilea,pressante come un appello
a scegliere tra la vita e la morte, fra la verità e la menzogna. Il Signore pronunciò allora parole
di vita che sarebbero risuonate per sempre nel cuore dei discepoli.
Oggi Egli dice le stesse parole a voi, giovani di Toronto e dell'Ontario, e di tutto il Canada,
degli Stati Uniti, dei Caraibi, dell'America di lingua spagnola e portoghese, dell'Europa,
dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania. Ascoltate la voce di Gesù nel profondo dei vostri cuori! Le
sue parole vi dicono chi siete in quanto cristiani. Vi insegnano che cosa dovete fare per
rimanere nel suo amore.
2. Gesù offre una cosa; lo "spirito del mondo" ne offre un'altra. Nella lettura odierna, tratta
dalla Lettera agli Efesini, san Paolo afferma che Gesù ci conduce dalle tenebre alla
luce (cfr Ef 5,8). Forse il grande Apostolo stava pensando alla luce che lo aveva accecato, lui il
persecutore dei cristiani, sulla via di Damasco. Quando aveva riacquistato la vista, niente era
rimasto come prima. Paolo era rinato e ormai nulla avrebbe potuto sottrargli la gioia che gli
aveva inondato l'anima.
Anche voi, cari giovani, siete chiamati ad essere trasformati. "Svegliati, o tu che dormi, destati
dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef 5, 14): è ancora Paolo che parla.
Lo "spirito del mondo" offre molte illusioni, molte parodie della felicità. Non vi è forse tenebra
più fitta di quella che si insinua nell'animo dei giovani quando falsi profeti estinguono in essi la
luce della fede, della speranza, dell'amore. Il raggiro più grande, la maggiore fonte di infelicità
è l'illusione di trovare la vita facendo a meno di Dio, di raggiungere la libertà escludendo le
verità morali e la responsabilità personale.
3. Il Signore vi invita a scegliere tra queste due voci, che fanno a gara per accaparrarsi la vostra
anima. Questa scelta è la sostanza e la sfida della Giornata Mondiale della Gioventù. Perché
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siete giunti qui da ogni parte del mondo? Per dire insieme a Cristo: "Signore, da chi andremo?
Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6, 68). Gesù, l'amico intimo di ogni giovane, ha parole di vita.
Quello che voi erediterete è un mondo che ha un disperato bisogno di un rinnovato senso di
fratellanza e di solidarietà umana. È un mondo che necessita di essere toccato e guarito dalla
bellezza e dalla ricchezza dell'amore di Dio. Il mondo odierno ha bisogno di testimoni di
quell'amore. Ha bisogno che voi siate il sale della terra e la luce del mondo.
4. Il sale viene usato per conservare e mantenere sano il cibo. Quali apostoli del terzo
millennio, spetta a voi di conservare e mantenere viva la consapevolezza della presenza di
Gesù Cristo, nostro Salvatore, specialmente nella celebrazione dell'Eucaristia, memoriale della
sua morte redentrice e della sua gloriosa risurrezione. Dovete mantenere viva la memoria delle
parole di vita da lui pronunciate, delle splendide opere di misericordia e di bontà da lui
compiute. Dovete costantemente ricordare al mondo che "il Vangelo è potenza di Dio che
salva" (cfr Rm 1, 16)!
Il sale condisce e dà sapore al cibo. Nel seguire Cristo, voi dovete cambiare e migliorare il
�gusto� della storia umana. Con la vostra fede, speranza e amore, con la vostra intelligenza,
coraggio e perseveranza, dovete umanizzare il mondo nel quale viviamo. Il modo per ottenere
ciò lo indicava già il Profeta Isaia nella prima lettura di oggi: "Sciogliere le catene inique...
dividere il pane con l'affamato... [togliere di mezzo] il puntare il dito e il parlare
empio... Allora brillerà fra le tenebre la tua luce" (Is 58, 6-10).
5. Anche una fiamma leggera che s'inarca solleva il pesante coperchio della notte. Quanta più
luce potrete fare voi, tutti insieme, se vi stringerete uniti nella comunione della Chiesa! Se
amate Gesù, amate la Chiesa! Non scoraggiatevi per le colpe e le mancanze di qualche suo
figlio. Il danno fatto da alcuni sacerdoti e religiosi a persone giovani o fragili riempie noi tutti
di un profondo senso di tristezza e di vergogna. Ma pensate alla larga maggioranza di sacerdoti
e di religiosi generosamente impegnati, il cui unico desiderio è di servire e di fare del bene!
Oggi, ci sono qui molti sacerdoti, seminaristi e persone consacrate: siate loro vicini e
sosteneteli! E se, nel profondo del vostro cuore, sentite risuonare la stessa chiamata al
sacerdozio o alla vita consacrata, non abbiate paura di seguire Cristo sulla strada regale della
Croce. Nei momenti difficili della storia della Chiesa il dovere della santità diviene ancor più
urgente. E la santità non è questione di età. La santità è vivere nello Spirito Santo, come hanno
fatto Kateri Tekakwitha e moltissimi altri giovani.
Voi siete giovani, e il Papa è vecchio e un po' stanco. Ma egli ancora si identifica con le vostre
attese e con le vostre speranze. Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi
totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna
difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che
zampilla eterna nel cuore dei giovani.
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Non lasciate che quella speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non siamo
la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma
dell'amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l'immagine del Figlio suo.
6. Signore Gesù Cristo,
custodisci questi giovani nel tuo amore.
Fa' che odano la tua voce
e credano a ciò che tu dici,
poiché tu solo hai parole di vita eterna.
Insegna loro come professare la propria fede,
come donare il proprio amore,
come comunicare la propria speranza agli altri.
Rendili testimoni convincenti del tuo Vangelo,
in un mondo che ha tanto bisogno
della tua grazia che salva.
Fa' di loro il nuovo popolo delle Beatitudini,
perché siano sale della terra e luce del mondo
all'inizio del terzo millennio cristiano.
Maria, Madre della Chiesa, proteggi e guida
questi giovani uomini e giovani donne
del ventunesimo secolo.
Tienili tutti stretti al tuo materno cuore.
Amen.
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APPENDICE 4
Beato don Pino Puglisi
sacerdote e martire
La vita di don Pino Puglisi
Le umili origini di Giuseppe Puglisi (papà calzolaio, mamma sarta) affondano a Brancaccio, il
quartiere palermitano dove nasce il 15 settembre 1937. Brancaccio è un quartiere difficile, caratterizzato da
tanta miseria, e non solo materiale, dalla delinquenza, dalla corruzione e soprattutto dalla presenza
soffocante della mafia, con la quale don Pino si troverà presto a confrontarsi.
Giuseppe entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote il 2 luglio
1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata
di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1963 è nominato cappellano presso l'istituto per orfani "Roosevelt" e vicario presso la parrocchia Maria
SS. ma Assunta a Valdesi. Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle
problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli
con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell'ecumenismo e delle
chiese locali. Il suo desiderio è sempre quello di incarnare l'annunzio di Gesù Cristo nel territorio,
assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
Nel 1983 diventa responsabile del Centro regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli
studenti e ai giovani del Centro diocesano vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando,
attraverso una serie di "campi scuola", un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e
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cristiano. Inoltre don Puglisi diventa docente di matematica e poi di religione presso varie scuole
palermitane.
Diventa anche animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica,
Fuci, Equipes Notre Dame. Dal marzo del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la "Casa
Madonna dell'Accoglienza" dell'Opera pia Cardinale Ruffini in favore di giovani donne e ragazze-madri in
difficoltà.
Insomma, in questi ultimi 28 anni ricopre i più svariati incarichi: dall’insegnamento alla pastorale
vocazionale, dalla direzione spirituale di giovani e religiose alla rettoria del seminario minore fino
all’accompagnamento delle giovani coppie, rivelandosi sempre fine educatore, consigliere illuminato ed
incisivo formatore di coscienze, comunque un prete “rompiscatole”, come ama definirsi, che non lascia
tranquilli i suoi interlocutori, sempre stimolandoli ad una maggior autenticità cristiana.
Significativi, dal punto di vista pastorale, i suoi otto anni che passa nella comunità di Godrano,
contrassegnata da una atavica e sanguinosa faida, che riesce a debellare a colpi di Vangelo e carità,
insegnando e inculcando la forza trasformante della riconciliazione cristiana e del perdono vicendevole.
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, nella sua natia Brancaccio. Ci ritorna
umanamente ormai maturo perché oltre la soglia dei 50 anni, ma, soprattutto, pastoralmente ben
collaudato, con uno stile pedagogico e formativo ben definito e una passione per i giovani che con il tempo
è andata aumentando anziché affievolirsi. Sono loro, infatti, a dover essere sottratti, uno ad uno,
all’influenza mafiosa, per creare una nuova cultura della legalità e un’autentica promozione umana, che
passi attraverso il risanamento del quartiere, la creazione di nuove opportunità lavorative, il recupero di
condizioni di vita dignitose, ulteriori possibilità di scolarizzazione.
