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guerra civile - Università degli Studi di Perugia
GUERRA CIVILE “There’ s many lost, but tell me who has won?” “Sunday Bloody Sunday” U2 Eleonora Cucco V°A a.s. 2014‐2015 Solo i morti hanno visto la fine della guerra". Platone Ho scelto questo argomento come focus della mia tesina perché fin da piccola mi hanno sempre affascinato le rivoluzioni. Nei racconti di mio nonno sentivo parlare di quegli eroici ragazzi che durante la guerra lasciavano le proprie famiglie e i propri cari per difendere le proprie idee, che erano in contrasto con quelle di chi deteneva il potere. Da questi racconti è nata la mia riflessione su quanto sia ammissibile l’uso della violenza per combattere altra violenza. Nel corso dell’anno mi ha particolarmente colpito anche l’incontro con un docente irlandese, il prof. Liam Boyle, il quale ci ha raccontato della situazione socio-politica dell’Irlanda del Nord, che egli stesso ha vissuto. I suoi racconti mi hanno fatto riflettere ulteriormente sulla questione della violenza e della sua legittimità: quindi ho deciso di far partire il mio lavoro da queste due situazioni, apparentemente così differenti e lontane, ma invece molto vicine, come mostrerò nella mia esposizione. 1 SOVRANITÀ: Intesa come qualità giuridica esclusivamente pertinente all’imperium dello Stato, essa è un concetto moderno e che solo allo Stato moderno, inteso come persona giuridica, può applicarsi. Con lo Stato Contemporaneo la parola Sovranità va ad assumere duplici significati: Da un lato, se riferito all’ordinamento giuridico statale nel suo complesso, sta a indicare l’originarietà dell’ordinamento medesimo, nel senso che esso non deriva la sua validità da alcun altro ordinamento superiore. Dall’altro lato, quando lo Stato viene preso in considerazione sotto il suo aspetto di persona giuridica (Stato-persona), il termine Sovranità sta a indicare la posizione di indipendenza nei riguardi di ogni altra persona giuridica esistente al suo esterno e per altro verso l’assoluta supremazia di fronte a tutte le altre persone, fisiche e giuridiche, che si muovono nel suo ambito territoriale. Nella sua famosa opera Economia e società Weber conduce un’ analisi del potere giungendo alla conclusione che ciò che regge è la coercizione e gli interessi materiali o affettivi. Il potere stesso però deve essere legittimato perché se questo non avvenisse, se la gente non fosse diffusamente convinta che l’autorità ha qualche ragione d’ essere, non la riconoscerebbe in quanto tale. Weber differisce tre tipi di legittimità che danno vita ai tre tipi di potere. “Vi sono tre tipi puri di potere legittimo. La validità della sua legittimità può essere infatti, in primo luogo: 1) di carattere razionale - quando poggia sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti, e del diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere (potere legale) in base ad essi; 2) di carattere tradizionale - quando poggia sulla credenza quotidiana nel carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e nella legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire una autorità (potere tradizionale); 3) di carattere carismatico - quando poggia sulla dedizione straordinaria al carattere sacro o alla forza eroica o al valore esemplare di una persona, e degli ordinamenti rivelati o creati da essa (potere carismatico). Nel caso del potere fondato sulla statuizione, si obbedisce all’ordinamento impersonale statuito legalmente e agli individui preposti in base ad esso, in virtù della legalità formale delle sue prescrizioni e nell'ambito di queste. Nel caso del potere tradizionale si obbedisce alla persona del signore designata dalla tradizione e vincolata (in tale ambito) alla tradizione, in virtù della reverenza da parte di coloro che la riconoscono. Nel caso del potere carismatico si obbedisce al duce in quanto tale, qualificato carismaticamente, in virtù della fiducia personale nella rivelazione, nell’eroismo o nell’esemplarità, che sussiste nell’ambito di validità della credenza in questo suo carisma.” M. Weber, Economia e Società, vol. I, pp. 210-211 2 QUANDO IL POPOLO NON RICONOSCE LA LEGITTIMITÀ DEL POTERE..... (www.treccani.it) LA RIVOLTA DI PASQUA (1916) La Rivolta fu un tentativo dei militanti repubblicani irlandesi di ottenere l'indipendenza dal Regno Unito con la forza delle armi. Fu la più significativa ribellione in Irlanda sin dal 1798. La Rivolta, che fu per gran parte organizzata dalla Irish Republican Brotherhood, durò dal 24 al 30 aprile 1916. Membri dei Volontari irlandesi, guidati dal poeta, insegnante e avvocato Pádraig Pearse, si unirono alla più piccola Irish Citizen Army di James Connolly, occuparono punti chiave e simbolici di Dublino e proclamarono la Repubblica irlandese indipendente dalla Gran Bretagna dal General Post Office. RESISTENZA ITALIANA Si definisce Resistenza il movimento di lotta