Per fare questo don Puglisi non si risparmia e non esclude alcun mezzo, dalla predica in chiesa con
toni accesi ed inequivocabili alla promozione in piazza di manifestazioni e marce antimafia che raccolgono
sempre più adesioni e che per la malavita locale sono un autentico pugno nello stomaco. In soli tre anni di
intensa attività la mafia si vede progressivamente privata di manovalanza e, soprattutto, di consenso
popolare da quel prete che ben presto diventa una sgradita “interferenza” e che raccoglie i giovani in un
centro, intitolato il 29 gennaio 1993 al “Padre Nostro”, dove fa ripetizione ai bambini poveri, destinati a un
futuro di disagio o di asservimento alla potenza dei boss. A tutti ripete che “da soli, non saremo noi a
trasformare il quartiere. Noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa, e se ognuno fa
qualcosa, allora si può fare molto…”.
Cominciano ad arrivare i primi avvertimenti, le prime molotov e le prime porte incendiate, ma don
Pino non è tipo da lasciarsi intimorire: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”,
denuncia in chiesa. È in questo contesto che viene decretata la sua condanna a morte da parte dei boss
Graviano.
I sicari lo avvicinano davanti alla porta di casa il 15 settembre 1993, sera del suo 56° compleanno e
lo eliminano con un colpo di pistola alla nuca, tentando di far apparire l’omicidio come conseguenza di una
rapina finita male. È Salvatore Grigoli, quello che ha premuto il grilletto, a ricordare il suo ultimo sorriso e le
parole “Me l’aspettavo”, che dicono come quella morte non sia un incidente di percorso ma un rischio di
cui don Pino era ben cosciente. Quell’assassinio “ci sembrò subito come una maledizione, perché da allora
cominciò ad andarci tutto storto”, riferisce sempre Grigoli, che intanto ha iniziato un percorso di
conversione, imitato alcuni anni dopo dall’altro sicario, Gaspare Spatuzza. Entrambi attribuiscono il
ravvedimento alla loro vittima, da cui sono certi di essere stati perdonati.
Viene poi beatificato a Palermo il 25 maggio 2013.
La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all'unico Signore e hanno
disvelato la malvagità e l'assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.
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"Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è
una possibilità annunciata già nella rivelazione non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte
di vita. I 2000 anni dalla nascita di Cristo sono segnati dalla persistente testimonianza dei martiri" (Giovanni
Paolo II, Incarnationis Misterium, n.10).
Alcune frasi di don Pino Puglisi
"Nessun uomo è lontano dal Signore.
Il Signore ama la libertà, non impone il suo amore. Non forza il cuore di nessuno di noi.
Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere.
Lui bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto si aprirà.".
"Ognuno di noi sente dentro di sé una inclinazione, un carisma.
Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile.
Questa chiamata, questa vocazione è il segno dello Spirito Santo in noi.
Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita".
"Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d'amore.
Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta.
Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l'invito del Signore, camminare, poi
presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio".
"Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno.
Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio.
Questa è un'illusione che non possiamo permetterci.
È soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani.
Lo facciamo per poter dire: dato che non c'è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e
costruire qualche cosa.
E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto...".
"Il discepolo di Cristo è un testimone.
La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio.
Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza.
Ricordate San Paolo: "Desidero ardentemente persino morire per essere con Cristo".
Ecco, questo desiderio diventa desiderio di comunione che trascende persino la vita".
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APPENDICE 5
QUADRI DI LUCE
Per giustificare la scelta di dedicare una appendice al tema della “luce sacra” nella pittura degli ultimi due
secoli è sufficiente riportare per intero il paragrafo che l’Esortazione “Evangelii gaudium” riserva a quella
che chiama, all’interno della proposta di una catechesi kerygmatica e mistagogica, la “via della bellezza”
(via pulchritudinis):
167. È bene che ogni catechesi presti una speciale attenzione alla “via della bellezza” (via
pulchritudinis). Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente
una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una
gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espressioni di autentica
bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù.
Non si tratta di fomentare un relativismo estetico, che possa oscurare il legame inseparabile tra
verità, bontà e bellezza, ma di recuperare la stima della bellezza per poter giungere al cuore umano
e far risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto. Se, come afferma sant’Agostino, noi non
amiamo se non ciò che è bello, il Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita bellezza, è
sommamente amabile, e ci attrae a sé con legami d’amore. Dunque si rende necessario che la
formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede. È auspicabile che ogni
Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la
ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di
trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”. Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi
segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza
che si manifestano in vari ambiti culturali, e comprese quelle modalità non convenzionali di
bellezza, che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate
particolarmente attraenti per gli altri.
Ecco che, per far sì che “la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede”, si è
scelto di presentare alcuni quadri di autori dell’Ottocento-Novecento, in cui la luce naturale e/o sacra non
sia soltanto uno sfondo, ma un veicolo di un messaggio vero e proprio. Talvolta sottinteso, altre volte
evidente, altre ancora ambivalente. Sempre e comunque “avvincente”.
Di ognuno di questi “testi pittorici” si riporta una breve presentazione-interpretazione. Nonché alcune note
biografiche dell’autore.
Per una lettura diacronica del tema della “luce” nelle varie epoche della storia della pittura cfr. il breve ma
esaustivo testo: M. Bussagli-B.Bertini, I grandi temi della pittura. La luce sacra, De Agostini Editore, Novara
2006, 64 pp., che nella copertina riporta proprio il Cristo “in ciel d’oro” del Correggio della cupola di San
Giovanni Evangelista.
I 5 quadri qui proposti sono:
1.
2.
3.
4.
5.
Caspar David Friedrich, Croce in montagna (1807)
William Holman Hunt, La luce del mondo (1853)
Giovanni Segantini, Ave Maria a trasbordo (1886)
Marc Chagall, Crocifissione bianca (1938)
Jean-Marie Pirot (Arcabas), Annunciazione (1999)
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CASPAR DAVID FRIEDRICH
CROCE IN MONTAGNA (1807)
Questo dipinto di Caspar David Friedrich, "Croce in montagna", quando fu realizzato nel 1808 si propose
subito come un'opera rivoluzionaria: mai prima d'allora infatti un dipinto dal così forte sapore paesaggistico
sarebbe stato destinato a figurare come pala d'altare, genere per il quale solamente le scene sacre erano
ritenute degne. E per questo motivo, la "Croce in montagna" scatenò non poche critiche. Le più aspre gli
arrivarono dal barone Friedrich Wilhelm Basilius von Romdohr, che in un articolo apparso nel gennaio del
1809 sulla "Zeitung für die elegante Welt", accusò Caspar David Friedrich di aver realizzato fatto sì che la
pittura paesaggista "si introducesse nelle chiese e strisciasse sugli altari".
Il pittore realizzò l'opera per farne dono al re Gustavo IV Adolfo di Svezia (l'artista era suo suddito in quanto
Greifswald, la cittadina della Pomerania dove nacque nel 1774, dipendeva dalla Svezia). Il sovrano però fu
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deposto nel 1809, e non potendo più presentare l'opera al re, l'artista la vendette al conte Franz von ThunHohenstein, che la collocò nel suo castello di Tetschen in Boemia (il dipinto è infatti noto anche come "Pala
di Tetschen"). Venduto di nuovo nel 1921, dopo diverse vicende il dipinto è pervenuto alla Gemäldegalerie
di Dresda.
Il dipinto mostra un paesaggio di montagna, con una roccia su cui si ergono degli abeti e che è sovrastata da
un crocifisso: il tutto sotto un cielo nuvoloso al tramonto da cui provengono raggi di luce, che assieme al
crocifissono sono gli unici particolari "sacri" della composizione. Per Friedrich (in risposta alle critiche), la
roccia simboleggia la fermezza della fede, e gli alberi che spuntano su di essa la speranza nel Salvatore.
Anche la cornice, disegnata dallo stesso Friedrich e scolpita da Gottlieb Christian Kuhn, reca simboli religiosi
che rafforzano il significato del dipinto, come il grano e l'uva, metafore del pane e del vino, il corpo e il
sangue di Gesù, o come l'occhio di Dio. Un dipinto quindi in cui la natura stessa si fa portatrice di
simbolismi: una delle essenze del romanticismo, di cui la "Croce in montagna" è uno dei più grandi
capolavori.
Note sull’autore
Caspar David Friedrich (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda, 7 maggio 1840) è stato un pittore tedesco,
esponente dell'arte romantica.
L'artista, uno dei più importanti rappresentanti del "paesaggio simbolico", basava la sua pittura su
un'attenta osservazione dei paesaggi della Germania e soprattutto dei loro effetti di luce; permeandoli di
umori romantici. Egli considerava il paesaggio naturale come opera divina e le sue raffigurazioni ritraevano
sempre momenti particolari come l'alba, il tramonto o frangenti di una tempesta.
A proposito del sentimento religioso Friedrich scrisse che «l'epoca dei templi fastosi e dei loro servi è finita
e dalle sue rovine è sorta un'altra epoca e un'altra esigenza di chiarezza e di verità. Alti e slanciati abeti
sempreverdi sono sorti dalla polvere, e sulle marce immagini dei santi, sugli altari distrutti e sui turiboli
spezzati sta, appoggiato ai resti di un monumento vescovile, un pastore evangelico, con la Bibbia nella
sinistra e la destra sul cuore, gli occhi rivolti all'azzurro del cielo a osservare in meditazione le nuvole
luminose e leggere».
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WILLIAM HOLMAN HUNT
LA LUCE DEL MONDO (1853)
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Questo dipinto, che si trova nella cappella del Keble College di Oxford, è l'originale realizzato da Holman
Hunt nel 1853 e il primo esposto alla Royal Academy nel 1854.
L'artista ha iniziato l'immagine quando aveva poco più di 21 anni, ma non l'ha finita fino all'età di 29 anni.
Una delle ragioni di tutto questo tempo è stato il suo desiderio di perfezionare l'alba, e questo non riuscì a
farlo fino a quando ha preso il quadro con lui per il Medio Oriente e ha trovato l'alba perfetta fuori di
Betlemme. Quando aveva quasi 70 anni, dipinse una replica che si trova nella Cattedrale di St Paul, a
Londra. La replica è molto più grande dell'originale, ma la colorazione ed i dettagli non sono così perfetti.
L'immagine fu donata al College dalla sig.ra Thomas Combe, che era un grande ammiratore dei Preraffaelliti
(la corrente pittorica alla quale Hunt apparteneva).
Ci sono due luci nell'immagine. La lanterna è la luce della coscienza, mentre la luce intorno alla testa è la
luce della salvezza, con la porta che rappresenta l'anima umana, che non può essere aperta dall'esterno.
Non vi è alcun maniglia della porta; chiodi arrugginiti e cerniere ricoperte di edera indicano che la porta non
è mai stata aperta e che la figura di Cristo sta chiedendo il permesso di entrare. La luce brillante sopra la
figura è la stella del mattino, l'alba del nuovo giorno; le erbacce d'autunno ed i frutti caduti rappresentano
l'autunno della vita.
Le vesti di Gesù sono solenni: un piviale riccamente ornato ed una corona aurea che ci rimandano alla sua
seconda venuta, ma ci ricordano anche che egli viene nell'oggi della Chiesa, nella sua liturgia a cui il piviale
rimanda.
Allo stesso momento, i segni dei chiodi nelle mani e la corona di spine intrecciata alla corona regale, ci
rimandano alla sua passione e morte: è il Crocifisso-Risorto!
Non sappiamo quando "ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino": Hunt ha
immaginato questa venuta all'alba, inizio di un nuovo giorno, ma è soprattutto la venuta di Cristo-Luce a
segnare l'inizio del "giorno senza tramonto", Lui che è la " stella radiosa del mattino" (Ap 22,16), alla quale
"Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!". E chi ascolta, ripeta: "Vieni!" (Ap 22,17). Ed ecco: guardando al di
sopra del capo del Cristo, tra le foglie, è visibile, più splendente delle altre, la "stella del mattino" che
annuncia l'arrivo del nuovo giorno.
La scritta sotto l'immagine, che è piuttosto difficile da leggere, è tratta da Apocalisse 3: ”Ecco, io sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli
con me”.
Note sull’autore
William Holman Hunt fondò nel 1848, insieme al poeta e pittore Dante Gabriel Rossetti e l'artista John
Everett, la confraternita dei preraffaeliti, dopo il rifiuto come artista da parte della Royal Academy di
Londra.
Le opere di Hunt non ottennero immediatamente successo e al contrario, vennero ferocemente attaccate
dalla critica che le considerava stucchevoli nel messaggio e mal realizzate nella tecnica e nella
composizione. Da questo compatto schieramento di detrattori, il pittore iniziò a strappare qualche
consenso solo con le opere a carattere naturalistico, per l'acuto spirito di osservazione sia delle scene rurali
che di quelle urbane. Tuttavia, il successo di pubblico e critica gli venne dalle sue opere a soggetto religioso,
come The Light of the World (La luce del mondo) la cui presenza venne richiesta in numerose esposizioni sia
in Gran Bretagna che negli Stati Uniti. A seguito di questa nuova vena artistica, Hunt si spinse fino in Terra
Santa per effettuare alcuni rilievi topografici, etnografici e naturalistici, e ne tornò con numerosi bozzetti
che si trasformarono in importanti dipinti.
Le opere di Hunt, nonostante l'iniziale diffidenza, vennero elogiate dal gruppo dei preraffaelliti per la
grande attenzione al dettaglio, l'uso vivace del colore e il loro complesso simbolismo: profondamente
colpiti soprattutto da quest'ultimo aspetto furono John Ruskin e Thomas Carlyle, critici ufficiali del
movimento pittorico, secondo i quali Hunt riusciva efficacemente a dar voce al principio secondo il quale
tutto l'esistente è un simbolo che sottende ad un significato profondo. Hunt sposò in toto questa linea di
pensiero, arrivando a dichiarare che nelle sue intenzioni l'unico scopo dell'arte era quello di rivelare la
corrispondenza tra il segno e l'essenza, e rimanendo fedele al pensiero dei preraffaelliti fino alla fine della
propria vita e della propria carriera, nonostante la morte o l'allontanamento degli altri membri.
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GIOVANNI SEGANTINI
AVE MARIA A TRASBORDO (1886)
“Ave Maria a trasbordo” è un quadro importante anche perché è il primo che Segantini dipinse utilizzando
la tecnica divisionista e segna quindi un primo sviluppo nella sua produzione artistica.
Il divisionismo gli permise di aumentare la luminosità dei colori, di dare diverse sfumature alla struttura e
alla materialità del soggetto. La tecnica fu elaborata in Francia da Seurat e Signac durante i primi anni del
1880 ed è conosciuta sotto il termine di pointillisme, perché gli artisti componevano le loro tele accostando
tra loro infiniti minuscoli punti di colori puri, che formano oggetti e persone identificabili soprattutto ad una
certa distanza dal quadro.
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Segantini si lasciò ispirare da questa corrente, ma anche qui introdusse un suo tocco personale. “Ave Maria
a trasbordo”, così come tutte le sue opere divisioniste, non è stata creata da infiniti puntini ma dall’ uso di
pennellate lunghe di colore puro. Il risultato è lo stesso: una grande luminosità che qui si tramuta in un inno
al sole. I tre personaggi, madre, figlio e uomo anziano,seduti su una piccola imbarcazione che trasporta un
gregge di pecore verso riva, sono un forte richiamo alla Sacra Famiglia.
La scena è immersa in una muta preghiera e ha forti richiami biblici. Tutta la cromia del dipinto è incentrata
sul punto centrale in cui il sole tramonta e sull’effetto intenso della sua luce. Anche la forma rotonda del
sole nel cielo è rafforzata sia dalla circolarità della luce che si espande in modo circolare tramite raggi di
sole dal centro del dipinto verso le estremità del quadro, sia dal lago, dove il movimento dell’acqua è
marcato da piccole onde concentriche.
Note sull’autore
Giovanni Segantini (Arco-Tn, 1858 - Schafberg, Majola-Grigioni, 1899) è stato un pittore italiano. Dopo
un'infanzia e un'adolescenza tristi che egli mitizzò nell'Autobiografia scritta intorno al 1896 per la scrittrice
Neera (ma di cui l'unico fatto documentato sono i tre anni trascorsi in riformatorio a Milano), frequentò
l'Accademia di Brera tra il 1875 e il 1879, durante il quale fu premiato per il Coro di Sant'Antonio (1878),
basato su un effetto di luce interno. Nel 1880 conobbe Vittore Grubicy de Dragon, col quale stipulò un
contratto, in cui si impegnava a cedergli tutta la sua produzione pittorica.
Nel 1881 si ritirò a Pusiano in Brianza con la moglie; le opere dipinte in questi anni risentono della
formazione lombarda del pittore: Carcano, Conconi, Mosé, Bianchi, la pittura degli scapigliati, soprattutto di
Cremona. Soggetti preferiti sono pastorellerie, idilli, paesaggi, qualche ritratto. Del 1886 è la prima opera
dipinta, su suggerimento di Grubicy, con tecnica divisionista: l'Ave Maria a trasbordo (San Gallo, collezione
Fischbacher). Nelle tele successive Segantini giunse alla definitiva strutturazione forale e cromaticoluministica del quadro: in dipinti come Alla stanga (Roma, Galleria d'arte moderna) o Ritorno all'ovile (San
Gallo, Collezione Fischbacher), seppe unire alla vibrazione della materia-luce che investe l'intera superficie
una rigorosissima struttura spaziale; si interessò d'altra anche alla resa di effetti luministici ed atmosferici,
come nel celebre quadro delle Due Madri (Milano, Galleria d'arte moderna).