popolare, politica e militare che si determinò durante la Seconda guerra mondiale (1939-45) nelle zone occupate dagli eserciti tedesco e italiano contro gli invasori esterni e contro i loro alleati interni e che, a seconda dei paesi, ebbe caratteristiche, finalità e anche intensità diverse. In Italia la Resistenza ebbe inizio dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il maggior contributo alla Resistenza lo diedero i giovani delle classi richiamate alle armi dalla Repubblica sociale italiana, che scelsero di unirsi alle brigate partigiane e alle altre organizzazioni di lotta (come le Brigate Garibaldi, d’ispirazione comunista, e quelle di Giustizia e libertà, legate al Partito d’azione), nonché militanti e dirigenti di tutti i partiti antifascisti. 3 MOLTI INTELLETTUALI ITALIANI DEL NOVECENTO SI SONO INTERROGATI SULLA RESISTENZA... Sulla Guerra Civile è una raccolta di studi e riflessioni di Norberto Bobbio e Claudio Pavone sulla Guerra di liberazione nazionale collocata dai due studiosi nel breve periodo che va dall’ 8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Entrambi convergono su due punti. Il primo: entrambi pensano che la Resistenza italiana sia la sovrapposizione di tre guerre. Il secondo: per mostrarlo si tratta di percorrere sia la memoria che ne hanno i protagonisti sia l’immagine che ne ha la prima generazioni di italiani postresistenziali (quelli che negli anni sessanta hanno venti anni). Entrambi sono convinti che la celebrazione della Resistenza non coincida con l’evento storico ma sia una metamorfosi ideologizzata. Per entrambi la Resistenza è un brulichio di individui che agiscono, scelgono, hanno sentimenti, provano sentimenti e vivono drammi. Allo stesso tempo la Resistenza assunta come un simbolo è rimasta nella memoria di molti come un mito e si propone come un teatro di legittimità ed azioni che sia lo storico che lo scienziato della politica devono indagare per capirne la funzione, l’uso e la loro riattivazione anche a distanza di anni. Norberto Bobbio è uno dei primi intellettuali del Novecento a definire la Resistenza una Guerra Civile. Ufficialmente nei documenti la Resistenza veniva denominata Guerra di Liberazione Nazionale. Secondo Bobbio è stato molto difficile accettare questa denominazione perché il termine “guerra civile” è stato accolto da “ragioni del cuore” e quindi visto con connotazione negativa. A causa di questo significato emotivo negativo all’ opinione pubblica e a chi sta al potere definire la Resistenza una Guerra Civile fa perdere ad essa il suo ideale di lotta di un popolo per la propria liberazione da un regime dittatoriale e da degli stranieri invasori, riducendola a una guerra fratricida. 4 Cesare Pavese pubblica il romanzo La casa in collina nel 1949, a soli quattro dalla fine della guerra, insieme con Il carcere nel volume unico Prima che il gallo canti. La casa in collina indaga le conseguenze psicologiche e sociali del secondo conflitto mondiale e della Resistenza, cui Pavese stesso non partecipò, rifugiandosi, come il protagonista, in campagna. In entrambe le opere la narrazione è dunque fortemente intrisa di elementi autobiografici, che fanno trasparire alcune costanti della poetica di Pavese: il legame disarmonico tra l’intellettuale e la realtà, il rapporto complesso con il mondo rurale delle Langhe contrapposto a quello della città, il ruolo della memoria individuale. Nella Casa in collina Pavese tratta del dissidio tra la solitudine contemplativa dell’intellettuale e la presa di posizione storica ed ideologica che gli eventi storici richiederebbero. Pavese avverte profondamente questo dissidio per motivi autobiografici e lo traspone, attraverso la scelta della narrazione in prima persona, nella figura di Corrado, il protagonista, debole e irresoluto, che è preso all’interno di una serie di antitesi tra cui non sa decidersi: quella tra la città di Torino devastata dai bombardamenti e la collina delle Langhe che si presenta come un luogo sicuro e protetto, quella tra la scelta di aderire alla lotta partigiana o affiancare i repubblichini, o quella tra l’uomo e la Storia, di cui la guerra è una metafora assai evidente ed esplicita. Qui la crisi interiore di Corrado diventa una più ampia riflessione dell’autore sul significato dell’esistenza umana, in relazione con il valore della nostra vita e il senso della morte, specie quella di natura violenta. Ora che ho visto cos'è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: "E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?" Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero. Cesare Pavese, La casa in collina 5 BIBLIOGRAFIA Norberto Bobbio e Claudio Pavone, Sulla Guerra Civile. La resistenza a due voci, Bollati Boringhieri, febbraio 2015. Cesare Pavese, La casa in collina, Einaudi, 1948. Ilaria Vellani, Sul diritto di resistenza, Ermes, 2012. SITOGRAFIA www.wikipedia.it www.treccani.it www.irlanda.it 6