Dal 1891 in poi prevale un'intonazione allegorica e simbolistica, motivata dall'adesione alle istanze più
moderne della cultura contemporanea, che non si traduce solo nei quadri apertamente simbolisti come
l'Angelo della vita, la Dea dell'amore (entrambi nella Galleria d'arte moderna di Milano), ma anche in opere
apparentemente naturaliste come la Raccolta del fieno o lo stupendo trittico allegorico La natura, la vita e
la morte (Saint Moritz, Museo Segantini), rimasto incompiuto per la morte del pittore avvenuta mentre
isolato in una capanna sulla montagna dello Schafberg a 3.000 metri d'altezza, stava lavorando a uno studio
di neve per il trittico stesso.
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MARC CHAGALL
CROCIFISSIONE BIANCA (1938)
Anche Chagall riflette sulla Bibbia e, in modo particolare, sul Cristo di cui fa la cifra della propria esperienza
artistica. Il Cristo è il simbolo della tragedia del mondo, di coloro che subiscono oltraggio, carcere,
violenza. La Crocifissione bianca è uno dei suoi vertici pittorici. L’artista vi esprime le sofferenze del suo
popolo.
In quest’opera, simbolo del terrore e della tragica assenza di umanità, resa evidente dal freddo prevalere
del colore bianco, Cristo è il martire che domina la scena. Simbolo dell’ebreo perseguitato e di ogni vittima
innocente, Gesù è cinto dal tallit (il tipico scialle ebraico) e, come un tabernacolo, ha davanti a sé la luce
della menorah (il candelabro a 7 braccia).
Un fascio di luce bianca da cui emerge sembra come sostenerlo. Cristo è attorniato da ebrei in fuga, da
scene di distruzione, saccheggi, disperazione. La Sinagoga è in fiamme. Il contrasto tra colori giallo-rossastri
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con tonalità bianco-grigiastre crea stridore, senso di tragedia. Le punte delle fiamme si sovrappongono al
fascio di luce bianca, come se lo violassero, rifrangendosi sul corpo di Cristo. Un uomo morto per terra è
avvolto dalle fiamme. Ovunque è visibile distruzione.
Il dipinto è un caos di case capovolte e incendiate, di sedie rovesciate, di tombe profanate. Fuggono una
donna con il bambino tra le braccia, un vecchio che attraversa le fiamme che si sprigionano dalla Torah, un
altro ebreo che porta in salvo un’altra Torah. Soldati in preda alla disperazione si sporgono stremati da una
barca. Altri chiedono aiuto agitando le mani in alto. Soldati dell’Armata rossa irrompono dalla sinistra del
quadro. Troppo pochi per portare aiuto. Come angeli, tre rabbini e una donna sono sospesi sugli incendi,
danzando una preghiera nel cielo annerito dal fumo, da nubi che soltanto il fascio di luce bianca può
lacerare.
In questa tragedia, il Cristo sulla croce accende una speranza.
Note sull’autore
Marc Chagall nasce in una famiglia di cultura e religione ebraica, a Vitebsk, allora facente parte dell'Impero
Russo, oggi in Bielorussia. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia Russa di Belle Arti di San
Pietroburgo, si sposò con Bella e lasciò la città stabilendosi a Parigi, per essere più vicino alla comunità
artistica di Montparnasse, dove entrò in amicizia con Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay e Fernand
Léger. Nel 1917 prese parte attiva alla rivoluzione russa. Divenne cittadino francese nel 1937.
Durante l'occupazione nazista in Francia, nella Seconda guerra mondiale, con la deportazione degli Ebrei e
l'Olocausto, gli Chagall fuggirono da Parigi. Si nascosero presso Villa Air-Bel a Marsiglia e il giornalista
americano Varian Fry li aiutò nella fuga verso la Spagna ed il Portogallo. Nel 1941 la famiglia Chagall si
stabilì negli Stati Uniti, dove sbarcò il 22 giugno, giorno dell'invasione nazista della Russia.
Il 2 settembre 1944, Bella, compagna amatissima, soggetto frequente nei suoi dipinti e compagna di vita,
morì per una infezione virale. Due anni dopo, Chagall fece ritorno in Europa e nel 1949 si stabilì in Provenza.
Uscì dalla depressione causata dalla morte della moglie, quando conobbe Virginia Haggard, dalla quale
ebbe un figlio.
In questi anni intensi, riscoprì colori liberi e brillanti: le sue opere sono dedicate all'amore e alla gioia di
vivere, con figure morbide e sinuose. Si cimentò anche con la scultura, la ceramica e il vetro.
Chagall si risposò nel 1952 con Valentina (detta "Vave") Brodsky, anch'ella di origine russa ed ebrea, con la
quale scoprì la Grecia. Nel 1957 si recò in Israele, dove nel 1960 creò una vetrata per la sinagoga
dell'ospedale Hadassah Ein Kerem e nel 1966 progettò un affresco per il nuovo parlamento. Viaggerà anche
in Russia dove sarà accolto trionfalmente, ma si rifiuterà di tornare nella natia Vitebsk.
Chagall morì a 97 anni, a Saint-Paul de Vence, il 28 marzo 1985.
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JEAN-MARIE PIROT (ARCABAS)
ANNUNCIAZIONE (1999)
Un'ambientazione domestica suggerita dallo scorcio del pavimento con le classiche mattonelle bianche e
nere per un evento infinitamente grande: l'annuncio del concepimento di Gesù a Maria.
Due i protagonisti della scena: Maria colta di spalle da un imponente angelo dalle ali spiegate. La figura di
Maria non è definita nei particolari, parte del corpo è come avvolto da una luce che sfuma dal bianco
all'ocra al rosso. Il volto ed i gesti sono invece ben delineati: l'espressione sorpresa e nello stesso tempo
assorta, la mano sul petto ad indicare incredulità di fronte ad un evento al di sopra della comprensione
umana, il libro deposto in grembo sul quale l'iconografia tradizionale vuole che ella stesse leggendo la
profezia di Isaia dell'incarnazione di Gesù per mezzo di una donna (lsaia 7,14).
Manca un terzo personaggio solitamente presente nelle raffigurazioni, cioè la colomba dello Spirito Santo,
forse sostituita dalla luce e dai colori che in qualche modo uniscono i due personaggi, una sorta di soffio
che emana dalla bocca dell'angelo.
È molto particolare questo messaggero divino: quello che colpisce è il volto dai due occhi (elemento
ricorrente nelle figure di Arcabas) ed i capelli simili a lingue di fuoco (c'è forse anche qui il riferimento al
fuoco dello Spirito), la mano sul collo quasi a moderare la forza dell'annuncio che"travolge"e turba Maria, la
sua mole che si impone sull'esile figura femminile comunicando il senso della potenza divina, il gesto di
umiltà nell'inginocchiarsi al cospetto di Maria.
L'angelo è fatto del colore della terra e dell'oro, la comunicazione con Maria è ruah (spirito, soffio) che si
materializza nella nuvola bianca; Maria sembra non vedere l'Angelo, forse è più immersa nel pensiero che
gli proviene dalla lettura del Libro che ha tra le mani, l'Angelo si inginocchia e Maria sta seduta: gesti che
scambiano i loro significati.
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Il divino si inginocchia davanti all'umano II libro aperto è l'Annuncio, ricordo dell’Annunciazione di
Antonello da Messina (1474). Anche i rombi del pavimento raccontano l’interno della casa, in una
domesticità degli interni, efficacemente illustrati dal pittore fiammingo Vermeer, che conferisce familiarità
all’epifania di Dio.
Note sull’autore
Jean-Marie Pirot, in arte Arcabas, nasce a Trémery (Francia) nel 1926 ed è un artista francese, conosciuto
soprattutto per le sue pitture di ispirazione religiosa.
La sua opera principale sono le decorazioni nella chiesa di Saint-Hugues-de-Chartreuse, che iniziò a
realizzare nel 1953. Dal 1984 la chiesa è diventata "Museo Dipartimentale di Arte Sacra" e racchiude una
porzione significativa delle opere di Arcabas.
Arcabas ha usato varie tecniche artistiche: scultura, incisione, arazzo, mosaico, le vetrate, ma la sua tecnica
principale è la pittura. La sua fonte principale d'ispirazione è la Bibbia e il suo campo artistico di espressione
è l'arte sacra.
Ha ricevuto numerose richieste da parte del governo francese e di diverse istituzioni religiose. Le sue opere
si trovano in Francia, Germania, Messico, Italia, Canada, Stati Uniti, in diversi musei (museo di Grenoble,
Bibliothèque Nationale di Parigi, museo di Cuernavaca in Messico) e molteplici collezioni private.
L'opera di Arcabas si segnala per l'inserimento di temi e figure profane all'interno dei cicli religiosi e per
l'uso esuberante del colore, che sembra quasi aggredire l'occhio e per la presenza del colore oro, legato alla
tradizione dell'arte sacra europea.
96
APPENDICE 6
PROPOSTE CELEBRATIVE
Nelle pagine che seguono vengono allegati 4 schemi celebrativi da utilizzare per l’animazione con il gruppo
nei diversi momenti dell’anno:
-
Una adorazione
“Una notte di luce che apre alla missione”
-
Un lucernario
“Veglia del sabato sera”
-
Tempo di Avvento-Natale
“La luce di Betlemme”
-
Tempo di Pasqua
“Accendi la speranza”
97
98
ADORAZIONE
“ UNA NOTTE DI LUCE CHE APRE ALLA MISSIONE”
La Chiesa o la Cappella è semibuia,è acceso soltanto il faretto del
Tabernacolo.I fedeli hanno in mano un piccolo cero spento.
Sull’altare è collocato il Libro dei Vangeli e accanto all’altare l’olio
profumato.
I momento
UNA NOTTE…
Guida: Iniziamo questa Veglia in questa atmosfera di “notte”. La notte
rimanda non solo al buio esteriore ma anche al buio interiore, alle tante
situazioni di ingiustizia, di dolore, di smarrimento, di ricerca di verità che
tanti giovani vivono. Desideriamo farne memoria e portarle all’altare
perché la luce che è Cristo li raggiunga e renda noi suoi “strumenti di
luce”.
Vengono letti e portati ai piedi dell’altare titoli di giornali che presentano
situazioni di notte o anche altre intenzioni particolari.
II momento
…DI LUCE
Entra una o più persone con in mano una lampada accesa e dona la luce a tutti i fedeli che hanno in mano il
cero spento, quindi gradatamente si accendono tutte le luci della Chiesa, così da essere pienamente
illuminata per la fine del canto del lucernario.
LUCERNARIO
(ispirato alla liturgia ambrosiana)
Rit.: O luce radiosa, eterno splendore del Padre,
Santo, Immortale Gesù Cristo.
Alzati e vesti il tuo manto di luce,
santa Chiesa di Dio.
La gloria del Signore brilla su di te.
Al tuo chiarore camminano le genti
nella notte del mondo.
La gloria del Signore brilla su di te.
99
Rit.: O luce radiosa, eterno splendore del Padre,
Santo, Immortale Gesù Cristo.
I tuoi figli vengono da lontano, Città di Dio,
le tue figlie sono portate in braccio.
La gloria del Signore brilla su di te.
Le genti verranno da lontano
proclamando le glorie del Signore.
La gloria del Signore brilla su di te.
Rit.: O luce radiosa, eterno splendore del Padre,
Santo, Immortale Gesù Cristo.
Il sole non sarà più la tua luce di giorno, o Sion,
né ti illuminerà più lo splendore della luna.
La gloria del Signore brilla su di te.
Il Signore sarà per te luce eterna,
il tuo Dio sarà il tuo splendore.
La gloria del Signore brilla su di te.
Rit.: O luce radiosa, eterno splendore del Padre,
Santo, Immortale Gesù Cristo.
Guida: Preghiamo. Il fuoco della tua carità, o Padre, divampi irresistibilmente nei cuori, perché la Chiesa sia
raccolta in unità dallo Spirito Santo e in ogni lingua sia annunziato il vangelo di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
Dal libro di Isaia (9,1)
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra
tenebrosa una luce rifulse.
Canto di esposizione (a scelta)
Preghiera di adorazione
Gesù, Maestro divino,
ti adoriamo come verbo incarnato, mandato dal Padre
per ammaestrare gli uomini nelle verità che danno la vita.
Tu sei la Verità increata, l'unico Maestro;
tu solo hai parole di vita eterna.
Ti ringraziamo per aver acceso in noi il lume della ragione e il lume della fede
e averci chiamati al lume della gloria.
Maestro, mostraci i tesori della tua sapienza,
facci conoscere il Padre, rendici veri tuoi discepoli.
Accresci la nostra fede perché possiamo pervenire all'eterna visione in cielo.
Tempo per l’adorazione personale
Vengono letti versetti dei salmi sulla luce intervallati da un Canone
Canone […]
- Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio, conserva la luce ai miei occhi. (sal 13,4)
- Signore, tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre. (sal 18,29)
- Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? (sal 27,1)
- È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce. (sal 36,10)
100
-
Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla
tua dimora. (sal 43,3)
Beato il popolo che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo volto; (sal 89,16)
Una luce spuntata per il giusto, una gioia per i retti di cuore. (sal 97,11)
Benedici il Signore, anima mia! Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Sei rivestito di maestà e di
splendore, avvolto di luce come di un manto. (sal 104, 1-2a)
Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. (sal 109, 105)
III momento
…CHE APRE ALLA MISSIONE
Guida: Gesù Risorto ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati. Con il dono dello Spirito nella
nostra Cresima siamo stati unti e consacrati per offrire l’Eucaristia della nostra vita in Gesù, con Gesù e per
Gesù. Rendiamo grazie a Dio per il giorno benedetto della Cresima, ricordiamone il giorno, il luogo e la
forza.
Dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (9,16-23)
Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se
non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio
di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di
annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero:
mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge
– pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di
guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io
senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge,
allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per
guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io
faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.
Dalla Costituzione pastorale GAUDIUM ET SPES (1,4,11)
Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro
che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di
genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. (…)
È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così
che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul
senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere
il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. (…)
Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie
l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme
con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede
infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo,
orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane.
Tempo personale di silenzio per la preghiera e la revisione di vita
Invocazione dello Spirito Santo perché Dio rinnovi in noi la grazia e la potenza del sacramento della Cresima
In piedi
Guida: Rinnova, Signore, su noi tuoi figli la grazia della Cresima: abbiamo ricevuto il sigillo dell’unzione dello
Spirito, fa’ che spandiamo nel mondo il buon profumo di Cristo.
101
Mentre si fa un canto allo Spirito Santo i giovani si recano dinanzi a un fratello o una sorella della comunità
che li profuma sulle mani a ricordo del Sacro Crisma che li ha consacrati una volta per sempre nella Cresima
Ad ognuno si dice: “memoria della tua Cresima: profumo di Cristo!”.
In alternativa al gesto dell’olio profumato:
Preghiera insieme
Gesù, Maestro divino,
ti adoriamo con gli angeli che cantarono i motivi della tua incarnazione:
«Gloria a Dio e pace agli uomini».
Ti ringraziamo di averci chiamati a partecipare al medesimo tuo apostolato.
Accendi in noi la tua stessa fiamma dello zelo per Dio e per le anime.
Riempi di te tutto il nostro essere:
vivi in noi perché ti irradiamo con l'apostolato della preghiera e della sofferenza,
delle edizioni e della parola, dell'esempio e delle opere.
Manda buoni operai alla tua messe;
illumina i predicatori, i maestri, gli scrittori; effondi in essi lo Spirito Santo;
disponi le menti ed i cuori ad accoglierlo.
Vieni, Maestro e Signore!
Insegna e regna, per Maria, Madre, Maestra e Regina.
Guida: Ci rivolgiamo al Padre con la preghiera che ci è stata consegnata nel Battesimo
Padre nostro…
Benedizione eucaristica
Canto finale
102
LUCERNARIO
“ VEGLIA DEL SABATO SERA”
Proponiamo uno schema di “lucernario”, una preghiera del sabato sera in
preparazione alla domenica, giorno del Signore. Questo rito, tradizionalmente
celebrato al tramonto o nella notte, significa l’incontro di fede con il Cristo
vera luce.
L’assemblea, formata dai ragazzi e dalle loro famiglie, dai giovani e dagli
operatori pastorali si raduna in silenzio nella chiesa semibuia. Si predispone il
Cero pasquale e si consegna a ogni partecipante una candelina o un lumino.
Fanciulli, ragazzi e giovani portano le preghiere preparate durante gli incontri
di catechesi.
I momento
Presentazione
La liturgia vigiliare per il giorno del Signore dovrebbe segnare la vita delle comunità cristiane, almeno in
alcuni Tempi forti dell’Anno liturgico. L’atteggiamento vigilante è tipico della Chiesa che attende il suo
Signore-Sposo per le nozze eterne. L’attesa settimanale dell’«ottavo giorno», aspettando il giorno della
risurrezione, è segno e anticipo dell’incontro definitivo con Gesù risorto.
Introduzione
Guida: Iniziamo la nostra «veglia della luce» in attesa gioiosa del Signore, luce senza tramonto. Questa
veglia è denominata anche lucernario, dall’uso, nella Chiesa primitiva, di accendere le lucerne per tale
celebrazione che si svolgeva di notte. Il termine lucernario è carico di tutta la simbologia cristiana della luce.
Noi aspettiamo, infatti, e celebriamo Gesù risorto, nostra luce e luce del mondo, Colui che ci conduce dalla
tenebre alla luce, dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita.
Celebrante: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti: Amen.
C. Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia
con tutti voi.
T. E con il tuo Spirito.
Durante il canto dell’inno «Fos ilaron» si accoglie la luce del Cero pasquale. Dopo averlo incensato, si pone il
turibolo ai piedi del Cero. Da esso il celebrante accende le lampade collocate sull’altare e i ragazzi,
poi,vanno ad accendere i ceri dell’assemblea. Si accendono anche le luci elettriche.
Inno a Cristo
C. Carissimi, al tramonto del sole, lodiamo il Signore e invochiamo la venuta di Cristo, sole che sorge
dall’alto, perché ci doni la grazia della luce eterna. A ogni due strofe cantiamo:
T. O luce radiosa, eterno splendore del Padre, Cristo, Signore immortale!
1Lettore: Giunti al tramonto del sole, e vista la luce della sera, lodiamo il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo
Dio.
2Lettore: Si innalzi la lode a tutta la Trinità, dalla creazione, da ogni essere vivente e da ogni persona.
T. O luce radiosa, eterno splendore del Padre, Cristo, Signore immortale!
103
1L. È giusto che tutte le creature ti lodino in ogni tempo, Figlio di Dio che doni la vita: l’universo ti dà gloria.
2L. Noi ti cantiamo, Gesù, generato da Maria: tu, che sei la luce vera, hai assunto la nostra carne.
T. O luce radiosa, eterno splendore del Padre, Cristo, Signore immortale!
1L. Manda il tuo Spirito nei nostri cuori e invocheremo il Padre; venga la sua grazia come rugiada e sigillo
dei doni celesti.
2L. Noi ti cantiamo, Cristo risorto, che hai vinto le tenebre del sepolcro; stella del mattino che precede
l’aurora e rischiara la notte come il giorno.
T. O luce radiosa, eterno splendore del Padre, Cristo, Signore immortale!
1L. Resta con noi, Signore, perché il giorno già volge al declino; illumina i nostri occhi e ti riconosceremo
guida sicura nel nostro cammino.
2L. La nostra preghiera, Signore, si levi come incenso; le nostre mani alzate, davanti a te, come sacrificio
della sera.
T. O luce radiosa, eterno splendore del Padre, Cristo, Signore immortale!
II momento
Proclamazione della Parola
G. La Pasqua di Cristo, «il suo passaggio» da questo mondo al Padre, dalle tenebre del sepolcro alla luce
della risurrezione, è il fondamento della fede della Chiesa, la fonte della sua lode, il motivo del suo stupore
sempre nuovo. Fin dalle origini, la Chiesa ha attinto la sua forza vitale dalla celebrazione della Pasqua di
Cristo, facendo memoria ogni settimana della sua morte e risurrezione nel «giorno del Signore», cioè la
domenica. Gli evangelisti, sottolineando che Cristo è risuscitato «il primo giorno della settimana» (Mt 28,1;
Mc 16,2-9; Lc 24,1; Gv 20,1-19), giorno della creazione della luce (Gn 1,3-5), proclamano che egli è la luce
del mondo e la sua risurrezione dà inizio alla creazione nuova. Giovanni precisa, inoltre, che «otto giorni
dopo» la prima apparizione Gesù si fermò in mezzo ai discepoli (20,26), testimoniando, così, che fu il
Signore stesso a inaugurare il ritmo settimanale della domenica.
Canto: Ascolterò la tua Parola (A.M. Galliano - D. Semprini, Parla Signore, Paoline)
Durante il canto si porta in processione l’Evangeliario, accompagnato da alcuni fanciulli e giovani, recando i
lumini accesi.
Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-23.26)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si
trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". A
coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno
perdonati".
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli
altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno
dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io
non credo".
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a
porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!".
Breve omelia
Silenzio di interiorizzazione
104
III momento
Contemplazione dell’Icona
Durante il canto in risposta alla Parola si porta in processione l’Icona della risurrezione, accompagnata da
fanciulli e giovani.
Canto: O luce radiosa
Preghiera davanti dell’Icona
L. Dolce è la luce del sole
che brilla ai nostri occhi,
ma ancor più dolce è la vista
della tua immagine, o Cristo:
una illumina i nostri sensi,
l’altra i nostri spiriti.
Nel tuo passaggio sulla terra, Verbo di Dio,
hai scacciato con la tua parola ogni malattia;
ma, risalito verso il trono del Padre,
tu guarisci con l’impronta del tuo volto i nostri mali.
T. O, Cristo, vera luce che illumina e santifica
ogni uomo che viene nel mondo,
risplenda su di noi la luce del tuo volto,
affinché in essa vediamo la luce inaccessibile,
e dirigi i nostri passi nella via dei tuoi precetti,
per le preghiere della tua Madre purissima
e di tutti i santi. Amen.
G. In quest’Anno della fede proclamiamo con convinzione la nostra fede in Dio, Padre e Figlio e Spirito
Santo e nell’opera di salvezza da essi realizzata a nostro favore, per condurci dalle tenebre alla luce.
Professione di fede: Credo apostolico
Preghiera di intercessione
Fanciulli, ragazzi e giovani propongono all’assemblea le preghiere preparate.
A ogni richiesta si risponde:
T. Signore, nostra luce, illuminaci.
Verso la domenica, giorno del Signore
G. Dal giorno dell’apparizione di Gesù la comunità cristiana non ha mai cessato di riunirsi attorno a Cristo
risorto ogni domenica, «giorno del Signore» come lo definisce il libro dell’Apocalisse (1,10). I padri della
Chiesa hanno evidenziato che la domenica, primo giorno della settimana, è anche l’ottavo giorno, il giorno
nuovo senza tramonto, il giorno dell’eternità di Dio, che segna l’inizio del mondo nuovo inaugurato da
Cristo, primogenito dei morti. Alla sera del sabato, le antiche comunità cristiane vegliavano, aspettando il
giorno della risurrezione come segno, anticipo dell’incontro definitivo nella luce con il Signore risorto che è
venuto, che viene e che verrà. E noi che vegliamo con la stessa speranza, rendiamo lode a tutta la Trinità,
per il dono della «luce gioiosa» che è Gesù.
Inno alla luce
C. Luce gioiosa della santa gloria del Padre immortale, celeste, santo, beato, o Gesù Cristo! Giunti al
tramonto del sole e vista la luce vespertina, inneggiamo al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, Dio.
105
T. È cosa degna cantarti in ogni tempo con voci armoniose,
o Figlio di Dio, tu che ci dai la vita:
perciò l’universo proclama la tua gloria.
C. Ti rendiamo grazie, Padre, per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore:
in lui ci hai illuminati, rivelandoci la luce che non tramonta.
Trascorso questo giorno e giunti all’inizio della notte,
sazi della luce che hai creato per il nostro bene,
noi ti lodiamo e ti glorifichiamo,
per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore,
ora che la tua grazia ci concede anche la luce della sera.
A te la gloria, la potenza e l’onore,
al Figlio con lo Spirito Santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli.
T. Amen.
C. O Dio, Padre amorevole e luce che non tramonta, volgi lo sguardo alla tua Chiesa, ammirabile
sacramento di salvezza, e compi l’opera predisposta nella tua misericordia: tutto il mondo veda e riconosca
che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità, per
mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
T. Amen.
Benedizione finale
C. Il Signore vi benedica e vi protegga.
T. Amen.
C. Faccia risplendere il suo volto su di voi e vi doni la sua misericordia.
T. Amen.
C. Rivolga su di voi il suo sguardo e vi doni la sua pace.
T. Amen.
C. E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi, e con voi rimanga
sempre.
T. Amen.
Canto: Vivi con noi la festa (F. Buttazzo, Alla tua festa, Paoline)
106
TEMPO DI AVVENTO-NATALE
“ LA LUCE DI BETLEMME”
Nella Chiesa della Natività in Betlemme c'è una lampada a
olio che arde perennemente da lungo tempo, posizionata sul
punto ove si presume sia stata la mangiatoia nella quale fu
messo il Salvatore in fasce . La lampada è alimentata dall'olio
donato dalle nazioni cristiane della Terra, una volta all'anno,
a turno.
I momento
Signore, fa’ di me una lampada...
Brucerò me stesso, ma darò luce agli altri.
Dal Vangelo secondo Giovanni
“Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà
nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Disse ancora:
“Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate
mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre;
chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la
luce credete nella luce, per diventare figli della luce”.
Lettura 2
Se rifletto su ciò che può essere luce nella mia vita, non trovo niente di particolarmente eccezionale. Non
c’è bisogno di cose abbaglianti! Giusto la semplicità del quotidiano: il sorriso del vicino, l’amore di quelli che
mi circondano, il viso di coloro che Dio pone sulla mia strada, un pranzo in compagnia di amici… E poi, ci
sono tante piccole stelle che accendo io stessa, talvolta senza nemmeno rendermene conto: quando offro
un sorriso a chi è triste o poso la mano sulla spalla di chi è afflitto.
“Colui che accende le stelle”, ecco una bella missione conferita dal Signore. E anche nel quotidiano: Luce
per gli altri! Luce sulle strade di vita, talvolta così diverse! Allora, se faccio il conto di tutte le piccole luci che
trovo sul mio cammino e di tutte quelle che accendo senza saperlo, allora, sì: sono molte le luci nella mia
piccola vita! Ma le luci non sono tutte uguali! Non come la luce che illumina le vetrine dei negozi! Non
come l’illuminazione nelle strade la sera di Natale! Non come i fuochi d’artifici delle feste patronali! No,
quelle sono luci effimere. Ma la Luce segno della presenza di Dio nel cuore della mia vita, brilla
continuamente. Perché il mio cuore è fiducioso e colmo di speranza.
Allora Signore, vieni ad illuminare la mia strada affinché sappia riconoscere sempre nell’altro la tua
presenza che diffonde la luce del tuo amore, attraverso di me.
Lettura 3
Un uomo scendeva ogni giorno nelle viscere della terra a scavare sale. Portava con sé il piccone e una
lampada.
Una sera, mentre tornava verso la superficie, in una galleria tortuosa e scomoda, la lampada cadde di mano
e si infranse al suolo. A tutta prima, il minatore ne fu quasi contento: “Finalmente! Non ne potevo più di
questa lampada. Dovevo portarla sempre con me, fare attenzione a dove la mettevo, pensare a lei anche
durante il lavoro. Adesso ho un ingombro in meno. Mi sento molto più libero! E poi faccio questa strada da
anni, non posso certo perdermi !”.
107
Ma la strada ben presto lo tradì. Al buio era tutta un’altra cosa. Fece alcuni passi, ma urtò contro una
parete. Si meravigliò: non era quella la galleria giusta? Come aveva fatto a sbagliarsi così presto? Tentò di
tornare indietro, ma finì sulla riva del laghetto che raccoglieva le acque di scolo.
“Non è molto profondo”, pensò, “ma se ci finisco dentro, così al buio annegherò di certo”.
Si gettò a terra e cominciò a camminare carponi. Si ferì le mani e le ginocchia. Gli vennero le lacrime agli
occhi quando si accorse che in realtà era riuscito a fare solo pochi metri e si ritrovava sempre al punto di
partenza. E gli venne un’infinita nostalgia della sua lampada. Attese umiliato che qualcuno scendesse per
venire a cercarlo e lo portasse su facendogli strada con qualche mozzicone di candela.
Preghiera
Tu che all’alba dei tempi creasti la luce della vita,
inviala nei nostri cuori perché diveniamo luce del mondo.
Tu che pronunciasti al mondo la Parola di Vita,
fa che essa trasformi le nostre menti e noi diveniamo tuoi collaboratori.
Tu che sei il padre dei poveri e il difensore dei deboli,
non farci mancare il cibo né l’amore nella nostra vita.
Spiana il nostro cammino verso di te e verso i nostri fratelli,
affinché costruiamo insieme l’Amore, la Pace e la Fratellanza.
Canto: EMMANUEL
II momento
Signore, fa’ di me uno strumento di pace...
Annienterò me stesso, ma infonderò pace agli altri.
Salmo 85
Ascolterò quello che dice Dio, il Signore:
egli annuncerà la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore.
La sua salvezza è vicina a chi lo teme
E la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La Verità germoglierà dalla terra
e la Giustizia si affaccerà dal cielo.
Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
Davanti a lui camminerà la giustizia
E sulla via dei suoi passi la salvezza.
Lettura 2
La Pace verrà
E fiorirà dalle nostre mani
Se avrà trovato posto già dentro di noi.
E verrà presto, domani,
se sapremo fare nostre
le necessità di chi vive o passa accanto a noi,
se sapremo far nostro il grido degli innocenti
se sapremo far nostra l’angoscia degli oppressi.
108
La Pace verrà se avremo posto nella nostra casa
Per chi non ha un tetto o non ha patria.
Se avremo posto nel nostro cuore
Per chi non ha affetto o muore solo.
Se avremo tempo nel nostro giorno
Per un disperato da ascoltare.
La Pace verrà
Se non cederemo alla provocazione,
se sapremo sanare ogni divisione,
se saremo uniti con tutti.
La Pace verrà e sarà
Il frutto più vero dell’unità, dell’armonia tra i popoli.
Lettura 3
Quand’ero giovane ero un rivoluzionario e pregavo Dio così: “Signore, dammi la forza di cambiare il
mondo”.
Quando raggiunsi la mezza età e vidi che non ero riuscito a cambiare una sola anima, pregavo così: ”Caro
Signore, dammi la grazia di cambiare almeno la mia famiglia e i miei amici”.
Ora sono vecchio e prego solo così: ”Signore, fammi la grazia di cambiare me stesso”.
Oh, se avessi pregato così fin dall’inizio!
(Bazyazid Bistami)
Preghiera
O Signore…
Fa di me uno strumento della pace:
dov’è odio, ch’io porti l’amore,
dov’è offesa, ch’io porti il perdono,
dov’è discordia, ch’io porti l’unione.
Dov’è dubbio, ch’io porti la fede,
dov’è errore, ch’io porti la verità.
Dov’è disperazione, ch’io porti la speranza,
dov’è tristezza, ch’io porti la gioia.
Dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.
O Maestro, fa ch’io non cerchi tanto
ad essere consolato, quanto a consolare;
ad essere compreso, quanto a comprendere;
ad essere amato, quanto di amare.
Poiché è dando che si riceve;
perdonando che si è perdonati;
morendo che si resuscita a Vita eterna.
(S. Francesco d’Assisi)
Canto: VIENI E SEGUIMI
III momento
Signore, fa’ di me un amico fidato...
Mi dimenticherò di me stesso, ma darò tutto me stesso per gli altri.
Lettura 1
“… Cari giovani, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth,
nascosto nell’Eucarestia. Solo lui dà pienezza di vita all’umanità! Con Maria, dite il vostro “si” a quel Dio che
109
intende donarsi a voi. Vi ripeto oggi quanto ho detto all’inizio del mio pontificato: ”Chi fa entrare Cristo
nella propria vita non perde nulla, nulla –assolutamente nulla di ciò che rende la vita bella, bella e grande.
No, solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono
realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che
è bello e ciò che libera” Siate pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di
grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo….”
(Benedetto XVI, XX giornata mondiale della gioventù)
Lettura 2
Giorgio, un ragazzo di tredici anni, passeggiava sulla spiaggia insieme alla madre. Ad un tratto le chiese:
"Mamma, come si fa a conservare un amico quando finalmente si è riusciti a trovarlo?".
La madre meditò qualche secondo, poi si chinò e prese due manciate di sabbia. Tenendo le palme rivolte
verso l'alto, strinse forte una mano: la sabbia le sfuggì tra le dita, e quanto più stringeva il pugno, tanto più
la sabbia sfuggiva.
Tenne invece ben aperta l'altra mano: la sabbia vi restò tutta.
Giorgio osservò stupito, poi esclamò: "Capisco".
Lettura 3
Come Dio deve ridere delle piccole differenze che noi uomini istituiamo tra noi stessi mascherandole col
pretesto della religione, della politica, del patriottismo o della classe sociale, e trascurando il legame di gran
lunga più importante, quello della fraternità dell’unica famiglia umana!
(Lord Baden Powell, Jamboree, ottobre 1921)
Preghiera
Signore, aiutami ad essere per tutti un amico,
che attende senza stancarsi,
che accoglie con bontà,
che dà con amore,
che ascolta senza fatica,
che rida grazia con gioia,
Un amico che si è sempre certi di trovare
quando se ne ha bisogno.
Aiutami ad essere una presenza sicura,
a cui ci si può rivolgere
quando lo si desidera,
ad offrire un'amicizia riposante,
ad irradiare una pace gioiosa,
la tua pace, o Signore.
Fa' che sia disponibile e accogliente
soprattutto verso i più deboli e indifesi.
Così senza compiere opere straordinarie,
io potrò aiutare gli altri a sentirti più vicino,
Signore della tenerezza.
Canto: ANDATE PER LE STRADE
110
TEMPO DI PASQUA
“ ACCENDI LA SPERANZA”
Guida: Da sempre, la “Speranza” più grande dell’uomo è stata
quella di incontrare il volto di Dio! Era questa la speranza di
Maria di Magdala, di Tommaso, dei discepoli, quando trovarono
il sepolcro vuoto; ed è questa la speranza dell’uomo di oggi che
sempre più spesso si sente abbandonato e solo, ripiegato su se
stesso, mentre dice: “…hanno portato via il mio Signore…”
(Gv.20, 13).
Spesso ci si ostina a cercare Dio tra i morti quando, invece, la
vera Speranza è il Cristo Risorto, che non si nega a noi, anzi, Egli
abita già nei nostri cuori, da quando, nel giorno del Battesimo,
abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. Il momento di preghiera che ci
apprestiamo a vivere, vuole essere una riscoperta della Speranza
che anima le nostre vite perché seguendo l’esempio di Gesù,
possiamo essere anche noi piccole luci che “accendono la
speranza” nel cuore di ogni uomo. Il segno del Cero Pasquale che
è posto al centro della nostra assemblea ci richiama la presenza
e la centralità del Risorto.
Canto
Celebrante: Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Iniziamo la nostra preghiera con una invocazione allo Spirito Santo, perché guidi i nostri cuori verso
l’incontro con Cristo
Tutti: Spirito Santo, primo dono dei credenti
scendi in mezzo a noi, avvolgi nel silenzio il nostro cuore
dà voce alla nostra preghiera.
Spirito che illumini il nostro volto, Spirito che guidi le nostre mani,
anima la nostra preghiera. Amen
Ascolto della Parola
Guida: Vedere Gesù, contemplare il suo Volto è un desiderio insopprimibile, ma un desiderio che l’uomo
arriva purtroppo anche a deformare. Spesso, le tribolazioni della vita ci fanno credere che Dio sia lontano,
oppure ci spingono a dargli un volto che non è il Suo. S. Paolo ci esorta a non scoraggiarci e a non temere;
egli ci svela che il senso della Speranza è continuare a desiderare di vedere Dio, lasciandoci guidare dallo
Spirito Santo. Se questo desiderio arde nei nostri cuori, nulla ci potrà colpire.
Lettera ai Romani (8, 22–27)
Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa
non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente
aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati
salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come
potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con
perseveranza. Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché
nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con
insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello
Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.
111
Guida: Rispondiamo con alcuni versi tratti dal Salmo 91
Beato chi spera nell’Altissimo
Tu che abiti al riparo dell’Altissimo
E dimori all’ombra dell’Onnipotente,
dì al Signore: “mio Rifugio e mia fortezza
mio Dio in cui confido”.
Beato chi spera nell’Altissimo
Non ti accadrà nulla di male
Il Signore darà ordine ai suoi angeli
di proteggerti ovunque tu vada.
Beato chi spera nell’Altissimo
“Chi si affida a me” dice il Signore
“lo libererò, lo proteggerò
Perché mi conosce”.
Beato chi spera nell’Altissimo
“Quando mi invocherà
Gli risponderò
Sarò con lui in ogni pericolo”.
Beato chi spera nell’Altissimo
Guida: Dio non ci abbandona mai, viviamo all’ombra delle Sue ali e non ci nega il Suo Volto anzi, ci viene a
cercare. Nel brano del Vangelo che stiamo per ascoltare, Gesù Risorto si manifesta ai suoi discepoli mentre
sono in barca a pescare. La fatica della pesca non ha affievolito la speranza di Giovanni di rivedere il suo
Signore. Sarà lui, infatti, il più giovane fra i discepoli, a riconoscere il Cristo e una nuova speranza si accende
nei cuori degli apostoli, ansiosi di vedere il maestro e di correre incontro a Lui. Cristo mangia ancora una
volta con loro, segno di una condivisione che si fa missione nella vita di tutti i giorni.
Dal Vangelo di Giovanni (21, 1–14)
Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si
trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di
Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo
anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù.
Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro:
“Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non potevano più tirarla
su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”.
Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si
gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci:
infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco
di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso
or ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi
pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare”.
E nessuno dei discepoli osava domandargli: “Chi sei?”, poiché sapevano bene che era il Signore.
Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta
che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
Pausa di riflessione
112
Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II per la XIX Giornata Mondiale Della Gioventù (2004)
Il desiderio di vedere Dio abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna. Cari giovani, lasciatevi guardare negli
occhi da Gesù, perché cresca in voi il desiderio di vedere la Luce, di gustare lo splendore della Verità. *…+
Volete anche voi, cari giovani, contemplare la bellezza di questo Volto? *…+. Non rispondete troppo in
fretta. Innanzitutto, fate dentro di voi il silenzio. Lasciate emergere dal profondo del cuore questo ardente
desiderio di vedere Dio, un desiderio talvolta soffocato dai rumori del mondo e dalle seduzioni dei piaceri.
*…+ Cercate con ogni mezzo di rendere possibile questo incontro, guardando a Gesù che vi cerca
appassionatamente. Cercatelo con gli occhi di carne attraverso gli avvenimenti della vita e nel volto degli
altri; ma cercatelo anche con gli occhi dell’anima per mezzo della preghiera e della meditazione della Parola
di Dio. *…+
I vostri contemporanei aspettano da voi che siate i testimoni di Colui che avete incontrato e che vi fa vivere.
Nelle realtà della vita quotidiana, divenite testimoni intrepidi dell’amore più forte della morte. Tocca a voi
raccogliere questa sfida! Mettete i vostri talenti e il vostro ardore giovanile al servizio dell’annuncio della
Buona Novella. Siate gli amici entusiasti di Gesù che presentano il Signore a quanti desiderano vederlo,
soprattutto a quanti sono da lui più lontani.
Canto
Guida: Le esortazioni di Giovanni Paolo II ci invitano a mantenere viva in noi la speranza dell’incontro con il
Cristo senza dimenticare che come i santi, siamo chiamati a dare ragione della speranza che c’è in noi.
Meditiamo, ora, su un episodio di vita della Beata Madre Teresa di Calcutta, che seppe cercare il volto del
Crocifisso Risorto negli ultimi e nei poveri:
Incontrai una volta un uomo anziano che era ridotto in una condizione orribile. Mi recai a trovarlo, cercai di
parlare un po’ con lui offrendomi di rassettare la sua stanza, ma lui non voleva. Alla fine acconsentì. Vidi
che aveva una lampada bellissima, anche se tutta impolverata. Gli dissi: “non l’accendi mai?”. Rispose: “Per
chi dovrei farlo? Qui non viene mai nessuno a trovarmi”. Gli chiesi: “Se le suore verranno a trovarti,
accenderai la lampada per loro?”.
Disse: “Sì”. Così le sorelle cominciarono ad andare a trovarlo di sera ed egli accendeva la lampada. Dopo
due anni incaricò le sorelle di trasmettermi questo messaggio: “Dite alla mia amica che la luce che ha
acceso nella mia vita è ancora accesa”.
Si era trattato in realtà di ben poca cosa, ma nell’oscurità della solitudine era stata accesa una luce e quella
luce continuava ad ardere.
Pausa di Riflessione
Guida: Lo Spirito Santo, che abita in noi dal giorno del nostro Battesimo, è la sorgente della nostra
Speranza. Esso si fa Luce per il nostro cammino e ci rende luce per gli altri. Ora, ognuno si avvicinerà al cero
pasquale, segno del Cristo vivo in mezzo a noi, fuoco dello Spirito che riscalda, illumina e purifica. Il
celebrante accenderà per noi una candela e consegnandola dirà: “La luce di Cristo Risorto, brilli sul tuo
volto”, e noi risponderemo: “Signore, fa che io porti la luce nel mondo”
(Sottofondo musicale)
Invocazioni
Ad ogni invocazione rispondiamo dicendo:
Aiutaci, Signore, a portare la Luce della Speranza
„ Per i miseri, i poveri e coloro che non ti conoscono…
„ Perché chi è triste sia consolato…
„ Perché chi è solo si senta amato…
„ Perché anche gli schiavi ritrovino la libertà…
„ Perché i prigionieri siano liberati dalle colpe che restano chiuse nei loro cuori…
„ Perché come riceviamo misericordia e perdono, anche noi sappiamo essere misericordiosi con gli
altri…
113
„ Perché il dolore della morte si trasformi in festa…
„ Perché le terre distrutte dalle guerre ritornino a fiorire…
„ Perché sappiamo trovare sempre parole per lodarti…
„ Perché possiamo accendere la speranza di chi non spera più…
Padre Nostro
Canto
Benedizione finale
114
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